Il rogo della fototessera

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Pensa che buffo se beppegrillo.it mi accusa
di avergli rubato l'immagine.
In principio ci fu quella foto, che a voi magari dice nulla, e a me è familiare come un qualsiasi oggetto domestico che incroci il mio sguardo ogni giorno; capita infatti che io e Maria Novella Oppo condividiamo la stessa colonnina dei blog dell'Unità, il che per me è un onore. A un certo punto ci fu chiesto di metterci la faccia, che per chi vorrebbe nascondersi dietro i propri contenuti è sempre un passo piuttosto imbarazzante da compiere (eppure sta diventando una cosa normalissima, da facebook in poi).

Parlo per me: poche cose mi costano fatica come riuscire a trovare una faccina da accostare alle cose che scrivo. Per prima cosa bisogna evitare di montarsi la testa, e quindi niente trucchi o parrucchi; un autoscatto deve bastare, salvo che è impossibile ottenerne uno decente. Non c'è una sola espressione che vada bene. Puntellare la testa con la mano è un trucco troppo abusato. Se fissi la webcam sembri un fanatico. Se guardi da un'altra parte si capisce che sei timido. Per carità non fingere pensieri profondi, diventi ridicolo. Dovresti invece lasciar intendere che ti diverti, ma poi la volta che dovrai commentare un disastro o un terremoto il tuo sorrisetto scemo sarà il tuo troll peggiore. Ma alla fine una faccia uno deve pure averla, anche se qualsiasi faccia ti diventa odiosa dopo una settimana.

Quando toccò a Maria Novella Oppo, secondo me non si preoccupò un decimo di quanto mi preoccupai io. Vogliono una faccia? Ecco la mia faccia. Virata in bianco e nero, non so perché, sembrava una fototessera: un corpo estraneo nell'homepage dell'unità - e dire che probabilmente la Oppo è la firma che abbiamo visto in prima pagina più spesso negli ultimi dieci anni. Al contrario di tutti noi, la Oppo non ammiccava, non forava l'inquadratura, non affettava pose asimmetriche, né si faceva esplodere il naso da un grandangolo. Il suo avatar era allo stesso tempo il più formale di tutti e il meno disciplinato ai nuovi codici non scritti della Grande Conversazione 2.0. Un volto che diceva: se volete vedermi eccomi qui, non appartengo visibilmente a questo mondo che chiamate internet, e nemmeno me ne vergogno, perché dovrei? Nulla di veramente fastidioso, se non sei Beppe Grillo (continua sull'Unità, H1t#208)

E Grillo impazzì per uno sguardo



Ho una teoria. Secondo me la Oppo avrebbe potuto scrivere cose assai più feroci sul M5S, e Grillo non l’avrebbe nemmeno notata; non sarebbe mai diventata la prima e per ora l’unica giornalista lapidata in effigie dai suoi commentatori, se non fosse stato per quella foto in bianco e nero. A parlar male del M5S siamo in tanti, sull’Unità e altrove: non sempre abbiamo i migliori argomenti, ma probabilmente non c’è uno solo di noi che non faccia incazzare Grillo e il suo staff. La Oppo non è la più cattiva, né la più metodica, né la più influente: perché partire proprio da lei? Non credo che sotto ci sia un piano. Grillo è un temperamento sanguigno che ogni tanto, di fronte a fortuite sollecitazioni, passa dall’Incazzoso Stabile all’Incazzato Esplosivo. Può essere una parola di troppo di un giornalista o di un politico; stavolta secondo me è stata una foto. Non importava realmente cosa stesse dicendo la Oppo, ma come osava dirlo con quella faccia lì? Ah, ma adesso glielo faccio vedere io, gliela faccio… Qui abbiamo visto una volta di più come Grillo sia un incredibile barometro dell’umore dei suoi lettori, che potevano reagire alla ripubblicazione della foto alzando le spalle, e invece si sono gettati a migliaia a inveire contro una persona di cui non si sono nemmeno presi la briga di leggere alcune righe. Non stavano sputando su un articolo fazioso, ma su una foto. Perché? Cosa aveva di tanto odioso questa foto?
Banalmente, si tratta di una donna. Lo abbiamo visto ieri, quando Grillo ha voluto dimostrarsi incurante delle critiche esponendo un nuovo giornalista alla gogna: stavolta Francesco Merlo, del quale curiosamente non ha trovato “foto disponibili” (perché quella della Oppo invece non è copyright dell’Unità? Strano). Anche Merlo è stato subissato da commenti feroci, ma la violenza espressa dai leoni da tastiera è stata molto inferiore a quella scatenata sulla Oppo. Forse perché stavolta non c’era un viso su cui sputare. O forse perché Merlo è un uomo e questo molti leoni lo sentono, e calano subito la criniera senza nemmeno accorgersene. Mentre la Oppo, con quella montatura d’occhiali per niente autoironica, col riflesso del flash sulla fronte, in un qualche modo deve essere sembrata il ricettacolo ideale di frustrazioni accumulate per decenni. Spero che non si offenderà, ma secondo me in quella foto hanno visto una maestra: e molti di loro hanno conti in sospeso con le ex maestre, lo si desume facilmente dalla loro ortografia.
Negli ultimi due giorni abbiamo letto parecchie critiche alla gogna montata da Grillo, anche da voci molto più vicine al M5S. Persino diversi commentatori di Grillo hanno chiesto di chiudere la rubrica, che sarebbe controproducente (ma temo che Grillo se ne intenda più di loro). Non mi pare però che nessuno abbia toccato l’argomento del sessismo. Prima che come giornalista, la Oppo è stata offerta alla mira dei commentatori in quanto donna. Contro di lei abbiamo rivisto la stessa aggressività greve e minchiona che fino a qualche mese fa si sfogava sui giornali di centrodestra nei confronti di Rosy Bindi. Contro questi frustrati che spesso non si vergognano di mettere nome e cognome, Beppe Grillo non ha detto beo, come sempre: non mi pare che nemmeno li cancelli. Li lascia dov’è e magari in seguito lo sentiremo dire che se non fosse per lui sarebbero anche più cattivi, voterebbero Alba Dorata e magari ieri sarebbero scesi in piazza coi forconi: meno male che c’è lui che li ospita nel suo blog, nel suo parco a tema antika$ta. Io credo che si sbagli: che il suo blog abbia una funzione più catalizzatrice che catartica, e che tutta la rabbia che coltiva e protegge giorno dopo giorno, un giorno più brutto degli altri potrebbe rivolgerglisi contro. Il mesto destino di un suo predecessore, il signor Bossi, dovrebbe essergli di monito. http://leonardo.blogspot.com
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Il giorno che diventai di destra

