In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Il Ven[e]to Nuovo che cambia la politica

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Il primo nemico è la sfiducia. Sfiducia nella classe dirigente che ha governato, ma anche sfiducia nella stessa politica e nel principio della rappresentanza democratica.
Il secondo nemico è la destra. la destra con tutto il suo bagaglio di xenofobia, razzismo, populismo che serve a nascondere solo l’asservimento ad una economia dominante, insostenibile, predatoria, devastatrice.
Due nemici mica da ridere. E siccome una persona, e diciamo noi, pure una lista, si misura dai nemici che ha, possiamo dire che Ven[e]to Nuovo è una gran bella lista! Ma più che una lista elettorale, potremmo descriverla come un progetto aperto ed innovativo che nasce da esperienze politiche come Sel,Verdi Green Italia e Sinistra Veneta.
Questa mattina, la lista che correrà alle Regionali a sostegno della candidata Alessandra Moretti, e che è apparentata con la nostra comunale 2020Ve, è stata presentata alla stampa in un incontro che si è svolto a Mestre, nella sede regionale di Ven[e]to Nuovo, in calle del Sale.
I punti salienti del programma… beh, li potete comodamente leggere cliccando su questa pagina, e spaziano dalla tutela dell’ambiente a quella della salute, dalla cultura (capitolo su cui tutti gli altri programmi “battono” davvero poco) al lavoro. I candidati invece li potete vedere su quest’altro link. Tutte persone serie e preparate. Mafiosi, palazzinari e pluriinquisiti preferiscono le sponde elettorali dove ci sono più possibilità di carriera! I nostri candidati al massimo sono un po’ matti perché ci vuole il coraggio di Don Chisciotte per andare lancia in resta contro i nemici che abbiamo citato in apertura. Ma si sa che sono proprio questi matti quelli che fanno andare avanti il mondo.

Le candidate della lista 2020Ve. Silvia Zanini: legge, ambiente e pantegane

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Cominciamo con Silvia. Intanto perché, in questa serie di interviste dedicate ai candidati della lista 2020Ve, ci pare giusto fare un po' di spazio alla rappresentanza femminile. Eppoi perché Silvia Zanini, testa di serie numero 2 al Comune, è quello che si dice una bella mora e fa piacere scambiarci due "ciacole".

Presentati, orsù!

Ciao, mi chiamo Silvia ho 27 anni, sono veneziana di Cannaregio ed ho una laurea in giurisprudenza con un master in "diritto dell'ambiente". Adesso sta facendo la praticante avvocata ed a dicembre darò l'esame.

Com'è che hai scelto proprio "diritto dell'ambiente" per il master? Se sceglievi "come taroccare i redditi" avresti avuto più possibilità lavorative!



In effetti è proprio vero! Il fatto è che sono sempre stata sensibile alle tematiche dell'ambiente. Anche all'università ho scelto come tesi la tutela dell'ambiente nella Costituzione. Poi ho deciso di continuare su questa strada e sono andata a Roma a seguire il master che ho concluso con una tesi sul diritto agroalimentare.

Nella nostra Costituzione c'è qualche articolo dedicato all'ambiente? Io non me lo ricordo, ma ti confesso la mia ignoranza a proposito...

Era proprio questo l'argomento della mia tesi: il ruolo della tutela dell'ambiente nella nostra Carta, paragonandola a Costituzioni più recenti come, ad esempio, quella brasiliana, dove c'è un intero capitolo dedicato all'argomento. Nella nostra Carta si parla di ambiente solo come materia nell'articolo 117, quindi come riparto delle competenze. Come principio, si parla di ambiente quando si parla di paesaggio, di salute... Bisogna fare un combinato tra tanti articoli ma non compare espressamente.

I nostri padri costituenti erano più sensibili al tema del lavoro, evidentemente.

