Il colpo all'italiana di Peppa Pig
18-01-2014, 03:11>1000, animazione, cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivoPermalinkPeppa Pig, vacanze al sole e altre storie (il titolo originale non esiste perché si tratta di dieci normali puntate di Peppa Pig, dirette nel 2011 probabilmente da Phillip Hall e Joris van Hulzen).
Ciao (oink), io sono Peppa Pig. Questo è il mio fratellino George (oink). Questa è Mamma Pig (oink). Questo è Papà Pig (OINK!) E questa è una rapina che i distributori italiani hanno deciso di infliggere ai vostri genitori, i quali pagheranno uno o due biglietti a prezzo pieno per guardarsi con voi dieci miei episodi inediti; gli stessi episodi che tra un mese saranno costretti a rivedere e riascoltare su Ray YoYo un giorno sì e un giorno no. Oink, se non è una porcata questa.
D'altro canto voi avete in media quattro anni, come me; e io (oink!) sono l'unico personaggio che riesce ad attirare la vostra attenzione per un'oretta scarsa. L'unico vero fenomeno di massa provenuto dal digitale terrestre. Vengo dalla Gran Bretagna, dove l'intrattenimento per bambini di età prescolare è una scienza, non un feudo parastatale, un ripiego per autori frustrati o un intermezzo tra le pubblicità dei pannolini. Per dire, i Teletubbies li ha creati la BBC. Ma io, oink! diciamolo, sono veramente meglio di quei quattro pupazzi telecomandati, che agli adulti sono sempre riusciti incomprensibili. Io invece riesco a piacere anche ai vostri genitori, per via della garbata ironia (oink!) dei miei autori. In inglese si dice "tongue-in-cheek", credo che significhi dire delle cose con la lingua irrigidita nella lingua per evitare di mettersi a ridere; ecco, Neville Astley, Mark Baker e Phillip Hall me li immagino così, sempre con la lingua nella guancia mentre mi fanno dire e fare cose normalissime, oink! ma anche molto divertenti. Nel mio mondo tutto è semplice come deve sembrare a un bambino di quattro anni. Gli adulti fanno qualche sciocchezza, nulla che non si possa risolvere con qualche risata. A volte guardano la tv. Guardano programmi noiosi, a base di patate e altri ortaggi che parlano e parlano. Io non sono così.
Io sono la rivincita dell'animazione 2d, dopo anni in cui qualsiasi cartone anche minuscolo doveva avere una computer-grafica tridimensionale. Migliaia di brutti cartoni con svolazzamenti di camera gratuiti e giochi di luce e di ombra che aumentano il realismo dove non se ne sente alcun bisogno, ma il più delle volte fanno sembrare i personaggi finti come robot di plastica in un mondo astratto senza un granello di polvere - non troppo a monte della valle perturbante. Io invece sono 2d e me ne vanto, oink! Sono piatta come nei vostri disegni; così piatta che mi hanno disegnato gli occhi sullo stesso lato della testa, il che ha reso un po' problematico il merchandising (diciamolo, i miei pupazzi sono veramente brutti). Ma forse quando mi sbozzarono non avevano in mente l'affare da milioni di sterline che sarei diventata. Ho persino un parco a tema, come Topolino, ma nell'Hampshire. Ora sapete dove volete andare in vacanza, oink! ditelo a mamma e papà.
Io invece sono venuta in Italia, come scoprirete al cinema... (o su piueventi, dove continua...) Ho imparato che anche voi mangiate la pizza, che avete macchine più piccole e buffe, che i vostri carabinieri sono molto gentili e sempre pronti a inseguire mio papà; non perché guida sempre sul lato sbagliato (papà pasticcione!), ma per rendermi l’orsacchiotto Teddy, che perdo dappertutto. Mi sono vista sulla prima pagina di Vanity Fair Italia, ho letto il pezzo che mi ha dedicato Gramellini – è a quel punto che ho capito di essere diventata mainstream anche in Italia. Anche se voi e i vostri genitori mi seguivate quando ero ancora di nicchia, certo. All’inizio su Rai YoYo ero una striscia tra tante: dieci minuti tra Bob Aggiustatutto e Sam il Pompiere. Poi mi sono mangiata Bob, mi sono mangiata Sam, adesso all’ora di cena c’è una cosa che la signorina presentatrice chiama “scorpacciata” e consta di un’ora e mezza di Peppa Pig show. Peccato che i miei disegnatori non siano stati molto prolifici – appena quattro stagioni da 52 episodi, di cui una inedita in Italia fino a un anno fa. Quando la signorina l’estate scorsa cominciò a promettere “novità a casa di Peppa”, nei vostri genitori nacque un barlume di speranza: arrivano puntate nuove! Le vecchie le sapevano a memoria. Ormai in casa si comunicava mediante citazioni dei miei episodi: non è affatto divertente! ora sono molto rotto. Bleah! Sa di crema pasticcera e di calzini sporchi. Sono uno splendido cigno, oink! Il passero fa bau, il cane fa cip, e così via. Questa infinita litania forse era giunta a termine.
A settembre arrivò soltanto mezza stagione – ma in tripla versione: italiano, inglese con la voce narrante in italiano, inglese. Una bella idea per familiarizzare con la musicalità di una lingua straniera, nonché per allungare il brodo. Nel giro di una settimana anche i nuovi episodi erano stati metabolizzati e memorizzati. Nel frattempo si avvicinava Natale, e io dilagavo negli spot: compra le mie figurine! la mia casetta! la mia automobile! la mia nave! il mio orsetto! il cd delle mie canzoni, così i tuoi genitori potranno ascoltarmi anche in macchina, lo sai, non vedono l’ora, oink! E proprio quando il regalo di Natale era stato ormai acquistato, l’annuncio fatale: bambini, sono anche al cinema! Dieci mie puntate a sette euro, dai, un affare!
In queste dieci puntate, a parte il viaggio in Italia, non succede niente di particolare. Una gita all’acquario con i miei e il mio pesciolino rosso. All’asilo assistiamo a un’altra lezione di quel mitomane di Nonno Coniglio. Pedro Pony perde gli occhiali, insomma, tutti i vecchi classici. Se siete degli esperti – e ormai lo siete – vi renderete conto che gli autori cominciavano a sentire la stanchezza: non inventano più nulla, giocano con le aspettative degli spettatori, rilanciando i vecchi tormentoni. Quella degli occhiali di Pedro è stata la mia ultima puntata. Non so quando tornerò. Girano strane voci, forse vogliono disegnarmi un po’ più grande, e insegnare a George qualche parola in più. Mah, non so se ne valga la pena. Forse sarebbe meglio voltar pagina, trovare qualche altro bel cartone – i miei ne hanno disegnato un altro ancora più divertente, il piccolo mondo di Ben e Holly. Certo, è per bambini un po’ più grandi, dai quattro anni agli otto. Bisogna avere voglia di crescere, non tutti ce l’hanno. Anche da voi.
In effetti ho il sospetto che in Italia mi segua molta gente che quattro anni non li ha più da un pezzo, con bambini o senza. Non per il piacere proibito che può dare a ogni età il rotolarsi nelle pozzanghere di fango. Temo che mi guardi un sacco di gente che con gli amici si vanta di guardare questo o quel film importante, di seguire questa o quella serie intricata e avvincente. E magari lo fanno davvero, ma faticano a capire la trama, hanno sempre avuto questo problema ma si vergognano a chiedere aiuto, è un segreto che si portano dentro da quando erano piccoli. Con me questo problema non c’è mai. Sono sul 43, se aspetti un po’ arrivo sempre. E se non hai ancora capito dove si è perso il Signor Dinosauro, puoi rivedere la stessa puntata tutte le volte che vuoi, finché non ne avrai penetrato, oink! il senso. Se poi non ce la fai, beh, puoi sempre saltare in una pozzanghera di fango. A me piace saltare in una pozzanghera di fango. A George piace saltare in una pozzanghera di fango. A tutti piace saltare in una pozzanghera di fango, oink! Peppa Pig.
Peppa Pig è al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo oggi (sabato 18 gennaio) e domani (domenica 19) alle 15.00, alle 16.30 e alle 18.00. Se avete un bambino sotto i cinque anni, può essere l’occasione di entrare in un cinema prima che chiudano tutti. Ah, se tra 15 anni un’intera generazione si dedicherà a saltare nel fango, sapremo da dove è partita l’idea. Quanto al fango, ho il sospetto che ce ne sarà in abbondanza.
"Anche in Italia avete la pizza?" |
D'altro canto voi avete in media quattro anni, come me; e io (oink!) sono l'unico personaggio che riesce ad attirare la vostra attenzione per un'oretta scarsa. L'unico vero fenomeno di massa provenuto dal digitale terrestre. Vengo dalla Gran Bretagna, dove l'intrattenimento per bambini di età prescolare è una scienza, non un feudo parastatale, un ripiego per autori frustrati o un intermezzo tra le pubblicità dei pannolini. Per dire, i Teletubbies li ha creati la BBC. Ma io, oink! diciamolo, sono veramente meglio di quei quattro pupazzi telecomandati, che agli adulti sono sempre riusciti incomprensibili. Io invece riesco a piacere anche ai vostri genitori, per via della garbata ironia (oink!) dei miei autori. In inglese si dice "tongue-in-cheek", credo che significhi dire delle cose con la lingua irrigidita nella lingua per evitare di mettersi a ridere; ecco, Neville Astley, Mark Baker e Phillip Hall me li immagino così, sempre con la lingua nella guancia mentre mi fanno dire e fare cose normalissime, oink! ma anche molto divertenti. Nel mio mondo tutto è semplice come deve sembrare a un bambino di quattro anni. Gli adulti fanno qualche sciocchezza, nulla che non si possa risolvere con qualche risata. A volte guardano la tv. Guardano programmi noiosi, a base di patate e altri ortaggi che parlano e parlano. Io non sono così.