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Se è destino per ogni quarantenne buttarsi a destra, oggi 9 dicembre 2013, potrebbe essere il giorno giusto. Sì, lo so, qualche indizio qua e là era già affiorato. Però ieri ero ancora uno che prova a spostare il baricentro del pd verso la sinistra, i movimenti, eccetera. Incassata l'ennesima sconfitta, stamattina mi sveglierò e forse sarà già scoppiata la rivoluzione dei forconi. Ora, è pur vero che molti dei gruppi che hanno annunciato la sedizione sono di chiara matrice reazionaria, antieuropea, quando non fascista tout court: tutto vero; e però la mia diffidenza diciamo culturale nei loro confronti spiega solo fino a un certo punto quel che provo dentro di me quando leggo le rivendicazioni dei forconisti e scopro, ad esempio, che a soffiare sulla loro rivolta è un organo d'informazione come lo Zoo di 105.

Quello che provo, quando riconosco tra i rivoluzionari quegli allevatori fotti-e-chiagni del nordest che 15 anni fa lanciavano letame sull'autostrada per rivendicare il loro diritto a fottere l'UE sulle quote latte, spalleggiati dalla Lega - Lega che più tardi si è incaricata di far pagare le multe UE al contribuente, cioè a me - quello che provo non si spiega soltanto con l'europeismo e la speranza nella socialdemocrazia.

Perché quello che provo, quando leggo i comunicati in stile "Viva la mafia", che ottengono anche il risultato di far apparire Grillo un centrista moderato, è qualcosa di molto più profondo e irriconoscibile. Io li voglio tutti in galera entro stasera.

Appena si azzardano a bloccare un'autostrada. Del resto si tratta di un comportamento pericoloso ai limiti del criminale. Insomma io li voglio tutti in galera processati in direttissima per tentata strage. Voglio l'ordine, insomma. Nelle autostrade. Ma anche nelle strade in generale. La disciplina. Voglio un'irruzione nello zoo di 105, le teste di cuoio contro le teste di cazzo, vediamo cosa è più duro.

Ora mi corico, e domattina potrei svegliarmi nel corpo di un borghese quarantenne che elogia il manganello che sodomizza il vaccaro o il massaro. Non sarò più io, ovviamente; sarà un ultracorpo cresciuto dentro di me in tutti questi anni, che ha finito di cibarsi delle mie vestigia progressiste, ma chi saprà riconoscerlo?

Quel che è peggio è che anche Esso sarà convinto di essere sempre stato me, e non un alieno che si è impossessato dei miei ricordi. Guardando al passato, gli sembrerà inevitabile essere giunto al punto in cui una sommossa di disoccupati e padroncini in crisi non può che farlo inorridire. Gli diranno: ma non ti ricordi quando andavi in piazza tu? Esso risponderà: era tutta un'altra cosa, noi avevamo, ehm, cosa avevamo? Un progetto? No, proprio un progetto no. Coscienza di classe? No, quelli non eravamo noi. Un'idea, noi avevamo un'idea. Cioè, non proprio un'idea, diciamo che era un dubbio. Noi pensavamo che la globalizzazione, nelle forme in cui si stava concretizzando, non fosse sostenibile. Che la speculazione finanziaria, l'accumulo di ricchezze a Nord, il crescente divario col Sud, la corsa al consumo di risorse non rinnovabili e inquinanti ci avrebbe messo nei guai. Per inciso, avevamo ragione. Ci stanno dando tutti ragione, adesso. Quindi per favore non paragonateci a bande di camionisti aizzati dallo zoo di 105. E tuttavia.

E tuttavia a volte la Storia ti passa davanti a cavallo. Non sempre purtroppo ha le forme di Napoleone. A volte può essere il cassone di un Tir che ti sbarra il passo. Quel camionista non lo sa, ma sta dando forma a qualcosa che avevamo previsto. La speculazione, la crisi dei bond, la crisi dei mercati, e poi il caos. Che forma pensavi che avrebbe preso il caos? T'immaginavi un pranzo di gala? No, è il cassone di un tir, che ti piomba addosso ai cento all'ora e ti dice che un altro mondo è possibile, ma senz'altro qualcuno si farà male nel processo. Lo sapevi. Lo hai sempre saputo. Ma a un certo punto si sa come vanno le cose, le case, i mutui: ti sei distratto. Hai perso anni in inezie, a litigare su Renzi e Bersani mentre in nordafrica raddoppiava il prezzo dei cereali e i blog che negavano il riscaldamento globale chiudevano tutti alla chetichella. Magari sta veramente per venire giù tutto, e se se n'è accorto persino lo zoo di 105, forse è perché hanno antenne più lunghe della tua. Tu t'incazzi perché Grillo fa il savonarola, invece di prenderlo per quel che è, un segno dei tempi: e domandarti perché all'improvviso torna di moda il millenarismo medievale. T'incazzi con chi crede alle bufale, ai segni nel cielo o alle pietre filosofali: le chiami pseudoscienze e fingi che siano errori di percorso, sacche di resistenza alla modernità, e non i presagi del medioevo prossimo venturo: sei come quei filosofi del secondo secolo che ridacchiavano dei cristiani e delle loro effimere superstizioni. Sei vecchio.

Sei un parassita che si nutre dei ricordi di un tizio che aveva previsto grossi guai e a un certo punto non ha retto il panico. Tu hai molti meno problemi: purché ti si lasci un po' di spazio, un terrazzo illuminato, riscaldamento d'inverno e condizionamento d'estate, sei disposto a votare l'Ordine e la Disciplina, altro che Renzi. Ma finché regge andrà benissimo anche Renzi.
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L'imene è irrilevante

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Francesco Podesti, musei vaticani. Gli affreschi della sala dell'Immacolata sono l'ultimo kolossal pittorico romano, prima del grigio diluvio democratico.
8 dicembre - Immacolata concezione della vergine Maria, dogma di fede

[Si legge tutto intero qui].

