Ssst, abbiamo vinto
26-05-2014, 04:11elezioni 2014, Euro, Pd, RenziPermalink
Ciao papà
Credo che fosse inevitabile, e non escludo che possa succedere anche a voi: ieri guardandomi allo specchio ho visto un tizio coi capelli bianchi che votava la DC perché non sopportava Andreotti e non gliela voleva lasciare.
Il successo di Matteo Renzi - un successo così grande che non se l'aspettava nemmeno Matteo Renzi - così fuori misura che complica anche i suoi piani, allontanandolo da un Berlusconi che non ha più nessun interesse a far passare in senato le sue riforme - il successo di Matteo Renzi, che nessuno si aspettava fino ai primi dati del Viminale, e che in seguito tutti hanno trovato logico e inevitabile - forse era davvero logico e inevitabile, ma alzi la mano chi si aspettava un dato oltre al 40%. Cos'è successo, allora. Chi è uscito dalle catacombe?
Qualcuno che non si è fatto sentire fin qui: che non gridava basta euro nelle gabbie dei talk televisivi o sui social. Qualcuno che non ha lanciato neanche un hashtag. Qualcuno che nessuno contava più, perché la sua voce non si sente più da un pezzo, ammesso che si sia mai sentita. L'imprenditore che non si suicida. Il lavoratore che non ha ancora perso il lavoro - oppure l'ha perso ma non crede che Salvini e Grillo possano farci molto. Il risparmiatore che preferirebbe tenersi i risparmi in euro, dopotutto. Gente che non strilla nei bar, non ti tagga su facebook, e non urla in favore di nessuna telecamera. Probabilmente non risponde neanche ai sondaggi, il caro vecchio shy factor. La vogliamo chiamare col suo nome? Perché ce l'aveva un nome questa gente, ricordate?
Coraggio. Un aiutino: sono la maggioranza. Lo sono sempre stati. Esatto.
La maggioranza silenziosa.
È inutile prendersela con loro: non sono qui, non vi rispondono. Hanno fatto i loro conti e non coincidono coi vostri. Vogliono l'Europa, proprio come trent'anni fa. Oggi va molto di moda domandarsi chi mai l'ha voluta quest'Europa, ebbene, state certi che se loro non fossero stati d'accordo, non si sarebbe fatta mai. A loro andava bene Maastricht e andava bene l'euro. Non c'era bisogno di nessun referendum perché l'avrebbero vinto. Una volta votavano DC, PSI, ma anche PCI, e a parte qualche folata ogni tanto non c'era verso di smuoverli. Molti in seguito hanno appoggiato a lungo Berlusconi, e non c'è modo di sapere se oggi se ne vergognino. Adesso preferiscono Matteo Renzi. Una scelta discutibile, salvo che con loro non si discute mai un granché. Di sport, magari, o di cronaca o di gossip. La politica sembra sempre disinteressarli. E però a votare ci vanno e - sorpresa - l'Italia si riconferma la nazione più europeista d'Europa. Com'è logico che sia, per chi sa che l'unica alternativa è l'Africa. Eppure chi l'avrebbe detto mai.
Chi l'avrebbe detto mai, con quattro formazioni cosiddette populiste a raschiare il barile dell'antieuropeismo: grillini, leghisti, fascisti, residui berlusconiani - attenzione, se si mettessero tutti assieme rasenterebbero il 50. E forse un giorno lo faranno. Nel frattempo però si fanno concorrenza tra loro, hanno capi ringhiosi che non vogliono perdere il controllo - e intanto la maggioranza silenziosa li sta scaricando.
Ed eccoci qui. Una volta ci si chiedeva: moriremo democristiani? Dopo le elezioni dell'anno scorso, qualcuno cominciò a soggiungere, sommessamente: magari. Credo che sia inevitabile, per molti di noi, trasformarsi nei propri padri. Per me ormai era l'obiettivo di massima. Ciao papà.
Credo che fosse inevitabile, e non escludo che possa succedere anche a voi: ieri guardandomi allo specchio ho visto un tizio coi capelli bianchi che votava la DC perché non sopportava Andreotti e non gliela voleva lasciare.
Il successo di Matteo Renzi - un successo così grande che non se l'aspettava nemmeno Matteo Renzi - così fuori misura che complica anche i suoi piani, allontanandolo da un Berlusconi che non ha più nessun interesse a far passare in senato le sue riforme - il successo di Matteo Renzi, che nessuno si aspettava fino ai primi dati del Viminale, e che in seguito tutti hanno trovato logico e inevitabile - forse era davvero logico e inevitabile, ma alzi la mano chi si aspettava un dato oltre al 40%. Cos'è successo, allora. Chi è uscito dalle catacombe?
Qualcuno che non si è fatto sentire fin qui: che non gridava basta euro nelle gabbie dei talk televisivi o sui social. Qualcuno che non ha lanciato neanche un hashtag. Qualcuno che nessuno contava più, perché la sua voce non si sente più da un pezzo, ammesso che si sia mai sentita. L'imprenditore che non si suicida. Il lavoratore che non ha ancora perso il lavoro - oppure l'ha perso ma non crede che Salvini e Grillo possano farci molto. Il risparmiatore che preferirebbe tenersi i risparmi in euro, dopotutto. Gente che non strilla nei bar, non ti tagga su facebook, e non urla in favore di nessuna telecamera. Probabilmente non risponde neanche ai sondaggi, il caro vecchio shy factor. La vogliamo chiamare col suo nome? Perché ce l'aveva un nome questa gente, ricordate?
Coraggio. Un aiutino: sono la maggioranza. Lo sono sempre stati. Esatto.
La maggioranza silenziosa.
È inutile prendersela con loro: non sono qui, non vi rispondono. Hanno fatto i loro conti e non coincidono coi vostri. Vogliono l'Europa, proprio come trent'anni fa. Oggi va molto di moda domandarsi chi mai l'ha voluta quest'Europa, ebbene, state certi che se loro non fossero stati d'accordo, non si sarebbe fatta mai. A loro andava bene Maastricht e andava bene l'euro. Non c'era bisogno di nessun referendum perché l'avrebbero vinto. Una volta votavano DC, PSI, ma anche PCI, e a parte qualche folata ogni tanto non c'era verso di smuoverli. Molti in seguito hanno appoggiato a lungo Berlusconi, e non c'è modo di sapere se oggi se ne vergognino. Adesso preferiscono Matteo Renzi. Una scelta discutibile, salvo che con loro non si discute mai un granché. Di sport, magari, o di cronaca o di gossip. La politica sembra sempre disinteressarli. E però a votare ci vanno e - sorpresa - l'Italia si riconferma la nazione più europeista d'Europa. Com'è logico che sia, per chi sa che l'unica alternativa è l'Africa. Eppure chi l'avrebbe detto mai.
Chi l'avrebbe detto mai, con quattro formazioni cosiddette populiste a raschiare il barile dell'antieuropeismo: grillini, leghisti, fascisti, residui berlusconiani - attenzione, se si mettessero tutti assieme rasenterebbero il 50. E forse un giorno lo faranno. Nel frattempo però si fanno concorrenza tra loro, hanno capi ringhiosi che non vogliono perdere il controllo - e intanto la maggioranza silenziosa li sta scaricando.
Ed eccoci qui. Una volta ci si chiedeva: moriremo democristiani? Dopo le elezioni dell'anno scorso, qualcuno cominciò a soggiungere, sommessamente: magari. Credo che sia inevitabile, per molti di noi, trasformarsi nei propri padri. Per me ormai era l'obiettivo di massima. Ciao papà.
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Gli ultimi Etruschi
25-05-2014, 03:2021tw, campagne, cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, fb2020, provinciaPermalinkLe meraviglie (Alice Rohrwacher, 2014)
C'è stata una guerra qualche tempo fa. Non se la ricorda più nessuno. Chi ha vinto ha riscritto la Storia; chi ha perso e non ci ha rimesso la pelle si è rintanato da qualche parte, nelle foreste e nei buchi ancora agricoli d'Europa, ad aspettare la fine del mondo. La fine purtroppo tarda a venire e i figli crescono, selvaggi e interdetti. La tv continua a cantare che non c'è mai stata nessuna guerra. E se papà e mamma si fossero inventati tutto?
Il secondo film di Alice Rohrwacher ci ha fatto stare molto in pensiero. Quel poco che se ne sapeva era preoccupante: il casolare in Toscana, la natura incontaminata, la tv contaminatrice, Monica Bellucci, i bambini e gli animali. Le creature più difficili da gestire su un set. Ingredienti che ci sono stati miscelati già altre volte, ma il risultato non ci ha mai soddisfatto. I casolari soprattutto: perché sempre casolari voi registi italiani? perché non potete raccontare la realtà post-industriale o il terziario avanzato che sniffa e smignotta? - No aspetta, l'anno scorso a Cannes c'era La grande bellezza, almeno quel terziario lì per un po' lo abbiamo coperto. È impossibile non ripensare al precedente di Sorrentino, quando verso la fine anche la Rohrwacher comincia a piazzare ingombranti animali simbolici. Sarà anche un po' questione di gusti: il cammello che all'improvviso si rimette in piedi per me ha una pregnanza che la giraffa di Sorrentino si sogna. Riesce veramente per un secondo a contenere tutto il film, laddove i fenicotteri in balcone mi sembravano complicazioni barocche: aggiungiamo pure questi, qualcosa vorranno dire.