Io sono la rivincita dell'animazione 2d, dopo anni in cui qualsiasi cartone anche minuscolo doveva avere una computer-grafica tridimensionale. Migliaia di brutti cartoni con svolazzamenti di camera gratuiti e giochi di luce e di ombra che aumentano il realismo dove non se ne sente alcun bisogno, ma il più delle volte fanno sembrare i personaggi finti come robot di plastica in un mondo astratto senza un granello di polvere - non troppo a monte della valle perturbante. Io invece sono 2d e me ne vanto, oink! Sono piatta come nei vostri disegni; così piatta che mi hanno disegnato gli occhi sullo stesso lato della testa, il che ha reso un po' problematico il merchandising (diciamolo, i miei pupazzi sono veramente brutti). Ma forse quando mi sbozzarono non avevano in mente l'affare da milioni di sterline che sarei diventata. Ho persino un parco a tema, come Topolino, ma nell'Hampshire. Ora sapete dove volete andare in vacanza, oink! ditelo a mamma e papà.
Io invece sono venuta in Italia, come scoprirete al cinema... (o su piueventi, dove continua...) Ho imparato che anche voi mangiate la pizza, che avete macchine più piccole e buffe, che i vostri carabinieri sono molto gentili e sempre pronti a inseguire mio papà; non perché guida sempre sul lato sbagliato (papà pasticcione!), ma per rendermi l’orsacchiotto Teddy, che perdo dappertutto. Mi sono vista sulla prima pagina di Vanity Fair Italia, ho letto il pezzo che mi ha dedicato Gramellini – è a quel punto che ho capito di essere diventata mainstream anche in Italia. Anche se voi e i vostri genitori mi seguivate quando ero ancora di nicchia, certo. All’inizio su Rai YoYo ero una striscia tra tante: dieci minuti tra Bob Aggiustatutto e Sam il Pompiere. Poi mi sono mangiata Bob, mi sono mangiata Sam, adesso all’ora di cena c’è una cosa che la signorina presentatrice chiama “scorpacciata” e consta di un’ora e mezza di Peppa Pig show. Peccato che i miei disegnatori non siano stati molto prolifici – appena quattro stagioni da 52 episodi, di cui una inedita in Italia fino a un anno fa. Quando la signorina l’estate scorsa cominciò a promettere “novità a casa di Peppa”, nei vostri genitori nacque un barlume di speranza: arrivano puntate nuove! Le vecchie le sapevano a memoria. Ormai in casa si comunicava mediante citazioni dei miei episodi: non è affatto divertente! ora sono molto rotto. Bleah! Sa di crema pasticcera e di calzini sporchi. Sono uno splendido cigno, oink! Il passero fa bau, il cane fa cip, e così via. Questa infinita litania forse era giunta a termine.
A settembre arrivò soltanto mezza stagione – ma in tripla versione: italiano, inglese con la voce narrante in italiano, inglese. Una bella idea per familiarizzare con la musicalità di una lingua straniera, nonché per allungare il brodo. Nel giro di una settimana anche i nuovi episodi erano stati metabolizzati e memorizzati. Nel frattempo si avvicinava Natale, e io dilagavo negli spot: compra le mie figurine! la mia casetta! la mia automobile! la mia nave! il mio orsetto! il cd delle mie canzoni, così i tuoi genitori potranno ascoltarmi anche in macchina, lo sai, non vedono l’ora, oink! E proprio quando il regalo di Natale era stato ormai acquistato, l’annuncio fatale: bambini, sono anche al cinema! Dieci mie puntate a sette euro, dai, un affare!
In queste dieci puntate, a parte il viaggio in Italia, non succede niente di particolare. Una gita all’acquario con i miei e il mio pesciolino rosso. All’asilo assistiamo a un’altra lezione di quel mitomane di Nonno Coniglio. Pedro Pony perde gli occhiali, insomma, tutti i vecchi classici. Se siete degli esperti – e ormai lo siete – vi renderete conto che gli autori cominciavano a sentire la stanchezza: non inventano più nulla, giocano con le aspettative degli spettatori, rilanciando i vecchi tormentoni. Quella degli occhiali di Pedro è stata la mia ultima puntata. Non so quando tornerò. Girano strane voci, forse vogliono disegnarmi un po’ più grande, e insegnare a George qualche parola in più. Mah, non so se ne valga la pena. Forse sarebbe meglio voltar pagina, trovare qualche altro bel cartone – i miei ne hanno disegnato un altro ancora più divertente, il piccolo mondo di Ben e Holly. Certo, è per bambini un po’ più grandi, dai quattro anni agli otto. Bisogna avere voglia di crescere, non tutti ce l’hanno. Anche da voi.
In effetti ho il sospetto che in Italia mi segua molta gente che quattro anni non li ha più da un pezzo, con bambini o senza. Non per il piacere proibito che può dare a ogni età il rotolarsi nelle pozzanghere di fango. Temo che mi guardi un sacco di gente che con gli amici si vanta di guardare questo o quel film importante, di seguire questa o quella serie intricata e avvincente. E magari lo fanno davvero, ma faticano a capire la trama, hanno sempre avuto questo problema ma si vergognano a chiedere aiuto, è un segreto che si portano dentro da quando erano piccoli. Con me questo problema non c’è mai. Sono sul 43, se aspetti un po’ arrivo sempre. E se non hai ancora capito dove si è perso il Signor Dinosauro, puoi rivedere la stessa puntata tutte le volte che vuoi, finché non ne avrai penetrato, oink! il senso. Se poi non ce la fai, beh, puoi sempre saltare in una pozzanghera di fango. A me piace saltare in una pozzanghera di fango. A George piace saltare in una pozzanghera di fango. A tutti piace saltare in una pozzanghera di fango, oink! Peppa Pig.
Peppa Pig è al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo oggi (sabato 18 gennaio) e domani (domenica 19) alle 15.00, alle 16.30 e alle 18.00. Se avete un bambino sotto i cinque anni, può essere l’occasione di entrare in un cinema prima che chiudano tutti. Ah, se tra 15 anni un’intera generazione si dedicherà a saltare nel fango, sapremo da dove è partita l’idea. Quanto al fango, ho il sospetto che ce ne sarà in abbondanza.
Comments (12)
Marcello, Marcellino e Marcellincincincin...
16-01-2014, 03:47pontefici, Roma, santiPermalink16 gennaio - San Marcello I Papa (†309), doppione
[Si legge intero qui]
Dell'imperatore Diocleziano, delle sue sanguinose persecuzioni, su questo blog ci siamo spesso presi gioco. Il fatto è che già a poco più di un secolo di distanza (quando il cristianesimo era diventato religione di Stato), Diocleziano aveva già assunto le dimensioni dell'orco sbrana-cristiani, a capo di un esercito di torturatori efferati e un po' frustrati: a Santa Cecilia cercano di tagliare il collo e la lama rimbalza, Santa Lucia cercano di portarla nel bordello ma è troppo pesante, a Sant'Agata tagliano i seni e le ricrescono, eccetera. E però tutto questo grand-guignol di leggende inventate dai monaci per distrarsi un po' nell'ora di refettorio non deve farci dimenticare che un Diocleziano ci fu davvero, e che di cristiani ne fece uccidere più di qualsiasi altro imperatore. È abbastanza impossibile riuscire a capire quanti morirono effettivamente. Gibbon semplicemente non ci credeva, ma era un uomo del Settecento, quando anche le battaglie campali sembravano figure di minuetto. Gli storici del penultimo secolo, familiari coi concetti di pogrom e di purga, non escludono che un imperatore deciso a fondare un culto della personalità non possa aver messo in cantiere uno sterminio, anche se il body count rimane piuttosto prudente (tremila o un po' di più in tutto l'impero). Pochi, tutto sommato, per una religione che nelle città era ormai un fenomeno di massa.
Evidentemente molti cristiani cercarono di sfangarla venendo a patti con l'autorità costituita: alcuni bruciando incenso agli Dei (turificati), altri sacrificando animali agli stessi Dei (sacrificati), altri, non volendo scannare nessun animale, corrompendo qualche autorità per procurarsi un certificato che attestasse che lo avevano sacrificato (libellatici). Infine c'erano i peggiori di tutti, i traditores, che all'inizio significava semplicemente "consegnatori": erano i sacerdoti che avevano consegnato i libri sacri ai magistrati - e magari anche qualche registro di battesimo coi nomi degli affiliati, gli infami. Tutto questo poteva salvarti la vita terrena, ma quella eterna? I sacrificati, i turificati, i libellatici e i traditores non erano più ammessi in chiesa. Erano i cosiddetti lapsi, "scivolati", quelli che avevano avuto un'occasione buona per diventare protagonisti di una sanguinosa leggenda di martiri e se l'erano giocata. Il dibattito sulla riammissione dei lapsi era già scoppiato ai tempi dell'imperatore Decio, e riprese subito vigore. In certe comunità venivano riammessi soltanto dopo una pubblica cerimonia di pentimento: insomma dopo aver ritrattato il cristianesimo davanti ai magistrati dovevano ritrattare la ritrattazione davanti ai sacerdoti, e farsi consegnare una ricevuta, un libellus che dimostrasse che erano di nuovo cristiani a tutti gli effetti. Ovviamente se i magistrati imperiali mettevano la mano sul libellus potevano ri-imprigionarli, e così via.
