44. Quando fui donna o prete di campagna
29-06-2022, 02:35Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è La Gara, oggi con percussioni pianistiche, nomadi felici, progressioni Pachelbel e l'unica apparizione a Sanremo].
1978: Sud Afternoon (#218)
Sud Afternoon è il brano più enigmatico della fase minimale di Battiato. La stessa etichetta di 'minimale' comincia a stare stretta a quello che Battiato sta facendo: se Za e L'Egitto prima delle sabbie sono effettivamente costruite sulla reiterazione degli stessi accordi (Za) o delle stesse scale (L'Egitto), in Sud Afternoon di accordi ce n'è tantissimi, addirittura suonati su due pianoforti diversi da Antonio Ballista e Bruno Canino. Insieme i due riscoprono la tecnica medievale dell'Hoquetus, che prevede che gli strumenti suonino senza sovrapporsi: forse a Battiato stavolta interessa lo spazio che viene a crearsi tra i due accordi, come quello creato dai sussulti di una campana. È un'ipotesi. Carlo Boccadoro racconta nel suo libro la difficoltà di recuperare, trent'anni dopo, la partitura di quello che all'orecchio profano può sembrare una libera improvvisazione: tutt'altro. Dalla serie di fogli "scritti con grafia di chiarezza assiro-babilonese, in cui per di più molte sezioni erano segnate con triangoli e segni di vario tipo" che lo stesso Battiato avrebbe messo un po' di tempo a decifrare, emergeva una composizione lungamente meditata che richiedeva un'esecuzione scrupolosa e faticosa. "All'inizio di Sud afternoon bisogna suonare sui tasti e contemporaneamente sulle corde con un plettro da chitarra stando in piedi, piegati tra tastiera e cordiera. In questa scomoda posizione è facilissimo produrre accenti non scritti in partitura e Battiato era molto insistente sul fatto che tutto dovesse risultare leggerissimo, impalpabile ma allo stesso tempo assolutamente preciso". Quello che continua a mancare in Sud Afternoon è la melodia – benché ogni tanto qualche frase musicale sembri sfuggire dalle mani dei pianisti, il brano conserva fino alla fine un carattere percussivo. Malgrado abbia abbandonato da tempo i sintetizzatori, Battiato sembra aver mantenuto un approccio 'elettronico' e si aspetta dai pianoforti un tipo di pulsazione non molto dissimile da quella dei vecchi synth a valvole.
1993: Caffè de la Paix (#39)
2007: I giorni della monotonia (Battiato/Sgalambro, #167)
Tra noi due ho scelto me. Dopo aver contribuito a rilanciare il festival, mandando Alice a espugnarlo con Per Elisa; dopo essersi mantenuto a prudenziale distanza per quei vent'anni in cui Sanremo era diventato il simbolo della musica italiana deteriore, alla fine Battiato accetta di esibirsi nel 2007, quando ormai ogni steccato sta saltando. Ci porta un brano tutt'altro che orecchiabile, una delle storie d'amore meno simpatetiche mai messe in musica: la storia di due amanti autoreclusi che scoprono di non avere niente in comune, e si baciano per non dover parlare e ascoltarsi. A Sanremo era un anno di rap sentimentali e ricattatori, vinse Cristicchi con un suicidio inventato per commuovere e Fabrizio Moro contro tutte le mafie. Sono quei momenti in cui rivaluti persino Sgalambro, che ha tanti difetti, è barocco e perfino melodrammatico, ma la lacrimuccia facile no, quella è proprio incapace di spremertela.
Dopo aver scoperto, in anticipo su quasi tutti, le potenzialità pop della progressione Pachelbel con Rain and Tears, il trio greco trapiantato in Francia noto come Aphrodite's Child rischiava di non riuscire più a scrollarselo di dosso. Il rischio di dover ricucinare per sempre la stessa pietanza fu una delle cause che portarono alla scissione della band: da una parte Vangelis voleva trasformarla in un progetto prog, dall'altra Demis Roussos non era affatto contrario a dare al pubblico quel che il pubblico chiedeva: infinite variazioni sulla Pachelbel, come questa It's Five o'Clock che alla terza nota sai già benissimo dove andrà a parare e tuttavia il ritornello ti spiazza lo stesso, quando lo canta Roussos, con quella capacità di alzare il volume del falsetto da uno a dieci in mezzo secondo. Battiato su una voce del genere non può contare (eppure la sua versione di Rain and Tears, incisa negli anni Sessanta ma mai pubblicata ai tempi, era di tutto rispetto). Non prova nemmeno a ricalcare la dinamica del brano originale. Si fa aiutare nel ritornello dalla cantante iraniana Sepideh Raissadat, che non riesce comunque a spostare il brano verso longitudini più orientali. Come si fa a capire quando un fleur non è uscito bene? Quando continui a pensare alla versione originale.
43. Tribù di suburbani, di aminoacidi
28-06-2022, 01:47Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara, oggi con shock emozionali, fulmini globulari, femminicidi, fughe in Messico, attese d'estate].
1998: Shock in My Town (Battiato, Sgalambro, #26)
Shock in My Town o la ami o la odi (io non posso proprio dire di amarla, mi dispiace). È il Battiato anni Novanta per eccellenza – benché il testo rimandi a esperienze vissute da Battiato molto prima: il senso di alienazione sofferto prima e durante il soggiorno newyorkese del 1973 (da lì l'immagine degli uomini "simili agli insetti"), il "viaggio con la mescalina che finisce male". Insomma nel momento in cui sente l'esigenza di svecchiarsi, di incontrare un pubblico più giovane, Battiato istintivamente ricorda di essere stato anch'egli giovane e un po' schizzato: non proprio impasticcato, ma almeno un brutto viaggio l'ha fatto pure lui. Il successo del brano, uno degli ultimi suoi a essere diventati iconici, può far dimenticare che alla sua uscita fu un azzardo: Battiato non era affatto sicuro che le radio lo avrebbero programmato – e in effetti la dinamica del brano, con l'esplosione del ritornello, è una vera sfida alla radiofonia contemporanea. Invece Shock in My Town funzionò, forse perché aggiornava agli anni Novanta un personaggio che il pubblico ama riconoscere in Battiato: un severo censore dei costumi, aduso a inframezzare le sue tirate con riferimenti a misticismi orientali ("sveglia Kundalini") e anglismi incongrui (l'inglese di Battiato non è fatto di parole, ma di frammenti di frasi, di solito versi di canzoni; in questo caso per fare una specie di rima con "my town" non trova di meglio che "Velvet Underground"). Shock in My Town può piacere perché in effetti è una sfida lanciata alla contemporaneità: Battiato vuole dimostrare di poter essere ancora interessante ma senza rinunciare a essere fastidioso. Può non piacere per la fondamentale ipocrisia dell'operazione – raggiungere i giovani proprio col messaggio che la gioventù d'oggi fa schifo – ma non facevano la stessa cosa i Sex Pistols, e gli stessi Velvet Underground, e Dylan, e un po' chiunque abbia abbinato musica leggera e moralismo? Shock in My Town è la Bandiera Bianca degli anni Novanta, il che ci permette di misurare con una certa precisione la decadenza non dei costumi, ma dei testi delle canzoni di Battiato: alle "stupide galline che si azzuffano per niente" sono subentrati i "neo-primitivi, rozzi cibernetici signori degli anelli, orgoglio dei manicomi": il severo censore somiglia sempre più a un anziano che inveisce dalla panchina – sarà colpa di Sgalambro? Eh ma è troppo facile dare sempre la colpa a Sgalambro. Battiato ha sempre giocato con le parole, ha sempre bluffato: forse il vero problema è che nel frattempo siamo cresciuti noi, e cose come le tribù di suburbani e di aminoacidi non possiamo più passargliele come gli passavamo i gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi.
