= 5 bicchieri pieni

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(Questo pezzo puzza un po'; in effetti doveva uscire lunedì. Mi scuso del disguido).

Elezioni: dieci motivi per essere contenti

È stata una settimana difficile. Migliaia di persone hanno riversato su blog e social network la rabbia e la rassegnazione per una sconfitta elettorale che stavolta non sembrava così scontata, e invece... Internet è anche questo: uno spazio dove sfogarsi. Ma prima o poi bisogna tirarsi su. Per questo motivo, invece delle solite teorie, vi offro qui sotto qualche motivo di essere contenti di come sono andate le elezioni. Avete letto bene: motivi per gioire, festeggiare, sperare. Quando ho cominciato a cercarle pensavo che ne avrei trovate soltanto due o tre... beh, ecco qui dieci bicchieri mezzi pieni per sbollire la rabbia. Insomma, poteva andare peggio.

1. Berlusconi crede di aver vinto: lasciamoglielo credere. In queste elezioni non rischiava molto: anche perdendo non avrebbe ceduto un grammo del suo potere; e gli sarebbero rimasti tre anni per prendere le misure e contrattaccare. Un Berlusconi ansioso, affamato di rivincita a tutti i costi, è l'avversario peggiore che ci si possa augurare. Non ci avrebbe risparmiato nessun colpo basso. Molto meglio un Berlusconi relativamente sereno, rilassato, sicuro di controllare ancora il gioco. Colpi bassi ne tirerà comunque: proibirà le intercettazioni, tratterà la Rai come un suo feudo, proverà a riscrivere la Costituzione. Ma se si illude per altri tre anni di avere il polso dell'italiano medio, forse è la volta che riesce a fregarsi con le sue mani.

2. Berlusconi non ha vinto. Il suo partito è in discesa libera ovunque, e questo provocherà degli scompensi nella maggioranza. Da padre-padrone del centrodestra, Berlusconi rischia di trasformarsi nell'ago di una bilancia precaria che deve reggere i leghisti al nord e i baroni del Pdl meridionale. Certo, un modo per continuare ad occupare le scena c'è: se lancia una grande riforma presidenziale, Fini e Bossi saranno costretti a portarlo ancora una volta sugli scudi. Ma poi si dovrebbe passare per il referendum, e la vittoria non è affatto scontata: l'astensione è sempre più alta, e anche tra quelli che sono andati alle urne, soltanto uno su quattro ha votato veramente per lui. A furia di trasformare ogni consultazione in un plebiscito su sé stesso, Berlusconi rischia di andare a sbattere contro un referendum vero.

3. La Lega dilaga in tutto il nord, penetra in Emilia, detta legge. Benissimo. Sarà sempre più difficile, per i leghisti, perpetuare la finzione del partito di lotta e di governo. Prima o poi i nodi vengono al pettine: il federalismo fiscale si farà o è solo uno slogan ripetuto all'infinito? Le città del nord sono diventate più sicure dopo l'istituzione del reato di clandestinità? Nove bambini stranieri per classe possono bastare, o i ghetti scolastici rimangono ghetti? Gli elettori della Lega erano stanchi dei vecchi partiti romani che promettevano e non mantenevano: ora a Roma il partito più vecchio è la Lega. In questi due anni ha riaperto le discariche del nord per i rifiuti di Napoli, e il portafogli per i debiti di Catania e Roma. La gente si fida ancora: si fiderà in eterno? Abbiamo tre anni di tempo per convincere i nostri vicini di casa leghisti che Bossi e compagnia sono una cricca di arruffapopoli ciarlieri e inconsistenti. Non sembra un'impresa così impossibile.

4. Il PD ha perso. Dispiace, ma davvero, forse è meglio così. Un risultato positivo avrebbe congelato l'apparato che resiste all'ombra di Bersani, suggerendo l'illusione che le cose stessero andando bene: ma non stanno andando bene, ed è bene che tutti al PD se ne rendano conto. Meglio una sconfitta di misura, che una vittoria di Pirro come nel 2005. Quella volta l'incredibile punteggio finale (12 regioni a 2 per il centrosinistra!) fece pensare a tutti che l'impero di Berlusconi stesse crollando sotto i colpi di una coalizione di dieci partiti. Questa sconfitta è più onesta: ci mostra dove sono i problemi e ci lascia tre anni per intervenire. Bersani ha trenta mesi per mostrare che il suo partito non vuole cambiar pagina solo a parole. Siccome altri test elettorali per lui non ci saranno, e questo è stato deludente, forse è il caso di pensare a un altro turno di primarie nel giro di due anni. Se avrà fatto un buon lavoro sarà riconfermato.