Si dice che il cristianesimo crebbe annaffiato dal sangue dei martiri. È una mezza verità: le piante hanno bisogno di liquidi ma anche di letame (continua sul Post...)
Comments (15)
Il fango del vicino (è comunque marron)
14-01-2014, 12:16giornalisti, internetPermalinkAnche Riotta, quando ha ragione, ha ragione; e farei un torto a non riconoscergliela.
Lo trovo un pensiero bellissimo, soprattutto da parte di un giornalista che quando dirigeva il tg1 andava in cerca di foto o video imbarazzanti dei sospettati di omicidio sui loro profili facebook. Non si fa così, non si sparge il fango per il gusto di. Bravo Riotta che ha alzato la schiena, bravo.
Ecco, magari attento ai colpi d'aria da ovest.
Lo trovo un pensiero bellissimo, soprattutto da parte di un giornalista che quando dirigeva il tg1 andava in cerca di foto o video imbarazzanti dei sospettati di omicidio sui loro profili facebook. Non si fa così, non si sparge il fango per il gusto di. Bravo Riotta che ha alzato la schiena, bravo.
Ecco, magari attento ai colpi d'aria da ovest.
Comments (34)
La democrazia dalle 10 alle 17.
14-01-2014, 02:37Beppe Grillo, ho una teoria, internetPermalink1. Il loro MoVimento aveva indetto una "votazione online sul reato di clandestinità", aperta anche a loro, proprio per decidere cosa far votare ai senatori m5s oggi. Chi l'aveva decisa? Grillo? Casaleggio? L'intelligenza collettiva del portale? Mistero.
2. La votazione era già conclusa. Si era potuto votare dalle dieci del mattino alle cinque della sera. Chi è arrivato tardi (il 69% degli aventi diritto) è da considerarsi astenuto.
3. Avevano vinto gli abrogazionisti, con il 31% dei voti degli aventi diritto (24.932 su 80.383). I favorevoli al mantenimento del reato di clandestinità che sono riusciti a votare entro le cinque sono appena 9.093 (l'11%).
Per ora insomma si tratta di una democrazia diretta con orari d'ufficio, (continua sull'Unita.it) che per mesi interi non ti consulta su nulla e poi nel giro di poche ore ti chiede un parere, e se in quel momento non sei connesso, ciao. Vi accederà più facilmente chi lavora davanti a un terminale connesso alla rete: più impiegati che artigiani. Questo potrebbe anche aver determinato l’esito sorprendente della consultazione. Come ricorda Carlo Gubitosa, Grillo qualche mese fa raccontava che l’80% degli elettori m5s era favorevole al mantenimento del reato, che lui e Casaleggio avevano fatto dei “sondaggi” (a che titolo? con che soldi? Non si sa). Vale la pena di ricordare che elettori e iscritti non sono proprio la stessa cosa: il rapporto è ancora di uno a cento. Otto milioni di persone hanno votato per il M5S, ottantamila hanno il diritto di esprimere il loro parere se Grillo glielo chiede sul portale. Di questi hanno votato soltanto venticinquemila: gli altri non erano interessati al quesito, o non se ne sono accorti in tempo.
In futuro magari si potrà sviluppare un’app che, quando Grillo ti chiede un parere, ti manda una scossa sul cellulare – tanto quello ormai al lavoro lo teniamo acceso tutti. Ci abitueremo prestissimo: invece di una partita a candycrush o di una foto al piatto di portata, voteremo per l’abrogazione di questo e l’introduzione di quello. Ti stai facendo la doccia, senti un bip – è Grillo che ti chiede di votare per l’inasprimento delle pene riguardanti l’abigeato. Un occhio a wikipedia, un clic veloce, fatto. La banda naturalmente la deve offrire lo Stato. http://leonardo.blogspot.com
Comments (23)
La Brianza è un groppo in gola (che non va né su né giù)
12-01-2014, 09:52>1000, cinema, come diventare leghisti, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, fb2020PermalinkIl capitale umano (Paolo Virzì, 2014)
Quanto costa una vita intera? Nulla: un'imprudenza, un sentiero di notte, una jeep che sbanda, un cellulare spento. Oppure cinquecentomila, ma facciamo anche settecento, novecento; un lotto in centro, un teatro, tutti i tuoi sogni di essere una persona migliore, la faccia che guarderai allo specchio da quel giorno; e un bacio. Per chi li pagheresti. Per la persona che ami o per quella che ti fa sentire più in colpa? C'è qualche differenza? A diciott'anni, forse c'è. A quaranta, a quaranta magari mi capirai. Ma non te lo auguro.
Del film ormai avete letto tutto. Avete fatto male, scordatevi tutto: le polemiche preconfezionate sulla Brianza, le tirate sulla crisi-dei-valori, sulla civiltà-del-denaro eccetera. Ognuno poi ha il diritto di vendere il proprio prodotto come può, ma Il capitale umano è un film più intelligente di quello che vi stanno presentando in tv e sui giornali. Che poi leghisti cari è troppo facile prendersela con Virzì: chi ha le palle per denunciare i pregiudizi coi quali William Shakespeare sfigurò i sani e operosi cittadini della Verona medievale? Il Capitale umano non parla di Brianza più di quanto parli di Connecticut o di qualsiasi altro distretto imborghesito del mondo; non demolisce la nostra generazione (senz'altro povera di valori e assetata di denaro) più di quanto non demolisca qualsiasi altra; a Romeo e Giulietta in fin dei conti è andata bene. Fossero invecchiati, avrebbero senz'altro costretto i figli a un matrimonio d'interesse. Se pensate di trovarvi davanti all'ennesimo romanzo di una grande famiglia spietata e decadente, potreste uscire delusi: non so se quanto Virzì Piccolo e Bruni ne siano consapevoli, ma il pescecane della finanza esce dal film meglio di quasi tutti i comprimari. Forse erano così convinti che bastasse metterlo a capotavola di consiglio d'amministrazione per renderlo il Cattivo; non hanno spinto il pedale del grottesco, e il risultato è un Gifuni mediamente stronzo, ma assolutamente umano.
Quel che è riuscito a fare Bentivoglio col suo bauscia, invece, ha del miracoloso. Sul suo personaggio il film rischiava tutto. Sappiamo che Virzì arriva al drammatico dalla commedia all'italiana - sappiamo anche che non è stato un movimento così brusco; che il dramma se lo portava dentro sin dal primo film. Ma da quel tipo di commedia Virzì portava un gusto grottesco dei personaggi, soprattutto secondari, che la sensibilità per le stratificazioni sociali e culturali rendeva spesso dei bozzetti: il professore de sinistra, il figlio di papà, il pancabbestia, eccetera. Potevamo pensare che passando al thriller Virzì avrebbe rinunciato ai bozzetti (già negli ultimi due film erano più rari, benché indimenticabili). Ci sembrava giusto. Anche se ci sarebbe dispiaciuto, perché diciamo la verità: a noi i bozzetti grotteschi di Virzì sono sempre piaciuti; sono uno dei motivi per cui Virzì ci piace più di tutti i suoi compatrioti, ormai, e forse questo non fa di noi dei veri cinefili ma non ce ne frega niente, noi daremmo dieci Jep Gambardella o come cavolo si chiama per un altro prof Iacovoni. Anche se all'estero nessuno se li filerà mai, i tuoi leghisti in cravatta verde e il Va' Pensiero che gli suona in tasca, i tuoi critici teatrali sudici o sociopatici. C'è un personaggio che sta in scena tre secondi tre - la sorella dello speculatore - ed è perfetta, noi amiamo Virzì per queste cose. Detto questo, non puoi pensare che uno stereotipo di bauscia possa reggere la prima mezz'ora di un thriller. In teoria, perlomeno. Poi ti ritrovi davanti a Bentivoglio, conciato com'è conciato. Ha a disposizione una paletta ristrettissima, deve parlare come Faso di Elio e le Storie Tese attraverso un ghigno congelato da caratterista di commediaccia sexy. Non puoi provare angoscia per un tizio così.
Non puoi? (continua su +eventi!)
E invece ce la fai. Bentivoglio ce la fa. Non so come ne sia in grado, avrei voglia di tornare a rivederlo soltanto per capire come fa. Dopo venti minuti siamo in pena per lui. Lo vediamo andare a sbattere contro un muro che si è venduto e comprato da solo, e vorremmo fermarlo. Dopo un’altra ora di film lo odieremo. Ma sarà troppo tardi; per un attimo siamo stati dalla sua parte, abbiamo perso l’anima con lui. Che altro dire. Basterebbe Bentivoglio a chiudere la discussione, e invece è solo il preludio. Puoi credere anche solo per un’istante che Valeria Golino sia una psicoterapeuta della mutua? Puoi. Puoi empatizzare con Valeria Bruni Tedeschi che fa la ricca annoiata? Chi se lo sarebbe aspettato da lei, lo so, eppure puoi. È passata più di un’ora e gli unici che non ti hanno particolarmente colpito sono i giovani. Stanno sullo sfondo, fanno le cose antipatiche da giovani. Poi tocca a loro e ti si rovescia tutto il film – magari anche lo stomaco: capisci che tutti groppi in gola che ti hanno apparecchiato fin qui ti servivano solo a preparare quel vuoto in pancia che si prova a 18 quando fai una cazzata veramente grossa. C’è di nuovo un Romeo e una Giulietta che si fottono la vita in 24 ore, e potrebbe, dovrebbe andare a finire altrettanto male.
