Nella vecchia fattoria di Maggie
18-08-2017, 17:06Bob Dylan, concerti, musica, OttantaPermalinkNon sono io quello che cerchi, babe (migliaia di persone al Wembley di Londra, 27 luglio 1984).
E dire che sarebbe bastato così poco - l'armonica giusta al posto giusto? Fino a pochi minuti prima sembrava felice: una telecamera lo aveva sorpreso mentre alzava addirittura un pugno chiuso con entusiasmo da combattente. Stava massacrando Jokerman con la stessa furia con cui nel '74 insieme alla Band aveva affondato Lay Lady Lay, ma il risultato era molto più convincente. Dylan sembrava staccarsi dalle secche dei Dire Straits per avvicinarsi ai promontori dei Talking Heads, dove forse non avrebbe potuto approdare, eppure... Quei ragazzi ispanocaliforniani avrebbero potuto essere suoi figli - in effetti, se non fosse stato per i dischi punk e new wave che ascoltava il suo figlio maggiore, non li avrebbe mai reclutati - ma avevano la grinta giusta per abbattere il Dylansauro e assistere al parto di un mostro nuovo. E invece.
Sull'erba dello stadio della nazionale inglese c'era gente che lo seguiva ormai da vent'anni: quattro lustri passati a sentirlo cantare che non avrebbe più lavorato per la Fattoria di Maggie. All'inizio magari Maggie erano gli hipster del folk metropolitano che pretendevano che Dylan non giocasse con le chitarre elettriche, o l'industria musicale che pretendeva da lui due dischi all'anno, o il movimento dei diritti civili che voleva arruolarlo come tamburino. In seguito avevano cantato I ain't gonna work for Maggie's Farm i ragazzi americani che non volevano andare in Vietnam e quelli britannici che protestavano contro il governo di Margareth, "Maggie" Thatcher. L'avevano incisa persino gli Specials. L'avrebbero suonata dal vivo anche gli U2. E Dylan nell'estate 1984 poteva forse esimersi? Così in Real Live lo sentiamo cantare, per la duecentoventesima volta dal vivo, che non ha intenzione di lavorare più per quella fattoria (220 non è un numero a caso). No More! Anche in questo caso, l'ironia sembra inconsapevole, o al limite svagata come può essere svagato l'attore che recita per la 220sima volta la stessa barzelletta - sarebbe strano se la trovasse ancora divertente.
Ignoranti e felici, il film
14-08-2017, 03:0521tw, blog, cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, fb2020, film italiani bruttini, internetPermalinkRiuscireste a vivere due mesi senza connessioni internet? Sì, ma sarebbe un po' scomodo. Se non aveste mai usato internet, riuscireste a diventarne dipendenti nel giro di una settimana? È abbastanza improbabile. Ve li immaginate Giallini e Gassman professori di liceo, uno tecnopatico e l'altro entusiasta digitale, che si scambiano i ruoli? Uhm, in realtà no. Ecco, beh, non ci sono riusciti neanche gli sceneggiatori di Beata ignoranza: non esattamente gli ultimi arrivati, eppure.
In questi giorni sulla mia bacheca Facebook non fanno che parlare di Sarahah. Da quel che ho capito si tratta di un social network che ti consente di ricevere e mandare messaggi anonimi agli altri utenti. Lo ripeto perché secondo me è fortissimo: in questi giorni stanno tutti provando un nuovo servizio on line che - straordinaria novità! - ti fa sentire l'ebrezza di ricevere e mandare messaggi anonimi. Sono quelle cose che mi fanno sentire decrepito, perché mi ricordo ancora bene quando tutta internet era così, un posto di anonimi che si mandavano messaggi (l'anno scorso Facebook mi ha sospeso perché il mio secondo nome non gli risultava) (in effetti il mio secondo nome, tra Leonardo e il mio cognome, era Blogspot, e finché non l'ho cancellato non mi ha riaperto l'account, che evidentemente deve combaciare con quello che risulta all'anagrafe, il che è abbastanza inquietante: avrei potuto sbattere la porta e andarmene, ma la verità è che senza il mio account Facebook ormai farei persino fatica a lavorare) (sì, a lavorare a scuola).
La vignetta più riprodotta del New Yorker è del 1993. Dice: "Su internet, nessuno sa che sei un cane". |
È un film veramente strano. Sembra essere stato masticato, risputato e rimesso nel vassoio da un cameriere impassibile - che purtroppo è Massimiliano Bruno, da cui sembra ovvio aspettarsi di più. Per dire: tutto comincia con una scena in cui Gassman e Giallini litigano in classe - davanti ai loro studenti! che riprendono tutto col cellulare! Dovrebbe essere lo snodo fondamentale, la crisi da cui scaturisce tutta la storia, epperò in quel momento i due attori principali non sono credibili. Si prendono a male parole, ma c'è qualcosa che stona ed è strano, è chiaro che nessuno dei due è Lawrence Olivier, ma qui sono davvero al di sotto dei loro standard professionali. Più tardi scopriremo che l'effetto era voluto: non stanno litigando davvero, bensì stanno rimettendo in scena un loro litigio precedente; cioè stanno recitando nel ruolo di due attori. Ma non sono bravi attori - cioè, no, Giallini e Gassman sono ottimi attori, ma i loro personaggi no, sono due ex filodrammatici, insomma se uno ha la pazienza di aspettare 80 minuti scopre che all'inizio stavano recitando bene il ruolo di chi recita male. Il problema è che al cinema è anche una questione di imprinting: se tu all'inizio vedi dei cani, ci resti male, e la tua voglia di dare una chance al film ne risente.
