Ma dove l'avete pescato Vannacci

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Se vogliamo poi parlare di Vannacci, forse questo è il momento. Io finché c'era il benché remoto rischio di fargli un po' di campagna elettorale gratis, mi rifiutavo anche di nominarlo. E non è che abbia molto da dire su un personaggio tutto sommato abbastanza lineare. Segnalo soltanto una cosa che ritengo divertente: Vannacci sfondò sui giornali l'estate scorsa, quando un libretto pubblicato a sue spese si ritrovò per primo in una classifica. Qualche mese prima (aprile 2023), io scrivevo questa cosa:

La coincidenza dell'agonia di Berlusconi con la fusione mentale di Calenda mi induce a una riflessione: e adesso cosa s'inventeranno, Loro?

Per "loro" intendo un soggetto forse troppo vago – diciamo quel ventre molle culturalmente un po' succube di una classe proprietaria che ha ancora in mano due o tre giornali a diffusione nazionale, insomma quel blocco sociale che una volta chiamavamo maggioranza silenziosa salvo che in Italia ha dimostrato più volte un'incredibile creatività, ma esclusivamente nei momenti in cui una specie di sinistra anche solo in vago odore di socialdemocrazia sembra potersi aggiudicare uno straccio di maggioranza in parlamento. Siccome la Storia ha la tendenza a ripetersi in farsa, la prima occorrenza di questa creatività è l'unica davvero tragica: la marcia su Roma del 1922, un giornalista a capo di un gruppo di picchiatori che all'improvviso diventa la soluzione a tutti i problemi, compresa un'insurrezione bolscevica che almeno in quel caso non era del tutto implausibile.

Settant'anni più tardi, a muro di Berlino crollato, la minima possibilità che il PDS di Occhetto possa vincere un'elezione trasforma un palazzinaro che sta occupando abusivamente delle frequenza televisive nel Cavaliere che salverà l'Italia dal comunismo.   

Il tizio in effetti i mezzi mediatici per imporsi nell'immaginario degli italiani ce li ha, ma quando si trova al governo non ha la minima idea di cosa fare. Non importa, perché all'orizzonte c'è già la soluzione, ancora più assurda: un movimento di popolo orgogliosamente antipolitico capitanato da un ex comico televisivo. 

Pure lui riesce a mandare la sinistra a casa in diretta streaming; pure lui non sa poi cosa combinare, e quindi che si fa? A quel punto si punta su personaggetti raccattati: prima Renzi, poi questo Calenda, che non si capisce se siano emotivamente instabili in partenza o lo diventino una volta messi sotto luci di riflettori che, è evidente, sono un po' troppo forti per loro. Ma a questo punto insomma Renzi è una barzelletta, Calenda una mina vagante, cosa s'inventeranno stavolta? Da dove lo possono pigliare? Fabrizio Corona è a piede libero? Morgan come sta, è andata bene la trasmissione? Olindo e Rosa sono ancora al gabbio? No così, sto pensando ad alta voce.

Che dire: alla fine Olindo e Rosa sono rimasti al gabbio, Morgan tutto sommato se la cava, anche Corona aveva da fare, vai con l'ufficiale in congedo. Ma capite che siamo al raschio del barile. La scarsa affluenza alle urne è un problema di casting, come all'Isola dei Famosi dove non diventano più famosi neanche dopo esserci andati. E ora? Donne barbute, nani proiettile? Avessi un circo, comincerei a rifletterci.

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Dalle urne solo buone notizie (le cattive le avete già lette)

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Il Post

– Lamentarsi dei risultati elettorali è pratica molto diffusa, evidentemente appagante per chi si lamenta e forse anche per chi questi lamenti li ascolta o li legge. Lo dico perché continuo a vedere gente che si lamenta ancora prima di aver letto i risultati definitivi: e quando i risultati definitivi smentiscono le previsioni di catastrofe, continuano a lamentarsi perché il copione è quello, mica puoi aspettarti che improvvisino. Non è che non li possa capire: è difficile rinunciare a un bel frame quando te lo prepari da mesi. L'Europa doveva spostarsi a destra; un po' effettivamente è successo, ma non così tanto. Non importa, ormai nei cassetti c'è tutto un fior di riflessioni sullo spostamento a destra e devono pubblicarle. Non è un vero problema, tanto non le leggiamo più.

– Non leggiamo più, quindi perché lamentarci di una stampa asservita ai potenti di turno. Personalmente ho smesso di indignarmi per Vespa, per Mentana e per tutti gli altri tromboni che si ostinano a mettersi tra noi e le notizie in tv: pensionati che intrattengono pensionati, lasciamo che si seppelliscano da soli. I giovani non li conoscono, se non come feticci da evitare. I social, nel tentativo quotidiano di farmi litigare con qualcuno, nei mesi scorsi mi hanno mostrato dallo specchio un pezzo d'Italia particolarmente sgradevole, guerrafondaio, filosionista, ben rappresentato sui media, qualcosa che poteva realmente farmi preoccupare. Poi si va alle elezioni e quel pezzo si rivela un pezzetto, un pezzettino che non valeva il mio tempo e la mia preoccupazione. I giovani non sono guerrafondai, non sono filosionisti, e crescendo spesso in scuole multietniche non sono neanche particolarmente razzisti. Certo, hanno tutto il tempo per diventare stronzi come i loro genitori, ma non deve succedere per forza di cose. Quel che è chiaro è che non guardano la tv, non leggono, non si informano; e finché tv e giornali sono messi come sono messi continuerò a dire: meno male.