5. L'astensione è al massimo storico – sì, anche questo fa ben sperare. Significa che là fuori c'è tantissima gente che non crede né a Berlusconi né alla Lega. È quello il fronte da sfondare (non quell'ipotetico “centro” moderato che da anni ipnotizza tutti i leader). Gli astensionisti di oggi non daranno il loro voto di domani a un politico cauto e moderato: se qualcuno riuscirà a portarli nelle urne, saranno senz'altro volti nuovi, con una proposta forte. Abbiamo tre anni (facciamo due) per trovarli, e se non ci sono, inventarceli.

6. Qualcuno già c'è: per esempio, Vendola ha vinto di nuovo. Il candidato meno moderato in una delle regioni più a destra. Quella in Puglia è una vittoria più sua che del PD, ma a questo punto anche i più ottusi dei notabili democratici dovranno prendere atto che l'unico modello davvero vincente per adesso è il suo.

7. Ha perso Brunetta, Superuomo del Fare. Evidentemente anche il monopolio televisivo non è riuscito a vendere ai veneziani il quasi-premio-Nobel iperattivo, capace di combattere l'assenteismo statale durante la settimana e governare Venezia nel week end. Il ministro che più di tutti ha investito su un'immagine aggressiva, ringhiante, incassa una sconfitta che è prima di tutto mediatica. Con Brunetta potrebbe essere entrato in crisi un certo modo di farsi largo nella stampa e in tv, a furia di piccole riforme e grandi tagli annunciati come rivoluzioni epocali (sarà un caso che il ministro più votato, Mara Carfagna, è quello che parla di meno?)

8. Ah, e ha perso anche Castelli. Pur di tenerlo lontano, Lecco ha tradito la Lega per la prima volta in 17 anni. Forse a questo punto nella stanza dei bottoni si renderanno conto che non è questo gran comunicatore, e in tv manderanno qualcun altro, con immediate ricadute positive sul fegato di tanti telespettatori. Un altro piccolo grande motivo per stare allegri.

9. L'antiberlusconismo esiste, e tra IdV e Movimento 5 Stelle vale nove punti percentuali. Una fetta di elettorato importante, da non marginalizzare. Gli elettori antiberlusconiani non sono tutti giustizialisti manettari incantati dai proclami di Grillo. Molti di loro provengono da quel mondo di sinistra che non ha più rappresentanza parlamentare (postcomunisti e Verdi). Altri ancora arrivano dal mondo cattolico, altri sono ex astensionisti recuperati al gioco della democrazia. Per gran parte di loro il berlusconismo coincide con il malaffare e l'ingiustizia sociale, e faranno qualsiasi cosa per opporvisi. Se il PD non li emargina, e fa una scelta chiara di trasparenza, lo appoggeranno.

10. Invece una cosa che non esiste è l'UdC. Perlomeno, non esiste nessun motivo per stringere accordi con un partitino che ormai è un doppione. La Conferenza Episcopale ha fatto la sua scelta, appoggiando il PdL e chiedendo in cambio il blocco della Ru486. Ma i cattolici non sono quel blocco compatto che tanti credono. Ci sono quelli che pensano che la legge 194 vada bene così com'è; quelli sconvolti dalla copertura fornita dal Vaticano ai sacerdoti pedofili; quelli che pensano che il Vaticano debba prendersi le sue responsabilità, quelli favorevoli a un patto civile di solidarietà – in breve, ci sono ancora i cattolici progressisti, e il PD è il loro partito. Non c'è bisogno di ulteriori sbandate al centro per raccattare pittoreschi antiabortisti in cilicio. E questa è l'ultimo, ma non certo il più piccolo, dei dieci motivi che ho trovato per essere ottimisti. Coraggio. La situazione è eccellente.
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