Una Carta dal valore sconfinato
04/02/2014 Pubblicato su Manifesto
La Carta di Lampedusa è scritta e averlo fatto sull’isola non ha solo un valore simbolico. L’atmosfera di questo piccolo scoglio al centro del Mediterraneo ha invaso anche la sala dell’aeroporto, dove centinaia di attivisti si sono riuniti domenica mattina per l’assemblea finale che ha chiuso la tre giorni. Volevano respirarne l’aria, parlare con i suoi abitanti, toccarne con mano le contraddizioni e, anche se per poco, vivere la quotidianità di questo posto che, più di ogni altro, racconta gli effetti che i confini sono capaci di produrre sulla vita di tutti. Qui dove i diritti dei rifugiati vengono calpestati per il solo fatto di dovervi passare forzatamente, qui dove i diritti degli abitanti sono confinati ai margini dell’Europa.
La sera di sabato un lungo applauso aveva salutato la chiusura dell’ultimo paragrafo della Carta dopo dieci ore di discussioni intense, accese, ma proprio per questo vere. Così la mattina di domenica lo spazio è stato dedicato all’agenda programmatica. Hanno raggiunto la sala riunioni a drappelli, sotto la pioggia, stanchi ma soddisfatti. Ad attenderli hanno trovato le donne dell’isola, che hanno aperto l’assemblea plenaria mescolando le loro voci a quelle dei parenti delle vittime dei migranti scomparsi in mare nel 2011, a quelle degli attivisti europei, a quelle di tante e tanti che hanno preso parola. «Chi abita a Lampedusa non può esercitare il diritto alla salute e all’istruzione al pari degli altri — hanno detto le mamme lampedusane –, non ci sono diritti per noi e neppure per chi sbarca. Per questo un incontro così è per noi una manna dal cielo».
Ora che il testo definitivo è pronto, grazie a un grande sforzo collettivo, il primo punto all’ordine del giorno è diventato l’allargamento di chi ne condivide i contenuti. Chi ha scritto la Carta ha voglia di trasformarla in uno strumento per incontrare altri, ma anche e soprattutto per costruire iniziativa. Il testo è pubblicato su www .mel ting pot .org e sui molti altri portali che hanno partecipato alle giornate di Lampedusa con tutte le indicazioni per sottoscriverla, ma già nelle prossime settimane sarà pronto un blog su cui poter aderire al documento. Poi la discussione si è spostata sul terreno delle proposte. Le prime, quelle dei movimenti romani e siciliani che il 15 e 16 febbraio daranno vita a due manifestazioni al Cie di Ponte Galeria e al Mega Cara di Mineo, per chiederne l’immediata chiusura. Proprio quella dei Cie, è stato più volte ribadito, sembra essere la prima questione su cui misurare la capacità di costruire iniziativa comune. L’attualità lo rende necessario proprio ora che le tante rivolte hanno più che dimezzato il numero di centri di detenzione in attività.
Poi lo sguardo si è spostato sull’appuntamento del prossimo primo marzo, un’occasione, dicono in molti, per guardare alla costruzione di uno spazio europeo dei movimenti. L’appello è arrivato dai migranti di «Lampedusa in Hamburg» e dagli attivisti tedeschi che li sostengono. Il primo marzo saranno in piazza ancora una volta. Ma non saranno gli unici. Anche a Niscemi il movimento No Muos, nell’iniziativa contro l’installazione dell’impianto militare, porterà i temi della Carta che riconosce un nesso inscindibile tra la gestione dei confini e la loro militarizzazione.
Ma non si è discusso solo di mobilitazioni e cortei. Perché la Carta di Lampedusa nasce proprio come tentativo di costruire convergenze e intrecciare diversi linguaggi. È Progré, una rete di supporto legale attiva a Bologna, a proporre, proprio sul terreno dell’attività giuridica, di costruire un percorso comune intorno ai punti messi nero su bianco nella Carta di Lampedusa. Dalla Coalizione Ya Basta e Un Ponte Per la proposta di costruire per la prossima primavera le carovane sulle rotte dell’Euromediterraneo, in Libano, Tunisia e Turchia, per raccontare ciò che accade lì dove l’Europa esternalizza le sue frontiere e dove oggi arriva chi tenta di fuggire da guerre e conflitti.