Maria di Nazareth si venera con tante feste diverse, per tanti motivi diversi. Nei prossimi giorni assisteremo a un trittico fortuito e fantastico: oggi è l'Immacolata, l'esito ultimo di una diatriba teologica durata più di mille anni; il dieci sarà Santa Maria Aviatrice, alias la Madonna di Loreto; e il 12 dicembre tenetevi pronti per la Madonna più bizzarra ed esotica di tutte, quella azteca della Guadalupe. Il primo gennaio festeggeremo Maria in quanto madre di Dio (anche lì i teologi litigarono non poco, ci furono anche morti e dispersi); in seguito avremo l'Annunciazione, l'Assunzione, il Carmelo, il Rosario, Lourdes, Fatima, la Madonna della Neve. Inoltre l'otto settembre, pensate, e il suo compleanno.

In tutti questi giorni, se uno vuole, può venerare la vergine. Ma non c'è una vera festa della Vergine in quanto tale. La possiamo considerare in quanto assunta in cielo, o immacolata, o comparsa a Lourdes o altrove. Ma un giorno per riflettere sulla sua misteriosa verginità pre- e post-puerperale non c'è. Questo è singolare, anche per il modo in cui sono nate molte di queste feste: per gemmazione più o meno spontanea, molti secoli prima che un concilio o un papa ratificasse ex cathedra il dogma. L'Assunzione, per dire, si festeggiava mille anni fa, ma è stata omologata da Pio XII nel 1950. Anche l'Immacolata concezione, un concetto che circolava sicuramente sin dai tempi di Agostino, ha dovuto attendere il 1854. Quanto alla nascita verginale di Gesù, è un dogma sin dal 553 e non era molto controversa nemmeno prima: le Scritture lì parlano abbastanza chiaro. Un altro paio di maniche però è sostenere che la Madonna abbia continuato a essere vergine anche dopo il parto, e non abbia concepito col suo legittimo sposo altri fratelli (malgrado nei vangeli li si chiami per nome). Questa sorta di postulato al quinto dogma è uno degli articoli di fede più refrattari alla contemporaneità: una divinità che decida di incarnarsi in un uomo e sacrificarsi per i suoi peccati può sembrare bizzarra, ma una donna che resta vergine dopo un concepimento e dopo un parto è qualcosa di irrimediabilmente buffo: non si capisce come se ne possa discutere restando seri, e in effetti i sacerdoti se possono evitano l'argomento. Ma si tratta in qualche modo di un effetto ottico, un difetto nella nostra prospettiva. Quando parliamo di corpo, noi abbiamo sempre in mente quello contemporaneo, misurabile, raffigurabile, sezionabile, fotografabile addirittura. Se non siamo storici - e non lo siamo quasi mai - ci è facile commettere l'errore di guardare al medioevo o all'epoca antica senza cambiare il nostro paradigma: per noi si è vergini o no a seconda di una cosa che si chiama imene, che sappiamo tutti più o meno cos'è e dove si trova. La verginità è diventata un puro fatto fisico, tant'è che oggi "rifarsi una verginità" ha smesso di essere un paradossale modo di dire: esistono chirurghi che ti rifanno l'imene. Siccome ai tempi di Maria di Nazareth questo tipo di chirurgia era impossibile, ne deduciamo che il quinto dogma sia un'assurdità, pura propaganda che ha fatto il suo tempo. Siccome capiamo soltanto quello che possiamo osservare e misurare, l'unica caratteristica della Madonna che ci interessa davvero non è l'immacolata concezione o l'assunzione o la maternità di Dio, ma il suo imene.

Non ci viene quasi mai il sospetto che la parola "verginità" possa avere avuto un significato diverso, in un'epoca diversa, in cui ogni corpo aveva una dimensione morale inscindibile da quella fisica. I cattolici, per primi, mostrano una certa difficoltà a relativizzare. Se un concilio nel VI secolo ha detto "vergine", dovremmo credere che intendeva "vergine" nel senso che ha il termine su un manuale di anatomia del XXI secolo. Il problema dei dogmi è tutto qui: non puoi che fissarli a parole, ma le parole cambiano significato continuamente. L'unica è smettere di usarle: e infatti più che della verginità - concetto sempre più scabroso, man mano che la morale cessa il passo all'anatomia - i cattolici amano parlare di immacolata concezione. Lì sì che la teologia si può lanciare senza freni fisici: non ci sono imeni che tengono, si tratta di stabilire se la Madonna non sia mai stata macchiata dal peccato originale. Siccome ha procreato Cristo che è Dio, carne della sua carne, se ne deduce di no, fine del dibattito - eh no, troppo comodo. Solo Cristo ci ha liberato dal peccato originale, quindi come poteva la Madonna esserne libera prima? L'obiezione è di Tommaso d'Aquino, mica l'ultimo arrivato: però già Agostino aveva messo in dubbio la categoria del tempo, forse il "prima" e il "dopo" per Dio non hanno il senso che hanno per noi. C'è poi la questione del libero arbitrio: Maria di Nazareth ha scelto o no di concepire il Cristo? Ci piacerebbe pensare di sì; ma se Dio l'aveva già creata senza peccato, la scelta non era in un qualche modo era già pilotata? (continua sul Post...)
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Civati si vota votandolo

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Mentre scrivevo questo pezzo, Beppe Grillo ha pensato bene di esporre alla gogna la giornalista dell'Unità Maria Novella Oppo. Una pessima idea tra tante, di cui avranno magari a rimproverarsi più che di altre; anch'io nel mio piccolo farò quel che potrò in tal senso.

La prendo un po' lunga. Durante il dibattito su Sky - un po' penalizzato dai ritmi ansiogeni, e dire che l'anno scorso la stessa formula sembrava così efficace - a un certo punto si è parlato di matrimonio gay. Si tratta di un argomento importante, non solo in sé (si tratta di riconoscere la parità dei diritti civili a una categoria di persone che non l'ha ancora raggiunta, e allineare l'Italia con le democrazie più evolute), ma perché è in qualche modo il reagente che separa all'istante le due nature del partito, che non hanno mai veramente quagliato: siamo tutti del PD finché non ci parli di matrimonio ai gay: se ce ne parli, ci separiamo immediatamente in cattolici ed ex ds. Così è, e così forse è giusto che sia.

