L'Occidente e le sue storie
13-03-2025, 20:11governo Meloni, Il Manifesto, Manifesto, scuola, StoriaPermalinkLa pietra dello scandalo arriva piuttosto tardi, addirittura a pagina 69 di un documento (la bozza delle «Nuove Indicazioni 2025» per la scuola) che fino a quel momento non sembrava dirompente come certe dichiarazioni avevano fatto intendere.
Finché non si arriva alla voce «Storia», pagina 69, e a un’affermazione perentoria: «Solo l’Occidente conosce la Storia». Segue una citazione di Marc Bloch, che però una tale perentorietà non se l’è permessa: al limite ha riconosciuto che a differenza del cristianesimo «altri sistemi religiosi hanno potuto fondare le loro credenze e riti su una mitologia quasi estranea al tempo umano» (Apologia della storia).
Che questo abbia impedito alle civiltà non occidentali di sviluppare una storiografia e un senso della storia, è un salto logico che Bloch non si permetteva: tanto più fa strano trovarlo messo per iscritto ottanta anni dopo la sua scomparsa. In mezzo c’è stata la decolonizzazione e ci sono stati i postcolonial studies, insomma i momenti per mettere in dubbio il nostro eurocentrismo non sono mancati. La maggioranza della comunità degli studiosi ne ha approfittato: purtroppo non chi ha redatto le Indicazioni Nazionali, che da pagina 69 cominciano a tradire un’impostazione reazionaria. Che è quello che ci si poteva aspettare dal governo più a destra espresso dal parlamento dal 1945 in poi (e certe affermazioni apodittiche potrebbero davvero essere state scritte in quegli anni: «La storia è divenuta… l’arena per eccellenza dove post factum si affrontano il bene e il male variamente intesi. Dove rimane memoria delle imprese degli individui e dei popoli, e si compie in qualche modo il loro destino finale»).
È comunque indicativo che queste affermazioni non provengano da un burocrate di partito, ma riecheggino le posizioni di un illustre membro della commissione di area liberale, Ernesto Galli della Loggia, espresse nei suoi libri: L’aula vuota (2019); Insegnare l’Italia (con Loredana Perla, 2023). Come studioso e cittadino, mi confesso un po’ perplesso davanti a pagine che tradiscono una concezione della Storia così hegelianamente centrata sui noi stessi; pagine che tra l’altro escono con un pessimo tempismo, proprio in quel marzo 2025 in cui questo Occidente compatto, unico portatore di una Storia «come specchio dei progressi dello spirito umano» sembra essersi fratturato. Già molti fieri araldi dell’Occidente stanno sostituendo la parola con «Europa», nei discorsi e nei cortei. Magari in futuro scopriremo di avere più cose in comune con Asia e Africa che con l’America, chi può dirlo – del resto se la Storia ha uno «strettissimo rapporto con la politica», non è così strano che si modifichi ogni volta che si modifica quest’ultima.
Come insegnante, mi consolo pensando che all’atto pratico non è che le cose cambino molto; l’unica novità è questa idea balzana di stirare la Storia di prima media da Carlo Magno alla rivoluzione industriale (Lutero e Galileo diventeranno mere comparse). Quanto alla Storia africana e asiatica, sui manuali ne abbiamo sempre trovata pochissima. Coi nostri studenti di origine extraeuropea ci scusavamo dicendo che era una lacuna di tutto il nostro sistema: ecco, le Indicazioni ci propongono di non chiedere più scusa. Pazienza se metà delle nostre classi proviene da famiglie che si riconoscono in altre storie. Spiegheremo loro che non sono storie interessanti. Dopodiché cresceranno, e un giorno in cattedra ci saranno loro. Probabilmente per allora questa pagina 69 sarà solo un remoto ricordo, di quando ancora qualche prof bianco si ostinava a voler spiegare soltanto la Storia dei bianchi.