Silk Road Race: Liste, libri e fantasie. In attesa di partire
Venezia - Ho letto il Robison Crusoe che ero un ragazzino di neppure 12 anni che quando i suoi genitori lo portavano a Mestre, al di là di quel ponte senza il quale l’Europa sarebbe un’isola, si sentiva già all’estero. Adesso voi mi chiederete: ma che c’entra il Robinson Crusoe con il Silk Road Race? C’entra, c’entra. Intanto perché è un libro di viaggio. E non lasciatevi ingannare dal fatto che il protagonista rimane per tutto il tempo in un’isola deserta. Robinson Crusoe è un libro che ti apre le porte del mondo perché ti dice che da qualche parte, la fuori, c’è la tua isola deserta. Devi solo uscire a cercarla. E poi, cosa fondamentale per un viaggiatore, il nostro Robison compilava le liste. Già, le liste.
Quando lessi che, appena naufragato, il signor Crusoe prese carta e penna e buttò già l’elenco di tutto quello che poteva recuperare dal relitto per sopravvivere in quello sconosciuto angolo di mondo, mi si schiuse un nuovo orizzonte. Anche io cominciai a compilare liste su liste di tutto quello che avrei dovuto mettere nello zaino, svuotato per l’occasione dai libri di scuola. per i miei viaggi di fantasia. Parlo di cose assolutamente indispensabili come giornalini, fionde, corde, calamite e cerbottane… e salpare verso i mari del sud per cercare l’isola di Stevenson o l’ultimo rifugio delle tigri di Mompracem. Adesso, che ho sul groppone qualche anno e tanti viaggi (sia veri che fantastici) in più, cerbottane e calamite non le metto più in cima alle mie liste. Ma non trascuro mai di compilarle con la massima attenzione, prima di levare gli ormeggi. E’ la mia maniera di dire: ecco, io son qui col corpo, ma con la testa sto già attraversando il deserto del Kazakistan verso le porte di Samarcanda. Anche per questo, la prima voce che compare nelle mie chilometriche liste è sempre quella dei volumi da leggere per documentarmi sul Paese di destinazione. Segue quella delle guide e dei libri da portare con me e che mi faranno compagnia per tutto il viaggio. Il Silk Road Race attraversa una miriade di Paesi e quindi, perlomeno per la prima lista, non ho che l’imbarazzo della scelta. Adesso sto finendo di leggere lo splendido “Stan Trek” di Ted Rall, Beccogiallo Editore. Un originale mix di inchieste giornalistiche, fumetti, avventure, fatti e misfatti capitati all’autore in viaggio per i tanti “stan” che un tempo erano repubbliche socialiste sovietiche. Che dire? E’ uno di quei libri che ti vien da pensare “ma perché non l’ho scritto io?”
C’è visto e visto
Le disavventure descritte da Ted Rall le stiamo già sperimentando adesso, a due mesi (o poco meno) dalla partenza. Avete mai provato ad ottenere un visto d’accesso al Kazakistan? Mi hanno rimandato indietro le foto sostenendo che erano troppo piccole. Ho chiesto se preferivano un A4 o un A3. No. Il formato è sempre quello standard dei passaporti ma l’immagine del volto deve coprire quasi l’intero rettangolo. Sennò non vale.
Ma lo scoglio più grosso, e non ancora risolto, è il visto per il Tajikistan. Un visto da cui non si scappa perché Dushanbe, la nostra meta, è proprio la capitale del Tajikistan. Il visa lo può concedere solo all’ambasciata, ci hanno spiegato. E di ambasciate, il Tajikistan, ne ha solo due in Europa: una a Londra e una a Vienna. Spedire il passaporto? Se non se lo perdono (possibilità che al “toto visti” danno al 35% considerato che la burocrazia tajika non è un modello da citare ad esempio) il problema non sarebbe comunque risolto perché i funzionari dell’ambasciata sostengono che rispedire il documento al mittente esula dai loro compiti. Anche a costo zero: con tassa a carico del destinatario o con pagamento anticipato del corriere. Lo infilano in un qualche cassetto dell’ambasciata e là lo lasciano anche tutta la vita, sino a che qualcuno non passa a prenderlo. Forse hanno paura di adoperare lingua per attaccare bolli.