In comune i due film hanno un tema che ci ossessiona da anni – la decadenza – e poco altro. La grande bellezza puntava a Roma come al centro di tutto, offrendo al suo pubblico uno specchio deformato ma comunque intrigante. Le meraviglie si tiene ai margini, racconta la storia di una civiltà dimenticata e dimenticabile (i babyboomers che ritornarono alla terra negli anni ’70) e questo lo condanna a un gramo destino di film d’essai. Eppure chi non ce l’ha un vecchio amico o parente che a un certo punto è scappato in montagna? Le Meraviglie è un film che va visto, proprio perché prende un feticcio cinematografico e culturale (il casolare) e lo demistifica senza pietà, al punto che forse non comprerete mai più un vasetto di miele bio in vita vostra. E soprattutto non è quel film compiaciuto e noioso che temevamo che fosse – intendiamoci, se avete voglia di azione magari Gozzilla o gli X-men saranno una scelta più assennata, ma questo film non consiste di due ore di bambine estatiche che mangiano api. C’è una storia che procede con un certo ritmo, lasciandoci qualche volta persino col fiato sospeso; i personaggi hanno tutti un cammino da percorrere, non fanno nulla di inspiegabile o gratuito.
È vero che i grandi parlano poco, in lingue diverse: ma sono i reduci sbandati di una brigata internazionale (più di Alba Rohrwacher, Sabine Timoteo e Sam Louwyck portano tutte le rughe della sconfitta), tornati da una battaglia di cui hanno poca voglia di parlare. I ragazzini invece non hanno ancora le parole. In compenso sono molto bravi. Dopo Alex Bisconti (La mafia uccide solo di sabato), Matilde Gioli (Il capitale umano), Francesco Bracci (Noi 4), ancora un film italiano che decide di appoggiarsi sulle spalle di un’attrice giovanissima, che lo regge persino con disinvoltura: si chiama Maria Alexandra Lungu e adesso sembra anche a me di conoscerla da una vita. È soprattutto grazie a lei e ai suoi giovanissimi colleghi che il film può indugiare sullo sfacelo di una generazione senza sembrare mai veramente disperato: è sbocciata tanta vita in mezzo al fango, ora basta aspettare il sole e qualcosa ne verrà fuori. Le meraviglie a Cannes ha vinto il gran premio della Giuria. Lo trovate al cinema Fiamma di Cuneo alle 17:40, alle 20:15 e alle 22:40.
C'è stata una guerra qualche tempo fa. Non se la ricorda più nessuno. Chi ha vinto ha riscritto la Storia; chi ha perso e non ci ha rimesso la pelle si è rintanato da qualche parte, nelle foreste e nei buchi ancora agricoli d'Europa, ad aspettare la fine del mondo. La fine purtroppo tarda a venire e i figli crescono, selvaggi e interdetti. La tv continua a cantare che non c'è mai stata nessuna guerra. E se papà e mamma si fossero inventati tutto?
Il secondo film di Alice Rohrwacher ci ha fatto stare molto in pensiero. Quel poco che se ne sapeva era preoccupante: il casolare in Toscana, la natura incontaminata, la tv contaminatrice, Monica Bellucci, i bambini e gli animali. Le creature più difficili da gestire su un set. Ingredienti che ci sono stati miscelati già altre volte, ma il risultato non ci ha mai soddisfatto. I casolari soprattutto: perché sempre casolari voi registi italiani? perché non potete raccontare la realtà post-industriale o il terziario avanzato che sniffa e smignotta? - No aspetta, l'anno scorso a Cannes c'era La grande bellezza, almeno quel terziario lì per un po' lo abbiamo coperto. È impossibile non ripensare al precedente di Sorrentino, quando verso la fine anche la Rohrwacher comincia a piazzare ingombranti animali simbolici. Sarà anche un po' questione di gusti: il cammello che all'improvviso si rimette in piedi per me ha una pregnanza che la giraffa di Sorrentino si sogna. Riesce veramente per un secondo a contenere tutto il film, laddove i fenicotteri in balcone mi sembravano complicazioni barocche: aggiungiamo pure questi, qualcosa vorranno dire.
In comune i due film hanno un tema che ci ossessiona da anni – la decadenza – e poco altro. La grande bellezza puntava a Roma come al centro di tutto, offrendo al suo pubblico uno specchio deformato ma comunque intrigante. Le meraviglie si tiene ai margini, racconta la storia di una civiltà dimenticata e dimenticabile (i babyboomers che ritornarono alla terra negli anni ’70) e questo lo condanna a un gramo destino di film d’essai. Eppure chi non ce l’ha un vecchio amico o parente che a un certo punto è scappato in montagna? Le Meraviglie è un film che va visto, proprio perché prende un feticcio cinematografico e culturale (il casolare) e lo demistifica senza pietà, al punto che forse non comprerete mai più un vasetto di miele bio in vita vostra. E soprattutto non è quel film compiaciuto e noioso che temevamo che fosse – intendiamoci, se avete voglia di azione magari Gozzilla o gli X-men saranno una scelta più assennata, ma questo film non consiste di due ore di bambine estatiche che mangiano api. C’è una storia che procede con un certo ritmo, lasciandoci qualche volta persino col fiato sospeso; i personaggi hanno tutti un cammino da percorrere, non fanno nulla di inspiegabile o gratuito.
È vero che i grandi parlano poco, in lingue diverse: ma sono i reduci sbandati di una brigata internazionale (più di Alba Rohrwacher, Sabine Timoteo e Sam Louwyck portano tutte le rughe della sconfitta), tornati da una battaglia di cui hanno poca voglia di parlare. I ragazzini invece non hanno ancora le parole. In compenso sono molto bravi. Dopo Alex Bisconti (La mafia uccide solo di sabato), Matilde Gioli (Il capitale umano), Francesco Bracci (Noi 4), ancora un film italiano che decide di appoggiarsi sulle spalle di un’attrice giovanissima, che lo regge persino con disinvoltura: si chiama Maria Alexandra Lungu e adesso sembra anche a me di conoscerla da una vita. È soprattutto grazie a lei e ai suoi giovanissimi colleghi che il film può indugiare sullo sfacelo di una generazione senza sembrare mai veramente disperato: è sbocciata tanta vita in mezzo al fango, ora basta aspettare il sole e qualcosa ne verrà fuori. Le meraviglie a Cannes ha vinto il gran premio della Giuria. Lo trovate al cinema Fiamma di Cuneo alle 17:40, alle 20:15 e alle 22:40.
Io voto PD - senza mal di pancia
23-05-2014, 02:26elezioni 2014, Euro, Pd, RenziPermalink1. Kyenge - 2. Schlein - 3. Pradi.
Questo pezzo è il terzo e l'ultimo di una riflessione cominciata qui e proseguita qui. Ma i capitoli precedenti si possono tranquillamente saltare - a dire il vero si può saltare anche questo, tanto quel che importa è tutto nel titolo: io domenica voterò il PD alle europee, e lo farò serenamente, senza mal di pancia. Sono anzi molto contento di poter scrivere sulla scheda il nome di Cécile Kyenge, per la battaglia di civiltà che in questi mesi ha saputo portare avanti: una battaglia che per la verità non è ancora vinta, e che Renzi non dà nemmeno la sensazione di voler troppo combattere. Diciamo che ha altre priorità; non sarebbe la prima volta che una promozione a Bruxelles occorre a rimuovere un personaggio divenuto scomodo o ingombrante. Resto convinto che persino in un parlamento agli antipodi, la Kyenge riuscirebbe a dare fastidio ai razzisti italiani. L'europarlamento è molto più vicino: spero che potrà continuare là una lotta necessaria per i diritti civili, anche in nome di quei milioni di residenti in Europa senza cittadinanza che votare non possono.
Poi voterò per Elly Schlein e Andrea Pradi, che da quanto ho capito ricadono nell'area civatiana; perché se è vero che la mia equidistanza tra Grillo e Renzi (e Berlusconi!) è quasi totale, basta sostituire a Renzi il PD nella sua totalità e complessità perché il piattino nella bilancia si abbassi all'istante. Mi pare che il dibattito parlamentare sull'Italicum abbia dimostrato come oggi la migliore opposizione a Renzi - la più costruttiva, perlomeno - sia quella interna: persino nel momento di massimo espansione di Renzi c'è qualcuno che non si allinea, che abbozza un progetto diverso: può sembrare un segno di debolezza, ma è lo stesso che ha consentito a Renzi di succedere prontamente a Bersani. Non credo che un'alternativa sinistrorsa al progetto di Renzi possa nascere altrove che nel PD: lo dico con molto rispetto per chi in questi mesi ha lavorato per la Lista Tsipras, che spero possa oltrepassare lo sbarramento e ottenere un buon risultato. Ma credo che nei prossimi anni il quadro sia destinato a semplificarsi, con la convergenza di quelle correnti di populismo che in Italia oggi si odiano soltanto per questioni di bandiera: ormai Grillo Berlusconi e Salvini, al di là della naturale rivalità tra contendenti, dicono le stesse cose. Che siano proporzionali o uninominali, le elezioni dei prossimi anni rischiano di diventare una sfida tra europeisti e antieuropei. Toccherà farsi piacere l'Europa in blocco, o cedere al mito della piccola patria chiusa e felice. Prima ancora che socialdemocratico, io mi considero una persona razionale: qualsiasi ente sovranazionale imperfetto e corrotto mi sembra preferibile a un piccolo mondo antico che forse non è mai esistito e che comunque non ci sarà verso di far ri-esistere. L'Europa, viceversa, esisterà. Ci metterà più tempo del previsto, ma i nostri figli saranno europei.
