Canzoni ascoltabili a Sanremo (2)
22-02-2014, 23:26musica, SanremoPermalink(Ovviamente ce ne sono tantissime altre. Magari un'altra volta).
3. Delirium, Jesahel (1972)
Mille volti come sabbia del deserto; mille voci come onde in mare aperto. Tra le tradizioni antichissime del festival, c'è quella del gruppo che sembra arrivato da un altro pianeta: vent'anni prima dei Bluvertigo (e dei Subsonica, e di Elio), Fossati e Prudente avevano già capito tutto occupando il palco del Casinò con un'orda di fricchettoni scritturati per battere le mani ("parenti e amici", si premura di informarci Mike). E quando tutto sembra ormai degenerato in follia mistica, non resta che estrarre il piffero - sì, siamo appena entrati in quella manciata d'anni in cui il flauto traverso è uno strumento spaventosamente sexy che le rockstar impugnano con debordante voluttà. Anche grazie a questa baracconata in diretta Jesahel vendette milioni di copie, una cosa che a distanza di 40 anni la mente si rifiuta di concepire. In effetti è un pezzo che può piacere immensamente o causare choc anafilattici; il prog italiano è uno degli ingredienti di partenza, ma Jesahel risale la corrente, verso i raga indiani, in un esperimento di autoipnosi collettiva. Liberati dal cemento e dalle luci, il silenzio nelle mani e nelle voci. Sembra il finale di Tommy, ma in diretta davanti ai borghesi in abito da sera. Quell'anno vinse Nicola Di Bari con una canzone che non ho mai sentito; Jesahel arrivò sesta superando in scioltezza Mi ricordo montagne verdi e Piazza grande. Nel '72 Jesahel sembrava più interessante di Piazza Grande.
3. Delirium, Jesahel (1972)
Mille volti come sabbia del deserto; mille voci come onde in mare aperto. Tra le tradizioni antichissime del festival, c'è quella del gruppo che sembra arrivato da un altro pianeta: vent'anni prima dei Bluvertigo (e dei Subsonica, e di Elio), Fossati e Prudente avevano già capito tutto occupando il palco del Casinò con un'orda di fricchettoni scritturati per battere le mani ("parenti e amici", si premura di informarci Mike). E quando tutto sembra ormai degenerato in follia mistica, non resta che estrarre il piffero - sì, siamo appena entrati in quella manciata d'anni in cui il flauto traverso è uno strumento spaventosamente sexy che le rockstar impugnano con debordante voluttà. Anche grazie a questa baracconata in diretta Jesahel vendette milioni di copie, una cosa che a distanza di 40 anni la mente si rifiuta di concepire. In effetti è un pezzo che può piacere immensamente o causare choc anafilattici; il prog italiano è uno degli ingredienti di partenza, ma Jesahel risale la corrente, verso i raga indiani, in un esperimento di autoipnosi collettiva. Liberati dal cemento e dalle luci, il silenzio nelle mani e nelle voci. Sembra il finale di Tommy, ma in diretta davanti ai borghesi in abito da sera. Quell'anno vinse Nicola Di Bari con una canzone che non ho mai sentito; Jesahel arrivò sesta superando in scioltezza Mi ricordo montagne verdi e Piazza grande. Nel '72 Jesahel sembrava più interessante di Piazza Grande.
2. Matia Bazar, Souvenir (1985)
Una lirica, incredula canzone di facile presa? Uhm. Come Toto Cotugno, Antonella Ruggiero ha partecipato a millanta festival, ma ne ha vinto soltanto uno di quelli sfigati di fine anni Settanta che non si filava più nessuno - peraltro con una canzone in cui non era nemmeno voce solista, ma ditemi voi. Antonella Ruggiero è tuttavia un'interprete straordinaria (di Toto non lo direi), a mio ignorante parere la più grande che abbiamo, e non c'è un'edizione che non avrebbe meritato di vincere. E siccome sarebbe scontato chiudere la discussione con Vacanze romane (un pezzo non si accontenta della ricetta sanremese che prescrive di far convivere rock e lento ma va oltre in entrambe le direzioni, rimontando Puccini ed elettropop), mi gioco Souvenir, un'altra romanza elettronica di cui nessuno si ricorda. In quel momento i Matia Bazar sono un gruppo straordinario che l'Italia ha svezzato nei più plumbei anni Settanta ma che non si merita: fanno avanguardia ma anche pop sfacciato, si permettono di far convivere discoteca e qualità senza menarsela. Ancora un anno e gli autoscontri d'Italia pomperanno nelle casse Ti sento, magari nella versione inglese per darsi un tono (o in spagnolo per quel tocco di tamarro in più). Nel 1985 si accontentano di far scendere Antonella dalla scalinata con un capolavoro di canzone orecchiabile e incantabile, provvista di arrangiamenti che guardano il mondo extraitaliano a testa alta. Quell'anno a Sanremo passarono Duran, Spandau, Frankie Goes To Hollywood, Talk Talk; il concorso lo vinsero i Ricchi e Poveri (Se n'innamoro), secondo Luis Miguel (Noi ragazzi di oggi di Cotugno), sesto Ramazzotti (Una storia importante), ventunesimo Zucchero con Donne dududù. Verso il fondo ci sono anche Banco e New Trolls. I Matia arrivano decimi e prendono il premio della critica. Forse non abbiamo più avuto niente di meglio.
Una lirica, incredula canzone di facile presa? Uhm. Come Toto Cotugno, Antonella Ruggiero ha partecipato a millanta festival, ma ne ha vinto soltanto uno di quelli sfigati di fine anni Settanta che non si filava più nessuno - peraltro con una canzone in cui non era nemmeno voce solista, ma ditemi voi. Antonella Ruggiero è tuttavia un'interprete straordinaria (di Toto non lo direi), a mio ignorante parere la più grande che abbiamo, e non c'è un'edizione che non avrebbe meritato di vincere. E siccome sarebbe scontato chiudere la discussione con Vacanze romane (un pezzo non si accontenta della ricetta sanremese che prescrive di far convivere rock e lento ma va oltre in entrambe le direzioni, rimontando Puccini ed elettropop), mi gioco Souvenir, un'altra romanza elettronica di cui nessuno si ricorda. In quel momento i Matia Bazar sono un gruppo straordinario che l'Italia ha svezzato nei più plumbei anni Settanta ma che non si merita: fanno avanguardia ma anche pop sfacciato, si permettono di far convivere discoteca e qualità senza menarsela. Ancora un anno e gli autoscontri d'Italia pomperanno nelle casse Ti sento, magari nella versione inglese per darsi un tono (o in spagnolo per quel tocco di tamarro in più). Nel 1985 si accontentano di far scendere Antonella dalla scalinata con un capolavoro di canzone orecchiabile e incantabile, provvista di arrangiamenti che guardano il mondo extraitaliano a testa alta. Quell'anno a Sanremo passarono Duran, Spandau, Frankie Goes To Hollywood, Talk Talk; il concorso lo vinsero i Ricchi e Poveri (Se n'innamoro), secondo Luis Miguel (Noi ragazzi di oggi di Cotugno), sesto Ramazzotti (Una storia importante), ventunesimo Zucchero con Donne dududù. Verso il fondo ci sono anche Banco e New Trolls. I Matia arrivano decimi e prendono il premio della critica. Forse non abbiamo più avuto niente di meglio.
1. Patty Pravo, Per una bambola (1984)
L'ho cercata sopra il colle, la mia piccola ribelle. Negli anni delle basi elettropop registrate, Patty Pravo irride il playback ignorando del tutto il microfono, accompagnata con una chitarra, un organetto e poco più: sarà anche questo il motivo per cui Per una bambola sembra composta e interpretata ad anni luce di distanza da Terra Promessa, da Ci sarà, da Non voglio mica la luna. Quando parliamo di canzoni siamo tutti tanti piccoli Red Ronnie, tanti piccoli Paolo Limiti con tanta voglia di contestualizzare, di spiegare a un pubblico che si presume giovane e/o ignorante perché la data canzone aveva un senso in quel momento storico, i germi di futuro che contiene, le tracce di passato che ci consente di recuperare, eccetera eccetera. Poi ogni tanto ti imbatti in canzoni come Per una bambola, e ti viene voglia di mandare alle ortiche tutta la contestualizzazione, indossare un panciotto da critico crociano e tagliarla breve: Per una bambola è una perla senza tempo: era bella nel 1984, lo sarebbe stata dieci anni prima, lo è oggi, lo sarà tra cent'anni. Persino il fatto che parli di una giovinezza perduta, e di quanto sia patetico richiederla indietro; persino se non l'avesse voluta cantare una ex diva che tentava un rilancio, Per una bambola sarebbe ugualmente misteriosa e incantevole. Non voglio dire che me ne accorsi subito, quell'anno tifavo purtroppo Toto Cotugno che arrivò secondo dietro ad Albano e Romina; e però se a distanza di trent'anni mi capita ancora di attardarmi davanti alla tv e dare una chance a qualsiasi cantante salga su quel palco, è ancora colpa di Maurizio Monti che scrisse Per una bambola, la diede a Patty Pravo e m'insegnò che la bellezza può scendere le scale in qualsiasi momento, consegnata dalla persona da cui meno te l'aspetti. Mi hanno detto che la tratti male, come mai? Fammi sapere se è vero, torno a prenderla.