Come risolveremo, e se lo risolveremo, il problema del visto per il Tajikistan ve lo dirò in un’altra puntata. Anche perché, adesso come adesso, non lo so e non lo immagino neppure. Ma vi posso garantire che, visto o non visto, la Gengis Khar il 29 luglio accenderà il motore con destinazione Dushanbe.
Un altro visto che ci ha fatto ammattire – e risparmiatevi la facile ironia che con tipi come noi non ci vuole quel gran lavoro – è quello per la Santa Madre Russia. Dopo qualche inutile tentativo che minacciava di tirare per le lunghe, l’agenzia ci ha consigliato di prenotare un albergo a Mosca. La concessione del visto, ci hanno spiegato, sarebbe stata in questo modo (quasi) automatica. Mosca. Non San Pietroburgo o Ekaterinburg. No. Solo Mosca. Ma noialtri, per Mosca, mica ci dobbiamo passare (a meno di non programmare una deviazioncina di mille chilometri solo per far contenta l’ambasciata). La nostra pista attraversare soltanto i confini sud della Russia per raggiungere la frontiera col Kazakistan. Non ha importanza, ci hanno spiegato. La prenotazione moscovita è necessaria per aprirci le porte dell’ex repubblica sovietica. Una volta dentro…
E va bene. Facciamo ‘sta prenotazione che ci sa tanto di tangente. Ma se poi ci beccano ad Astrakhan diretti al confine verso il mar Caspio che gli raccontiamo? Che abbiamo rotto la bussola e sbagliato strada?
La Gengis Khar, naturalmente
Come si prepara una povera Ford avuta in regalo per affrontare novemila chilometri di strade che non sempre sono strade? Ci ha ragione il gentile signor Germano che ce l’ha regalata con tanto di benedizione. “Dove è che volete andare? Dus… dus…? Voi siete matti! Prendetevela e portatevela a questa Dus… cosa. Non voglio neppure i 300 euro che vi avevo chiesto ma, nel caso improbabile che ci riusciate, non dimenticatevi di spedirmi una cartolina, eh?” Arrivare a Dushanbe adesso, è un punto d’onore. abbiamo una cartolina importante da spedire! Anzi, ne abbiamo due. Anche il portapacchi è arrivato sulla stessa lunghezza d’onda! L’amico Mauro era così contento che il suo vecchio ferro se ne andasse a spasso per mezza Asia che non ha voluto un euro. E, in più, ha promesso che verrà a Lainate, il giorno della partenza a salutarci tutti (noi e il suo ex portapacchi).
Intanto la Gengis sta riposando. Angelo la tiene in un cortile dell’azienda per la quale lavora e se la coccola tutti i giorni. Non esito a credere che si rechi al lavoro più volentieri, sapendo di avere la Gengis vicina. Ci sta sistemando una lastra sotto il motore per proteggerlo dagli sterrati e dai sassi del deserto kazako. Poi bisognerà pensare a revisioni, assicurazioni e burocrazie. Non lo invidio. La sua personale lista da compilare sarà quella dei ricambi e dell’attrezzatura meccanica, dando già per scontato che il numero di chiave inglese che non porti è l’unico che ti servirà. Poi ci vogliono perlomeno un paio di ruote di scorta, taniche in ferro per la benzina e di plastica per le scorte di acqua potabile, un inverter, un cavo da traino, candele, fusibili… E non dimentichiamoci degli adesivi. Anzi, è il caso di metterli in cima alla lista. Perché? Perché ci divertiamo come dei bambini ad attaccarli, prima di tutto. Ma soprattutto gli adesivi ci serviranno per dire “grazie”. Sulla lucente carrozzeria metallizzata della Gengis… scusate, su quanto resta di quella che un tempo era la lucente carrozzeria metallizzata della Gengis appiccicheremo infatti i loghi di tutte le associazioni che ci hanno aiutato a partire e che hanno contribuito alla raccolta fondi per i progetti del Cesvi: Cose dell’Altro Mondo, Scuola di Babele, Albatros, Porto Amico e altre che si stanno per aggiungere. L’elenco completo è in continuo aggiornamento e lo trovate completo su questa pagina del nostro blog.