Potendo scegliere, poi, io li vorrei pure socialdemocratici. Forse chiedo troppo, ma a questo punto il mio voto è scontato. Conosco l'obiezione: il PSE quasi sicuramente resterà abbracciato al PPE in una grossa coalizione centrista. Ora, per spostare verso la sinistra il baricentro del PSE io ho due opzioni: posso votare il PSE, sperando che questo conquisti abbastanza voti da ribaltare i rapporti di forza, e da imporre Martin Schulz come il primo leader europeo salutato da un'investitura popolare; oppure posso votare Tsipras, per "dare un messaggio". Quest'ultima mossa, alla luce degli ultimi vent'anni di esperienza italiana, mi sembra nient'altro che una manifestazione di autolesionismo: se voti a sinistra, il centrosinistra si sposta verso destra. Questo è l'unico messaggio che passa. La cosa potrà non piacere, ma portatemi un solo esempio in cui le cose non siano andate così. Io non ne conosco, per cui voto PSE.
Incidentalmente, voterò anche per Renzi, che senz'altro non si tratterrà dal mettere la sua gioiosa faccia sul mio voto, e di sbandierarlo per dimostrare che la gente è dalla sua e vuole le riforme che piacciono a lui. Tutto questo è senza dubbio fastidioso, ma mi resta pur sempre un blog per ricordare a chiunque interessi che le cose non stanno affatto così. Peraltro la riforma che più di tutte mi preoccupa - l'Italicum - mi sembra ormai destinata ad arenarsi, e di questo devo ringraziare persino la buona tenuta elettorale di Beppe Grillo.
E dunque insomma le cose stanno così: Renzi non mi piace, ma il voto al PD mi sembra l'unico sensato. Il calcolo è stato più complesso del solito, ma una volta terminato la coscienza non registra nessun dissidio interiore. La pancia, in particolare, non prova nessun fastidio; e non capisco nemmeno perché dovrebbe. Sarà perché per me il voto è sempre stato soprattutto un'operazione aritmetica, una banalissima addizione: non un'epifania, o una seduta di autocoscienza, o un modo per esprimere la propria identità più recondita nel chiuso confortevole della cabina elettorale. Prima di fare la mia addizione posso avere un po' di dubbi, ma sono tutti in un certo senso matematici: cosa succederà a y se voterò x? e se votassi z? Eccetera. Dubbi esistenziali non ne ho. La pancia poi sta già pensando ad altro; probabilmente alla scusa da trovare per aprire un pacchetto di pistacchi. Si tratta, ormai l'ho capito, di una pancia atipica rispetto alla media delle pance italiane. Che posso dire: è la mia pancia, non è più raffinata di tante altre pance. Forse è fallata, c'è tutta una gamma di frequenze che non capta e che sono evidentemente indispensabili per capire gli italiani. Io invece sto qui a scrivere, a spiegarmi, quasi come se toccasse agli italiani capire me.
Questo pezzo è il terzo e l'ultimo di una riflessione cominciata qui e proseguita qui. Ma i capitoli precedenti si possono tranquillamente saltare - a dire il vero si può saltare anche questo, tanto quel che importa è tutto nel titolo: io domenica voterò il PD alle europee, e lo farò serenamente, senza mal di pancia. Sono anzi molto contento di poter scrivere sulla scheda il nome di Cécile Kyenge, per la battaglia di civiltà che in questi mesi ha saputo portare avanti: una battaglia che per la verità non è ancora vinta, e che Renzi non dà nemmeno la sensazione di voler troppo combattere. Diciamo che ha altre priorità; non sarebbe la prima volta che una promozione a Bruxelles occorre a rimuovere un personaggio divenuto scomodo o ingombrante. Resto convinto che persino in un parlamento agli antipodi, la Kyenge riuscirebbe a dare fastidio ai razzisti italiani. L'europarlamento è molto più vicino: spero che potrà continuare là una lotta necessaria per i diritti civili, anche in nome di quei milioni di residenti in Europa senza cittadinanza che votare non possono.
Poi voterò per Elly Schlein e Andrea Pradi, che da quanto ho capito ricadono nell'area civatiana; perché se è vero che la mia equidistanza tra Grillo e Renzi (e Berlusconi!) è quasi totale, basta sostituire a Renzi il PD nella sua totalità e complessità perché il piattino nella bilancia si abbassi all'istante. Mi pare che il dibattito parlamentare sull'Italicum abbia dimostrato come oggi la migliore opposizione a Renzi - la più costruttiva, perlomeno - sia quella interna: persino nel momento di massimo espansione di Renzi c'è qualcuno che non si allinea, che abbozza un progetto diverso: può sembrare un segno di debolezza, ma è lo stesso che ha consentito a Renzi di succedere prontamente a Bersani. Non credo che un'alternativa sinistrorsa al progetto di Renzi possa nascere altrove che nel PD: lo dico con molto rispetto per chi in questi mesi ha lavorato per la Lista Tsipras, che spero possa oltrepassare lo sbarramento e ottenere un buon risultato. Ma credo che nei prossimi anni il quadro sia destinato a semplificarsi, con la convergenza di quelle correnti di populismo che in Italia oggi si odiano soltanto per questioni di bandiera: ormai Grillo Berlusconi e Salvini, al di là della naturale rivalità tra contendenti, dicono le stesse cose. Che siano proporzionali o uninominali, le elezioni dei prossimi anni rischiano di diventare una sfida tra europeisti e antieuropei. Toccherà farsi piacere l'Europa in blocco, o cedere al mito della piccola patria chiusa e felice. Prima ancora che socialdemocratico, io mi considero una persona razionale: qualsiasi ente sovranazionale imperfetto e corrotto mi sembra preferibile a un piccolo mondo antico che forse non è mai esistito e che comunque non ci sarà verso di far ri-esistere. L'Europa, viceversa, esisterà. Ci metterà più tempo del previsto, ma i nostri figli saranno europei.
Il paradosso delle braghe |
Incidentalmente, voterò anche per Renzi, che senz'altro non si tratterrà dal mettere la sua gioiosa faccia sul mio voto, e di sbandierarlo per dimostrare che la gente è dalla sua e vuole le riforme che piacciono a lui. Tutto questo è senza dubbio fastidioso, ma mi resta pur sempre un blog per ricordare a chiunque interessi che le cose non stanno affatto così. Peraltro la riforma che più di tutte mi preoccupa - l'Italicum - mi sembra ormai destinata ad arenarsi, e di questo devo ringraziare persino la buona tenuta elettorale di Beppe Grillo.
E dunque insomma le cose stanno così: Renzi non mi piace, ma il voto al PD mi sembra l'unico sensato. Il calcolo è stato più complesso del solito, ma una volta terminato la coscienza non registra nessun dissidio interiore. La pancia, in particolare, non prova nessun fastidio; e non capisco nemmeno perché dovrebbe. Sarà perché per me il voto è sempre stato soprattutto un'operazione aritmetica, una banalissima addizione: non un'epifania, o una seduta di autocoscienza, o un modo per esprimere la propria identità più recondita nel chiuso confortevole della cabina elettorale. Prima di fare la mia addizione posso avere un po' di dubbi, ma sono tutti in un certo senso matematici: cosa succederà a y se voterò x? e se votassi z? Eccetera. Dubbi esistenziali non ne ho. La pancia poi sta già pensando ad altro; probabilmente alla scusa da trovare per aprire un pacchetto di pistacchi. Si tratta, ormai l'ho capito, di una pancia atipica rispetto alla media delle pance italiane. Che posso dire: è la mia pancia, non è più raffinata di tante altre pance. Forse è fallata, c'è tutta una gamma di frequenze che non capta e che sono evidentemente indispensabili per capire gli italiani. Io invece sto qui a scrivere, a spiegarmi, quasi come se toccasse agli italiani capire me.