L'ho cercata sopra il colle, la mia piccola ribelle. Negli anni delle basi elettropop registrate, Patty Pravo irride il playback ignorando del tutto il microfono, accompagnata con una chitarra, un organetto e poco più: sarà anche questo il motivo per cui Per una bambola sembra composta e interpretata ad anni luce di distanza da Terra Promessa, da Ci sarà, da Non voglio mica la luna. Quando parliamo di canzoni siamo tutti tanti piccoli Red Ronnie, tanti piccoli Paolo Limiti con tanta voglia di contestualizzare, di spiegare a un pubblico che si presume giovane e/o ignorante perché la data canzone aveva un senso in quel momento storico, i germi di futuro che contiene, le tracce di passato che ci consente di recuperare, eccetera eccetera. Poi ogni tanto ti imbatti in canzoni come Per una bambola, e ti viene voglia di mandare alle ortiche tutta la contestualizzazione, indossare un panciotto da critico crociano e tagliarla breve: Per una bambola è una perla senza tempo: era bella nel 1984, lo sarebbe stata dieci anni prima, lo è oggi, lo sarà tra cent'anni. Persino il fatto che parli di una giovinezza perduta, e di quanto sia patetico richiederla indietro; persino se non l'avesse voluta cantare una ex diva che tentava un rilancio, Per una bambola sarebbe ugualmente misteriosa e incantevole. Non voglio dire che me ne accorsi subito, quell'anno tifavo purtroppo Toto Cotugno che arrivò secondo dietro ad Albano e Romina; e però se a distanza di trent'anni mi capita ancora di attardarmi davanti alla tv e dare una chance a qualsiasi cantante salga su quel palco, è ancora colpa di Maurizio Monti che scrisse Per una bambola, la diede a Patty Pravo e m'insegnò che la bellezza può scendere le scale in qualsiasi momento, consegnata dalla persona da cui meno te l'aspetti. Mi hanno detto che la tratti male, come mai? Fammi sapere se è vero, torno a prenderla.
(Bonus:) Banco, Grande Joe (1985).
Stavo pensando a come finire questo post ieri sera, quando Fazio ha annunciato la scomparsa di Francesco Di Giacomo. È stato inevitabile ricordare la prima volta che lo vidi e lo sentii cantare in tv, proprio a Sanremo, nel 1985. Grande Joe, a riascoltarla, non mi pare una gran canzone; ma ricordo che resistetta a lungo, su un nastro registrato davanti alla tv, mentre molte altre canzoni prima e dopo venivano cancellate e sovraincise. Prima di scoprire Io sono nato libero sarebbero passati molti anni, e ancora oggi ho la sensazione di non aver fatto tutti i compiti. A quel tempo farsi una cultura musicale era un po' più difficile: non voglio dire che Sanremo mi aiutò, ma almeno non dovevo più chiedere chi fosse il Banco.
Stavo pensando a come finire questo post ieri sera, quando Fazio ha annunciato la scomparsa di Francesco Di Giacomo. È stato inevitabile ricordare la prima volta che lo vidi e lo sentii cantare in tv, proprio a Sanremo, nel 1985. Grande Joe, a riascoltarla, non mi pare una gran canzone; ma ricordo che resistetta a lungo, su un nastro registrato davanti alla tv, mentre molte altre canzoni prima e dopo venivano cancellate e sovraincise. Prima di scoprire Io sono nato libero sarebbero passati molti anni, e ancora oggi ho la sensazione di non aver fatto tutti i compiti. A quel tempo farsi una cultura musicale era un po' più difficile: non voglio dire che Sanremo mi aiutò, ma almeno non dovevo più chiedere chi fosse il Banco.
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Renzi e la squadra non simpatica
22-02-2014, 02:37governo Letta, RenziPermalink
Il triangolo rettangolo.
La squadra che Enrico Letta presentò in primavera aveva qualche chance di sembrarci simpatica, proprio come certe rose disperate messe assieme con due spicci giusto per sfangare una retrocessione: qualche vecchia gloria, qualche ex giovane promessa mai mantenuta, qualche guizzo buono per attirare l'attenzione dei giornali (la Idem), qualche sconosciuto che magari a metà stagione esplode... non è successo, non è esploso nessuno, anzi molti si sono rivelati indecorosi flop; ma per qualche settimana ci abbiamo anche sperato. E vista la situazione non è stato il peggiore dei governi possibili.
La squadra che ieri ha presentato Renzi non è altrettanto simpatica. Costretto per contratto a mantenere tutti i ministri Ncd, Renzi non poteva che bilanciare la situazione aumentando le poltrone del Pd, facendo anche molta attenzione agli equilibri interni del partito. Naturalmente nessuno è insostituibile, ma è triste che non si sia trovato lo spazio per Cécile Kyenge: la scelta di affidare l'integrazione a un'italiana di origine straniera è stata la più coraggiosa e giusta che Enrico Letta abbia fatto. Dispiace non trovare in Renzi lo stesso coraggio, anche perché la mancata riconferma della Kyenge non potrà non essere interpretata come un segno di distensione nei confronti di quella mezza Italia che alla sola idea di un ministro della repubblica nero è andata in confusione, da Sartori a Salvini. Io avrei preferito che continuassero imperterriti a sbrodolarsi addosso il loro razzismo, ma forse è una visione delle cose puerile. L'importante è che passi la legge: il razzismo si sconfigge estendendo i diritti civili, non creando personaggi. Ma mi dispiace lo stesso.
Se il team Letta poteva affascinarci per la sua fragilità, quello di Renzi ci indispone per la sua pretesa solidità - che poi è tutta da dimostrare. Letta governava con uomini di Berlusconi, è vero, ma era costretto dalla situazione eccezionale: dieci mesi dopo la situazione non è più così eccezionale, gli uomini di Berlusconi sono ancora più o meno tutti lì e ormai puntano al 2018, salvo che dicono di non essere più uomini di Berlusconi. Per quel che importa io continuo a non credere nell'esistenza del Ncd, o meglio nell'esistenza di un Ncd dotato di volontà propria: credo che esista soltanto nel tempo e nello spazio che Berlusconi ha deciso di concedere, un comodo espediente per mantenere in piedi la legislatura e chiamarsi fuori dalle scelte impopolari del governo. Scelte impopolari di cui Berlusconi per primo ha bisogno, sia come azionista Mediaset sia come leader politico abituato a dilapidare i tesoretti accumulati dalle gestioni precedenti.
A questo punto, più che speculare sulla composizione del governo, sarebbe utile cercare di capire se esista un patto Renzi-Berlusconi, e che cosa preveda: in particolare nelle noticine scritte in piccolo a fondo pagina. In teoria c'è una convergenza sulla legge elettorale: e però la legge elettorale era molto urgente soltanto finché si pensava di andare a votare il prima possibile. Adesso che non se ne parla più, c'è tempo per riflettere, mandando avanti una cosina come l'abolizione del Senato, che potrebbe richiedere anni. Nel frattempo, Renzi e Berlusconi si trovano in una situazione paradossale. Finché vanno d'accordo, il governo regge, e la cosa fa comodo a entrambi: ma la legge elettorale che vogliono varare equivale a un divorzio programmato: con l'Italicum le larghe intese non si potranno più fare. Ma a questo punto conviene ancora varare l'Italicum?
Dal punto di vista di Berlusconi: con l'Italicum mi gioco tutto, o la va o la spacca. Se invece manteniamo il mattarellum, e il M5S continua a essere refrattario a qualsiasi alleanza, mi basta tenermi il 20% per continuare a fare l'ago della bilancia. Chi me lo fa fare?
Dal punto di vista di Renzi: a me l'Italicum piaceva perché ero convinto che avrei vinto io: poi sono usciti dei sondaggi che devono avermi fatto cambiare un po' idea, visto che ho fatto dimettere Letta e mi sono messo al suo posto. A questo punto, col mattarellum, il PD è in una posizione centrale che lo rende indispensabile alla formazione di qualsiasi governo futuro, proprio come la Democrazia Cristiana: chi me lo fa fare di cambiare una situazione tanto vantaggiosa? Per passare a un sistema che rischia di consegnare una legislatura ai berlusconiani o ai grillini? Ok, affossare l'Italicum dopo averlo battezzato sarebbe un terribile voltafaccia: proprio come quello che ho fatto la settimana scorsa, e il partito mi ha seguito. Mi seguiranno anche stavolta, del resto conviene anche a loro.