2000: Fulmini Globulari (#231)
Campi Magnetici è del 2000: nello stesso anno Graham Hubler, degli U.S. Naval Research Laboratory di Washington, pubblica la sua teoria sul fenomeno dei fulmini globulari, che a tutt'oggi è la più accreditata: queste bolle di luce sarebbero plasma luminoso, ottenuto dalla miscela tra l'ossigeno e il silicio incandescente disperso nell'aria da un fulmine come scaricato a terra. Secondo altri studiosi i fulmini globulari potrebbero essere allucinazioni causate dai lampi di luce di un temporale. Insomma ne sappiamo ancora veramente poco. Fulmini globulari è il brano più rumorista del balletto; del resto è pur sempre quel Battiato che da bambino si lasciava incantare dall'effetto straniante delle scariche elettrostatiche sulle canzoni che passavano in radio. È lo stesso Battiato che qualche anno più tardi si presentava ai concerti con una radiolina e pretendeva di 'suonare' la modulazione di frequenza. Stavolta l'effetto è quasi invertito: sono le tempeste magnetiche a essere interrotte dall'irruzione della musica sinfonica, la quiete dopo la tempesta. Rimane il dubbio: il rumore con cui Battiato qui sta giocando, il frastuono delle frequenze radio, è quello tipico con cui siamo cresciuti ma che ormai è scomparso dalla nostra quotidianità, con l'affermarsi delle tecnologie digitali. Battiato nel 2000 lo riprende come un pop-artista fuori tempo massimo che ficchi le schermate grigio-cenere della tv analogica in una serigrafia; è ancora avanguardia o è modernariato, o è vintage?
2001: Hey Joe (Billy Roberts, #103)
Ma dove vai con quella pistola in mano. La versione corta è che in Ferro Battuto (2001) c'è un omaggio a Jimi Hendrix: Battiato avrebbe inciso Hey Joe in suo onore. La versione lunga richiederebbe una trattazione in più volumi perché Hey Joe è il classico esempio di canzone che non ha davvero scritto nessuno (al di là della complicata storia di chi ha registrato i diritti, che da sola occuperebbe uno dei volumi). Hey Joe si è scritta da sola o in un certo senso si è evoluta: la conosciamo perché ha funzionato meglio di tante altre canzoni da cui ha preso tutto, ma ricombinato secondo una formula giusta. Hendrix non è responsabile nemmeno di aver rallentato il brano: è vero, prima di lui era una cavalcata (vedi l'epica versione dei Love), ma un folksinger, Tim Rose, l'aveva rallentata pochi mesi prima e Hendrix aveva evidentemente preso da lui. Senz'altro la versione hendrixiana è la più iconica, ma ce ne sono altre memorabili, in particolare a metà anni '90 quella salsa di Willy DeVille furoreggiava, la usava Paolo Rossi in un numero di cabaret. Hey Joe mette insieme cose bizzarre che un autore professionista di canzoni non oserebbe accostare: è un call and response, quindi ha una radice gospel (il coro chiede, il cantante risponde) ma è virato nel blues più demoniaco (il coro chiede a Joe dov'è finita la sua donna, il cantante risponde che la vuole ammazzare, anzi l'ha già ammazzata, anzi scapperà in Messico dove presumibilmente ne ammazzerà altre). Però non è un blues, è un bizzarro giro di giostra sul circolo delle quinte: Do, Sol, Re, La, Mi, e poi resta in Mi, la ruota si blocca. Non ci sono molte canzoni fatte così, o se esistono Hey Joe se l'è mangiate, potremmo chiamarla Progressione Hey Joe, ma è davvero una progressione? È completamente ambigua, è una scala ma non riesci a capire se stiamo scendendo o stiamo salendo (gli strumenti potrebbero fare le due cose simultaneamente): sappiamo solo che dopo il Mi si torna al Do e la ruota ricomincia, questo dovrebbe confortarci ma non lo fa. È musica occidentale? Sì e no, gli intervalli di quinta sono universali, era credibile la salsa di DeVille ed è credibile Battiato che avvalendosi dei vocalizzi di Natacha Atlas decide di farla rai – anzi nell'occasione ci fa rimpiangere quel periodo orientaleggiante, prima che Sgalambro lo riportasse su percorsi più canonici e sinfonici. (Sono gli anni in cui Khaled si fa produrre da Don Was quei dischi pazzeschi, il rai sembra sul punto di diventare il nuovo reggae, poi si sgonfia tutto non ho capito perché, forse perché i ormai ragazzini preferiscono il rap un tanto al chilo). Però alla domanda: si scende o si sale?, Battiato almeno risponde chiaramente: non sembra avere dubbi sul fatto che il "Mexico" in questione sia una via senza ritorno, l'imbuto dell'inferno.
2007: Aspettando l'estate (#154)
42. And even less for the tricolour flame
27-06-2022, 17:20Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con sacre sinfonie del tempo, lontananze d'azzurro, treni che fischiano nella sera e inni a Narayana].
1991: Le sacre sinfonie del tempo (#58)
La testa di serie che non ti aspetti. Seminascosto in Come un cammello in una grondaia, uno di quei dischi di Battiato che per ascoltarli ci vorrebbe una certa concentrazione e questa è la scusa per cui alla fine non li ascolto mai, meno appariscente della title track o di Povera patria o dell'Ombra della luce, Le sacre sinfonie del tempo a riascoltarla è una canzone di grande valore, un Lied senza tempo e senza compiacimenti, una lirica in cui Battiato definisce con molta chiarezza alcuni punti fermi della sua personalissima fede nella trascendenza. Un brano che mi ero completamente dimenticato, mentre i battiatofili su spotify se ne intendono abbastanza da averlo portato tra i sessanta brani più ascoltati. Bravi battiatofili. La versione di Torneremo ancora, con la London Philarmonic Orchestra, è piuttosto straziante: è un Battiato in evidente affanno. Meglio, molto meglio la versione originale del 1991.
