ἔνθα δ' ἀνὴρ ἐνίαυε πελώριος, ὅς ῥα τὰ μῆλα

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La terra dei ciclopi

Adesso forse possiamo dircelo senza scandalo: non sarebbe un Paese migliore, l'Italia, se portasse agli stranieri in attesa di giudizio lo stesso rispetto che offre ai cani rognosi che uccidono donne e bambini?

Ora, è normale che un uomo che stupra e uccide sia più odioso ai suoi simili di un animale selvaggio. Ma com'è che il signore che applaude il linciaggio del primo rumeno intravisto nel luogo di uno stupro è spesso lo stesso pronto a ribadire che l'animale assassino non va abbattuto ma capito, che è vittima di una politica dissennata che provoca il randagismo, e che quindi la colpa alla lunga tocca sempre all'uomo? Il che non è nemmeno sbagliato, in una prospettiva razionale; ma com'è che siete razionali solo quando vi toccano gli animali?

Perché bisogna sempre fare uno sforzo di capire l'animale, anche quando è rabbioso e ringhia? Perché uno sforzo simile non se lo meriterebbe anche lo straniero povero e non integrato? Forse che anche lui non è un po' vittima di un sistema che non funziona, di circostanze sfavorevoli? No, lui no, lui è una bestia feroce. Va interrogato finché non lo ammette.

Ricordiamoci che nessuna delle due emergenze (randagismo e stupri) è un'emergenza vera: gli stupri non sono in aumento, e i cani italiani mordono meno di quelli svizzeri. Sono entrambe fenomeni mediatici, che procedono da fatti orribili e poi, telegiornale dopo telegiornale, diventano qualcosa di più: messaggi in codice, facilmente decifrabili, che ci annunciano che nessuno è al sicuro. Va bene. Ma poi dovreste spiegarci perché l'emergenza rumeni funziona meglio di quella dei cani. Perché nel secondo caso ci sarà sempre un esperto che fa da contraltare, e che ci spiega che in fondo in fondo il cane non è cattivo e non va abbattuto indiscriminatamente; mentre quando è l'ora di linciare il rumeno un esperto del genere non c'è, non si trova, e anche se si trovasse probabilmente non riusciremmo ad ascoltarlo, ci farebbe troppa rabbia.
Invece l'avvocato dei cani riesce sempre a toccare qualche corda giusta, anche nel cuore di chi ai cani è allergico, come me. Se chiudo gli occhi me lo immagino in camicia di fustagno e cappello di paglia, mentre sentenzia: più conosco gli omini, più voglio bene alle bestie. Questa non è la solita lagna animalista o politically correct, la gente così divora tegami di mezze maniche al sugo di cinghiale. È la saggezza contadina, forse, o forse qualcosa di più antico, di quando eravamo poco più di bestie anche noi: pastori.

Viene in mente Omero, che della nostra terra aveva vaghe nozioni, e dei suoi abitanti forti pregiudizi: mostri deformi e pelosi, in grado di badare agli animali e poco più, incapaci della più elementare forma di civiltà: il rispetto per gli ospiti. Quando l'uomo greco, civile e curioso, arriva sulle nostre spiagge e s'infila nella nostra grotta per scambiare un dono, noi lo facciamo a pezzi e lo mangiamo crudo. Le uniche creature che trattiamo con pietà, persino con tenerezza, sono le nostre greggi, e perfino l'astuto Ulisse deve ricoprirsi di un montone per rimediare da noi una carezza. Forse davvero i ciclopi siamo noi.
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