Dal mio punto di vista: l'Italicum mi sembra orribile, sarei il primo a essere contento se smette di essere una priorità. Nei prossimi mesi si tenterà l'abolizione di molte cose, province e senati. Poiché nessuna provincia abolita ci farà recuperare punti di PIL: poiché la trasformazione del senato in un dopolavoro per presidenti di altri enti locali non inciderà particolarmente sulla produttività; poiché in generale nessuna riforma promessa da Renzi può avere risultati percepibili in tempi brevi, è lecito immaginare che il PD non avrà riscontri positivi nelle prossime consultazioni elettorali e in generale nei sondaggi. A quel punto i democratici dovrebbero essere davvero masochisti per continuare a sostenere l'Italicum - e non è detto che non lo siano. Però, alla fine, non è più comodo continuare così? La maggioranza è stabile, Berlusconi garantisce un'opposizione blanda (ha abbastanza pendenze giudiziarie da essere ricattabile), Grillo da parte sua si incarica di assorbire l'elettorato più arrabbiato e impedire che possa trasformarsi in altro che un'opposizione ringhiosa e ininfluente. Le strutture triangolari sono le più stabili di tutte, e questo nei fatti è un triangolo rettangolo: Grillo sta alla base e costringe i due cateti ad appoggiarsi l'uno all'altro. Sta funzionando, molto meglio di tutti gli algoritmi elettorali che avrebbero dovuto garantire questa o quella governabilità. L'Italia si può governare: basta costringere qualche maestranza di centrosinistra e qualche notabile di centrodestra a sopportarsi reciprocamente, mentre la plebe rimasta fuori dal palazzo si sfoga con qualche spettacolo offerto da predicatori e artisti di strada.
La squadra che Enrico Letta presentò in primavera aveva qualche chance di sembrarci simpatica, proprio come certe rose disperate messe assieme con due spicci giusto per sfangare una retrocessione: qualche vecchia gloria, qualche ex giovane promessa mai mantenuta, qualche guizzo buono per attirare l'attenzione dei giornali (la Idem), qualche sconosciuto che magari a metà stagione esplode... non è successo, non è esploso nessuno, anzi molti si sono rivelati indecorosi flop; ma per qualche settimana ci abbiamo anche sperato. E vista la situazione non è stato il peggiore dei governi possibili.
La squadra che ieri ha presentato Renzi non è altrettanto simpatica. Costretto per contratto a mantenere tutti i ministri Ncd, Renzi non poteva che bilanciare la situazione aumentando le poltrone del Pd, facendo anche molta attenzione agli equilibri interni del partito. Naturalmente nessuno è insostituibile, ma è triste che non si sia trovato lo spazio per Cécile Kyenge: la scelta di affidare l'integrazione a un'italiana di origine straniera è stata la più coraggiosa e giusta che Enrico Letta abbia fatto. Dispiace non trovare in Renzi lo stesso coraggio, anche perché la mancata riconferma della Kyenge non potrà non essere interpretata come un segno di distensione nei confronti di quella mezza Italia che alla sola idea di un ministro della repubblica nero è andata in confusione, da Sartori a Salvini. Io avrei preferito che continuassero imperterriti a sbrodolarsi addosso il loro razzismo, ma forse è una visione delle cose puerile. L'importante è che passi la legge: il razzismo si sconfigge estendendo i diritti civili, non creando personaggi. Ma mi dispiace lo stesso.
Se il team Letta poteva affascinarci per la sua fragilità, quello di Renzi ci indispone per la sua pretesa solidità - che poi è tutta da dimostrare. Letta governava con uomini di Berlusconi, è vero, ma era costretto dalla situazione eccezionale: dieci mesi dopo la situazione non è più così eccezionale, gli uomini di Berlusconi sono ancora più o meno tutti lì e ormai puntano al 2018, salvo che dicono di non essere più uomini di Berlusconi. Per quel che importa io continuo a non credere nell'esistenza del Ncd, o meglio nell'esistenza di un Ncd dotato di volontà propria: credo che esista soltanto nel tempo e nello spazio che Berlusconi ha deciso di concedere, un comodo espediente per mantenere in piedi la legislatura e chiamarsi fuori dalle scelte impopolari del governo. Scelte impopolari di cui Berlusconi per primo ha bisogno, sia come azionista Mediaset sia come leader politico abituato a dilapidare i tesoretti accumulati dalle gestioni precedenti.
A questo punto, più che speculare sulla composizione del governo, sarebbe utile cercare di capire se esista un patto Renzi-Berlusconi, e che cosa preveda: in particolare nelle noticine scritte in piccolo a fondo pagina. In teoria c'è una convergenza sulla legge elettorale: e però la legge elettorale era molto urgente soltanto finché si pensava di andare a votare il prima possibile. Adesso che non se ne parla più, c'è tempo per riflettere, mandando avanti una cosina come l'abolizione del Senato, che potrebbe richiedere anni. Nel frattempo, Renzi e Berlusconi si trovano in una situazione paradossale. Finché vanno d'accordo, il governo regge, e la cosa fa comodo a entrambi: ma la legge elettorale che vogliono varare equivale a un divorzio programmato: con l'Italicum le larghe intese non si potranno più fare. Ma a questo punto conviene ancora varare l'Italicum?
Dal punto di vista di Berlusconi: con l'Italicum mi gioco tutto, o la va o la spacca. Se invece manteniamo il mattarellum, e il M5S continua a essere refrattario a qualsiasi alleanza, mi basta tenermi il 20% per continuare a fare l'ago della bilancia. Chi me lo fa fare?
Dal punto di vista di Renzi: a me l'Italicum piaceva perché ero convinto che avrei vinto io: poi sono usciti dei sondaggi che devono avermi fatto cambiare un po' idea, visto che ho fatto dimettere Letta e mi sono messo al suo posto. A questo punto, col mattarellum, il PD è in una posizione centrale che lo rende indispensabile alla formazione di qualsiasi governo futuro, proprio come la Democrazia Cristiana: chi me lo fa fare di cambiare una situazione tanto vantaggiosa? Per passare a un sistema che rischia di consegnare una legislatura ai berlusconiani o ai grillini? Ok, affossare l'Italicum dopo averlo battezzato sarebbe un terribile voltafaccia: proprio come quello che ho fatto la settimana scorsa, e il partito mi ha seguito. Mi seguiranno anche stavolta, del resto conviene anche a loro.
Dal mio punto di vista: l'Italicum mi sembra orribile, sarei il primo a essere contento se smette di essere una priorità. Nei prossimi mesi si tenterà l'abolizione di molte cose, province e senati. Poiché nessuna provincia abolita ci farà recuperare punti di PIL: poiché la trasformazione del senato in un dopolavoro per presidenti di altri enti locali non inciderà particolarmente sulla produttività; poiché in generale nessuna riforma promessa da Renzi può avere risultati percepibili in tempi brevi, è lecito immaginare che il PD non avrà riscontri positivi nelle prossime consultazioni elettorali e in generale nei sondaggi. A quel punto i democratici dovrebbero essere davvero masochisti per continuare a sostenere l'Italicum - e non è detto che non lo siano. Però, alla fine, non è più comodo continuare così? La maggioranza è stabile, Berlusconi garantisce un'opposizione blanda (ha abbastanza pendenze giudiziarie da essere ricattabile), Grillo da parte sua si incarica di assorbire l'elettorato più arrabbiato e impedire che possa trasformarsi in altro che un'opposizione ringhiosa e ininfluente. Le strutture triangolari sono le più stabili di tutte, e questo nei fatti è un triangolo rettangolo: Grillo sta alla base e costringe i due cateti ad appoggiarsi l'uno all'altro. Sta funzionando, molto meglio di tutti gli algoritmi elettorali che avrebbero dovuto garantire questa o quella governabilità. L'Italia si può governare: basta costringere qualche maestranza di centrosinistra e qualche notabile di centrodestra a sopportarsi reciprocamente, mentre la plebe rimasta fuori dal palazzo si sfoga con qualche spettacolo offerto da predicatori e artisti di strada.
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Canzoni ascoltabili a Sanremo (1)
21-02-2014, 02:38musica, SanremoPermalinkA Sanremo in sessant'anni qualche bella canzone deve esser passata per forza. Il più delle volte non era a suo agio; spesso è finita penultima o ha strappato il premio della critica - ma quello non vuol dire, lo han dato pure a Tricarico. Quella che segue è una modestissima lista di canzoni davvero rispettabili: non piaceri proibiti da spararsi in cuffia a tarda notte di nascosto; canzoni che lasciano il mondo un po' più bello di come l'han trovato. Basterebbe ricordarsi queste e dimenticare quasi tutte le altre.
6. Alice, Per Elisa (1981)
Per Elisa paghi sempre tu e non ti lamenti, ti metti in fila per le spese! E il guaio è che non te ne accorgi. Il Sanremo del 1981 è l'ombelico di tutta la storia del festival. Cecchetto riesce finalmente ad azzeccare una formula televisiva che poi Baudo smarmellerà in versioni ancor più nazionalpopolari. C'è Maledetta primavera (Goggi); c'è Sarà perché ti amo (Ricchi e Poveri), però vince Alice che dopo dieci anni di altalenante carriera ha trovato sulla sua strada Franco Battiato e Giusto Pio, una fortuna spaventosa che non è mai più capitata a nessuna cantante anche più meritevole. In quegli anni Battiato e Pio sono in una forma straordinaria: potrebbero musicare e arrangiare l'elenco telefonico di Catania (a Milva qualche anno dopo fanno effettivamente cantare un tabellone aeroportuale e ne salta fuori un disco per l'estate). Alice di suo ci mette un testo rancoroso e sdegnato che non sembra decisamente adatto a ingraziarsi pubblico e giuria. Invece vince e arriva anche prima in classifica, negli anni in cui significava fare il botto. Non so quanto possa aver contribuito al successo la diceria che quasi subito trasformò Elisa nell'eroina. Crescendo a dire il vero poveri cristi ridotti a guardare le vetrine ne ho visti tanti e l'eroina non c'entrava più o meno mai. Per Elisa è una storia d'amore rovesciata, osservata dal punto di vista meno simpatetico in assoluto. La trovo geniale, e gli arrangiamenti di Pio continuano a sembrarmi meravigliosi. Sono così fiero di essere cresciuto con canzoni così, anche se nell''81 preferivo Hop Hop Hop Somarello. Per Elisa è anche un rimpianto: gli anni Ottanta avrebbero potuto essere molto più interessanti anche all'Ariston, perlomeno eravamo partiti col piede giusto. Invece l'anno dopo vinse Riccardo Fogli e Al Bano e Romina arrivarono secondi con Felicità.