Erano altri anni con altri problemi. La nostra carta costituzionale e stata scritta in un momento storico in cui la tutela dell'ambiente non poteva essere una priorità. Ma adesso credo che i tempi sarebbero maturi per una tutela più espressa. In ogni caso, anche così, la sfera ambientale è un valore riconosciuto, se pur indirettamente, nella nostra Carta, e la stessa Corte Costituzionale si è espressa più volte a sostegno di questa tesi.

Silvia, rimembri ancor come mai ad un certo punto della tua vita hai deciso a metterti in politica? E con i verdi, per di più! Una delusione amorosa? Qualche colpa da espiare?

Sai, ho preso una botta in testa e poi mi è venuta una febbre alta... scherzo! La verità è che, con un percorso di studi come il mio, mi sono sempre sentita vicino ai gruppi che si occupano di ecologia. A Roma partecipavo alle riunioni di Green Italia e là ho conosciuto Luana Zanella, senza sapere nemmeno che fosse di Venezia come me. Terminato il master e lo stage al ministero dell'Agricoltura, ho deciso si tornare a casa, dove avrei potuto essere più utile, ed ho iniziato a fare la... cittadina attiva anche qua.

Scusa se insisto, ma perché proprio con i Verdi? Gli avvocati di solito prediligono Forza Italia...
Dici che avrei avuto più possibilità di carriera? E ci hai pure ragione. Ma ho preferito rimanere fedele ai miei principi senza mettere sul piatto della bilancia le percentuali elettorali e le opportunità lavorative.

Vuoi che ti faccia una domanda intelligente o una domanda scema?

Mmm... intelligente!

Perché hai una ciocca rosa tatuata sopra il gomito destro?

Allora non voglio sapere quale era la domanda scema. Comunque il tatuaggio l'ho fatto qualche anno fa. La "ciocca", che poi è un nodo, rappresenta l'importanza dei valori fondamentali della vita: dall'amicizia alla famiglia, sino alla coerenza con i propri ideali.

Eri ubriaca, insomma?

No, quella volta no!

Parliamo di cose serie. Ogni straccio di candidato ha i suoi temi. Quali sono i tuoi?

Ovviamente la tutela dell'ambiente e, in particolare, dell'ecosistema lagunare, inteso nel suo senso più ampio. Non solo l'allontanamento delle Grandi Navi o la difesa del Contorta. Mi interessano anche tematiche come il turismo che oggi è un peso insostenibile per la città. Credo sia necessario incentivare una presenza più consapevole e matura, allargando la proposta alle isole e all'ecoturismo, ma penalizzando allo stesso tempo il turismo "mordi e fuggi" che a Venezia porta solo problemi e spese.

Credo che, per chi si occupa di temi ambientali, una città come la nostra deve essere una festa continua!

Ah, di sicuro non mancano le cose da fare! Pensiamo solo alle bonifiche di Porto Marghera e alla sua conversione ad una economia "green". Oppure a temi come il riuso degli immobili esistenti per avviare una politica del territorio a consumo zero.

Ecco. Continuiamo a parlare di cose serie. Che sport ti piace?

Eh? Sport? Non hai una domanda di riserva?

Va bene. Cosa ti piace fare nella vita quando stai là a tutelare l'ambiente? Che hobby hai?

Beh... che dirti? Mi piacciono molto gli animali. Ho molto a cuore il loro benessere e credo che una amministrazione dovrebbe fare molto di più per tutelare questi nostri amici. Esistono delle normative ma non sempre vengono rispettate. Qualche giorno fa alla Giudecca sono stati avvelenati dei cani ed è una vergogna che nessuno faccia niente. Poi sono una allevatrice di ratti e di topi da compagnia e quando...

No, no... aspetta un momento. Questa me la devi spiegare bene. Tu allevi le pantegane? Io metto le trappole sotto casa e tu, che abiti ad un ponte e una calle di distanza, le allevi amorosamente?

Esatto. Povere bestie! E' una cosa che faccio fin da piccola. Allevo due specie di topi che sono un po' diversi dalla classica pantegana di rio: il piccolo Mus Musculus e il più grosso Rattus Norvegicus che avrai visto nel film Ratatouille. Non sono molto comuni nelle nostre case, è vero. E non si trovano neppure nei normali negozi di animali. Bisogna andare da quelli che vendono animali esotici o alle fiere. E' un mercato di nicchia!