Il Capitale umano è un thriller vero: un congegno spietato, realizzato senza rinunciare a frecciatine di costume che qualcun altro giudicherà non equilibrate. Io mi dichiaro vinto nel momento in cui Valeria Bruni Tedeschi prende il controllo e si scopa Nostra Signora dei Turchi – la buona vecchia commedia all’italiana, commerciale, industriale, che profana il cadavere del teatro sperimentale sussurrandogli Ti Perdono anch’io, lo sai cos’eri per me? Un buon sottofondo per pomiciare, niente più, il Fausto Papetti dei ricchi sofisticati. Un giorno forse se ne accorgeranno anche gli assessori leghisti. Si sveglieranno sul divano all’improvviso davanti a un vecchio Virzì su Rete4 e finalmente lo guarderanno, finalmente si renderanno conto che l’egemonia culturale di sinistra non ha mai avuto un accusatore altrettanto feroce. Filosofi, sindacalisti, insegnanti, radical-chic, no-global, non ne ha risparmiato uno solo: avreste dovuto adottarlo, coccolarlo, invitarlo alle sagre della polenta, ma veniva da Livorno e andava da Fazio, forse da lì l’equivoco. Il Capitale umano non contiene rivelazioni sconcertanti sulla crisi di valori dell’occidente, ma mostra a ogni adulto di che nodi sono fatti i cappi che ci stringiamo al collo: è l’insoddisfazione che ci fa commettere cazzate, le cazzate ci sprofondano nel senso di colpa, dal senso di colpa riemergiamo adulti e disponibili a pagare qualsiasi prezzo, a coprire qualsiasi crimine. Che altro dire. Tenete il cellulare sempre acceso, perdio, sempre, magari c’è qualcuno stanotte che ha bisogno esattamente di voi. Per quanto disperati possiate sembrare a voi stessi.
Il capitale umano è al Cityplex di Alba (15:30, 17:45, 20:00, 22:15); al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (15:10, 17:35, 20:10, 22:35); all’Impero di Bra (18:20, 20:20, 22:30); al Cinecittà di Savigliano (16:00, 18:10, 20:20, 22:30). Non ci sono molte scuse per non andarlo a vedere, a parte Peppa Pig.
Quanto costa una vita intera? Nulla: un'imprudenza, un sentiero di notte, una jeep che sbanda, un cellulare spento. Oppure cinquecentomila, ma facciamo anche settecento, novecento; un lotto in centro, un teatro, tutti i tuoi sogni di essere una persona migliore, la faccia che guarderai allo specchio da quel giorno; e un bacio. Per chi li pagheresti. Per la persona che ami o per quella che ti fa sentire più in colpa? C'è qualche differenza? A diciott'anni, forse c'è. A quaranta, a quaranta magari mi capirai. Ma non te lo auguro.
Del film ormai avete letto tutto. Avete fatto male, scordatevi tutto: le polemiche preconfezionate sulla Brianza, le tirate sulla crisi-dei-valori, sulla civiltà-del-denaro eccetera. Ognuno poi ha il diritto di vendere il proprio prodotto come può, ma Il capitale umano è un film più intelligente di quello che vi stanno presentando in tv e sui giornali. Che poi leghisti cari è troppo facile prendersela con Virzì: chi ha le palle per denunciare i pregiudizi coi quali William Shakespeare sfigurò i sani e operosi cittadini della Verona medievale? Il Capitale umano non parla di Brianza più di quanto parli di Connecticut o di qualsiasi altro distretto imborghesito del mondo; non demolisce la nostra generazione (senz'altro povera di valori e assetata di denaro) più di quanto non demolisca qualsiasi altra; a Romeo e Giulietta in fin dei conti è andata bene. Fossero invecchiati, avrebbero senz'altro costretto i figli a un matrimonio d'interesse. Se pensate di trovarvi davanti all'ennesimo romanzo di una grande famiglia spietata e decadente, potreste uscire delusi: non so se quanto Virzì Piccolo e Bruni ne siano consapevoli, ma il pescecane della finanza esce dal film meglio di quasi tutti i comprimari. Forse erano così convinti che bastasse metterlo a capotavola di consiglio d'amministrazione per renderlo il Cattivo; non hanno spinto il pedale del grottesco, e il risultato è un Gifuni mediamente stronzo, ma assolutamente umano.
Quel che è riuscito a fare Bentivoglio col suo bauscia, invece, ha del miracoloso. Sul suo personaggio il film rischiava tutto. Sappiamo che Virzì arriva al drammatico dalla commedia all'italiana - sappiamo anche che non è stato un movimento così brusco; che il dramma se lo portava dentro sin dal primo film. Ma da quel tipo di commedia Virzì portava un gusto grottesco dei personaggi, soprattutto secondari, che la sensibilità per le stratificazioni sociali e culturali rendeva spesso dei bozzetti: il professore de sinistra, il figlio di papà, il pancabbestia, eccetera. Potevamo pensare che passando al thriller Virzì avrebbe rinunciato ai bozzetti (già negli ultimi due film erano più rari, benché indimenticabili). Ci sembrava giusto. Anche se ci sarebbe dispiaciuto, perché diciamo la verità: a noi i bozzetti grotteschi di Virzì sono sempre piaciuti; sono uno dei motivi per cui Virzì ci piace più di tutti i suoi compatrioti, ormai, e forse questo non fa di noi dei veri cinefili ma non ce ne frega niente, noi daremmo dieci Jep Gambardella o come cavolo si chiama per un altro prof Iacovoni. Anche se all'estero nessuno se li filerà mai, i tuoi leghisti in cravatta verde e il Va' Pensiero che gli suona in tasca, i tuoi critici teatrali sudici o sociopatici. C'è un personaggio che sta in scena tre secondi tre - la sorella dello speculatore - ed è perfetta, noi amiamo Virzì per queste cose. Detto questo, non puoi pensare che uno stereotipo di bauscia possa reggere la prima mezz'ora di un thriller. In teoria, perlomeno. Poi ti ritrovi davanti a Bentivoglio, conciato com'è conciato. Ha a disposizione una paletta ristrettissima, deve parlare come Faso di Elio e le Storie Tese attraverso un ghigno congelato da caratterista di commediaccia sexy. Non puoi provare angoscia per un tizio così.
Non puoi? (continua su +eventi!)
È una scena che sembra ritagliata da un altro film, però è divertente e mi ha fatto tirare il fiato. |
Il Capitale umano è un thriller vero: un congegno spietato, realizzato senza rinunciare a frecciatine di costume che qualcun altro giudicherà non equilibrate. Io mi dichiaro vinto nel momento in cui Valeria Bruni Tedeschi prende il controllo e si scopa Nostra Signora dei Turchi – la buona vecchia commedia all’italiana, commerciale, industriale, che profana il cadavere del teatro sperimentale sussurrandogli Ti Perdono anch’io, lo sai cos’eri per me? Un buon sottofondo per pomiciare, niente più, il Fausto Papetti dei ricchi sofisticati. Un giorno forse se ne accorgeranno anche gli assessori leghisti. Si sveglieranno sul divano all’improvviso davanti a un vecchio Virzì su Rete4 e finalmente lo guarderanno, finalmente si renderanno conto che l’egemonia culturale di sinistra non ha mai avuto un accusatore altrettanto feroce. Filosofi, sindacalisti, insegnanti, radical-chic, no-global, non ne ha risparmiato uno solo: avreste dovuto adottarlo, coccolarlo, invitarlo alle sagre della polenta, ma veniva da Livorno e andava da Fazio, forse da lì l’equivoco. Il Capitale umano non contiene rivelazioni sconcertanti sulla crisi di valori dell’occidente, ma mostra a ogni adulto di che nodi sono fatti i cappi che ci stringiamo al collo: è l’insoddisfazione che ci fa commettere cazzate, le cazzate ci sprofondano nel senso di colpa, dal senso di colpa riemergiamo adulti e disponibili a pagare qualsiasi prezzo, a coprire qualsiasi crimine. Che altro dire. Tenete il cellulare sempre acceso, perdio, sempre, magari c’è qualcuno stanotte che ha bisogno esattamente di voi. Per quanto disperati possiate sembrare a voi stessi.
Il capitale umano è al Cityplex di Alba (15:30, 17:45, 20:00, 22:15); al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (15:10, 17:35, 20:10, 22:35); all’Impero di Bra (18:20, 20:20, 22:30); al Cinecittà di Savigliano (16:00, 18:10, 20:20, 22:30). Non ci sono molte scuse per non andarlo a vedere, a parte Peppa Pig.
Comments (16)
Le luci dei natali passati
09-01-2014, 16:51elzeviri, feste, Mondo Carpi, non ho voglia di tuffarmi in un gomitoloPermalink
Frozen
Ma al tramonto del nove gennaio che ci fanno ancora le luci di natale al mercato. Facessero almeno allegria.
Invece sono bianche.
Non si dovrebbe mai generalizzare la propria angusta esperienza della vita, e però a un certo punto qualche anno fa ho avuto la sensazione che ci si sbiadisse il natale. Era sempre stato un affare pacchiano, di luci gialle e rosse intermittenti. Ci fu anche quella breve e scelleratissima moda dei babbi natale appesi alle finestre; poi a un certo punto qualcuno deve aver detto che erano brutti e deve essere stato molto convincente, perché da un anno all'altro nessuno li ha visti più - centinaia di migliaia di babbi natale buttati via, discariche intere di materiale natalizio ancora in buone condizioni ma definitivamente out - e nello stesso periodo le luci hanno smesso di essere rosse, verdi, gialle, e si sono tutte convertite al bianco.