5. Nada, Ma che freddo fa (1969)
Cos'è la vita senza l'amore? Di canzoncine perfette come Ma che freddo fa a Sanremo ne saranno passate tante: quella che Nada intona a quindici anni racchiude in pochi minuti quasi tutti i festival passati e venturi. Se rallenti un po' il ritornello, ci senti Nilla Pizzi e le romanze; la strofa si incarica di farci sentire giovanili e yé-yé. Tradizione e rivoluzione, tutto in tre minuti.
4. Daniele Silvestri, A bocca chiusa (2013)
E a occhi strizzati per non frignare come fontane. Boh, mi starò rammollendo, ma secondo me di cose del genere al festival non se ne erano ascoltate mai. Silvestri - che rischia di passare alla storia festivaliera per un paio di coreografie sceme - si siede a pianoforte e descrive in poche, sorvegliatissime parole, tutta la frustrazione di un pezzo d'Italia abbandonato a sé stesso e a rituali stanchi ma non rimpiazzabili. E quando la canzone volge al termine, e ci sarebbe da pestare il pedale e strappare l'applauso, la stoppa canticchiando: una lezione di antiretorica alla vigilia del risultato elettorale più sciagurato della nostra storia. Fatece largo che passiamo... noi.
6. Alice, Per Elisa (1981)
Per Elisa paghi sempre tu e non ti lamenti, ti metti in fila per le spese! E il guaio è che non te ne accorgi. Il Sanremo del 1981 è l'ombelico di tutta la storia del festival. Cecchetto riesce finalmente ad azzeccare una formula televisiva che poi Baudo smarmellerà in versioni ancor più nazionalpopolari. C'è Maledetta primavera (Goggi); c'è Sarà perché ti amo (Ricchi e Poveri), però vince Alice che dopo dieci anni di altalenante carriera ha trovato sulla sua strada Franco Battiato e Giusto Pio, una fortuna spaventosa che non è mai più capitata a nessuna cantante anche più meritevole. In quegli anni Battiato e Pio sono in una forma straordinaria: potrebbero musicare e arrangiare l'elenco telefonico di Catania (a Milva qualche anno dopo fanno effettivamente cantare un tabellone aeroportuale e ne salta fuori un disco per l'estate). Alice di suo ci mette un testo rancoroso e sdegnato che non sembra decisamente adatto a ingraziarsi pubblico e giuria. Invece vince e arriva anche prima in classifica, negli anni in cui significava fare il botto. Non so quanto possa aver contribuito al successo la diceria che quasi subito trasformò Elisa nell'eroina. Crescendo a dire il vero poveri cristi ridotti a guardare le vetrine ne ho visti tanti e l'eroina non c'entrava più o meno mai. Per Elisa è una storia d'amore rovesciata, osservata dal punto di vista meno simpatetico in assoluto. La trovo geniale, e gli arrangiamenti di Pio continuano a sembrarmi meravigliosi. Sono così fiero di essere cresciuto con canzoni così, anche se nell''81 preferivo Hop Hop Hop Somarello. Per Elisa è anche un rimpianto: gli anni Ottanta avrebbero potuto essere molto più interessanti anche all'Ariston, perlomeno eravamo partiti col piede giusto. Invece l'anno dopo vinse Riccardo Fogli e Al Bano e Romina arrivarono secondi con Felicità.
5. Nada, Ma che freddo fa (1969)
Cos'è la vita senza l'amore? Di canzoncine perfette come Ma che freddo fa a Sanremo ne saranno passate tante: quella che Nada intona a quindici anni racchiude in pochi minuti quasi tutti i festival passati e venturi. Se rallenti un po' il ritornello, ci senti Nilla Pizzi e le romanze; la strofa si incarica di farci sentire giovanili e yé-yé. Tradizione e rivoluzione, tutto in tre minuti.
4. Daniele Silvestri, A bocca chiusa (2013)
E a occhi strizzati per non frignare come fontane. Boh, mi starò rammollendo, ma secondo me di cose del genere al festival non se ne erano ascoltate mai. Silvestri - che rischia di passare alla storia festivaliera per un paio di coreografie sceme - si siede a pianoforte e descrive in poche, sorvegliatissime parole, tutta la frustrazione di un pezzo d'Italia abbandonato a sé stesso e a rituali stanchi ma non rimpiazzabili. E quando la canzone volge al termine, e ci sarebbe da pestare il pedale e strappare l'applauso, la stoppa canticchiando: una lezione di antiretorica alla vigilia del risultato elettorale più sciagurato della nostra storia. Fatece largo che passiamo... noi.
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La lotta tra i grillini e il Movimento
20-02-2014, 09:27Beppe Grillo, RenziPermalink
Tra due fuochi (amici?)
La scenata di Beppe Grillo in streaming, che ha deliziato sia i suoi tifosi che i suoi detrattori più accaniti, forse non è la vera notizia della giornata di ieri. Ieri Berlusconi ha adottato Renzi e Renzi ha promesso una riforma della giustizia a Silvio Berlusconi: forse Grillo avrebbe potuto dare più risalto alla cosa, ma era poco lucido. Tocca comunque parlare dell'isteria di Grillo, un po' perché sul patto Renzi-Berlusconi per ora si può solo speculare, e un po' perché illustra perfettamente le contraddizioni del Movimento Cinque Stelle. Avvertenza: nel mondo in cui sono cresciuto si riteneva che le contraddizioni fossero esplosive. Ogni tanto qualcuno titolava sui giornali di contraddizioni che stavano per esplodere nella DC o nel PCI o altrove, e delle palingenesi che sarebbero scaturite. Oggi è l'opposto, oggi la “contraddizione” è un punto di forza: credo che Berlusconi sia riuscito a tenersi sulla breccia per vent'anni proprio in virtù delle proprie contraddizioni. Allo stesso modo parlare delle contraddizioni del M5S non significa necessariamente indicare i punti deboli del M5S, anzi: proprio come Berlusconi, il M5S funziona anche grazie alla capacità di avvolgere i propri elettori in un contenuto politico che dice tutto e il suo contrario: democrazia e assemblearismo, diritti e giustizialismo, innovazione e reazione, Europa e strapaese.
La scenata di Beppe Grillo in streaming, che ha deliziato sia i suoi tifosi che i suoi detrattori più accaniti, forse non è la vera notizia della giornata di ieri. Ieri Berlusconi ha adottato Renzi e Renzi ha promesso una riforma della giustizia a Silvio Berlusconi: forse Grillo avrebbe potuto dare più risalto alla cosa, ma era poco lucido. Tocca comunque parlare dell'isteria di Grillo, un po' perché sul patto Renzi-Berlusconi per ora si può solo speculare, e un po' perché illustra perfettamente le contraddizioni del Movimento Cinque Stelle. Avvertenza: nel mondo in cui sono cresciuto si riteneva che le contraddizioni fossero esplosive. Ogni tanto qualcuno titolava sui giornali di contraddizioni che stavano per esplodere nella DC o nel PCI o altrove, e delle palingenesi che sarebbero scaturite. Oggi è l'opposto, oggi la “contraddizione” è un punto di forza: credo che Berlusconi sia riuscito a tenersi sulla breccia per vent'anni proprio in virtù delle proprie contraddizioni. Allo stesso modo parlare delle contraddizioni del M5S non significa necessariamente indicare i punti deboli del M5S, anzi: proprio come Berlusconi, il M5S funziona anche grazie alla capacità di avvolgere i propri elettori in un contenuto politico che dice tutto e il suo contrario: democrazia e assemblearismo, diritti e giustizialismo, innovazione e reazione, Europa e strapaese.
Un anno esatto fa scrissi un pezzo in cui smontavo il M5S in tre componenti che, a mio parere, potevano dividersi da un momento all'altro: il successo elettorale avrebbe potuto detonarle. Su questo direi che mi sbagliavo: una delle vere notizie del 2013 è proprio la sostanziale tenuta strutturale del M5S: i transfughi sono stati pochissimi.
