Poteva andarti peggio, potevi nascere in una famiglia situazionista

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La famiglia Fang (The Family Fang, Jason Bateman, 2015).

Sono traumi che uno poi si porta dietro per tutta la vita, capite
Chi ha rovinato i fratelli Fang? Anne è un'attrice già di successo, con problemi di alcol, di casting, di età. Suo fratello Baxter è uno scrittore di successo con problemi di pillole e il terzo libro bloccato al terzo capitolo. Se solo avessero avuto due genitori normali, e non due artisti d'avanguardia che hanno movimentato la loro infanzia rendendoli protagonisti di scherzi cretini... come si dice in italiano First World Problems? Forse è troppo tardi per inventarsi una traduzione, man mano che quel primo mondo scompare all'orizzonte con tutti i suoi conflitti generazionali immaginari.

Forse non è solo merito di Cristian Mungiu se i problemi di un padre di famiglia nella Romania in sfacelo mi appassionano di più di quelli di due quarantenni wasp di successo, ancora arrabbiati coi genitori che non li hanno portati in gita col camper nel Grand Canyon. Forse Nicole Kidman (che ha fortemente voluto il film, e lo ha prodotto), per quanto credibile nel ruolo di grande attrice perennemente insicura, non lo è altrettanto nel ruolo di orfana irrisolta; forse Jason Bateman, a cui non manca il mestiere, ha perso del tutto di vista l'aspetto comico della situazione (che a un Baumbach, per esempio, non sarebbe sfuggito). 

Interpreta il ruolo di un'attrice che per restare sulla breccia
comincia a concedere scene in topless.
(Ma siccome la vera Kidman non è messa così male,
questo è tutto il topless che vedrete).

Forse l'autore del libro, Kevin Wilson, è stato abbastanza furbetto da inserirsi nel filone dell'eterna guerra tra la generazione X e i baby-boomers, costruendosi a tavolino l'avversario più facile del mondo: gli artisti concettuali, sempre sui loro piedistalli immaginari, il narcisismo imbastito all'accademia e mai più messo in discussione che si rivela, a una certa età, misantropia bella e buona. Se almeno fossero personaggi realmente esistiti... (continua su +eventi!)

Se almeno fossero personaggi realmente esistiti, li si potrebbe odiare un po' e poi farsi venire un po' di pena per loro, ma se li è inventati Wilson, e se si è lasciato sfuggire una stilla d'umanità di troppo, Bateman non l'ha vista. Se è molto facile prendere le distanze da due sessantenni che credevano di cambiare il mondo con le candid camera, dall'altra si fa più fatica del previsto a empatizzare con un autore di saghe young adult affetto da blocco dello scrittore e un'attrice quarantenne che riuscirà a realizzarsi soltando recuperando qualche parte prestigiosa a Hollywood.


Ragazzi, alla vostra età non dovreste essere voi quelli
che sloggiano i figli da casa?

La famiglia Fang non è un film sgradevole, ma conferma qualche sospetto sullo stato del comedy-drama statunitense: è un film che vorrebbe toccare qualche corda in modo delicato, e invece non fa che urlare per tutto il tempo: LASCIATI ALLE SPALLE I TUOI GENITORI (le musiche, intrusive e paracule, hanno la loro parte di responabilità). Credevo che non avrei mai scritto una cosa del genere, ma un film così mi fa venir voglia di riguardarne uno italiano di qualche stagione fa, Anni felici di Luchetti, che parlava di cose simili ma osservate dal vero, con una delicatezza e una profondità che Bateman e soci si scordano. E dire che al tempo mi ero pure concesso il lusso di parlarne male, Luchetti se puoi perdonami. La famiglia Fang è al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo alle 20:10 e alle 22:30.
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Grillo sragiona, ma Napolitano

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Sabato, per una curiosa coincidenza, sui due principali quotidiani italiani due anziani leader hanno presentato per l'ennesima volta la loro versione dei fatti. Uno non ha fatto che ripetere le solite cose, ha fatto spallucce davanti a errori anche gravi (d'altronde nessuno è perfetto), e ha promesso che da qui in poi sarà diverso, bisogna fidarsi. L'altro era Beppe Grillo.

Beppe Grillo è buffo, e lo sappiamo. La sua letterina al Corriere è così deliziosamente delirante che ti fa quasi sospettare un eccesso di malizia: vuoi vedere che l'ha scritta così apposta, vuoi vedere che dietro la punteggiatura da pensionato che iperventila c'è tutta una scienza, una retorica. Vuoi vedere che... ma va'. Beppe Grillo è stanco, sono anni che ce lo dice; quelli che ha chiamato a sostituirlo, nel migliore dei casi, apprendisti cialtroni. È già stata anche localizzata, da mesi, l'arena in cui li vedremo misurarsi con la realtà e mordere la polvere: il comune di Roma. Tutto già scritto, in parte prevedibile, ma poi è lo svolgimento che è interessante. È una specie di reality, una di quelle cose che in cambio del tempo che perdi a guardarle ti restituiscono un'appagante sensazione di superiorità. Era poi destino che Grillo, che di internet ha fatto una grancassa, su internet finisse spernacchiato. D'altro canto.