– La gente non legge, non si informa, e in molti casi non va a votare. I vecchi personaggi (Berlusconi) sono morti o in pensione, i personaggi noti (Renzi, Salvini, Conte) sono tutti a fine ciclo o in ciclo calante (compresa aa Meloni, che in termini assoluti ha perso voti), i personaggi nuovi non forano particolarmente malgrado si diano da fare (Schlein) o godano dell'attenzione morbosa di una stampa in crollo di vendite (Vannacci sempre in homepage su Corriere e Repubblica). Più che delusi, credo che molti non elettori siano annoiati o semplicemente non interessati. I talk televisivi sono una zuppa sempre più respingente, i social un labirinto di specchi che invece di metterci in comunicazione con gli altri ci restituisce versioni caricaturali di noi stessi: possono convincere qualche mitomane di avere un seguito nazionale sufficiente a candidarsi, ma non lo mettono in contatto con gli elettori che dovrebbero scoprire di avere interessi in comune con lui. La gente è mediamente meno informata che dieci anni fa, ma quando era più informata votava anche peggio. Almeno si è capito che non abbocca agli ami. 

– Io a lamentarmi non mi diverto, e da queste elezioni riesco a trovare solo notizie positive. C'è gente che pensava di fare campagna elettorale sugli insetti fritti, o sui tappi delle bottiglie di plastica. Questa gente per lo più Bruxelles la vedrà in cartolina. C'erano una volta i no euro, ve li ricordate? Erano una legione. Hanno concentrato i loro sforzi su un ufficiale in congedo che ora può ripassarsi tutti i gay bar di Bruxelles a spese loro (e nostre). Nunc est bibendum, per dirla come i vecchi politici.

 – Dopodiché, certo, aa Meloni tiene: ma non sfonda come sfondò Renzi dieci anni fa, e ora dovrebbe giocarsi tutto con una riforma istituzionale come Renzi dieci anni fa. Scopriremo in quest'occasione se è persino meno avveduta di quanto fu Renzi dieci anni fa. Io la credo un po' più furba, se non altro perché fa politica da prima di Renzi, e lo ha visto passare: possibile che voglia davvero commettere lo stesso errore? Quindi i casi sono due: o dopo queste europee rinuncia al premierato, o va avanti e casca come cascò Renzi. C'è persino una terza ipotesi, piuttosto hard: mettiamo che riesca a realizzare il premierato, con o più facilmente senza referendum confermativo. Le europee ci dicono comunque che è in fase calante, e la storia di questo decennio postberlusconiano ci dice che nessun leader ha un secondo ciclo a disposizione. Grillo non lo ha avuto, Renzi nemmeno, Salvini nemmeno, Conte nemmeno. Non c'è nessuna buona notizia all'orizzonte paa Meloni, solo guerre e tasse e debiti, e sempre meno margini per incolpare la gestione precedente. Persino se riuscisse a coronare il sogno almirantiano di una repubblica semipresidenziale, aa Meloni starebbe semplicemente confezionando gli stivali che qualcun altro indosserà, ma chi? Chi è l'unico personaggio politico in fase crescente? Ecco, questo è buffissimo, perché mi guardo in giro e vedo solo Elly Schlein. E mi viene da ridere, non dite che non sarebbe divertente, ritrovarsi Elly Schlein super-premier d'Italia, grazie al suo impegno ma anche alla ciclopica ottusità degli avversari. Non succederà, ma se succedesse, oh beh. 

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L'ingegnosità del massacro

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Quando dico che a Gaza è in gioco la nostra umanità, mi riferisco a fatti come questo: non solo che per liberare quattro ostaggi si siano uccise più di duecento persone, ma che un episodio del genere sia presentato come un successo. Un'ecatombe, in cui forse hanno trovato la morte altri ostaggi, Netanyahu deve vendercela come la dimostrazione che la sua strategia sta funzionando; e noi compriamo. Basta accendere la tv per scoprire che il rapporto tra duecento civili palestinesi e quattro ostaggi israeliani è perfettamente ok. Sono cresciuto negli ultimi decenni del secolo scorso, di guerre ne ho viste parecchie, per fortuna quasi tutte su un video. Un cinismo del genere, un disprezzo così esibito per le vite dei "nemici", non me lo ricordo nemmeno nei giorni più oscuri della Guerra al Terrore. È un fatto nuovo, forse un'avvisaglia dei nuovi tempi che incombono, delle prossime guerre e delle prossime migrazioni e del razzismo che provocheranno, che stanno già provocando. Evidentemente non possiamo più permetterci di provare pietà per tutti; senz'altro non possiamo più provare pietà per i palestinesi. Così Netanyahu ci chiede di essere felici perché senza cedere a nessun compromesso è riuscito a liberarne quattro, e noi festeggiamo. Qualche mese fa era bastato un accordo temporaneo con Hamas per portarne a casa un centinaio, ma questo è meglio dimenticarselo. 

Da quel che ci è dato sapere, il commando che ha provato a liberare gli ostaggi israeliani è partito dal molo che gli USA avevano costruito per motivi umanitari, (la consegna di aiuti umanitari via nave, che ha funzionato poco e male). Lo stesso commando si sarebbe nascosto in un convoglio umanitario. Tutto questo, ci spiegano i commentatori israeliani, dimostra l'abilità dell'esercito israeliano, la sua irrefrenabile inventiva. Lo stesso Netanyahu in conferenza stampa ha lodato "l'ingegnosità e l'audacia" di Israele, e questo è persino buffo, dopo anni e anni in cui Netanyahu e colleghi non smettevano di lamentarsi del fatto che i combattenti palestinesi si mimetizzavano... tra i convogli umanitari e le strutture sanitarie. Questo non dovrebbe più stupirci: ormai abbiamo capito che la moralità di ogni azione dipende semplicemente dal sionismo di chi la compie. L'IDF è l'esercito più morale del mondo, quindi se camuffa un commando in un furgone umanitario, questa è "audacia"; se lo fanno i palestinesi è detestabile, slealissimo terrorismo. 