Un anno fa distinguevo tra Grillo, il MoVimento e i grillini. Da una parte un leader carismatico, Grillo, portavoce e organizzatore del movimento. Più in basso il cosiddetto MoVimento, un elemento intermedio costituito dagli attivisti del M5S: quelli che partecipavano ai MeetUp e che oggi partecipano alle votazioni on line sulla piattaforma. Grazie alla trasparenza m5s, oggi sappiamo quanti sono: più o meno ottantamila, pochini (ma dovrebbero aumentare parecchio di sei mesi in sei mesi, man mano che si aggiornano i database). Il terzo livello invece è costituito dagli elettori di Grillo: i grillini. Quelli che conoscono il movimento perché conoscono Grillo; lo hanno sentito in tv o in piazza; magari leggono anche il suo blog. Questi sono il venti per cento dell'elettorato – otto milioni di persone. Già un anno fa qualcuno aveva notato che mentre la base grillina si stava ingrandendo a centrodestra, al confluire dei delusi di Lega e Berlusconi, il livello intermedio movimentista continuava a parlare un linguaggio molto più orientato a sinistra. La stessa discrasia la si è notata ogni volta che il MoVimento è stato consultato con una votazione on line: si pensi alla rosa dei candidati delle quirinarie, dalla Gabanelli a Romano Prodi. E poi l'abolizione del reato di clandestinità. Sino a ieri, al combattutissimo referendum consultazioni/sì consultazioni/no. Non che in questo caso la decisione di andare a scambiare un parere con Matteo Renzi sia in un qualche modo “di sinistra”: però rivela una disponibilità a confrontarsi con gli avversari politici che è quasi agli antipodi del grillismo.
C'è il piccolo problema che Grillo non è un rappresentante della volontà del MoVimento: gli altri magari sì, lui è quello che ha messo in piedi la baracca e non c'è nessuna regola statutaria per mandarlo via. Non si può ovviamente costringerlo a fare una cosa che non vuole fare; ovvero, se gli si chiede di andare alle consultazioni, lui ci andrà, ma farà il suo show di dieci minuti compresi di supercazzola sulle “rinnnovabili”, come quelli che vanno all'assemblea di condominio e si attaccano alla prima cosa che gli viene in mente per sbattere la porta. Qualsiasi altro cittadino eletto dal popolo dopo uno sketch così sarebbe da licenziare, ma appunto: i parlamentari del MoVimento sono cittadini eletti dal popolo, lui no. Lui e il suo cerchio magico (Casaleggio, Messora, Casalino e altra varia e raccogliticcia umanità) non sono tenuti a dar conto delle sciocchezze che dicono e scrivono. I parlamentari m5s possono anche esprimere la loro perplessità pubblicamente, ma poi non c'è nient'altro che possano fare: Grillo non può essere sbattuto fuori in nessun modo. Loro, viceversa, potrebbero già essere a fine corsa: non è detto che la legislatura duri ancora molto e non è detto che potranno ricandidarsi (a proposito, chi lo dovrebbe decidere?)
Alla fine il rapporto tra Grillo e il MoVimento è simile a quello dei leader carismatici cresciuti all'interno di un partito, che una volta raggiunta una posizione di potere istituzionale cercano di ridimensionare il potere del partito che ha fatto loro da trampolino. Il primo esempio utile è ovviamente quello di Mussolini e della lotta che condusse nel PNF per isolare i personaggi che minacciavano di metterlo in ombra. Attenzione, non sto dicendo che Grillo è un fascista (per certi versi sì, per altri no, ma non è questo che ci interessa). Sto semplicemente ricordando un esempio che dovrebbe essere familiare a chi ha studiato un po' di Novecento italiano. Con la sua scenata Grillo ha offeso soprattutto gli attivisti del MoVimento che gli avevano chiesto un atto di disponibilità vero nei confronti di Renzi. Grillo può permetterselo, perché il suo vero pubblico non è il MoVimento, ma la massa montante dei grillini, che alle votazioni on line nemmeno partecipano, ma che ieri si sono guardati lo streaming con gusto, condividendolo entusiasti nelle loro bacheche. Grillo lo show l'ha fatto per loro.
La situazione, dopo un anno, non è insomma cambiata di molto: il MoVimento continua a essere un piccolo gruppo di attivisti schiacciati tra un leader populista e un popolo leaderista. Anche se i membri del MoVimento decidessero di sganciarsi da costoro – e la maggior parte degli esponenti non ci pensa nemmeno – non andrebbero da nessuna parte: è Grillo che vince le elezioni, non il MoVimento. Il quale non ha individualità o professionalità tali da renderlo in qualche modo prezioso o insostituibile. Grillo può creare nuovi parlamentari m5s dalle pietre. Come se ne esce?
Un anno fa speravo che la fine dell'embargo televisivo avrebbe cambiato le cose. Immaginavo che molti esponenti del MoVimento, una volta eletti, sarebbero diventate personalità televisive, volti noti in grado di competere con la popolarità declinante di Grillo. Avevo sottovalutato la desolante mediocrità dei cittadini: l'unico che è riuscito a forare il video, Di Battista, è di stretta osservanza grillina. Per il resto Grillo continua a tenerli in pugno, e a usare gli ottantamila come cassa di risonanza.
Stamattina su beppegrillo.it c'è un articoletto ("Fuoco amico?") che prende atto dell'opposizione interna. Più per le cose che dice (riassumibili nel titolo: chi anche solo è perplesso è contro di noi), è interessante chi lo firma: una persona qualsiasi, un grillino a cui viene offerto il quarto d'ora di gloria. Può salire sull'unico pulpito importante, beppegrillo.it, e puntare il dito contro i traditori del MoVimento.
"4 senatori del M5S manifestano perplessità circa il metodo usato da Grillo nel corso del confronto in streaming con un certo Renzi. Chi sono questi 4 senatori? Quanto consenso hanno portato al M5S tutti insieme? Le televisioni di stato riportano lo streaming con tagli mirati ad oscurare la pietosa difficoltà in cui si è trovato il citato Renzi per tutta la durata del confronto. Perché questi 4 signori non denunciano questo comportamento scorretto, lesivo del diritto ad una informazione corretta e lesivo pure della dignità di coloro che conducono certe trasmissioni?" antonio noziglia, genova
PS: i 4 senatori sono Lorenzo Battista, Fabrizio Bocchino, Francesco Campanella e Luis Alberto Orellana.
Stamattina su beppegrillo.it c'è un articoletto ("Fuoco amico?") che prende atto dell'opposizione interna. Più per le cose che dice (riassumibili nel titolo: chi anche solo è perplesso è contro di noi), è interessante chi lo firma: una persona qualsiasi, un grillino a cui viene offerto il quarto d'ora di gloria. Può salire sull'unico pulpito importante, beppegrillo.it, e puntare il dito contro i traditori del MoVimento.
"4 senatori del M5S manifestano perplessità circa il metodo usato da Grillo nel corso del confronto in streaming con un certo Renzi. Chi sono questi 4 senatori? Quanto consenso hanno portato al M5S tutti insieme? Le televisioni di stato riportano lo streaming con tagli mirati ad oscurare la pietosa difficoltà in cui si è trovato il citato Renzi per tutta la durata del confronto. Perché questi 4 signori non denunciano questo comportamento scorretto, lesivo del diritto ad una informazione corretta e lesivo pure della dignità di coloro che conducono certe trasmissioni?" antonio noziglia, genova
PS: i 4 senatori sono Lorenzo Battista, Fabrizio Bocchino, Francesco Campanella e Luis Alberto Orellana.
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I poteri forti, avercene
19-02-2014, 16:15ho una teoria, RenziPermalink
Ma quindi dietro Renzi ci sono i famosi poteri forti? L'industria, le banche? De Benedetti muove i fili? Della Valle appoggia Renzi? Non tocca davvero a me rispondere: non mi sorprenderebbe, ma non ne ho la minima idea. Do per scontato che chi ha potere e influenza in Italia si muova sempre - non solo in questo caso - per difendere i propri interessi. Ma c'è davvero tutto questo potere? C'è davvero tutta questa influenza?
Non so se qualcuno si ricorda Mario Monti: fu uno stimato professore chiamato ad amministrare quel che restava dell'Italia dopo quattro anni di allegra gestione Berlusconi-Tremonti. Io lo rammento soprattutto per una frase che disse in parlamento mentre si insediava. "Di poteri forti, lo dico con molto rispetto, in Italia non ne conosco; magari l’Italia avesse un po’ di più qualche potere forte". Più tardi la politica italiana lo avrebbe risucchiato nel suo vortice di mediocrità, ma quando diceva queste cose Monti era ancora un economista brillante, che aveva lavorato in Europa e coi veri "poteri forti" aveva avuto a che fare. Forte di questa esperienza, concludeva: avercene. La ricorrente diceria sui poteri forti è in fin dei conti rassicurante, come tante altre leggende metropolitane: sottende che là fuori ci sia comunque Qualcuno molto Forte che si preoccupa per noi. Non è un caso che spesso sia la stessa gente che aspetta gli alieni. Non c'è nulla di irrazionale, peraltro, nell'immaginare enormi concentrazioni di potere: nel vasto mondo ce ne sono senz'altro, così come probabilmente esistono altre forme di vita nell'universo.
L'irrazionale sta nell'immaginare che gli alieni si stiano dando la pena di attraversare milioni di anni luce per lenire la nostra solitudine; nel credere che i veri poteri forti si stiano davvero dando pena per quel che succede in Italia (continua sull'Unità, H1t#219).
