Grillo e l'interprete impazzito

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"A gennaio presenteremo l'impeachment contro Napolitano, spero che come Cossiga si dimetta prima". È probabilmente l'affermazione più rivelatrice sfuggita a Grillo nel suo discorso alla nazione. Grillo, si sa, ha cominciato a fare i discorsi di fine anno ben prima che Napolitano. All'inizio (su Tele+, nel 1998) era considerato uno show di satira, poi l'abitudine gli ha un preso la mano e ora risulta più serioso e retorico del presidente vero.

Grillo sa benissimo di non avere nessun appiglio concreto per incriminare Napolitano. Lo ha anche ammesso coi suoi, l'impeachment è una "finzione politica" (Il Fatto, 30/10/13): "Non possiamo dire che ha tradito la Costituzione. Però diamo una direttiva precisa contro una persona che non rappresenta più la totalità degli italiani. Noi siamo la pancia della gente", eccetera. D'altro canto, prima o poi Napolitano si dimetterà: lui stesso ha sempre ammesso che il suo secondo mandato non arriverà alla scadenza naturale (il 2020!). Potrebbe anche essere questione di mesi, se ci si mettesse d'accordo sulla legge elettorale. In ogni caso, in qualsiasi momento accada, Grillo potrà vantare coi suoi di avere causato le dimissioni col suo impeachment. La finzione politica non ha altri scopi che non siano elettorali: Grillo deve dimostrare di aver fatto qualcosa di concreto - a parte riportare per qualche mese i berlusconiani al governo. Per inciso: se Napolitano davvero non gli fosse piaciuto, avrebbe potuto chiedere ai suoi di votare Romano Prodi il 19 aprile scorso. Ma probabilmente a questo punto starebbe chiedendo l'impeachment anche di Prodi (o di Rodotà, o della Gabanelli).

(continua sull'Unità, H1t#212).

Grillo forse chiede aiuto



Liquidato così il 2013, Grillo ha voluto cominciare il 2014 con un sussulto di follia, nominando persona dell’anno Thamsanqa Jantjie, il finto interprete che ha movimentato la cerimonia funebre di Nelson Mandela mimando tra gli altri il discorso di Obama senza conoscere né l’inglese né il linguaggio dei segni. I commentatori di Grillo sono rimasti un po’ perplessi, a riprova di quanto ormai sia diventato serio il suo blog: anche l’elezione della “persona dell’anno” ormai è una cerimonia ufficiale che serve a mettere sotto i riflettori un problema. La persona del 2012, per dire, era “il piccolo e medio imprenditore italiano”, trafitto in copertina come un San Sebastiano; nel 2011 era stato nominato Alberto Perino, “leader dei NoTav”: niente scherzi, insomma. Forse anche Grillo si sta annoiando della funzione sempre più para-istituzionale che si è ritagliato.
O forse si è riconosciuto. Catapultato in seguito a vicende complesse tra un pubblico sempre più arrabbiato e ingovernabile e un sistema politico che non capisce, Grillo da mesi sta gesticolando senza sapere nemmeno lui, esattamente, cosa vorrebbe e cosa otterrà. Come Thamsanqa Jantjie, a questo punto forse comincia ad avere allucinazioni – o forse le ha sempre avute: default, crollo dell’eurozona, locuste, cavallette. Forse eleggere uno schizofrenico incompetente a persona dell’anno è il suo modo per chiedere aiuto a tutti noi: salvatemi da me stesso. http://leonardo.blogspot.com
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La doppia o quadrupla vita di Walter Mitty

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I segreti di Walter Mitty (The Secret Life of Walter Mitty, Ben Stiller, 2013)


A cosa pensa Walter mentre gli parli? Cosa sta guardando mentre fissa nel vuoto? A volte semplicemente Walter è altrove, prigioniero di un film che non è mai il suo. In questi casi occorre aspettare un attimo, resettare, e tutto riparte come prima. Su Tvtropes la chiamano Daydream surprise: è quel momento di pazzia in cui un personaggio, fino a quel momento ritratto in un contesto realistico, all'improvviso compie qualcosa di folle (ad es. lanciarsi da un grattacielo). Ma è solo un sogno: un attimo dopo la storia ritorna sui binari del realismo quotidiano. Se la fantasia in questione permette al personaggio di sfogare un enorme potenziale di violenza repressa si parla invece di Indulgent fantasy segue. È il caso della sequenza più spettacolare del film, la lotta onirica tra due skater che precipitando da un ascensore sbriciolano il cemento di Manhattan; la prova della resistenza di Matrix nel nostro inconscio collettivo. Un attimo dopo siamo di nuovo nell'ascensore della Time-Life, non è successo nulla. È solo Walter che sogna ad occhi aperti. Non sarebbe Walter Mitty, altrimenti.

In inglese esiste anche l'aggettivo, "mittyiesque". Per il World English Dictionary "mitty" è un personaggio finzionale caratterizzato da sogni a occhi aperti elaborati e grandiosi. Nel gergo dell'esercito è un miles gloriosus, un fanfarone che si attribuisce successi immaginari. Ma nel 1939 Walter Mitty era semplicemente il protagonista di un raccontino di James Thurber, più famoso come vignettista del New Yorker. Un ometto insignificante che accompagna sua moglie a fare shopping e inganna il tempo immaginandosi al centro di scene d'azione che rivelano una fantasia già dominata da stereotipi cinematografici: ufficiale di marina durante una tempesta, chirurgo di fama mondiale, imputato di omicidio, pilota della RAF, condannato per fucilazione. L'intreccio è esile, ma le potenzialità sono immense, così il solito Samuel Goldwyn ne acquista i diritti.

Il film che esce dieci anni dopo è già completamente diverso dal racconto: ora Walter è uno scapolo svagato ma di bell'aspetto (Danny Kaye) che dopo qualche dubbio pirandelliano scopre che il complicato intreccio noir intorno a lui non è un sogno nutrito dai giornaletti pulp, ma è la realtà: compresa la bionda Virginia Mayo che sta cercando di salvare i gioielli della corona olandese eccetera. In sostanza è come se avessero comprato i diritti della metamorfosi di Kafka per girare un thriller sull'uomo scarafaggio.  Thurber si è già dissociato, ma il suo Mitty ormai è patrimonio dell'umanità: nel '52 George Axelrod lo ribattezza Richard Sherman e gli scrive attorno la commedia The Seven Year Itch, la crisi del settimo anno: noi però lo conosciamo col nome italiano del film di Wilder che uscirà qualche anno più tardi, Quando la moglie è in vacanza, con Marilyn Monroe che combatte l'afa in quei modi originali. Probabilmente Sherman è il personaggio più simile al Mitty originale: non un giovane pronto a lanciarsi all'avventura, bensì un quarantenne esposto all'Itch, il prurito che ti coglie quando ti rendi conto che la tua vita ha preso una forma precisa, e che ormai sarà sempre più difficile voltarti, provare un'altra posizione, anche solo per curiosità - ecco, proprio in quel momento qualcosa che se ne stava buono da anni comincia a prudere. Gli ometti di Thurber erano spesso disegnati alla mercé di donne immense, che ad altre longitudini li avrebbero aspettati a casa con il mattarello.