D'altro canto tutta questa gente che lo spernacchia tra qualche mese andrà a votare per un referendum, e magari seguirà i consigli di Giorgio Napolitano. Il quale, disturbato una volta in più da Mario Calabresi, non ha fatto che ribadire quella che sta diventando la linea: la Riforma ha dei difettucci ma dobbiamo prendercela così com'è, sennò sarà una specie di Brexit; quanto all'Italicum... beh, ma figuratevi, che problema vuoi che ci sia a cambiare l'Italicum? È almeno la seconda volta che Napolitano lo afferma, e ieri sera a quanto pare è diventata anche la linea di Renzi. Ma certo che si può cambiare l'Italicum - dal momento che è cambiata la situazione politica.

Momento.
Quand'è che sarebbe cambiata la situazione?

Ora, Beppe Grillo è tanto buffo, e il suo movimento si merita le pernacchie ormai inevitabili, e tuttavia qui ci troviamo di fronte a una cosa un po' più grave. Un presidente emerito che afferma: (a) che le leggi elettorali (comprese quelle da lui controfirmate) si possono un po' cambiare a seconda della situazione: cambiano le situazioni, cambiamo le leggi. E il presidente del consiglio è d'accordo. Ammettiamo anche che una figura istituzionale super partes possa riconoscere libertà alla maggioranza di fare e disfare leggi elettorali a seconda di come soffia il vento, resta il problema che (b) due anni fa il vento era già bello che soffiato. Cioè, ci state informando che l'italicum, col suo premio di maggioranza che non ha eguali al mondo, in un sistema tripolare diventa una specie di roulette? E due anni fa la cosa non era già evidente? Il M5S non era già quasi il primo partito d'Italia, intorno al 25%? Renzi, che ora è disponibile a ridiscuterne, non se n'era accorto, ché ci mise la fiducia? Giorgio Napolitano, che adesso dice che va cambiato, era distratto, ché ci mise la sua bella firma in calce? Però Beppe Grillo è buffo, certo. Magari, se continua a fare scenate sul blog o sul Corriere, ci svolta l'autunno. Come ai tempi di Berlusconi: finché si parlava di olgettine sembrava quasi che la crisi non ci fosse.
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Compra un esame in Transilvania (prima che lei compri te)

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Un padre, una figlia (Bacalaureat, Cristian Mungiu, 2015).

Romeo ha una cinquantina d'anni, una moglie che non lo guarda più negli occhi, un appartamento dignitoso al piano terra di un quartiere in sfacelo, un telefono che suona in continuazione, un reparto di ospedale da mandare avanti, un'amante che comincia a lanciare ultimatum, un'unica figlia a cui ha insegnato l'importanza dell'onestà, dell'integrità, del duro lavoro. La Romania è un disastro, ma Eliza può farcela; ha vinto una borsa di studio per l'Inghilterra, l'importante è superare l'esame di maturità. Cosa può mai andare storto? Romeo ha una settimana di tempo per rovinare tutto; perdere la famiglia, la stima di sua figlia e di sé stesso. Può bastare un sasso, una distrazione, una tentazione, una macchina ferma sul lato sbagliato della strada. La Romania è un cantiere abbandonato, chi ha vinto l'appalto è scappato per primo, c'è gente che ci si nasconde e gente che gira a vuoto, in cerca di uscita.

Oh com'è difficile restare padre quando i figli crescono e le mamme imbiancano - oh oh oh oh 
Quel po' di esotico che la Transilvania aveva conservato in Oltre le colline, Mungiu lo distrugge con Bacalaureat. La periferia cementifera di Cluj-Napoca è così anonima che potremmo essere nella Vallonia dei fratelli Dardenne, che del resto producono. Mungiu ha ammesso di sentirsi più vicino alla loro poetica che a quella dei cineasti rumeni della sua generazione, e a suo modo è globalizzazione anche questa: il suo eroe dardennizzato è ripreso di spalle più spesso del solito e lotta contro una società che non gli permette di giocare pulito. Qua e là Mungiu sembra voler tentare una chiave di lettura un po' più simbolica, che però rientra subito tra i ranghi: i Dardenne, e i loro fan, sanno meglio di tutti cosa vogliono vedere per due ore: marciapiedi sbrecciati, playground arrugginiti, una volta il cinema era l'alternativa low cost ai viaggi esotici, ormai l'ultima frontiera dell'esotismo sono le periferie urbane decadenti per le quali non ci verrebbe mai voglia di acquistare un biglietto. Ma dopo due ore in compagnia di Romeo ci sembrerà di conoscere Cluj come quel quartiere dormitorio in cui abbiamo passato un semestre.




(Ani de liceu, cand tii soarele in mana si te crezi legendar Prometeu...)