I quattro ostaggi, per ora, non hanno accennato a torture e molestie, e questo è in linea con quanto abbiamo appurato fin qui: non c'è una sola vittima delle torture e delle molestie dei miliziani palestinesi che sia sopravvissuta per parlarne in prima persona. Viceversa abbiamo testimonianze di palestinesi scarcerati dal campo di prigionia di Sde Teiman che affermano di essere stati sodomizzati. con bastoni e altri strumenti. 

Non so più dove ho letto che ogni accusa di un sionista è una confessione. Per mesi, mentre il conteggio delle vittime civili aumentava paurosamente, e le demolizioni rendevano chiara al mondo l'idea di un'operazione di pulizia etnica, hanno scelto di difendersi accusando i miliziani palestinesi di "stupro di massa". Non hanno mai trovato le prove, ma intanto includevano lo stupro tra le pratiche con cui interrogano i prigionieri. Per anni hanno accusato i palestinesi di usare scuole, ospedali e strutture assistenziali dell'UNRWA come basi militari: anche qui, non sono mai riusciti a dimostrarlo, mentre invece abbiamo numerose testimonianze che ci dicono che il commando che ha liberato gli ultimi ostaggi era nascosto in un convoglio umanitario. Per mesi hanno abusato della nostra pazienza lamentandosi perché qualche studente cantava "From the river to the sea", con evidente proposito genocida: e intanto sbandierano allegramente mappe e canzoni che prevedono l'annessione di tutti i Territori. Quando dico che a Gaza è in gioco la nostra umanità, mi riferisco a quell'enorme trappola in cui è caduta l'ideologia sionista: giustificare ogni errore, ogni crimine, postulando che il nemico prima o poi ne abbia fatto uno peggiore. Bastano pochi anni, lo abbiamo visto, per convincere la maggioranza di un popolo che qualsiasi nefandezza è giustificata, anzi necessaria. Abbiamo visto Israele cadere in questa trappola: che sia almeno monito per chi le sta intorno.   

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Quando i teologi cantavano

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9 giugno: Sant'Efrem il Siro, teologo e cantautore (306-372)

Nel quarto secolo, terminata la grande persecuzione dioclezianea, i cristiani tornano in superficie e per prima cosa si mettono a cantare. Potrebbe non esserci stato un altro periodo della storia dell'uomo in cui teologia e musica fossero tanto intrecciati; quasi tutti gli intellettuali del tempo non solo compongono inni, ma li usano per difendere le proprie teorie, e spesso li intonano direttamente nelle chiese in cui officiano i riti. Oggi li immaginiamo perlopiù mentre vergano pergamene o insegnano da un pulpito, ma nel IV secolo i dottori della chiesa componevano canzoni e le cantavano, col coro a rispondere. Cantava Ambrogio a Milano; cantava Diodoro ad Antiochia; ad Alessandria canta anche Ario, su musiche popolari che gli consentono di spargere le sue idee per le strade quando la Chiesa ufficiale gli volge le spalle. A Edessa, Siria (oggi Şanlıurfa, Turchia) andava forte un tale Armonio, figlio d'arte perché già il padre Gardesano a Nisibi aveva messo le sue idee gnostiche in musica; ma fu il successo di Armonio a stimolare il monaco Efrem a mettere in musica la sua dottrina.  Non sappiamo che musica fosse, perché non si sono tramandate forme di notazione comprensibili, ma può darsi che ci suonerebbe familiare, visto che Efrem componeva su arie della tradizione popolare, e la musica è un linguaggio più universale di quanto non si creda. Poi si sa come andavano le cose, non solo nel medioevo: quando si voleva salvare una bella canzone in siriaco, la si attribuiva a Efrem, per cui di lui ci sono arrivate centinaia di pagine in poesia e in prosa, dalle quali ricavare quelle davvero scritte dal monaco non è affatto facile. Questo è comunque un miracolo, se si considera quanto poco ci è rimasto di tutto il mondo che Efrem rappresentava. La sua lingua, il siriaco, che in quei secoli era una delle più parlate dai cristiani (e la più simile alla lingua di Gesù, l'aramaico occidentale), scomparve quasi del tutto dopo l'islamizzazione della regione, togliendoci gran parte della sensibilità necessaria ad apprezzare la musicalità e il ritmo delle composizioni di Efrem. La stessa comunità siriaco-cristiana cui apparteneva era già a rischio: se durante l'infanzia di Efrem l'impero Romano era ancora il nemico dei cristiani, la situazione si sarebbe ribaltata dopo il 310 quando i Romani divennero abbastanza rapidamente i difensori della fede cristiana contro la penetrazione persiana; il grande trauma della vita di Efrem è la conquista persiana di Nisibi, la sua città natale, dove a quanto pare, malgrado l'appellativo "monaco" suggerisca una vita appartata viveva e predicava. Ai cristiani fu consentito di salvare la vita abbandonando la città. Efrem, che secondo i biografi avrebbe partecipato attivamente alla difesa durante l'ultimo assedio, in seguito si sarebbe trasferito con molti altri correligionari a Edessa, fondando un monastero; sarebbe morto nel 372, assistendo i malati di peste.
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Il santo dei ladri di bestiame