Il Mitty tipico della mia generazione invece è Zach Braff quando in Scrubs alzava gli occhi in quell'espressione estatica... (continua su +eventi!) Anche il figlio di Samuel Goldwyn, indovinate, Samuel Goldwyn Jr, a metà anni Novanta pensava a un Mitty più giovane, visto che lo immaginava tagliato su Jim Carrey. È curioso che Mitty esca nelle sale assieme alla Regina delle Nevi (o a quel che resta di lei): sono due progetti che rimbalzano da quasi vent’anni – per Mitty furono coinvolti a turno Ron Howard, Spielberg, Owen Wilson, Sacha Cohen – e in entrambi casi il problema era lo stesso: la storia. Non funzionava mai, e così registi e attori venivano risucchiati da qualche altro soggetto meglio definito. Accantonato l’intreccio pulp del vecchio film, Mitty non riusciva a diventare il personaggio di una storia tutta sua. Tre anni fa Ben Stiller entra nel progetto come attore; in seguito ne diventa anche il regista, e forse è in quel momento che il film ha preso la svolta che lo ha reso in qualche modo possibile. Il risultato che è uscito nelle sale sembra un compromesso, un po’ faticoso ma riuscito, tra un film di Ben Stiller attore, con numeri fracassoni che si richiamano al genere delle parodie demenziali, e un film di Ben Stiller regista. Quest’ultimo è un professionista meno demenziale di quanto potremmo ricordarci: ha esordito tantissimo tempo fa, con Reality bites (Giovani, carini e disoccupati), è stato il primo a intravedere il potenziale drammatico nelle smorfie di Jim Carrey (The Cable Guy) e poi ha girato soltanto altri due film, molto divertenti ma decisamente sopra la media della commedia ridanciana per famiglie (Zoolander e Tropic Thunder).


Il suo Mitty sembra un Frankenstein ottenuto ricucendo due script nel tentativo di ridurre al minimo i dani. Nella prima mezz’ora è il Ben Stiller che piace ai bambini di ogni età, quello da Notte nel museo, a cui grazie agli effetti digitali succedono cose assurde e buffissime che però stavolta non sono mai davvero divertenti; è come se uscissero dal cilindro di un prestigiatore in una giornata no. Aggiungi che il dilagare dei “movie movie” ci ha un po’ resi diffidenti verso gli sketch parodici. A un certo punto il film salta su un binario diverso e nel secondo tempo Mitty ha praticamente smesso di sognare a occhi aperti: non se lo può più permettere. Sta girando il mondo alla caccia di un fotoreporter vecchia scuola (Sean Penn che si prende in giro da solo, almeno io spero che ci sia molta autoironia). Ogni tanto il primo film fa capolino con intermezzi assurdi, squali e risse aeroportuali; addirittura prende le forme di un nerd di Los Angeles che riesce a trovarti al telefono anche sull’Himalaya. Il secondo film nel frattempo non è che abbia scelto la via più originale: il cattivo è ancora una volta il responsabile risorse umane che deve curare una fusione aziendale (=cacciare un sacco di gente con la scatola di cartone). Però almeno la storia è ambientata in un’azienda vera, anche se re-inventata da capo a piedi: la redazione di Life, nel momento in cui interrompe l’edizione cartacea per trasferirsi su internet (anche lì sarebbe durata poco). È l’occasione per sciogliere un’elegia fuori tempo massimo al bel passato analogico, le foto da sviluppare in camera oscura, i telegrammi, i trentatré giri eccetera. Se non si è capito, stiamo parlando di quarantenni che cominciano a sentire quei pruriti imprudenti e tirano giù dal solaio i vecchi skateboard, le magliette dei Buzzcocks, i piani per un Interrail mai fatto. Se il vostro partner rientra anche solo vagamente nel quadro, tenetelo lontano da questo Walter Mitty: è pericoloso. Anche i ragazzini che si aspettano il Ben Stiller buffo potrebbero restare un po’ delusi. Altri meno giovani saranno felici di rivedere Shirley MacLaine, ti voglio bene Shirley MacLaine.

Non so a che categoria appartenesse il tizio che sedeva alla mia destra. Non ha taciuto per metà film. A un certo punto nel terso cielo d’Islanda sono comparsi stormi d’uccelli. “Vedrai che adesso disegnano la faccia della ragazza”, ha detto lui. Due secondi dopo il volto di Kristen Wiig sorrideva sullo schermo. Mi è caduta la mascella sotto la poltrona – dopo un anno di recensioni per i pregevoli cinema di Cuneo pensavo di essere diventato un po’ più esperto, e invece prendo ancora lezioni dal primo spettatore natalizio che incontro. Ne devo mangiare di popcorn.

I segreti di Walter Mitty è al Cityplex di Alba (20:00 22:15); al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (15:10, 17:40, 20:10, 22:40); al Multisala Impero di Bra (16:10, 20:20, 22:30); ai Portici di Fossano (18:30, 20:30, 22:30).
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Catherine e la medaglia dei miracoli

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Disponibile anche in italiano
31 dicembre - Santa Catherine Labouré (1806-1876), veggente, designer del gadget più diffuso nell'Ottocento

[Si legge completo qui].

Nel marzo 1832, a Parigi, durante i festeggiamenti di metà quaresima, un arlecchino all'improvviso si leva la maschera e prima di accasciarsi rivela un volto paonazzo, innaturale: la folla scoppia a ridere, ma di lì a poco i carretti delle ambulanze cominceranno a caricare decine di persone ancora nei costumi della festa. Il colera è arrivato in città. Farà settemila morti in due settimane, diciannovemila entro l'anno. L'unico rimedio conosciuto e raccomandato dalle autorità è un bagno caldo con aceto, sale e mostarda. Anche linciare repubblicani bonapartisti e legittimisti può servire; non è escluso che siano loro ad avvelenare i pozzi.

Alunna di una centralissima scuola elementare in Place du Louvre, la piccola Caroline Nenain è l'unica della classe che sembra avvertire i sintomi. Le suore della Carità scoprono che è anche l'unica a non avere ancora indossato la Medaglia Miracolosa raffigurante la madonna com'era apparsa alla consorella Catherine Labouré, due anni prima. Fortunatamente le sorelle hanno ampie scorte di medaglie, sono loro che le distribuiscono: Caroline guarirà non appena se la sarà messa al collo. È l'inizio di un successo mondiale che farà della medaglietta il gadget più diffuso dell'Ottocento. Si calcola che ne siano state distribuite almeno un miliardo. Una da qualche parte devo avercela anch'io, in qualche cassetto abbandonato in un trasloco. Potete facilmente procurarvene una anche voi, facendo domanda su un sito che non vi linko, ma è a portata di google. Non costa niente, però ve la mandano con un bollettino da compilare. "...non è una fattura, si tratta di un suggerimento per una possibile offerta libera e del tutto volontaria che aiuterà a portare avanti questa campagna di diffusione della Medaglia Miracolosa". Dicono sempre così, e poi magari cominciano a mandarti il giornalino una volta al mese, e chissà, magari vendono i tuoi dati a frate Indovino, o al messaggero di Sant'Antonio, o San Giuseppe, appena scoprono che sei uno di quelli che compila i bollettini c'è mezzo paradiso pronto a invadere la tua buca delle lettere.