1999: J'entends siffler le train (Plante/West, #71)
Que c'est triste un train qui siffle dans le soir. Dopo tanto parlare di Fleurs, potrei aver perso di vista il motivo principale per cui li ho apprezzati (molto più la prima raccolta che le due successive), e perché mi accorgo di apprezzarli più di qualsiasi altra manifestazione battiatesca del 1985 in poi: Battiato è un grande riscopritore di canzoni. In un periodo in cui era molto più difficile di adesso, un periodo in cui le discografie di interi artisti non erano a portata di clic; un'era buia senza youtube e shazam, Battiato ci ha fatto ascoltare e riascoltare brani che senza di lui non avremmo mai saputo trovare. Da cui un'enorme gratitudine nei suoi confronti, che passa quasi sempre sopra i relativi difetti di esecuzione – anche perché se cerchi l'interprete perfetto non ti metti certo ad ascoltare Battiato – e nonostante questo Battiato si è evidentemente sforzato, almeno nel primo volume, di conferire alla sua voce e ai suoi arrangiamenti una dimensione classica: non si trattava (come nel 90% delle cover) di personalizzare questi brani, ma di trovare la strategia migliore per far capire anche all'ascoltatore distratto e obliquo la loro potenza – Battiato sa di avere davanti un pubblico misto e in gran parte poco potenzialmente interessato a pezzi anni Cinquanta e Sessanta, e decide di lustrarli fino a farli risplendere come gioielli di una civiltà più nobile. Questo per esempio è il suo approccio a J'entends siffler le train, un brano che mi commuove ogni volta, non tanto per la bella canzone che effettivamente è; e nemmeno per aver abbandonato qualcuno alla stazione la sera, come gli ascoltatori francesi degli anni '60 che salutavano amici e figli e fidanzati che partivano per imbarcarsi in Algeria e Indocina e mandarono la versione di Richard Anthony al primo posto in classifica. Mi commuovo perché da qualche parte nella mia testa io la conoscevo già, questa canzone; chissà in che versione; forse addirittura in quella folk americana che precede la francese, 500 Miles (il brano è attribuito alla folksinger Hedy West, ma è uno di quei casi in cui la canzone probabilmente esisteva già). Mi commuovo perché Battiato me l'ha ritrovata, perché è riuscito a riaprire uno scrigno impolverato nella mia testa. Fleurs è anche questo, forse è soprattutto questo: un album di ricordi riscattato all'oblio. E ora riascolterò quel fischio per tutta la mia vita.
2001: Lontananze d'azzurro (Battiato, Sgalambro, #199)
Domani parto, cambio vita e altitudine. Ferro battuto è uno degli album più difficili da decifrare. Arriva al termine di un quinquennio in cui Battiato aveva fatto di tutto per agganciarsi alla contemporaneità musicale. Se in Ferro non ci riesce, la responsabilità è meno sua che della contemporaneità musicale, che alla boa del 2000 sembra aver smarrito la direzione. La scena alternativa italiana, in particolare, rompe le righe in modo abrupto: CSI sciolti, Bluvertigo sciolti, non è in assoluto una tragedia per la storia della musica, ma è quel piccolo mondo attraverso il quale Battiato manteneva collegamenti con l'attualità, che nel giro di poche stagioni viene smantellato. Nel frattempo col primo Fleurs FB ha cominciato a guardarsi anche indietro e la sensazione di fronte a episodi come Lontananze d'azzurro è proprio quella di ascoltare altri fleurs, vecchie canzoni sconosciute ripescate da chissà dove. Proprio nell'attimo stesso in cui Battiato proclama "voglio vivere il presente senza fine", la stessa progressione vecchio stile ci suggerisce che un presente vero e proprio non esista più: solo un immenso archivio di passati da cui ripescare, volta per volta, qualcosa che ci siamo abbastanza dimenticati da trovare di nuovo interessante.
2004: I'm That (#186)
41. Mare mare mare voglio annegare
26-06-2022, 02:54Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Battiato, oggi con una canzone finta, una canzone metafisica per l'estate, una canzone su una puttana e una canzone dei Rolling Stones]
1973: Love (Conz, Battiato, Massara #250)
You, who are you? I need your love my baby. Tra i più enigmatici oggetti prodotti da Battiato in cinquant'anni c'è senz'altro questo singolo uscito per la BlaBla nel 1973 a nome Springfield: tanto da farci ipotizzare che fosse più un titolo da mettere in bilancio che un disco stampato per venderlo davvero a qualcuno. La musica richiama genericamente il pop-rock di qualche anno prima: se sul lato B Soldier somiglia comunque a una canzone compiuta, il lato A sembra rimasto a una fase di abbozzo: e allo stesso tempo contiene qualche vaga traccia della personalità del cantante che vi compare in forma anonima. Comincia in sordina, con un organo e una voce femminile i cui vocalizzi eccentrici ricordano quelli che Battiato farà cantare a Camisasca in Agnus. Anche la progressione all'inizio è la stessa, ovvero la 'scala infinita' di Stranizza d'amuri, e in effetti anche Love sembra costruita come un crescendo. Nel giro di meno di un minuto però a prendere il sopravvento sono le parole, di una banalità ipnotica che rasenta il nonsense, e che dirottano il brano in direzione Phil Spector: insomma il primo tentativo di Stranizza si trasforma all'improvviso in Be My Baby delle Ronettes. Ancora poche decine di secondi e il brano sfuma, lasciandoci ancora una volta davanti al mistero: perché? Non è che le canzoni in generale debbano avere un senso, ma Love ne è talmente priva che non riesci ad accettarlo, dev'essere un esperimento, un collaudo, una truffa, insomma dev'esserci sotto qualcosa che non sappiamo.
