Sartori e i suoi negri

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A quanto pare Giovanni Sartori si è molto arrabbiato col Corriere che ha pubblicato un suo editoriale, piuttosto critico sul ministro Kyenge, a destra e non a sinistra in prima pagina. Pare che la cosa faccia una certa differenza, presso il popolo dei lettori del Corriere di carta. Sartori perlomeno ci tiene ancora molto: dice che non gli hanno fatto uno sgarbo simile in cinquant'anni. Per quanto questa arrabbiatura possa sembrare assurda, io credo che un osservatore spassionato dovrebbe sforzarsi di capire le persone che provengono da una cultura diversa, anche in via d'estinzione, come quella dei lettori del Corriere di carta. Senza questo tipo di comprensione non v'è tolleranza, e senza tolleranza si sa dove andiamo tutti a finire, per cui desidero esprimere la solidarietà a Giovanni Sartori e invitare la maestranze del Corriere di carta a non pubblicargli più gli articoli nei posti sbagliati. O al limite a non pubblicarglieli proprio, specie quando sono inferiori al suo non mediocre standard.

In effetti, era così difficile rimandare il pezzo al mittente, magari con un invito cortese a licenziare il ghostwriter, o, come lo si chiamava ai suoi tempi, il "negro"? Quell'articolo è una cosa avvilente, che offende per primo l'autore che lo firma, e che andrebbe protetto da un abuso così sconsiderato del proprio cognome. Sartori ce l'ha col ministro Kyenge, va bene; la definisce "nera" tra incomprensibili virgolette, manco fosse una brutta parola o una misteriosa citazione; a parte questo, l'estensore dell'articolo chiaramente non sa molto di Cécile Kyenge; se ha letto la sua biografia si è fermato ai titoli di studio.

"Nata in Congo, si è laureata in Italia in medicina e si è specializzata in oculistica. Cosa ne sa di «integrazione», di ius soli e correlativamente di ius sanguinis? Dubito molto che abbia letto il mio libro Pluralismo, Multiculturalismo e Estranei"

Il libro in questione, aggiungo io, è di tredici anni fa e su internette lo trovate a meno di otto euro, affrettatevi. Siamo evidentemente ai limiti dell'autoparodia... (continua sull'Unità, h1t#183)

Siamo evidentemente ai limiti dell’autoparodia e Sartori non se la merita: non ha bisogno di farsi le marchette da solo ed è troppo esperto di mondo per non sapere che i titoli di studio non riassumono le esperienze di vita. Una rapidissima occhiata a wikipedia avrebbe aiutato a farsi un’idea più solida su chi sia la Kyenge e su cosa abbia fatto negli ultimi dieci anni nel campo dell’integrazione: da attivista politica, non da ‘tecnica’, una differenza che Sartori o i suoi uomini di fatica sembrano non saper cogliere – così come non sembrano aver chiaro in cosa consistano le proposte della Kyenge, che non ha mai parlato di ius soli puro. Lo ha ribadito più volte: non è favore di uno ius soli puro. Chissà, forse scrivendolo molto in grosso, per chi comincia ad avere problemi di vista e non va per questo escluso dal dibattito (ci vuole tolleranza):

Cécile Kyenge non vuole applicare lo ius soli puro.


è più chiaro adesso?


Tutto il pezzo del resto sembra scritto, più che da un ghostwriter, da un nemico del professor Sartori deciso a fargli recitare la parte del vecchietto bilioso e fuori del mondo, intento a distruggere improbabili feticci (“il terzomondialismo imperante”?) con vertici di comicità che è difficile immaginare involontaria. Sul serio il prof. Sartori può abbassarsi a scrivere “se lo Stato le dà i soldi si compri un dizionarietto”? Sul serio l’autore del fondamentale saggio Pluralismo, Multiculturalismo e Estranei – € 6,27 (Prezzo di copertina € 13,94 Risparmio € 7,67) può condensare tutte le sue assorte riflessioni sull’argomento nella massima popolare “mogli e buoi dei Paesi tuoi”? Caro autore dell’articolo di Sartori, sul serio: mogli e buoi? Scrivi che l’Italia non è un Paese meticcio; se ne può discutere, ma da quand’è che non entri in una scuola, una fabbrichetta, un bar? Magari per guardare una partita della nazionale? “Quanti sono gli immigrati che battono le strade e che le rendono pericolose?” Più o meno quanti sarebbero gli italiani che le batterebbero al loro posto, visto che la microcriminalità non è particolarmente aumentata. Ostenti disprezzo per “i negozietti da quattro soldi”: è evidente che non hai mai avuto bisogno di fare una spesa rapida sotto casa in certi quartieri; però la libera impresa consiste anche in questo, in migliaia di negozi da quattro soldi con i quali migliaia di famiglie mantengono i figli, provano a far girare l’economia, eccetera. L’Italia non è un Paese sottopopolato, scrivi: magari un occhio alla piramide demografica?
E poi c’è l’India. Non è neanche la prima volta. Evidentemente c’è un collaboratore del prof. Sartori che ha particolarmente a cuore l’India, e cerca di infilarla un po’ in ogni discussione. Con esiti che non sono all’altezza del lato sinistro del Corriere, ma siamo sinceri: anche sul lato destro lasciano perplessi. Sono passati tre anni da quel memorabile fondo che definiva gli indiani «indigeni» come “buddisti e quindi paciosi, pacifici”; in seguito lo studente deve essersi preso una tirata d’orecchi e si è impegnato: ma i risultati sono ancora molto al di sotto della sufficienza. Si continua a considerare il Pakistan una “creazione” britannica: un’idea un po’ eurocentrica, ai limiti della nostalgia coloniale. Alla “signora ministra” viene impartita una mini-lezione sul sultanato di Delhi e sull’impero Moghul: “All’ingrosso, circa un millennio di importante presenza e di dominio islamico”. Prendiamola come un’ammissione: tre anni fa avevamo letto su un fondo firmato da Sartori che in India “le armate di Allah si affacciarono agli inizi del 1500″. Ok, non è mai tardi per correggersi, ma il senso adesso qual è? Siccome un millennio di dominazione islamica in una società rurale e castale non ha (non sorprendentemente) portato all’integrazione, ne deduciamo che l’integrazione è impossibile in Italia ora? Tanto vale rinunciare alla democrazia, visto che nel medioevo non siamo riusciti ad averne una. Qui non è solo una questione di nozioni; nessuna persona con una media cultura in Italia potrebbe scrivere una sciocchezza del genere. Viene il sospetto che Sartori stia delocalizzando i suoi collaboratori un po’ troppo. http://leonardo.blogspot.com
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