Nella primavera del 1832 la medaglia era appena stata coniata dall'orafo Vachette (quai des Orfèvres 54), sulla base delle indicazioni di padre Jean-Marie Aladel, confessore di Catherine, che al tempo era ancora una novizia. Aladel conosceva già da mesi le visioni della ragazza, e per molto tempo era rimasto scettico; solo quando Catherine lo aveva informato che "la vergine era dispiaciuta" si era deciso a chiedere il permesso al vescovo di Parigi. Quest'ultimo aveva probabilmente in testa altre preoccupazioni: dopo la rivoluzione del 1830 la sua posizione era piuttosto precaria. La medaglietta avrebbe potuto aiutarlo, purché i miracoli arrivassero in fretta: nel frattempo non era il caso di divulgare le visioni di Catherine, altrimenti sarebbe stato necessario fare un processo per omologare la visione, mandare tutto a Roma, e a Roma sono lentissimi su queste cose. All'inizio insomma la medaglia sembrò spuntare dal nulla.

A dire il vero l'iconografia non era così originale: sul verso appaiono, riconoscibili a ogni cristiano di media cultura, due sacri cuori. Quello di Gesù si riconosce dalla corona di spine, quello di Maria dalla spada che, come le aveva annunciato Simeone, "ti trafiggerà il cuore" (Luca 2,35). Sopra c'è una M che sorregge una croce, un rebus abbastanza facile. Il tutto contornato di dodici stelle che, per dirla col lessico giornalistico, sono un vero giallo: benché infatti anche in questo caso il riferimento alle scritture sia molto chiaro (la corona delle dodici stelle della donna "rivestita dal sole", in Apocalisse 12,1), Catherine non sembra aver mai parlato di stelle. Forse sono un'aggiunta di padre Aladel, forse l'orafo sentiva semplicemente il bisogno di un motivo che incorniciasse l'ovale. La scelta avrà una conseguenza enorme e imprevista, se è vero che il giovane disegnatore Arsène Heitz stava proprio leggendo un libro sulla medaglia miracolosa nel periodo in cui disegnava bozzetti per la bandiera del Consiglio Europeo; ne propose diversi, ma alla fine la giuria laica e inconsapevole scelse proprio la corona di dodici stelle in campo azzurro, che poi fu ripresa dagli altri organismi europei e oggi è la bandiera della UE che gli ucraini nei cortei sventolano con allegro coraggio e i forconi italiani strappano rabbiosi dai pennoni degli edifici pubblici (non si potrebbe semplicemente fare uno scambio? i forconi per tre mesi in Ucraina, gli ucraini al loro posto in Italia, vediamo chi cambia idea su cosa). Gli euroburocrati non se ne erano resi conto - e continuano a smentire - ma hanno messo un simbolo mariano sulla bandiera federale: se aggiungi che la scelta fu presa proprio un otto dicembre, festa dell'Immacolata Concezione... però tutte queste cose le racconta Vittorio Messori, e forse andrebbero ricontrollate una per una (continua...)
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Tredicesimo mese del tredicesimo anno

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In azzurro il 2013, in arancione il 2012. Dai dai dai!
Consuntivo 2013

Buon anno, ed eccoci arrivati al consueto autoreferenziale appuntamento. Il titolo di questo pezzo avrebbe dovuto essere "a proposito, il blog è vivo", o "lunga vita a...", ma me lo ha bruciato Kottke e non è che fosse poi questa idea geniale dopotutto.

Bisogna spiegare che il consuntivo dell'anno scorso si chiamava "a proposito, il blog è morto", e proprio in virtù di questo titolo (variazione su un tema abusatissimo) fu molto condiviso e aprì una discussione sullo stato della blogosfera, vi giuro che una volta la chiamavamo davvero così: blogosfera. La discussione aveva poco a che fare col contenuto del pezzo in sé; giustamente molti non ritennero necessario andare molto oltre al titolo, appena quanto necessario a scoprire che il blog di cui si dichiarava la morte era il mio. Non "il Blog" in generale, ma proprio questo mezzo zombie che state leggendo. Alla fine del 2012 se ne constatava il decesso: non era più un blog nel senso tradizionale del termine, somigliava sempre meno al diario personale; stava diventando semplicemente una raccolta di lanci di pezzi che finivano altrove (sull'Unità, sul Post, su +eventi), e benché ad alcuni lettori la cosa dispiacesse a me sembrava inevitabile, amen, addio. Sono morto, alè! Fiammata di accessi.

E non è nemmeno la prima volta. Trucchi di repertorio.
Invece a fine 2013 titolare "il blog è vivo" suona meno interessante. Di sicuro non farà nessuna fiammata. Per fare le fiammate bisogna dichiarare la morte di qualcosa, te lo insegnano nelle redazioni il primo giorno, credo. Poi resta tutta da dimostrare - la vita, intendo.

- The blogs are alright
Non la vita dei blog in generale. Quelli se la passano molto bene, persino in Italia. È vero, la vecchia guardia ormai ha mollato, resta soltanto qualche pittoresco superstite con gli abiti tradizionali, la gente passa e si fa gli autoscatti. E intanto però Diego Bianchi e Makkox hanno un bel programma su rai3; Zerocalcare è stato uno dei casi editoriali dell'anno, è tutta gente che abbiamo conosciuto sui blog, anche se suona un po' strano dirlo in giro. Ormai in determinati contesti se dici "blogger" non parli più di internet, ma di cucina (o di moda, quest'ultima in Italia con sfumatura ironica obbligatoria). E di sicuro mi dimentico qualche altro caso importante - ah, giusto: Beppe Grillo ha quasi vinto le elezioni. Insomma sì, facebook si sta mangiando internet, e anche twitter è tantissimo importante, però i blog ci sono, non sono affatto morti, chi ha detto che sarebbero morti? L'ho detto io? Mi avete capito male, io intendevo il mio. Comunque non è morto neanche il mio dopotutto.

- Anch'io me la cavo tutto sommato 
Questo non era previsto. È la prima volta da quando ho messo analytics (2009?) che gli accessi aumentano rispetto all'anno precedente. +5% le visite, +4% le pagine visualizzate, ok, bruscolini, ma stavo perdendo un dieci per cento all'anno. Potrebbe trattarsi di un semplice rimbalzo tecnico: ovvero, era quasi impossibile andar peggio dell'anno scorso. In realtà avrei persino potuto farcela - ma ci sono state le elezioni. A dire il vero di elezioni ce ne sono state tantissime in 13 anni di blog, ma queste sono state particolari. Per fare un esempio, due pezzi scritti qualche giorno prima e qualche giorno dopo delle elezioni, oltre a essere i due pezzi più letti in assoluto negli ultimi quattro anni, in totale hanno fatto più traffico dell'intero mese di agosto. È come se il 2013 avesse avuto 13 mesi: gennaio, febbraio, beppegrillo, marzo, eccetera.