Dunque, di fronte a una domanda sul matrimonio gay, Civati non ha nessuna difficoltà a strappare un applauso dicendo che lo vuole, subito; e lo vuole chiamare "matrimonio", senza tante garbate perifrasi che andrebbero incontro alla timidezza dei cattolici anche più progressisti ("unione alla tedesca"). Renzi no. Non tanto perché cattolico, ma perché ha la vittoria in tasca e sta giocando in difesa, come Bersani l'anno scorso, pensando più a cosa può mantenere che a cosa può ancora promettere. Per Renzi parlare di matrimonio significa tentare una battaglia perdente; lui invece vuole cambiare qualcosa subito, e quindi andrà avanti con la proposta di Scalfarotto, che è quella che ha le maggiori possibilità di ottenere qualcosa nei tempi brevi. A questo punto non è più un confronto tra un cattolico (Renzi) e un progressista (Civati), ma tra pragmatismo e ideale, e quindi io per temperamento dovrei scegliere il pragmatismo, come ho sempre fatto fin qui. Non lo faccio. Un po' perché Renzi è un pragmatista solo quando gli garba: le sue proposte di riforma della costituzione rasentano il grillismo per praticabilità. Ma non è solo questo.

Non lo faccio perché non è il momento: quando si andrà alle urne vere voterò quel che c'è da votare, parlerò di pragmatismo e di tattica e di strategia e continuo in coscienza a pensare che la via più praticabile verso la parità dei diritti sia quella a piccoli passi che sta percorrendo, con una certa fatica, Scalfarotto. (Anche se fino a qualche anno fa, quando si trattava di farsi notare, Scalfarotto la irrideva - solita storia). Ma per una volta che ho finalmente l'occasione di dire cosa voglio, senza sempre sacrificarmi alla tattica e alla strategia, non me la faccio perdere: io, come Civati, voglio che i gay si possano sposare come tutti gli altri; magari non siamo la maggioranza nemmeno nel Pd, ma è importante far vedere che non siamo nemmeno in pochi.

Alle consultazioni primarie di domenica voterò, e voterò Civati. Si tratta di una scelta fatta da tempo, e abbastanza scontata; credo che Renzi si sia già conquistato un ruolo centrale nel partito, con ostinazione e con merito: non mi è diventato più simpatico nel corso del processo, ma ritengo che sia il candidato più credibile che il PD possa avere in questo momento, e quando sarà l'ora non avrò grosse difficoltà a votare per lui; questa però non è l'ora. Per adesso si tratta di far sapere che PD desideriamo, e io lo desidererei banalmente un po' più a sinistra su tante questioni (laicità, diritti, economia). Malgrado la sovraesposizione su social network e blog (ricordate per favore cos'è sempre successo ai fenomeni esplosi sui vostri desktop: Scalfarotto, Giannino, eccetera) non credo che Civati abbia possibilità di vincere: se riuscisse a rosicchiare più del venti per cento e ad arrivare secondo avrà compiuto la sua missione. Voto Civati con lo stesso spirito con cui l'anno scorso consigliavo a lettori e amici di votare Vendola: non vincerà, ma è importante far notare che c'è, e rappresenta un bacino rilevante.

Non so se si è capito, ma più del risultato di domenica, mi preme far notare che il mio non è un voto di bandiera: non voto Civati perché è "contro", non voto Civati perché mi rappresenta, in lui mi riconosco, e balle varie. Credo che in questo momento abbia un valore posizionale; penso che sia stato anche abbastanza bravo ad arrivarci, in questa posizione, che non è sempre stata la sua. Penso che saper trovarsi lo spazio sia una delle qualità del politico: di un'altra abilità fondamentale, quella alla negoziazione, mi sembra un po' carente. Tanto peggio. Lo so che ogni voto è irrazionale, ma se si può in modo anche infinitesimamente irrazionale spostare il baricentro del PD verso la sinistra, credo che lo sforzo valga sempre la fatica e il rischio di un voto in più. Poi succederà quel che deve succedere: ci saranno altre elezioni, le perderemo o le vinceremo male; saremo costretti a nuovi compromessi e compromissioni, ci difenderemo parlando di strategia e lamentandoci della cattiva sorte e degli elettori che si aspettano sempre chissà che. Ci sarà tantissimo tempo per tutto questo: domani c'è un po' di tempo per dire cosa vogliamo davvero. Io il Pd lo voglio più simile a Civati, e spero di essere in buona compagnia.
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Inventa anche tu il tuo sistema elettorale!

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Update: ho abolito il doppio turno e l'ho sostituito con la preferenza alternativa, adesso è ancor più fichissimo e la posterità me ne sarà grata per legislature e legislature

Butto lì il mio. Collegi uninominali, con tre soli candidati: quelli che riescono a portare più firme autenticate in municipio.
A ogni cittadino è fatto divieto di firmare per più di un candidato.
I candidati possono dichiarare la propria militanza in un partito, ma non è necessario (anche se è molto utile, come si vedrà).
Update: sulla scheda si esprime la preferenza "piena" e la preferenza "alternativa", o seconda scelta, quest'ultima opzionale.
Se nessuno dei tre prende più del 50%+1 (ma facciamo anche il 55%, vah), delle preferenze piene, viene eliminato il terzo classificato, e vengono conteggiate le preferenze alternative dei suoi elettori. Una preferenza alternativa lasciata in bianco viene assegnata al primo classificato.

Alla camera e al senato (che prima o poi andrebbero fusi, ma servirebbe una costituzione nuova), un premio di maggioranza per il partito che ha vinto più collegi: vengono ripescati alcuni secondi classificati (quelli che pur arrivando secondi hanno ottenuto il maggior numero di preferenze "piene"+"alternative"). Quanti? Dipende.
- Se il partito ha già il 55% dei seggi sia alla Camera che al Senato, non scatta nessun premio.
- Se il partito ha almeno il 45% dei seggi alla Camera o al Senato, si ripesca un numero x di senatori e deputati necessario a ottenere il 55% dei seggi in entrambi i rami.
- Se nessun partito arriva al 45% dei seggi in almeno uno dei due rami, i primi due partiti ottengono entrambi lo stesso numero x di senatori e deputati, tale che la somma dei primi due partiti dia il 60% in entrambi i rami. Questo propizia un'alleanza tra i due partiti, senza renderla obbligatoria: uno dei due potrebbe anche riuscire a superare il 50% alleandosi con un terzo o quarto partito.
Nota che il numero dei deputati e dei senatori potrebbe variare di molto: se questo è incostituzionale, o comunque inopportuno, i ripescati del premio di maggioranza per numero di preferenze piene+relative possono sostituire i vincitori dei loro collegi (in sostanza la governabilità vince sulla volontà popolare espressa dal ballottaggio, sì, proprio così).