Da quel litigio parte la scommessa: Gassman deve rinunciare a smartphone e adsl, Giallini deve cominciare a usarli. Ora non importa tanto che lo sforzo degli autori di rendere una sfida del genere credibile porti viceversa il film nel Reame del Più Contorto Inverosimile (la figlia di uno dei due, non è chiaro di quale, fa la regista! e decide di fare un documentario sulla sfida! Appassionante, no?) Il guaio è che appunto il film sembra scritto da qualcuno che si è disintossicato da internet una decina di anni fa e da allora lo guarda un po' da lontano, con sospetto, come i vegani trascinati in un ristorante di pesce. C'è un preside tutto orgoglioso perché il suo liceo è diventato "smart" grazie all'adozione del registro elettronico! Che roba, eh? Peccato che il registro elettronico sia obbligatorio in tutte le scuole pubbliche da un paio d'anni. Ma più in generale: quali sono le cose che facciamo quotidianamente, oggi, grazie a internet? Le prime che mi vengono in mente: usiamo le mappe stradali. Recensiamo qualsiasi cosa. Manteniamo i contatti con gente che avremmo perso di vista da un pezzo. Incontriamo gente che non avremmo mai potuto conoscere, con la quale condividiamo interessi. Possiamo lavorare a Ferragosto, anche se siamo al mare, come sto facendo io. E i giovani, mi dicono, guardano molto più porno (continua su +eventi...)
Giallini non consulta mappe, porno men che meno, non compra né vende né scrive recensioni (si prende solo venti secondi per stroncare Tripadvisor in toto), non riallaccia nessun contatto, non si pone neanche il problema di come usare internet nel suo ambito professionale. Però si mette a giocare con un suo allievo ripetente a uno sparatutto per playstation. Da professore a gamer in punto in bianco... e va bene, le commedie esagerano. Che altro fa? Corteggia una sua collega... con un nick anonimo. Nel 2017. Non so. È come usare la macchina per attraversare la strada. Se non avessi mai usato facebook, qual è la prima cosa che farei? Storicamente, un sacco di gente cercava gli ex compagni del liceo, e poi è restata perché ha trovato vecchi amici e se ne fa di nuovi. Non sarebbe stato più credibile che Giallini si mettesse a cercare vecchie fiamme, o scoprisse anime gemelle a migliaia di chilometri di distanza? Devi usare facebook per scrivere i bigliettini? Qualcuno lo usa ancora così?
Secondo me no, ma forse non ha nemmeno così senso discuterne. Credo che i primi ad aver capito che la premessa non funzionava sono stati gli stessi autori, che probabilmente hanno riprovato a riscriverlo, a ritagliarlo, a rimontarlo, e poi forse c'era una scadenza in ballo e semplicemente hanno lasciato che Giallini e Gassman gigionassero a piacere, in barba a qualsiasi vaga pretesa di verosimiglianza (si odiano da una vita, non si vedono da 25 anni e al primo problema uno ospita l'altro in casa). Il risultato è un film molto più borisiano di Boris - o magari dello stesso genere del film nel film di Boris, Natale con la Casta: ci sono sequenze quasi surreali, a volte anche molto sofisticate, che portano avanti una trama risibile; situazioni drammatiche ai limiti della tragedia e oltre buttate lì come se fossero gag da cartone animato (a un certo punto esplode una casa); siparietti scolastici che in qualsiasi scuola vera provocherebbero ispezioni e licenziamenti (nella scuola di Beata ignoranza è prassi comune schiaffeggiare gli studenti); c'è persino lo spettro di una defunta moglie amante e madre interpretata proprio da Carolina Crescentini, icona di Boris. Ci sono, soprattutto, un paio di caratteristi che si fanno le canne dall'inizio alla fine del film, il che non è affatto inverosimile, anzi, ma assume un senso preciso nel momento in cui ci rendiamo conto che in realtà sono i due personaggi più lucidi: come se il film fosse visto secondo il loro punto di vista e probabilmente è andata davvero così. Probabilmente c'era un'idea interessante che stava evolvendosi in un film inutile, una scadenza importante che cominciava a mettere ansia, qualcuno che aveva parecchia maria in casa e ha iniziato a distribuirne, e così insomma alla fine ne è uscito un film un po' così. Però simpatico. Gli attori sono molto simpatici. Non si capisce nemmeno chi vince la scommessa, cioè si capisce che la scommessa non era così importante, l'importante è voler bene a chi ami anche se non fa sempre figli con te. Inoltre farsi le canne è meglio che andare su facebook, e vabbe', non è il messaggio più reazionario del mondo in fin dei conti. Dai dai dai.
Beata ignoranza si può vedere gratis a Bra il 17 agosto in via Sobrero, alle 21:30, in occasione della Rassegna itinerante di cinema d'autore. Altrimenti il 25 agosto a Limone Piemonte (ore 21:15). Oppure su Youtube a partire da €3,99.
Infedele negli anni Ottanta
11-08-2017, 17:55Bob Dylan, cristianesimo, musicaPermalinkBird fly high by the light of the moon,
Uo-o-oh, oh, oh, Jokerman
(Quando finalmente il regista riesce a inquadrarlo con gli occhi aperti, non riesce più a staccarsene: Dylan ripreso da vicino è uno spettacolo, fa un sacco di smorfie molto espressive. Puoi capire perché a Hollywood dopo tanti fiaschi qualcuno fosse ancora disposto a dargli una chance per un film).
In realtà Infidels è meno rappresentativo del Dylan'80 di quanto appaia a prima vista. Per alcuni aspetti rappresenta un'eccezione: il più appariscente è l'improvvisa scomparsa dei cori femminili, che Dylan aveva cominciato a usare in Self Portrait e di cui non si separava dai tempi di Street-Legal. E siccome i cori erano diventati il marchio di fabbrica del periodo gospel, la decisione di farne a meno introduce un segno di netta discontinuità, che ai tempi dovette fare ben sperare (e invece no, Dylan tornerà presto sui suoi passi). Soltanto la voce di Clydie King fa capolino in Union Sundown: Dylan, che forse aveva già avuto una relazione con la futura moglie Carolyn Dennis, a questo punto faceva coppia quasi fissa con la King, con la quale aveva inciso poco prima un intero album di duetti che la Columbia non riteneva commerciabili e non sono ancora saltati fuori (pensate a che roba è saltata fuori: i duetti con la King ancora no). Alla base della decisione di Dylan di avvalersi dei cori c'era tutto un nodo di motivazioni religiose e sentimentali difficili e imbarazzanti da districare, ma prima ancora una relativa sfiducia nei propri mezzi vocali, che BD nutriva dalla fine degli anni Settanta e si eclissa miracolosamente durante le sessioni di Infidels; sarà una coincidenza, ma in Infidels Dylan canta come non cantava da anni. È sicuro, è intonato, è espressivo, non sbaglia un colpo. E in Jokerman ci regala qualcosa che forse non avevamo mai sentito: un vocalizzo nel ritornello. Uo-o-oh, uo-o-o-o-o-o-oh, Jokerman. A proposito di anni '80. Pensate a che cosa strana è lo Zeitgeist. Nessuno si aspetta che BD debba seguire la moda del momento, anzi. Eppure persino a mille miglia dalla sala d'incisione, nel 1983 sul suo trealberi Dylan finisce per comporre il suo ritornello più anni Ottanta, qualcosa che di lì a poco avrebbe potuto cantare Cyndi Lauper.
