Veltroni profeta del Renzismo

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(Continua da qui: nel nostro fantastico viaggio nella mente del renziano, ci imbattiamo finalmente in una figura chiave: Walter Veltroni. Ma non è il Veltroni che ci sembra di conoscere da una vita, è... diverso).

L'istrionismo del personaggio pubblico WV, il suo eterno baloccarsi tra cinema tv musica e letteratura, rischia di occultare l'importanza del suo ruolo politico, in una fase circoscritta ('07-'08) ma cruciale della storia d'Italia. In quei mesi, e solo in quelli, Veltroni non è il pacioso personaggio al quale in fondo siamo tutti affezionati. Ha una vocazione, una missione, un messaggio: e chi non è con lui è contro di lui. Il renzismo è ancora invisibile all'orizzonte, ma Veltroni lo percepisce e grida nel deserto: dirigite viam Domini. Non è un semplice leader: non propone un programma di governo, ma un nuovo regno di rettitudine che deve esistere, per prima cosa, dentro di noi. L'antiberlusconismo non è negato, come potrebbe sembrare superficialmente, ma trasferito completamente nella sfera della nostra coscienza: è qui che dobbiamo negarlo, rifiutarlo come fonte di ogni male. Se rinunceremo al Berlusconi che è in noi, non vi sarà più Berlusconi sulla terra, e finalmente il bene trionferà. La banale presenza in terra di un Berlusconi in carne e ossa e milioni coi quali può corrompere i senatori è minimizzata: quello non è così importante, è solo un epifenomeno che svanirà non appena ci saremo purificati.

Non è stato il Berlusconi reale a batterci - come avrebbe potuto? È solo mera apparenza, la forma che prende la punizione che ci autoinfliggiamo in quanto peccatori. Non siamo stati sconfitti perché perdevamo le elezioni contro un tycoon che giocava sporco. Siamo stati sconfitti perché siamo un popolo di dura cervice: cattivi, rissosi, indisciplinati, settari (e guardate che non sto negando che siamo stati indisciplinati o settari: ma a partire da Veltroni questa diventa la giustificazione di tutto quello che ci è successo, a prescindere se Berlusconi violi la par condicio o no, vari leggi elettorali anticostituzionali o no, corrompa guardie di finanza o no, eccetera).

Il battesimo che ci propone Veltroni è molto semplice: un nuovo partito (Pd), un nuovo strumento di investitura popolare (le primarie). La via che ci indica è anch'essa abbastanza lineare: come possiamo sopprimere il male che è in noi? Abolendo i partitini. Sono loro che ci hanno condannato all'esilio nel deserto: lasciamoci alle spalle (in ciò Veltroni mostra anche una perversa astuzia: contro Berlusconi forse non può vincere, ma contro i partitini sì).

Ma anche questa è una narrazione insoddisfacente, perché a conti fatti Veltroni non chiuse affatto le porte ai partitini, e anzi le spalancò ai due meno affidabili: Radicali e Italia dei Valori. I secondi li accolse in coalizione, i primi addirittura nelle liste del Pd, offrendo nove collegi sicuri a un gruppetto che non avrebbe avuto i numeri per eleggerne nessuno. Era abbastanza ovvio che appena arrivati in parlamento i radicali avrebbero fatto di testa loro, salvando in un paio di occasioni una maggioranza traballante. Ma con l'IdV andò persino peggio: il partito che nel 2006 aveva espresso De Gregorio, due anni dopo portò in parlamento Scilipoti. Il primo fece cadere Prodi nel 2008, il secondo salvò Berlusconi nei giorni più bui del 2010, quando persino Fini scappò dalla corte dell'amico della nipote di Mubarak. La storia insomma dimostra che i partitini erano davvero inaffidabili, e che Veltroni non avrebbe avuto così torto a sbarazzarsene - ma non lo fece.
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Guerra di religione nell'intervallo

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Volevo dirvi, e già pregusto l’interesse che in voi scatenerò, che ieri la Pippi di seconda P ha preso per i capelli la Cacchi di prima Q perché le diceva che dopo essersi tosato l’emisfero destro col rasoio non sembrava Scarlett Johansson agli Oscar, ma piuttosto un istrice schiacciato in autostrada.