L’orizzonte dei prossimi mesi guarda al post elezioni europee, quando il nuovo parlamento che siederà a Bruxelles dovrà fare i conti con la questione delle politiche migratorie dell’Unione. L’invito è a una mobilitazione europea prima e dopo la scadenza elettorale, per portare le battaglie dei migranti e quelle contro i confini lì dove i governi europei discuteranno di Frontex, asilo e politiche comuni.
La Carta di Lampedusa muove insomma i primi passi: non un’organizzazione, tengono a sottolineare i partecipanti, ma un patto costituente tra tanti e diversi, un modo per condividere percorsi nei territori e su scala euromediterranea.
La sera di sabato un lungo applauso aveva salutato la chiusura dell’ultimo paragrafo della Carta dopo dieci ore di discussioni intense, accese, ma proprio per questo vere. Così la mattina di domenica lo spazio è stato dedicato all’agenda programmatica. Hanno raggiunto la sala riunioni a drappelli, sotto la pioggia, stanchi ma soddisfatti. Ad attenderli hanno trovato le donne dell’isola, che hanno aperto l’assemblea plenaria mescolando le loro voci a quelle dei parenti delle vittime dei migranti scomparsi in mare nel 2011, a quelle degli attivisti europei, a quelle di tante e tanti che hanno preso parola. «Chi abita a Lampedusa non può esercitare il diritto alla salute e all’istruzione al pari degli altri — hanno detto le mamme lampedusane –, non ci sono diritti per noi e neppure per chi sbarca. Per questo un incontro così è per noi una manna dal cielo».
Ora che il testo definitivo è pronto, grazie a un grande sforzo collettivo, il primo punto all’ordine del giorno è diventato l’allargamento di chi ne condivide i contenuti. Chi ha scritto la Carta ha voglia di trasformarla in uno strumento per incontrare altri, ma anche e soprattutto per costruire iniziativa. Il testo è pubblicato su www .mel ting pot .org e sui molti altri portali che hanno partecipato alle giornate di Lampedusa con tutte le indicazioni per sottoscriverla, ma già nelle prossime settimane sarà pronto un blog su cui poter aderire al documento. Poi la discussione si è spostata sul terreno delle proposte. Le prime, quelle dei movimenti romani e siciliani che il 15 e 16 febbraio daranno vita a due manifestazioni al Cie di Ponte Galeria e al Mega Cara di Mineo, per chiederne l’immediata chiusura. Proprio quella dei Cie, è stato più volte ribadito, sembra essere la prima questione su cui misurare la capacità di costruire iniziativa comune. L’attualità lo rende necessario proprio ora che le tante rivolte hanno più che dimezzato il numero di centri di detenzione in attività.
Poi lo sguardo si è spostato sull’appuntamento del prossimo primo marzo, un’occasione, dicono in molti, per guardare alla costruzione di uno spazio europeo dei movimenti. L’appello è arrivato dai migranti di «Lampedusa in Hamburg» e dagli attivisti tedeschi che li sostengono. Il primo marzo saranno in piazza ancora una volta. Ma non saranno gli unici. Anche a Niscemi il movimento No Muos, nell’iniziativa contro l’installazione dell’impianto militare, porterà i temi della Carta che riconosce un nesso inscindibile tra la gestione dei confini e la loro militarizzazione.
Ma non si è discusso solo di mobilitazioni e cortei. Perché la Carta di Lampedusa nasce proprio come tentativo di costruire convergenze e intrecciare diversi linguaggi. È Progré, una rete di supporto legale attiva a Bologna, a proporre, proprio sul terreno dell’attività giuridica, di costruire un percorso comune intorno ai punti messi nero su bianco nella Carta di Lampedusa. Dalla Coalizione Ya Basta e Un Ponte Per la proposta di costruire per la prossima primavera le carovane sulle rotte dell’Euromediterraneo, in Libano, Tunisia e Turchia, per raccontare ciò che accade lì dove l’Europa esternalizza le sue frontiere e dove oggi arriva chi tenta di fuggire da guerre e conflitti.
L’orizzonte dei prossimi mesi guarda al post elezioni europee, quando il nuovo parlamento che siederà a Bruxelles dovrà fare i conti con la questione delle politiche migratorie dell’Unione. L’invito è a una mobilitazione europea prima e dopo la scadenza elettorale, per portare le battaglie dei migranti e quelle contro i confini lì dove i governi europei discuteranno di Frontex, asilo e politiche comuni.
La Carta di Lampedusa muove insomma i primi passi: non un’organizzazione, tengono a sottolineare i partecipanti, ma un patto costituente tra tanti e diversi, un modo per condividere percorsi nei territori e su scala euromediterranea.