02/mar/2013, 238 commenti
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21/dic/2013, 111 commenti
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16/nov/2013, 203 commenti
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- Picchi e zoccolo
Quindi il blog sta crescendo? Sì e no. Bisogna separare picchi e zoccolo. Fino a qualche anno fa la maggior parte del traffico di un sito come questo era costituito da lettori abitudinari: gente che ti legge tutti i giorni o con cadenza comunque fissa. Ti conoscono, hanno il tuo indirizzo nei preferiti, o un feed reader che sforna sul loro video ogni tuo post appena pubblicato. Ovviamente uno zoccolo di questo tipo va manutenuto e rassicurato, mediante la ripetizione di contenuti noti (il numero contro Berlusconi, ecc). Lo zoccolo si sta erodendo da anni, è uno sfarinamento lentissimo e apparentemente irrimediabile, la congiura del tempo che passa, dell'autore che si rincoglionisce, dei suoi lettori che si stancano e non vengono rimpiazzati da più giovani, di google che ritocca gli algoritmi, ecc.. In compenso stanno aumentando i picchi: anche quest'anno, nel 2012, i tre post più letti sono anche i più letti degli ultimi quattro anni. I picchi sono quei momenti straordinari, non calendarizzabili, in cui il tuo blog fa cinque, dieci volte gli accessi normali. I lettori del picco non sanno chi sei, raramente hanno letto altre cose di te. A volte non sanno nemmeno di essere su un blog. Arrivano per lo più da facebook (twitter ci prova, ma non ce la fa). Invece un tipo di traffico che non esiste praticamente più è quello in arrivo da altri blog. Non ci linchiamo più. Perlomeno, gli altri non mi lincano più, io cercherò di continuare e di lincarvi anche più spesso, non bisogna arrendersi. Anche se alla fine anch'io spesso finisco per trovarvi su facebook. E anche voi, ammettetelo, magari mi avete nei preferiti, ma non ci cliccate più da un pezzo. Invece se mi trovate in bacheca e se il titolo vi stuzzica, clic...

Questo più o meno dà un'idea di cosa sarà andare a pesca di lettori nel 2014: aspettatevi titoli accattivanti, ma anche didascalici (sull'Unità dopo trenta caratteri te li segano, e se metti "Grillo" davanti il tuo contenuto vale il doppio), a cui seguiranno contenuti sempre più brevi perché anche voi vi state stancando di scrollare. E casomai qualcuno chiedesse: sì, questo blog i lettori se li va a cercare, è la parte divertente del gioco (e i soldi? sempre troppo pochi per parlarne).


- Zeitgeist: c'è dell'aggressività
Oltre a essere state il climax dell'anno (un po' troppo in anticipo), le elezioni ne hanno anche determinato la tonalità dominante, un livido giallino. Non c'è più un obiettivo comune contro cui dare addosso tutti assieme, qualcosa che rassicuri nel momento stesso in cui lo si attacca: non c'è più il bel Berlusconi di una volta, insomma. Qualcuno sta provando a sostituirlo con Napolitano - perlomeno ho la sensazione che molte critiche a Napolitano, più che da un'analisi attenta dell'esercizio delle sue prerogative durante il primo e il secondo mandato, nascano dalla necessità psicologica di trovare un tizio contro cui dare addosso tutti assieme, da sinistra, da destra, da Grillo che non vuole star troppo né da una parte né dall'altra, eccetera.

Io poi non è che mi intenda molto di nulla, però sto in questa grande gabbia globale da un sacco di tempo e fidatevi: era da anni che non sentivo tanta aggressività nei commenti o nei trollaggi. Dal 2003, più o meno, la seconda guerra del Golfo, quando quasi dal nulla spuntò una rete di blog neoconservativi molto bellicosi. Uno dei loro distintivi era il motto "antropologicamente inferiore", che risento oggi rimasticato da qualche grillino inconsapevole - magari è la stessa gente, o almeno gli ultracorpi hanno preso le medesime sembianze. Se poi mi chiedete che fine abbiano fatto tutti i tizi che a quel tempo difendevano la guerra al terrore, la guerra conto le armi di distruzione di massa, la guerra per l'esportazione della democrazia, insomma la guerra, non lo so: sono scomparsi dal radar alla spicciolata, uno alla volta. Un po' mi mancavano. Adesso ci sono i grillini. Sembrano meno equipaggiati dei loro antecedenti; raramente un loro link esce dagli angusti confini linguistici del bel Paese dove il sì suona e nessuno sa scriverlo con l'accento. Si incontrano probabilmente su facebook, ma chi sono io per giudicarli. Anch'io sono sempre più spesso su facebook. È una cosa che ho notato.

- Facebook è tutto ormai
Se devo fare un'analisi dei miei comportamenti, direi che il 2013 è l'anno in cui mi è passata la scimmia di twitter. Continuo a usarlo per lincare contenuti interessanti, oltre ovviamente a qualsiasi cosa provenga da qui (è autopromozione, è l'unica cosa che funzioni, mi dispiace). Ma dove li trovo i contenuti interessanti? Su facebook, appunto. È un ambiente che non mi è mai piaciuto, e che non ho mai avuto la pazienza per voler capire (ma mi domando se qualcuno ci capisca sul serio, Zuckerberg incluso). Ci sono entrato anni fa nel tentativo di capire che tipo di traffico mi stesse mandando, informazione che Zuckerberg ha deciso di tenersi stretta. Ho accettato qualsiasi richiesta di amicizia e il risultato è una bacheca piena di sconosciuti che socializzano cose che quasi mai dovrebbero interessarmi - e invece sta davvero diventando la mia finestra sul mondo. Questa è una delle tante novità inquietanti del 2013 - l'altra è che sto per coprire col nastro adesivo la webcam. Ho letto che Attivissimo l'ha già fatto da un pezzo e tutto sommato mi sembra la cosa giusta da fare. Se me l'avessero raccontato un anno fa mi sarei messo a ridere. Un argomento su cui non ho scritto una riga è il caso Snowden. Non avevo in effetti niente di originale da dire. Ma l'inquietudine sottile che abbiamo sentito da quel momento in poi è forse la cosa più importante che tratterremo dal 2013. Buon anno. Difficilmente potrà essere peggiore.
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Abolire le province è così sciocco

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Proviamo con un esempio, stavolta. Dalle mie parti è stato il Natale più caldo del secolo. È probabilmente un record destinato a infrangersi presto, conviene prepararsi. Temperature miti a Natale significano poca neve sull'alto appennino, precipitazioni piovose un po' dappertutto, fiumi in piena (noi ne abbiamo due abbastanza pericolosi), ponti da chiudere al traffico, e rischi di inondazioni. Per fortuna ci sono le casse di espansione, i bacini artificiali da allagare quando i fiumi arrivano a livello di guardia. E però non sono mai stati collaudati. Pare. In Regione dicono che non c'è problema, ed è sicuro che funzioneranno; anche l'Agenzia interregionale del Po è dello stesso parere, e quindi ce le teniamo così. Nel frattempo dall'altra parte dell'Appennino una procura sta indagando su tredici funzionari accusati di disastro e omicidio colposo, perché? Perché non avevano collaudato una cassa di espansione. Sembrava funzionante. Poi un giorno il Magra ha straripato e ad Aulla sono morte due persone. Più i soliti milioni di euro di danni. Collaudare la cassa d'espansione sarebbe costato meno, ma è un'operazione complessa e non del tutto priva di pericoli, che arreca disagio alla popolazione, e così alla fine non è mai la priorità di nessun funzionario o politico.

Se i politici tendono a non pensare più di tanto al territorio, non è per miopia o egoismo; semplicemente, il territorio non vota (continua sull'Unita.it, H1t#211).

