Quando i terroristi erano bianchi

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E le cabine erano rosse.
Doppio Gioco (Shadow Dancer, James Marsh, 2012)

Quant'è difficile essere mamme in carriera, Colette lo sa. Se poi la carriera è quella di terrorista nell'IRA, in una cellula che è una piccola impresa di famiglia, prima o poi un guaio ti capita. Non puoi neanche dire a tuo figlio ciao, torno a fine settimana perché devo piazzare una bomba nella metro di Londra. E poi ti distrai, ti dimentichi di attivare il timer, ti fai prendere dai tizi dell'antiterrorismo che ti propongono di fare il doppio gioco, e a quel punto il casino si triplica: mamma, terrorista IRA e doppiogiochista di Sua Maestà, mai un momento per te. Che vita di merda, alzarsi al mattino, preparare la colazione, calzare il passamontagna, tradire i fratelli senza farsi ammazzare... C'è un modo per uscirne? Certo che c'è, Colette. Magari però ci ha già pensato qualcun altro prima. Doppio gioco è un film lento, di una lentezza inespressiva: non è che mostrando tutti i corridoi che deve attraversare l'agente Clive Owen ti si aumenti in qualche modo la suspense... (continua su +eventi!)


Il film è ambientato nel ’93, quindi lei fa in tempo a dimettersi dall’antiterrorismo e ottenere un incarico speciale all’FBI e la continuity è salva.
Il fatto è che Doppio Gioco è quel classico film lento per il puro gusto di esserlo: così lento che mentre lo guardi vorresti fare l’esperimento di prenderne una copia e tagliare un fotogramma su due. Si salverebbero quasi tutti i dialoghi e gli snodi dell’intreccio, andrebbero persi un sacco di silenzi, scale e corridoi. E avremmo un film tv da 45 minuti, perfetto per una prima serata con tre break pubblicitari. Poi magari bisognerebbe stare attenti davvero a tutto quel che succede sullo schermo. Invece Doppio gioco è così lento che finisce in una nuova categoria, film che puoi guardare mentre scarichi la posta e controlli gli aggiornamenti sui social. Tanto nella saletta piccola del Cinelandia di Borgo, alle dieci e mezza, chi vuoi che si lamenti. Ti siedi in fondo e puoi persino farti una partita a ruzzle mentre Colette riflette se tradire o no i fratelli terroristi. Magari ti perdi un paio di scambi di sguardi intensi, pazienza, tanto se non sei un deficiente totale hai già capito chi è il secondo infiltrato mezz’ora prima di Clive Owen –  che di conseguenza non è che faccia fare all’antiterrorismo britannico una gran figura. Ma la debolezza sta nella storia. Il solito problema: nel romanzo di Tom Bradby c’era ciccia per cinquanta minuti, ma per andare in sala ce ne volevano ottanta. James Marsh è un bravo regista – ha stra-meritato l’Oscar per il suo documentario Man on Wire, sul folle acrobata che camminò su un filo sospeso tra le Twin Towers – ma non ha i mezzi per mantenere l’attenzione più di quanto la storia non meriti.
Andrea. Dove l’avete già vista quest’anno? Su che pianeta?
Bisognava mettere altra carne al fuoco, magari approfittarne per raccontare ai non-britannici e non-irlandesi che cos’è davvero l’IRA e cosa stava succedendo nell’Ulster degli anni Novanta, durante un processo di pacificazione che ovviamente stava innervosendo i duri e puri. Invece Doppio Gioco è un film brittocentrico, che dà tutto per scontato, a rischio di sbattere contro una cortina continentale di indifferenza. Un peccato: avremmo bisogno di più film così, ambientati in un tempo neanche tanto lontano, in cui i terroristi erano bianchi. Non olivastri, non islamici, anzi biondini e devoti al crocifisso.

 Doppio gioco stasera è ancora al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo, alle 20:10 e alle 22:35. Se vi interessa è il caso di affrettarsi
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