I marciapiedi di San Cristobal
Non è un caso che li abbiano fatti parlare proprio il primo giorno, questi zapatisti a stelle e strisce, seduti nello stesso tavolo dove sedeva il sub comandante Marcos e la “comandancia”. La grande sala dell’Università della Terra (il centro Cideci gestito dai teologi della liberazione) era stipata all’inverosimile, ben oltre quel migliaio di posti a sedere predisposto dagli organizzatori. Chi non è riuscito ad entrare neppure sgomitando, si è dovuto accontentare di accomodarsi nella sala mensa o nella biblioteca del Cideci, dove sono state predisposte alcune televisioni a circuito chiuso. Il bel faccione - “abbronzato” lo definirebbe il Berlusca - da autentico indigeno Tzozil di Juan Haro, ha lasciato subito il posto ad un video documentario girato sulle strade di New York. La New York che non ci fanno mai vedere in televisione. Strade strette e rumorose tra edifici a dir poco cadenti; persone che con l’ideale hollywoodiano e ed i vestiti di moda in vendita nei negozi della Quinta Avenue hanno ben poco da spartire. Sono loro gli zapatisti di New York: i migranti messicani che nell’Upper Manhattan, in un quartiere che nelle piante della città è segnato come El Barrio, hanno portato le bandiere – e quello che le fa alzare, queste bandiere - della loro terra natale. Stelle rosse, striscioni dell’Otra Campaña, paliacate e passamontagna neri su pupazzi carnevaleschi, pentole e campanacci per farsi sentire. I motivi di questa “rebeldia” che dalla selva si è trasferita sotto i grattacieli sta tutta nello striscione che campeggia in testa a tutte le loro manifestazioni: “El Barrio no se vende”.
“Il nostro problema è la cosiddetta ‘gentrificazione’ – mi racconta Juan Haro fondatore dell’Mjb, Movement for Justice in El Barrio. – cioè l’espulsione degli abitanti più poveri dai quartieri delle città per far posto, dopo i necessari restauri e abbellimenti, a famiglie ricche disposte a pagare affitti più elevati. Ed è proprio quello che sta accadendo nel Barrio di Manhattan, deve uno speculatore edilizio, Scott Zwilling, vuole trasformare un quartiere che ora è abitato in grande prevalenza da migranti messicani, in una zona di pregio e pretendere affitto che certo noi non possiamo pagare. Questo fenomeno, si ripete in altre quartieri di New York. Quartieri un tempo considerati malfamati, ma dove ora, grazie alla presenza di associazioni di base come la nostra e all’arrivo di lavoratori migranti, in particolare dal sudamerica, sono diventati sicuri. Proprio questa sicurezza ha attirato gli speculatori edilizi che hanno messo le mani sugli immobili e hanno fatto pressioni sull’amministrazione comunale per migliorare l’arredo urbano. Il risultato sono affitti improponibili per noi migranti di prima generazione e il conseguente spostamento delle famiglie povere nei ghetti periferici della città”.
Assolutamente esplicativo del modo di ragionare degli speculatori edilizi, è una intervista con Scott Zwilling fatta da un periodico newyorkese che Juan mi invita a leggere. “La gente del Barrio mi addita come un padrone cattivo che sfratta a calci la povera gente – afferma Zwilling – ma bisogna capire che la gentrificazione è un fenomeno intrinseco allo sviluppo economico di un quartiere. Chi investe denaro per migliorare il quartiere lo fa solo perché questo denaro gli ritorna moltiplicato con i canoni di locazione. Altrimenti investirebbe i suoi soldi in qualche altra speculazione, e il quartiere rimarrebbe povero. E se non lo facessi io, ci sarebbero altri dieci disposti subito a prendere il mio posto. E’ così che funziona lo sviluppo. E’ così che funziona la vita”.
“Un ragionamento lucido, non c’è che dire – commenta Juan Haro – Ma noi la pensiamo in maniera diametralmente opposta: la gentrificazione non è né inevitabile, né auspicabile, e se questo è il loro modello di sviluppo, noi ci rinunciamo ben volentieri in nome del diritto di ognuno, ricco o povero che sia, a vivere dignitosamente con un tetto sopra la testa senza lasciare che sia il denaro a dettar legge”. Dello zapatismo, il movimento in Difesa del Barrio ha mutuato le pratiche di democrazia dal basso. “Ogni condominio ha una consulta popolare e ogni Quadra (gruppo di condomini circondati da una stessa strada.nrd) una commissione – spiega Haro -. Questa primavera abbiamo indetto un referendum popolare invitando la gente ad indicarci i tre principali problemi che il movimento dovrebbe affrontare. Oltre mille persone sono venute a votare e ci hanno indicato nell’aumento degli affitti il principale problema del Barrio. Questo è quello che io chiamo zapatismo urbano”.
Nella foto: Juan Haro al Cideci
Sorto nel 2004, il Mjb conta oggi circa 400 aderenti che tutt’ora si rifiutano di cedere alla speculazione circa 25 condomini, impedendo di fatto la ristrutturazione dell’intero quartiere. “La lotta del Barrio è diventato un simbolo per i residenti di tanti altri quartieri di New York che si stanno mobilitando per seguire il nostro esempio” mi racconta orgoglioso Juan.
Il Mjb ha aderito alla Otra Campaña nel 2005. L’abbraccio allo zapatismo, pure se ha una forte valenza di rivalsa nazionale per i mai ben accetti migranti messicani negli Stati Uniti d’America, non è stato solo una operazione promozionale. “Uno dei primi incontri del nostro movimento è coinciso con la sesta dichiarazione della selva Lacandona – mi spiega Juan –. Leggere il proclama che il sub comandante Marcos ha lanciato dalla nostra terra natale ci ha molto emozionato e la nostra adesione allo zapatismo è stata consequenziale. Noi, zapatisti di New York, combattiamo come gli zapatisti del Chiapas per il diritto ad abitare la nostra terra. Con gli zapatisti del Chiapas abbiamo un nemico comune che è lo sviluppo neoliberista. Quello sviluppo che ha depredato i popoli del Messico e portato la gentrificazione nei quartieri di New York. Si in Chiapas no se vende la tierra, en Nueva York no se vende El Barrio”.