Non so se qualcuno si ricorda Mario Monti: fu uno stimato professore chiamato ad amministrare quel che restava dell'Italia dopo quattro anni di allegra gestione Berlusconi-Tremonti. Io lo rammento soprattutto per una frase che disse in parlamento mentre si insediava. "Di poteri forti, lo dico con molto rispetto, in Italia non ne conosco; magari l’Italia avesse un po’ di più qualche potere forte". Più tardi la politica italiana lo avrebbe risucchiato nel suo vortice di mediocrità, ma quando diceva queste cose Monti era ancora un economista brillante, che aveva lavorato in Europa e coi veri "poteri forti" aveva avuto a che fare. Forte di questa esperienza, concludeva: avercene. La ricorrente diceria sui poteri forti è in fin dei conti rassicurante, come tante altre leggende metropolitane: sottende che là fuori ci sia comunque Qualcuno molto Forte che si preoccupa per noi. Non è un caso che spesso sia la stessa gente che aspetta gli alieni. Non c'è nulla di irrazionale, peraltro, nell'immaginare enormi concentrazioni di potere: nel vasto mondo ce ne sono senz'altro, così come probabilmente esistono altre forme di vita nell'universo.
L'irrazionale sta nell'immaginare che gli alieni si stiano dando la pena di attraversare milioni di anni luce per lenire la nostra solitudine; nel credere che i veri poteri forti si stiano davvero dando pena per quel che succede in Italia (continua sull'Unità, H1t#219).
Quando l’evidenza quotidiana ci suggerisce l’esatto contrario: se qualcuno davvero così forte si fosse interessato a noi, non ci troveremmo in questa situazione. Se avessimo avuto poteri realmente forti, e realmente avveduti, non ci saremmo tenuti Berlusconi per così tanto tempo. E invece Berlusconi salì al potere nel 2001, dopo il primo tentativo del ’94, forte dell’appoggio di Confindustria. I poteri forti credevano in lui: pensavano che la sua strategia di attacco frontale ai sindacati avrebbe portato a un salutare rinnovamento. Si è visto poi come sono andate le cose. Eppure i poteri forti non hanno smesso di scommettere su di lui, fino al 2011. Un “potere” che si fa infinocchiare da un personaggio del genere è davvero così “forte”?
Nel frattempo alcuni rappresentanti di questi Poteri ci hanno semplicemente mollato, come si abbandona il cavallo zoppo: chi aveva una fabbrica di proprietà, ha delocalizzato la fabbrica e a questo punto ormai anche la proprietà. I padroncini si fanno sentire soltanto per avvertire i nostri figli di farla finita con la presunzione di essere ceto medio, e rassegnarsi a mansioni più umili, meccaniche. Qualcun altro appoggia Renzi; ma è davvero necessario immaginare una diabolica trama di banchieri e CIA? Non assomiglia molto di più alla puntata disperata di un giocatore che non ha più niente da perdere, e non sa più cosa inventarsi? Magari esistessero poteri un po’ più forti in Italia, un po’ più smaliziati: magari qualche mossa ogni tanto l’azzeccherebbero, e non darebbero l’impressione di puntare gli ultimi spiccioli a casaccio.http://leonardo.blogspot.com
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Bastardi senza estetica
18-02-2014, 12:0821tw, arti contemporanee, arti figurative, cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivoPermalinkMonuments Men (George Clooney, 2014)
C'è un treno che sta per partire da Parigi, pieno zeppo di capolavori che Paul Labiche non saprebbe riconoscere. Lui è solo un ferroviere nella Resistenza. Ed è Burt Lancaster, quindi il Terzo Reich quel treno se lo può scordare. Che gran film, Il treno di Frankenheimer. Che voglia di correre a casa a guardare Burt che suda e schioda traversine, invece di restare in sala a guardare i Monuments Men, domandandoci continuamente se è più un problema di messa in scena confusa, di scrittura sfilacciata, o di produzione distratta: se insomma le responsabilità del disastro vanno maggiormente ascritte al regista (George Clooney), allo sceneggiatore (George Clooney) o al produttore (George Clooney). Bella lotta.
In tutti i casi, si tratta del primo vero passo falso di George Clooney, dopo una serie di titoli (Confessioni di una mente pericolosa - Good Night and Good Luck - In amore niente regole - Le idi di marzo) che ci avevano fatto sospettare di avere davanti un vero autore, coraggioso, versatile. E invece. Ci sono tanti registri in cui si può raccontare una storia della Seconda Guerra Mondiale, e Monuments non ne azzecca uno solo. Spielberg ne avrebbe approfittato per organizzare una vera caccia al tesoro; non si sarebbe contentato di far ripetere ogni cinque minuti a qualche attore "ma un'opera d'arte vale la vita di un uomo?" Nel momento topico avrebbe spudoratamente messo un protagonista davanti al bivio concreto: la pala di Van Eyck contro la vita di un tuo amico. Tarantino avrebbe colorato di rosso sangue lo stesso treno di Frankenheimer, pompando ancora di più il contrasto tra un nazista sofisticato e fine connaisseur e qualche burino del midwest senza nozioni di estetica. Soderbergh avrebbe lasciato tutto in bianco e nero, lasciando ancora più spazio al cameratismo tra vecchi attori, magari chiedendo a Murray di imitare Robert Mitchum. Clooney oscilla tra un'opzione e l'altra senza trovare un equilibrio; vorrebbe mostrarci che la guerra è una cosa assurda ma anche che è giusto combatterla, ma anche che bisogna scherzarci su, però con molto rispetto per le vittime e per il patrimonio artistico. Nel frattempo gli alleati stanno radendo al suolo mezza Germania coi bombardamenti, e George fa questa curiosa scoperta: ehi, i tedeschi trattano meglio le opere d'arte che i prigionieri. E certo, che ti credevi: son nazisti, la loro economia di guerra è basata sulla razzia, e i capolavori, quelli che il tuo sciagurato doppiatore chiama "conseguimenti", per loro sono una parte cospicua del bottino. Non è un caso che li nascondano assieme ai lingotti della riserva aurea.
Sono gli Alleati, piuttosto, a sembrare piuttosto disinteressati ai patrimoni dell’umanità. La squadra dei Monuments Men è un’armata brancaleone che deve raggiungere il teatro delle operazioni con mezzi di fortuna. Generali e sottufficiali non gli danno retta né copertura; continuano a ripetere che non lasceranno morire un solo uomo per salvare una stupida cattedrale. Ai buoni la bellezza più di tanto non interessa. È un bene di lusso, la trovi più facilmente nel museo del condottiero vittorioso. Montecassino non l’hanno mica distrutta i nazisti. Quanto a Dresda… ehi, George, hai mai sentito parlare di Dresda?
Ecco. Si può fare un film sul patrimonio artistico minacciato dalla Seconda Guerra Mondiale facendo finta che Dresda non sia stata completamente carbonizzata dai bombardieri angloamericani? Mentre George e colleghi si aggirano nelle retrovie del fronte occidentale, disperati perché non riescono a trovare qualche figurina mancante nell’album della cultura occidentale, la capitale culturale della Sassonia sta bruciando a mille gradi centigradi. Della Madonna Sistina di Raffaello coi suoi putti pensosi, e di centinaia di altre opere importanti della Gemäldegalerie Alte Meister, non sarebbe rimasta che cenere – se i rapaci nazisti non avessero pensato per tempo a nasconderle. Le ritroverà la Brigata Trofeo dell’Armata Rossa, che il film tratta più o meno come una banda di ladri al soldo di Stalin: e però i sovietici dopo qualche anno le opere le riportarono a Dresda. Insomma, salta fuori che i predoni hanno salvato più opere dei Salvatori dell’Umanità. I buoni hanno altre priorità – soprattutto se sono democratici ed è nell’interesse elettorale dei loro leader ridurre al massimo le proprie perdite bombardando dall’alto obiettivi non necessariamente militari. Se per sconfiggere i cattivi c’è da radere al suolo una città non si preoccuperanno di due o trecento opere d’arte inestimabili.
Piuttosto di accreditare una tesi del genere, Clooney finge che Hitler abbia ordinato ai generali in ritirata di distruggere il bottino di guerra. Le cose non stanno esattamente così: il famigerato “decreto Nerone” intimava agli ufficiali di fare terra bruciata dietro di sé, ma non parlava di opere d’arte; in ogni caso il decreto non fu di dominio pubblico che alla fine della guerra, e nelle settimane precedenti era comunque evidente che Albert Speer e i sottoposti non lo stavano eseguendo. Un discorso a parte meriterebbe l’arte contemporanea, che i nazisti (non tutti) distruggevano in quanto degenerata: ma è un discorso che Monuments lambisce appena. È un film sull’arte che di arte parla pochissimo: non c’è nemmeno il tempo per nominare gli autori della Pala di Gand, che nel film è la Pala di Gand-punto-e-basta: nessuno ci spiega cosa la renda la figurina più importante dell’album. Non è che Frankenheimer si intendesse molto di più della quadreria che stipava nel Treno; ma almeno adottava il punto di vista di un ferroviere ignorante che ha una questione privata con uno spocchioso collezionista tedesco. Invece gli amici di Clooney sono architetti, curatori di musei, collezionisti: e non ce n’è uno a cui scappi di spiegarci perché la tale opera è importante, perché valga la pena di combattere per riaverla. Monuments Men è un film che se ne va in giro per le sale tronfio come certi milionari texani che si comprano un Van Gogh e lo infilano in cassaforte senza neanche darci un’occhiata. Che lo abbia scritto e diretto un liberal come George Clooney è una cosa che imbarazza e addolora.