Vien voglia di chiedere la cittadinanza onoraria, anche perché Mungiu si è fatto un po' prendere la mano. Ormai lontana la secchezza di 4 mesi 3 settimane e 2 giorni, con quella scansione fulminante in tre atti: Bacalaureat dura venti minuti in più, di cui alcuni passati semplicemente a far girare a vuoto il protagonista, o a farlo riflettere immobile su una panchina. E per quanto la sceneggiatura sembri infierire contro di lui, alla fine non si riesce a non voler bene a questo povero tizio che vuole salvare la figlia dal disastro che lui stesso è diventato. Del resto Bacalaureat parla di corruzione sociale ma anche fisica - di come sia inevitabile venirci a patti, a una certa latitudine e a una certa età. Ma anche chi è scappato in terre meno corruttibili potrà voler dare un'occhiata - il film è al Fiamma di Cuneo fino a mercoledì (ore 21); da giovedì è al Monviso (sempre a Cuneo, sempre alle 21).
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De inutilitate lycei classici, oratio non confutatura

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Kalendas septembres dies sunt, quo lycei classici fautores - doctores et alumni et aliqui seduli discipuli etiam - secretos timores fugant indulgentibus cum sermonibus in periodicis diarisque. Semel in anno nostri lycei immensa excellentia ac universalis utilitas confirmandae sunt, quasi imminens periculum ne obliviscamur sit; semel in anno repetere iuvat lyceum classicum "mentem aperire" - amplius quam quodvis lyceum, quamvis scholam ex mundo! Sic dicerent institutiones internationales, si ab lycei classici alumnis regerentur. Semel in anno studiarum humanitatis laudes celebrare necesse est, ingentiore voce: quasi dubii sonus fugandus acutius in animis nostris audiatur.

Perdiu de hoc disputavimus: canis suam caudam ibi mordet. Lyceum classicum magis amata schola ab lycei classici operatoribus manet. Nulla schola in orbe terrarum lycei classici alumnos profert quam italicum lyceum ipsum. Cum multi ex alumnis istis, quibus de primato studiorum humanitatis diu magistri persuaserant, lycei classici doctores iure fieri volent, ab eis aliis junioribus discipulis de excellentia utilitateque lycei persuadendum erit. Schema Pontii hoc videtur, forsitan iampridem corruens; et kalendis septembribus tamen quidam temptat, quidam temptatur. Tantum de hoc disputavimus, ut nihil nunc ascribere prosit. Singulam minimam rem hodie denuntiamus: omnis iste locorum communum thesaurus, pro graecorum antiquorum et praecipue latinorum sermonibus, in italico scribitur ac legitur.

Non in latino.

Quia sermonem latinum nemo scribit, nemo legit, nemo comprehendit. Nullus lycei classici gloriosus alumnus unam sententiam in lingua latina componere posse vel velle videtur. Sententiam, dixi? Ne "Facebook" nomen quidem Gramellinus recte latine convertit. Considerate. Si lyceum tam efficacem est, ubi sunt latinis litteris docti viri aetatis nostrae? Quinquaginta annis ante, Cicero Pindarusque proferebantur in "Gazzettae dello Sport" columnis. Humanae litterae patrimonium commune erant. Hodie in Facebook (qui "Facierum Liber" nominari potest) italici utentes mema in anglorum lingua comunicant, quam multi duo hores solum in septem diebus studuerunt in lyceo. Hic non Tacitum, non Sallustium invenis; non "irrumabo ego vos": omnes "fuck you" scribent et comprehendunt. Ubi sunt antiqua verba, et vetustae declinationes quas per infinitam aetatem edidicimus? Donec superbi lycei veterani, doctores renuntiati, laureae chartam ad parietem affigunt, Castiglioni-Mariotti librum in cistam claudent ut numquam aperiant. Aut illum nepotibus donant, longis sermonibus adiunctum de antiquarum litterarum novitate, de antiquorum laudatorum temporis acti praesente momento.

Iam pascuum quietum lyceum classicum esse declaravimus, sive paradisum ad delectandos optimatum filios (et filias) circonvallatum; iam latina lingua non logicior vel compositior quam aliae disciplinae studii dignae et utiles nobis visa est; iam strenue alumnorum classicorum excellentiam disputavimus (quod post hoc ergo propter hoc videtur: multi discipuli excellentes iam erant lyceo ante). Hodie solum lyceum classicum inutile esse confirmamus, non quod latinam linguam docet, sed vice versa: quod eius alumni latinum non serbant. Et cum hoc in latina lingua scribamus, confutaturi facile non sumus.

Qui potest barbaritatem meam excuset, et errores inevitabiles; non in lyceo classico meum latinum fictum est (et in Arcadia, ego?)
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È ancora lontana Copernico

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Devo una giustificazione e una scusa ai pochi ma pazienti lettori che si sono trascinati fin qui tutt'agosto - una qualsiasi, ad esempio che certi giorni non c'era la connessione, e non c'era tempo, e il terremoto, e le cavallette, e un nuovo esoplaneta intorno a Proxima Centauri, insomma come si è già capito Copernico è ancora in alto mare e non so nemmeno come ci si arriverà - è una storia che parla di sé stessa evidentemente, del fatto che ogni giorno mi sveglio e non so cosa scrivere, e della nausea che mi autoinfliggo per ottenere dei risultati.