All'inizio era glaciale e meraviglioso. Elegante, persino. Io non credo che il natale debba essere elegante, in generale; voglio dire, è una festa per i bambini e le famiglie - ma almeno per un paio d'anni funzionò. Passavi sotto queste stalattiti fosforescenti che sporgevano dai cornicioni e ti sentivi il degno abitante di una fiaba nordica, non le nostre solite zampognate. A dare l'impulso fu il comune, ma anche i privati si adeguarono presto. Quando un anno al mercato montarono di nuovo le luci dorate, le tennero due sere e poi tornarono all'argento. L'oro era diventato cheap, insostenibile. Resisteva soltanto qualche vecchia traccia di un'antica civiltà colorata sulle porte delle case; lampadine rosse e verdi intermittenti che avvisavano della presenza di pensionati fuori del mondo.
Poi forse è successo qualcosa, che non posso dimostrare - se almeno avessi fatto una foto - ma insomma, le luci bianche sono diventate tristi. Forse sono state sostituite da illuminazioni dello stesso colore ma meno sontuose, più semplici. C'entrerà il risparmio energetico. Ma può anche darsi che siano esattamente le stesse luci di tre o quattro anni fa; che svanito l'effetto "wow" sia rimasta soltanto la freddezza. Il freddo è bello, per qualche istante è persino piacevole. Ma non dura.
Non sarà primavera per altri tre mesi. Tra qualche giorno sulla repubblica o sul corriere pubblicheranno uno studio di scienziati che dicono che il giorno più triste dell'anno è intorno al 20 di gennaio. Lo fanno più o meno tutti gli anni, e io li leggo sempre. Spiegheranno che è il punto critico in cui svaniscono gli effetti delle vacanze natalizie, e le speranze e i tremori della primavera sono ancora lontani. Chissà se poi esiste davvero quello studio e se dice davvero così. Ci credo come credo a certi oroscopi fuori contesto, riferiti ad altri giorni mesi e segni zodiacali: faccio finta che siano il mio oroscopo del giorno e a volte funzionano. E poi non sono davvero meteoropatico, è uno di quegli abiti che si mettono da adolescenti per darsi un tono. Posso essere felice tutti i giorni che voglio, se voglio.
Togliessero quelle luci bianche alla finestra.
Ma al tramonto del nove gennaio che ci fanno ancora le luci di natale al mercato. Facessero almeno allegria.
Invece sono bianche.
Non si dovrebbe mai generalizzare la propria angusta esperienza della vita, e però a un certo punto qualche anno fa ho avuto la sensazione che ci si sbiadisse il natale. Era sempre stato un affare pacchiano, di luci gialle e rosse intermittenti. Ci fu anche quella breve e scelleratissima moda dei babbi natale appesi alle finestre; poi a un certo punto qualcuno deve aver detto che erano brutti e deve essere stato molto convincente, perché da un anno all'altro nessuno li ha visti più - centinaia di migliaia di babbi natale buttati via, discariche intere di materiale natalizio ancora in buone condizioni ma definitivamente out - e nello stesso periodo le luci hanno smesso di essere rosse, verdi, gialle, e si sono tutte convertite al bianco.
All'inizio era glaciale e meraviglioso. Elegante, persino. Io non credo che il natale debba essere elegante, in generale; voglio dire, è una festa per i bambini e le famiglie - ma almeno per un paio d'anni funzionò. Passavi sotto queste stalattiti fosforescenti che sporgevano dai cornicioni e ti sentivi il degno abitante di una fiaba nordica, non le nostre solite zampognate. A dare l'impulso fu il comune, ma anche i privati si adeguarono presto. Quando un anno al mercato montarono di nuovo le luci dorate, le tennero due sere e poi tornarono all'argento. L'oro era diventato cheap, insostenibile. Resisteva soltanto qualche vecchia traccia di un'antica civiltà colorata sulle porte delle case; lampadine rosse e verdi intermittenti che avvisavano della presenza di pensionati fuori del mondo.
Poi forse è successo qualcosa, che non posso dimostrare - se almeno avessi fatto una foto - ma insomma, le luci bianche sono diventate tristi. Forse sono state sostituite da illuminazioni dello stesso colore ma meno sontuose, più semplici. C'entrerà il risparmio energetico. Ma può anche darsi che siano esattamente le stesse luci di tre o quattro anni fa; che svanito l'effetto "wow" sia rimasta soltanto la freddezza. Il freddo è bello, per qualche istante è persino piacevole. Ma non dura.
Non sarà primavera per altri tre mesi. Tra qualche giorno sulla repubblica o sul corriere pubblicheranno uno studio di scienziati che dicono che il giorno più triste dell'anno è intorno al 20 di gennaio. Lo fanno più o meno tutti gli anni, e io li leggo sempre. Spiegheranno che è il punto critico in cui svaniscono gli effetti delle vacanze natalizie, e le speranze e i tremori della primavera sono ancora lontani. Chissà se poi esiste davvero quello studio e se dice davvero così. Ci credo come credo a certi oroscopi fuori contesto, riferiti ad altri giorni mesi e segni zodiacali: faccio finta che siano il mio oroscopo del giorno e a volte funzionano. E poi non sono davvero meteoropatico, è uno di quegli abiti che si mettono da adolescenti per darsi un tono. Posso essere felice tutti i giorni che voglio, se voglio.
Togliessero quelle luci bianche alla finestra.
Comments (12)
La faccia che abbiamo perso su facebook
07-01-2014, 08:40commenti, ho una teoria, internetPermalink
La violenza politica in Italia è ai minimi storici. Sembra incredibile, in un momento tanto difficile, in cui gli uomini politici godono di universale discredito. Eppure tutti i "muori" o i "crepate" che ci è capitato di leggere in calce agli articoli on line di alcuni quotidiani non ci devono far scordare che oggi i politici non li ammazza più nessuno. Ancora trent'anni fa non era così. Oggi, nel mezzo della crisi economica più grave dalla fine della guerra, qualche centinaia di dimostranti con forconi di cartapesta e qualche cartello trucido ci fanno sudare freddo. Quarant'anni fa in mezzo a cortei di migliaia di persone non era difficile intravedere qualche p38. Silvio Berlusconi, il più amato e detestato degli italiani, in un ventennio di bagni di folla ha rimediato appena un treppiede e un duomo in miniatura. Quindi? Quindi niente, forse tra la violenza verbale che ha trovato sfogo su internet e la violenza vera, quella che rende i politici bersagli di aggressioni o attentati, non c'è correlazione. Se ci fosse, potrebbe persino essere inversa: da quando la gente si sfoga su internet, ai politici non spara più nessuno.
Quella che si scatena su Internet, più che violenza, è maleducazione. È comunque irritante, quando non lascia semplicemente sbigottiti: il buon padre di famiglia che, tra un commento sulla partita e un autoscatto-ricordo della settimana bianca, sente la necessità di infilare qualche augurio di morte a Bersani, non sta offendendo tanto Bersani quanto sé stesso. Non dovrebbe essere difficile da capire. (continua sull'Unità, H1t#213)
Quella che si scatena su Internet, più che violenza, è maleducazione. È comunque irritante, quando non lascia semplicemente sbigottiti: il buon padre di famiglia che, tra un commento sulla partita e un autoscatto-ricordo della settimana bianca, sente la necessità di infilare qualche augurio di morte a Bersani, non sta offendendo tanto Bersani quanto sé stesso. Non dovrebbe essere difficile da capire. (continua sull'Unità, H1t#213)
Quando mi capita di spiegarlo a scuola, perlomeno, mi sembra che il messaggio passi con facilità: non fare su Facebook nulla che non faresti davanti a un giornalista o in una caserma di carabinieri – dal momento che sia l’uno che gli altri, se vorranno cercare informazioni su di te, ti troveranno lì. Il tredicenne medio questa cosa la capisce. La mia speranza a questo punto è che la spieghi anche ai genitori: molti di loro evidentemente persuasi che i social network siano bolle di non-realtà dove è sospeso non solo il codice penale, ma anche il più elementare buon senso: quelle per cui non si mette il proprio nome e cognome e il visino sorridente accanto a un augurio di morte.
Quando qualche tempo fa diversi quotidiani on line (compresa l’Unità) decisero di trasferire i commenti dei propri articoli su Facebook, la parola d’ordine era “Metterci la faccia“. La scelta aveva anche un senso economico, ma fu in molti casi giustificata come un modo di responsabilizzare il commentatore. Facebook è la piattaforma sociale che più di tutte ha scommesso sul desiderio dell’utente di uscire allo scoperto, rivelando nome e cognome e tanti altri dati più o meno sensibili. Quello con Facebook era una specie di patto col diavolo: si sarebbe preso i nostri dati sensibili, ma almeno ci avrebbe reso impossibile scannarci a vicenda in calce a un pezzo su un quotidiano. Chiedere ai commentatori di registrarsi su Facebook significava dare un volto a una pletora di commentatori anonimi che – si pensava – non si sarebbero più attentati a scrivere cose sciocche o volgari. Chi mai vorrebbe associare il proprio nome e il proprio volto a parole sciocche e volgari?
Ora lo sappiamo: anche una volta abolito l’anonimato, le idiozie e la volgarità restano dove sono. Facebook ci ha tolto un po’ di privacy (e magari se l’è rivenduta alla NSA o chissà a chi altri), ma non ci ha resi più gentili. Ci abbiamo messo la faccia, l’abbiamo persa. http://leonardo.blogspot.com
Comments (44)
Il colpo grosso di David O. Russell
05-01-2014, 10:06>1000, cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, fb2020PermalinkAmerican Hustle (David O. Russell, 2013).