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8 giugno: San Medardo vescovo (VI secolo)

"S'il pleut à la Saint-Médard, il pleut quarante jours plus tard". La leggenda che associa San Medardo agli acquazzoni estivi prevede che il giovane aspirante santo incontri, all'età di dieci anni, un poveraccio disperato perché gli è morto il cavallo e non sa più come tirare il carretto o l'aratro. Decide quindi di donargli il suo, è una cosa che i santi fanno spesso, anche prima dell'introduzione delle stimmate avevano già le mani bucate; invece una cosa che fanno spesso i genitori dei santi è imbestialirsi quando scoprono che i figli stanno facendo i santi a spese loro. Il padre di Medardo, un nobile galloromano chiamato Nectar, quando scopre che suo figlio sta elargendo cavalli, esce immediatamente dal castello per andare a riprenderselo, e si porta il bambino con sé: ed è a questo punto che scoppia un violento acquazzone e Nectar, già completamente fradicio, si volta verso Medardo e si accorge che è completamente asciutto. Un'aquila lo sta riparando dalla pioggia battente; è un miracolo, un segno del cielo, insomma addio cavallo. I padri dei santi si devono rassegnare, magari sperando che col tempo i figli mettano la testa a posto, insomma quando toccherà a loro gestire il patrimonio la smetteranno di regalare cavalli a destra e a manca, o no? 

In effetti le leggende non riportano altri straordinari atti di prodigalità commessi da Medardo una volta cresciuto e ordinato sacerdote; un conto è regalare i cavalli del padre, un conto è intaccare il patrimonio della Chiesa. E tuttavia le leggende non nascondono un atteggiamento piuttosto eccentrico del santo nei confronti dei ladri. Quando Medardo ne scopre uno incastrato nei filari della vigna, lo perdona e lo lascia scappare, e questo fatto è registrato come "miracolo" benché ai nostri occhi contemporanei non risulti nulla di miracoloso, se non appunto la resistenza all'impulso di bastonare il ladro di frutta. Una cosa simile accade a un ladro di miele, che Medardo salva dalle api. Quando un altro furfante che nottetempo cercava di sottrarre una mucca viene tradito dal tintinnare delle campanelle, Medardo le fa tacere all'improvviso, dopo che avevano già svegliato tutto il vicinato: questo è già più simile a un miracolo, ma è un miracolo che serve a coprire la fuga del ladro di bestiame, che se ne va con la mucca di Medardo! Il quale è tradizionalmente considerato patrono dei prigionieri, di chi soffre di una malattia mentale o di semplice emicrania, degli agricoltori e dei birrai; ma a leggere storie del genere ci si domanda se per caso non sia anche il patrono ufficioso dei ladri. E se questo abbia a che fare con la sua popolarità in Francia, e con l'ascendente che ebbe Medardo su un ladro e assassino come re Clotario I.

In effetti il culto per Medardo comincia immediatamente dopo la sua morte (intorno alla metà del VI secolo), quando il re Clotario lo fa seppellire nella sua capitale, Soissons (oggi nell'Aisne), in un sito intorno al quale sorgerà una delle più importanti abbazie benedettine della Francia. Lo stesso Clotario si farà costruire la sua tomba lì accanto. Ma cosa aveva fatto Medardo, per meritare siffatti onori da parte di un re che aveva passato la vita a dar guerra a Visigoti, Burgundi, Turingi, nipoti, fratelli, figli? Lo aveva aiutato a sbarazzarsi di una moglie, Radegonda. 

No, non in modo cruento. Anzi, era stato forse uno dei pochi casi in cui Clotario era riuscito a risolvere un problema senza spargere sangue (era il tipo di re che quando un figlio si ribellava non condannava a morte soltanto lui, ma anche nuora e nipotini). Probabilmente Clotario non aveva mai amato Radegonda: l'aveva requisita come bottino di guerra in quanto figlia di un re di Turingia – quella volta che lui e un suo fratello avevano attraversato il fiume Unstrut sui cadaveri – e l'aveva sposata per le solite questioni politiche. Per le stesse questioni politiche gli era successo in seguito di far ammazzare un cognato; a quel punto Radegonda, rimasta senza parenti, era scappata, temendo per la sua stessa vita, e conoscendo i precedenti dei mariti è difficile darle torto. Clotario era un gangster; non è chiaro se aspirasse a unificare la Francia ammazzando tutti i parenti che ne possedevano una parte, o se l'unità della Francia fu semplicemente il risultato della sua propensione a uccidere tutti i parenti di cui poteva reclamare l'eredità. Presto o tardi avrebbe sentito la necessità di sposarsi con qualche altra principessa fornita di dote: tanto più che Radegonda non riusciva a dargli figli, almeno maschi. Così decise di scappare, e Dio fece crescere in un istante l'avena in un campo dove si era nascosta mentre le guardie di Clotario la cercavano. Trovò rifugio presso Medardo, che invece di riconsegnarla al re ebbe l'idea di nominarla diaconessa: Radegonda avrebbe trovato sollievo alle sue pene nella vita claustrale e fondato un monastero femminile a Potiers, una città assai distante dalle grinfie del marito. Invece di prendersela con Medardo, come alcuni temevano, Clotario ebbe da quel momento grande considerazione per lui e lo fece seppellire con tutti gli onori, poco prima di raggiungerlo. Aveva appena unificato la Francia, ma siccome la nuova moglie (che forse era una vecchia concubina) gli aveva dato cinque figli maschi, le guerre fratricide ripresero abbastanza presto. 