Un posto d’onore lo riserveremo ovviamente allo stemma del Silk Road Race e al logo degli amici di Noborders Magazine che hanno contribuito non poco al nostro rally e che pubblicheranno, in tempo reale, i nostri reportage dalla via della Seta.
E speriamo che tutti questi adesivi siano grandi e resistenti. Altrimenti, come faremo a tenere su la carrozzeria della Gengis sino a Dushanbe?
Navigare con o senza navigatore
Ma si può? Ditemi voi se si può sciropparsi novemila chilometri con una voce suadente e gentile che ti sussurra: “Tra cento metri gira a sinistra… gira a sinistra… ricalcolo”. No, no. Su questo punto non abbiamo avuto nessun dubbio. Niente navigatore a bordo della Gengis! Sappiamo perderci benissimo anche da soli! Avesse avuto un tono di voce diversa lo avremmo anche preso in considerazione, il navigatore. Ce ne fosse uno con un gergo da far impallidire un sergente di caserma, un tono costantemente sull’incazzato nero e una voce rauca da bestemmiatore avvinazzato… Una cosa del tipo: “A sinistra, cazzo! Ti avevo detto di girare a sinistra, oh!!! Ma ti sei lavato le orecchie stamattina o sei minorato di tuo? Adesso mi tocca ricalcolare tutto! Ma vaff…” Insomma, una cosina più in stile con l’equipaggio!
La tentazioni del caffè
Una lista serve soprattutto a togliere le voci dalla lista. Partiamo con una capiente Ford, è vero, ma non con un autocarro a rimorchio. Magliette e ricambi dovranno essere ridotti al minimo. Al massimo un paio di pantaloni in borsa. Ma queste sono cose alle quali, gente come noi che non incontrerete mai ad un defilè di moda, non costa nulla rinunciare. Più difficile sarà lasciare a casa quell’obiettivo f2,8 della reflex, tanto pesante quanto ingombrante ma che ti potrebbe servire come un tele luminoso, il cavalletto di marca, libri che già sai che non farai in tempo a leggere, oppure la guida di qualche città dove già sappiamo che non ci fermeremo che per poche ore.
La lista insomma ti costringe a fare delle scelte. E questa è sempre una bella cosa perché, più ci pensi, e più ti rendi conto che quello di cui hai davvero bisogno quando parti per un viaggio è molto poco e, per lo più, lo porti dentro di te. Certo, la tentazione è sempre in agguato. Tanto lungo le piste per il mare d’Azov che nella calle sotto casa mia. E Oscar Wilde che di queste cose se ne intendeva, sapeva bene che l’uomo può resistere a tutto, tranne che alle tentazioni. La mia più grande tentazione si chiama caffè. Sì, caffè. O vi pare che abbia forse la faccia di uno che beve tè? No, no. Caffè nero, caffè caldo, caffè forte, caffè zapatista. Quella miscela che i liberi caracoles che governano le autonomie indigene del Chiapas commerciano grazie all’associazione Ya Basta! per finanziare la rebeldia. Ecco. Questa è una cosa che non depennerò mai dalle mie liste. Un posto per un fornelletto, una vera moka italiana e il caffè del subcomandante Marcos nella Gengis lo troveremo sempre. Anche lasciando a casa quel famoso obiettivo f2,8.