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#HaVintoLui
21-05-2014, 18:18Beppe Grillo, Berlusconi, come diventare leghisti, elezioni 2014, Euro, RenziPermalink
In base a un sondaggio che non si può pubblicare, anche perché nessuno lo ha fatto, io credo di potervi comunque annunciare che Beppe Grillo ha vinto - no, il M5S no, non necessariamente. Ma Grillo sì, anche se non si è candidato. Ha vinto lo stesso, nell'unico modo in cui poteva vincere, che è anche il peggiore. Domenica sera chiuderanno i seggi e spoglieranno le schede, tireranno le somme e ci diranno che Renzi è andato bene, anzi benissimo, o che Berlusconi tutto sommato tiene, e la Lega, eccetera eccetera, ma l'unica vittoria se l'è già presa Beppe Grillo.
Se l'è presa nel momento in cui Silvio Berlusconi ha cominciato ad annunciare nei suoi comizi tv che vuole abolire Equitalia: le stesse esatte parole del programmino che Grillo aveva steso nella fase finale della campagna 2013. "Abolire", "equitalia". Se l'è presa nel momento in cui Renzi ci ha informato che a mò di copertura avrebbe abolito le province, o messo le auto blu su ebay, e poi l'ha fatto davvero. O quando ha cominciato a chiamare i suoi critici #gufi e #rosiconi. Se l'è presa quando Matteo Salvini, prima di cedere la sua piccola attività politica a un curatore fallimentare, si è messo a googlare "euro" "COMPLOTTO" "banche" "svegliaaaa!" e ha trasformato la Lega nel partito antieuro. Se l'è presa in quel momento qualsiasi a cavallo tra '13 e '14 in cui tutti i suoi avversari hanno cominciato ad andare a lezione da lui.
Chiunque avrà vinto lunedì, festeggerà con le parole di Beppe. Magari con gli hashtag di Beppe. Vincerà per aver copiato qualche promessa di Beppe, nel tentativo di strappare a Beppe qualche elettore. In base a un sondaggio che non ha nemmeno più importanza fare, Beppe Grillo ha già vinto.
E non è tutto sommato la cosa peggiore che poteva capitarci: coraggio, se vince Grillo almeno l'Italicum non si farà. Giustamente: una legge così brutta nemmeno Grillo poteva scriverla. Non è uno scherzo: la proposta di legge elettorale del M5S è comunque bruttina, e a tratti assolutamente balorda. Ma decisamente migliore di quell'offesa al senso comune e alla democrazia buttata già da Berlusconi su cui Renzi doveva assolutamente mettere la sua bella faccia. Grillo non vince soltanto perché le parole d'ordine ormai le detta lui; vince anche perché, di fronte a contendenti costretti a scimmiottarlo, finisce per sembrare quasi il più lucido.
200 poliziotti in più! che inseguiranno i ladri a piedi. |
Più fiorini per tutti. |
Berlusconi giustizialista, rifletteteci. A 77 anni quest'uomo riesce ancora a stupire |
E non è tutto sommato la cosa peggiore che poteva capitarci: coraggio, se vince Grillo almeno l'Italicum non si farà. Giustamente: una legge così brutta nemmeno Grillo poteva scriverla. Non è uno scherzo: la proposta di legge elettorale del M5S è comunque bruttina, e a tratti assolutamente balorda. Ma decisamente migliore di quell'offesa al senso comune e alla democrazia buttata già da Berlusconi su cui Renzi doveva assolutamente mettere la sua bella faccia. Grillo non vince soltanto perché le parole d'ordine ormai le detta lui; vince anche perché, di fronte a contendenti costretti a scimmiottarlo, finisce per sembrare quasi il più lucido.
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La democrazia in diretta (non funziona)
21-05-2014, 02:08Beppe Grillo, Berlusconi, giornalisti, tvPermalinkNon puoi battere la pancia.
Fino a qualche mese fa succedeva con Berlusconi, oggi capita con Grillo; ogni volta che il demagogo di turno arriva e fa strame della verità e del buonsenso, il giorno dopo ci tocca lo spettacolo degli avvoltoi sedicenti esperti di comunicazione, che gracchiando c'informano che è tutto inutile: il fact-checking? inutile. La controinformazione? Pura velleità. Tanto #vince lui. Vince, sì, perché dice un sacco di stronzate, certo, ma sa parlare alla pancia degli italiani: quindi è un genio. Berlusconi era un genio, perché prometteva un milione di posti di lavoro o di detassare la prima casa, e la pancia degli italiani questa cosa la capisce; la capisce senza chiederti la copertura o altre cose noiose, cose non da pancia. Allo stesso modo è un genio Grillo, perché se la prende con l'euro, gli stranieri che si comprano le nostre imprese e gli Uffizi di nascosto, i politici in combutta coi banchieri eccetera. Scemenze, indubbiamente; però alla pancia piacciono, e chi siamo noi per opporci alla pancia? No, sul serio, chi siamo? Chi ci paga per opporci?
Lo sconforto sembra cogliere anche i più lucidi: Mario Seminerio riconosce a Grillo il merito di "aver definitivamente rottamato (anzi annichilito, vaporizzato, atomizzato) il concetto di fact checking"; Davide De Luca si interroga se sia etico intervistarlo - e non sa cosa rispondersi. E proprio mentre provo a rispondere per conto mio, mi rimbalza sul monitor il trailer di un'intervista inglese a Berlusconi: pochi secondi in cui B., messo di fronte a una delle cose più stupide che ha detto, non sa come rispondere. Nello stesso silenzio c'è la mia risposta: ci sono tanti motivi per cui il giornalismo anglosassone è migliore del nostro, perché non cominciamo dal più banale? Loro i politici li intervistano il più delle volte in differita. Che differenza fa?
Tutta la differenza del mondo. Solo la differita restituisce al giornalista le sue responsabilità. Solo la differita gli dà il tempo di verificare le informazioni, denunciare le bugie, dare all'intervista un determinato taglio dettato dalla sensibilità di chi fa le domande, e non dal narcisismo di chi sbrodola le sue risposte. Solo in questo caso potrà avvenire, come non è mai avvenuto in un'intervista italiana, che un parolaio consumato come B. si ritrovi a disagio, costretto a difendersi anziché attaccare. La differita impedirebbe ai politici di giocare al fiume in piena, che purtroppo è la strategia di tutti i contendenti italiani davanti alle telecamere: tutti ugualmente "geniali" mentre promettono cose e lanciano slogan a cui il giornalista non può opporre che una smorfia scettica.
Forse la mutazione genetica della politica italiana non è avvenuta tanto in virtù di un referendum o di una riforma elettorale, ma nel momento in cui i politici hanno cominciato a riempire i palinsesti televisivi, un'alternativa economica all'intrattenimento intelligente. L'ossessione per la diretta, con i suoi infortuni, il suo "bello", è un'altra caratteristica della tv italiana: i politici vi si sono prestati con generosità, nella speranza di cavalcare un'onda che invariabilmente travolge i meno populisti. Ed eccoci qui.
Ma supponiamo ottimisticamente che si tratti di una sbornia, destinata a finire prima o poi: che faremo a quel punto? Io me ne accorgo un po' ogni giorno: l'unico giornalismo che ancora m'interessa, che consumerei avidamente persino pagando, ma che molto spesso non riesco a trovare, non è quello che mi offre le notizie (ormai mi arrivano in faccia in tempo reale) ma quello che me le smonta. Mi affascina più il fact-checking che i fatti in sé. L'unica intervista politica che guarderei con interesse è quella rimontata da una redazione il giorno dopo, con la classifica di tutte le bugie che il tizio è riuscito a dire in dieci minuti. Per arrivarci, dobbiamo aspettare che la pancia degli italiani si stanchi dell'ennesimo genio gonfio d'aria. Ammesso che si stanchi mai; che non ne trovi un altro ancora più gonfio degli ultimi due, e così via. Ma ci dev'essere pure un limite all'aria che può entrare - e un modo di farla uscire.
Fino a qualche mese fa succedeva con Berlusconi, oggi capita con Grillo; ogni volta che il demagogo di turno arriva e fa strame della verità e del buonsenso, il giorno dopo ci tocca lo spettacolo degli avvoltoi sedicenti esperti di comunicazione, che gracchiando c'informano che è tutto inutile: il fact-checking? inutile. La controinformazione? Pura velleità. Tanto #vince lui. Vince, sì, perché dice un sacco di stronzate, certo, ma sa parlare alla pancia degli italiani: quindi è un genio. Berlusconi era un genio, perché prometteva un milione di posti di lavoro o di detassare la prima casa, e la pancia degli italiani questa cosa la capisce; la capisce senza chiederti la copertura o altre cose noiose, cose non da pancia. Allo stesso modo è un genio Grillo, perché se la prende con l'euro, gli stranieri che si comprano le nostre imprese e gli Uffizi di nascosto, i politici in combutta coi banchieri eccetera. Scemenze, indubbiamente; però alla pancia piacciono, e chi siamo noi per opporci alla pancia? No, sul serio, chi siamo? Chi ci paga per opporci?