Monuments Men è al Cityplex di Alba (20:00, 22:15); al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (20:10, 22:45); al Multisala Impero di Bra (20:15, 22:30) ai Portici di Fossano (21:15); al Politeama di Saluzzo (20:00, 22:15); al Cinecittà di Savigliano (20:20, 22:30). Invece Il Treno è da qualche parte in streaming, un patrimonio dell’umanità.
C'è un treno che sta per partire da Parigi, pieno zeppo di capolavori che Paul Labiche non saprebbe riconoscere. Lui è solo un ferroviere nella Resistenza. Ed è Burt Lancaster, quindi il Terzo Reich quel treno se lo può scordare. Che gran film, Il treno di Frankenheimer. Che voglia di correre a casa a guardare Burt che suda e schioda traversine, invece di restare in sala a guardare i Monuments Men, domandandoci continuamente se è più un problema di messa in scena confusa, di scrittura sfilacciata, o di produzione distratta: se insomma le responsabilità del disastro vanno maggiormente ascritte al regista (George Clooney), allo sceneggiatore (George Clooney) o al produttore (George Clooney). Bella lotta.
“Labiiiiche! Cosa sono questi quadri per te? Come una collana di perle per uno scimmione!” |
Sono gli Alleati, piuttosto, a sembrare piuttosto disinteressati ai patrimoni dell’umanità. La squadra dei Monuments Men è un’armata brancaleone che deve raggiungere il teatro delle operazioni con mezzi di fortuna. Generali e sottufficiali non gli danno retta né copertura; continuano a ripetere che non lasceranno morire un solo uomo per salvare una stupida cattedrale. Ai buoni la bellezza più di tanto non interessa. È un bene di lusso, la trovi più facilmente nel museo del condottiero vittorioso. Montecassino non l’hanno mica distrutta i nazisti. Quanto a Dresda… ehi, George, hai mai sentito parlare di Dresda?
Ecco. Si può fare un film sul patrimonio artistico minacciato dalla Seconda Guerra Mondiale facendo finta che Dresda non sia stata completamente carbonizzata dai bombardieri angloamericani? Mentre George e colleghi si aggirano nelle retrovie del fronte occidentale, disperati perché non riescono a trovare qualche figurina mancante nell’album della cultura occidentale, la capitale culturale della Sassonia sta bruciando a mille gradi centigradi. Della Madonna Sistina di Raffaello coi suoi putti pensosi, e di centinaia di altre opere importanti della Gemäldegalerie Alte Meister, non sarebbe rimasta che cenere – se i rapaci nazisti non avessero pensato per tempo a nasconderle. Le ritroverà la Brigata Trofeo dell’Armata Rossa, che il film tratta più o meno come una banda di ladri al soldo di Stalin: e però i sovietici dopo qualche anno le opere le riportarono a Dresda. Insomma, salta fuori che i predoni hanno salvato più opere dei Salvatori dell’Umanità. I buoni hanno altre priorità – soprattutto se sono democratici ed è nell’interesse elettorale dei loro leader ridurre al massimo le proprie perdite bombardando dall’alto obiettivi non necessariamente militari. Se per sconfiggere i cattivi c’è da radere al suolo una città non si preoccuperanno di due o trecento opere d’arte inestimabili.
Piuttosto di accreditare una tesi del genere, Clooney finge che Hitler abbia ordinato ai generali in ritirata di distruggere il bottino di guerra. Le cose non stanno esattamente così: il famigerato “decreto Nerone” intimava agli ufficiali di fare terra bruciata dietro di sé, ma non parlava di opere d’arte; in ogni caso il decreto non fu di dominio pubblico che alla fine della guerra, e nelle settimane precedenti era comunque evidente che Albert Speer e i sottoposti non lo stavano eseguendo. Un discorso a parte meriterebbe l’arte contemporanea, che i nazisti (non tutti) distruggevano in quanto degenerata: ma è un discorso che Monuments lambisce appena. È un film sull’arte che di arte parla pochissimo: non c’è nemmeno il tempo per nominare gli autori della Pala di Gand, che nel film è la Pala di Gand-punto-e-basta: nessuno ci spiega cosa la renda la figurina più importante dell’album. Non è che Frankenheimer si intendesse molto di più della quadreria che stipava nel Treno; ma almeno adottava il punto di vista di un ferroviere ignorante che ha una questione privata con uno spocchioso collezionista tedesco. Invece gli amici di Clooney sono architetti, curatori di musei, collezionisti: e non ce n’è uno a cui scappi di spiegarci perché la tale opera è importante, perché valga la pena di combattere per riaverla. Monuments Men è un film che se ne va in giro per le sale tronfio come certi milionari texani che si comprano un Van Gogh e lo infilano in cassaforte senza neanche darci un’occhiata. Che lo abbia scritto e diretto un liberal come George Clooney è una cosa che imbarazza e addolora.
Monuments Men è al Cityplex di Alba (20:00, 22:15); al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (20:10, 22:45); al Multisala Impero di Bra (20:15, 22:30) ai Portici di Fossano (21:15); al Politeama di Saluzzo (20:00, 22:15); al Cinecittà di Savigliano (20:20, 22:30). Invece Il Treno è da qualche parte in streaming, un patrimonio dell’umanità.
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La strana coppia di Faustino e Giovita
15-02-2014, 03:02miti, santiPermalink15 febbraio - San Faustino, patrono di Brescia e dei single; San Giovita, patrono soltanto di Brescia (II sec.)
Insomma, come siano davvero andate le cose con San Valentino e la festa degli innamorati non lo sapremo mai. Ogni tentativo di capire dove nasca il popolare abbinamento si scontra con un muro di omertà e una cascata di storielle messe in giro secoli dopo per giustificare una festa che esisteva già. Colpa dei secoli bui? No. Pensate che succede la stessa cosa con la "festa dei single", una celebrazione postmoderna nata negli anni '00, e quindi più giovane di voi che leggete e di me che scrivo. A inventarsi un San Faustino patrono dei single potrebbe essere stata nel 2001 la redazione di un sito internet che si chiama vitadasingle punto net: purtroppo la fonte di questa affermazione è vitadasingle punto net, per cui qualche dubbio rimane.
E dire che abbiamo google - ma cosa può il più potente dei motori di ricerca contro una diceria popolar-commerciale? Troveremo centinaia di articoletti che copiano e incollano la stessa pubblicità di un ristorante che organizza una serata speciale tutto compreso a 69 euro con ricchi premi e cotillons e una sorpresa per lei. Appare abbastanza ovvio che la Chiesa cattolica almeno stavolta non c'entri: e tuttavia non mancano i tentativi di elaborare una mitologia che colleghi il martire patrono di Brescia con gli infelici in amore. Scopriamo così su sapere.it, che "Secondo la tradizione [quale?] San Faustino dava opportunità alle giovani fanciulle di incontrare il loro futuro 'moroso'". Lo stesso pettegolezzo, ricorderete, è stato messo in giro sul conto di Valentino; pare che il ruffiano sia il patrono ideale sia per chi ha il moroso sia per chi lo cerca. Un altro tentativo passa per quello che i tedeschi chiamano Volksetymologie, l'etimologia "del popolo": quando il volgo non conosce la storia di una parola, se la inventa, improvvisando con le sillabe e i sinonimi. Faustino sarebbe diventato il protettore dei single in virtù della sua radice, Faustus: favorevole, prospero, fortunato.
I single hanno senz'altro bisogno di fortuna come tutti. Ma Faustino è semplicemente il primo nome che un tizio ha trovato sul calendario nella casella del 15 febbraio. Il primo. Non si è neanche sforzato di leggere un po' più in là; sennò avrebbe scoperto che proprio il Faustino di Brescia è uno dei santi meno single di tutto il calendario: uno dei pochi che non resta da solo mai, né nelle apparizioni né nella giaculatorie. Ovunque ci sia Faustino, lì nei pressi c'è sempre anche Giovita, il suo partner di lavoro e di martirio. Il patrono dei single è un tizio che fa coppia fissa con un altro da... diciannove secoli, un commendevole esempio di fedeltà.
Non solo. Giovita è un personaggio un po' ambiguo. Non siamo del tutto sicuri riguardo la sua sessualità. La tradizione ufficiale lo vuole soldato inquadrato nel corpo dei cavalieri, come il collega; probabilmente è più giovane, perché quando Faustino viene ordinato presbitero (=prete), Giovita deve accontentarsi del grado subordinato di diacono. Gran parte dell'ambiguità dipende dal nome, Iovita, che forse deriva da Iovis, Giove... ma è della prima declinazione, insomma, finisce in a. Siamo sicuri che sia un nome maschile? No, non ne siamo sicuri sicuri. Tant'è che c'è un doppione, Iovinus, quest'ultimo sicuramente maschile. In altre lingue Iovita diventa un nome femminile: Jowita in polacco, Jovita in spagnolo (ha anche una forma maschile, Jovito). In italiano Giovita è maschile, ma ogni tanto ci si imbatte in qualche curiosa eccezione: per dire, il sito santiebeati.org (che raccoglie acriticamente tutte le informazioni reperibili in rete e sulla pubblicistica cattolica) accanto alla scheda standard sui SS. Faustino e Giovita, ne ha anche una brevissima su una "Santa Giovita" che sarebbe stata "martirizzata con il fratello Faustino, durante l'impero di Adriano, coopatrona di Brescia". Va da sé che una Santa Faustina non sarebbe potuta essere né cavaliere né diacono. Forse per tentare di conciliare le due versioni, i pittori rappresentano il partner di Faustino nel modo più androgino possibile: capelli lunghi, magari un po' ricci, biondi, lineamenti dolci, ampie tuniche che vanno bene in tutti i casi. Quando al tramonto del medioevo i due protettori diventeranno i due eroi guerrieri e salvatori della città, Giovita indosserà un'armatura più aggraziata di quella del capo (continua sul Post...)