A quel punto è intervenuta la Merdy di III R (ripetente), che pur non sapendo cosa fosse un istrice, né la Johansson, né un emisfero, né un Oscar, né dove si trovasse in quel momento, ha pestato la Pippi perché ehi, in quel corridoio se vuoi menarti devi chiedere a lei, non è che puoi graffiar bambine senza invitarla. Ma sbagliava corridoio, quindi la Gwanda di II W è andata a dirlo al fratello, il quale disprezzando i litigi tra femmine e gli sfregi che procurano ha deciso di non intervenire direttamente, bensì sgonfiando la bici della colpevole; e non capendo chi fosse esattamente, non riuscendo a districare la catena di cause ed effetti dalla Pippi alla Cacchi alla Merdy, ha sgonfiato un’intera rastrelliera, quaranta ruote, Dio è grande e riconoscerà le sue.

A quel punto voi avreste mandato il fratello di Gwanda dal preside, ma bisogna prendere appuntamento, del resto ha otto plessi, così ho pensato di chiamare i giornalisti. Sì, perché il ragazzino è musulmano, e invece di Dio è grande ha detto Allah Akbar. E quindi capite, lo scontro di religioni, di civiltà - chi l’avrebbe detto che il nostro quarto d’ora di celebrità sarebbe stato quello dell’intervallo.
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Downgrading Matteo Renzi

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Ma lo ricordate il rottamatore che con l'entusiasmo dei 39 anni accusava gli avversari di voler infilare i gettoni dell'iphone? Ricordate Matteo Renzi quando era il futuro, e non si faceva inquadrare per 17 minuti davanti a una lavagna - non di quelle digitali, no, una lavagna vecchio stile, senza risparmiare agli utenti lo strazio del gessetto sull'ardesia? Che avrebbe detto il giovane Matteo di questo noioso supplente 40enne che scrivendo volta le spalle, e neanche si porta da casa le slide?

Che sta succedendo a Renzi? È da mesi che cerco di criticarlo senza chiamarlo il nuovo Berlusconi. Credo davvero che siano diversi e non abbia senso confonderli – ci terrei a non passare per un ossesso che vede la sagoma di Berlusconi in ogni fenomeno che non gli piace. Lui però non è che mi aiuti molto. Manda in giro una vhs un video in cui spiega alla lavagna le belle cose che farà. C'è pure la libreria sullo sfondo. Ieri pare abbia dichiarato “non metterò le mani in tasca agli italiani”. Insomma, berlusconeggia apposta, o gli viene spontaneo e neanche se ne accorge? Quale opzione è meno inquietante?

Io vorrei non confondere Berlusconi e Renzi, ma mi domando se Renzi ci tenga altrettanto; o se l'esigenza di attirare gli elettori che abbandonano Forza Italia non lo stia forzando a un mimetismo sempre più aderente al modello. Non succede anche agli iphone la stessa cosa? Lo stato dell'arte quando li scegli, vecchi rottami tre anni dopo.
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Ti immerda l'aiuola, ci mette la faccia

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“Questa aiuola fa schifo!”
“Già, come vede sto pulendo”.
“Ma non si vergogna di tenerla così?”
“Io sono quello che pulisce, per quel che posso. Però la gente passa e sporca”.
“E il governo?”
“Eh, non ci ha aiutato un granché fin qui. Speriamo nel prossimo”.
“Son io il prossimo!” (Zip)
“Ah, bene, ma... Scusi, lei sta pisciando? Sta pisciando nella mia aiuola?”
“L'aiuola non è sua, chi si crede di essere?”
“Ma la stavo pulendo”.
“Non si notava un granché”
“Però adesso lei ci sta pisciando”.
“Vede com'è fatto lei?”
“Come sarei fatto io?”
“Le piaceva l'aiuola com'era prima!”
“No, non mi piaceva l'aiola com'era prima, ma non credo che sia un buon motivo per pisciarci sopra”.
“Lei è nemico di tutto ciò che è nuovo”.
“Ma non mi sembra una cosa tanto nuova, abbia pazienza”.
“Lei ha paura del futuro”.
“Un tizio che piscia in un'aiuola è il futuro?”
“Da qui in poi cambia tutto! Si marcia a un passo diverso! Ve ne accorgerete, ve ne”.
“Ha finito? Perché io stavo lavorando”.
“Senta, può darsi che con lei io abbia sbagliato approccio”.
“Non credo sia un problema di approccio, è che lei piscia nelle aiuole”.
“Perché non ricominciamo tutto da capo? Veniamoci incontro”.
“Si sta risbottonando?”
“Non crede che sia ora di lasciare un segno, qualcosa di concreto?”
“Ma no, non credo proprio”.
“Lei è senza speranza. Un amante dello status quo. Un masochista”.
“Io stavo pulendo prima che lei arrivasse”.
“E se ne vanta pure? Guardi com'è ridotta, guardi”.
“Ci sta ancora ancora cagando sopra”.
“Ci sto mettendo la faccia!”
“La chiamano così adesso?”
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Il masochismo di mandare all'aria la scuola