Secondo i francesi, se piove oggi, piove per altri 40 giorni – a meno che non faccia bello a San Barnaba, che è l'11. E almeno di pioggia i francesi s'intendono. 

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Norberto il fulminato

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6 giugno: San Norberto di Magdeburgo, vescovo e predicatore (1080-1134)

Di Norberto si racconta che cambiò vita dopo essere stato colpito da un fulmine, non sulla strada di Damasco ma nei pressi di Magdeburgo, capoluogo della Sassonia centrale. Norberto a dire il vero era già un chierico importante, tanto che aveva accompagnato l'imperatore Enrico V a Roma per la sua incoronazione. Per cui agli agiografi non resta che immaginare che fosse già un sacerdote, sì, ma di quelli un po' mondani che pensano più agli intrighi di corte che alla cura delle anime. L'episodio del fulmine potrebbe persino alludere a un episodio più concreto: il provvedimento di scomunica con cui il papa Pasquale colpì l'imperatore, visto che quest'ultimo continuava a nominare vescovi come se fosse una sua prerogativa. Proprio nello stesso periodo Norberto si sgancia dalla corte imperiale e comincia a dedicarsi alla predicazione e alla vita cenobitica. 

L'idea del fulmine ovviamente ricalca la caduta di san Paolo, però è davvero una coincidenza singolare che una storia simile si racconti anche di Martin Lutero, che sarebbe nato 400 anni dopo, ma a pochi km di distanza da Magdeburgo, a Eisleben. Anche nel suo caso un fulmine lo avrebbe convinto ad abbandonare gli studi giuridici e a farsi monaco. Lutero entrò nel monastero agostiniano di Erfurt; Norberto, 400 anni prima, ne fonda uno in Piccardia, a Premontré. I suoi monaci, che saranno chiamati premostratensi, seguono la regola agostiniana ma ai doveri del monastero aggiungono la predicazione del Vangelo nelle campagne. In pratica sono l'anello di transizione tra il monachesimo contemplativo e gli ordini predicatori che si diffonderanno nel secolo successivo, domenicani e francescani. Lutero – anche lui grande predicatore – invece abolirà tutti gli ordini monastici, insomma un fulmine può darti anche la scossa, ma la direzione in cui schizzi via la scegli sempre tu.
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Bonifacio l'abbattitore

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5 giugno: san Bonifacio (675-754), evangelizzatore e taglialegna 


A un certo punto, non si sa bene quando, qualcuno ha messo in giro la voce che san Bonifacio/Winfred di Magonza sia l'inventore dell'albero di Natale. Lo avrebbe addobbato per la prima volta nel 724, "per spiegare alle popolazioni pagane il senso del Natale". Le candele accese sui rami simboleggerebbero "la discesa dello Spirito Santo sulla terra", discesa che a rigore si festeggerebbe più a Pentecoste che a Natale, insomma, è una storiella messa in giro da qualcuno non troppo esperto di queste cose – magari un protestante. Alla lontana richiama quegli espedienti di inculturazione che sono tipici dei pionieri dell'evangelizzazione, e qui forse giova ricordare che "pagano" deriva da "pagus", campagna: abbiamo cominciato a chiamare "pagani" i non cristiani quando ormai i centri urbani erano cristianizzati e i politeismi erano considerati superstizioni da contadini. Bonifacio, patrono di Germania e Olanda anche se era un benedettino nato in Inghilterra, ha appunto dedicato la sua vita all'evangelizzazione dei pagi: il papa Gregorio III, che lo aveva ribattezzato Bonifacio, lo aveva nominato vescovo di tutta la Germania, ma in concreto la zona in cui riusciva a esercitare le sue funzioni era quella intermedia tra Frisonia, Renania e Francia orientale, intorno alla sua sede di Magonza. Ora si sa che molti di questi evangelizzatori di massa non vanno per il sottile e hanno il battesimo facile, anche di fronte a popolazioni che ancora non capiscono la lingua delle preghiere: prima battezzare, dopo spiegare, magari tu non capirai ma tuo figlio sì. Ovviamente gli idoli pagani vanno distrutti, ma senza essere troppo drastici, specie nei confronti di elementi naturali che in effetti possono essere impossibili da rimuovere: ad esempio un monte è sacro a qualche dio? Mica si può distruggere il monte: ma ci si può mettere un santuario cristiano e nel giro di una generazione il dio è sostituito. Quanto all'albero di Natale, è ovvio che si trattava di un'usanza precristiana. Di giudaico-cristiano non ha veramente nulla, in Palestina i pini, quando ci sono, hanno tutt'altra forma. Quindi Bonifacio avrebbe potuto davvero prendere un'usanza pagana e riutilizzarla in senso cristiano: i missionari queste cose le hanno sempre fatte, e qualcuno senz'altro deve averlo fatto con gli alberi di Natale, visto sono sopravvissuti a duemila anni di cristianesimo. 