Lo sconforto sembra cogliere anche i più lucidi: Mario Seminerio riconosce a Grillo il merito di "aver definitivamente rottamato (anzi annichilito, vaporizzato, atomizzato) il concetto di fact checking"; Davide De Luca si interroga se sia etico intervistarlo - e non sa cosa rispondersi. E proprio mentre provo a rispondere per conto mio, mi rimbalza sul monitor il trailer di un'intervista inglese a Berlusconi: pochi secondi in cui B., messo di fronte a una delle cose più stupide che ha detto, non sa come rispondere. Nello stesso silenzio c'è la mia risposta: ci sono tanti motivi per cui il giornalismo anglosassone è migliore del nostro, perché non cominciamo dal più banale? Loro i politici li intervistano il più delle volte in differita. Che differenza fa?
Tutta la differenza del mondo. Solo la differita restituisce al giornalista le sue responsabilità. Solo la differita gli dà il tempo di verificare le informazioni, denunciare le bugie, dare all'intervista un determinato taglio dettato dalla sensibilità di chi fa le domande, e non dal narcisismo di chi sbrodola le sue risposte. Solo in questo caso potrà avvenire, come non è mai avvenuto in un'intervista italiana, che un parolaio consumato come B. si ritrovi a disagio, costretto a difendersi anziché attaccare. La differita impedirebbe ai politici di giocare al fiume in piena, che purtroppo è la strategia di tutti i contendenti italiani davanti alle telecamere: tutti ugualmente "geniali" mentre promettono cose e lanciano slogan a cui il giornalista non può opporre che una smorfia scettica.
Forse la mutazione genetica della politica italiana non è avvenuta tanto in virtù di un referendum o di una riforma elettorale, ma nel momento in cui i politici hanno cominciato a riempire i palinsesti televisivi, un'alternativa economica all'intrattenimento intelligente. L'ossessione per la diretta, con i suoi infortuni, il suo "bello", è un'altra caratteristica della tv italiana: i politici vi si sono prestati con generosità, nella speranza di cavalcare un'onda che invariabilmente travolge i meno populisti. Ed eccoci qui.
Ma supponiamo ottimisticamente che si tratti di una sbornia, destinata a finire prima o poi: che faremo a quel punto? Io me ne accorgo un po' ogni giorno: l'unico giornalismo che ancora m'interessa, che consumerei avidamente persino pagando, ma che molto spesso non riesco a trovare, non è quello che mi offre le notizie (ormai mi arrivano in faccia in tempo reale) ma quello che me le smonta. Mi affascina più il fact-checking che i fatti in sé. L'unica intervista politica che guarderei con interesse è quella rimontata da una redazione il giorno dopo, con la classifica di tutte le bugie che il tizio è riuscito a dire in dieci minuti. Per arrivarci, dobbiamo aspettare che la pancia degli italiani si stanchi dell'ennesimo genio gonfio d'aria. Ammesso che si stanchi mai; che non ne trovi un altro ancora più gonfio degli ultimi due, e così via. Ma ci dev'essere pure un limite all'aria che può entrare - e un modo di farla uscire.
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Grillo, dentiere, algoritmi, cazzate
20-05-2014, 03:23Beppe Grillo, ho una teoria, internet, tvPermalink
Quante balle ha sparato Beppe Grillo ieri sera a Porta a Porta? Difficile contarle; anche perché, come ogni predicatore professionista, sa mescolare con sapienza verità sacrosante e sciocchezze allucinanti. Qui mi soffermo su due proiettili enormi che Vespa, con tutta la sua studiata diffidenza, gli ha lasciato sparare senza opporre la minima obiezione. Il primo è la tirata sulle stampanti 3d, un tormentone dell'ultima tournée a quanto pare. Come ha osservato la settimana scorsa Michele De Salvo, quando parla di stampanti 3d Grillo non sa semplicemente cosa sta dicendo: non solo dà numeri a caso e contrabbanda notizie false, ma smentisce platealmente le sue stesse premesse, passando nel giro di pochi secondi dal lamento per una "crescita che toglie posti di lavoro" all'elogio per uno strumento che, se davvero producesse dentiere e mattoni come sostiene Grillo, i posti di lavoro non li aumenterebbe senz'altro, anzi.
La seconda è una storia più vecchia: il politometro, quel fantasioso strumento che dovrebbe misurare la corruzione dei politici e consentirci di recuperare le risorse di cui si sono impadroniti - prima di rimandarli a casa. Grillo ha spiegato che il sistema è ormai operativo, che si tratta di un algoritmo o qualcosa del genere: in sostanza, ha rispolverato l'antica bufala dello Zip war aiganon, scoperta due anni fa da Francesco Lanza. Si tratta di una delle più impressionanti supercazzole mai inscenate da Grillo per il suo pubblico: come scriveva Davide De Luca un mese fa "Un “algortimo” non può svolgere la funzione indicata da Grillo. I dati che questo “algoritmo” dovrebbe “intersecare” non sono pubblici ed ottenerli è un reato. È impossibile nell’ordinamento di qualunque democrazia espropriare il denaro di qualcuno senza un processo. Altre mille cose non tornano nel video, come il fatto che quando Grillo gira lo schermo del tablet verso la telecamera per mostrare il famoso algoritmo, sul desktop non si vede assolutamente niente". In questi mesi lo Zip war aiganon è diventato in rete un esempio quasi proverbiale della spregiudicatezza con cui Grillo confeziona e vende il nulla: eppure Vespa, lasciando cadere uno spunto così promettente, ha dimostrato di non averne mai sentito parlare (continua sull'Unita.it, H1t#232)
La seconda è una storia più vecchia: il politometro, quel fantasioso strumento che dovrebbe misurare la corruzione dei politici e consentirci di recuperare le risorse di cui si sono impadroniti - prima di rimandarli a casa. Grillo ha spiegato che il sistema è ormai operativo, che si tratta di un algoritmo o qualcosa del genere: in sostanza, ha rispolverato l'antica bufala dello Zip war aiganon, scoperta due anni fa da Francesco Lanza. Si tratta di una delle più impressionanti supercazzole mai inscenate da Grillo per il suo pubblico: come scriveva Davide De Luca un mese fa "Un “algortimo” non può svolgere la funzione indicata da Grillo. I dati che questo “algoritmo” dovrebbe “intersecare” non sono pubblici ed ottenerli è un reato. È impossibile nell’ordinamento di qualunque democrazia espropriare il denaro di qualcuno senza un processo. Altre mille cose non tornano nel video, come il fatto che quando Grillo gira lo schermo del tablet verso la telecamera per mostrare il famoso algoritmo, sul desktop non si vede assolutamente niente". In questi mesi lo Zip war aiganon è diventato in rete un esempio quasi proverbiale della spregiudicatezza con cui Grillo confeziona e vende il nulla: eppure Vespa, lasciando cadere uno spunto così promettente, ha dimostrato di non averne mai sentito parlare (continua sull'Unita.it, H1t#232)
La dentiera 3d e lo Zip war aiganon sono due casi interessanti che dimostrano, purtroppo, il contrario di quel che Grillo stesso propugna in ogni suo intervento: la vittoria del dibattito in Rete contro la propaganda in tv. Fin qui è l’esatto opposto: ogni volta che la tv ce lo mostra mentre dice una cosa falsa, la Rete prontamente accorre a smentirlo, con dovizia di documentazione. E però tutto questo dibattito rimane confinato entro una cerchia ristretta di lettori: il bacino di utenza di Grillo non ne viene minimamente scalfito, e Grillo può continuare a urlare le stesse balle al prossimo comizio, in favore di telecamera. È una lotta ancora impari – e perduta, probabilmente. Ma qui per quel che si può si combatte ancora.
PS: oggi ricorre il 570simo anniversario della morte di Bernardino da Siena, geniale predicatore quattrocentesco che per tante cose sembra anticipare Beppe Grillo. Gli auguriamo una vita ancora lunga e piena di soddisfazioni, come fu quella di Bernardino, e migliaia di altre piazze gremite da incantare. Non ce ne voglia però se nei parlamenti preferiamo mandare gente un po’ meno estrosa, un po’ più preparata.http://leonardo.blogspot.com
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Only Lovers Left Awake
18-05-2014, 23:13>1000, cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, fb2020PermalinkSolo gli amanti sopravvivono (Only Lovers Left Alive, Jim Jarmusch, 2013).
Adam ed Eve sono vampiri da prima che fosse cool. Non saltano più al collo delle loro vittime, che volgarità - col cattivo sangue che circola oggigiorno, poi. E allora che fanno. Che fareste voi, se foste in circolazione da cinque o dieci secoli? Vi alzereste tardi, in ambienti intasati di cimeli, e cerchereste di ingannare l'ansia di (non)vivere collezionando altri dischi o libri che comunque conoscete a memoria. Il sangue ve lo procurereste in ospedale, grazie a ematologi compiacenti e corruttibili. Vivreste in città decadenti o abbandonate, perché l'umanità vi interessa soltanto quando produce opere d'ingegno artigianali, e quindi ultimamente vi interessa pochissimo. Anche se alla fine è l'unica cosa che vi tiene in vita. Sempre un po' in ritardo coi tempi, analogici in un mondo digitale, e quindi perfettamente mimetizzabili sullo sfondo di qualche scena hipster o postrock. Mi ero quasi arrabbiato coi doppiatori quando ho sentito Tom "Loki" Hiddleston usare la vetusta parola "rocchettari", che, fidatevi, oltre il Raccordo Anulare non ha più cittadinanza. Poi però ho pensato che se fossi un vampiro non riuscirei sempre a svecchiare il mio lessico in modo tempestivo ed efficace: malgrado gli sforzi qualcosa mi sfuggirebbe sempre, come quello stetoscopio che tengo nel taschino per sembrare un dottore, salvo che nessun dottore ne usa più uno simile da quarant'anni.