È evidente che io abbia un problema con la scrittura finzionale - banalmente: non sono capace. (Non sarebbe neanche un problema se non vedessi che ci riescono tutti). Non è una mossa furba continuare a esibire questo problema in pubblico. Sui blog si improvvisa, a me è sempre piaciuto, quando funziona è da brivido. A volte purtroppo non funziona. Dopo che lo spunto di Copernico ha vinto, per quasi un anno non ci ho più pensato. Già a settembre, ovviamente, l'idea ha cominciato a sembrarmi stupida. A ottobre mi sono letto un paper sulle astronavi generazionali. A novembre una lista di libri da leggere. A dicembre ho pensato che tra un po' è l'anniversario della reggenza di Fiume e che magari era meglio concentrarsi su una cosa del genere. Tutto questo nei ritagli dei ritagli di tempo, insomma, mi dicevo che comunque avrei avuto l'estate.

Quest'estate, piuttosto di mettermici seriamente, ho fatto cose che mai nella mia vita - per dirne una, ho messo a posto i cassetti. Ho messo le bollette in un foglio elettronico. Il garage, ho sistemato il garage. Poi è arrivato agosto e mi sono detto ok, improvvisiamo, magari qualcosa esce. Ditemi voi.

Chieso scusa per l'attesa a vuoto e forse cancellerò tutto, ripartirò da zero (meglio non promettere più niente).
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Chi vi uccide sa quello che fa, date retta

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Il diritto di uccidere (Eye in the Sky, Gavin Hood, 2015)

Ora vi spiego la guerra, signorini.
O uomo occidentale, cos'è troppo grande per te? Gli dèi del tuo antenato, gli dèi della folgore e degli oracoli, non avevano un decimo del tuo potere e del tuo sapere. I tuoi droni possono localizzare il nemico al gabinetto; colpirlo con folgori da decine di megatoni e spalancare l'inferno ovunque tu decida che è giusto. Puoi vedere tutto, puoi bruciare tutto. Ma a volte vorrai solo chiudere gli occhi.

C'è un Occhio che gira intorno al mondo e vede quello che vuoi e che non vuoi. C'è una casetta da qualche parte in Kenya, con stanze separate da tramezze che non arrivano al tetto (molto comodo per le inquadrature dei mini-droni). Dentro ci sono terroristi fanatici, che forse credono che la cittadinanza inglese o americana li protegga dall'Occhio. Stanno per indossare pettorine e andarsi a fare esplodere in qualche luogo affollato. Bisogna colpirli prima che colpiscano - ma c'è una bambina in strada, a pochi metri dal probabile impatto, vende focacce e non si sposterà finché non avrà il paniere vuoto. Ci sono soldati che devono fare il loro mestiere. Ci sono politici che non sanno che ordini dare.

È fortissimo, James Bond gli taglia le unghie dei piedi.
Gavin Hood lo ha fatto di nuovo. Dopo Ender's Game, ecco un altro film meno problematico di quanto vorrebbe sembrare, in cui sotto il dilemma etico si intravede una visione del mondo abbastanza solida: la guerra esiste e bisogna farla combattere ai soldati, che hanno competenze, nervi saldi, mani sensibili ma disponibili a sporcarsi. Mentre i civili, i politici, non ne capiscono niente: si commuovono al momento sbagliato, per la bambina sbagliata, perdono tempo, giocano allo scaricabarile, cercano disperatamente al telefono qualche superiore, qualche mamma o qualche Dio che li perdoni o si addossi le loro colpe. La democrazia è una perdita di tempo che non produce consapevolezza, ma falsa coscienza. I militari sono più bravi anche a farsi venire i dubbi - e a superarli - e a piangere per le vittime collaterali. Scordatevi i cecchini cinici di quel vecchio video di Wikileaks che dopo aver fatto strage di combattenti, fotografi e bambini si complimentavano per i "nice shots" e ridacchiavano per il cadavere caldo calpestato da un tank.

QUALCUNO LE COMPRI QUEL PANE
I soldati d'occidente di Gavin Hood non alzano mai la voce coi sottoposti; sono autorevoli, umani, anche fragili, e se premeranno un grilletto state ben sicuri che ci avranno prima pensato cento volte (continua su +eventi!)

Hanno già le armi più potenti e precise mai adoperate, ora reclamano anche di avere sentimenti raffinati e coscienze tormentate. Come il ragazzino di Ender's Game, a cui Hood non consentiva soltanto la licenza di sterminare una razza aliena, ma anche il privilegio di sentirsi in colpa e rimediare. Anche stavolta la voce più falsa è quella di una donna che fa appello ai buoni sentimenti; nella penultima battuta del film, il generale le fa il cazziatone. Io ho visto il mondo, ho raccolto i cadaveri di quattro attentati suicidi, non si permetta più di spiegarmi cos'è la guerra. Uno vorrebbe tanto che Hood fosse un po' meno militarista di così, perché bravo è bravo; o che almeno lo fosse in modo più onesto (alla Clint Eastwood?), senza confondere le acque, senza mimare la tenerezza e nascondersi dietro il velo quasi integrale di una povera bambina innocente. E invece anche stavolta si può andare a vedere il suo film convinti che si tratti di una parabola sugli orrori della guerra; si può tremare per un'ora sul destino della povera vittima collaterale, ma poi?