1981: Summer on a Solitary Beach (Battiato/Pio, #7)
Passammo l'estate su una spiaggia solitaria. Chissà se Battiato si rendeva conto, in quanto siciliano trapiantato in Lombardia, di quanto alle nostre latitudini suoni strano (e quindi evocativo) quel passato remoto, "passammo". Dev'essere successo molto tempo fa, e non è più ripetibile. Inoltre è un plurale, il che contraddice il concetto di solitudine evocato (maldestramente) dal titolo inglese. Battiato non era solo, sulla spiaggia: ma lo diventa davanti al mare ("portaMi lontano a naufragare"). La prima canzone della Voce del Padrone fa parte di un trittico con cui Battiato e Giusto Pio tra 1980 e 1981 s'impadroniscono del concetto di canzone per l'estate: un concetto che non sarebbe più stato lo stesso dopo Il vento caldo dell'estate, Un'estate al mare e Summer on a Solitary Beach. La spiaggia non sarebbe mai più stata un semplice luogo di svago e corteggiamento: piuttosto il luogo metafisico dove il sole ci nutre, i suoni annullano le distanze, il mare ci annulla. Tutto questo appare subito chiarissimo anche a noi bambini degli anni Ottanta, che inorridiamo ascoltando dalle radioline Abbronzatissima o Sei diventata nera come il carbon: quella non è la nostra spiaggia, è la spiaggia dei nostri genitori che chiacchierano coi vicini di ombrellone come in un grande cortile. La nostra spiaggia è diversa, è un silenzio fatto di rumori che ritroviamo sempre uguali a un anno di distanza, attutiti dalla sabbia e rifranti dal cemento degli stabilimenti; l'eco di un cinema all'aperto misto alla risacca e al richiamo del venditore di cocco. Non siamo venuti per divertirci, ma per trovarci davanti all'assoluto. Il sole ci nutre, il mare ci scioglie, Franco Battiato lo sa. Summer è la Sequenze e frequenze del nuovo decennio, salvo che ora i bambini davanti al mare siamo noi. C'è persino il sassofono, come in Aries, anche se molto più misurato.
1996: Ecco com'è che va il mondo (Battiato/Sgalambro, #135)
2014: As Tears Go By (Jagger/Richards, #122)
40. Scendono inaspettatamente lacrime
25-06-2022, 08:02Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con il primo brano che molti abbiamo ascoltato, uno dei più lunghi che abbiamo sopportato, una delle cover più brutte che ha inciso e l'ultima canzone che ha pubblicato].
1974: Propiedad prohibida (#175)
Il primo Battiato in assoluto che la mia generazione ha ascoltato non è quello anni Sessanta (ai tempi introvabile), né quello di Fetus (anche quello ormai sepolto negli scaffali dei dischi degli zii fricchettoni), né quello pop della Voce del padrone che pure era l'unico Battiato di cui fossimo consapevoli. Il primo Battiato era rinchiuso in una gemma essenziale e inquietante di pochi secondi: la sigla di Tg2 dossier, un delirio optical da cui vedevamo occhieggiare, sempre più grande e deformato, il volto di un attore somigliante a Patrick McGoohan, il Prigioniero della serie inglese. La musica era un breve ritaglio di Propiedad prohibida, e anche se qualcuno ci avesse detto: ma lo sai che è di Franco Battiato?, in nessun modo al mondo saremmo riusciti a collegare l'autore di Bandiera bianca o Voglio vederti danzare a quel turbinio di note sintetiche. Il quale era appena un po' più inquietante della media di tutte le sigle e gli stacchetti che ascoltavamo in tv a cadenza settimanale e tuttora pulsano inestinguibili nella nostra memoria a lungo termine, brevissime cascate di note che inevitabilmente attivano nella nostra mente dei circuiti anche impolverati dai decenni.
Il primo Battiato che abbiamo ascoltato era anche l'ultimo Battiato pioniere elettronico: la prima volta che ci è dato ascoltarla, a un festival torinese del 1974, Propiedad è ancora una lunga improvvisazione per sintetizzatori e sequencer in cui Battiato dimostra di essere diventato un one-man band trascinante: non è che gli cadono proprio tutte le dita sui tasti giusti, ma è impressionante quanta sonorità riesce a mobilitare davanti al pubblico – e ci canta pure sopra. Siamo ancora in zona Sequenze e frequenze, è un brano ipnotico e potenzialmente interminabile e che malgrado tutte le suggestioni dell'Europa elettronica e dell'Asia ascetica, a un certo punto si trasforma in una tarantella: Battiato non può farci niente, è come se le sue mani dopo qualche minuto di improvvisazione lo riportassero là, ai ritmi ipnotici delle danze di paese.
Quando Propriedad arriva in sala di incisione il mood è cambiato completamente: "Clic" è il disco della freddezza e del rigore, Battiato sta studiando Stockhausen e concepisce sempre di più la musica come esercizio. Le libere associazioni della versione dal vivo vengono fuse, sovrapposte in una multipista di pochi minuti: non solo, ma in qualche pista Battiato aggiunge ai sintetizzatori una specie di orchestra da camera: ancora minimale, forse solo una viola, un oboe e un violino, che subentra progressivamente ai sintetizzatori, finché verso i 3 minuti e 20 secondi non ci accorgiamo che il brano è diventato completamente acustico – è solo un breve istante, poi il sintetizzatore riconquista la scena. L'aspetto più affascinante di Propriedad è proprio questa stratificazione sonora, più complessa e concentrata che in Sequenze e frequenze, ottenuta alzando e abbassando il livello di tracce che non suonano esattamente allo stesso ritmo: i sintetizzatori vibrano ognuno a modo suo, l'orchestra paradossalmente è più quadrata e martellante, ma il vero compito di battere un tempo spetta alla percezione dell'ascoltatore. Questo rende abbastanza deludente l'ascolto della versione di Joe Patti's Experimental Group (chiamata in italiano, Proprietà proibita), che più di essere la definitiva, è una versione concepita per l'esibizione dal vivo: l'orchestra ovviamente non c'è più, in compenso c'è una bella cassa dritta a rassicurare gli ascoltatori sul fatto che sì, anche questa techno-prima-della-techno è ballabile.
1977: Cafè-Table-Musik (#210)
Proust, chiamò scherzosamente (?) dei suoi libri, "Coffee-table-books"... Questo pezzo… della regressione europea, è una specie di collage-orfico; pieno di sostituzioni, manipolazioni, citazioni false, o meglio: copie originali. Nel disco omonimo/anonimo del 1977, per la prima volta Battiato prova a spiegarsi nelle note di copertina. Non si può onestamente dire che ci riesca: anche la citazione di Proust (che non mi è dato rintracciare) chissà cosa doveva significare, sia per lo scrittore che per il musicista. Forse Proust voleva rivendicare una certa superficialità (o nascondercisi sotto); ma Battiato è proustiano in un modo che capisce solo lui. Un libro da coffee-table è più un complemento d'arredo che un oggetto letterario: che FB abbia deciso di incidere musica per ambienti, un anno prima che Brian Eno coni la definizione col suo Music For Airports? È difficile dire; in Cafè trovano spazio alcune delle idee che Battiato aveva messo in scena nello spettacolo Baby Sitter al Teatro Out Off di Milano. Se all'inizio sembra voler proseguire quel filone concreto inaugurato con Ethika Fon Ethica e sviluppato in Goutez et comparez, presto ci accorgiamo di avere a che fare con un oggetto molto più musicale. È vero, ci sono ancora incursioni rumoriste (perlopiù dialoghi nonsense tra il pianista Antonio Ballista e la cantante Alide Maria Salvetta), ma la maggior parte di Café è occupata da tre composizioni per pianoforte eseguite da Ballista, di stile minimale ma lontane dall'oltranza di Za che occupa l'altro lato del disco. È in effetti musica gradevole, che Battiato invano prova a problematizzare inframezzandola con interruzioni incongrue ("aranciate panini birra!").