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Senz'altro c'è una sinistra masochista: perlomeno, che tipo di sinistra è quella che trovandosi in una situazione di potere, invece di cogliere l'occasione per riorganizzare la scuola in modo razionale, ne approfitta per spernacchiare tutti gli insegnanti italiani, di ruolo e precari? I docenti avevano timidamente fatto notare, con la mobilitazione del decennio, che trasferire tutte le decisioni sulle fragili spalle del dirigente non sembrava molto sensato: se non altro perché fino a oggi erano funzionari con poca o punta nozione di didattica. La masochistica risposta di Renzi e di Giannini: non vi piace tutto il potere ai dirigenti? Va bene, facciamo entrare anche genitori e studenti. Loro sì che di didattica se ne intenderanno. O no? Insomma, qualcuno se ne dovrà pur intendere di questa cosa. Non vi piace? Eh ma allora ditelo che preferite lo status quo.

Intendiamoci: l'idea ha aspetti positivi. Chi lavora nelle scuole sa quanto sia facile compiacere studenti e genitori: molto più facile che preparare buone lezioni o correggere troppi compiti, col rischio poi di dare dispiacere agli utenti. Prevediamo sin d'ora che la buona scuola valutata da studenti e genitori di compiti ne darà pochissimi: e non sarà più così difficile trovare insegnanti disponibili a portar classi in gita (più spesso a Gardaland che alla Risiera di San Sabba). A farne le spese, col tempo, sarà la collettività, ma si vede che anche alla collettività piace soffrire. Se si sceglie dei riformatori così.
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La buona scuola, le medie scuole, le scuole cattive

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Come insegnante, a me non dispiacerebbe essere valutato: sono già quotidianamente sottoposto al giudizio informale ma costante di genitori, colleghi, e studenti; perché non aggiungere qualche parametro oggettivo? Peccato che nessuno l’abbia mai davvero proposto. Ne parlano tutti: incassano la solidarietà degli gli ex studenti che vorrebbero farcela pagare, e poi scrivono brutte leggi in cui non si capisce mai come dovremmo essere giudicati. Almeno nel testo originale della Buona Scuola si capiva bene chi: il preside. Era uno degli aspetti più discutibili del Ddl ed è già stato un po’ modificato. Nel frattempo molti ne hanno approfittato per spiegarci che non ci trovano nulla di strano: anche loro vengono giudicati dai loro dirigenti: perché noi no?

Potrei semplicemente rispondere: perché non mi fido dei dirigenti. Ma è più complesso di così. Secondo Renzi ogni preside doveva essere libero di costruire “la sua squadra”. Già la metafora ha qualcosa che non va, perché se ci pensate, di solito la “nostra squadra” è quella che il club si è potuto permettere. Per un preside che riuscirà ad attirare insegnanti buoni, ce ne saranno cinque o sei che non potranno che contentarsi dei rimasugli. È l’economia: niente di così strano. Ma la scuola pubblica era nata proprio per andare in senso inverso. Renzi parla di Buona Scuola, ma per ogni scuola buona ce ne saranno un po’ di mediocri, e parecchie scadenti. Vabbe’, al limite chi se lo può permettere andrà alle private (coi miei soldi).
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Un'ipotesi sul renzismo

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(Riassunto: cosa c'è dietro il renzismo, questo misterioso fenomeno che nelle menti di molti nostri amici ha sovvertito alcuni concetti, ad es. la democrazia? Non si sa, però nel frattempo il berlusconismo è finito e non abbiamo elaborato nessun lutto. E se non fosse una coincidenza?)