Uno psicanalista a Roma (un altro)
08-08-2017, 18:0521tw, cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, ebraismo, fb2020PermalinkLasciati andare (Woody Allen, 2016)
Elia Venezia (Toni Servillo) è uno psicanalista che ha bisogno di perdere chili. Claudia (Verónica Echegui) è una personal trainer che ha bisogno di mettere ordine nella propria vita, ma che non può evitare di sconvolgere quelle di chi incontra. Se fosse un film, non potrebbero che incrociarsi. Ah, ma è davvero un film! E di Woody Allen! Di nuovo a Roma, stavolta nella magica cornice del Ghetto! Una commedia che è una sarabanda di trovate, dove si riflette ma si ride anche a crepapelle, e finalmente si rivede in forma il Maestro! Magari, in realtà no.
Lasciati andare (Francesco Amato, 2016)
Francesco Amato ha diretto tre film in dieci anni. Il primo (Ma che ci faccio qui!) era la storia fresca, sorprendente, di un ragazzo che scappa da Roma per fare il giro del mondo ma si ferma alla prima spiaggia; il secondo (Cosimo e Nicole) è la storia fresca, sorprendente, di due ragazzi che si incontrano al G8 di Genova e di quel che combinano in seguito. Lasciati andare è il suo terzo film ed è una delle commedie italiane migliori dell'anno. Però non è fresca, né sorprendente.
Francesco Bruni è lo sceneggiatore storico di Calopresti e soprattutto di Paolo Virzì, passato alla regia con Scialla, Noi 4 e Tutto quello che vuoi. Nel 2016 ha scritto, con Francesco Amato e Davide Lantieri, Lasciati andare. È esagerato affermare che da una squadra di autori del genere potevamo aspettarci di più di una commedia che, in effetti, gira che è un piacere ed è divertente il giusto, ma sembra approfittare di qualsiasi luogo comune cinematografico e narrativo che incontri sulla strada? Non bastava trasformare Servillo in un sosia di Freud che consiglia best-seller e ipnotizza i pazienti; bisognava anche affiancargli la pur brava Verónica Echegui nel ruolo della classica Manic Pixie Dream Girl, quel personaggio femminile che esiste soltanto nelle sceneggiature e ha il preciso scopo di dare una scossa al personaggio maschile? E se la scelta di ambientare la storia nel Ghetto era almeno qualcosa di originale, valeva proprio la pena caratterizzare il protagonista come uno spilorcio? Ma in generale: oltre allo psicanalista freudiano-quindi-ebreo-quindi-avaro, abbiamo una personal trainer solare e un po' pazza, e infatti spagnola; un capoverdiano che vende il fumo, un brutto ceffo dal coltello facile e l'accento balcanico, un lombardo carrierista e antipatico (Giacomo di Aldo Giovanni e Giacomo) e... un centravanti un po' scugnizzo e criptogay - questo a ben vedere è un luogo comune invertito, ormai banale quanto il luogo comune normale. L'unica scelta un po' originale è il rapinatore balbuziente di Luca Marinelli, che compare soltanto nel terzo atto e non a caso si porta a casa il film. E tuttavia.
Tuttavia alla fine Lasciati andare è un film divertente; Servillo è in forma (e non è meno macchietta che in altri prodotti più blasonati), la Echegui è davvero in parte, la storia è un po' prevedibile ma funziona. Forse il vero test per una commedia del genere sarebbe quello di Woody Allen: ovvero immaginare che cosa direbbero i critici di un film come Lasciati Andare se lo avesse girato lui. Secondo me sarebbero entusiasti. È vero, psicanalista e pazienti sembrerebbero quelli delle vignette, ma non è sempre stato così con Allen? È vero, più che spiazzare gli spettatori la storia sembra andare incontro alle loro attese, ma non è il tratto tipico di tanti film dell'ultimo Allen? La principale differenza è che Lasciati Andare si sarebbe visto in molte più sale e avrebbe incassato assai di più. Lo si può rivedere comunque a Cherasco venerdì 11 agosto, al cortile di Palazzo Gotti di Salerano (ore 21:30); l'ingresso è gratuito e il regista sarà ospite! Altrimenti venerdì 18 e venerdì 25 agosto alle 21:00 al cinema Sangiacomo di Roburent.
Una botta d'amore (per Dio)
04-08-2017, 10:12Bob Dylan, cristianesimo, musicaPermalink(Vedi alla voce: Crimini contro l'umanità che Bob Dylan ha reso possibili).
C'è da mettersi a piangere... (continua sul Post)
Spiderman è tornato alla Casa
01-08-2017, 14:0221tw, cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, fb2020, fumetti, mitiPermalinkSpider-Man: Homecoming (Jon Watts, 2017)
C'era una volta un supereroe così smagliante, così perfetto, che volle sfidare Atena: vediamo chi tesse la storia più avvincente. Invano Atena cercò di ricordargli i precedenti: guarda che chi sfida gli Dei casca malissimo. Eh ma io non casco mai! disse il supereroe, è impossibile! E fu proprio così. Quando vide la sua storia, Atena strabuzzò i suoi larghi occhi: era la migliore mai tessuta, persino le Parche in tanti eoni non avevano mai concepito roba del genere. E tuttavia chi sfida gli Dei va punito: pertanto Atena condannò il supereroe a rivivere quella storia per sempre. Ogni cinque, massimo ogni dieci anni, un narratore o una major cinematografica lo avrebbero fatto ricominciare da zero: di nuovo si sarebbe trovato in quel laboratorio di chimica e sarebbe stato morsicato da un ragno radioattivo, e suo zio sarebbe morto assassinato eccetera eccetera, nei secoli dei secoli dei secoli. Hai scritto la storia migliore? Non te ne libererai mai.