È difficile non immaginare anche Jarmusch da qualche parte sullo sfondo, dietro a un paio di occhiali neri, mentre invia messaggi onirici alle sue creature. Un Jarmusch notturno e recluso, che continua a perseguire progetti artistici economicamente suicidi - ormai fa un film ogni quattro anni, l'ultimo non l'ha visto nessuno, e probabilmente a lui sta bene così. Gli anni in cui cominciava a bussare alle porte dei produttori con un copione di vampiri erano quelli in cui al cinema trionfava la saga di Twilight - un concept di vampiro ricco e glitterato, su misura per l'adolescente emo-ma-non-troppo. Naturalmente quelli di Jarmusch non hanno niente a che fare con questi vampiri industriali: siamo più dalle parti dell'Addiction di Ferrara. Più che pensati per gli adolescenti, sembrano pensati da un adolescente: drogati, saggissimi, coltissimi, e tuttavia la loro saggezza consiste nello stroncare l'umanità che li ha delusi; tutta la loro cultura si esaurisce in uno snocciolare i nomi di un manuale del liceo; Shakespeare, Marlowe, Byron, Shelley, Tesla, Einstein, e pensate un po': Fibonacci.
I veri vampiri, secondo me, dai feticci culturali si tengono lontani come dal sangue infetto. Viceversa, se c’è qualche poeta sconosciuto, mal pubblicato, qualcuno che aveva tutte le carte in regola ma non ce l’ha fatta, ecco: probabilmente i veri vampiri leggono solo quelli. Se il vero autore dell’Amleto fosse in vita, probabilmente guarderebbe con disprezzo alla fan-base della sua opera più famosa; pensano tutti che sia un capolavoro ma è un mostro, ho messo insieme due canovacci diversi e volevo rilavorarci sopra ma la compagnia non me ne diede il tempo, ma sul serio preferite quel brogliaccio ai miei Sonetti?
Jarmusch s’intende molto più di musica, e si sente. A sessant’anni compiuti, continua a riempire i film delle sue canzoni preferite del momento, con la stessa ansia del ragazzino che ti ha preparato una cassetta che devi assolutamente sentire e ti cambierà la vita – come la Coppola ma con molto più gusto, per nostra fortuna. E visto che siamo tra pochi intimi, può anche farci assistere a un concerto di una meravigliosa cantante post-rai libanese – purché non lo diciamo troppo in giro, sennò poi diventa famosa.
I suoi vampiri non sono tutti adolescenti perpetui come Adam: Eve per esempio è molto più vitale; probabilmente è stata morsa in una fase più matura. In effetti Tilda Swinton non mi è mai sembrata così allegra: in un anno di travestimenti spericolati (Snowpiercer, Budapest Hotel) non sorprende che quello da vampiro le risulti il più congeniale. E tuttavia il film assomiglia più ad Adam, condannato a un’eternità di depressione e pensieri suicidi. Il risultato è memorabile, anche se un po’ soporifero – chiedo scusa, ma mi ero mangiato una pizza. Sono umano, lo so, che vergogna.
Solo gli amanti sopravvivono (ma l’originale è ambiguo: si può leggere anche “Soli amanti sopravvissuti”) è ai Portici di Fossano alle 18:30 e alle 21:15. Non fa paura.
I miei amici sono anemici, mi dici |
È difficile non immaginare anche Jarmusch da qualche parte sullo sfondo, dietro a un paio di occhiali neri, mentre invia messaggi onirici alle sue creature. Un Jarmusch notturno e recluso, che continua a perseguire progetti artistici economicamente suicidi - ormai fa un film ogni quattro anni, l'ultimo non l'ha visto nessuno, e probabilmente a lui sta bene così. Gli anni in cui cominciava a bussare alle porte dei produttori con un copione di vampiri erano quelli in cui al cinema trionfava la saga di Twilight - un concept di vampiro ricco e glitterato, su misura per l'adolescente emo-ma-non-troppo. Naturalmente quelli di Jarmusch non hanno niente a che fare con questi vampiri industriali: siamo più dalle parti dell'Addiction di Ferrara. Più che pensati per gli adolescenti, sembrano pensati da un adolescente: drogati, saggissimi, coltissimi, e tuttavia la loro saggezza consiste nello stroncare l'umanità che li ha delusi; tutta la loro cultura si esaurisce in uno snocciolare i nomi di un manuale del liceo; Shakespeare, Marlowe, Byron, Shelley, Tesla, Einstein, e pensate un po': Fibonacci.
I veri vampiri, secondo me, dai feticci culturali si tengono lontani come dal sangue infetto. Viceversa, se c’è qualche poeta sconosciuto, mal pubblicato, qualcuno che aveva tutte le carte in regola ma non ce l’ha fatta, ecco: probabilmente i veri vampiri leggono solo quelli. Se il vero autore dell’Amleto fosse in vita, probabilmente guarderebbe con disprezzo alla fan-base della sua opera più famosa; pensano tutti che sia un capolavoro ma è un mostro, ho messo insieme due canovacci diversi e volevo rilavorarci sopra ma la compagnia non me ne diede il tempo, ma sul serio preferite quel brogliaccio ai miei Sonetti?
Jarmusch s’intende molto più di musica, e si sente. A sessant’anni compiuti, continua a riempire i film delle sue canzoni preferite del momento, con la stessa ansia del ragazzino che ti ha preparato una cassetta che devi assolutamente sentire e ti cambierà la vita – come la Coppola ma con molto più gusto, per nostra fortuna. E visto che siamo tra pochi intimi, può anche farci assistere a un concerto di una meravigliosa cantante post-rai libanese – purché non lo diciamo troppo in giro, sennò poi diventa famosa.
I suoi vampiri non sono tutti adolescenti perpetui come Adam: Eve per esempio è molto più vitale; probabilmente è stata morsa in una fase più matura. In effetti Tilda Swinton non mi è mai sembrata così allegra: in un anno di travestimenti spericolati (Snowpiercer, Budapest Hotel) non sorprende che quello da vampiro le risulti il più congeniale. E tuttavia il film assomiglia più ad Adam, condannato a un’eternità di depressione e pensieri suicidi. Il risultato è memorabile, anche se un po’ soporifero – chiedo scusa, ma mi ero mangiato una pizza. Sono umano, lo so, che vergogna.
Solo gli amanti sopravvivono (ma l’originale è ambiguo: si può leggere anche “Soli amanti sopravvissuti”) è ai Portici di Fossano alle 18:30 e alle 21:15. Non fa paura.
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Un tuffo in Boemia
16-05-2014, 23:18santiPermalink16 maggio - San Giovanni Nepomuceno (1340-1393), patrono degli annegati, dei confessori e della Boemia.
[Si legge intero qui]
Nel centro dell'Europa, perenne spina nel fianco destro tedesco, c'è una nazione che da quattordici anni non sappiamo come chiamare. Sulle cartine c'è scritto Repubblica Ceca. Manco fosse l'unica repubblica d'Europa: per dire, e invece l'Italia cos'è? L'Estonia? E il Lussemburgo? No, aspetta, il Lussemburgo è un Granducato. Però non leggerai su nessuna mappa d'Europa "Repubblica Estone" o "Granducato di Lussemburgo", anche perché ti occuperebbe mezzo Belgio e tutta la Renania. Non è che i cechi siano più repubblicani degli altri: è che in italiano abbiamo l'aggettivo ma non il sostantivo. "Cechia" è una parola che proprio non riusciamo a dire. Qualcuno ci prova: ricordo in tal senso il coraggio di Claudio Lippi nel presentare Giochi Senza Frontiere. E però a un certo punto dovremmo anche rassegnarci: ci sono parole che funzionano e altre che non prendono mai il largo, e "Cechia" in italiano non ce l'ha fatta.
Io sarei per tornare a "Boemia", che suona infinitamente meglio. E però ogni volta che su internet provo a proporre questa cosa, qualcuno protesta che sarebbe un'offesa ai moravi. In realtà non sono mai riuscito a capire perché un moravo dovrebbe offendersi meno se invece che "ceco" lo chiamiamo "boemo" (conoscete un moravo? Glielo chiedete per favore? grazie). I moravi in verità non sono né cechi né boemi. Sono una cospicua minoranza etnica all'interno della Repubblica Ceca: costituiscono il 30% della popolazione e occupano il 30% del territorio. Però non sono cechi. Sono moravi, appunto. Se ci tenessimo davvero alla loro opinione, dovremmo chiamarla Cecomoravia. Per fortuna non sembrano tenerci troppo neanche loro.