2002: Ritornerai (Lauzi) (#82)
Uno degli episodi più sconcertanti dei Fleurs e in generale della discografia di Battiato – di tutte le canzoni che poteva prendere in prestito da Lauzi, proprio Ritornerai? Oddio in effetti ha anche ripreso Se tu sapessi, insomma si direbbe che di Lauzi a Battiato piaceva il lato manipolatorio. Non è proprio il modo migliore di ricordarlo: Lauzi ha anche scritto canzoni tenere e struggenti, ma FB ha preferito questa, in cui la donna viene messa davanti al suo destino: non poi vivere senza di me e io non ho nessuna intenzione di cambiare, resterò l'illuso di sempre, prendere o lasciare, e anche se mi lasci... ritornerai. Lauzi almeno la sua versione la sussurrava, su un bolero che suggeriva l'ossessività di un maschio illuso. Battiato, ci abbiamo già fatto caso, queste sfumature non le nota, non le trova interessanti: viene quasi da concludere che non sappia di cosa sta cantando. La possessività è un sentimento così poco connaturato in lui che non riesce nemmeno a fingerlo per tre minuti, e inoltre l'accompagnamento della sua Ritornerai sembra una presa in giro. I dischi di cover devono difendersi da quello che io definisco effetto karaoke, non saprei come altrimenti spiegarmi, salvo che nel primo volume Battiato non ci cascava mai e invece in Fleurs 3 ci sguazza. È quel che succede quando ti concentri sulla tua interpretazione e ti accontenti di arrangiamenti ordinari, ad esempio in Ritornerai sembra veramente il pianobarista con la base ritmica preselezionata. Non viene proprio voglia di ritornare ad ascoltarla.
2015: Le nostre anime (#47)
39. I love you especially tonight
24-06-2022, 08:06Battiato, la Gara, musicaPermalink[Probabilmente qualcuno ha già intuito che questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi con martiri celesti, zone depresse, deprivazioni spaziotemporali e atti d'accusa nei confronti di imperialismi orientali].
1978: Martyre celeste (per due violini) (#239)
Un brano di Juke-box che si intitola "Martirio": la faccio la battuta? Sono cinque minuti di violini che dialogano, legnosi e lagnosi, suonati da due apparenti automi che invece sono Battiato e il suo maestro di violino, Giusto Pio: mentre li ascoltiamo tutto potremmo immaginare tranne che questi due suonatori bislacchi stiano per diventare i Lennon/McCartney del primo spicchio degli anni Ottanta italiani. Sul serio, mancano tre anni al trionfo di Alice a Sanremo, al milione di copie della Voce del padrone, a Un'estate al mare, e questi sembrano completamente presi da esperimenti pencolanti sulla soglia dell'inascoltabilità. La faccio la battuta? Martyre celeste è un martirio soprattutto per l'ascoltatore, ah ah ah, scusate, non c'era verso di evitarla.
1983: Zone depresse (Battiato/Pio, #111)
Mi regali ancora timide erezioni. Che cosa carina da dire a una persona. O no? Nel dubbio non l'ho mai detto a nessuno, ma l'ho sempre trovato molto carino: qualcuno prima di Battiato aveva mai pensato di dirlo? Qualcuno aveva mai definito un'erezione "timida"? Che significa insieme: involontaria, ma anche spontanea, e comunque inoffensiva, introflessa, insomma un modo di rivendicare la propria corporeità maschile senza poter cadere in nessun sospetto di machismo che suona ancora notevole per il 2022, e Battiato ci arrivava serenamente nel 1983. Lui quei saggi ginnici davvero non riesce a toglierseli dalla mente, cinque anni dopo Stranizza d'amuri è ancora un chiodo fisso. Zone depresse è un pezzo esemplare di Orizzonti perduti, con tutti i pregi e i difetti: ritornello straordinariamente cantabile, strofa più sofisticata di quanto possa sembrare, inciso imprevisto che in realtà stava diventando uno standard delle canzoni del periodo, il cosiddetto "special" (stavolta c'è Battiato si atteggia a maestro di danza e urla comandi in francese), arrangiamenti visibilmente sintetici che creano un contrasto straniante coi contenuti nostalgici, questi ultimi affidati a bozzetti crepuscolari che Battiato quasi si compiace a guastare con allusioni all'irruzione della civiltà dei consumi: poi la fine un giorno arrivò per noi, dammi un po' di vino oh oh oh con l'idrolitina.
1985: No Time No Space (#18)
Keep your feelings in memory. Mondi lontanissimi è uno di quei lavori in cui sotto gli arrangiamenti riesci a sentire la scadenza contrattuale. Si capisce che Battiato ha voglia di fare altro, che questa cosa di incidere tot canzonette all'anno gli risulta sempre meno divertente. In quel periodo sta lavorando a quella che presumibilmente sarà la sua prima opera di compositore maturo, la Genesi, il che lo spinge forse a ragionare in modo sinfonico anche in ambito pop. Tornano insomma i violini e suonano sempre più forte, sempre meno ironici, ormai sparano bordate alla Zaratustra e fanno sul serio. Quando usi l'orchestra in una canzone corri sempre il rischio di risultare enfatico o trombone e Battiato lo corre senza rimpianti. No Time No Space è il suo ritornello più arrogante, col suo inglese immaginario che o lo ami o lo odi. Il video enfatizza l'aspetto orchestrale (che al tempo rassicurò chi era rimasto sconcertato dai suoni digitali di Orizzonti perduti), con un notevole piano sequenza di un'esibizione con strumentisti acustici, orchestrali digitali e coro in cui a un certo punto lui si alza dal tappetino, si infila le scarpe e se ne va scocciato. "Non so perche' il suo modo di camminare verso le scale mi ha sempre commosso" (un commentatore su YouTube).