I pregi
- Non assomiglia a nessun altro sistema elettorale di cui avete letto in giro, l'ho inventato io (ok, è un pregio soltanto per me, ma per me è un gran pregio).
- Lunedì sera ci si mette lì con una calcolatrice e nel giro di un'ora in linea di massima si sa chi governerà per cinque anni.
- Se necessarie, sono ammesse e incentivate coalizioni.
- Forte personalizzazione e responsabilizzazione del candidato.
- Forte responsabilizzazione del cittadino-militante (il voto è segreto, la firma è registrata; anche se la considererei un dato sensibile).
- La frammentazione partitica è disincentivata senza sbarramenti (il premio va al partito, no alla coalizione).


Difetti
- Il clientelismo si trasferirà dal voto alla firma: dal voto di scambio alla firma di scambio. Ma almeno le firme sono tracciabili (però non pubblicabili). Diciamo che sarà più facile notare i fenomeni di clientelismo: con un sistema elettorale mica li si combatte, al massimo li si fa emergere.
- Il doppio turno è un po' una palla. Però il partire subito da tre candidati lo ridurrà parecchio. Update: tolto!
- I premi di maggioranza sono un po' bizantini, e non garantiscono la governabilità al cento per cento (nessun sistema ancora un po' democratico lo potrebbe fare).
- Se (e solo se) si decide di mantenere fisso il numero dei parlamentari, qualcuno che vince un ballottaggio dovrà cedere il posto a chi l'ha perso che ha ottenuto più preferenze relative dovrà cedere il posto a qualcuno che ne ha prese meno (comunque un candidato che ha preso più del 40%, non uno sconosciuto).

Più tante altre magagne di cui ti accorgi soltanto quando il sistema va a regime. Non mi resta che conquistare una nazione e fare l'esperimento, ciao.

Che ne dite, vi fa schifo? Scrivetemi i vostri sistemi elettorali preferiti!
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La corte è incostituzionale

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Il 2013 è stato, tra le altre cose, l'anno in cui un papa ha deciso - solo lui può deciderlo, in quanto infallibile - che non era più in grado di fare il papa - quindi non era più infallibile; quindi potrebbe anche essersi sbagliato. D'altro canto, se si fosse sbagliato, sarebbe tuttora il Papa, quindi infallibile... Nello stesso periodo il presidente della repubblica diceva in giro di non voler fare il presidente. Poi è stato riconfermato, ma adesso c'è un problema. Il parlamento che lo ha riconfermato è stato eletto con un sistema elettorale incostituzionale.

Non può nemmeno cedere il posto al Quirinale al presidente precedente - sé stesso - visto che anche nel 2006 era stato nominato da un parlamento eletto con lo stesso sistema elettorale. D'altro canto, chi è che ne afferma l'incostituzionalità? La corte costituzionale. E tuttavia la Corte è nominata per un terzo dal parlamento in seduta comune, e per un altro terzo del presidente della repubblica. Almeno sei membri della Corte sono espressione di un parlamento eletto in modo non conforme alla costituzione, o di un presidente della repubblica espressione di un simile parlamento. Insomma la corte costituzionale, che nel suo campo come Ratzinger era infallibile, ha infallibilmente ammesso di non essere del tutto legittima. Se non è legittima, la sua sentenza sull'incostituzionalità del sistema elettorale è impugnabile? Ma da chi?

Sono sicuro che esiste una scappatoia pragmatica a questa deriva escheriana. Per esempio, Ratzinger dal Vaticano non esce più. Lo tengono lì. Metti che un giorno si sveglia e si rende conto di essersi sbagliato, di essere ancora il Papa - d'altro canto se fosse il Papa non avrebbe potuto sbagliarsi, e così via. Il 2013 è un sogno bislacco da cui non riesco a svegliarmi.
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Chi tocca Barbara muore

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Martirio e folgorazione (un olio di Antonio
Concioli, di rara violenza).
4 dicembre - Santa Barbara (273-306), mina vagante

Stamattina alla fine la Messa nel tunnel TAV di Susa la celebreranno. Ieri a un certo punto sembrava di no, era scoppiato un piccolo caso perché nessun parroco della Valle si era detto disponibile. Per i No-Tav si trattava di una dimostrazione di impopolarità dell'opera, e quindi il vescovo si è affrettato a spiegare che no, non c'è nessuna volontà di protesta; è solo che i parroci della diocesi sono tutti impegnati e che quindi bisognerà farne venire uno da fuori. Meno male, perché oltre a essere patrona dei vigili del fuoco, dei marinai, degli artiglieri, degli architetti, dei muratori, dei campanari e degli ombrellai, Barbara è veneratissima anche dai minatori, che fino a qualche tempo fa piazzavano una sua statuetta all'imbocco di ogni nuovo traforo. Esplosioni e incendi del resto continuano a essere gli incubi più ricorrenti di chi scava sotto terra. Ma la Barbara originale guardava piuttosto verso il cielo; la sua specialità era la folgore.

