"Io so' un vigliacco"
01-12-2010, 22:38cinema, coccodrilli, fb2020, scuolaPermalinkQuando ho letto della morte di Monicelli nel mio cervello è subito partito un motore di ricerca, molto più lento e meno efficace di google, con le parole di ricerca “film di Monicelli + morte”. E ho scoperto una cosa che mi era davanti sin da piccolo, perché i film di Monicelli sono sempre stati parte del mio paesaggio, e come il paesaggio, ci ho vissuto davanti senza mai fermarmi a rifletterci sopra troppo: ogni tanto, se qualcuno me lo chiedeva, alzavo la testa e confermavo: era bello. Ma non avevo mai veramente fatto caso a quanta morte ci fosse.
Beninteso, se penso a “morte + cinema italiano” non è che mi vengano in mente solo film di Monicelli. Posso pensare alla corsa di Anna Magnani, o all'ultimo sorpasso del Sorpasso, o alla fine del merlo in Uccellacci e Uccellini, e Monicelli non c'entra nulla. Ma penserò più volentieri al finale struggente di Amici Miei, con Philip Noiret che fa la supercazzola al confessore, e la vedova che non vuole controllare per paura che non sia morto davvero; all'assassinio brutale e lentissimo del Borghese piccolo piccolo. Penserò alle morti buffe e orrende che lardellano il Brancaleone dall'inizio alla fine. Forse quello che hanno in comune i morti dei film di Monicelli è la loro normalità: la morte è una cosa che accade, piuttosto spesso, e la vita (la vita dei borghesi piccoli, dei nobili zingari, dei fanti alla Grande Guerra) continua. Ho la sensazione che nei film di oggi (Moretti, Muccino, Ozpetek) non succeda così: c'è molta più tragedia, più prefiche esasperate; sempre almeno una scena in cui si piange e basta, come se piangere fosse di per sé interessante. Se muore un parente vostro, magari, ma un personaggio di celluloide... ma poi in generale vale la pena di parlarne così a lungo, di questa cosa che si muore; vale la pena di scriverci pezzi su internet? Se lo sarebbe immaginato, Monicelli, di ispirare un dibattito parlamentare? Ma neanche in un soggetto di Age e Scarpelli.
La vita continua, con chi rimane. Dov'eravamo rimasti? Si parlava di film scolastici, ecco, per esempio, Monicelli è un regista scolastico? Avrei tanta voglia di rispondere sì, assolutamente sì. Per la chiarezza espositiva, per l'attenzione al dettaglio quotidiano, per l'equilibrio di dramma e risate; e per le sceneggiature di Age e Scarpelli, che hanno un non so che di didattico che titilla l'intelligenza di ciascuno di noi, senza però mai offendere l'ignoranza (di ciascuno di noi). Vorrei poter dire, sì, Monicelli è un patrimonio culturale e scolastico; istituiamo ordunque l'ora di Monicelli in tutte le scuole della Repubblica. Purtroppo all'atto pratico non è vero, Monicelli è un autore difficile. Io so di classi rimaste indifferenti persino davanti all'Armata Brancaleone. Non avviene così, che so, con Chaplin. Egli mi sembra eterno: quando cade fa ridere, penso che continuerà a far ridere nei secoli nei secoli. Per contro, Brancaleone va spiegato: vedete, fa ridere per questo e quest'altro motivo. E francamente non so se ne valga la pena.
Non ho dati statistici da offrire, ma ritengo che il film di Monicelli più proiettato nelle scuole sia la Grande Guerra. Ma è un film adatto? È il miglior film sulla grande guerra che si possa mostrare a dei tredicenni? Ho paura di no. Per diversi motivi, tutti antipatici. Intanto è in bianco e nero. E man mano che sfiorisce l'ultima generazione che lo ha associato all'infanzia e alle foto dei nonni, il b/n diventa sempre più incomprensibile. Lo usino gli artisti per fare film artistici: ma a scuola se porti un film è per offrire a uno studente un fondale realistico a una serie di nozioni che altrimenti risultano troppo astratte (cos'è una trincea, cos'è una bomba a mano): e tanto vale offrirglielo più realistico che puoi. I ragazzi non lo capiscono, il b/n, non hanno mai fatto un sogno in b/n: per loro non vuol dire “vecchie fotografie dei nonni”: vuol dire noia, e lezioni noiose ne fanno già tante.
Poi c'è il problema del sonoro. È dura ammettere che uno dei cardini della commedia all'italiana, l'uso espressivo e comico delle parlate regionali, a scuola non funziona. Per ridere bisogna conoscerli già, i dialetti, e saperli maneggiare: e invece qui, se danno del mona a Jacovacci tu devi spiegare cos'è un mona. Certe battute che possono sembrarti immediate, avrebbero bisogno dei sottotitoli. Triste, ma è così.