All'inizio di tutto c'è Christian Bale alle prese col riporto più brutto che abbiate mai visto. Non può venirne a capo, non c'è abbastanza brillantina al mondo per sistemare quella cosa. E invece sì. L'apparenza inganna. È il sottotitolo del film. In effetti potrebbe essere il sottotitolo di qualsiasi film; della cinematografia in generale. American Hustle dovrebbe essere un caper movie, quel genere che in italiano poteva anche chiamarsi "colpo grosso", prima che Umberto Smaila arrivasse a complicare la semantica delle cose. David O. Russell voleva girare un colpo grosso, un film di truffatori e truffati. Dopo il film romantico (Silver Lining Playbook), quello pugilistico (The Fighter), quello bislacco (I Heart Huckabees), quello di guerra (Three Kings). Cambiano gli ambienti ma le storie hanno qualcosa in comune: all'inizio c'è un protagonista che commette azioni discutibili. Un maggiore delle forze speciali che vuole rubare l'oro di Saddam, un ex pugile che fuma crack, questo tipo di cose. Più avanti la crisi, la riscoperta-dei-valori-veri, la redenzione. Il lieto fine, anche quando non fosse previsto, sarà imposto dalla produzione.
Dopo Christian Bale appare Amy Adams. È meravigliosa, e veste Gucci e Halston vintage per tutto il film. American Hustle è anche un period movie come vanno adesso, un film che tenta di evocare un'epoca determinata, con una precisione che sta diventando stucchevole tanto è maniacale. Per una curiosa coincidenza, è esattamente la stessa epoca (1978-1980) di Argo, oscar per il miglior film l'anno scorso. Stesse infinite variazioni sul marroncino che ritornano in No di Larraín - ambientato dieci anni più tardi, ma in Cile, dove il forno a micro-onde è ancora un oggetto inquietante. Quello di Larraín è il caso limite, visto che ha girato con la pellicola e gli strumenti dell'epoca, mescolando spot televisivi originali. Negli altri casi è lecito domandarsi se costumisti e trovarobe non si stiano un po' allargando a spese di sceneggiatura e regia. Va a finire come con Mad Men, dopo un po' ti accorgi che t'interessa più l'arredamento della trama. Russell si adegua e decide, per definire i suoi personaggi, di affidarsi ai capelli: la parte di noi più deperibile, la più sacrificabile alle mode. Il grande truffatore ha un riporto impossibile: è chiara la metafora? Gli arrampicatori sociali invece si fanno ricci coi bigodini. Anche lo smalto per le unghie è estremamente simbolico. Non era una cattiva idea, ma Russell è preoccupato che ci sfugga e ci insiste finché non diventa ridondante.
In seguito arrivano Bradley Cooper e Jennifer Lawrence. Non è passato neanche un anno da quando erano la coppia quadripolare di Silver Lining, ed eccoli non-protagonisti di lusso in un film in apparenza tanto diverso. Invece assomigliano ai vecchi personaggi: Cooper è un agente federale spiritato, con episodi maniacali che a volte sfociano in scoppi di violenza (la cocaina naturalmente gioca la sua parte) (continua su +eventi!) La Lawrence è la casalinga matta, sempre più credibile. È come se il vecchio film non volesse cedere del tutto lo spazio al nuovo. Una sensazione che accresce ancor di più il sospetto che questo non sia un vero caper movie; che il colpo grosso sia solo parte dello scenario, in un film dove lo scenario è ingombrante ma non è tutto. A Russell non interessa davvero il meccanismo della truffa, il trucco da preparare nei dettagli, il trabocchetto da tendere allo spettatore (e in effetti chi è cresciuto con la Stangata non ci casca: ma non ha davvero tanta importanza). A Russell interessano i personaggi, in carne e ossa e peli e unghie e soprattutto sentimenti. Ci tiene tanto ai sentimenti. Spero che ci teniate anche voi, perché Russell con la scusa del colpo grosso vuole provare di nuovo a raccontarvi una storia d'amore e redenzione.
Se invece le storie d'amore tra personaggi non simpaticissimi non sono il vostro forte, American Hustle rischia di lasciarvi con l'amaro in bocca. Non c'è truffatore repellente che non possa redimersi, non c'è spogliarellista in carriera che non possa darci lezioni di integrità sentimentale. L'importante è trovare amici che ci sappiano scaldare al fuoco del loro affetto e della loro rettitudine. Pur di trovarli Russell è ben disposto a violentare la storia vera che sta raccontando, trasformando un sindaco colluso con la criminalità in un eroico difensore di orfani e vedove e lavoratori di ogni colore. Ora il punto non è tanto che il sindaco vero non fosse decisamente uno stinco di santo (trafficava narcotici e banconote false, robetta). Non sarebbe la prima volta che un criminale diventa un eroe sulla pellicola per esigenze narrative. Però poi arriva il momento in cui questo eroe ti porta in un casinò appena riaperto ad Atlantic City, e dopo averti spiegato com'è vitale per tutta la collettività multiculturale del New Jersey la legalizzazione del gioco d'azzardo, e quante cose belle e civiche si possono fare restaurando i vecchi casinò che sono un patrimonio culturale - dopo tutti questi bei discorsi - ti mostra un gruppo di persone in fondo alla sala e dice che prima o poi con quelli bisogna andarci a parlare. È la mafia di Miami.
Il sindaco piezz'e'core, per far marciare l'economia, deve invitare la mafia di Miami. E va bene, si vede che le cose stavano davvero così: per far funzionare le case da gioco ti serviva il know-how della mafia. Però Russell non è Scorsese, non riesce a fare del suo sindaco Carmine un personaggio complesso, un personaggio ambiguo. Il tizio continuerà a gironzolare per tutto il film spiegando quanto è onesto ed eroico e quante cose buone ha fatto per i suoi cittadini, e noi spettatori dovremmo crederci e dimenticare il fatto che ha invitato i mafiosi a fare affari nella sua città: dovremmo pure stare in pena per la sua sorte. È che a Russell interessano i sentimenti, solo i sentimenti; e se gli è scappato un minimo di affresco sociale è stato per sbaglio. Eppure sotto le scenografie e le musiche, sotto la tricologia e gli arredi, persino sotto la storia d'amore, c'è la traccia di un film impensabile in Italia: un film dove i politici sono onesti lavoratori perseguitati da folli magistrati, pardon, da agenti federali ubriachi di potere. Un film che Berlusconi si guarderebbe a rotazione tutte le sere e non è escluso che lo faccia - ha molto tempo libero adesso.
Alla fine di tutto c'è un gran senso di vuoto. Mi succede sempre così coi suoi film. Mentre li guardo mi diverto anche molto; mi commuovo, mi appassiono, provo tutti i sentimenti che Russell desidera che io provi. Poi si accendono le luci e non mi ricordo quasi più il film che ho visto. Ricordo Amy Adams; qualche vestito di Amy Adams; Bradley scamiciato come Moroder che balla un pezzo di Moroder; il sindaco bravo e buono che invita i mafiosi; il riporto impossibile di Christian Bale, tutto qui. Mi ha fregato di nuovo, David O. Russell. L'apparenza inganna - la gente crede a quello che vuole credere, e mentre lo guardavo volevo crederci. Mi sembrava proprio un film coi fiocchi, un vero colpo grosso. Ma forse il pollo ero io.
American Hustle è al Cine4 di Alba (18:30, 21:30); al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (14:30, 17:15, 20:00, 22:45); all'Italia di Saluzzo (16:00, 18:45, 21:30); al Cinecittà di Savigliano (16:00, 18:45, 21:30).
All'inizio di tutto c'è Christian Bale alle prese col riporto più brutto che abbiate mai visto. Non può venirne a capo, non c'è abbastanza brillantina al mondo per sistemare quella cosa. E invece sì. L'apparenza inganna. È il sottotitolo del film. In effetti potrebbe essere il sottotitolo di qualsiasi film; della cinematografia in generale. American Hustle dovrebbe essere un caper movie, quel genere che in italiano poteva anche chiamarsi "colpo grosso", prima che Umberto Smaila arrivasse a complicare la semantica delle cose. David O. Russell voleva girare un colpo grosso, un film di truffatori e truffati. Dopo il film romantico (Silver Lining Playbook), quello pugilistico (The Fighter), quello bislacco (I Heart Huckabees), quello di guerra (Three Kings). Cambiano gli ambienti ma le storie hanno qualcosa in comune: all'inizio c'è un protagonista che commette azioni discutibili. Un maggiore delle forze speciali che vuole rubare l'oro di Saddam, un ex pugile che fuma crack, questo tipo di cose. Più avanti la crisi, la riscoperta-dei-valori-veri, la redenzione. Il lieto fine, anche quando non fosse previsto, sarà imposto dalla produzione.