Doveva essere una ragazza particolarmente graziosa, poiché il padre decise di rinchiuderla in un'altissima torre - anch'io farei lo stesso - onde mettere più spazio possibile tra lei e i suoi spasimanti, tra l'infanzia beata e il matrimonio, le responsabilità, l'invecchiamento e la morte. Il progetto della torre prevedeva due finestre, ma Barbara s'impuntò coi manovali: tre, ne voleva tre. Quando udì del capriccio, il padre pensò tra sé e sé: tre? Come il Padre, il Figlio, e Quell'Altro? ecco, mi è diventata pure cristiana. Ai tempi era peggio di scoprire un figlio gay - Diocleziano era appena andato in pensione, ma le persecuzioni proseguivano violentissime; insomma, dopo essersi svenato per costruire una torre con tutto ciò che comporta di permessi e bustarelle e vertenze con le maestranze, il genitore decise che dopotutto sua figlia non meritava di vivere e la denunciò al magistrato. Quest'ultimo sarebbe stato infine colpito dalla folgore, ma non prima di infliggere tutte quelle torture che vivacizzano le altrimenti noiosissime pagine di Iacopo di Varazze, rendendo un po' piccante il pasto dei monaci (che le leggevano appunto in refettorio): Barbara fu dunque flagellata, ma il flagello si trasformò in piumino per miracolo - poi fu un po' bruciacchiata, le furono mozzati i seni e quindi fu decapitata, buon appetito confratelli, oggi abbiamo brodo di pollo con dadini di pane secco.
"Ma è abbrustolito almeno?"
"Stai scherzando? Lo sai quanto ci si mette ad accendere un fuoco?"

"Tre finestre, capite? Questa svergognata..."
Fosse un'invenzione un po' più recente, probabilmente il cattolicesimo avrebbe previsto una specializzazione più capillare: e avremmo un santo diverso per gli ustionati, per gli elettricisti e per gli artificieri. Invece è roba di venti secoli fa, quando le esplosioni erano ancora eventi più che fortuiti, miracolosi: e una santa sola bastava e avanzava per fulmini e incendi. L'arrivo della polvere da sparo nel '400 cambia radicalmente le cose: da lì in poi "santabarbara" diventa sinonimo di polveriera, soprattutto sulle imbarcazioni. L'età moderna è l'età delle esplosioni: tutto ciò che è interessante è infiammabile. Per Benjamin (pron. "Beniamin") l'uomo moderno nasce con il fiammifero, quando per la prima volta una lunga prassi quotidiana viene sostituita da un gesto rapido e violento, uno scatto: oggi la nostra vita è tutta un premere tasti, aprire e chiudere miliardi di circuiti con un clic o un tap, ma è tutto cominciato coi fiammiferi. Quando rilevò il patronato della folgore dal suo predecessore, Giove Pluvio, l'elettricità era curiosa bizzarria della natura, temibile ma abbastanza occasionale: oggi ci possiede e ci ricatta, non riusciremmo nemmeno a uscire di casa (senza ascensore? senza luce per le scale? E magari è elettrica pure la serratura).

Ma Santabarbara nella mia testa è sempre rimasta la polveriera nella nave dei pirati, quella che bastava colpire con un petardo per far esplodere tutto il vascello. L'unica femmina ammessa a bordo, una mina vagante sotto i nostri tacchi e le nostre gambe di legno. Certe donne mi fanno ancora quest'effetto, e poi si domandano perché non mi faccio mai vivo, che mi è successo? Una volta non ero così stronzo, Eh, si sa, gli impegni, la famiglia, il tempo è sempre meno - tutte balle, vi porto ancora nella mia stiva. Ma ho una paura matta che esplodiate. Basterebbe un niente, attivare un circuito, inviare un impulso, premere un tasto, comporre un numero, mettere un like: Booooooom.
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La mafia è una pastarella al piombo

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La mafia uccide solo d'estate (Pierfrancesco "Pif" Diliberto, 2013)

Arturo è un bambino normale in una famiglia normale in una città con un problema che non è il traffico. Ogni tanto qualcuno muore ammazzato. Nel garage sottocasa, nella pasticceria sulla strada per la scuola, ogni tanto qualcuno cade in un lago di sangue e il motivo pare sempre lo stesso: le femmine. Soprattutto in estate i delitti passionali non guardano in faccia a nessuno: poliziotti, magistrati, giornalisti, persino i politici. Persino Arturo: anche per lui è venuto il momento di innamorarsi, anche se è solo un bambino e ha paura.


A quarantun anni (no, non li dimostra) Pif si carica in spalla una macchina da presa un po' più grande del solito, e il risultato è abbastanza sorprendente. Di solito chi passa al cinema dalla tv cerca di riprodurre sul grande schermo quello che gli spettatori conoscono già sul piccolo: peraltro di reporter prestati al cinema negli ultimi dieci anni ne abbiamo già visti parecchi; è una formula che può funzionare. Pif invece per l'occasione si ricorda di aver lavorato con Zeffirelli e Giordana, e prova a fare qualcosa di meno televisivo confinando sé stesso e la guest star Cristiana Capotondi nell'ultima mezz'ora, concentrando l'obiettivo sul vero eroe del film, il piccolo Arturo (Alex Bisconti, bravo). Una scelta insolitamente matura, e anche un po' temeraria - lavorare coi bambini è più difficile - che coincide con una precisa scelta narrativa: il forrestgumpismo. Un giorno bisognerà trovare una parola più bella per definirlo, ma nel frattempo ecco una definizione approssimativa:

Dicesi Forrest-Gumpismo la tendenza a rivisitare il passato recente in una collana di momenti topici, infilando a forza i personaggi in tutti gli avvenimenti storici rilevanti. In Italia ci sguazzano un po’ gli autori di noir, ma l’oggetto forrest-gumpista in assoluto è La meglio gioventù di Giordana, dove se due ex coniugi si danno un appuntamento durante gli anni Ottanta, dev'essere per forza la sera di Italia-Germania al Santiago Bernabeu con le comparse che ascoltano la telecronaca di Martellini alla radio, cioè, hai capito spettatore scemo? Siamo negli anni Ottanta! Rossi! Tardelli! Altobelli!