Ma è difficile che sia stato Bonifacio. Lui in questa cosa dell'inculturazione non ci credeva così tanto: dai suoi scritti e dai suoi atti risulta un personaggio piuttosto intransigente, e poco conciliante con i rigurgiti di paganesimo che riscontrava intorno a lui. Quanto agli alberi pagani, preferiva tagliarli. Uno degli episodi più celebri della sua vita è appunto l'abbattimento della sacra quercia di Fritzlar, in Assia. La quercia era considerata proprietà di Thor, ragione per cui la popolazione accorsa ad assistere era curiosa di vedere se il monaco inglese sarebbe stato fulminato all'istante: probabilmente non ci credevano del tutto; ci credevano come noi crediamo all'oroscopo o alle previsioni del tempo, ma se poi il fulmine cadeva davvero, volevi perdertelo? Così accorsero in tanti, anche perché l'avvenimento era stato dovutamente pubblicizzato: in data tale il vescovo di Magonza abbatterà la Quercia. Nessuno provò a trattenerlo, probabilmente perché Bonifacio era il braccio spirituale del potere carolingio ed era scortato da guardie del maestro di palazzo. E non dovette nemmeno sudare troppo perché appena cominciò il lavoro con l'accetta, in luogo dei fulmini si alzò un gran vento che sradicò la pianta, il che provocò migliaia di conversioni spontanee. Col legname ricavato Bonifacio avrebbe poi eretto la chiesa di un nuovo monastero in loco. Secondo una leggenda più tarda, proprio dai resti dell'albero sarebbe germinato l'abete che Bonifacio avrebbe deciso di addobbare, e qui è chiaro che l'idea di associare al santo l'albero di Natale è un tentativo un po' maldestro di addolcire un personaggio spigoloso. Bonifacio non amava i compromessi, malsopportava sia la rozzezza dei pagani sia la scarsa dimestichezza dei cristiani con i principi e la lingua della loro stessa religione: a un certo punto fu censurato dallo stesso papa perché voleva considerare nulli i battesimi impartiti con formule sgrammaticate ("Baptizo te in nomine patria et filia et spiritu sancta"). Malgrado i monasteri fondati (tra cui Fulda), i concili organizzati, le diocesi disegnate, i popoli battezzati, le querce sacre abbattute, non fu mai veramente soddisfatto di quello che stava facendo e non smise mai di provarci, così che il martirio lo trovò a ottant'anni in un pagus della Frisonia, una domenica di Pentecoste, circondato da infedeli che pensavano di trovare nei suoi bauli preziosi gioielli e non libri sacri. Ai suoi compagni chiese di abbassare le armi, tanto "non possono uccidere la nostra anima": poi quando gli infedeli lo stavano ammazzando non riuscì a impedirsi di difendersi col libro che aveva in mano, il De bono mortis di Sant'Ambrogio. Oggi il codice, coi segni di un'arma da taglio e macchie di sangue, è conservato a Fulda.



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Quirino che chiese di affondare, anzi no

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4 giugno: San Quirino di Sciscia (Siszeck), martire (III-IV sec.)

By Berthold Werner, CC BY-SA 3.0

Se per un po' è sembrato che Internet potesse diventare la Biblioteca di Alessandria – l'archivio di tutte le cose che sappiamo o crediamo di sapere – ormai dobbiamo accettare che sia diventato la Biblioteca di Babele: un enorme corpus di testi che potrebbero persino avere senso, e forse un tempo l'avevano, ma poi è intervenuta una specie di Intelligenza Artificiale abbastanza intelligente per ricombinarli come se volessero dirci qualche cosa, ma non abbastanza per verificare se fosse qualcosa di vero. La maggior parte in ogni caso è pubblicità di cose che molto spesso nemmeno esistono; all'inizio servivano soltanto a infastidire il lettore e convincerlo a passare a una versione a pagamento di un servizio che non comunque non funziona più da anni. 

Di San Quirino comunque sopravvive ancora in qualche vecchia pagina web – ma di quelle vecchie davvero, con gli sfondi marmorizzati, le tabelle htm style e ancora le sottolineature blu sotto i link, ricordate? No, tutto questo ormai vi è più remoto di un manoscritto medievale, perché quelli li potete googlare, mentre il vecchio web degli anni Novanta ora dov'è, perduto come lacrime nella pioggia – ma dovevo parlare di San Quirino, ebbene, di lui sopravvive ancora in qualche vecchia pagina web la voce che lo riguardava su una versione del Martirologio Romano che non è quella attuale (edizione del 2004? del 2001?) Questa voce è così breve che la posso riportare senza troppa paura di annoiarvi:


In una versione più recente del Martirologio, sempre tra i santi del 4 giugno, si legge così:
A Szombathly in Pannonia, nell’odierna Ungheria, passione di san Quirino, vescovo di Siszeck e martire, che sotto l’imperatore Galerio, per la fede in Cristo fu precipitato nel fiume con una pietra legata al collo.

E dunque cos'è cambiato? come si sta evolvendo la martirologia ufficiale? Aumentano i riferimenti geografici: accanto a Siszeck di Croazia ora è menzionata anche Szombathly, oggi in Ungheria (l'antica Savaria, che tra l'altro rivendica anche i natali di Martino di Tours). Meno rilievo invece è dato agli aneddoti miracolosi, qui del tutto sacrificati, forse anche perché un santo che "impetrò Dio di affondare" può lasciare perplessa la sensibilità dei fedeli moderni: non si chiede mai a Dio di morire, anche quando si sta affogando già da parecchio tempo e tutto quello che si poteva fare per rendere testimonianza è stato fatto. Sarebbe eutanasia, e il cristiano moderno deve avere orrore per l'eutanasia, molto più di quanta probabilmente ne provava Prudenzio. Dal martirologio è poi sparito il riferimento a un omonimo Quirino di Tivoli, che si festeggia sempre il 4 giugno e da sempre è considerato lo stesso santo, le cui reliquie sarebbero arrivate a Tivoli da Szombathly già nel V secolo. Oggi riposano a San Giuseppe in Seregno, provincia di Monza e Brianza.