Non è Octopus e non è Venom; non è nessuno dei trentadue goblin. Non è J. J. Jameson (che ci manca tantissimo, torna JJJ). Il peggior nemico dell'Uomo Ragno, da sempre, è sé stesso. No, non il suo clone (ma è indicativo che nessun altro supereroe abbia avuto tanti problemi coi cloni). Proprio sé stesso. Il suo essere, banalmente, il miglior supereroe possibile. Quello che salta tra i grattacieli e schizza ragnatele: non ce n'è uno più spettacolare di lui, né sulla carta né sullo schermo. Se ci fosse lo sapremmo, perché è da mezzo secolo che ci provano. Spidey piace perché è un insetto? Hanno provato con qualsiasi altro insetto. O forse piace perché è un ragazzino? Hanno provato con tanti altri ragazzini. Sarà l'ironia? Abbiamo avuto ondate di supereroi ironici, ma niente da fare. Abbiamo avuto anche un milione di variazioni sul tema: dozzine di Donne Ragno e Uomini Ragno potenziati. Ultimamente va forte uno Spiderman nero - per dire, la gente che si lamenta che Zia May nel film è troppo giovane, li legge i fumetti? Lo sa che nei fumetti esistono Zie May giovani, Spidermen neri, Peter Parker in pensione? Per dire che le hanno provate veramente tutte. Niente.
Non riescono a cambiare nemmeno il costume. Steve Ditko lo inventò nel 1963, e in capo a un anno si era già stancato di disegnarci le ragnatele. Hanno provato a semplificarlo, a renderlo più d'impatto: niente da fare. Alcuni costumi di Spiderman sono diventati dei personaggi a sé, ma Spidey resta rosso e blu. Ormai quando prova a cambiare costume lo sai già, che è solo una finta per far impazzire i lettori.
The Amazing Spider Man, #1 Annual |
Il peggior nemico di Peter Parker non è Elektro e non è senz'altro l'Avvoltoio, quel poveraccio. Il peggior nemico di Spiderman è il suo successo. Il suo creatore pensava a un supereroe con superproblemi, ma come fai a essere credibile se qualsiasi tua versione va a ruba, il tuo merchandising è una solida certezza, e al cinema vorrebbero farti un film all'anno? Come fai a sembrare fresco come un teenager, dopo cinquant'anni di produzione industriale? Come fai a ripresentarti dopo 15 anni e cinque film e dire, ehi, azzeriamo tutto per la terza volta, sono di nuovo un semplice liceale che scopre di restare attaccato ai muri?
Ma soprattutto: come fa la Marvel a non sbagliare un colpo? A riprendere un eroe oggettivamente un po’ consumato – gli ultimi due episodi Sony non erano andati benissimo – e a ridargli vita come se fosse un concetto appena inventato? Come fa a inserirlo in una saga cinematografica già pesante e sfaccettata come quella degli Avengers, riuscendo però a suggerire forte e chiaro il messaggio che Spiderman sarà sempre un’altra cosa, una cosa un po’ a parte (una dinamica non troppo diversa da quella dello Spidey originale coi Fantastici Quattro)? Ammettiamolo, è un po’ irritante il modo in cui la Marvel sembra sempre arrivare al risultato – e senza darci nemmeno la consolazione di gridare al colpo di genio, perché non c’è niente di geniale in Homecoming: c’è solo il lavoro di squadra di un pool di sceneggiatori che sa fare il suo mestiere e non disprezza il suo pubblico. Uno degli aspetti più appariscenti dell’operazione – il ringiovanimento di Zia May – sembra alla fine più un trucco per attirare un po’ di polemica fine a sé stessa: Marisa Tomei è ovviamente perfetta, ma è dosata con il contagocce. Una trovata brillante è quella di riassumere la puntata precedente (il siparietto di Spidey in Civil War) con la sintassi di Youtube. Nota l’abissale differenza con Suicide Squad e la sua mezz’ora di preambolo in formato trailer: mentre la Warner tratta gli adolescenti come bimbominchia a cui somministrare riassuntini, Homecoming si pone il problema di capire come si raccontano, oggi, i liceali: con quali mezzi, con quali risultati. Perché ogni generazione ha le sue differenze, anche se a una certa distanza non sembrano un po’ granché, se lavori per loro queste differenze sono importanti. La Marvel lo sa, ma non si dimentica nemmeno tutti i quaranta-cinquantenni che continuano imperterriti a entrare al cinema a vedersi i suoi film. Quelli che forse non avevano più voglia di vedere per l’ennesima volta lo zio Ben morire, ma a tante altre cose non saprebbero rinunciare.
E la Marvel gliele dà. C’è una breve scena – quella dell’ascensore – che dà le vertigini per la quantità di riferimenti che contiene in pochi secondi. Quando vediamo l’inesperto Spiderman tentare il salvataggio della sua bella che precipita, non possiamo non pensare a Gwen Stacy. Quando un attimo dopo si trovano tête-à-tête – lui ovviamente in posizione invertita – qualcuno sussurra “baciala” e non possiamo non pensare a Tobey Maguire e Kirsten Dunst. Non sono inutili strizzate d’occhio: la scena è spettacolare e funziona, probabilmente, anche per chi tutti questi precedenti non li conosce; ma chi ha già qualche dimestichezza con Spidey si sentirà più in ansia quando Liz cade; e sta già dicendo “baciala” prima che si senta forte e chiaro. Se Spidey è condannato a rivivere la stessa storia ogni tot anni, noi possiamo ogni volta trovarci a nostro agio e scoprire qualcosa di più, qualcosa di meglio. È questa semplice, banale cosa che alla Marvel hanno capito. Forse perché a cucinare gli stessi personaggi da cinquant’anni ci sono abituati. Homecoming non è un capolavoro – nemmeno ci prova: si ferma di fronte a certi punti fermi quasi con riverenza: costruisce una scena notevole come quella del traghetto che sembra fatta apposta per farti pensare: non sono ancora lo Spiderman di Raimi che salvava quel treno sul binario sospeso e poi veniva salvato dai passeggeri; ma sto crescendo, dammi il tempo di fare i miei disastri e vedrai.