È un film lungo, che comunque dà per scontate molte cose: se non hai studiacchiato un po', non sai da dove viene l'anarchismo di Busacca (“non l'avete letto il Bakunin?”), né le tirate retoriche, così poco convinte e convincenti, di Jacovacci. È un film di maschi, con una Mangano meravigliosa, il cui personaggio tuttavia non corrisponde più agli standard attuali del femminismo – per farla breve, la scena in cui si trova alla finestra l'intero reggimento ha delle implicazioni ributtanti (nb: uno dei test empirici di comprensione – e maturazione – è verificare se gli studenti hanno capito che mestiere fa la Costantina).
Insomma, La Grande Guerra non è il miglior film sulla prima guerra mondiale da proiettare nelle scuole. Molto meglio la versione a colori di Niente di nuovo sul fronte occidentale: niente di nuovo neanche per gli adulti che lo guardano, ma appunto, si vedono persone saltare in aria sul filo spinato a colori. C'è un ragazzino che cresce e accumula esperienze, per cui può scattare un'identificazione che Busacca e Jacovacci respingono. E tanti dettagli che affascinano i maschietti: per esempio a un certo punto dà la spiegazione pratica del perché i tedeschi rinunciarono a quell'elmo chiodato tanto caratteristico (i francesi vedevano il chiodo spuntare dalla buca e mitragliavano). Ma c'è persino di meglio.
Un film francese di pochi anni fa, si chiama Joyeux Noel. È la storia di quel Natale in cui francesi e tedeschi uscirono fuori dalle trincee e solidarizzarono (e poi furono puniti, per questo, dai rispettivi eserciti). Dire che è bello, non lo posso dire: non me lo ricordo affatto, il che coi bei film non succede. Ma un anno feci una vera e propria rassegna, un film a settimana, proiettai di tutto, Magni, Rossellini, Schindler's List... alla fine chiesi qual era il film che si ricordavano meglio e loro risposero: Joyeux Noel, che avevo preso sotto Natale perché non mi veniva in mente nient'altro. Può darsi che un brutto film recente funzioni molto meglio di un capolavoro in bianco e nero: sono cose che devi accettare: sei un insegnante, non un direttore artistico di una cineteca. Quindi, insomma, ci sono film molto più adatti di quelli di Monicelli.
Ma io continuo a mostrare il film di Monicelli. Perché sì, è lungo, ma è proprio la lunghezza che ti fa sentire la stanchezza della guerra. Perché è complicato, ma alla fine ci sono gli austriaci che arrivano davanti a un cartello VENEZIA KM. 40, lo cancellano e scrivono VENEDIG, e davvero non saprei trovare un'immagine migliore per spiegare alla svelta cosa è stata Caporetto. Perché magari lo studente non riesce a identificarsi con nessun personaggio, ma l'insegnante non può non sentirsi Bollo Tondo, e provare riconoscenza per quegli sceneggiatori che sono riusciti a trovare una fine eroica anche per Bollo Tondo. Perché è il più eroico dei film antieroici, e siccome non sai mai se ai ragazzi glielo devi offrire o no, l'eroismo, quello agrodolce di Monicelli alla fine ti sembra l'unica opzione praticabile.
Si parlava di morti al cinema. Per me la più sublime resta sempre quella di Jacovacci. Busacca, si è capito, è un umorale: se lo offendi ti prende di petto, e di petto si prende anche le pallottole. Ma Jacovacci ha una paura fottuta, e la mostra: la tira fuori tutta, nella speranza magari di impietosire chi ha davanti. E muore da eroe fingendo di essere il vigliacco che in realtà è. È un paradosso geniale, e io che non sopporto pianti e prefiche, ho questa strana devianza: mi commuovono i paradossi. Non riesco a pensare a niente di più sublime che morire da eroe gridando “Io so' un vigliacco”. Fucilata e via, la vita continua, domani arriveranno i nostri e non ci faranno certo un monumento. Quando ho letto che Monicelli si era tolto la vita, non ho potuto non pensarci: che fine eroica, che fine vigliacca. Immaginavo che qualcuno lo avrebbe giudicato un pavido. Esistono queste persone, con molto tempo libero e una gran desiderio di giudicare il prossimo. Qualcun altro invece ci ha visto del coraggio: e anch'io devo ammettere che per lasciarsi cadere così coraggio ce ne vuole. Sono due verità in un gesto solo, ognuno scelga quella che preferisce, come in un film. Io preferisco tenermi il paradosso. Ma in realtà sono solo uno dei fantaccini che arriva di corsa il giorno dopo, con tanto lavoro ancora da fare, e mi volto appena a guardare i caduti, senza fermarmi a piangere che non c'è tempo, non c'è spazio, non c'è bisogno.
Comments (9)