Se invece chiedo a Chat Gpt, lui mi risponde che:
Durante le persecuzioni dei cristiani sotto l'imperatore Galerio, Quirino fu arrestato e condannato a morte per la sua fede. Fu gettato nel fiume Raab (oggi il fiume Rába in Ungheria) con una pietra al collo e morì per annegamento.

Wikipedia invece dice che fu gettato nel fiume Perint, che in effetti passa da Szombathly. E in generale credo più all'intelligenza umana di Wiki che a quella artificiale di ChatGpt, che prende spesso solenni cantonate. Ma tra un po' i collaboratori di Wiki cominceranno ad attingere sistematicamente informazioni da ChatGpt, causando referenze circolari che renderanno impossibile documentarsi di qualcosa su Internet. A questo punto non saprei nemmeno più dire se sia un problema. Cioè, capitemi, Internet è stata fantastica, ci ho vissuto per quanti anni, trenta? Il posto più interessante dove sia stato. Ma non era previsto che durasse per sempre, quello che la rendeva fantastica era proprio una serie di difetti strutturali che la condannavano a diventare col tempo la Babele inanimata che è adesso. Per fortuna che nel frattempo non abbiamo bruciato tutte le biblioteche. 
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Un beota a Trani

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2 giugno: San Nicola di Trani (XI secolo), il pellegrino beota


Anche Trani ha il suo san Nicola, meno conosciuto di quello di Bari (che è in effetti il santo più famoso di tutti, quello che porta i regali ai bambini la notte di Natale). Il Nicola di Bari fu vescovo in Licia e patrono dei naviganti; il Nicola di Trani invece era un beota, nel senso che proveniva anche lui da oriente ma nello specifico da un villaggio della Beozia, non troppo lontano dal Parnaso. 

Tra i Greci già in epoca classica era uso chiamare "beoti" gli stupidi, per via dell'antico pregiudizio dei nobili abitanti delle acropoli nei confronti dei pastori e dei montanari. Ma anche tra questi ultimi Nicola era un caso limite: orfano di padre, pastore già a otto anni, non è chiaro se non abbia mai imparato a parlare o se le sue competenze lessicali si siano ridotte a causa di un trauma (una "visione") a un'unica invocazione: Kyrie Eleison, Signore Pietà. Il comportamento di Nicola rientra nella casistica dei "folli di Dio", tipici del cristianesimo orientale (anche se al tempo erano ormai anacronistici): emarginati dagli atteggiamenti eccentrici, che mettono alla prova la tolleranza che il Vangelo pretende dai suoi fedeli nei confronti dei poveri di spirito. Tollerare Nicola doveva essere una prova particolarmente ardua, perché all'ennesimo kyrieleison anche la madre lo caccia di casa (a dodici anni!) Per qualche tempo si rifugia nella grotta in cui prima viveva un'orsa che Nicola era riuscito a sloggiare brandendo un crocefisso, e magari anche in questo caso mitragliando kyrieleison. In seguito la madre si fa venire uno scrupolo e lo porta in un monastero, ma Nicola non è evidentemente tagliato per la vita cenobitica e in poco tempo riesce a farsi percuotere e rinchiudere. Tra i vari incidenti, notevole quella volta che durante una processione, mentre tutti chinano la testa al passaggio di un'icona della Madonna, lui va a inchinarsi davanti a un anziano ebreo che era rimasto seduto, forse un rabbino. Ma con le icone non si scherza, nella Grecia bizantina. Un'altra volta i monaci lo legano come un salame e lo buttano in mare, ma lui riesce a farsi liberare da un delfino, anche se non è chiaro come facciamo a sapere tutto questo, visto che quando arriva nel 1094 a Otranto, Nicola è tutto solo e l'unica cosa che sa dire è Kyrie Eleison. Il testimone oculare citato dalle agiografie, un compagno di eremitaggio chiamato Bartolomeo, non sembra conoscere molto della Beozia: probabilmente si è aggregato a Nicola solo dopo l'arrivo in Puglia. Dunque tutto quello che sa se l'è fatto raccontare da Nicola, che quindi qualche parola oltre a Kyrie Eleison doveva saperla dire: che poi queste parole dicesse la verità, non possiamo saperlo.   

Nicola era arrivato in Puglia perché desiderava visitare Roma, e si era imbarcato con una comitiva di pellegrini che però lungo il viaggio avevano deciso di buttarlo a mare. Anche in Puglia, l'accoglienza non è delle migliori. Nicola si fa strada mendicando nella parte più grecofona della regione recentemente conquistata dai Normanni, ma sia a Lecce che a Taranto viene frustato per ordine dei vescovi locali. Un minimo di rispetto il santo sembra ottenerlo dai bambini, ai quali dona dei frutti, ma questo dettaglio potrebbe anche essere il risultato di una contaminazione col Nicola più famoso, che è famoso proprio per i regali. Quando il 20 maggio Nicola arriva a Trani, trova per la prima volta un arcivescovo che lo tratta da cristiano e gli offre vitto e alloggio. Doveva essere talmente malato da ispirare finalmente più pietà che fastidio: muore dodici giorni dopo. Gli abitanti di Trani, che non hanno fatto in tempo a stancarsi dei suoi kyrieleison, imparano ad apprezzarlo per i miracoli. Il vescovo soprattutto coglie la palla al balzo: deve consacrare la cattedrale che era in cantiere già da parecchio, e un "Nicola" venuto dall'oriente sembra un segno del cielo. Quando scrive a papa Urbano II per chiedergli il permesso di canonizzarlo, è il 1097: sono passati appena dieci anni da quando i resti dell'altro San Nicola sono arrivati a Bari. Il papa acconsente (creando un precedente importante), e anche Trani può invocare il suo San Nicola. Kyrie Eleison.

