Quattro chiacchiere al narghilè
Regueb, settimo giorno di carovana - A quaranta chilometri di niente da Sidi Bouzid, si trova il villaggio di Regueb. Uno di quei posti che ci puoi solo capitare o per sbaglio o con Ya Basta!
Poco più di 15 mila anime perse nel deserto di una regione in cui la maggior parte della popolazione campa di una semplice agricoltura di sussistenza.
La carovana ci è arrivata in tarda mattinata con l’obiettivo di incontrare gli attivisti di Radio 3 R - tre R che stano per Regueb, Révolution e Renouveau (rivoluzione e rinnovamento) - e intervistare i portavoce di alcune associazioni che lavorano nel territorio come l’Union Diplomé Chomeur (unione laureati disoccupati) e l’Associazion Liberté & Développement. Rimandiamo agli articoli specifici e ai video che abbiamo realizzato, il resoconto di queste attività.
Ma al di fuori degli incontri ufficiali, per noi carovanieri è stata l’ennesima occasione per parlare non solo con gli attivisti politici ma anche con tanta gente del luogo, curiosi di sapere di noi tanto quanto noi eravamo curiosi di sapere di loro. Il mezzo comunicativo per eccellenza, sotto queste latitudini, è senza dubbio il narghilè. Altri costumi, altri tempi, altri cieli. Nel Magreb non è considerata una perdita di tempo starsene spaparanzati dietro un tavolino e chiacchierare scambiandosi il tubo del narghilè, sorseggiando un tè alla mente o alle mandorle. Accade anche che il barista si sieda vicino al suo ospite europeo e cominci a chiedere della sua vita, mentre racconta la sua. Ho conosciuto così Abidi. “A Regueb non si vive male - mi spiega -. Per lo più ci sono persone che lavorano nel terziario. La povertà la trovi più che altro nelle campagne, dove vive la maggior parte della popolazione della regione. Coltivano la terra o allevano le greggi. Ma ne ricavano appena per mangiare. Ci sono anche possedimenti più grandi che non appartengono però a gente del luogo. Qui lavorano le donne”. Perché le donne? “Perché le pagano meno e sono sfruttate di più. Si ammalano respirando i veleni dell’agricoltura, in particolare le porcherie che buttano nelle viti. Alcune sono morte, altre trasmettono le malattie ai figli”. Nessuno si oppone? “Le donne no. Si ritengono fortunate se lavorano. C’è molta rassegnazione ed ignoranza. Studiare, d’altra parte, è costosissimo e pochi se lo possono permettere. Se aggiungi che poi non trovi occupazione nemmeno col titolo di studio...”. Cosa è cambiato con la cacciata di Ben Alì? “Beh, si sta senz’altro meglio. Qui comandava un cugino della moglie ed era una vera disgrazia. Rubava tutto. Adesso c’è la democrazia. Ma l’economia è sempre nella mani degli stessi di prima e su questo fronte non è cambiato niente”. L’integralismo? “Vedi, chi come me lavora le sue ore al giorno, quando va a casa non ha voglia di occuparsi di religione. I salafiti reclutano tra i giovani disoccupati. Ragazzi disperati che non hanno futuro certo. Si sentono disgraziati e derubati perché non hanno né lavoro né soldi per sposarsi e uscire da casa. Da noi è considerata una cosa umiliante. Tieni presente che da noi il matrimonio è ancora combinato dai genitori ed è una cosa costosissima che non tutti possono permettersi. Questi ragazzi sono ricattabili e quindi facili prede dell’integralismo“. Il futuro? “Guarda verso l’orizzonte! E’ come quella tempesta di sabbia che si sta alzando. Potrebbe quietarsi all’improvviso come infuriarsi e spazzare tutto”.
La carovana ci è arrivata in tarda mattinata con l’obiettivo di incontrare gli attivisti di Radio 3 R - tre R che stano per Regueb, Révolution e Renouveau (rivoluzione e rinnovamento) - e intervistare i portavoce di alcune associazioni che lavorano nel territorio come l’Union Diplomé Chomeur (unione laureati disoccupati) e l’Associazion Liberté & Développement. Rimandiamo agli articoli specifici e ai video che abbiamo realizzato, il resoconto di queste attività.
Ma al di fuori degli incontri ufficiali, per noi carovanieri è stata l’ennesima occasione per parlare non solo con gli attivisti politici ma anche con tanta gente del luogo, curiosi di sapere di noi tanto quanto noi eravamo curiosi di sapere di loro. Il mezzo comunicativo per eccellenza, sotto queste latitudini, è senza dubbio il narghilè. Altri costumi, altri tempi, altri cieli. Nel Magreb non è considerata una perdita di tempo starsene spaparanzati dietro un tavolino e chiacchierare scambiandosi il tubo del narghilè, sorseggiando un tè alla mente o alle mandorle. Accade anche che il barista si sieda vicino al suo ospite europeo e cominci a chiedere della sua vita, mentre racconta la sua. Ho conosciuto così Abidi. “A Regueb non si vive male - mi spiega -. Per lo più ci sono persone che lavorano nel terziario. La povertà la trovi più che altro nelle campagne, dove vive la maggior parte della popolazione della regione. Coltivano la terra o allevano le greggi. Ma ne ricavano appena per mangiare. Ci sono anche possedimenti più grandi che non appartengono però a gente del luogo. Qui lavorano le donne”. Perché le donne? “Perché le pagano meno e sono sfruttate di più. Si ammalano respirando i veleni dell’agricoltura, in particolare le porcherie che buttano nelle viti. Alcune sono morte, altre trasmettono le malattie ai figli”. Nessuno si oppone? “Le donne no. Si ritengono fortunate se lavorano. C’è molta rassegnazione ed ignoranza. Studiare, d’altra parte, è costosissimo e pochi se lo possono permettere. Se aggiungi che poi non trovi occupazione nemmeno col titolo di studio...”. Cosa è cambiato con la cacciata di Ben Alì? “Beh, si sta senz’altro meglio. Qui comandava un cugino della moglie ed era una vera disgrazia. Rubava tutto. Adesso c’è la democrazia. Ma l’economia è sempre nella mani degli stessi di prima e su questo fronte non è cambiato niente”. L’integralismo? “Vedi, chi come me lavora le sue ore al giorno, quando va a casa non ha voglia di occuparsi di religione. I salafiti reclutano tra i giovani disoccupati. Ragazzi disperati che non hanno futuro certo. Si sentono disgraziati e derubati perché non hanno né lavoro né soldi per sposarsi e uscire da casa. Da noi è considerata una cosa umiliante. Tieni presente che da noi il matrimonio è ancora combinato dai genitori ed è una cosa costosissima che non tutti possono permettersi. Questi ragazzi sono ricattabili e quindi facili prede dell’integralismo“. Il futuro? “Guarda verso l’orizzonte! E’ come quella tempesta di sabbia che si sta alzando. Potrebbe quietarsi all’improvviso come infuriarsi e spazzare tutto”.