Tre geni (pure troppi)

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Stasera volevo scrivere un pezzo sull'astuzia di Berlusconi, che appena quattro mesi fa sembrava all'angolo, un pregiudicato ormai fuori dal senato e succube dei falchi del suo partito; e oggi è lo statista che con Renzi ha scritto la legge elettorale, e si trova nella vantaggiosissima situazione di sostenere il governo senza averne l'aria. Ufficialmente è all'opposizione - e non mancherà di farlo presente ai suoi elettori alla prima misura minimamente impopolare; in realtà ha addirittura un ministro nella squadra di governo (Federica Guidi allo sviluppo economico). E la sua influenza rimane forte anche sul Nuovo Centrodestra, un partitino che sa di non avere un futuro oltre la legislatura, se non torna all'ovile del vecchio centrodestra di Arcore. Dividere il partito in due e appoggiare Renzi contro Letta sono state due mosse spregiudicate ed efficaci, che ci hanno restituito il Berlusconi dei tempi migliori; volevo scrivere un pezzo così, ma mi ha preso la tristezza.

Allora ho pensato di scrivere un pezzo sulla furbizia di Matteo Renzi, che prima si è imposto all'attenzione mostrandoci una nuova legge elettorale che sembrava già pronta (e ideale per farlo vincere); poi appena i sondaggi hanno iniziato a dare segnali non buoni, ha cambiato completamente tattica accettando improvvisamente l'offerta berlusconiana di un patto di legislatura. A questo punto la legge elettorale però smetteva di essere una priorità, anzi: tirarla per le lunghe è il sistema più sicuro per assicurarsi che Berlusconi non gli stacchi la spina, visto che probabilmente può. E però ormai la legge elettorale l'aveva promessa, ce l'aveva mostrata, e allora che ti fa? (Continua sull'Unità, H1t#221La taglia in due: la parte sulle Camere si vota subito, la parte sul Senato… con calma, magari nel frattempo si prova ad abolirlo, il Senato. A questo punto la legislatura è davvero blindata: per quanto possano andare bene o male i sondaggi, finché c’è un Senato e la legge elettorale vigente, il PD rimane l’ago della bilancia. Qualsiasi maggioranza uscisse al Senato, avrebbe bisogno del Pd (a meno che Grillo non si mettesse d’accordo con Berlusconi, ma è abbastanza inverosimile). Dividere la legge elettorale in due è una mossa bizantina ma astuta; e mentre la ammiravo, mi ha preso di nuovo la tristezza.

Mal che vada, mi son detto, posso scrivere del genio di Beppe Grillo, che invece di perdere tempo a organizzare un movimento di base, ha lasciato che la base si organizzasse da sé e ha perso una mezza giornata a brevettare il marchio. Adesso può epurare e licenziare chi vuole: la democrazia diretta è tanto bella ma comunque il marchio è suo. E siccome il suo obiettivo è monopolizzare l’opposizione, speculando un po’ sul malcontento popolare, non ha nessuna necessità di tenersi cari i suoi uomini migliori; è l’esatto contrario, può licenziarli tutti e tenersi gli invasati – finché non gli ruberanno la scena, poi licenzierà anche quelli. Nuove leve di signor-nessuno disposti a sobbarcarsi l’incarico parlamentare non gli mancheranno mai; la paga va in gran parte restituita ma il lavoro alla fine non è difficile: si tratta di inveire alla maggioranza mentre la maggioranza fa quel che deve e vuole fare. È il caso di notare che mentre Renzi e Berlusconi a ogni mossa si giocano il destino politico, Grillo può davvero fare quel che gli pare: guadagnare o perdere anche dieci punti in percentuale non gli cambierebbe la vita.
Alla fine ho scritto un pezzo in cui elogio i tre geni della politica italiana, e a questo punto mi coglie il dubbio: se sono tutti e tre tanto astuti; se tutti e tre stanno traendo vantaggio dalla situazione, chi è che invece ci sta rimettendo? Chi è il pollo che siede al loro tavolo? È un pensiero inquietante, ed è ora di coricarsi. Magari evitando di passare davanti a uno specchio. http://leonardo.blogspot.com
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