2008: Tibet (#146)
We can not excuse you for your behaviour. Magari di noi non resterà quasi niente, voglio dire: ormai nel grande calderone dell'umanità siamo una cultura abbastanza minuscola e forse anche più marginale di quanto ci rendiamo conto di essere. Ogni tanto quasi per caso fiorisce qualcosa di imprevisto e che anche il resto del mondo meriterebbe di conoscere (Franco Battiato, ad esempio), ma sono casi sempre più rari, la globalizzazione culturale non gioca a nostro favore. Inoltre l'Occidente è in contrazione, insomma magari tra un millennio la Storia del secolo XXI sarà raccontata perlopiù dal punto di vista dell'Asia, e la canzone più famosa di Franco Battiato sarà proprio Tibet: non per il suo valore musicale, ma perché comparirà in una piccola sottovoce della pagina "critici occidentali dell'imperialismo cinese", così come di tutta la cultura dei nativi americani resiste solo qualche rampogna di qualche capotribù contro i bianchi che avanzano. Più che un brano di protesta, Tibet è un brano di testimonianza: che può fare un cantante di una piccola cultura marginale, di fronte a a un'ingiustizia decennale? Può dire, con la lingua più chiara che può, che non lo accetta, che non perdona, che non dimentica. Per la prima volta l'inglese di Battiato non serve a nascondere significati ma a diffonderli il più possibile: Tibet non è rivolta a noi (che l'ascoltiamo magari con imbarazzo), ma all'Impero cinese, Battiato lo chiama proprio così e usa parole che crede possano, per quanto è possibile, colpirlo: The divine empire has fallen into dishonour. Se il prezzo da pagare è un'accusa di ingenuità, è un prezzo che Battiato ha sempre pagato con noncuranza. Tibet si era già sentita nell'edizione digitale di Fleurs 2 (su Itunes): ma la maggior parte del pubblico la ascolta per la prima volta l'anno successivo, quando va a rimpolpare Inneres Auge.
38. Che resta dunque di tutto ciò, ditemi un po'
23-06-2022, 07:41Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Battiato, oggi con Bowie, Gesualdo Bufalino, il mercato degli Dei e l'ombra della luce].
1972: Anafase (#178)
In biologia l'anafase è "la terza fase della divisione del nucleo cellulare caratterizzata dalla scissione dei centromeri presenti nei cromosomi, dalla separazione dei due cromatidi che vi erano attaccati e dalla loro migrazione ai poli del fuso". Musicalmente, Anafase comincia come un brano cantautoriale per voce e chitarra che riprende sottilmente l'Aria sulla Quarta Corda che abbiamo intrasentito in Meccanica. È il momento più davidbowieano di tutto Fetus, anzi di tutta la carriera di Battiato: si respira la fragranza di quella miscela particolare tra ballata acustica e suggestioni cosmiche che ci obbligano a domandarci se non si tratti di una convergenza evolutiva: cioè Battiato stava per inventare Ziggy Stardust con qualche mese d'anticipo? o non piuttosto un'influenza diretta: possibile che Battiato conoscesse Bowie, negli anni in cui quest'ultimo, dopo il successo di Space Oddity, faticava a farsi conoscere anche in patria? Di Bowie, Battiato non aveva praticamente mai parlato: solo dopo la sua morte consegnò ai giornalisti un ricordo un po' confuso in cui ammetteva di aver amato "da pazzi" Space Oddity e non solo. "Hunky Dory i biondi capelli, una femminilità fotografica, alla Greta Garbo. Aveva già rinnegato il passato, per il futuro. Londra era una polveriera. La droga imperversava. Io volevo vedere e capire quello che capitava. La mia paura era di passare di fianco a una nuova moda che stava per arrivare. Non desideravo altro che locali..." Dunque Battiato potrebbe in effetti avere ascoltato già nel 1971 Hunky Dory, un disco che prima del successo di Ziggy Stardust (uscito sei mesi dopo Fetus) era sconosciuto anche a gran parte del pubblico inglese? Non so quanto questo sia compatibile col servizio militare che Battiato avrebbe assolto (faticosamente) proprio nel 1971. Del resto si tratta di un momento brevissimo, una strofa appena dopodiché la canzone prende una svolta completamente imprevista, lasciando spazio ai synth che stavolta dovrebbero suggerire una fase di quiete (forse l'ibernazione per un viaggio spaziale, dal testo si intuisce qualcosa del genere). È davvero come assistere alla terza fase della divisione del nucleo cellulare di FB: da un cantautore si separa l'avanguardista. Proprio nel momento in cui il cantautore poteva diventare il Bowie italiano... troppo tardi.
1974: Il mercato degli dei (#207)
Il mercato degli dei completa la prima facciata di "Clic", e quindi è abbastanza naturale considerarlo una coda dell'unico brano cantato, No U Turn. È forse il primo in cui dalle nebbie sintetizzate emerge quello stile pianistico minimale che ritroveremo in purezza in Za e nell'Egitto prima delle sabbie. C'è una specie di melodia, o è un arpeggio? In ogni caso è qualcosa che il pianista cerca e non trova per tutta la canzone, mentre il synth crea una distanza, una profondità. Come nel caso di Ethika fon ethica, questi abbozzi di pochi minuti risultano più promettenti, e forse più interessanti, delle suites successive.
1991: L'ombra della luce (#50)
E non abbandonarmi mai. L'ombra della luce è una supplica a un Ente non necessariamente supremo ma vigile e sollecito – un angelo custode? – qualcuno che comunque fa piacere invocare a intervalli regolari. È lo stesso approccio di E ti vengo a cercare: ma quella era ancora una canzone; questa è una preghiera. La differenza può sembrare piccola, ma di canzoni se ne scrivono tante: di preghiere ne resiste una al secolo. È difficilissimo scriverle senza sembrare invasati o apparire ridicoli: Battiato c'è riuscito e poi, per un po', non ha più ritenuto necessario scrivere testi. (L'ombra della luce è anche il negativo della Cura: qui Battiato chiede di non essere abbandonato; là ci prometterà di non abbandonarci). (Il problema è che se la richiesta può essere inoltrata in buona fede da un credente sincero, la risposta non può che arrivare da un manipolatore). (O da un Dio). (E siccome Battiato non è un Dio...) (o lo è?)
1999: Che cosa resta (Trenet, Chauliac, Bufalino, #79)
E tu perduta anima di ieri: perché sparisti? Chi ti rubò? Dimmelo un po'. Che cosa resta, oltre a essere il manifesto dei Fleurs, ne è anche l'atto fondativo: ed è molto bello che ad attendere alla nascita del nuovo Battiato Interprete sia stato un grande scrittore – Gesualdo Bufalino – con un gesto bizzarro e toccante: un fax. La storia la racconta Battiato stesso: un giorno riceve da Bufalino la traduzione di Que reste-t-il, un grande successo degli anni Quaranta per Charles Trenet, che la generazione di FB conosceva al massimo attraverso Baci rubati di Truffault (più tardi lo ascoltiamo nel finale della Terrazza di Scola, cantato appunto dai vecchi ruderi della generazione presessantottarda che presentono la fine). Il fax sarebbe stato inviato due anni prima della morte di Bufalino, quindi nel 1994: Battiato in quel periodo forse è immerso nei suoni digitali dell'Ombrello e la macchina da cucire e di questo Trenet tradotto in rima baciata non sa che farsene. Per amicizia realizza comunque una versione privata per pianoforte e voce, che non solo deve aver soddisfatto lo scrittore, ma riesce a riaccendere l'interesse di Battiato per le cover confidenziali, un genere che non frequentava dai tempi delle balere. Battiato ammetteva di essersi affezionato anche all'"ingenuità" di una traduzione che presumeva composta da un giovane Bufalino. Ma a guardarla bene è una versione finissima, che lo scrittore avrebbe potuto ritoccare per quarant'anni e che riesce veramente nell'impresa di renderci il senso del testo di Trenet (in certi punti superandolo) regalando alla letteratura italiana una canzone struggente su come il tempo devasti i nostri ricordi: "Rivedo un viso, mormoro un nome, ma non ricordo quando né come; penso a un villaggio dove non so se tornerò". Questi non sono versi di un poeta giovane. Nemmeno di un traduttore giovane. Battiato per l'occasione rispolvera l'espediente iniziale della voce che esce dal grammofono (come in Honey Pie), a ribadire che questo fleur è veramente più antico degli altri.