Votano i cittadini, e i cittadini sono sempre più concentrati nei centri. Del dissesto territoriale si accorgono soltanto quando arriva la piena. Una possibile soluzione poteva passare per il potenziamento dell’ente provinciale, che ha le dimensioni ottimali per occuparsi dei problemi relativi al territorio e alla viabilità. I comuni sono troppo piccoli, le regioni troppo grandi. La provincia era perfetta: sicuramente qualcuna avrebbe potuto essere accorpata, ma in generale è l’entità territoriale che permette di gestire un fiume, una valle, una catena montuosa; l’unica in cui gli amministratori potrebbero trovare l’equilibrio tra le esigenze del centro urbano e quelle del territorio circostante.
Avremmo dovuto potenziarla. Invece a un certo punto qualcuno ha cominciato a dire che andava abolita, e a furia di ripeterlo ci abbiamo creduto tutti. Quella che resterà in piedi col decreto Delrio sarà una specie di dopolavoro dei sindaci, dove la bilancia penderà ancora di più dalla parte di chi rappresenta i centri urbani più popolati. Questi sindaci-volontari dovranno preoccuparsi di inezie come il dissesto idrogeologico praticamente gratis. Bisogna infatti risparmiare, tutte le forze politiche ci tengono molto a risparmiare e pare che il modo migliore sia non pagare lo stipendio ai politici che devono vigilare sul territorio. Non è ancora ben chiaro quanto risparmieremo: vedremo.
Intanto, solo per la piena del Magra, nel 2011, abbiamo buttato via centosettanta milioni – nulla che Berlusconi non potesse risolvere ritoccandoci le accise sulla benzina. Magari capiterà anche a Letta. Però vuoi mettere la soddisfazione di non votare più per i consiglieri provinciali. http://leonardo.blogspot.com
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5 film del 2013 che sono piaciuti a tutti tranne a me

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Non è che uno debba avere idee originali per forza - però su un blog aiutano. Troppo facile stroncare i film che non sono piaciuti a nessuno (cioè quello di Refn). Questi sono i cinque titoli che nel 2013 mi hanno tenuto più lontano dall'opinione generale di critici e pubblico. Sia gli uni che gli altri ancora non riescono a farsene una ragione, lo so: sed magis amica veritas o qualcosa del genere.

5. La grande bellezza. Non è che sia proprio piaciuto a tutti, in realtà; ma se arrivano i premi internazionali toccherà far finta di niente e fischiettare. A me era sembrato sin da subito un film da esportazione, quindi a stupirmi non è tanto un'eventuale nomination, quanto il successo al botteghino italiano. Tocca accettare che questo film di vecchi che ballano che a tratti sembra una gita aziendale sui set della Dolce Vita (con dialoghi che sembrano veramente pronunciati da un cicerone abusivo al megafono) è quello che negli ultimi anni ha messo più d'accordo critica e pubblico, e pazienza se li ha messi d'accordo contro di me. Sono felice per Servillo e per Sorrentino, anche se temo che dopo un successo del genere sarà ancora più difficile cercare di contenerlo: preveggo sette anni di carrelli e cartoline, storie senza costrutto e sceneggiature ridondanti, e vecchi che ballano, e critici che applaudono. Senza dubbio sopravviveremo, però che spreco.

4. Lincoln. È un film che assomiglia al Real Madrid quando ci giocavano tutti i fuoriclasse e perdeva le partite. Cioè sul serio puoi prendere un regista come Spielberg, uno scrittore come Kushner (il principale responsabile del disastro, secondo me), interpreti come Daniel Day-Lewis e Tommy Lee Jones, un soggetto così inattaccabile come Lincoln e l'abolizione della schiavitù... e far melina tutto il primo tempo e poi fallire due tiri in porta incredibili? A volte semplicemente non c'è nulla che funzioni: Lincoln dovrebbe fare discorsi memorabili e non li fa, dovrebbe anche sembrare un machiavelli ma non ce la fa, in qualche momento sembra Obama che litiga col congresso. Aggiungi una scrittura confusa, che vorrebbe forse imporre una tesi ma senza far troppa violenza ai fatti storici e finisce per tradire l'una e gli altri: sicché da una parte ci si aspetta che lo spettatore sia un uomo di mondo che sa che i parlamentari vanno comprati al dettaglio, ma dall'altra si pretende che al momento giusto si commuova per l'ennesimo nobile discorso del Padre della Patria (lo stesso che si sta comprando i parlamentari). Aggiungi casini famigliari di cui non frega niente a nessuno; c'è chi riesce a mescolare politico e privato senza dar fastidio ma Kushner stavolta no. Aggiungi la goffaggine con cui si rovina una ricostruzione storica con anacronismi sciocchi (la diretta del voto parlamentare via telegrafo, sul serio?) Aggiungi che non puoi vendere uno Spielberg di due ore e mezza sulla guerra di secessione senza neanche una scena d'azione, e cercare di rimediare con una scenetta splatter. Sembra il film di qualcuno che ha apprezzato Amistad senza riuscire a capire la trama e vuole provare a farci un sequel: sta ad Amistad come la Grande bellezza alla Dolce vita, in un certo senso.

3. Facciamola finita. Ad alienarmi da This is the end non è tanto il fatto che metà degli attori non li conosco - e quindi il fatto che si prendano in giro da soli più di tanto non mi prende. Non è neanche la ddroga - ok, è un film esplicitamente scritto da una banda di amici mentre si passavano la canna, e io non c'ero, e comunque non fumo. Ma non è questo, giuro. A lasciarmi freddo mentre guardavo This is the end, unico al mondo a quanto pare, è lo spaventoso tasso di bromance ormai dato per scontato. Cioè, questi sono di qualche anno appena più giovani di me e si fanno le scenate di gelosia tutto il tempo, santiddio ma siete ometti, datevi un tono. Non so se anche in Italia i trentenni abbiano queste dinamiche - non lo so e non mi interessa - io al tempo dei Backstreet boys ero già troppo vecchio anche solo per detestarli virilmente. Forse non mi sono mai sentito così anziano al cinema. Comunque viva Emma Watson.

2. Spring Breakers. Ora che è passato un po' di tempo - e Miley Cyrus vi ha mostrato un po' di lingua - magari potete anche ammetterlo: vi siete comprati una patacca. Avete scambiato per esperimento d'avanguardia artistica un'operazione - la sessualizzazione delle attrici teen Disney - che ha prima di tutto un senso commerciale: è bastato metterci un regista un po' di culto che preferisce dialoghi fuori sincrono, e James Franco - rapper con l'apparecchio dei denti che sugge la canna di una pistola con trasporto. Vi siete raccontati storie su un videoclip di un'ora e mezza da mandare in loop alle feste dove si offrono i tiri gratis alle ragazzine. Il bello è che le ragazzine vere, e i loro coetanei, un film del genere te lo prendono a calci: tipo che cioè è una storia senza senso e poi dicono sempre le stesse cose e non si capisce dove vanno a finire. Hanno ragione loro - e Alessandra Levantesi Kezich, ovviamente.

