l'invasione degli ultrabuoni
05-09-2007, 17:42ascesa e caduta di S. Cofferati, lotta di classePermalinkContro i buoni (e i lazzaroni)
Al loro posto, certo, sono rimasti i simulacri: due o tre Partiti nominalmente Comunisti, con falce e martello nel simbolo, e tutto un brulicare di magliette di Che Guevara che Togliatti difficilmente avrebbe autorizzato. Gente anche simpatica, per carità, ma… comunisti? Non scherziamo. I comunisti, quando esistevano, erano un partito dotato di una coscienza di classe. Prima ancora che comunisti, erano lavoratori. Proletari. Rivoluzionari? Sì, ma in prospettiva, con calma, senza sommosse o barricate che sono roba da cialtroni o avventurieri. Per farsi un’immagine bisogna pescare nell’inconscio collettivo pretelevisivo, per esempio nel Quarto Stato di Pelizza da Volpedo. La rivoluzione verrà e sarà una dignitosa passeggiata.
Avete mai notato quant’è elegante il Quarto Stato, il portamento con cui indossa i suoi quattro stracci? Nella folla non è dato vedere lavavetri, ma non c’è dubbio che se i signori in prima linea li avessero incrociati durante la marcia se li sarebbero lasciati indietro senza molti complimenti. I proletari sono barbuti, non barboni, la differenza è tutta qui. Persone dignitose che nel presente lavorano, nel futuro prendono il controllo dei mezzi di produzione, nel tempo libero leggono Marx o se lo fanno spiegare, e se hanno un parabrezza preferiscono tenerselo pulito da soli. Senza fare l’elemosina, che è un retaggio medioevale. Non dico che fossero bravi e buoni, anzi no, proprio non lo erano. Erano comunisti dotati di coscienza di classe. La loro classe: il proletariato. E la lotta di classe non era soltanto quella contro il Signor Padrone, ma anche quella quotidiana contro il sottoproletariato degli straccioni. Quelli che non lavorano per scelta, quelli che campano di pietismo: la carità è roba da preti, il proletariato difende i suoi interessi e non ha pietà di nessuno. Anche perché a dargli corda, finisce che questi che si alleano con la borghesia e mandano un parassita pari loro al potere: Marx aveva mostrato l’esempio di Napoleone III. Alle elementari m’insegnarono che non si regala un pesce a un vagabondo, ma gli si insegna a pescare: io non ero tanto d’accordo, ma alla fine mi adeguai. Più tardi scoprii con orrore che si trattava della dottrina di Mao (ancora più tardi scoprii che Mao scopiazzava Confucio).
Sono cresciuto così, in ogni caso: quindi, mentre voi forse rimpiangete i pittoreschi rumeni ai semafori, io rimpiango i comunisti. Se esistessero ancora probabilmente mi terrei un po’ sulle mie, frequenterei l’osteria e la festa dell’Unità con un certo spocchioso distacco da intellettuale, ma è tutto vano, perché tanto non ci sono più.
Sono stati sostituiti da una manica di pietisti, pronti a commuoversi per il povero rumeno, la povera zingara, il povero pancabbestia: tutta gente che non voterà mai per loro (anzi, probabilmente quando sarà il momento farà le barricate per il Napoleone III di turno). Non so di chi sia stata la colpa, se di Pasolini o di Wojtyla, fatto sta che a un certo punto i dirigenti hanno totalmente perso il contatto con la loro classe di riferimento: che non erano gli insegnanti o gli intellettuali o i dipendenti pubblici, ma i lavoratori. Il popolo delle otto ore, che guarda caso è l’unico popolo che i lavavetri li incrocia due volte al giorno, e le monete le deve risparmiare per il parcheggio. La classe lavoratrice dignitosa e conformista, che priva di un serio partito di riferimento si butta sulla Lega: col risultato tragico di mandare nelle giunte dei lazzaroni non molto meno avidi o più capaci degli stessi lavavetri.