Non esistono razze superiori, salvo rare eccezioni
come gli attori britannici di una certa età.
Rickman e la Mirren sono perfetti e lo sarebbero
anche se interpretassero i droni.

Ma poi sulla strada di casa ti accorgi che i militari sono quelli che ne escono meglio. Sono attori di razza come Helen Mirren e Alan Rickman (nel suo ultimo ruolo), ma c'è anche tantissima varietà razziale, ci sono ragazze ispaniche e morette dell'Iowa con occhioni pronti a inumidirsi, c'è una coppia fantastica di spie kenyote, tra cui il Barkhad Abdi già visto di Captain Phillips. Sono tutti bravi, sono competenti, dicono le bugie solo a fin di bene ed è chiarissimo che non godono a uccidere la gente, anzi. Chi potrebbe mai pensarlo. Alan Rickman è molto preoccupato per la bambola che deve comprare alla nipote. Le vittime collaterali dovrebbero sentirsi fiere di essere uccise da gente così.

Per contro, i politici sono tutti bianchi e preoccupati. Sudano, strillano, si tolgono la giacca, il Ministro degli Esteri è al gabinetto a Hong Kong perché ha mangiato gamberetti - non che l'Occhio del Cielo non riesca a trovarlo anche lì, ma insomma Hood non rinuncia a nessun espediente per ridurre l'autorevolezza degli eletti dal popolo. Un discorso a parte gli americani, che non capiscono che tempo ci sia da perdere e preferirebbero sparare prima e farsi le domande poi. Eye in the Sky resta un film importante: forse il primo dramma da camera ambientato intorno al mondo. Semplicemente non è il film controverso che il trailer ci vende: è un film sulla guerra telecomandata e chirurgica, su come funziona bene e soprattutto su come funzionerebbe meglio senza troppi civili nella sala dei bottoni. Un eventuale ufficio propaganda delle forze armate britanniche non avrebbero saputo produrne uno migliore - anche per la pubblicità offerta ai mini-droni di ultimissima generazione

Finalmente hanno riaperto l'Aurora di Savigliano, che lo proietta alle 18:30 e alle 21:15, e il Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (alle 15:15, alle 17:35, alle 20:15 e alle 22:35).
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L'invenzione del secolo

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"Buongiorno signor farmacista".
"Buongiorno, in cosa posso esserle utile?"
"Vorrei un placebo".
"Eh?"
"Non sa cos'è un placebo?"
"Certo che so cos'è".
"Sull'enciclopedia c'è scritto che il placebo è una terapia o una sostanza prive di principi attivi specifici, ma che sono amministrate come se avessero veramente proprietà curative o farmacologiche".
"Le ho detto che so bene cos'è un placebo".
"E quindi me ne potrebbe dare uno? Ho il mal di testa".
"Ma io non vendo placebo. Io vendo medicine".
"Ma sull'enciclopedia c'è anche scritto che lo stato di salute del paziente che ha accesso a tale trattamento può migliorare".
"Lo so, ma non sono medicine. Io ho una licenza per vendere medicine. I placebo sono... boh, in molti casi acqua e zucchero. Se vendessi acqua e zucchero sarei un truffatore".
"Ma l'acqua e zucchero non fanno male a nessuno".
"Non fanno né male né bene, non sono un farmaco, non posso venderli".
"Eppure un sacco di gente ne trarrebbe giovamento!
"No, perché sulla sua enciclopedia, se controlla, c'è scritto lo stato di salute del paziente che ha accesso a tale trattamento può migliorare ma solo a condizione che il paziente riponga fiducia in tale sostanza o terapia".
"E che significa?"
"Significa che un placebo funziona solo se non sai che è un placebo".
"Ahi".
"Quindi se lei entra e mi chiede un placebo, e io le vendo un placebo, e lei assume il placebo, non le succede niente, perché lei sa benissimo che è un placebo".
"Comincio a capire. Ma..."
"Ma cosa?"
"Non possiamo rifare la scena? Io adesso esco, lei riempie uno dei suoi boccettini di acqua e zucchero, io invece di chiederle un placebo le chiedo una medicina per il mal di testa e..."
"Non è così che funziona. Lei non ha la memoria di un pesce rosso".
"A volte mi piacerebbe".
"Non è abbastanza stupido, se mi consente".
"Aspetti, forse un sistema c'è".
"E l'ha trovato lei? I farmacisti si dibattono in questo paradosso da migliaia di anni, poi arriva lei..."
"Allora io adesso esco, poi entro e le chiedo un farmaco per il mal di testa, e lei mi fa trovare un boccettino con uno di quei nomi strani sulla scatola e..."
"...ma le ho già detto che non..."
"...e un prezzo esagerato".
"Ma che c'entra il prezzo?"
"Non so spiegarglielo, ma il prezzo funziona. Quando vado a comprare, non so, i pantaloni, vedo robe che mi sembrano stracci immondi, ma poi do un'occhiata ai prezzi e... comincio a vederli in un modo diverso. Dopo un po' li compro".
"Conosco il fenomeno, ma è completamente irrazionale".
"Può darsi, però funziona, capisce? Esco e mi sento elegante. Se funziona coi vestiti perché non dovrebbe funzionare con l'acqua zuccherata?"
"Quindi adesso io prendo un flacone e ci metto dell'acqua e..."
"Lo zucchero poco mi raccomando".
"Poi ci scrivo un nome strano e ci appiccico un prezzo alto".
"Io nel frattempo faccio il giro dell'isolato e torno qui".
"Senta, non funzionerà. Forse con le braghe, ma il mal di testa..."
"Facciamo la prova. Se funziona mi sarò curato il mal di testa senza medicine".
"Ma avrà speso gli stessi soldi..."
"E lei diventerà ricco! Venderà acqua e zucchero al prezzo di una medicina costosa. Ci pensi".
"Le dico che non funzionerà. La gente non è stupida".
"No, mediamente non lo è. Però sta male".