I forrestgumpisti italiani di solito vivono in centro: tutto deve succedere nello spazio di pochi isolati. Assistono a tutti gli episodi più importanti che stanno già sui libri di Storia (in questo caso tutti i delitti illustri da Boris Giuliano a Borsellino), senza capirci mai molto: spesso sono bambini o handicappati. L’importante è che abbia già capito tutto lo spettatore. Il forrestgumpismo ci porta a spasso per la Storia contemporanea come se fossimo in gita scolastica: le cose dobbiamo averle studiate già, ora si tratta di riviverle, di provare emozioni, per cui rieccoci a Capaci da spettatori: non si capisce niente, c’è solo fumo, sembra un terremoto, ecco: abbiamo avuto un po’ di paura, abbiamo “sentito” Capaci. Il forrestgumpismo al cinema funziona molto bene. Siamo tutti contenti quando qualcuno ci racconta una storia che conosciamo già, magari da un’angolazione diversa; quanta soddisfazione nel sapere già cosa succederà a un dato personaggio, ad es. Salvo Lima; nel saper riconoscere la strage di Capaci da una gag su un telecomando. Se poi il punto di vista è quello ingenuo e fiabesco di un bambino, chi oserà mai parlare male del tuo film, rimproverandoti qualche superficialità nel descrivere un fenomeno mafioso assai più ramificato e complesso, nel trasformare capoclan e stragisti in pagliacci (sempre meglio di glorificarli come eroi maudit, come si è fatto in tv) – ok, mi arrendo Pif, hai vinto tutto. Mettiamola così: non è un film sulla mafia, è un film sull’omertà, sul crescere in una città che finge di essere sana, e scoprire uno spavento alla volta che gli adulti hanno più paura di te.

Nell’ultima mezz’ora però accade qualcosa di diverso. Improvvisamente il piccolo Arturo si sveglia trasformato in Pif: il Pif che conosciamo, che 41 magari non li dimostra, ma neanche i venti che dovrebbe avere nel film. La trasformazione è improvvisa, pinocchiesca: Arturo non è davvero cresciuto. È solo diventato più grande, come Tom Hanks in un altro film; ma dorme ancora nello stesso lettino, ed è ancora bloccato nel suo amore elementare per Flora. Qui c’era un’idea meno rassicurante: crescere nella città della mafia significa compromettersi, e Arturo non ce la fa. Ci prova. Flora, lei, è cresciuta e lavora per i grandi vecchi, perché non provarci? C’è bisogno di giovani che portino idee fresche, che inquadrino i vecchi da angolature inedite, che scrivano i discorsi. Pif per un po’ ci prova. È quel momento tipico dei vent’anni, in cui “si fanno tante caz… sciocchezze”, per amore ma anche perché è sparito qualsiasi altro riferimento all’orizzonte, e non c’è più un prete o un giornalista a spiegarti cosa fare; il momento in cui giri la tua città con un curriculum in mano e ti senti soffocare. Una situazione molto più difficile da raccontare delle epifanie dell’infanzia, e che Pif racconta molto più in fretta, forse meno sicuro di sé come attore che come regista. Mi piacerebbe dirgli che ha torto, ma il film piacerà a tutti così. E davvero per un’opera prima non ci si può lamentare.

Un ultimo perfido appunto: un bambino trascinato dai genitori davanti a tutte le lapidi di tutti i martiri della mafia, secondo me, appena compie undici anni corre ad affiliarsi alla prima cosca che trova nel quartiere. Perlomeno, quel poco che ho capito di psicologia dei preadolescenti mi suggerisce ciò – poi magari mi sbaglio, eh. La mafia uccide solo d’estate è al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (20:20; 22:35), al Vittoria di Bra (16:15, 18:15, 20:15, 22:30); al Cinecittà di Savigliano (20:20, 22:30) – ma da voi li fanno i bomboloni alla ricotta con le scaglie di cioccolato? M’è venuta la curiosità.
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Non ti do del coglione; ti propongo un referendum

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Beppe Grillo non vuole uscire dall'euro. Perlomeno, se volesse uscirne lo dichiarerebbe pubblicamente - non gli sono mancate le occasioni - e non l'ha mai fatto. Però Beppe Grillo vuole vincere le prossime elezioni; per vincere gli servono anche i voti degli euroscettici; e quindi ha approfittato di questo terzo v-day per ricordarci che vuole il referendum sull'euro. Purtroppo si tratta di una boiata pazzesca, che offende chi la propone (per finta) e chi finge di crederci o ci crede davvero. Vediamo il perché.

Non è tanto la cattiva fede di chi propone qualcosa di palesemente incostituzionale: per fare un referendum sull'Euro bisogna prima modificare la Costituzione, e Grillo lo sa benissimo (non è più un novellino). Ma andiamo oltre, come dice lui. Capita a tutti in campagna elettorale di promettere la luna, lui promette un referendum sulla luna, è già più fattibile, no? In realtà no; se uscire dall'euro non è necessariamente una cattiva idea, farci un referendum è l'idea peggiore che possa venire in mente a un politico, anche populista.

Proviamo a immaginarci la situazione: in Italia, da domani, si passa alle lire. In attesa del meraviglioso impulso all'economia, le fughe dei grossi capitali le diamo per scontate: ma guardiamo i nostri poveri stipendi, che da domani in poi saranno pagati in lire. In giro però ci sono ancora molti euro, che all'estero continueranno ad avere corso. Ci si aspetta che queste lire perdano abbastanza velocemente valore rispetto all'euro; ci si aspetta anche che certe spese (benzina, riscaldamento...) comincino a salire vertiginosamente. Calato in una situazione del genere, credo che anche l'elettore del M5S reagirebbe come reagirei io: ci precipiteremmo al primo sportello bancario e cercheremmo di farci dare più euro possibile, da ficcare nei nostri materassi o da qualche altra parte. Probabilmente qualcuno sarà stato più lesto di noi e ci avrà lasciato le briciole: tanto peggio. Nei prossimi mesi il mio salario perderà potere d'acquisto, ma gli euro che sarò riuscito a procacciarmi prima dell'esaurimento dei bancomat varranno sempre di più: saranno un bene rifugio. Anche se ufficialmente verranno vietati, è facile immaginare che i bottegai li apprezzeranno: come apprezzano i dollari i negozianti di tutto il terzo mondo. Io stesso cercherò di farmi pagare qualche lavoretto in euro, tengo famiglia. (Continua sull'Unita.it, H1t#207)