1. Zero Dark Thirty. Ripensandoci, un film molto irritante. Non perché difenda la tortura, come ha scritto qualcuno - almeno sarebbe sincero, eh no: deve fingere distacco, deve dire e non dire che la tortura potrebbe non essere stata necessaria, così magari ci cascano sia gli apologeti di Bush che Michael Moore. Zero Dark Thirty è un enorme SUV della Cia che gira per le stradine polverose di una città pakistana e crede che nessuno lo noterà; che nessuno farà caso al fatto che sta girando intorno alle stesse case da mezz'ora: perché sono tutti scemi notoriamente i talebani. Zero Dark Thirty è tutto così, una massiccia operazione di pubbliche relazioni che si atteggia a docufilm e dà per scontato che ci cascheremo. Torturatori sensibili che accarezzano scimmiette; nobili effettivi delle forze speciali disposti a rischiare la vita se la principessa crede che sia il caso; sauditi decadenti pronti a vendere Bin Laden per una Lamborghini; ed è previsto che noi ci beviamo tutto quanto. Siamo tutti paesani scemi che vedono un enorme SUV che gira in tondo e non ci facciamo caso. Ridateci Argo. Ma anche Rambo tre aveva più rispetto per lo spettatore (nonché per i valorosi combattenti afgani).
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5 film del 2013 che sono piaciuti solo a me

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Quest'anno grazie a +eventi mi sono rimesso ad andare al cinema, dopo un periodo di astinenza più o meno forzata. All'inizio ogni film mi sembrava un capolavoro, poi lentamente l'adrenalina è tornata ai livelli di norma e se dovessi fare una classifica dei film migliori, questa sarebbe molto prevedibile (Gravity, Adèle, Django, No, le solite cose che avete già visto in classifiche più prestigiose) ed evidenzierebbe i film che non sono riuscito a vedere. Forse ha più senso tirar fuori qualche titolo che è passato inosservato, o che rischiate di non recuperare perché tutti ne hanno parlato male e invece secondo me ne vale la pena. Ecco quindi la molto eludibile classifica dei cinque film del 2013 che sono piaciuti soltanto a me (più uno che in realtà è piaciuto a un sacco di gente).

Oblivion. Se ne può senz'altro parlare molto male. Oblivion è un porno per architetti, e come in ogni porno la trama è un pretesto. Oblivion è la versione cinematografica di una graphic novel che nessuno ha pubblicato, e forse un motivo c'era. Oblivion è un film col twist che se non hai quindici anni lo indovini nei primi dieci secondi dello spiegone iniziale (buonasera sono Tom Cruise nel futuro, purtroppo mi hanno cancellato la memoria ma ora racconterò cosa mi hanno spiegato essere successo). Oblivion è un centone di citazioni fantascientifiche ricombinate assieme come ci piaceva fare negli anni Novanta (un albo di Nathan Never, in sostanza) salvo che siamo negli anni Duemilaedieci e c'è internet, e ti sgamano tutti subito, non è più divertente citarsi addosso così. Oblivion è un Moon coi soldi e con gli inseguimenti e le sparatorie e la, la, Olga Kurylenko. Però Oblivion è anche il film in cui Tom Cruise ci suggerisce con leggerezza che sì, lui potrebbe essere un clone di sé stesso. Un film il cui "buono" si rivela un'arma di sterminio, il nemico numero uno della razza umana. Un film in cui Andrea Riseborough è meravigliosa: un po' automa, un po' casalinga maniaca, un po' impiegata frustrata. Sotto le vostre residenze famigliari, è bene che si sappia, c'è un drone pronto ad attivarsi quando risponderete nel modo sbagliato alla domanda: "Siete ancora una squadra efficiente"?

http://htmlgiant.com/reviews/25-points-cloud-atlas/
Cloud Atlas. Se il 2013 è l'anno in cui la Germania ha coronato il sogno millenario di egemonia europea (ed è buffissimo che Angela Merkel sia riuscita dove né Hitler né Guglielmo eccetera), Cloud Atlas rappresenta una speranza per tutti: al culmine del loro potere, i tedeschi potrebbero pur sempre bersi il cervello e buttare via milioni di euro invitando i Wachowski e altri prestigiosi scarti americani in una baracconata sconclusionata e meravigliosa. Cloud Atlas è come quando da bambino leggevi i fumetti in piedi in libreria e ti mancava qualche episodio in mezzo, però con gli attori veri truccati malissimo. Cloud Atlas poteva anche durare il doppio e mi sarei divertito il doppio - ma non so cosa mi sarebbe costato in pistacchi.

Il grande Gatsby 3d. Il 2013 è stato l'anno dei tamarri, non so se ve ne siete resi conto. Orgogliosamente tamarro è Jamie Foxx nei panni vezzosi di Django; ironicamente tamarro l'alieno rapper inventato da James Franco per Spring Breakers, e così via. E il film più tamarro di tutti non poteva che farlo Baz Luhrmann. Se non lo avete visto in 3d su un grande schermo, non credo valga la pena recuperarlo su altri supporti: dovete fidarvi, Luhrmann stavolta ha preso un feticcio della cultura del Novecento e lo ha tradotto per immagini a un pubblico analfabeta, ma abituato a googlare ogni tre per due. Capita così che una vaga notazione topografica diventi un volo d'uccello come se lo immagina un utente di Google Maps. Ma in generale, la sensazione è quella di un enorme libro popup che alla lunga ovviamente stanca. Il giorno dopo ci si sveglia col mal di testa e un senso di colpa, come quando hai bevuto troppo a una festa di cui non conoscevi l'ospite.

Promised Land. Girato da Gus Van Sant senza troppa convinzione, portato sulle spalle da Matt Damon che non delude mai, Promised Land è un western senza pistole - ma con le concessioni minerarie. Capisco benissimo che sia passato inosservato, ma è il film che più di tutti mi ha parlato dell'oggi, e non di qualche ieri o domani più o meno remoti. C'è il fracking, c'è l'ambientalismo che degenera in populismo paranoico e pseudoscientifico, e c'è un colpo di scena buttato lì che secondo me vale il prezzo di molti biglietti. Come mai in un movimento di protesta le persone più ragionevoli sono eclissate dai paranoici? Promised Land ti propone una risposta - non immune da paranoia.

Nella casa. Forse perché tecnicamente è un film dell'anno scorso, Nella casa mi sembra assente da tutte le classifiche che ho visto in giro. Quanto a me, probabilmente pesa il fatto che sia la storia di un insegnante di letteratura che ha sepolto le sue velleità di scrittore - fatto sta che Nella casa è il film che mi è più piaciuto quest'anno, e dire che i film francesi raramente li sopporto. Ozon è in un momento di grazia, speriamo che duri; ma un grosso merito deve avercelo anche il testo teatrale di Juan Mayorga a cui è riuscito a dare una nuova vita cinematografica, senza stravolgerlo.

Bonus: un film che è piaciuto a molti, ma non a tutti: 

Pacific Rim. Speravo di poterlo includere nella rosa, ma purtroppo vedo che l'idea di épater i lettori con un film di robottoni che pigliano a pugni i dinosauri è venuta a molti. Pacific Rim in effetti è un film molto divertente, scritto con un amore e un rispetto per la materia che abbiamo visto di rado in film del genere. Pacific Rim poi riesce ad andare dritto al cuore di chi con i dinosauri o con i disastri naturali in genere ha un conto in sospeso, e che in realtà si accontenterebbe anche di effetti meno speciali, purché ogni tanto al cinema qualcuno si ricordi di salvare le bambine dai draghi e dire cose che vogliamo tutti sentire da papà, te la cancello io l'apocalisse, cose del genere. Però alcuni l'hanno trovato banale. Cioè non è che non volevano vedere un film di robottoni e dragoni i cui acari vengono venduti al mercato nero, no, l'idea li solleticava, ma volevano dialoghi meno scontati, una trama meno lineare, capite: ok prendersi a codate tra i grattacieli, però servirebbero pretesti più complessi, sennò quando crolla il grattacielo restiamo freddi. A costoro che dire: tenete duro. Magari tra dieci anni vi cagano una nuova puntatona di tre ore di neongenesisevangelion che vi spiegherà finalmente il senso del cosmo e della vostra posizione in esso. Nel frattempo forse è meglio non andare più al cinema quando proiettano cose per ragazzini.
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"È Natale, presto, scalda gli avanzi!"