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Il santo nella porta

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1° giugno: Simeone di Siracusa (XI secolo), eremita e viaggiatore

A Treviri hanno la sensazione di vivere in una città antichissima – se ricordo bene c'è una targa in piazza che dice che è stata fondata mille anni prima di Roma. Questo è evidentemente impossibile, a quei tempi era tutta foresta; ma Treviri è l'ultima città sulla Mosella prima che il fiume si getti nel Reno, dopodiché cominciava la Germania vera e propria, che sarebbe rimasta foresta anche mille anni dopo: ai bordi di questo oceano verde, Treviri si sentiva una metropoli e fece il possibile per conservare quest'illusione. Certe rovine che in altre città facevano tristezza e venivano smantellate, con quel che costava cuocere mattoni nuovi nel medioevo, a Treviri in un qualche modo resistettero: compresa un'intera porta monumentale, la più grande testimonianza architettonica del periodo romano a nord delle Alpi. In parte il merito è anche di un santo, che andò ad abitarci quando ormai era un rudere. Si chiamava Simeone e veniva, di tutti i posti al mondo, da Siracusa. E prima di accamparsi nella Porta Nigra di Treviri era cresciuto a Costantinopoli, rapito in mare, naufragato ad Antiochia, aveva cercato di riscuotere un credito in Bretagna, ed era tornato in Terrasanta come guida turistica. 

Una vita del genere è il segno che il Medioevo ormai ha scollinato: prima dell'anno Mille non sarebbe stata possibile e anche ai tempi di Simeone era abbastanza straordinaria. Il mondo cominciava a rimpicciolirsi, al punto che persino a un monaco come lui, che aspirava probabilmente a una vita studiosa e tranquilla, capitava di frombolare da un punto all'altro del mondo conosciuto come una trottola. Se il primissimo viaggio di Simeone (a sette anni, da Siracusa a Costantinopoli) non era che la tipica traiettoria del bambino di buona famiglia che i genitori vogliono far studiare nella capitale – Siracusa era ancora grecofona, e controllata dai bizantini – il pellegrinaggio in Terrasanta compiuto al raggiungimento della maggiore età è uno dei pochi che Simeone sembra aver compiuto per sua libera scelta, anche se una volta arrivato nei luoghi santi (non ancora insanguinati dalle Crociate), Simeone sembra indeciso tra la vocazione all'eremitaggio in solitudine e l'ingresso in un monastero organizzato. Questa indecisione gli consente di guardarsi un po' intorno. Tra i luoghi in cui si ritira c'è il Giordano, una grotta vicino al Mar Rosso, la cima del Sinai. Forse è questa irrequietezza a suggerire ai confratelli che Simeone è l'uomo giusto per una missione quasi impossibile: andare a batter cassa presso un creditore del monastero, Riccardo II duca di Normandia. 

All'inizio del XI secolo i Normanni ormai è possibile trovarli un po' dappertutto, compreso in Italia meridionale dove combattono per il migliore offerente; ma Riccardo no, per trovare Riccardo bisogna proprio attraversare tutto il mondo conosciuto e chiedergli udienza in Normandia. Il viaggio di Simeone si complica subito: la nave in cui si era imbarcato viene assalita dai pirati. Il santo si salva tuffandosi e nuotando fino a riva; arriva a piedi ad Antiochia e qui fa la conoscenza con due illustri pellegrini che stanno tornando in Europa: un altro Riccardo, l'abate di Verdun, ed Eberwino abate di San Martino a Treviri, che anni più tardi scriverà la prima agiografia di Simeone. I tre rimangono compagni di strada fino a Belgrado, dove Simeone viene sequestrato e perde di vista gli altri due. Dopo una serie di vicende avventurose arriva a Roma, da cui può imbarcarsi per la Provenza, dopodiché non resta che attraversare tutta la Francia a piedi per raggiungere finalmente la corte del duca Riccardo II, ma non è così strano che quando finalmente arriva (ci ha messo più o meno cinque anni), il duca sia morto. E siccome gli eredi non sono intenzionati a ripagare nessun debito, Simeone si ritrova straniero in terra straniera, senza fondi per tornare nel monastero base. In un qualche modo riesce a contattare i due vecchi compagni di viaggio, Riccardo ed Eberwino, che gli trovano un ingaggio come guida turistica: accompagnerà Poppone, vescovo di Treviri, nel suo pellegrinaggio in Terrasanta. Presso Poppone, Simeone si trova bene che una volta raggiunta la meta tanto agognata, invece di rientrare nel suo monastero sul monte Sinai, decide di ritornare a Treviri col vescovo, che forse gli ha già promesso un eremo d'eccezione. Si tratta appunto della Porta Nigra, che agli abitanti del tempo doveva sembrare una montagna di pietra – nei primi tempi Simeone fu visto da alcuni come un misterioso stregone appollaiato tra le rovine. Poi col tempo la sua fama di santo si diffuse, e alla sua morte la Porta divenne l'ossatura di una delle chiese più grandi della città, con annesso convento. Lo era ancora al tempo di Napoleone, che fece demolire la chiesa per valorizzare l'originale romano.

Per quanto abbia svolto un ruolo cruciale nella preservazione dell'identità di Treviri, Simeone non ne è ovviamente il cittadino più famoso. Lo si è visto nel 2018, quando il comune, vincendo una certa titubanza, ha accettato il dono della Repubblica Popolare Cinese: una nuova statua di Karl Marx, che era nato a Treviri duecento anni prima. 
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