La piccola Roma dell'Iraq
Alkosh, Iraq - “La cristianità è un gregge di pecore in transumanza. Quella che fa la matta, quella che sbaglia direzione è sempre la pecora che sta davanti. Ma quella che si piglia la randellata sul groppone è sempre quella in fondo, quella vicina al bastone del pastore”.
Padre Ghazwan Baho vive sotto assedio. Da cinque anni oramai non abbandona più il villaggio di Alkosh, nel nord dell'Iraq. “Qualche giorno fa a Mossul hanno ammazzato a coltellate un altro cristiano. Due settimane fa un gruppo armato di integralisti è riuscito ad arrivare sino a qui forzando la linea difensiva dei curdi. Volevano prendere il vescovo e sono entrati in canonica sparando. L'esercito curdo è intervenuto con le armi e dopo una breve battaglia sono riusciti a respingerli, per questa volta almeno. E tenete conto che Alkosh è anche considerato il villaggio caldeo più sicuro per i cristiani! Ma ogni volta che l'America e l'Europa intraprendono qualche assurda crociata contro l'Islam, siamo noi, i cristiani caldei, quelli che ne pagano le spese”.
Alkosh, con la sua antica chiesa che contiene le tombe del patriarca Michele e del profeta biblico Naom, è il cuore della cristianità in terra irachena. Qualche centinaio di case abbarbicate come un gregge di capre sulle pendici dell'altopiano che ad est sale sino alle montagne dell'Iran e ad ovest scende verso le distese desertiche dell'Iraq. In lontananza, dietro una foresta di pozzi di estrazione, alti fuochi e sbuffi di fumo nero delle raffinerie, si intravede l'azzurognola sagoma di Mossul.
I cristiani caldei chiamano pomposamente Alkosh la “seconda Roma”. Ben pochi di loro comunque saprebbero trovare la capitale d'Italia su una carta geografica. Della Roma vera, queste quattro case in croce di pastori e contadini non hanno proprio niente con cui spartire. E' solo un appellativo dettato dalla fede e dalla voglia di rimarcare ad un’Europa sempre più sorda che qui, in Iraq, continuano a vivere dei cristiani. Gli ultimi cristiani che continuano a parlare e a pregare nella lingua di Cristo, l'aramaico.
Un paese arroccato su se stesso sin dall’arrivo del Vangelo, portato dal patriarca Michele nei primi anni del 400, e che è rimasto fedele alla sua fede originaria anche quando l’intera Arabia si convertiva al dio misericordioso ed onnipotente predicato dal profeta Maometto.
Una legge tradizionale, non scritta ma cui nessuno ha mai trasgredito, vieta alla gente di Alkosh di vendere la propria abitazione e la propria terra a chiunque venga da fuori, non parli l’aramaico e non garantisca una discendenza caldea. Preservare la propria identità, su queste monti, è fondamentale per la sopravvivenza.
Tutta la fascia premontana abitata dai caldei, a confine tra il governatorato curdo di Erbil e quello sunnita di Ninive, appartiene amministrativamente alla provincia di Mussul ma nei fatti è occupata militarmente dall'esercito curdo. Per giungere ad Alkosh da Erbil ho contato sei posti di blocco. Nell'ultimo, quello a ridosso della “seconda Roma”, le milizie curde ti sequestrano il passaporto. Per riaverlo (da queste parti è saggio non farsi trovare mai senza) sei obbligato a ripassare dallo stesso posto di blocco. Non c'è comunque modo di fare di testa propria. Un miliziano con un uzi carico a tracolla e che parla solo un dialetto siriaco ti segue per tutta la permanenza in città. Prima dell'intervento americano, non era così, mi racconta padre Ghazwan. Le porte delle case, ad Alkosh, erano sempre aperte. Anche per i curdi perseguitati da Saddam che trovavano scura protezione nei cristiani caldei. Fu proprio il vescovo cristiano di Baghdad ad intercedere con il dittatore per salvare la vita all'attuale presidente dell'Iraq, il curdo Jalai Talabani.
