Nostalgia canaglia
San Paolo - Igor, Cassia e Carla sono tre dirigenti della sede paulista dei Sem Terra. Li andiamo ad incontrare in tarda mattinata. Il programma della giornata non prevede niente altro di particolare. I tre giovani ci aspettano nella sede dei Sem Terra che oramai conosciamo bene.
E’ il momento di spiegare loro come è nata e come lavora Ya Basta. Quindi parliamo delle rivolte di giugno e dei motivi che le hanno scatenate. L’aumento dl prezzo dei trasporti, ci spiegano, è stata solo una scusa o, se vogliamo, la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. “Il vero problema è la situazione di stallo che si è creata In Brasile dove gli spazi di partecipazione democratica si restringono sempre di più- afferma Igor -. La gente consegna ai partiti la possibilità di fare politica ma i partiti non riescono a farla perché questa è stata sequestrata dall’economia capitalista. La crescita economica che sta vivendo il Paese non ha portato nessun vantaggio reale, in particolare alla classe media che, assieme ai giovani, è stata la vera protagonista della mobilitazione”.
Lula e Dilma? “Si sono rivelati incapaci di apportare miglioramenti strutturali e di avviare un vero processo di democratizzazione del Paese. In questo stato di cose, sono i movimenti che devono portare avanti le battaglie di democrazia e di giustizia sociale. I partiti non possono fare più niente”.
Nel pomeriggio cerchiamo ancora contatti con le realtà che hanno dato origine alle manifestazioni di giugno. Ma oramai si sta avvicinando il giorno del nostro rientro in Italia. Questa notte partiremo per lo Stato del Paranà per visitare la cooperativa che fornisce lo zucchero che vendiamo nei nostri spazi. Non abbiamo ancora deciso quanto resteremo a sud. Cerchiamo comunque di completare un calendario di incontri per i pochi giorni che trascorreremo ancora a San Paolo.
A onor del vero, bisogna sottolineare che la città che all’inizio mi sembrava solo una New York dei poveri, mi sta rivelando un po’ alla volta la sua anima latino americana. San Paolo, seduta proprio sopra il tropico del Capricorno, non è sempre stata quella foresta di grattacieli che è ora. Negli anni ’30 era una piccola cittadina con appena 60 mila abitanti, tutta concentrata sull’asse dell’avenida Paulista. L’urbanizzazione selvaggia, senza uno straccio di piano regolatore, è avvenuta tra gli anni ’50 e ’60 quando ognuno si sentiva autorizzato a tiare su il suo grattacielo. Oggi, senza contare le periferie che sono oramai inglobate nella Grande San Paolo, la città conta più di 11 milioni di abitanti ed almeno 50 topi per abitante!
Bisogna viverci un po’, per rendersi conto che quelle strade sotto i grattacieli dove il sole batte poche ore al giorno, non sono tutte uguali. Ogni quartiere ha una sua identità e la suo scuola di samba dove, mi hanno assicurato, trovi sempre qualcuno che balla a tutte le ore del giorno e della notte. Per quanto ho potuto constatare io, è vero. Il mio ostello sta a Bela Vista (con una elle sola), il quartiere italiano. La sua scuola di samba occupa il primo e il secondo piano di un edificio di una dozzina di piani. Pochi da queste parti. Le finestre e le porte sempre spalancate per far uscire la musica. La scuola è un punto di riferimento sociale per tutto il quartiere. Ha i suoi colori, i suoi eroi e le sue scuole nemiche.