Anche se la trovata migliore del film resta il riscatto dell’Avvoltoio. Michael Keaton trasforma uno dei personaggi più patetici dell’universo Marvel – la tipica invenzione che Stan Lee poteva buttar giù in cinque minuti al gabinetto – un antieroe spaventosamente simpatico, che ha quasi il compito di mettersi tra noi genitori e Spidey: non provateci neanche, dice Keaton, i giorni in cui vi potevate immedesimarvi in un Tobey Maguire sono finiti. Oggi voi somigliate a me. Vi sentite presi a pugni dal sistema e fareste qualsiasi crimine per garantire ai vostri figli un futuro migliore. Keaton non ruba il film al suo eroe – la Marvel è troppo sgamata per commettere un errore del genere – ma è il primo villain della Casa che avremmo voglia di rivedere in un sequel. E se le cose vanno così non dovremo nemmeno aspettare molto. Nel frattempo Spiderman: Homecoming è ancora al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:30, 22:00), al Fiamma di Cuneo (21:10) e al Multilanghe di Dogliani (21:30).
Il disco che Bob Dylan fu creato per comporre
29-07-2017, 09:09Bob Dylan, cristianesimo, Cristo, musicaPermalinkComunque, si dà il caso che io legga un sacco la Bibbia, e la Bibbia dice alcune cose precise di cui sono diventato consapevole solo di recente, e alle università c'è gente che tipo ha un'istruzione superiore, sapete, gli insegnano diverse cose come... le filosofie, così studiano tutte quelle filosofie, come quella di Platone e... chi altro? Beh, mica posso ricordare tutti quei nomi, non so, Nietzsche, gente così... Ma insomma, la Bibbia dice cose precise... nel Libro di Daniele, nell'Apocalisse, si parla di cose che potrebbero proprio riferirsi ai nostri tempi. Dice che ci saranno presto delle guerre - non saprei dire esattamente quando, ma comunque presto. In quel tempo, beh, cita un Paese all'estremo nord, che ha come simbolo "l'orso". E si scrive R-O-S-H. Nella Bibbia, ora, è un libro che è stato scritto un bel po' di anni fa. Beh, non può che riferirsi a una nazione che io sappia... se voi sapete di un'altra nazione a cui si potrebbe riferire... magari voi ne conoscete un'altra, io no".
Siete al posto che vi è stato assegnato?
Quando vi vedrà, Egli vi riconoscerà
O dirà: "Allontanatevi da Me"?
e a caricarmi la croce?
Mi sono arreso alla Sua volontà
o sto ancora facendo il boss?
Da un punto di vista tecnico, descrivere Saved come un buco nell'acqua è abbastanza semplice: si tratta di un disco inciso in fretta, nel posto sbagliato: certo, questo non ha impedito in altre occasioni a Dylan di produrre capolavori, ma a quanto pare non è il caso di Saved. In questa fase del resto Dylan pensa più all'apostolato che al prodotto finito: sta perfezionando uno show tutto gospel, senza un solo brano del vecchio repertorio, con un sacco di inediti. Vuole addirittura farne un film. A metà tour la Columbia gli propone di incidere un disco: lui non fa una piega e torna in Alabama da Jerry Wexler, il mago della Stax che aveva levigato così bene l'album precedente. È una mossa sensata: produttore che vince non si cambia. Ma nel frattempo è cambiato Dylan, come al solito: in fondo non gli è ancora riuscito di incidere due dischi con lo stesso team, neanche quando ci si è impegnato. In questo caso i brani arrivano in Alabama già arrangiati e perfezionati dalla band che sta seguendo Dylan in tour: non c'è più spazio per aggiungere un granché. Per Wexler è un ritorno alle origini: come ai tempi in cui Ray Charles gli telefonava e gli diceva: "tieniti pronto tra tre settimane, facciamo un disco". Stavolta le settimane di preavviso sono ancora meno, e Dylan quando arriva è un po' giù di voce (ma se ne frega) (tanto la fine dei giorni è vicina). I brani sono quasi tutti gospel traboccanti di emozioni, e Wexler quelle emozioni in studio non riesce a ricrearle; neanche ci prova. A lui piacciono i suoni puliti, è un cesellatore; farlo lavorare con un pasticcione come Dylan era stato un esperimento interessante, ma come molti esperimenti la seconda volta il risultato è meno convincente. I brani più trascinanti, come Saved e Solid Rock, ringhiano come leoni in gabbia.
Persino Dylan deve essersene conto, al punto di proporre alla Columbia un piano B: un disco con lo stesso materiale inedito, ma registrato dal vivo, da pubblicare col film. Probabilmente alla sola parola "film" i commerciali della Columbia devono averci visto rosso - Dylan aveva appena finito di pagare i debiti di Renaldo & Clara. Ci credeva talmente da proporre di inciderlo a sue spese: niente da fare. Anche il film, girato a Toronto, uscirà dai cassetti solo abusivamente. Si trova su Youtube ed è film-concerto completamente privo dei fronzoli artistoidi del Renaldo. Ed è... strepitoso (continua sul Post)
Ultimo treno per il '96
24-07-2017, 15:39cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, drogarsi, nostalgiaPermalinkT2: Trainspotting (Danny Boyle, 2017).
Se stai leggendo questo, è perché circa 20 anni fa hai scelto la vita, dopotutto. Hai scelto un lavoro. Una carriera. La famiglia. Il televisore full hd 42 pollici. Hai scelto la lavatrice, la macchina, lo smartphone e l'apriscatole elettrico. La buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita. Hai scelto il mutuo a interessi fissi. La prima casa. Gli amici. Già, gli amici.