“Oggi ci stanno ricambiando il favore. Se siamo vivi oggi, lo dobbiamo all'esercito curdo. Ma se passa l'idea di fare del territorio caldeo un'area cuscinetto tra i curdi e i mussulmani, noi siamo spacciati. Speriamo che gli americano cambino idea! Son loro che comandano qui. Ho paura che finiranno per dividere l’Iraq in tre Stati separati: uno per i curdi, uno per i sunniti e uno per gli sciiti. Fa comodo a tutti, oramai. Ma nel caso noi speriamo che Alkosh rimanga in zona curda e che l’esercito di Erbil non si ritiri dalle attuali posizioni. Il governo del Kurdistan vorrebbe le città di Mossul e di Kirkuk. Ma Mossul non gliela daranno mai senza combattere. Mi chiedi di Saddam Hussein? Cosa posso rispondere? Saddam era un feroce dittatore impostoci dagli Usa ma con lui avevamo elettricità 24 ore al giorno e non per sole due ore come adesso. Non c'era il limite settimanale di 30 litri di benzina, c'era uno Stato, un solo esercito, c'erano leggi e non c'era guerra tra cristiani e mussulmani. Sciiti e sunniti pregavano insieme. Si sposavano tra loro addirittura. Una cosa inconcepibile oggi. Adesso l'Iraq è tutta una frontiera e un posto di blocco. Neanche le autoambulanza fanno passare se non hanno la targa col colore giusto. E’ questa quella 'democrazia' che a voi, in occidente, pare così importante?”
Più in alto, incastrato in mezzo ai monti che ti vien da chiederti come abbiano fatto a mettercelo, c'è il monastero in rovina di santa Madonna. I frati si sono spostati all'inizio della strada “per essere più vicini alla gente” mi spiega il priore, padre Gabriele dove hanno tirato su un orfanotrofio. Una bella struttura moderna. Cento posti disponibili anche i se i piccoli ospiti sono solo 24. Se gli chiedi perché lo abbiano fatto così grande, padre Gabriele ti risponde domandandoti se davvero credi che non ci saranno più guerre in questo angolo di mondo. Come tanti altri su queste montagne, anche padre Gabriele è uno sfollato. Viveva a Baghdad col suo ordine religioso “quando Baghdad era ancora una città civile e non una città occupata”. “Il mondo non lo sa oppure fa finta di ignorarlo - racconta - ma ai tempi di Saddam a Baghdad c’era mezzo milioni di cristiani. Oggi sono poco meno di ventimila quelli che resistono perché non hanno altro posto dove scappare. Ogni quartiere era una mescolanza di genti e di religioni diverse. Oggi ci sono posti di blocco sulle strade e ogni zona deve innalzare o la mezzaluna sunnita o la Mano di Fatima sciita. I cristiani non hanno più diritti e sono perseguitati da un integralismo islamico sempre più feroce. Ma quelli che ci hanno cacciato via da Baghdad non sono gli arabi ma l’esercito americano: ‘Qui non c’è più posto per voi, ci hanno detto mentre ci accompagnavano alla frontiera, andate in Kurdistan o in Europa dove sarete accolti come rifugiati’. Perché ci hanno mandato via dalle nostre case? Gli Usa hanno sempre fatto così. Con la guerra fredda hanno diviso il mondo con le ideologie tra democrazie e comunismi. Oggi lo vogliono dividere con le religioni tra cattolici e mussulmani. Non c’è posto per chi è nato dall’altra parte della frontiera”. Dividi et impera. Lo dicevano anche in quell’altra Roma. Quella dell’impero.
Alkosh, con la sua antica chiesa che contiene le tombe del patriarca Michele e del profeta biblico Naom, è il cuore della cristianità in terra irachena. Qualche centinaio di case abbarbicate come un gregge di capre sulle pendici dell'altopiano che ad est sale sino alle montagne dell'Iran e ad ovest scende verso le distese desertiche dell'Iraq. In lontananza, dietro una foresta di pozzi di estrazione, alti fuochi e sbuffi di fumo nero delle raffinerie, si intravede l'azzurognola sagoma di Mossul.
I cristiani caldei chiamano pomposamente Alkosh la “seconda Roma”. Ben pochi di loro comunque saprebbero trovare la capitale d'Italia su una carta geografica. Della Roma vera, queste quattro case in croce di pastori e contadini non hanno proprio niente con cui spartire. E' solo un appellativo dettato dalla fede e dalla voglia di rimarcare ad un’Europa sempre più sorda che qui, in Iraq, continuano a vivere dei cristiani. Gli ultimi cristiani che continuano a parlare e a pregare nella lingua di Cristo, l'aramaico.
Un paese arroccato su se stesso sin dall’arrivo del Vangelo, portato dal patriarca Michele nei primi anni del 400, e che è rimasto fedele alla sua fede originaria anche quando l’intera Arabia si convertiva al dio misericordioso ed onnipotente predicato dal profeta Maometto.
Una legge tradizionale, non scritta ma cui nessuno ha mai trasgredito, vieta alla gente di Alkosh di vendere la propria abitazione e la propria terra a chiunque venga da fuori, non parli l’aramaico e non garantisca una discendenza caldea. Preservare la propria identità, su queste monti, è fondamentale per la sopravvivenza.