37. Voli imprevedibili ed ascese velocissime
22-06-2022, 07:25Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Battiato, con uno scontro doloroso che prefigura le difficoltà che incontreremo nei turni successivi: Gli uccelli contro Shakleton].
1969: Bella ragazza (Battiato/Logiri, #242)
Bella ragazza / Occhi d'or è il 45 giri con cui Battiato e Logiri dilapidano il capitale di credibilità acquisito con È l'amore. Accade qui per la prima volta quello che si ripeterà poi in diverse situazioni (ad esempio con "Clic" e L'arca di Noè): appena FB capisce di aver trovato una formula che piace al pubblico, la butta via. In questo caso la dilapidazione avviene su due fronti: su quello testuale, Battiato riparte con la solita tritissima retorica degli amori stagionali – stavolta lui è al mare e lei non c'è, chiamiamola posizione dell'Azzurro rovesciato – e la porta avanti fino all'autoparodia: piove, lui è triste, pensa a lei e non riesce a divertirsi, ma poi nella seconda strofa finisce di piovere e lui ha già smesso di essere triste, insomma credevate che fosse amore ed era meteoropatia. Sul fronte degli arrangiamenti, Bella ragazza è un esempio tipico di cosa succede quando lasciate dei ragazzi volonterosi ma inesperti con un medio budget e un registratore otto piste: un'orgia sonora. Si parte con chitarre, violini e batteria (e un clap di mani riverberato) e si arriva coi fiati e sul finale c'è persino una specie di assolo di tastiera che ha già qualcosa di Fetus. Al centro compare quel vezzo compositivo che compromette ulteriormente la potenzialità commerciale del brano: Battiato rallenta il ritmo nel ritornello. Succederà anche in Vento caldo e non ha molto senso: ma forse è il primo tentativo di realizzare quella sospensione ritmica che riascolteremo poi in Summer On a Solitary Beach o nel Vento caldo dell'estate.
2012: Aurora (#114)
36. Qui da noi è lunedì soltanto
21-06-2022, 07:33Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Battiato, oggi con una canzone portoghese che non lo è, con una canzone tantrica che non lo è, un sonetto di Shakespeare che non lo è, una canzone di Antony che non lo è].
1996: Segunda-feira (Battiato/Sgalambro, #95)
Segunda-feira de Lisboa, che nome d'incanto: qui da noi è lunedì soltanto. Ecco, se ci pensate, è l'esatto contrario: "lunedì" è un nome evocativo, quanto meno evoca il nostro satellite – ma anche una brevissima fase in cui la scansione cristiano-giudaica della settimana ha convissuto con l'abitudine di intitolare i giorni alle divinità. Per contro, "segunda-feira" vuol pedestremente dire "secondo giorno", ed è il risultato di una riforma rigidamente monoteistica che si impose nell'occidente iberico nel VII secolo. Però certo, a un italiano suona meglio "segunda-feira": quanto meno non gli ricorda la sveglia alle sette. Questo è precisamente il tranello dell'esotismo, il fascino che proviamo non tanto per un Paese straniero ma per il fatto che non lo capiamo, non per la lingua ma per i suoni che non associamo ancora a veri significati. È una trappola in cui Sgalambro sembra progettato per cadere a piedi pari, con la sua passione barocca per i significanti vistosi e ridondanti (sempre qui, i nuotatori devono essere "ignudi", immagina che banalità, che vergogna, se fossero "nudi" soltanto). Lui del resto per sua ammissione in Portogallo non c'era stato: dettò il testo a Battiato al telefono. Battiato, da parte sua, intercetta per una singolare coincidenza quella metà degli anni Novanta in cui aleggiava anche in Italia una vaga ma persistente lusomania: i film di Wenders, i romanzi di Tabucchi, l'Expo del 1998, i Madredeus. E allo stesso tempo nemmeno ci prova, a fare qualcosa di musicalmente portoghese. È forse l'unico viaggio da cui Battiato non ha portato a casa suggestioni sonore.
1998: La preda (Battiato/Sgalambro, #162)
Battiato ha mostrato al mondo della musica italiana, tra le altre cose, un modo di cantare il sesso già liberato – non solo dai pudori tradizionali, ma anche dagli ammiccamenti che ci hanno costretto, dopo i decenni in cui non se ne poteva parlare, a parlarne in modo caricaturale e volgare. Battiato in un qualche modo è stato risparmiato da entrambe le tentazioni ed è riuscito a parlare del sesso come di un incantesimo bellissimo, quasi completamente deprivato dal senso del possesso (che come ci ha fatto notare "fu prealessandrino", cioè quando ce la pigliamo col cattolicesimo non scordiamoci che non è che l'erede di un palazzo già millenario). Detto questo, non è che ne ha parlato tantissimo, e così decide di tornare sull'argomento in Gommalacca, decisamente il suo disco più sesso droga rock'n'roll. Qui per esempio c'è Sgalambro caffeinomane che attacca così: "sto sempre sveglio, ho voglia di arditezze". La musica è solare, un po' storta e spigolosa, completamente diversa da ogni tipo di musica che un sound designer contemporaneo userebbe per alludere al sesso: nella strofa sembra scorrere come un carillon capriccioso – che la sessualità non sia anche questo, un perpetuo caricarci a molla e poi liberarci? I battiatologi ci spiegano che La preda è una descrizione del sesso tantrico. Il testo non autorizza una definizione tanto tecnica. La "preda" del titolo, più che il partner, sembra essere l'estasi, a cui si perviene trasformando "la furia in ebbrezza, in tenerezza" (ed ecco che il ritornello sospende la ritmica, vecchia soluzione a cui Battiato non si stanca di tornare, mentre alla sua voce si unisce quella di Ginevra Di Marco. Mi diverte, nella seconda strofa, le lenzuola si intreccino come "sacre bende di sacerdoti egiziani", a dire il vero le bende le mettevano alle mummie ma vabbe', sto a fare i puntini sulle i perché le scene di sesso coi cinquantenni m'imbarazzano. Anche adesso che sto a 49. Che altro dire? Tanta nostalgia per Sentimiento nuevo, quelli sì che erano orgasmi. Ma è anche giusto provare nuove cose, non si può continuare a eccitarsi sempre coi ricordi dei tempi migliori.