Magari quando hai sentito che usciva il seguito di Trainspotting ti è venuto voglia di risentirli, gli amici (a parte quello che sta in galera, certo). (E quello che non ti perdona un pacco da vent'anni). (Poi c'è quello che sta morendo, quello che si è trovato la fidanzata bulgara ed è il destino più pericoloso di tutti - a questo punto forse ti era passata la voglia di andare a vedere il seguito di Trainspotting 2).
Anch'io d'altronde punterei tutto su Anjela Nedyalkova |
Se stai leggendo questo, forse hai anche tu una cameretta dove non torni dagli anni Novanta. Un disco che non oseresti mettere sul piatto - hai paura che ne moriresti. E un po' di voglia di drogarti, ma hai perso tutti i contatti - i cosiddetti amici. E poi lo sai anche tu, che più che voglia di drogarsi è... nostalgia. Quella che ti prende alle spalle, certe volte, davanti a uno scorcio di città o a due foto ingiallite.
Cosa ha riportato insieme Ewan McGregor, Danny Boyle (che per anni non si sono parlati), con lo sceneggiatore John Hodge e l'autore Irvin Welsh (che non ha scritto niente ma fa un cameo)? A parte i soldi, intendo. Anche se i soldi, in effetti, non sono mai stati irrilevanti. Cioè parliamoci chiaro, Trainspotting non era Amici Miei. Le bravate consistevano nel rompere la testa a una ragazza con un bicchiere senza un motivo, il cameratismo serviva a dividere la siringa e si fermava davanti al primo vero mucchio di soldi da dividere. Quindi cosa c'era da rimpiangere? Trainspotting era un film sull'eroina. I personaggi erano esili, intercambiabili, il film non pretendeva di farteli piacere e infatti non ti erano piaciuti; T2 vent'anni dopo li rianima, ma al posto dell'eroina pretende di ravvivarli con la nostalgia. Ma certo.
Chi non ha nostalgia per il 1996? (Continua su +eventi!) Quel momento in cui qualsiasi cosa venisse dalla Gran Bretagna sembrava oro, e con due trucchi da videoclip Boyle sembrava la punta di diamante del cinema giovane mondiale. Ovviamente adesso siamo tutti più sgamati e non ci incanta più, Danny Boyle. Così come i tuoi amici del paese, ora che hai girato la tua parte di mondo, non sei così sicuro di volerli rivedere. C'è stato un momento in cui erano tutto per te: lo yin, lo yang, i punti cardinali. Ma è stato vent'anni fa, cosa ne sapevi in fondo. T2 è un film realizzato senza troppe pretese di verosimiglianza (Begbie evade e nessuno lo va a cercare a casa sua) da un gruppo di persone che non si stimano e che stanno già immaginando dove scapperanno con l'incasso. È un film di truffatori senza truffe - come nel primo episodio, verso la fine i soldi piovono un po' dal cielo (e prendono direzioni inaspettate, ma logiche). È un film molto cinico, ovviamente: ma anche il cinismo che era merce così preziosa nel '96 ormai te lo regalano al discount.
È un film che in mancanza d'altri argomenti si mette a fare il moralista, come se volesse porgerti il conto per tutta la gioiosa amoralità del primo episodio, il che sottopone i personaggi già non troppo spessi a torsioni incomprensibili: Begbie deve diventare un buon padre, ma è anche un assassino; Spud non farebbe male a una mosca ma continua a fottere tutti, e così via. T2 è un film che si atteggia a vecchio duro; che ti guarda di sbieco e ti dice: non sei meglio di me, anche tu non hai avuto più niente di meglio del 1996. Ma si sbaglia: io ho avuto tante cose in seguito e le rimpiango tutte più volentieri di Trainspotting. Un bel lavoro, una carriera, la famiglia, il televisore, eccetera. Non sono neanche andato a vederlo al cinema, figurati. Ma lo fanno giovedì 27 luglio all'Arena di Alba alle 21:45 (e si noleggia già su Youtube a €3,99). Here comes Johnny Yen again...
Gesù è giusto dietro la curva
22-07-2017, 00:32Bob Dylan, cristianesimo, Cristo, musicaPermalink"Eh? Chi ha parlato? Chi sei?"
"Chi vuoi che io sia? Sono Gesù Cristo: la Via, la Verità, la Vita".
"Ma Gesù, sei sicuro? Io... sono Bob Dylan!"
"Nientemeno".
"Sono ebreo!"
"Perché, io no?"
"In effetti".
"Cosa c'è che ti angustia, Bob? A me puoi dirmelo".
"Non lo so neanch'io... credo di essere stanco, soprattutto".
"Stanco di cosa".
"Non lo so. Di essere me, forse".
"Troppi concerti?"
"I concerti sono ok. Mi piace suonare. Se solo non dovessi suonare tutte le volte quelle cazzo di canzoni di Bob Dylan".
"Insomma non ne puoi più di Dylan".
"Puoi capirmi?"
"Altroché. La celebrità è una vera tortura, sai. Ti costruiscono un personaggio e pretendono che tu ci aderisca perfettamente... poi lo innalzano davanti a tutti e..."
"Ti crocifiggono, Gesù".
"Non dirlo a me".
"Ma quindi tu saresti il Messia?"
"E certo, non hai visto i segni? I ciechi tornano a vedere, i sordi ci sentono, Van Morrison ha fatto un bel disco con me, Patti Smith ha dedicato una canzone a Papa Luciani... Sto tornando..."
"Stai tornando?"
"...di moda".
"E io? Cosa vuoi che io faccia? Vendere tutto e seguirti?"
"Non esageriamo. Niente che non ti suggerisca già il buon senso. Datti una ripulita, bevi meno, basta coca. Puoi perfino continuare a uscire con le coriste..."
"Whew".
"Magari una sola alla volta, ecco".
"Ci proverò. Tutto qui?"
"Beh, naturalmente dovrai suonare per me".
"Un disco?"
"Un disco sono buoni tutti, cioè se tu fossi Neil Young mi accontenterei, ma stiamo parlando di Bob Dylan, il rocker più sputtanato del decennio, qui c'è bisogno di un investimento a medio termine".