Ogni giorno ne scompare qualcuno, sostituito da un ultracorpo radical-chic di nessun interesse. La scorsa settimana se n’è andato Asor Rosa: perché quello che ha scritto la letterina al Corriere contro il conformismo dominante non può mica essere lui. Asor Rosa non può essersi dimenticato del conformismo massiccio e tetragono che teneva insieme il Partito di Togliatti, di Longo e Berlinguer. Il problema è proprio che non ce n’è più abbastanza, di conformismo: che tutti vogliono tentare la loro strada, nel disperato tentativo di intercettare qualche sacca di voti qua e là. Come Rutelli, che difendendo i privilegi feudali delle immobiliari del Clero spera magari di conquistarsi qualche chierichetto. La Chiesa, del resto, è da duemila anni che si fa sovvenzionare con il ricatto della Carità: e funziona. Fa anche del bene, a volte, non dico di no. Però il comunismo è un’altra cosa, e confondere queste due cose non ci sta portando alcun bene.
Forse bisognerebbe ripartire da un’idea forte: se il neoliberismo è un tentativo di riorganizzare la società intorno alla legge della jungla, la criminalità non è una falla del progetto, ma ne è la massima incarnazione: il sopruso al potere. Come sta succedendo in quei Paesi, come la Russia o l’Estremo Oriente, in cui si fa veramente fatica a capire dove finisce la mafia e comincia lo Stato o il Partito. Ma allora combattere contro la criminalità equivale a combattere contro il neoliberismo. Un problema da materialisti seri, da affrontare con razionalità, e da non lasciare ai pagliacci come Gentilini, decisamente.
Quando invece si critica il sindaco di Firenze (o quello di Bologna, dove però il discorso è un po’ diverso) perché se la prende con “gli ultimi”, si fa un discorso terribilmente cattolico. Io sono anche cattolico e quindi lo capisco, ma purtroppo, in materia di microcriminalità, prendersela con gli ultimi funziona, eccome. Il racket è un’idra a teste intercambiabili: se te la prendi coi vertici, se fai una retata nel Quartier Generale, stai soltanto preparando la successione per il prossimo gruppo dirigente (e infatti dietro l’arresto di un ras c’è spesso lo zampino del ras successivo). L’unica strategia vincente è il soffocamento: togliere progressivamente alla criminalità lo spazio in cui si organizza e prospera. A me sembra abbastanza chiaro, ora va spiegato agli ultracorpi. Con tutti i noir che si sono letti quest’estate, per loro non dovrebbe essere difficile capirlo. Ma forse certe cose le capisci solo quando ci sei in mezzo tu, con la tua utilitaria dignitosa, senza moneta davanti a un semaforo rosso: la zingara si avvicina e tu acceleri a vuoto, vorresti solo metterla sotto.
(L'argomento è talmente controverso che per le prima volta io e Cragno ci troviamo d'accordo).
...vi si trovavano vagabondi, soldati in congedo, forzati usciti dal bagno, galeotti evasi, birbe, furfanti, lazzaroni, tagliaborse, ciurmatori, bari, ruffiani tenitori di postriboli, facchini, letterati, sonatori ambulanti, straccivendoli, arrotini, stagnini, accattoni, in una parola, tutta la massa confusa, decomposta, fluttuante…Uno dei grandi misteri d’Italia è quello della scomparsa dei comunisti. Dopo aver affollato le piazze e le officine per quarant’anni e rotti, i comunisti italiani (senza lettere maiuscole) sono tutti scomparsi improvvisamente, nel giro di pochi mesi. Più o meno gli stessi mesi in cui comparivano agli incroci i lavavetri, ma probabilmente è una coincidenza.