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Buone feste a tutti (i soliti postpanettoni per chi si annoia a Natale):

Odino + Turchia = Babbo Natale, 2012.
Il secondo avvento, 2011.
Mite agnello redentor, 2009.
Gli spettri dei Natali passati, 2006.
Ungaretti, 2002.

Per chi si sveglia direttamente il 26: Stefano il Saccente.

Infine non dimenticare che a Natale tu festeggia la nascita di un extracomunitario, Gesù!



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Il ritorno dell'uomo di neve (nazista!)

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Frozen - il regno di ghiaccio (Chris Buck, Jennifer Lee, 2013).

1943. Walt Disney sta vincendo la guerra, quella mondiale. Il suo documentario con inserti animati, Victory Through Air Power, ha convinto Roosvelt che la conquista dello spazio aereo è una necessità strategica; nel frattempo Paperino vinceva l'Oscar spernacchiando Hitler in Der's Fuehrer's Face. Anche se molti disegnatori sono impegnati a disegnare cartelloni di propaganda, Disney continua a pensare ai lungometraggi - magari se si spettezzasse la storia in più episodi, come in Saludos Amigos, si riuscirebbe a lavorare con team diversi, a riciclare un po' di materiale... Proprio in quel momento il produttore Samuel Goldwyn (sì, uno dei tre che aveva fornito il nome alla Metro-Goldwyn-Mayer, roar) gli si fa incontro con un'offerta irrifiutabile: un musical su Hans Christian Andersen. Idea perfetta: si potrebbero alternare spezzoni biografici filmati dal vero con attori in carne e ossa, e cartoon di animazione in stile Silly Symphonies, di cui almeno uno, Il brutto anatroccolo, è già pronto (ed è un capolavoro). Disney è entusiasta, eppure dopo qualche mese l'idea si arena. Perché?



1944. Adolf Hitler sta perdendo la guerra, quella dei cartoni animati. Dev'essere particolarmente difficile per lui ammettere la superiorità sul campo degli americani, quei mediocri combattenti (di questo il fuehrer è persuaso, tant'è che sulle Ardenne ordinerà di concentrare gli attacchi sulle truppe inglesi). D'altro canto è sempre l'uomo che si è squadrato i baffetti per somigliare più a Charlie Chaplin: il cinema americano ha un certo ascendente su di lui, e l'americano che più lo incanta è Walt Disney. E però al fondatore del Terzo Reich non è concesso di sciogliersi davanti a Fantasia: anche nel momento di massima commozione, non può non constatare l'enorme scarto tecnologico che separa le produzioni californiane da quelle dell'UFA nazionalizzata. Certo, l'Agfacolor ormai funziona, e costa meno del Technicolor - ma dove sono i capolavori? I musical? I lungometraggi animati? Sarà anche per la necessità di sostenere una guerra mondiale su tre fronti diversi, nel mentre che si massacrano milioni di civili, fatto sta che l'animazione tedesca è dieci anni in ritardo sui competitors d'oltreoceano: ci si arrangia con dei brevi film musicali o di propaganda.  Il meglio riuscito, Der Schneemann, è la storiella buffa e poetica di un pupazzo di neve che in una fredda notte prende vita e si nasconde in un frigorifero per vedere l'Estate, il trionfo dei colori - per poi squagliarsi nei prati con nietzscheano amor fati, mentre un coniglio rosicchia meditabondo la carota che fu il suo naso...



Nel frattempo in California Disney si sta concentrando sui Tre Caballeros, un film a episodi per il mercato latinoamericano in cui Paperino ballerà con Carmen Miranda: il progetto kolossal su Andersen è stato ormai abbandonato - alla fine Goldwyn lo produrrà da solo negli anni Cinquanta, coi balletti al posto dei cartoon. Forse la guerra era ancora lontana dall'essere vinta, dopotutto; forse i disegnatori in congedo erano ancora pochi. Forse. Oppure possiamo credere, come racconta la fiaba, che a bloccare il film fu proprio la Regina delle Nevi. La più gelida delle novelle di Andersen: gli sceneggiatori della Disney non riuscirono a venirne a capo. Nulla a che spartire con quella di Biancaneve, vanesia e trasformista, straordinariamente fotogenica. La Regina di Ghiaccio è fredda e impassibile; sequestra solo i bambini che intimamente la desiderano, e non li mangia; li custodisce intatti in un freezer a forma di castello. A rileggerla non sembra così impossibile da animare, la Regina: lo stesso Andersen, ormai consapevole della sua statura di mitologo, l'aveva concepita come "fiaba di fiabe", un vero e proprio lungometraggio di carta strutturato a episodi.

La Regina sovietica in effetti ha già qualcosa di meganoide
nell'espressione.
Nel 1957 ci riusciranno i sovietici, che a Berlino non avevano raccattato soltanto qualche ingegnere balistico utile per la corsa allo spazio, ma anche il brevetto dell'Agfacolor - subito ribattezzato Sovcolor. Snezhnaya koroleva, la Regina delle Nevi di Lev Atamanov, non è all'avanguardia come gli Sputnik, ma ha un merito immenso: è il film che convinse Hayao Miyazaki che i lungometraggi animati erano fattibili anche in Giappone. Finché il punto di riferimento era l'inarrivabile Disney, non c'era nulla a cui aggrapparsi: invece i russi, con le loro ingenuità, davano speranza. È un vecchio discorso. Grazie a Laika abbiamo avuto le stazioni orbitanti, grazie alla Regina Snezhnaya abbiamo avuto gli anime, e io un giorno su Cartoonito ho visto anche Hello Kitty nei panni di Gerda contro la Regina delle Nevi, ve lo giuro, non ne trovo traccia su internet, eppure esiste (a proposito, sfatiamo la leggenda che Hello Kitty non abbia la bocca: ce l'ha, ma l'apre solo se necessario: un modello per tutti i bambini). Quindi insomma la Regina delle Nevi si può fare. Non ha nulla di tecnicamente insormontabile o contenutisticamente scabroso. Però alla Disney non ci sono mai riusciti.


Elsa deve imparare a maneggiare il suo favoloso potere, dopodiché diventerà una fredda designer di ambienti asettici; Anna invece è solo solare e un po' pazza.
Eppure non hanno smesso di provarci. Soprattutto da quando un'altra principessa di Andersen, quella squamata, ha rimesso in piedi il carrozzone dopo i passi falsi di fine anni Ottanta. Alla Disney ci pensano da allora, ma com'è come non è, non sono mai riusciti a disneyzzare la fiaba del ghiaccio nel cuore. Ma perché? Cosa c'è di irriducibilmente non disneyano nella regina di ghiaccio? Non lo so. So per certo che quella storia mi dà un freddo tremendo. Le fiabe di Andersen non sono come tutte le altre fiabe. Se nella letteratura c'è un prima e un dopo Omero, nella fiaba c'è un prima e un dopo Andersen; gli antropologi dovrebbero rifletterci. Prima di lui c'è ancora la preistoria dei sentimenti: streghe che mangiano bambini e bambini che ammazzano streghe senza un retropensiero. Poi in pieno Biedermeier arriva questo scribacchino, e all'improvviso le fiabe parlano di noi: di come siamo invidiosi, gelosi, arrabbiati, di come ci sentiamo soli, di come ci aggiriamo nudi per la città facendo finta di niente mentre i bambini ridono. Quello che ci descrive Andersen non è più l'australopiteco davanti al fuoco; è l'homo burgensis che riattizza il caminetto attento a non sporcarsi di cenere la camicia. Da che tempo e tempo ci sono state regine malvagie, ma quella di Andersen è qualcosa di nuovo e forse insostenibile: è la depressione che ci aliena dai nostri amici di infanzia, il rovescio del sogno dell'eterna giovinezza: essere bambini per sempre significa non amare mai. Ma forse ai bambini è meglio raccontare storie più leggere.