La gente che dice di ricordarsi le cose, mente. I ricordi non sono come documenti crudi emersi da un archivio. Sono un continuo rimontaggio di frammenti che deformiamo a piacere in continuazione, qualcosa che reinventiamo tutti i giorni, adeguandola alle informazioni che abbiamo oggi, alle cose in cui crediamo adesso. Mai esattamente la vecchia canzone, sempre la cover della meteora del momento.

Ora dobbiamo raccontare a noi stessi come abbiamo passato gli ultimi vent'anni; e spiegare a noi stessi che non abbiamo perso tempo a paventare il golpe di un vecchietto sessuomane. Molti non ci riescono. Vent'anni, santo cielo. Possibile che non abbiamo parlato d'altro? Cosa ci era successo?

A questo punto scatta la reazione più inevitabile: il nostro io narrante, l'incessante cercatore di nessi causa-effetto, comincia a girare a vuoto e, non trovando nessuno più plausibile a cui dare la colpa, la rovescia su di sé. È colpa nostra. Lo avevamo scambiato per un gigante, e non capivamo che era un nano. Siamo stati noi a non volerlo sconfiggere. Sarebbe bastato così poco. Se Bertinotti nel '98 non avesse. E Turigliatto nel 2008. E Bersani. C'è tutta una serie di episodi che si inserisce perfettamente nella narrazione, che da cronaca politica diventa immediatamente apologo morale: Bertinotti nel '98 rappresenta l'anima massimalista coerente fino all'autolesionismo che è da reprimere in ciascuno di noi, ecc.. Turigliatto ne è una riedizione in sedicesimo, ma vi aggiunge un altro concetto importante: l'orrore per il diverso. Bertinotti era ancora parte di noi, Turigliatto il nostro amico che rifiutava di crescere, quello con cui dovevamo smettere anche solo di discutere, tempo perso. Da soli, possiamo andare solo da soli, in un posto che sappiamo solo noi. A sentirli parlare, sembra che Berlusconi non abbia governato per metà del tempo.

A questo punto tocca inserire qualche dato discordante, giusto per verificare se la storia non assume un senso diverso. È difficile negare l'impatto emotivo che ebbe nel 1998 la sfiducia a Prodi da parte della Rifondazione di Bertinotti. Quella sera si ruppero amicizie, un partito si spezzò in due cocci che non si sono mai più messi assieme. Ma emotività e frazionismo a parte, fu la fine del centrosinistra? No. Affondò al massimo l'Ulivo di Prodi, che avrebbe navigato comunque a vista fino ai bombardamenti in Serbia. Seguì D'Alema, e poi Amato. A questi governi si possono rimproverare molte cose (la mancata legge sul conflitto di interessi tra le prime), ma proseguirono un'operazione di risanamento e verso la fine avevano anche un tesoretto da reinvestire. La legislatura si spense al suo termine naturale, dopo cinque anni; poi rivinse Berlusconi, come spesso capita in democrazia.

Bertinotti nel '98 fece cadere un governo, ma non ci precipitò in nessun baratro. Berlusconi tornò al governo solo tre anni dopo, e non ci tornò perché il centrosinistra era litigioso e inconcludente. Ci tornò perché prometteva, come al solito, il bengodi, e molti italiani si dissero: proviamo, magari stavolta toglierà a qualcun altro per regalare a me. Prodi e Amato, in effetti, non regalavano quasi mai niente a nessuno. Berlusconi non tornò al potere per colpa di Bertinotti o per colpa nostra - a meno che tu che leggi non l'abbia votato nel 2001. L'hai votato? Io no, quindi perché mi dovrei sentire colpevole?

Perché se riconosco che sono innocente, devo poi accettare una verità un po' più dura, ovvero che sono impotente. Preferiamo vivere nel mondo magico della prima infanzia dove ogni avvenimento è connesso con i nostri desideri, che in un universo assurdo che può implodere in qualsiasi momento senza un motivo. La vittoria di Berlusconi nel 2001 era abbastanza ineluttabile: il naturale ritmo dell'alternanza, il logoramento dei partiti di governo, l'opacità del candidato rivale che pure era stato scelto belloccio e relativamente giovane. Ma con un po' di sforzo possiamo immaginare che sia stata invece colpa nostra. Eravamo litigiosi e disuniti e così vinse lui.