Marx, Il 18 brumaio
Al loro posto, certo, sono rimasti i simulacri: due o tre Partiti nominalmente Comunisti, con falce e martello nel simbolo, e tutto un brulicare di magliette di Che Guevara che Togliatti difficilmente avrebbe autorizzato. Gente anche simpatica, per carità, ma… comunisti? Non scherziamo. I comunisti, quando esistevano, erano un partito dotato di una coscienza di classe. Prima ancora che comunisti, erano lavoratori. Proletari. Rivoluzionari? Sì, ma in prospettiva, con calma, senza sommosse o barricate che sono roba da cialtroni o avventurieri. Per farsi un’immagine bisogna pescare nell’inconscio collettivo pretelevisivo, per esempio nel Quarto Stato di Pelizza da Volpedo. La rivoluzione verrà e sarà una dignitosa passeggiata.

Sono cresciuto così, in ogni caso: quindi, mentre voi forse rimpiangete i pittoreschi rumeni ai semafori, io rimpiango i comunisti. Se esistessero ancora probabilmente mi terrei un po’ sulle mie, frequenterei l’osteria e la festa dell’Unità con un certo spocchioso distacco da intellettuale, ma è tutto vano, perché tanto non ci sono più.
Ogni giorno ne scompare qualcuno, sostituito da un ultracorpo radical-chic di nessun interesse. La scorsa settimana se n’è andato Asor Rosa: perché quello che ha scritto la letterina al Corriere contro il conformismo dominante non può mica essere lui. Asor Rosa non può essersi dimenticato del conformismo massiccio e tetragono che teneva insieme il Partito di Togliatti, di Longo e Berlinguer. Il problema è proprio che non ce n’è più abbastanza, di conformismo: che tutti vogliono tentare la loro strada, nel disperato tentativo di intercettare qualche sacca di voti qua e là. Come Rutelli, che difendendo i privilegi feudali delle immobiliari del Clero spera magari di conquistarsi qualche chierichetto. La Chiesa, del resto, è da duemila anni che si fa sovvenzionare con il ricatto della Carità: e funziona. Fa anche del bene, a volte, non dico di no. Però il comunismo è un’altra cosa, e confondere queste due cose non ci sta portando alcun bene.
Forse bisognerebbe ripartire da un’idea forte: se il neoliberismo è un tentativo di riorganizzare la società intorno alla legge della jungla, la criminalità non è una falla del progetto, ma ne è la massima incarnazione: il sopruso al potere. Come sta succedendo in quei Paesi, come la Russia o l’Estremo Oriente, in cui si fa veramente fatica a capire dove finisce la mafia e comincia lo Stato o il Partito. Ma allora combattere contro la criminalità equivale a combattere contro il neoliberismo. Un problema da materialisti seri, da affrontare con razionalità, e da non lasciare ai pagliacci come Gentilini, decisamente.
Quando invece si critica il sindaco di Firenze (o quello di Bologna, dove però il discorso è un po’ diverso) perché se la prende con “gli ultimi”, si fa un discorso terribilmente cattolico. Io sono anche cattolico e quindi lo capisco, ma purtroppo, in materia di microcriminalità, prendersela con gli ultimi funziona, eccome. Il racket è un’idra a teste intercambiabili: se te la prendi coi vertici, se fai una retata nel Quartier Generale, stai soltanto preparando la successione per il prossimo gruppo dirigente (e infatti dietro l’arresto di un ras c’è spesso lo zampino del ras successivo). L’unica strategia vincente è il soffocamento: togliere progressivamente alla criminalità lo spazio in cui si organizza e prospera. A me sembra abbastanza chiaro, ora va spiegato agli ultracorpi. Con tutti i noir che si sono letti quest’estate, per loro non dovrebbe essere difficile capirlo. Ma forse certe cose le capisci solo quando ci sei in mezzo tu, con la tua utilitaria dignitosa, senza moneta davanti a un semaforo rosso: la zingara si avvicina e tu acceleri a vuoto, vorresti solo metterla sotto.
(L'argomento è talmente controverso che per le prima volta io e Cragno ci troviamo d'accordo).
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