Dopo Christian Bale appare Amy Adams. È meravigliosa, e veste Gucci e Halston vintage per tutto il film. American Hustle è anche un period movie come vanno adesso, un film che tenta di evocare un'epoca determinata, con una precisione che sta diventando stucchevole tanto è maniacale. Per una curiosa coincidenza, è esattamente la stessa epoca (1978-1980) di Argo, oscar per il miglior film l'anno scorso. Stesse infinite variazioni sul marroncino che ritornano in No di Larraín - ambientato dieci anni più tardi, ma in Cile, dove il forno a micro-onde è ancora un oggetto inquietante. Quello di Larraín è il caso limite, visto che ha girato con la pellicola e gli strumenti dell'epoca, mescolando spot televisivi originali. Negli altri casi è lecito domandarsi se costumisti e trovarobe non si stiano un po' allargando a spese di sceneggiatura e regia. Va a finire come con Mad Men, dopo un po' ti accorgi che t'interessa più l'arredamento della trama. Russell si adegua e decide, per definire i suoi personaggi, di affidarsi ai capelli: la parte di noi più deperibile, la più sacrificabile alle mode. Il grande truffatore ha un riporto impossibile: è chiara la metafora? Gli arrampicatori sociali invece si fanno ricci coi bigodini. Anche lo smalto per le unghie è estremamente simbolico. Non era una cattiva idea, ma Russell è preoccupato che ci sfugga e ci insiste finché non diventa ridondante.
In seguito arrivano Bradley Cooper e Jennifer Lawrence. Non è passato neanche un anno da quando erano la coppia quadripolare di Silver Lining, ed eccoli non-protagonisti di lusso in un film in apparenza tanto diverso. Invece assomigliano ai vecchi personaggi: Cooper è un agente federale spiritato, con episodi maniacali che a volte sfociano in scoppi di violenza (la cocaina naturalmente gioca la sua parte) (continua su +eventi!) La Lawrence è la casalinga matta, sempre più credibile. È come se il vecchio film non volesse cedere del tutto lo spazio al nuovo. Una sensazione che accresce ancor di più il sospetto che questo non sia un vero caper movie; che il colpo grosso sia solo parte dello scenario, in un film dove lo scenario è ingombrante ma non è tutto. A Russell non interessa davvero il meccanismo della truffa, il trucco da preparare nei dettagli, il trabocchetto da tendere allo spettatore (e in effetti chi è cresciuto con la Stangata non ci casca: ma non ha davvero tanta importanza). A Russell interessano i personaggi, in carne e ossa e peli e unghie e soprattutto sentimenti. Ci tiene tanto ai sentimenti. Spero che ci teniate anche voi, perché Russell con la scusa del colpo grosso vuole provare di nuovo a raccontarvi una storia d'amore e redenzione.
Se invece le storie d'amore tra personaggi non simpaticissimi non sono il vostro forte, American Hustle rischia di lasciarvi con l'amaro in bocca. Non c'è truffatore repellente che non possa redimersi, non c'è spogliarellista in carriera che non possa darci lezioni di integrità sentimentale. L'importante è trovare amici che ci sappiano scaldare al fuoco del loro affetto e della loro rettitudine. Pur di trovarli Russell è ben disposto a violentare la storia vera che sta raccontando, trasformando un sindaco colluso con la criminalità in un eroico difensore di orfani e vedove e lavoratori di ogni colore. Ora il punto non è tanto che il sindaco vero non fosse decisamente uno stinco di santo (trafficava narcotici e banconote false, robetta). Non sarebbe la prima volta che un criminale diventa un eroe sulla pellicola per esigenze narrative. Però poi arriva il momento in cui questo eroe ti porta in un casinò appena riaperto ad Atlantic City, e dopo averti spiegato com'è vitale per tutta la collettività multiculturale del New Jersey la legalizzazione del gioco d'azzardo, e quante cose belle e civiche si possono fare restaurando i vecchi casinò che sono un patrimonio culturale - dopo tutti questi bei discorsi - ti mostra un gruppo di persone in fondo alla sala e dice che prima o poi con quelli bisogna andarci a parlare. È la mafia di Miami.
Il sindaco piezz'e'core, per far marciare l'economia, deve invitare la mafia di Miami. E va bene, si vede che le cose stavano davvero così: per far funzionare le case da gioco ti serviva il know-how della mafia. Però Russell non è Scorsese, non riesce a fare del suo sindaco Carmine un personaggio complesso, un personaggio ambiguo. Il tizio continuerà a gironzolare per tutto il film spiegando quanto è onesto ed eroico e quante cose buone ha fatto per i suoi cittadini, e noi spettatori dovremmo crederci e dimenticare il fatto che ha invitato i mafiosi a fare affari nella sua città: dovremmo pure stare in pena per la sua sorte. È che a Russell interessano i sentimenti, solo i sentimenti; e se gli è scappato un minimo di affresco sociale è stato per sbaglio. Eppure sotto le scenografie e le musiche, sotto la tricologia e gli arredi, persino sotto la storia d'amore, c'è la traccia di un film impensabile in Italia: un film dove i politici sono onesti lavoratori perseguitati da folli magistrati, pardon, da agenti federali ubriachi di potere. Un film che Berlusconi si guarderebbe a rotazione tutte le sere e non è escluso che lo faccia - ha molto tempo libero adesso.
Alla fine di tutto c'è un gran senso di vuoto. Mi succede sempre così coi suoi film. Mentre li guardo mi diverto anche molto; mi commuovo, mi appassiono, provo tutti i sentimenti che Russell desidera che io provi. Poi si accendono le luci e non mi ricordo quasi più il film che ho visto. Ricordo Amy Adams; qualche vestito di Amy Adams; Bradley scamiciato come Moroder che balla un pezzo di Moroder; il sindaco bravo e buono che invita i mafiosi; il riporto impossibile di Christian Bale, tutto qui. Mi ha fregato di nuovo, David O. Russell. L'apparenza inganna - la gente crede a quello che vuole credere, e mentre lo guardavo volevo crederci. Mi sembrava proprio un film coi fiocchi, un vero colpo grosso. Ma forse il pollo ero io.
American Hustle è al Cine4 di Alba (18:30, 21:30); al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (14:30, 17:15, 20:00, 22:45); all'Italia di Saluzzo (16:00, 18:45, 21:30); al Cinecittà di Savigliano (16:00, 18:45, 21:30).
Comments (4)
"Caccia l'eurobond o sbatto la porta!"
04-01-2014, 00:44Beppe Grillo, elezioni 2014, EuroPermalink
Se la scelta di Grillo di nominare uno schizofrenico incompetente come uomo dell'anno 2013 vi ha lasciato un po' perplessi, forse il nuovo "Programma per l'Europa" del MoVimento 5 Stelle può aiutarvi a capire perché la schizofrenia potrebbe essere la chiave di lettura di molte scelte grilline. Ora gesticolerò i sette punti come se dovessi spiegarli a una signora tedesca di mezza età un po' perplessa, che per comodità chiamerò "Merkel".
1. Forse non vogliamo stare in Europa, può darsi che metteremo in crisi l'intera zona euro con un referendum. Il referendum a norma di legge non si potrebbe fare, ma discuterne può essere utile a creare un po' di panico e farci vincere le elezioni.
2. Forse vogliamo stare in Europa, però basta con l'austerità. Capito Merkel? Basta!!!!!1111
3. Invece vogliamo l'Eurobond, capito Merkel???^^^?? Facciamo un mucchio solo col debito pubblico italiano e quello tedesco. Cioè voi dovrete garantire anche per il nostro debito, ahahaha! Però basta austerità, finito. Così è l'Europa che ci piace. Noi spendiamo e voi garantite. Vedrete che se lo compreranno tutti un Eurobond così. Me lo comprerei anch'io... se non esco dall'euro prima.
4. Infatti forse l'Europa non ci piace lo stesso, dopotutto, e ci metteremo d'accordo con gli altri Pigs per farci la nostra unione mediterranea, e magari anche il Medibond. Così invece di fare un solo mucchio col debito tedesco lo faremo con, uhm, quello spagnolo, greco...
5. Abbiamo cambiato idea! Vogliamo stare in Europa! Però Frau Merkel devi abolire altri vincoli, devi farci spendere, Merkel, altrimenti noi ci arrabbiamo e poi diventiamo pericolosi.
6. Diventiamo molto pericolosi! Rimettiamo le dogane! Vogliamo stare in Europa però ognuno a casa sua!
7. Ah, un'altra cosa Frau Merkel. Vogliamo stare in Europa, ma senza pareggio di bilancio, ok? E il sabato devi venirci a lavare la macchina. No, niente biowashball, detersivi veri. Sennò ce ne andiamo via con gli altri Paesi mediterranei, sta' molto attenta Merkel.
1. Forse non vogliamo stare in Europa, può darsi che metteremo in crisi l'intera zona euro con un referendum. Il referendum a norma di legge non si potrebbe fare, ma discuterne può essere utile a creare un po' di panico e farci vincere le elezioni.
2. Forse vogliamo stare in Europa, però basta con l'austerità. Capito Merkel? Basta!!!!!1111
3. Invece vogliamo l'Eurobond, capito Merkel???^^^?? Facciamo un mucchio solo col debito pubblico italiano e quello tedesco. Cioè voi dovrete garantire anche per il nostro debito, ahahaha! Però basta austerità, finito. Così è l'Europa che ci piace. Noi spendiamo e voi garantite. Vedrete che se lo compreranno tutti un Eurobond così. Me lo comprerei anch'io... se non esco dall'euro prima.
4. Infatti forse l'Europa non ci piace lo stesso, dopotutto, e ci metteremo d'accordo con gli altri Pigs per farci la nostra unione mediterranea, e magari anche il Medibond. Così invece di fare un solo mucchio col debito tedesco lo faremo con, uhm, quello spagnolo, greco...
5. Abbiamo cambiato idea! Vogliamo stare in Europa! Però Frau Merkel devi abolire altri vincoli, devi farci spendere, Merkel, altrimenti noi ci arrabbiamo e poi diventiamo pericolosi.