Tutta la fascia premontana abitata dai caldei, a confine tra il governatorato curdo di Erbil e quello sunnita di Ninive, appartiene amministrativamente alla provincia di Mussul ma nei fatti è occupata militarmente dall'esercito curdo. Per giungere ad Alkosh da Erbil ho contato sei posti di blocco. Nell'ultimo, quello a ridosso della “seconda Roma”, le milizie curde ti sequestrano il passaporto. Per riaverlo (da queste parti è saggio non farsi trovare mai senza) sei obbligato a ripassare dallo stesso posto di blocco. Non c'è comunque modo di fare di testa propria. Un miliziano con un uzi carico a tracolla e che parla solo un dialetto siriaco ti segue per tutta la permanenza in città. Prima dell'intervento americano, non era così, mi racconta padre Ghazwan. Le porte delle case, ad Alkosh, erano sempre aperte. Anche per i curdi perseguitati da Saddam che trovavano scura protezione nei cristiani caldei. Fu proprio il vescovo cristiano di Baghdad ad intercedere con il dittatore per salvare la vita all'attuale presidente dell'Iraq, il curdo Jalai Talabani.
“Oggi ci stanno ricambiando il favore. Se siamo vivi oggi, lo dobbiamo all'esercito curdo. Ma se passa l'idea di fare del territorio caldeo un'area cuscinetto tra i curdi e i mussulmani, noi siamo spacciati. Speriamo che gli americano cambino idea! Son loro che comandano qui. Ho paura che finiranno per dividere l’Iraq in tre Stati separati: uno per i curdi, uno per i sunniti e uno per gli sciiti. Fa comodo a tutti, oramai. Ma nel caso noi speriamo che Alkosh rimanga in zona curda e che l’esercito di Erbil non si ritiri dalle attuali posizioni. Il governo del Kurdistan vorrebbe le città di Mossul e di Kirkuk. Ma Mossul non gliela daranno mai senza combattere. Mi chiedi di Saddam Hussein? Cosa posso rispondere? Saddam era un feroce dittatore impostoci dagli Usa ma con lui avevamo elettricità 24 ore al giorno e non per sole due ore come adesso. Non c'era il limite settimanale di 30 litri di benzina, c'era uno Stato, un solo esercito, c'erano leggi e non c'era guerra tra cristiani e mussulmani. Sciiti e sunniti pregavano insieme. Si sposavano tra loro addirittura. Una cosa inconcepibile oggi. Adesso l'Iraq è tutta una frontiera e un posto di blocco. Neanche le autoambulanza fanno passare se non hanno la targa col colore giusto. E’ questa quella 'democrazia' che a voi, in occidente, pare così importante?”
Più in alto, incastrato in mezzo ai monti che ti vien da chiederti come abbiano fatto a mettercelo, c'è il monastero in rovina di santa Madonna. I frati si sono spostati all'inizio della strada “per essere più vicini alla gente” mi spiega il priore, padre Gabriele dove hanno tirato su un orfanotrofio. Una bella struttura moderna. Cento posti disponibili anche i se i piccoli ospiti sono solo 24. Se gli chiedi perché lo abbiano fatto così grande, padre Gabriele ti risponde domandandoti se davvero credi che non ci saranno più guerre in questo angolo di mondo. Come tanti altri su queste montagne, anche padre Gabriele è uno sfollato. Viveva a Baghdad col suo ordine religioso “quando Baghdad era ancora una città civile e non una città occupata”. “Il mondo non lo sa oppure fa finta di ignorarlo - racconta - ma ai tempi di Saddam a Baghdad c’era mezzo milioni di cristiani. Oggi sono poco meno di ventimila quelli che resistono perché non hanno altro posto dove scappare. Ogni quartiere era una mescolanza di genti e di religioni diverse. Oggi ci sono posti di blocco sulle strade e ogni zona deve innalzare o la mezzaluna sunnita o la Mano di Fatima sciita. I cristiani non hanno più diritti e sono perseguitati da un integralismo islamico sempre più feroce. Ma quelli che ci hanno cacciato via da Baghdad non sono gli arabi ma l’esercito americano: ‘Qui non c’è più posto per voi, ci hanno detto mentre ci accompagnavano alla frontiera, andate in Kurdistan o in Europa dove sarete accolti come rifugiati’. Perché ci hanno mandato via dalle nostre case? Gli Usa hanno sempre fatto così. Con la guerra fredda hanno diviso il mondo con le ideologie tra democrazie e comunismi. Oggi lo vogliono dividere con le religioni tra cattolici e mussulmani. Non c’è posto per chi è nato dall’altra parte della frontiera”. Dividi et impera. Lo dicevano anche in quell’altra Roma. Quella dell’impero.