2005: Come Away Death (Quilter/Shakespeare, #223)
Sad true lover never find my grave. Nel 2005, su dichiarata pressione della casa discografica, Battiato pubblica il concerto del 17 febbraio a Firenze in formato audio e video, col titolo Un soffio al cuore di natura elettrica. I brani di repertorio sono più o meno i soliti più alcuni scelti dall'album uscito l'anno prima, Dieci stratagemmi. L'unico inedito è l'introduzione: per scaldarsi Battiato sceglie un Lied del compositore inglese Roger Quilter, su un testo di Shakespeare. Battiato lo definisce un sonetto ma dovrebbe essere un passo dalla Dodicesima notte: quel che è interessante è che è un'invocazione alla morte dagli accenti decisamente romantici, che Battiato accentua nella sua versione, mediante l'uso della voce naturale.
2008: Del suo veloce volo (Battiato/Antony, #34)
35. Ti accorgi di come vola bassa la mia mente?
20-06-2022, 07:54Battiato, la Gara, musicaPermalink[Questa è la Gara delle canzoni di Battiato, col primo brano del primo album, il brano meno ascoltato del disco più ascoltato, un balletto sui numeri e una canzone d'amore più tortuosa che tormentata].
1972: Fetus (#98)
Non ero ancora nato che già sentivo il cuore che la mia vita nasceva senza amore. Fetus è la canzone con cui Franco Battiato decide di nascere, perlomeno artisticamente: tutto ciò che aveva tentato prima di Fetus è rimosso, cancellato (FB si è opposto più volte, per quanto gli è stato possibile, alla ripubblicazione delle canzoni del suo passato pre-Fetus). È abbastanza clamoroso che un autore apprezzato per le sue esuberanze lessicali esordisca proprio con la rima cuore / amore, e con una sintassi così incespicante – sarebbe stato sufficiente cantare "già sentivo in cuore" perché la frase filasse liscia: sì, ma Battiato non resiste, con la fatica che deve aver fatto a incidere su vinile nel 1972 un realistico battito di un cuore in anticipo su The Dark Side of the Moon, lui vuole proprio dirci che lo sente, sente "il" cuore (musicalmente la primissima frase somiglia già parecchio all'introduzione di Stranizza d'amuri).
Nella seconda parte il brano diventa un campionario dei suoni che Battiato è riuscito a estrarre dal VCS3, il pioneristico sintetizzatore su cui era riuscito a mettere le mani, primo in Italia (e terzo nel mondo, a detta di Pino Massara). Sono suoni ancora molto suggestivi, anche se nel finale FB sembra dominato dalla volontà di stupire con effetti speciali. Entusiasmo puerile, più che comprensibile in un embrione. Prima dell'esplosione finale di suoni, compare il fraseggio che risentiremo più tardi in Energia. A dire il vero nell'edizione sul vinile del 1972 il primo brano era proprio Energia. Anche nella versione inglese Energy è il primo pezzo in scaletta. Solo a partire dall'edizione CD del 1998 Fetus diventa la prima canzone dell'album omonimo.
2000: Corpi in movimento (#226)
Si pensi per esempio alle iterazioni elettrodinamiche tra un magnete e un conduttore. Quando il Maggio Fiorentino gli commissiona un balletto, Battiato si strappa di dosso decenni di cantautorismo e recupera il sé stesso rumorista di Pollution; è proprio lui, non è invecchiato di un giorno, in compenso si è fatto spiegare come si mixa al computer e si diverte un mondo. Persino le incursioni pensose di Sgalambro non stonano, in effetti quando legge un manuale di elettrodinamica di Einstein non può non ricordarci i vecchi tempi in cui Battiato guarniva le sue canzoni sperimentali con formule scientifiche (La portata di un condotto è il volume liquido che passa in una sua sezione nell'unità di tempo). Invece quando afferma perentorio "i numeri non si possono amare" ti sale l'anticrocianesimo, vorresti sbottare: perché te, invece, chi ti dovrebbe amare? Se non hai mai orgasmato comprendendo il teorema di Pitagora, che filosofo da discount sei? vien voglia di cominciare una storia con un numero irrazionale apposta per rompergli i coglioni, ehi Sgalambro, tra te e un Pi Greco io non avrei dubbi con chi uscire stasera. Ma poi alla fine si mette a cantare La Mer e lo perdoni, cioè non è cattivo, certe volte hai il sospetto che Battiato più che ispirarsi a lui lo stia sfoggiando come una specie di mascotte, il suo personale Mangoni.
2002: Se tu sapessi (Lauzi, #159)
Se tu sapessi come ti amo non cercheresti di dire parole che voglion dire io non ti amo: quello che è triste è che tu non lo sai. Eh? Bruno Lauzi non era mai stato così contorto. Se tu sapessi è un po' la Te lo leggo negli occhi del secondo volume dei Fleurs: dovrebbe essere una canzone d'amore disperata, Battiato la canta con molto rispetto per questo tipo di genere e di finalità ma è proprio quel suo modo di cantare, di mettere in evidenza le parole, che ci insinua una certa freddezza, un sospetto, la sensazione di stare assistendo a qualcosa di manipolatorio. E che Battiato queste canzoni d'amore con un fondo amaro e gelido se le vada a cercare con molta attenzione, con un setaccio che è in grado di trattenere il brano più straniante e concettoso tra cento che ne ha scritti un Lauzi, un Endrigo. Insomma qui se ho capito bene la tipa non sa nemmeno che le sue parole vogliono dire "non ti amo", cioè non sa quello che dice la poverina, per fortuna che c'è il cantautore a interpretare. Battiato, lo scopriremo l'anno successivo in Perduto amore, ha in mente soprattutto la versione di Salvatore Vinciguerra del 1964: la sua cover forse nasce dalla necessità di redimere la canzone dai melliflui vocalizzi del corregionale. Esisteva anche una versione molto più intima di Lauzi stesso, con una terza strofa che diceva: "Se tu sapessi quanto ti amo non troveresti più vuota la vita. Mi doneresti i tuoi Ti amo: quello che è triste è che tu non lo fai". Cioè è veramente triste che la tizia non dica Ti amo al cantante. Qui Vinciguerra cantava "sai" al posto di "fai": non riesco a capire quale delle due versioni mi infastidisca di più, Battiato taglia la testa al toro ed elimina la strofa completamente (ricantando le prime due daccapo).