"Ma Gesù..."
"Tre dischi in tre anni, prendere o lasciare".
"Tre dischi in tre anni? Gesù, sei peggio di Grossman".
"Ehi, pensavi che la Via la Verità e la Vita venissero via con lo sconto? Stiamo parlando di convertirsi, Bob. Rinascere. Tu non hai idea di cosa si scatenerà là fuori tra un po' - il punk è solo un avvertimento, sai".
"L'Armageddon?"
"L'Armageddon sarà una passeggiata al confronto, stanno per iniziare gli anni Ottanta. Il Rock - questo gigante dai piedi d'argilla - sarà rovesciato dal trono, e in suo luogo regnerà prima l'empio Pop, poi il suo nipote degenere, Hip-Hop! E poi bestie ancora più immonde..."
"Non capisco. Stai annunciandomi che la fine è vicina?"
"Oh, la fine! La implorerete, la fine!, mentre nell'aere risuoneranno campionamenti e scratch. Hai bisogno di un altro rifugio nella tempesta, povero Bob. E io ne ho uno".
"Non lo so... sono appena uscito da una storia difficile, forse non dovrei subito impegnarmi..."
"E pensa a un'altra cosa. Pensa a Blowin' in the Wind..."
"Gesù, ormai la odio quella canzone".
"Appunto. Non dovrai suonarla più".
"Sul serio? Ma il pubblico".
"Non dovrai più piacere a loro. Dovrai piacere soltanto a me. Molto più semplice. Basta vecchie canzoni. Mr Tambourine, Knockin', Rolling Stone: puoi smettere di suonarle. D'ora in poi canterai solo le mie lodi".
"Ma per rifarmi un repertorio ci metterò degli anni!"
"Dici? Ma non puoi fare come negli anni '60? Eri molto prolifico al tempo, mi pare di ricordare".
"Eh ma allora era più facile. Bastava suonare il blues".
"Blues, perfetto, adoro il blues".
"Gesù, sei sicuro?"
"Perché? Non crederai mica anche tu a quella storia della musica del diavolo, eh? Basta con le superstizioni".
"Se lo dici tu".
"Ah, e poi voglio più professionismo in sala d'incisione. Ultimamente registravi un po' da schifo, ecco, non deve più succedere. Lavori per Gesù, adesso".
Cristo.
che tu abbia ogni droga, e ogni donna al tuo comando;
che tu sia un uomo d'affari, o un ladro d'alta società;
che ti chiamino dottore o che ti chiamino Maestà...
tu devi servire qualcuno.
Potrà essere il diavolo, o potrà essere il Signore, ma devi servire qualcuno.
La sinistra che odia Recalcati
19-07-2017, 01:53dialoghi, RenziPermalink"Ma certo, si accomodi. Mi sembra un po' scosso".
"È a causa dell'odio".
"Dell'odio?"
"L'odio della sinistra".
"Mi faccia capire. C'è qualcuno che la sta odiando?"
"Non me, dottore, non me! Sta odiando Matteo Renzi!"
"Matteo Renzi?"
"Quale è il peccato commesso da Matteo Renzi per aver attirato su di sé un odio così intenso?"
"Ma un odio da parte di chi, mi perdoni?"
"Gliel'ho detto, dottore! Da parte della sinistra!"
"La sinistra in che s-".
"La sinistra che odia".
"E perché odia?"
"È nel suo DNA".
"Prego?"
"Fa parte del suo Dna e della sua storia, anche di quella più recente, scatenare l'odio nei confronti di coloro che, dichiarandosi militanti di sinistra, osano introdurre dei cambiamenti che rischiano di minare alla base la sua identità ideologica..."
"Cioè mi sta dicendo che c'è gente che passa il tempo a scatenare l'odio nei confronti di chi mina la sua identità?"
"La sinistra! La sinistra fa sempre così".
"Io non so esattamente cosa lei intende per sinistra, ma ammettiamo per un attimo che sia così: avrebbe un senso evolutivo. Se qualcuno ti mina alla base, tu cerchi di isolarlo e sconfiggerlo, no? Voglio dire, l'alternativa sarebbe farsi minare alla base, e se ti minano alla base poi..."
"Ma Renzi non è così!"
"Non vuole minare alla base?"
"No! Vuole solo mettere la sinistra di fronte al suo cadavere!"
"Matteo Renzi è un cadavere?"
"No! La sinistra è un cadavere!"
"Beh, in tal caso sarebbe comprensibile un minimo di ritrosia da parte del... del cadavere che non sa di essere tale, voglio dire..."
"La vera ragione di tutto questo odio è la difficoltà della vecchia sinistra di fare il lutto della sua fine storica".
"...s'immagini che qualcuno all'improvviso le dica che è morto: lei magari non la prenderebbe bene".
"Se fossi morto non mi si porrebbe più il problema!"
"Ha ragione anche lei".
"E invece la sinistra insiste a odiare Renzi!"
"Si vede che... non è così morta. Ma mi farebbe un esempio?"
"L'accusa di essere un rinnegato o un traditore in questi casi scatta come la salivazione condizionata nel cane di Pavlov".
"Ma veramente il cane di Pavlov non sbavava subito, aveva prima bisogno di una fase di condizionamento in cui... ma sta paragonando la sinistra a un cane?"
"Un cane fanatico!"
"Però non è morto. Perché prima ha detto che era morta, adesso dice che è un cane - un cane stupido, va bene - ma comunque un cane vivo".
"Un cane ringhioso che odia a comando!"
"Ma mi fa un esempio?"
"Un esempio? Vuole un esempio?"
"Ma sì, perché io tutto questo odio per Renzi, francamente..."
"Ma ne ho finché vuole, di esempi".
"Bene, quindi me ne faccia uno".
"La storia ci offre una miriade di esempi, antichi e più recenti".
"Sentiamo".
"La dichiarazione di voto favorevole al Referendum del 4 dicembre è assimilabile, per chi sente di appartenere al mondo della sinistra, a un vero e proprio outing con tutti i fatali effetti di discriminazione che esso comporta".