6. Diventiamo molto pericolosi! Rimettiamo le dogane! Vogliamo stare in Europa però ognuno a casa sua!
7. Ah, un'altra cosa Frau Merkel. Vogliamo stare in Europa, ma senza pareggio di bilancio, ok? E il sabato devi venirci a lavare la macchina. No, niente biowashball, detersivi veri. Sennò ce ne andiamo via con gli altri Paesi mediterranei, sta' molto attenta Merkel.
Comments (84)
L'uninominale morbido
03-01-2014, 16:26autoreferenziali, costituzionePermalink
Oggi non ho ancora dato un'occhiata a un quotidiano, ma sono sicuro che sui più prestigiosi ci sono schede approfondite su tutti e tre i sistemi elettorali proposti da Renzi, con un'analisi attenta dei pro e dei contro. Qui invece trovate il sistema elettorale che proporrei io, se avessi una qualsiasi voce in capitolo. Potrebbe anche essere più bello di così, ma questa è la versione che potrebbe passare senza necessità di revisioni costituzionali (credo. Poi magari dopo dieci anni la corte costituzionale si accorge che non va, son cose che capitano).
Il sistema è già apparso su questa pagina un mese fa, ma avevo appena iniziato a pensarci (no, in realtà ci penso da una vita). Ho anche approfittato di qualche suggerimento dei lettori.
1. Ancora bicameralismo perfetto, per ora. (così non dobbiamo modificare la Costituzione, poi si vedrà). Si divida la popolazione italiana in 630 circoscrizioni elettorali per la Camera dei Deputati e in 315 circoscrizioni per il Senato.
2. Le primarie sono raccolte di firme. Su ogni scheda si trovano tre nomi - non necessariamente associati a simboli di partito (ma aiuta ai fini del raggiungimento del premio di maggioranza, come vedremo). Sono i tre cittadini che sono riusciti a raccogliere più firme autenticate dei cittadini di quella circoscrizione nel mese precedente all'apertura dei seggi. Ogni cittadino può firmare soltanto per un candidato alla Camera e per un candidato al Senato. Gli elenchi delle firme sono pubblici, ma contengono dati sensibili, nello spirito della normativa sulla privacy. (In soldoni: un magistrato può chiedere di sapere per chi hai firmato, un giornalista no).
3. L'uninominale morbida. Sulla scheda a dire il vero compariranno i tre nomi due volte: la prima in grande (prima scelta), la seconda in piccolo (seconda scelta). L'elettore può:
Il sistema è già apparso su questa pagina un mese fa, ma avevo appena iniziato a pensarci (no, in realtà ci penso da una vita). Ho anche approfittato di qualche suggerimento dei lettori.
1. Ancora bicameralismo perfetto, per ora. (così non dobbiamo modificare la Costituzione, poi si vedrà). Si divida la popolazione italiana in 630 circoscrizioni elettorali per la Camera dei Deputati e in 315 circoscrizioni per il Senato.
2. Le primarie sono raccolte di firme. Su ogni scheda si trovano tre nomi - non necessariamente associati a simboli di partito (ma aiuta ai fini del raggiungimento del premio di maggioranza, come vedremo). Sono i tre cittadini che sono riusciti a raccogliere più firme autenticate dei cittadini di quella circoscrizione nel mese precedente all'apertura dei seggi. Ogni cittadino può firmare soltanto per un candidato alla Camera e per un candidato al Senato. Gli elenchi delle firme sono pubblici, ma contengono dati sensibili, nello spirito della normativa sulla privacy. (In soldoni: un magistrato può chiedere di sapere per chi hai firmato, un giornalista no).
3. L'uninominale morbida. Sulla scheda a dire il vero compariranno i tre nomi due volte: la prima in grande (prima scelta), la seconda in piccolo (seconda scelta). L'elettore può:
- esprimere sia la prima che la seconda scelta (purché su due candidati diversi)
- esprimere soltanto la prima scelta (la seconda scelta sarà considerata voto nullo)
- nel caso (piuttosto bizzarro) in cui un elettore esprima soltanto la seconda scelta, il voto sarà conteggiato come prima scelta. Magari gli scrutatori possono metterlo a verbale: in ogni caso non è possibile esprimere soltanto la seconda scelta.
- scheda bianca o nulla, come da che mondo è mondo.
4. Il primo spoglio. Al termine della consultazione, gli scrutatori rovesciano le urne e cominciano a conteggiare le prime scelte. Se uno dei tre candidati supera il 50%+1 dei suffragi, è eletto senza riserve.
5. Il secondo spoglio. Se nessuno dei tre candidati supera il 50%+1, il candidato che ha ottenuto il numero inferiore di prime scelte viene "eliminato". Le schede che lo indicavano come prima scelta vengono ri-spogliate, ma stavolta vengono assegnate ai candidati indicati in seconda scelta. Il candidato che in questo modo ha ottenuto più suffragi viene eletto "con riserva".
6. Se un partito ha superato il 55%. Se un partito ha ottenuto più del 55% degli eletti, ovvero 346 deputati e 173 senatori, non scatta alcun premio di maggioranza: lo spoglio è finito, un partito ha vinto le elezioni e gli altri hanno perso.
7. Il premio di maggioranza... se invece, come è molto probabile, nessun partito arrivasse al 55%, le cose si complicherebbero un po', vista la difficoltà di far convivere il premio di maggioranza con l'uninominale. Al senato poi c'è il problema del regionalismo che complicherà ulteriormente le cose (e in ultima analisi è responsabile della suinità della legge Calderoli). Ma vediamo alla Camera. Se nessun partito dovesse arrivare a quota 346, il partito che è comunque arrivato primo totalizzandone almeno 283 (il 45%) ottiene i seggi necessari ad arrivare a 346. A chi li toglie? A chi era stato eletto con riserva, ricordate? conteggiando la seconda scelta degli elettori.
Facciamo l'esempio peggiore: il primo partito (PP) ha 'vinto' soltanto in 283. Gli devono essere attribuiti 63 seggi.
- Si prendono in esame le circoscrizioni in cui il primo spoglio non ha dato nessun vincitore.
- Si trovano le 63 circoscrizioni in cui il candidato del PP aveva ottenuto il risultato migliore, pur senza raggiungere il 50%+1.
- Si attribuiscono questi seggi ai candidati del PP.
La filosofia è la seguente: nei casi in cui i cittadini di una circoscrizione non sono riusciti a mettersi d'accordo in prima battuta, la scelta viene demandata alla collettività, che premia il partito che ha preso più voti a livello nazionale.
Se nessun partito arriva a 283 (45%), scatta un premio inferiore, che porta il primo partito a 316 (50%+1), e si fa un governo di coalizione.
8. E in Senato?
In Senato sarebbe bello se si potesse fare l'identica cosa che alla Camera, con gli sbarramenti e i premi alle stesse percentuali. Temo che non si possa a causa della riforma pseudo-regionale che già rese bizantina la legge Calderoli. In sostanza o si cambia la Costituzione o si applica il premio su base regionale. Ci devo ancora lavorare.
Difetti:
- Il clientelismo si trasferirà dal voto alla firma: dal voto di scambio alla firma di scambio. Ma almeno le firme sono tracciabili (però non pubblicabili). Diciamo che sarà più facile notare i fenomeni di clientelismo: con un sistema elettorale mica li si combatte, al massimo li si fa emergere.
- Alcuni candidati che sembravano eletti (con riserva, conteggiando la seconda scelta degli elettori) avranno l'impressione di essere scalzati. E però non è che avessero vinto davvero: per vincere bisognava prendere il 50%+1 della prima scelta, o far parte del partito che è arrivato primo su base nazionale.
- Forse i posteri giudicheranno con severità la violenza che facciamo alla democrazia infliggendo premi e sbarramenti (oppure ci chiameranno pazzi per via che facevamo votare gli analfabeti e gli ottuagenari). Però cercate di capirci, posteri, di governi instabili non ne possiamo più. Se ne riparla dopo che qualcuno riesce a finire una legislatura normale.
Devo dire che più mi addentro in questa follia, più capisco come deve essersi sentito Calderoli.
Se nessun partito arriva a 283 (45%), scatta un premio inferiore, che porta il primo partito a 316 (50%+1), e si fa un governo di coalizione.
8. E in Senato?
In Senato sarebbe bello se si potesse fare l'identica cosa che alla Camera, con gli sbarramenti e i premi alle stesse percentuali. Temo che non si possa a causa della riforma pseudo-regionale che già rese bizantina la legge Calderoli. In sostanza o si cambia la Costituzione o si applica il premio su base regionale. Ci devo ancora lavorare.
Difetti:
- Il clientelismo si trasferirà dal voto alla firma: dal voto di scambio alla firma di scambio. Ma almeno le firme sono tracciabili (però non pubblicabili). Diciamo che sarà più facile notare i fenomeni di clientelismo: con un sistema elettorale mica li si combatte, al massimo li si fa emergere.
- Alcuni candidati che sembravano eletti (con riserva, conteggiando la seconda scelta degli elettori) avranno l'impressione di essere scalzati. E però non è che avessero vinto davvero: per vincere bisognava prendere il 50%+1 della prima scelta, o far parte del partito che è arrivato primo su base nazionale.
- Forse i posteri giudicheranno con severità la violenza che facciamo alla democrazia infliggendo premi e sbarramenti (oppure ci chiameranno pazzi per via che facevamo votare gli analfabeti e gli ottuagenari). Però cercate di capirci, posteri, di governi instabili non ne possiamo più. Se ne riparla dopo che qualcuno riesce a finire una legislatura normale.
Devo dire che più mi addentro in questa follia, più capisco come deve essersi sentito Calderoli.
Comments (5)