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Viaggio al termine di Matteo
14-02-2014, 22:42RenziPermalinkAnch'io ho provato a fare un giro "nella testa di Renzi":
Mah, l'ho trovato molto concentrato sulle sue priorità, speriamo bene.
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Renzi va veloce (appunti)
14-02-2014, 04:02governo Letta, RenziPermalink- Renzi forse ha una sola cosa in comune con D'Alema: se qualcuno gli dice che è insostituibile, necessario, che solo lui può salvare la situazione, Renzi non fa nessuna fatica a crederci. Gli viene naturale. Poi tra vent'anni magari ammetterà di aver fatto un errore - non mancherà di approfittarne per esprimere valutazioni sulla salute mentale dei suoi ex alleati. Renzi ha solo questo in comune con D'Alema, ma è già troppo.
- Vedo molta delusione in giro; riesco a vederla bene per contrasto, visto che io tutto sommato sono allegro. È uscito il sole, e nella lista delle cose che mi dispiacerebbe perdere il governo Letta non c'era. Forse il segreto è illudersi il meno possibile e Renzi mi ha molto aiutato in questo. Non mi è mai parso un nobile cavaliere: la sua campagna per la rottamazione mi è sempre sembrata strumentale all'autoaffermazione. Renzi stava coi giovani perché è giovane; ora che è nell'apparato fa una mossa da apparato; quando sarà più vecchio starà coi vecchi; se fosse mancino lotterebbe per i mancini (ehi, potrebbe usare lo stesso slogan!)
- Dopo vent'anni di bipolarismo, di seconda repubblica, ci ritroviamo di fronte a una crisi di governo che più democristiana non si può: chi negli anni Ottanta già leggeva i giornali in questi giorni sta ingollando una madeleine dopo l'altra, sembra l'ottantasette con il giovane Cossiga che nomina il giovanissimo Goria. Forse è tempo di tentare un bilancio: l'unico leader italiano che è riuscito a reggere una legislatura intera (con più di un rimpasto) è stato l'eccezionale Silvio Berlusconi. Anche il centrosinistra è riuscito a farsi cinque anni, (1996-2000), ma con quattro governi diversi (Prodi, D'Alema, BisD'Alema, Amato). Dopo aver provato il bipolarismo, l'uninominale, il listino, i listoni, forse è il caso di arrendersi: non è una questione di regole. Il parlamentarismo italiano è trasformista di natura; lo è da prima della prima repubblica; ci ingegniamo a cambiare gli strumenti ma i manovratori continuano a rompere una media di un governo ogni anno e mezzo. Possiamo dirci che è un problema di cultura: il parlamento è considerato una continuazione della battaglia politica, la campagna elettorale sui media non si ferma praticamente mai. Possiamo trarre l'estrema conclusione e farla finita con la repubblica parlamentare - ma l'unica alternativa sul mercato si chiama presidenzialismo, e i nostri aspiranti presidentissimi si chiamano ancora Berlusconi, Grillo, Renzi. Io per ora mi terrei il parlamento.
- Quindi per favore non parliamo di colpo di Stato. L'anno scorso abbiamo votato (poco e male); ora i nostri rappresentanti siedono in parlamento e ci rappresentano senza vincolo di mandato. Se voteranno la fiducia a un governo Renzi, Renzi sarà un capo del governo legittimo quanto lo era Enrico Letta. I golpe sono un'altra cosa: per esempio, corrompere senatori per far cadere il governo, ecco, questo mi sembra già più simile a un golpe. E non credo che sia necessario aspettare una sentenza per decidere se Berlusconi l'abbia commesso o no: sul piano politico i riscontri offerti da De Gregorio dovrebbero bastare. In una qualsiasi altra democrazia occidentale credo che sarebbe bastata la famosa telefonata in cui B. spiega a Saccà che sistemare una tizia in una fiction Rai può servirgli a far cadere il governo. Questo, se proprio non è un golpe, è quantomeno un originale tentativo. Berlusconi è un golpista, Renzi no. Al limite è uno che vuole far riscrivere la legge elettorale e un po' di costituzione a un golpista, c'è una piccola differenza che magari qualcuno di voi apprezzerà.
- Diamo una possibilità a Renzi: se una settimana fa la pensava come noi sulla follia di una staffetta, e adesso ha cambiato idea, potrebbe semplicemente aver appreso o compreso cose che a noi sfuggono. Senz'altro ha accesso a più informazioni. Noi non abbiamo ancora capito che maggioranza avrà: Alfano nicchia, Vendola si tira indietro. Ma se ha fatto una mossa così pesante, deve per forza sapere qualcosa che noi non sappiamo. E allora, escludendo Vendola, escludendo Alfano, non potendo fare più di tanto appoggiarsi su transfughi m5s o addirittura sulla Lega di Salvini, non resta che una possibilità: Berlusconi deve avere dato il via libera. Non credo che possa sostenere Renzi con Forza Italia: l'appoggerà dall'esterno, ma l'appoggerà fin tanto che gli conviene. Insomma fino alla prossima sentenza o al prossimo sondaggio che gli dica bene. Difficilmente si arriva al 2018, così.
- (Non riesco a non pensare a uno di quei personaggi di fiction scadenti che a un certo punto commettono un errore assolutamente stupido, gratuito, inverosimile; e ti arrabbi con loro, senza riflettere che te la stai semplicemente prendendo con gli autori di una fiction scadente che non sapevano più dove andare a parare).
- Renzi va veloce. Ha sempre un piano, ma appena le cose vanno male, lo cambia. Lo schema fino a due settimane era: legge elettorale con Berlusconi, poi elezioni e si vince. La legge elettorale si è subito impigliata in parlamento; i sondaggi hanno tutti più o meno detto flop. Renzi ha cambiato piano. Potrebbe persino dirgli bene. L'Italia potrebbe rimbalzare fuori dalla crisi in primavera (rimbalzano perfino i gatti morti, se cadono da abbastanza in alto). Berlusconi potrebbe invecchiare un altro po' e accontentarsi di un salvacondotto. Grillo potrebbe stancarsi, fare due conti e tornare definitivamente alle tournée. Potremmo arrivare al 2018 con una classe politica migliore, in cui Renzi non sarebbe nemmeno più il meno peggio a cui rassegnarsi. Potrebbero succedere tutte queste cose. Potrei anche vincere al superenalotto. Ma statisticamente ha più chance Renzi. E allora proviamo, vediamo che combina. L'alternativa è la disperazione e, non so voi, ma io proprio non me la posso permettere.
- Del governo Letta non avrò nostalgie, ma spero che la Kyenge non debba interrompere il suo lavoro proprio ora. Ci sono cose un po' più importanti delle battaglie per le poltrone: la questione dei diritti civili è la prima che mi viene in mente, il razzismo segue a ruota.
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Purgatorio VI, 127-135
13-02-2014, 18:09Dante, governo Letta, Pd, RenziPermalinkFiorenza mia, ben puoi esser contenta
di questa digression che non ti tocca,
mercé del popol tuo che si argomenta.
Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca
per non venir sanza consiglio a l'arco;
ma il popol tuo l'ha in sommo de la bocca.
Molti rifiutan lo comune incarco;
ma il popol tuo solicito risponde
sanza chiamare, e grida: "I' mi sobbarco".
(Il PD ha tanti problemi: uno abbastanza trascurabile è il citazionismo ginnasiale che assale chiunque salga su quel palchetto, come se uno spettro di Veltroni vi aleggiasse sopra irrassegnabile: per dire oggi abbiamo avuto l'Attimo fuggente, Karl Kraus e altri incarti di cioccolatini di incerta attribuzione. E Dante. Civati ha citato il quinto canto dell'Inferno. Secondo me c'è andato vicino: ha solo sbagliato cantica. Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma [censura]).
di questa digression che non ti tocca,
mercé del popol tuo che si argomenta.
Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca
per non venir sanza consiglio a l'arco;
ma il popol tuo l'ha in sommo de la bocca.
Molti rifiutan lo comune incarco;
ma il popol tuo solicito risponde
sanza chiamare, e grida: "I' mi sobbarco".
(Il PD ha tanti problemi: uno abbastanza trascurabile è il citazionismo ginnasiale che assale chiunque salga su quel palchetto, come se uno spettro di Veltroni vi aleggiasse sopra irrassegnabile: per dire oggi abbiamo avuto l'Attimo fuggente, Karl Kraus e altri incarti di cioccolatini di incerta attribuzione. E Dante. Civati ha citato il quinto canto dell'Inferno. Secondo me c'è andato vicino: ha solo sbagliato cantica. Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma [censura]).
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