Cominciò una lunga traversata nel deserto. Cominciò nel peggiore dei modi - Genova - proseguì in modo abbastanza pirotecnico con l'11/9 e le manifestazioni antiguerra. Nel frattempo il governo tentava di sfondare sull'articolo 18, trasformando per qualche mese Sergio Cofferati nel leader della sinistra. Non funzionò, la guerra in Iraq monopolizzava il dibattito e a metà legislatura cominciò a esser chiaro che il governo sonnecchiava. Berlusconi non si faceva vedere per mesi e poi riemergeva con qualche ruga in meno e il parrucchino più basso. Nel frattempo la sinistra si riorganizzava intorno a Prodi e tutto lasciava pensare che nel 2006 il pendolo sarebbe tornato dalla nostra parte.

Non fu così.
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Premesse a una psicopatologia del renzismo

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Premessa esistenziale

Vieni a farcela davanti, la psicopatologia,
se ne hai il coraggio.
Quando si iniziò a discutere di Italicum, lasciai scritto che mi sembrava di ritrovarmi tra i rinoceronti di Ionesco. Intorno a me un sacco di gente cominciava a comportarsi in modo strano, al punto che valeva la pena di domandarsi se quello impazzito non fossi io. Tra i sintomi che notavo più spesso, la totale fiducia in qualsiasi numero Renzi (e Berlusconi) stessero mettendo per iscritto. Volevano governare col 35%? Ma perché no, in fondo è più di un terzo degli elettori; avrà ben diritto un terzo di decidere per gli altri due. Si trattava di gente con cui ero andato d'accordo, magari non in tutto ma nelle linee fondamentali: banalmente, erano stati antiberlusconiani e lo ero stato anch'io. Ma non avevamo mai perso tempo a domandarci a vicenda cosa pensavamo della democrazia, e quindi può effettivamente darsi che per tutto questo tempo avessimo mandato avanti un colossale equivoco: per me servirebbe, è sempre servito, almeno un 50%, e questo spiegava la mia disponibilità alle alleanze, perché non ho mai sperato di andar totalmente d'accordo col 50% degli elettori.

Scoprivo invece, discutendo con questi miei amici e (ex?) compagni, che la mia disponibilità era male, malissimo, il primo degli errori della sinistra. Il paradosso per cui chi mi raccontava queste cose stava sostenendo un governo Pd+Ncd, e riteneva una buona idea far scrivere un po' di legge elettorale a Berlusconi, si risolveva rapidamente: come ogni guerra si fa perché sia l'ultima, queste riforme si facevano assieme affinché, da lì in poi, non ci fosse più nessuna possibilità per una coalizione in Italia. Mai più. Il solo inciucio necessario è quello che porrà fine per sempre a ogni inciucio. Meglio far scegliere a un solo terzo di elettori, piuttosto che correre il rischio di un nuovo quadri o penta o decapartito, una nuova ammucchiata rissosa e ingovernabile.

Senza essere un appassionato di ammucchiate, non le trovo il peggiore dei mali: considero la negoziazione una delle principali arti del politico, e che tutto quello che riusciamo a fare - tutto - sia il risultato di un compromesso. Intorno a me, col tempo, mi sembrava di vedere solo gente che più o meno la pensava allo stesso modo. Poi arriva Renzi e mi trovo improvvisamente circondato da un branco, scusate, di rinoceronti che mi garantiscono educatamente che no, ogni compromesso è una sconfitta; negoziare è fallire; e sventurato è il popolo che non conosce il nome del suo leader la sera delle elezioni. Magari nel lungo periodo avranno pure ragione loro, devo ammettere che la loro corazza è di un grigio assai elegante; nel frattempo però mi piacerebbe capire com'è successo: com'è che una mattina ti spunta un corno sul naso? com'è possibile che persone sinceramente democratiche a un certo punto abbiano deciso di passar sopra alla definizione stessa di democrazia? È il risultato di un evento traumatico? E se sì, quale?