Ed è proprio la scuola di samba che ha organizzato, ieri sera, la festa italiana. Le strade erano piene di gente che rideva e scherzava sotto festoni di bandierine tricolori. I banchi vendevano “raviolli” (con due elle), “fogazza napoletana” (una specie di quella genovese), “rissotto” (con due esse), “calabresa” (una sorta di salsiccia ultra piccante che dubito abbia qualcosa a che fare non solo con la Calabria ma con tutta l’Europa)... C’erano pure le “pizzaria” (con la a) che sfornavano delle cose tonde che assomigliavano alle pizze. E poi cd e dvd della più terrificante musica melodica italiana, da Albano&Romina a dei mai sentiti prima cantanti in smoking che dubito si siano mai azzardati a salire su un palco in patria. Tante magliette con il Padrino, il bianconero della Juve con il nome Del Piero o la scritta “Venezia”. Tutto bianco, rosso e verde da muovere tenerezza. L’Italia, da questa parte dell’Equatore, è solo il ricordo spampanato di una nostalgia del bisnonno.
Lula e Dilma? “Si sono rivelati incapaci di apportare miglioramenti strutturali e di avviare un vero processo di democratizzazione del Paese. In questo stato di cose, sono i movimenti che devono portare avanti le battaglie di democrazia e di giustizia sociale. I partiti non possono fare più niente”.
Nel pomeriggio cerchiamo ancora contatti con le realtà che hanno dato origine alle manifestazioni di giugno. Ma oramai si sta avvicinando il giorno del nostro rientro in Italia. Questa notte partiremo per lo Stato del Paranà per visitare la cooperativa che fornisce lo zucchero che vendiamo nei nostri spazi. Non abbiamo ancora deciso quanto resteremo a sud. Cerchiamo comunque di completare un calendario di incontri per i pochi giorni che trascorreremo ancora a San Paolo.
A onor del vero, bisogna sottolineare che la città che all’inizio mi sembrava solo una New York dei poveri, mi sta rivelando un po’ alla volta la sua anima latino americana. San Paolo, seduta proprio sopra il tropico del Capricorno, non è sempre stata quella foresta di grattacieli che è ora. Negli anni ’30 era una piccola cittadina con appena 60 mila abitanti, tutta concentrata sull’asse dell’avenida Paulista. L’urbanizzazione selvaggia, senza uno straccio di piano regolatore, è avvenuta tra gli anni ’50 e ’60 quando ognuno si sentiva autorizzato a tiare su il suo grattacielo. Oggi, senza contare le periferie che sono oramai inglobate nella Grande San Paolo, la città conta più di 11 milioni di abitanti ed almeno 50 topi per abitante!
Bisogna viverci un po’, per rendersi conto che quelle strade sotto i grattacieli dove il sole batte poche ore al giorno, non sono tutte uguali. Ogni quartiere ha una sua identità e la suo scuola di samba dove, mi hanno assicurato, trovi sempre qualcuno che balla a tutte le ore del giorno e della notte. Per quanto ho potuto constatare io, è vero. Il mio ostello sta a Bela Vista (con una elle sola), il quartiere italiano. La sua scuola di samba occupa il primo e il secondo piano di un edificio di una dozzina di piani. Pochi da queste parti. Le finestre e le porte sempre spalancate per far uscire la musica. La scuola è un punto di riferimento sociale per tutto il quartiere. Ha i suoi colori, i suoi eroi e le sue scuole nemiche.
Ed è proprio la scuola di samba che ha organizzato, ieri sera, la festa italiana. Le strade erano piene di gente che rideva e scherzava sotto festoni di bandierine tricolori. I banchi vendevano “raviolli” (con due elle), “fogazza napoletana” (una specie di quella genovese), “rissotto” (con due esse), “calabresa” (una sorta di salsiccia ultra piccante che dubito abbia qualcosa a che fare non solo con la Calabria ma con tutta l’Europa)... C’erano pure le “pizzaria” (con la a) che sfornavano delle cose tonde che assomigliavano alle pizze. E poi cd e dvd della più terrificante musica melodica italiana, da Albano&Romina a dei mai sentiti prima cantanti in smoking che dubito si siano mai azzardati a salire su un palco in patria. Tante magliette con il Padrino, il bianconero della Juve con il nome Del Piero o la scritta “Venezia”. Tutto bianco, rosso e verde da muovere tenerezza. L’Italia, da questa parte dell’Equatore, è solo il ricordo spampanato di una nostalgia del bisnonno.