Olaf. Gli piacciono gli abbracci. BAMBINI NON
FIDATEVI È UN NAZISTA TRAVESTITO!!1!
Il progetto Regina delle notti è passato da un cassetto disneyano all'altro per tutti gli anni Novanta. Ogni tanto un altro sceneggiatore alzava le mani: non è possibile farci un film. A un certo punto stavano per passare il progetto alla Pixar. Poi se lo sono ripresi. Poi dalla Pixar si sono presi anche John Lasseter, che negli ultimi anni ha pixarizzato la Disney. Non è soltanto una questione di computer-grafica, come chi ha visto Ralph Spaccatutto ben sa. È una questione di coraggio: la Pixar poteva permetterselo, la Disney doveva pensare ai bambini. Finché a un certo punto la Pixar ha iniziato a voltarsi indietro, dedicando prequel e sequel non sempre esaltanti ai suoi vecchi personaggi; mentre la Disney con Rapunzel e Ralph faceva passi enormi in un terreno insicuro. Ralph era uno dei film più belli dell'anno scorso, ma non so se lo farei vedere a un bambino. Frozen, in confronto, sembra molto più rassicurante - e in effetti lo è. Se non conosci la travagliatissima storia produttiva che ci sta dietro, e che comincia sul fronte della Seconda Guerra Mondiale, puoi scambiarlo per l'ennesimo film dove le principesse Disney si emancipano facendo molte faccette buffe e cantando mielosità che probabilmente in originale suonano meglio. Gli scenari sono meravigliosi, l'animazione è da brivido, dov'è il trucco? Che la Regina delle notti non c'è più. A un certo punto l'hanno fatta fuori, per sostituirla con una classica super-teenager che deve imparare a maneggiare i propri poteri. Non proprio una Winx, no, ma una Witch, diciamo. Insomma, sì, il film è indubbiamente molto bello, ma un maschietto non credo che ce lo porterei. L'adulto invece dovrebbe apprezzare particolarmente Olaf l'omino di neve, che nel suo numero musicale sogna di vedere l'estate. Quel pupazzo, anche lui così generoso di faccette buffe, è un omaggio al capolavoro dell'animazione nazista, lo Schneemann di Hans Fischerkoesen che moriva squagliandosi d'estasi in un prato fiorito. Questo è essere adulti: cedere all'amore e accettare la morte. Nel '44 non doveva essere difficile pensarci. Ma alla Disney non ci stanno, alla Disney vorrebbero tenersi i primi amorazzi delle ragazzine e il sogno d'infanzia perpetuo dei bambini: a costo di fornire il pupazzo di neve di una nuvoletta personale. La vera Regina delle Nevi non si sarebbe mai comportata così. Lei ti incontra un mattino mentre ancora giochi in cortile: ti riconosce tra mille; ti porta in un luogo lontano dove anche gli squilli di telefono degli amici ti suonano falsi: e là, solo là puoi essere un bambino per sempre.

Frozen è dappertutto e ci resterà per parecchio. In 2d lo trovate al Cine 4 di Alba (20:00); al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (15:00, 17:30, 20:10, 22:35); all'Italia di Saluzzo (20:00, 22:15); al Cinecittà di Savigliano (20:20, 22:30); in 3d al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (15:10, 17:40, 20:20); al Multisala Impero di Bra (20:20, 22:30). Buon Natale a tutta Cuneo e provincia.
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Credo che le Iene dovrebbero chiudere

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La Iena piangente

Ministri cattivi non salvano bambine.
Il mio parere, per quel poco che vale, è che a questo punto le Iene dovrebbero chiudere. Non tanto per la scellerata pubblicità fatta a Vannoni e alle sue cellule staminali miracolose che miracolose purtroppo non erano, e forse nemmeno così staminali. Nemmeno a causa dell'articolo 643 del codice penale, che punisce chi abusa "dei bisogni, passioni o dell'inesperienza di persona minore o in stato d'infermità o deficienza psichica, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto" con la reclusione da due a sei anni e con una multa da 206 euro a 2065 euro, ma non con la chiusura d'ufficio di una trasmissione. Tanto più che duemila euro son comunque bricioline rispetto al costo di uno spot pubblicitario durante le Iene show; quindi in fondo il gioco valeva la candela; e chi si prendesse davvero due anni con la condizionale se ne starebbe comunque a casa e potrebbe pure atteggiarsi a vittima delle lobbi farmaceutiche.

Io credo che le Iene dovrebbero chiudere come qualsiasi altra trasmissione, dopo più di dieci anni di sfruttamento intensivo: solo Homer Simpson non invecchia mai. E lo dico con la morte nel cuore, perché le Iene hanno fatto robe orrende ma anche ottimo infotainment; ed erano una delle poche trasmissioni che forassero l'attenzione anche dei preadolescenti, fornendo a insegnanti come il soprascritto un terreno comune di discussione la mattina dopo. D'altro canto mi rendo conto benissimo che c'è la crisi, e che i format non crescono sugli alberi, per cui non mi faccio molte illusioni: le Iene torneranno. Ma avranno ancora un po' di credibilità?

Secondo me sì.

Per esempio potrebbero cominciare con un bel servizio in cui una iena - magari una giovane, alla prima esperienza - sorprende Golia su un marciapiede e comincia a tallonarlo con domande scomode: Giulio, ma tu hai qualcosa da dichiarare sul rapporto relativo ai campioni sequestrati dai NAS? sui rischi di contrarre encefalite spongiforme? Giulio, ma è possibile che dopo dieci anni a beccare i finti idraulici tu ti sia fatto infinocchiare dal santone spettinato con l'elisir di lunga vita? Giulio, quand'è che hai capito che era tutta una speculazione, un'estorsione ai danni di persone disperate, ma ormai era troppo tardi per fare marcia indietro? Giulio, non è mai davvero troppo tardi per fare marcia indietro, su: voltati, dai, guarda in camera, rispondi. Giulio invece prosegue imperterrito fino allo studio tv. Entra nel camerino.

E lì scoppia a piangere, da grande professionista che è, e legge sul gobbo un discorso più o meno così: lo avevo capito quasi subito, ma gli ascolti... lo sapete quanto sono importanti nel mio mestiere gli ascolti? Ve ne stavate tutti andando, è un po' anche colpa vostra, no? La trasmissione è in piedi da cent'anni ormai, se provo a incastrare un idraulico mi riconosce già dallo squillo della telefonata. Avevo il fiato dei direttori sul collo, dovevo inventarmi qualcosa di nuovo. Mi dispiace snif, mi dispiace, nel frattempo magari è morto qualcuno, e vabbe', almeno è morto sperando. Siamo intrattenitori in fin dei conti, non abbiamo mai detto di avere una soluzione per tutti i mali.

Cioè no in effetti a un certo punto lo abbiamo detto - ma era televisione, mica dovevate crederci.
Buio. Pubblicità. Balletto in studio. Si riparte.

Le 16 tappe fondamentali del caso Stamina e perché così in Italia la scienza muore.
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