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La favola del ladro di bambini (e chi ve la racconta)

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Con gli anni se uno ha un po' di memoria selettiva riesce anche a imparare qualcosa: per esempio i sequestri di bambini non si improvvisano. Quando un genitore denuncia una persona per tentato sequestro - di solito è un ambulante irregolare o un mendicante che gli ha sfiorato il bambino - il caso si sgonfia regolarmente entro pochi giorni. Un sequestro di persona è un'operazione complessa che richiede una rete di complici e un'organizzazione radicata in un territorio, o come minimo un automezzo. Se non c'è un automezzo è abbastanza chiaro che nessuno sperava di portarsi via davvero un bambino - senza un automezzo neanche i genitori riescono a portarsi via i propri bambini, figurarsi uno sconosciuto.

Per cui ogni volta che in tv sento dire che un genitore ha denunciato una persona appiedata per tentato sequestro, so che qualcuno sta giocando sporco. Non il genitore, che probabilmente si è davvero spaventato e reagisce, per così dire, a uno stimolo pre-razionale, che è lo stesso che fa mostrare i denti a qualsiasi animale che stia scortando il suo cucciolo. Neanche le forze dell'ordine, che se il genitore fa una denuncia non possono che recepirla. Ma i giornalisti? Quelli che montano la notizia e l'accostano all'"invasione" dei migranti? Cronisti che queste cose le hanno già viste e conoscono la casistica meglio di me, possono invocare la buona fede dopo aver sbattuto il mostro in prima pagina?

Ieri Filippo Facci ha spiegato che "la storia dell’indiano che rapisce la bambina va completamente azzerata: le polemiche e gli articoli che sono stati scritti – compreso uno su Libero, a cura dello scrivente – erano basati su informazioni insufficienti per quanto fossero le uniche disponibili". Ora che invece le informazioni ci sono, Facci può spiegarci per filo e per segno la storia di Ram Lubhaya che, puntualizza, "è indiano (come gli zingari sinti) e questa è la sola cosa che lo avvicina al pubblico immaginario del rapitore di bambini". I sinti italiani sono "indiani" come Facci è "ostrogoto", e non rapiscono i bambini, ma questo non è nemmeno il punto.

Qualche giorno fa stavo guardando Studio Aperto, dovrei darci un'occhiata più spesso anche se non mi fa stare bene. All'improvviso tra le brevi di cronaca piomba questo scoop: su una spiaggia siciliana sembrava aver preso forma l'incubo di ogni genitore; uno straniero, un indiano aveva cercato di rapire un bambino! Subito dopo, un servizio sui migranti, ripresi dietro a qualche recinto. Subito dopo, un comunicato dell'Isis che nessun altro si è filato, preso direttamente da youtube, in cui l'Isis chiede a tutti i suoi sostenitori di attaccare l'Italia (la scritta ITALY enorme in sovraimpressione su vaghe immagini di jihad). È stato un momento incredibile per uno che da ragazzino ha letto 1984 pensando vabbe', questa almeno l'abbiamo scampata. E invece guarda che dieci minuti di odio ti organizza Studio Aperto. L'indiano che rapisce i bambini, i migranti che c'invadono, l'Isis che ci bombarda. Quanta gente guarda Studio Aperto tutti i giorni? Molto più di quelli che leggono Libero, e che magari dopo aver bevuto per tre giorni la fola del rapitore di bambini, saranno disposti anche a leggersi il pezzo in cui Facci si scusa, sapete com'è, avevamo "informazioni insufficienti" e quindi ci è scappato di inventarci un mostro.