 Parte dei miei risparmi in valuta forte, del resto, li dovrò spendere per rendere la mia casa più sicura, con inferriate e magari munendomi di qualche arma da fuoco a scopo dissuasivo, visto l’importanza strategica che avrà da qui in poi il mio materasso. Insomma se vogliamo immaginarci un’Italia post-euro, dobbiamo guardare a certi turbolenti Paesi eternamente in via di sviluppo, ai margini del benessere. Forse è il nostro destino in ogni caso, ma perché accelerarlo?
Uscire dall’euro, ammesso sia possibile, è tecnicamente molto complicato. Gli economisti ne discutono; addirittura l’anno scorso è stato l’argomento del prestigioso premio Wolfson. I candidati al premio dovevano trovare il modo migliore di gestire la transizione economica di uno o più membri dell’Unione dall’euro a una valuta nazionale. Lo studio che si aggiudicò il premio di 250.000 sterline prevedeva che la decisione fosse presa a porte chiuse dai funzionari del Paese uscente: gli altri Paesi, e le organizzazioni monetarie internazionali, dovrebbero essere informati con tre soli giorni d’anticipo. A quel punto non ho capito bene come si potrebbe tenere mantenere l’informazione riservata anche solo per altre 24 ore; in ogni caso si dovrebbe arrivare a un annuncio ufficiale al venerdì, onde evitare l’assalto agli sportelli che creerebbe ovviamente il panico.  Questa a quanto pare è la proposta più realistica di “transizione” dall’euro che un economista si è azzardato a proporre: si basa sulla segretezza assoluta e sulla necessità di tenere chiuse le banche per due o più giorni. Grillo invece propone il referendum. Non è neanche sicuro che l’euro sia così male, però vuole che ne discutiamo per mesi: che litighiamo, che ci spaventiamo, che ci incazziamo, e che in mezzo a tutto questo magari cominciamo a tirar fuori dalle banche i nostri euro, e a nasconderli da qualche parte nel caso in cui il referendum si facesse davvero. Il referendum poi non si farà mai – bisogna modificare la Costituzione, hai voglia! Servono due terzi del parlamento, certo Beppe, hai un buon venti per cento, se lo triplichi ci sei quasi. Però nel frattempo è importante che ne discutiamo, che ci incazziamo, che ci spaventiamo. Così ci sentiamo vivi, come si deve sentire lui quando ne spara una di quelle grosse. http://leonardo.blogspot.com
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Capitani balbettanti

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Se posso, vorrei dire - a seguito di qualche malevolo commento - che tutto ciò che ho dato ha pagato le tasse. Poi, che altre donazioni possono aver luogo, senza passare per il notaio: Ricerca sul Cancro, Vidas, Bambini nefropatici, Shoah, San Raffaele, scusa mi fermo, sono stati i miei preferiti. Infine un chiarimento su tutta questa gazzarra. Qui dentro c’è stato un terribile schifo, una congiura... (Bernardo Caprotti, 26/11/13, Corriere della Sera)

Qualche giorno fa - Berlusconi non era ancora decaduto, sembrano secoli - sul Corriere è comparsa una letterina del presidente della catena Esselunga, Bernardo Caprotti. Trattandosi della replica a un articolo che lo riguardava, la pubblicazione era un atto dovuto; a sorprendere (ma neanche più di tanto, ormai), è la decisione di pubblicare il testo del biglietto così come è probabilmente arrivato, stile Celentano. Probabilmente in redazione avranno preferito non innervosire ulteriormente il personaggio, e così gli hanno dato spazio esattamente come in un talk show si "passa la linea" a un ospite telefonico, magari un tizio inviperito che ha chiamato perché stanno parlando male di lui.

Risultato: abbiamo assistito in diretta allo sfogo di un capitano d'industria ottantottenne, senza capire molto dei dettagli, ma afferrando la sostanza: il tizio non si può più fidare di nessuno. Gli fanno la guerra i figli; gli fa la guerra la vecchia segretaria e braccio destro; probabilmente gli hanno alzato una trincea persino in ufficio stampa, così è ridotto a scriversi i biglietti da solo. Con qualche effetto perversamente comico: Caprotti afferma di aver fatto cospicue donazioni alla "Shoah": probabilmente non allude a un inverosimile sostegno ai genocidi nazifascisti, ma alla meritoria associazione "Figli della Shoah"; aveva fretta e ha abbreviato, e al Corriere han stampato così.

Di fronte a un episodio del genere - valutate voi quanto buffo o patetico o triste - spunta la solita domanda (spunta sull'Unità, H1t#206)ma succede così anche altrove? O siamo l’unico Paese in cui i capitani d’industria non riescono a padroneggiare la propria lingua madre, né a munirsi di collaboratori che li sappiano assistere? Quando Caprotti definisce il Corriere il “Times del proprio Paese”, mette a fuoco il problema: è immaginabile un testo così involuto sul Times o su qualsiasi altra prestigiosa testata occidentale? Non è una domanda retorica, onestamente non lo so: se qualcuno ha in mente episodi paragonabili me li segnali pure qua sotto. Ma nel frattempo rimane il dubbio di ritrovarsi nel Paese con la classe dirigente e industriale meno colta d’Europa. Altrove almeno una letterina la sanno scrivere – se non lo sanno fare, sanno procurarsi qualcuno che lo faccia per loro; da noi no, non è richiesto, non è necessario.
Nell’era della comunicazione, i nostri capitani balbettano. Chi li rimprovera di non conoscere l’inglese forse non ha afferrato l’entità del problema: neanche in italiano sanno spiegarsi. Sono stupidi? Tutt’altro: intelligenza e cultura sono variabili non correlate, ed evidentemente Caprotti non ha avuto bisogno di particolari competenze linguistiche per mettere in piedi un impero nel ramo distribuzione. Forse davvero quando sei in ascesa la cultura più di tanto non serve. Ma ti assiste nei giorni difficili, quando devi imparare a mollare, e l’istinto non vuole saperne. Ha l’aria di essere la situazione di Caprotti, ed è sicuramente quella di Silvio Berlusconi, che pure può contare su un lessico un po’ più ricco, da piazzista quale è sempre stato. In qualsiasi altro Paese un Berlusconi avrebbe mollato da mesi, senza arrivare all’umiliazione del voto di mercoledì. Non glielo avrebbero consigliato soltanto i collaboratori più fidati: ci sarebbe arrivato da solo, riflettendo sugli esempi che la cultura personale gli avrebbe fornito, su Nixon, su Leone e su tanti altri. Berlusconi invece conosce solo Berlusconi, e magari la Storia gli darà ragione: dopo lo scisma del PdL e la manifestazione autocommiserativa di mercoledì i sondaggi lo vedono in risalita. Si vede che in Italia l’istinto premia ancora. http://leonardo.blogspot.com
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