Un indizio

In seguito ha fondato altri due partiti, giuro.
Franco Turigliatto è un politico torinese. Nel 2008 era già stato allontanato da Rifondazione per aver votato l'anno prima contro una mozione del ministro degli esteri, D'Alema, sulle missioni militari all'estero. Quando nel 2008 vota la sfiducia al governo Prodi, dunque, Turigliatto non è più nella maggioranza di governo - anche se mesi prima aveva dato un voto di fiducia. Si tratta insomma di una storia complicata, però nella memoria di molti rinoceronti, pardon, interlocutori, le cose si sono molto semplificate. Complice forse il cognome un po' onomatopeico, Turigliatto è diventato un sinonimo di sinistra litigiosa e irresponsabile (eppure per un solo voto dato secondo coscienza il suo stesso partito lo aveva cacciato: pensate cosa sarebbe successo a Civati).
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La democrazia che gli inglesi invidiano a D'Alimonte

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L'Inghilterra è salva, ci avvisa D’Alimonte. Fino all’altro ieri era “sull’orlo della ingovernabilità”, oggi gli elettori tirano un sospiro di sollievo, “hanno un governo di maggioranza. Questo esito è il prodotto del sistema elettorale” (pur non bello come l’Italicum, progettato dal prof. D’Alimonte).

Il renzismo ci tira fuori il peggio. Prof, se il sistema inglese serve a ottenere dei governi stabili monocolore, perché 4 anni fa non funzionò? Con appena lo 0,8% in meno, Cameron dovette rassegnarsi all’umiliante coalizione coi liberali di Clegg. Eppure l’economia non collassò, non vi fu peste o carestia, la Scozia non invase la Northumbria. Alla fine molti britannici hanno persino deciso di tenersi Cameron (non Clegg). Se a Londra s’insedierà un monocolore, sarà una delle eccezioni in Europa.

Il sistema britannico ha ragioni storiche. Nasce per garantire un rapporto diretto tra elettori ed eletto, non per garantire "governabilità". Ma D’Alimonte scrive per un ceto politico che si presenta ancora sotto choc per l’esito inglorioso del Prodi II: se una coalizione raccogliticcia e senza una solida maggioranza era ingovernabile, qualsiasi coalizione al mondo deve esserlo: e va evitata a ogni costo. Non è solo un problema di 10% (che è comunque parecchio): è l’ingenuità con cui si pensa che la litigiosità italiana si risolva con una legge o un algoritmo; l’insolenza con cui si insiste a proporre questa “narrazione”, come si chiama adesso. Io la chiamo ancora cattiva fede.
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"Datti una risposta da solo"

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Presidente Bonaccini, so quanto i giornalisti sappiano essere fastidiosi, a volte. Fanno domande insensate, non cercano risposte, ma reazioni scomposte. E se taci, che davvero sarebbe l’unica cosa saggia, t’inseguono, poi montano tre minuti di inseguimento e si credon cronisti d’assalto. Altro che Woodward e Bernstein, loro puntano più su, verso il Gabibbo. A scuola han letto che la stampa deve dar fastidio al potere e han frainteso; invece di dare un’occhiata agli situazione degli appalti in Regione, vanno a punzecchiarti ai comizi. Perché fare i cani da guardia della democrazia, quando puoi esserne la zanzara. Non sono tutti così, ma fin troppi.

Presidente, so che lei è un po’ meglio di come appare in un video di due minuti dove non sa più rispondere a una cronista che non sa cosa domandare. Quanto le debba suonare paradossale l’accusa di militare in un partito dittatoriale - quando per candidarsi in regione ha dovuto battagliare anche coi renziani compagni di corrente. Però doveva proprio darle un buffetto sulla guancia? E poi. Chiuda gli occhi e si riascolti. So quanto può essere fastidioso riascoltare la propria cadenza modenese, ma ci provi. Si domandi cosa le ricorda. E si dia una risposta.

Presidente, non sarà dittatoriale il suo partito, ma non lo riconosco. M’avessero impacchettato vent’anni fa, e risvegliato oggi, ascoltandola io dedurrei che i leghisti si sono presi pure l’Emilia. Mi sbaglierei? Me lo sono chiesto. E un po’ mi sono già risposto.
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