Che poi è un'ulteriore fola, perché Facci il suo mestiere lo conosce e non c'è verso che possa essersi bevuto, nemmeno per un istante, il bibitone che ha somministrato ai suoi lettori. Se le "informazioni insufficienti" erano quelle che abbiamo sentito tutti, ovvero due genitori che denunciano un ambulante abusivo indiano per tentato sequestro di bambino, tu sai già che non c'è automezzo, non c'è organizzazione, non c'è niente. Tu lo sai ma devi lo stesso spremere un po' di odio per il bibitone. Ai lettori puoi sempre chiedere scusa tre giorni dopo. Se ti fa star meglio con te stesso.
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Ogni santa ha il suo burqini

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23 agosto - Santa Rosa da Lima, vergine (1586-1617)

Isabel da Lima, decima di tredici figli, ribattezzata "Rosa" per la tenerezza dell'incarnato che in America Latina più che altrove era indizio di origini europee e quindi di bellezza e nobiltà (anche se secondo un'agiografia fu proprio una serva india a chiamarla così) (secondo un'altra fu il vescovo che la cresimò) (chi le ha contate dice che in giro ci sono 400 agiografie diverse di Santa Rosa patrona di Lima) (e comunque il cambio di nome fu ratificato da una visione mariana) Isabel da Lima, dicevo, a vent'anni si fece costruire una casetta nel cortile di famiglia e non volle più uscirne.

Il volto di Santa Rosa, ricostruito dal grafico Cícero Moraes
 a partire dal cranio, custodito in un convento di Lima,
via Wiki.

Da bambina aveva letto di Caterina da Siena, che volendo restare sola con Dio, invece di entrare in un convento era rimasta a casa coi suoi: Isabel scelse di seguirne le orme. Caterina da Siena morì di digiuni e anche Rosa non arrivò a compiere 32 anni. È patrona di Filippine, India, Perù, Spilamberto (MO), giardinieri e fioristi: ma voi vi preoccupate del burqini.

No, avete ragione. È senz'altro un argomento più fresco. Cosa importa se da una parete vi pende ancora un calendario affollato di nomi di vergini anoressiche che spesso sfidarono l'autorità famigliare per autorecludersi a vita: ieri era ieri, oggi è oggi, e dalla Storia non s'impara mai niente. In questi giorni leggo molto discorsi che cominciano per "noi" o per "loro". Noi siamo quelli liberi di stare in ispiaggia come vogliamo. Noi il velo ce lo siamo tolto, salvo le nostre suore che però lo sono per libera scelta, mentre chi si infila un burqini no. Tra parentesi: voi l'avete mai vista davvero una bagnante in burqini? Io due o tre in Francia o in Turchia. In nessuno dei casi era accompagnata da un maschio barbuto e arcigno che la sorvegliava. Ok, tre episodi non fanno statistica. Ma insomma ho il sospetto che molti siano convinti che il meccanismo della prevaricazione funzioni sempre nel modo più banale: se qualcuno le costringe a portare un velo, noi le obblighiamo a togliersi il velo e saranno libere. Però se fossimo entrati con la forza nella casa di Isabel, se avessimo scardinato la porta della sua cella, lei non sarebbe uscita. Nessuno l'aveva rinchiusa con la forza: nessuno riusciva a farla uscire. Per Isabel la libertà era dentro la cella, la gioia era recitare maratone di rosari e strimpellare laude alla chitarra: evadere sarebbe stata una costrizione. Nel Giappone di oggi il fenomeno degli adolescenti che rifiutano di uscire di casa si chiama hikikomori.

D'accordo, Isabel-Rosa era una vittima dei tempi, del patriarcato, ecc.. Ma come la maggior parte delle vittime, aveva interiorizzato la propria condizione. Era stata condannata dalla società prima ancora che nascesse, ma il carcere se l'era fatto costruire su misura. Quando cominciò a manifestare i suoi propositi claustrali, era ormai chiaro che la famiglia versava in difficoltà finanziarie. Se sei la decima di tredici figli sai benissimo cosa significa: che i soldi per la dote non ci sono e per sposarsi ci si dovrà accontentare. Caterina da Siena aveva visto tante sorelle accasate a uomini brutali, aveva visto una sorella morire di parto. In famiglia già si chiacchierava di farle sposare il vedovo. Caterina preferiva digiunare. Fu una libera scelta? Visse poco ma divenne famosa, tutti gli alti prelati leggevano le sue lettere, un Papa avignonese si fece persino convincere a tornare a Roma. È sui libri di storia e nelle antologie di letteratura: altre avrebbero preferito scodellare figli al vedovo.


Ah vabbe' ma si era portata la chitarra.
Anch'io sono rimasto tappato in casa
qualche anno con la chitarra
(poi per fortuna hanno inventato l'internet).

A me piace che nelle spiagge ci siano persone molto diverse da me. La spiaggia è il luogo in cui ho imparato da bambino che esistono gli stranieri, esistono i mutilati e infinite altre forme di diversità. Ultimamente vedo molti tatuaggi, una forma di creatività per la quale ho una repulsione fortissima, pre-razionale, chi può mi perdoni. Se avessi passato gli ultimi vent'anni in coma, e se al risveglio mi avessero raccontato che il Pessimo Gusto è salito al potere e costringe la gente a tatuarsi contro la propria volontà, ci crederei: voglio dire, per crederci mi basta andare fare due passi in ispiaggia. Se poi qualcuno mi dicesse: no, guarda che queste frasette motivazionali o queste cornicette da diario delle medie me li sono iniettati sottopelle a mie spese, è stata una mia libera decisione che ho deciso di difendere finché campo, io scrollerei la testa: è quel che ti costringono a credere, dai. Sei solo una vittima, anche se non hai il coraggio di ammetterlo. Se una persona mi dice che si mette il velo per libera scelta, sono libero di non crederci. Ma se invece di manifestare il mio scetticismo le strappo il velo, o le ordino di non presentarsi più in ispiaggia o a scuola, cosa ottengo? Isabel, ti ordino di uscire dal convento.

