La deportazione degli “enfants de la Creuse”
30/08/2022La storia dei bambini dell'isola della Riunione: strappati dalle loro famiglie e trasferiti in Francia
Rum, canna da zucchero e vaniglia. L’economia dell’Île de la Réunion, l’isola della Riunione, è tutta qua e niente di più. Tentativi di promuovere il turismo vengono periodicamente rilanciati dalle autorità francesi che governano l’isola ma senza ottenere risultati significativi. Non tanto perché la Riunione non goda di splendidi paesaggi naturali che spaziano da un mare azzurro cobalto e canyon ideali per il rafting, quanto per la distanza di questa isola, che si trova quasi 700 chilometri ad est del Madagascar. Perduta in mezzo al grande oceano Indiano, Riunione versa in una crisi economica pressoché endemica, cominciata con l’occupazione francese e l’imposizione delle sopracitate culture nel tentativo, fallito, di far concorrenza a Sua Maestà Britannica che importava queste merci dai Caraibi. Ancora oggi, l’isola, che costituisce un dipartimento d’oltremare della Francia, ha un tasso di disoccupazione e di povertà tra i più alti di tutti territori amministrati dai francesi.
Ed è proprio in questo quadro di povertà estrema che negli anni che vanno dal 1962 al 1984 è stata compiuta la più grande deportazione forzata di tutta la storia della Francia repubblicana e, presumibilmente, anche di tutta l’Europa. Una storia con la quale la Francia di oggi non ha ancora fatto i conti. Una storia che solo in questi ultimi tempi è uscita allo scoperto grazie alle testimonianze delle vittime raccolte in inchieste giornalistiche, libri e opere cinematografiche.
In quegli anni, 2 mila e 15 tra bambine e bambini di età compresa tra i due e i dodici anni, furono portati via dalle loro famiglie di Riunione e trasferiti di forza in Francia per essere distribuiti tramite adozioni forzate in aree rurali a bassa natalità. I giornali li chiamarono gli “enfants de la Creuse”, dal nome di una di queste zone. Artefice di questa politica di deportazione che continuò sino alla presidenza di François Mitterand, fu il prefetto dell’Île de la Réunion Michel Debré, già ex ministro gollista molto influente in quegli anni. Debré mascherò la deportazione forzata come un’opera umanitaria, volta a contrastare l’incremento demografico e la povertà dell’isola e, nello stesso tempo, a ripopolare le aree rurali più depresse della madre patria.
«Nei fatti, però, questi minori furono vittime di sequestro, deportazione e di ogni sorta di maltrattamento, quali riduzione in schiavitù e abusi sessuali. Essi erano per lo più impiegati in agricoltura e pastorizia, ma le condizioni durissime di vita e di lavoro portarono molti di loro alla morte o al suicidio» spiega Maria Stefania Cataleta, legale per i diritti umani alla Corte Penale Internazionale.
Solo a partire dai primi anni del nuovo secolo, le terribili testimonianze degli ex deportati trovarono spazio nei media, grazie soprattutto a libri di denuncia come “Une enfance volee” di Jean-Jacques Martial 1 e “La Déportation des Réunionnais de la Creuse” di Élise Lemai 2. Sempre in quegli anni, anche il cinema scese in campo per denunciare all’opinione pubblica la deportazione dei bambini di Riunione con opere come “Le Pays des enfants perdus”, una serie televisiva firmata dal regista Francis Girod 3. Questi lavori, fortemente criticati dalla destra sovranista, mettevano a nudo una concezione spiccatamente colonialista dell’infanzia: i bambini potevano essere sottomessi ad un processo di adattamento forzato che comportava la recisione dei legami familiari e di quelli con la società d’origine, per un superiore fine nazionalista.
«L’ideologia repubblicana sottesa era che ogni cittadino francese, in questo caso i cittadini dell’isola della Riunione, potevano essere trasferiti ovunque in Francia senza alcuna difficoltà – commenta l’avvocata Cataleta – . Dall’altro lato, la retorica ricorrente nell’immaginario del popolo della Riunione era che il bambino creolo poteva essere privato di tutto, anche di se stesso dalle forze egemoniche, che applicavano le vecchie pratiche di oppressione coloniale».
Lo scandalo che seguì alla pubblicazione di queste opere tra l’opinione pubblica francese, fornì agli ex “enfants de la Creuse” il coraggio di denunciare i soprusi patiti intentando azioni legali contro lo Stato francese, ma quasi tutte queste cause sono state rigettate dalle Corti di giustizia del paese transalpino.
Solo nel 2014, gli ex “enfants” e le associazioni che li sostengono hanno ottenuto un primo successo perché l’Assemblea Nazionale ha votato una “risoluzione della memoria”, che ha sancito le responsabilità morali della Francia nei confronti di questi bambini strappati alle loro famiglie e alla loro isola.
Fare i conti con il proprio passato non è facile neppure per la Francia democratica. La vergogna di quanto è accaduto sessant’anni fa all’Île de la Réunion continua a far discutere l’opinione pubblica ma le voci negazioniste sono sempre più frequentemente zittite dalle testimonianze che continuano ad emergere di quei bambini e di quelle bambine che furono rapite dalla loro isola per fare da schiavi nelle campagne e nelle case francesi. Scrive nel suo libro “La Bête que j’ai été” (quella bestia che sono stato) l’ex “enfant de la Creuse” Jean-Pierre Gosse 4. “I miei soli amici erano i maiali, così avevo finito per muovermi come loro, a quattro zampe”.