"Cechi" è il termine slavo occidentale con cui gli abitanti della Boemia chiamano sé stessi sin dall'alto medioevo. "Boemia" è una parola ancora più antica, derivata probabilmente dai Galli Boi che abitavano nella stessa zona prima di emigrare in Valpadana (non tutti), strappare Felsina agli Etruschi e ribattezzarla Bononia. Similmente agli ungheresi, che tutti chiamano così anche se tra loro preferiscono chiamarsi magiari, i cechi fuori dai loro confini erano conosciuti come boemi: Böhmen in tedesco, bohémiens in francese (che però era anche sinonimo di "zingari", perché si riteneva che venissero da lì; finché per estensione diventarono bohémiens gli studenti squattrinati con ambizioni artistoidi, a metà strada tra hipster e pancabbestia). L'aggettivo "ceco" arriva nelle lingue occidentali nell'Ottocento, il secolo in cui incubano i nazionalismi e i tedeschi per primi scoprono la necessità di distinguere tra boemi di lingua tedesca (Deutschböhmen, concentrati nei Sudeti) e boemi di lingua... ceca (Tscheschien). I moravi però non c'entrano: perlappunto, non sono cechi, sono moravi. La tesi per cui Ceco=Boemo+Moravo non ha nessun serio fondamento, anche se ormai si sta consolidando (vedi la voce di Wiki Italia). Io non sono d'accordo, per cui da qui in poi dirò "Boemia", e credo che tutti dovrebbero imitarmi. Questa sciocchezza della Repubblica Ceca è durata fin troppo.
D'altro canto come potrei definire San Jan Nepomucký patrono della Repubblica Ceca? Una delle nazioni più agnostiche al mondo, dove i cattolici non superano il 10% della popolazione, e nell'ultimo censimento il 35% si è definito "irreligioso" e il 40% non ha nemmeno risposto alla domanda? Jan di Nepomuck era un pio suddito del Regno di Boemia, Stato piccolo ma importante; specie quando alla fine del Trecento il suo re, Venceslao (Václav) il Pigro, riesce a farsi eleggere Sacro Romano Imperatore. Non deve fare una campagna elettorale a tappeto: gli elettori sono sei, uno dei quali è proprio lui. Non solo, ma essendo re di Boemia e principe del Brandeburgo, la Bolla d'Oro gli riconosce il doppio voto (come il jolly ai GSF).
Essendo Imperatore, Re e Principe, Venceslao ritiene di avere il sacrosanto diritto di nominare vescovo un suo sodale; purtroppo nessuna diocesi è vacante. In compenso è appena morto l'abate del monastero di Kladruby; Venceslao converte l'abbazia in diocesi e ordina ai monaci di sospendere le procedure per l'elezione dell'abate. I monaci non lo ascoltano e nel marzo 1393 eleggono il loro collega Olenus. Jan è il vicario generale dell'arcivescovo di Praga, che ratifica la nomina. Venceslao lo fa arrestare insieme ad altri tre membri dello staff; li fa torturare finché gli altri tre non cambiano idea, e infine condanna l'irremovibile Jan a morte per annegamento nella Moldava (il fiume che attraversa Praga - da non confondere con l'omonima repubblica che sta molto più a est). Fin qui Jan ha tutte le carte per diventare il Thomas Becket boemo: un ecclesiastico tutto d'un pezzo che non si arrende ai diktat del potere temporale e difende fino alla morte l'autonomia della Chiesa. E però la fortuna di Jan sarà molto inferiore a quella del collega inglese: i tempi stanno cambiando. Proprio in quel 1393 a Praga un giovane studente squattrinato sta prendendo la laurea breve in filosofia. Si chiama Jan Hus (continua sul Post...)
[Si legge intero qui]
Nel centro dell'Europa, perenne spina nel fianco destro tedesco, c'è una nazione che da quattordici anni non sappiamo come chiamare. Sulle cartine c'è scritto Repubblica Ceca. Manco fosse l'unica repubblica d'Europa: per dire, e invece l'Italia cos'è? L'Estonia? E il Lussemburgo? No, aspetta, il Lussemburgo è un Granducato. Però non leggerai su nessuna mappa d'Europa "Repubblica Estone" o "Granducato di Lussemburgo", anche perché ti occuperebbe mezzo Belgio e tutta la Renania. Non è che i cechi siano più repubblicani degli altri: è che in italiano abbiamo l'aggettivo ma non il sostantivo. "Cechia" è una parola che proprio non riusciamo a dire. Qualcuno ci prova: ricordo in tal senso il coraggio di Claudio Lippi nel presentare Giochi Senza Frontiere. E però a un certo punto dovremmo anche rassegnarci: ci sono parole che funzionano e altre che non prendono mai il largo, e "Cechia" in italiano non ce l'ha fatta.
Io sarei per tornare a "Boemia", che suona infinitamente meglio. E però ogni volta che su internet provo a proporre questa cosa, qualcuno protesta che sarebbe un'offesa ai moravi. In realtà non sono mai riuscito a capire perché un moravo dovrebbe offendersi meno se invece che "ceco" lo chiamiamo "boemo" (conoscete un moravo? Glielo chiedete per favore? grazie). I moravi in verità non sono né cechi né boemi. Sono una cospicua minoranza etnica all'interno della Repubblica Ceca: costituiscono il 30% della popolazione e occupano il 30% del territorio. Però non sono cechi. Sono moravi, appunto. Se ci tenessimo davvero alla loro opinione, dovremmo chiamarla Cecomoravia. Per fortuna non sembrano tenerci troppo neanche loro.
Nel Settecento, una volta fatto santo, Jan divenne anche piuttosto bello, grazie a un anonimo di scuola fiorentina che ne dipinse il santino più famoso. |
D'altro canto come potrei definire San Jan Nepomucký patrono della Repubblica Ceca? Una delle nazioni più agnostiche al mondo, dove i cattolici non superano il 10% della popolazione, e nell'ultimo censimento il 35% si è definito "irreligioso" e il 40% non ha nemmeno risposto alla domanda? Jan di Nepomuck era un pio suddito del Regno di Boemia, Stato piccolo ma importante; specie quando alla fine del Trecento il suo re, Venceslao (Václav) il Pigro, riesce a farsi eleggere Sacro Romano Imperatore. Non deve fare una campagna elettorale a tappeto: gli elettori sono sei, uno dei quali è proprio lui. Non solo, ma essendo re di Boemia e principe del Brandeburgo, la Bolla d'Oro gli riconosce il doppio voto (come il jolly ai GSF).
Essendo Imperatore, Re e Principe, Venceslao ritiene di avere il sacrosanto diritto di nominare vescovo un suo sodale; purtroppo nessuna diocesi è vacante. In compenso è appena morto l'abate del monastero di Kladruby; Venceslao converte l'abbazia in diocesi e ordina ai monaci di sospendere le procedure per l'elezione dell'abate. I monaci non lo ascoltano e nel marzo 1393 eleggono il loro collega Olenus. Jan è il vicario generale dell'arcivescovo di Praga, che ratifica la nomina. Venceslao lo fa arrestare insieme ad altri tre membri dello staff; li fa torturare finché gli altri tre non cambiano idea, e infine condanna l'irremovibile Jan a morte per annegamento nella Moldava (il fiume che attraversa Praga - da non confondere con l'omonima repubblica che sta molto più a est). Fin qui Jan ha tutte le carte per diventare il Thomas Becket boemo: un ecclesiastico tutto d'un pezzo che non si arrende ai diktat del potere temporale e difende fino alla morte l'autonomia della Chiesa. E però la fortuna di Jan sarà molto inferiore a quella del collega inglese: i tempi stanno cambiando. Proprio in quel 1393 a Praga un giovane studente squattrinato sta prendendo la laurea breve in filosofia. Si chiama Jan Hus (continua sul Post...)
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Il complotto contro un uomo ridicolo
16-05-2014, 02:22Berlusconi, elezioni 2014, ho una teoriaPermalink
Dopo tanto tempo ho provato a rivedere il vecchio video del vertice di Bruxelles (23 ottobre 2011), e devo dire che non ho cambiato idea: per me la Merkel e Sarkozy non stavano ridendo di Berlusconi. La giornalista, che aveva appena chiesto ai due leader se si sentivano rassicurati dalle riforme promesse dal governo italiano, non aveva rivolto la domanda a nessuno dei due in particolare. Sarkozy era già pronto a rispondere, ma voleva attendere che la collega terminasse di ascoltare la traduzione simultanea: così si voltò verso di lei e sorrise.