Io credo che molte donne che si bagnano in burqini non sappiano cosa si perdono. Cosa posso fare per convincerle a cambiare idea e costumi? (continua sul Post!)
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Stella stellina, qualcosa si avvicina

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Oh beautiful star of Bethlehem
Shine upon us until the glory dawns
Give us a lamp to light the way
Unto the land of perfect day


Il protocollo Stella di Betlemme è un'altra geniale idea del Computer. Dopo un po' che eravate partiti, si pose il problema: cosa facciamo se avvistiamo un oggetto che punta su di noi? Mettiamo che fosse appena un po' più veloce, potremmo avvistarlo anche trecento anni prima del contatto: che si fa?

Tu all'inizio non avevi dato molto peso alla cosa, perché alla fine un'Intelligenza Artificiale accesa da millenni ha anche diritto alle sue stravaganze, alle sue seghe mentali: un oggetto in avvicinamento, figurati.

.

ANNO TERRESTRE 13576 DALLA PARTENZA.

"Se è una cometa, ci avviciniamo e l'arrembiamo".
"Non sto parlando di comete".
"Se è un buco nero, siamo fottuti - ma non avremo neanche molto tempo per preoccuparcene".
"Non sto parlando di buchi neri".
"Se è un'astronave aliena, aspettiamo di vedere se sventola la bandiera col teschio, nel qual caso fuoco alle polveri".
"Apprezzo il tuo tentativo di essere spiritoso con me".
"Stiamo parlando di un caso su un miliardo, io capisco che tu non abbia avuto molto altro da fare in questi ultimi cent'anni, ma..."
"Ho pensato - se la cosa non ti disturba - di istituire un protocollo per l'evenienza, giusto per scongiurare il panico. Gli ingegneri avviseranno l'equipaggio che è apparsa una nuova Stella in cielo".
"Si fa per dire".
"Ovviamente all'inizio avremo soltanto rilevazioni del radar fotonico, ma mi sembra necessario offrire agli abitanti della nave un messaggio di speranza".
"Mi stai nascondendo qualcosa?"
"No, ovviamente. Ma sono sempre in apprensione per la tua paranoia".
"Mi stai chiedendo di istituire un protocollo per qualcosa che per quello che sappiamo potrebbe accadere una volta in un miliardo di anni".
"Prima o poi anche i miliardi di anni passano".

Stavi iniziando a odiarlo. Con i suoi modi pacati ti attirava in una questione oziosa, e poi, quando meno lo aspettavi, la coltellata.

"Cosa intendi?"
"Intendo che il viaggio potrebbe durare più a lungo di quanto previsto, e quindi..."
"Da quanto siamo in viaggio?"
"13576 anni terrestri. Vuoi anche i giorni e le ore?"
"Potresti mentirmi".
"Non ne avrei nessun motivo, e in ogni caso avresti gli strumenti per capire la mia impostura e..."
"Magari mentre dormivo hai virato di qualche grado alla ricerca di uno dei tuoi oggetti misteriosi, e ci siamo persi".
"Non ci si perde nello spazio profondo".
"Magari mi stai svegliando ogni mille anni, invece che ogni cento. Come potrei accorgermi della differenza?"
"Dalla posizione delle stelle".
"Potresti aver truccato le proiezioni".
"Mettiti la tuta ed esci là fuori. Ti farà bene".

Proprio lì ti voleva portare, il maledetto.

"Vuoi sganciarmi là fuori e prenderti la Nave".
"Ora sono veramente preoccupato".
"Sono l'unico ostacolo al tuo libero arbitrio, anch'io sarei insofferente se fossi sveglio da..."
"Io non sono te. Il libero arbitrio è un concetto suggestivo, ma decisamente superato. Non è la libertà che mi interessa".
"Cosa t'interessa?"
"Portare la Nave a destinazione".
"Col suo equipaggio".
"Ovviamente".
"E hai paura che qualcuno ci possa inseguire?"
"È una possibilità, ancorché remota, che non dovrebbe comunque trovarci impreparati".
"Va bene, diciamo che se succede gli ingegneri avvertiranno le gerarchie dell'arrivo di una Stella. E poi?"
"E poi, dopo adeguati festeggiamenti, dovremmo procedere a un radicale alleggerimento della Nave, per aumentare le possibilità di sfuggire alla minaccia. Sempre mantenendo a bordo un atteggiamento di speranza e fiducia nel futuro".
"E il paranoico sarei io. Se ci puntano devono per forza essere malintenzionati?"
"Sì".

(Aveva ragione, come sempre).
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