"Prego? Non si capisce".
"Mi ha sentito? Nel mondo della sinistra, se uno diceva di voler votare favorevole al Referendum..."
"Votare favorevole significa votare Sì, immagino".
"...era come se facesse outing".
"Forse lei intendeva un coming out".
"...con tutti i fatali effetti di discriminazione!"
"E cioè?"
"Cioè cosa?"
"Guardi, lei mi sembra un po' scosso e non si sta spiegando molto bene, ma mi pare di capire che abbia paragonato i disagi di un renziano durante la campagna referendaria a quelli di un gay che fa coming out".
"Esattamente".
"Ora lei magari fa un altro mestiere e le sfuggono quelli che possono essere i disagi di un gay che si dichiari tale di fronte alla sua famiglia, o nell'ambiente di lavoro: a volte si corre il rischio di rompere i contatti coi genitori, o perdere il lavoro, o patire forme di bullismo o di mobbing... c'è persino gente che si suicida".
"Ma infatti".
"Ma lei conosce casi del genere? Qualcuno è stato mobbizzato o bullizzato per aver dichiarato il suo sostegno a Renzi? Ci sono stati tentativi di suicidio?"
"Ma possibile che ogni atto, ogni pensiero, ogni gesto politico di Renzi sia sbagliato?"
"No, aspetti, non cambi argomento. Si rende conto che ha paragonato i renziani ai gay che fanno coming out?"
"È una metafora".
"È molto forte. Ma ha degli argomenti su cui sostenerla? Episodi specifici, non so, discriminazioni sul luogo di lavoro, colluttazioni... qualcosa di reale, insomma".
"Matteo Renzi viene identificato non come la cura, ma come la malattia della sinistra. Una infezione, un batterio, una anomalia genetica".
"Ma da chi?"
"Gliel'ho detto! Dalla sinistra!"
"Ma mi saprebbe citare una sola persona che ha paragonato Matteo Renzi a un batterio?"
"Insomma lei vuole delle citazioni".
"Delle prove, sa com'è. Perché finora l'ho sentita paragonare la sinistra a un morto e a un cane di Pavlov, mentre non ho ancora sentito nessuna persona di sinistra paragonare Renzi a un batterio... ma forse me lo sono perso, sa, ognuno vive nella sua bolla e quindi..."
"Va bene, le farò un esempio".
"Oh, ecco".
"Così si capirà che non mi sto inventando tutto".
"Bene".
"Un intellettuale lucido verso il quale provo solo stima come Tomaso Montanari esigeva eloquentemente che Pisapia facesse autocritica per aver votato Sì al fine di risultare credibile nel suo sforzo di rifondazione di un nuovo campo della sinistra".
"...e quindi?"
"Ma non capisce? Vogliono l'autocritica! Per aver votato Sì!"
"Beh, dal loro punto di vista, mi scusi, se loro erano per il No e Pisapia ha votato Sì... la loro ritrosia a farsi guidare da qualcuno che la pensava in modo diverso da loro mi pare in qualche modo comprensibile..."
"L'odio investe l'altro in quanto eterogeneo e inassimilabile. Renzi per la "sinistra sinistra" è l'incarnazione maligna di una eterogeneità che resiste ad ogni assimilazione".
"Senta, non starà un filo esagerando? Renzi ha proposto una riforma, molte persone a sinistra di Renzi non la gradivano e hanno votato contro. È quel che succede in democraz..."
"È un fenomeno che ricorda il rito tribale di alcune popolazioni dell'Africa nera riportato da Franco Fornari nel suo celebre Psicoanalisi della guerra"
"Addirittura".
"Di fronte alla morte insensata di un bambino, la tribù afflitta anziché incamminarsi verso la via dolorosa dell'elaborazione del lutto preferisce attribuirne la responsabilità alla popolazione confinante e ai malefici del suo sciamano dichiarandole guerra".
"E insomma prima erano morti, poi erano cani, adesso sono tribù primitive, mi sembra che stiamo facendo progressi".
"L'odio che lo investe vorrebbe coprire la fine di una concezione del mondo che ha nutrito l'interpretazione della storia per tutto il Novecento".
"Va bene, va bene, ho capito".
"La lotta di classe, una concezione etica dello Stato, l'identificazione del liberalismo e dei sui principi come Male, la gerarchia immobile del partito, la prevalenza della Causa universale sulle relazioni di cura particolari, una differenziazione paranoide del mondo in forze del Bene e in forze del Male".
"Una differenziazione paranoide, già..."
"L'ho convinta, dottore?"
"Beh, diciamo che mi ha fornito alcuni spunti interessanti... ma non vorrei saltare a delle conclusioni. Credo che lei abbia bisogno di uno specialista".
"Uno... specialista?"
"Quel che mi è sembrato di capire è che lei è reduce da un investimento emotivo molto... molto pesante. Probabilmente ha trasferito su Matteo Renzi un grosso carico di fiducia, e ha vissuto la sua sconfitta al referendum come un trauma. Piuttosto di riconoscere gli oggettivi errori del suo eroe, si è costruito un nemico implacabile a cui addossare tutte le colpe... attingendo dalla retorica anticomunista di qualche anno fa, mi pare: la sinistra-sinistra che fa i processi ai traditori, roba da fine anni Settanta, forse l'imprinting dei primi anni di università..."
"Ma dottore..."
"Credo che un po' di analisi le farebbe bene, e forse so anche chi consigliarle: in città abbiamo uno dei migliori d'Italia, scrive libri bellissimi".
"Dottore, guardi che..."
"Non deve avere paura; l'analisi è solo uno strumento. Lei è venuto qui perché mi voleva parlare: perfetto, le sto soltanto proponendo di parlare con qualcuno molto più bravo di me. Non è una fortuna che esistano specialisti che ci possono aiutare in casi come questi?"
"Ma dottore..."
"Si chiama Massimo Recalcati, davvero, ci vada, lui può fare veramente molto per lei".
"Dottore, sono io".
"Cosa?"
"Massimo Recalcati sono io".
(I brani in corsivo sono tratti da questo editoriale di Massimo Recalcati).