Quello che accadde davvero a quel punto - e che comprensibilmente Berlusconi non vuole sentirsi dire - è che risero i giornalisti. Non risero perché pilotati da un complotto ordito a Berlino o a Strasburgo. Non risero della situazione italiana, delle tre manovre promesse e rimangiate durante una psicotica estate trascorsa ad abolire province e ritoccare aliquote sui giornali del mattino, per rimangiare tutto nei talk della sera. Risero perché il re era nudo, perché Berlusconi era ridicolo. Oggettivamente, lo era: non è improbabile che a scatenare quella libera risata internazionale abbia concorso più Ruby Rubacuori che tutti i severissimi editoriali dell'Economist o del Wall Street Journal. Quel che importa è che B. ormai fosse un oggetto impossibile da gestire senza riderci su: all'estero soprattutto, fuori dal cono d'angoscia dello spread. Se anche ci fu un complotto, come racconta l'ex ministro del Tesoro USA Geithner, fu un complotto per convincere le istituzioni italiane a liberarsi di un capo del governo incapace e screditato. Dal mio antiberlusconiano punto di vista, avrei preferito un complotto più efficiente e tempestivo. Una nazione può permettersi di avere politici non all'altezza, se ha i conti in ordine; o può avere i conti nel caos, se ha leader carismatici e autorevoli. Nell'autunno 2011 stavamo precipitando con una squadra di pagliacci in cabina di comando (Continua sull'Unita.it, H1t#231).
Quello che accadde davvero a quel punto - e che comprensibilmente Berlusconi non vuole sentirsi dire - è che risero i giornalisti. Non risero perché pilotati da un complotto ordito a Berlino o a Strasburgo. Non risero della situazione italiana, delle tre manovre promesse e rimangiate durante una psicotica estate trascorsa ad abolire province e ritoccare aliquote sui giornali del mattino, per rimangiare tutto nei talk della sera. Risero perché il re era nudo, perché Berlusconi era ridicolo. Oggettivamente, lo era: non è improbabile che a scatenare quella libera risata internazionale abbia concorso più Ruby Rubacuori che tutti i severissimi editoriali dell'Economist o del Wall Street Journal. Quel che importa è che B. ormai fosse un oggetto impossibile da gestire senza riderci su: all'estero soprattutto, fuori dal cono d'angoscia dello spread. Se anche ci fu un complotto, come racconta l'ex ministro del Tesoro USA Geithner, fu un complotto per convincere le istituzioni italiane a liberarsi di un capo del governo incapace e screditato. Dal mio antiberlusconiano punto di vista, avrei preferito un complotto più efficiente e tempestivo. Una nazione può permettersi di avere politici non all'altezza, se ha i conti in ordine; o può avere i conti nel caos, se ha leader carismatici e autorevoli. Nell'autunno 2011 stavamo precipitando con una squadra di pagliacci in cabina di comando (Continua sull'Unita.it, H1t#231).
Per capire quanto pericoloso e incompetente fosse B. l’Europa ci ha messo vent’anni e una crisi sistemica. Finché le cose non sono andate troppo male, i suoi colleghi erano pronti a tollerarlo anche mentre faceva le corna nelle foto ufficiali; al Partito Popolare Europeo i suoi voti non dispiacevano affatto. Ma verso l’autunno 2011 Berlusconi guidava a vista un governo in stato confusionale; a fine agosto Sacconi si era sbagliato a fare i conti e aveva proposto di tagliare a militari e laureati la reversibilità degli anni di studi e di leva. Poco prima Tremonti aveva deciso di abolire tutte le province piccole tranne Sondrio. Proposte deliranti che lasciavano chiaramente intuire il panico e l’insipienza di chi le dettava. Chi avrebbe comprato i nostri titoli di stato? Bruxelles non avrebbe dovuto preoccuparsi della catastrofe della quarta economia europea?
Come siano andate le cose non lo sapremo mai. Senza perdersi in dietrologie, non si può non rilevare come Geithner abbia scelto di lanciare il suo retroscena nel momento più delicato di una campagna elettorale europea. Il fatto che nel nostro piccolo orto italiano le sue rivelazioni offrano a Berlusconi il destro per gridare al golpe ci distoglie forse dal quadro generale. E il quadro generale che ci dipinge Geithner è quello di un’Europa asservita a una Germania arcigna, “tirchia”, risoluta a non riaprire il “libretto degli assegni” per aiutare le fragili e irresponsabili economie mediterranee; disposta persino a far cadere leader democraticamente eletti (benché universalmente screditati). Più che aiutare un Berlusconi “radioattivo”, Geithner sembra voler regalare argomenti a chi lamenta l’egemonia tedesca nel continente (suggerendo anche un euroleader alternativo alla Merkel: Mario Draghi). Non è un affatto un quadro irrealistico, bisogna ammetterlo. Ma come sempre è interessante il paradosso: mentre ci racconta di un Obama monroviano, assolutamente indisposto a sporcarsi del “sangue” di Berlusconi (“Non possiamo avere il suo sangue sulle nostre mani” diceva Geithner), l’ex ministro sta facendo, nel suo piccolo, esattamente quello che Obama non avrebbe voluto fare: sta intervenendo. Ci sta suggerendo che un’Unione più solida rischia di essere asservita alla Germania; ci sta spiegando come dovrebbe funzionare la BCE; ci sta mettendo in guardia dai vertici comunitari che tramerebbero contro i leader eletti dal popolo. Le forze che si oppongono all’integrazione europea non possono che ringraziare. http://leonardo.blogspot.com
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Ma di che faccia parli, Matteo Renzi
13-05-2014, 02:07elezioni 2014, RenziPermalink
Ormai la faccia di Renzi sta diventando un tormentone, non dissimile dalla testa di quei figli su cui Berlusconi amava giurare. Qualsiasi cosa stia succedendo, una riforma che non parte perché scritta coi piedi (bei piedi, per carità), uno scandalo di tangenti; non c'è nulla a cui Renzi non possa opporre la sua faccia, che evidentemente è un argomento. Dietro a chissà quale strategia mediatica sapientemente congegnata ('rispondi sempre così, abbiamo fatto una ricerca e pare che funzioni') c'è un profondo convincimento: Renzi è convinto di avere una faccia, per così dire, inoppugnabile. Una "faccia pulita", secondo Repubblica avrebbe proprio detto così.
Uno potrebbe anche opinare che, se Renzi perde ancora qualche punto nei sondaggi e il M5S vince le elezioni, non è che gli investimenti e i posti di lavoro se la passeranno granché bene; se invece Renzi ci mette la sua faccia pulita di condannato in primo grado per danno erariale... cosa succederà? Non è tanto chiaro, ma pare che la faccia pulita lavi qualsiasi crimine. Non basta nominare commissioni, anzi task force: qualsiasi cosa faccia, Renzi deve farla con la sua faccia, sennò non funziona.
Sarà interessante, nei prossimi mesi o anni, misurare il decadimento della faccia di Renzi: quante promesse disattese serviranno, quante case non pagate e di non proprietà, quante riforme in cui la faccia serve a coprire parti del corpo meno nobili ma utili (e però mai utilizzate, fin qui, per riformare il parlamento e la costituzione). Così come B, ogni volta che giurava sulla testa di un figliolo, dimostrava per prima cosa l'irrisione nei confronti di chi a un giuramento come quello prestava davvero fede, sarà interessante capire quanto la faccia pulita di Renzi continuerà a ridere alla faccia nostra. Io - lo dico rischiando - ho la sensazione che abbia un respiro un po' corto: personalizza davvero tutto, ma dietro di sé non ha come aveva B. un'industria consacrata all'autopromozione. Ogni volta che dice "io", "io, "io", mi sembra un po' più solo. Finché vince, ok: ma fin qui vittorie clamorose non si sono viste. Converrebbe nel frattempo investire in facce nuove.
io sono sicuro che tutti dicono chi te lo fa fare perché non ti conviene mischiare la tua faccia pulita con quello che è accaduto, ma preferisco rischiare di perdere qualche punto nei sondaggi per le elezioni che investimenti e posti di lavoro.
Uno potrebbe anche opinare che, se Renzi perde ancora qualche punto nei sondaggi e il M5S vince le elezioni, non è che gli investimenti e i posti di lavoro se la passeranno granché bene; se invece Renzi ci mette la sua faccia pulita di condannato in primo grado per danno erariale... cosa succederà? Non è tanto chiaro, ma pare che la faccia pulita lavi qualsiasi crimine. Non basta nominare commissioni, anzi task force: qualsiasi cosa faccia, Renzi deve farla con la sua faccia, sennò non funziona.
Sarà interessante, nei prossimi mesi o anni, misurare il decadimento della faccia di Renzi: quante promesse disattese serviranno, quante case non pagate e di non proprietà, quante riforme in cui la faccia serve a coprire parti del corpo meno nobili ma utili (e però mai utilizzate, fin qui, per riformare il parlamento e la costituzione). Così come B, ogni volta che giurava sulla testa di un figliolo, dimostrava per prima cosa l'irrisione nei confronti di chi a un giuramento come quello prestava davvero fede, sarà interessante capire quanto la faccia pulita di Renzi continuerà a ridere alla faccia nostra. Io - lo dico rischiando - ho la sensazione che abbia un respiro un po' corto: personalizza davvero tutto, ma dietro di sé non ha come aveva B. un'industria consacrata all'autopromozione. Ogni volta che dice "io", "io, "io", mi sembra un po' più solo. Finché vince, ok: ma fin qui vittorie clamorose non si sono viste. Converrebbe nel frattempo investire in facce nuove.
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