One people one vote

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E poi un bel giorno, all'improvviso, Veltroni batte un colpo.

Non è chiaro perché proprio adesso. È comunque tardi, ma sarebbe stato tardi anche tre anni fa. Il voto agli immigrati. Ha ragione anche Di Pietro a dire che per ora è un annuncio a vuoto. Uno slogan. Ma almeno è uno slogan. È chiaro. E riporta alla luce una verità sacrosanta. Se sono regolari, lavorano. E se lavorano, perché non possono votare?

La senti, la forza della verità che mette all’angolo gli avversari? Non c’è una sola risposta che essi possano dare a una domanda del genere. Non una che non riveli grettezza, egoismo, paura. Qui non c’è destra o sinistra, ci sono semplicemente due modi diversi di considerarsi italiani. Chi sono gli italiani? Quelli che hanno ereditato un cognome dal papà, e col cognome i diritti, i privilegi, i posti fissi e al limite i treni gratis per la partita? Oppure italiano potrebbe essere chiunque viva qui, chiunque tra Ventimiglia e Trieste si dia in qualche modo da fare per tenere in piedi questa penisola traballante. Che è più o meno quello che c’è scritto nella carta costituzionale, art. 1. Ma quella è carta, si può usare in tanti modi, ormai lo abbiamo capito. Si tratta di scegliere: che italiani vogliamo essere? Bianchi, vecchi, micragnosi attaccati ai nostri minuscoli privilegi, o un po’ più scuri e un po’ più giovani, e un po’ più aperti a un mondo che comunque ha fretta e non chiede il permesso? Ci ha messo un bel po’, Veltroni, ma ha scelto. È la prima buona notizia.

Per molti anni la Sinistra è stata accusata di favorire l'immigrazione perché voleva sostituire la classe immigrata alla vecchia classe operaia. Magari una vera sinistra avrebbe operato così, ma certo non la nostra, timida e arroccata nella difesa di privilegi di corporazione. La battaglia per il voto agli immigrati è sempre stata relegata a questione secondaria, così secondaria che a un certo punto se ne impossessò persino l'inutile Gianfranco Fini. In mala fede si dipingeva come un complotto terzomondista quello che era il primo effetto della tanto osannata (a quei tempi) globalizzazione: è stato il libero mercato del lavoro a cambiare il colore della pelle agli operai e ai braccianti, così come è stato il mito borghese dell’ascesa sociale a portare i figli bianchi degli operai sui banchi dell’università. È andata così e non c’è nulla da recriminare. Ora si tratta di ricordare che non ci sarà vera democrazia, in Italia, finché i nuovi braccianti e i nuovi operai non avranno gli stessi diritti degli altri. Questa è la vera campagna sui diritti civili.

E quando avranno il voto, magari voteranno Lega. E allora? Io me lo sogno, il giorno in cui la Lega comincerà a fare i conti con una base di elettori dalla pelle scura o dal cognome strano. Sarà il giorno in cui smetterà di essere un partito di cialtroni, in mano di pagliacci trucidi alla Borghezio. Il giorno in cui in Parlamento nessuno oserà più parlare di “reato di immigrazione clandestina” o di “reato di associazione in famiglia Rom”. Quel giorno potrei farmi leghista anch’io – perché no? Il partito che oggi candida Obama, era il partito dei segregazionisti del Sud, neanche un secolo fa. Tempo al tempo.
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