(Non mi spiego il perché...)

Ma ti assicuro che sono animali simpaticissimi e pulitissimi, usano la cassetta, rispondono al nome e danno i bacini!

Bacini?

Bacini, bacini! Altre domande?

No, no, chiudiamola qua.

La lista 2020Ve si candida a costruire la Venezia del duemila e venti

Nel cuore di Mestre, ai piedi del Toniolo, parte l'avventura elettorale della lista 2020Ve con la presentazione dei candidati al Comune e alle municipalità.
L'incontro, nella tarda mattinata di oggi, è stato introdotto da Gianfranco Bettin, candidato alla presidenza della municipalità di Marghera, oltre che al consiglio regionale. Hanno partecipato Felice Casson, i candidati della lista che raggruppa Verdi Green Italia, Sel e associazione In Comune, e tanti sostenitori.
"La nostra lista sostiene Felice Casson sin dall'inizio, ancora prima delle primarie del centrosinistra - spiega Gianfranco Bettin -. Lo riteniamo il candidato giusto per aiutare Venezia a scrollarsi da un pesantissimo novecento e aprirsi al futuro. Per questo la nostra lista si chiama Venezia Duemila e Venti".
La lista 2020Ve raggruppa persone con origini diverse, sia per professione che per età, e provenienti da esperienze diverse ma che hanno intrapreso un percorso convergente. Persone che da sempre si sono scontrare con la corruzione e il malaffare proprio per portare avanti, tramite le loro idee innovative, un ideale di città sostenibile e solidale.
"Il primo ostacolo da superare per la nuova amministrazione - continua l'ambientalista - sarà quello di riuscire a rimpossessarsi della propria città. Scandali come il Mose, problemi come le Grandi Navi ma anche i tagli al bilancio che stanno mettendo in ginocchio il nostro welfare sono imputabili ad una mancanza di sovranità cittadina. Sulla nostre acque, sulle nostre calli e sulle nostre strade, devono essere i cittadini a decidere tramite gli amministratori democraticamente eletti e non commissari mandati da Roma, consorzi privati o norme che bypassano qualsiasi controllo democratico come la legge Obiettivo".
Sul tavolo dei relatori, oltre ai due già citati, i quattro capolista: Renata Mannise, Flavio dal Corso, Federico Camporese e Silvia Zanini, che hanno elencato i temi sui quali costruiranno la loro campagna elettorale: dall'ambiente al turismo sostenibile, dalle bonifiche di Porto Marghera alla cultura. Che poi è la sola cosa che distingue Venezia da una Disneyland qualunque.
Chiusura per Felice Casson, candidato... anzi no, prossimo sindaco di Venezia. "Bene Venezia Duemila e Venti - scherza - ma io la lista l'avrei chiamata Venezia Duemila e Quaranta e anche di più. La città che vogliamo disegnare insieme avrà un respiro molto più profondo di cinque anni. Ma il nostro obiettivo non è soltanto quello di porre le basi per la città del futuro ma anche di ridare speranza alla gente e di restituire dignità ad una politica impoverita e svilita dalla corruzione".

Amministratori locali sempre più nel mirino del crimine. Ne parliamo con Gianfranco Bettin, uno di quelli sotto tiro

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Gli amministratori pubblici non sono tutti uguali. Ce ne sono di capaci e incapaci. Attivi e indolenti. Corruttibili e no. Ignavi, complici, o concretamente e direttamente impegnati contro la criminalità di ogni tipo e livello. Al punto da “meritarsi” attacchi, minacce, intimidazioni, violenze da parte di quest’ultima. E’ quanto emerge da due indagini recenti. E’ di qualche giorno fa il Rapporto della Commissione straordinaria d’inchiesta del Senato sul “fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali”. Sono centinaia gli atti contro gli amministratori locali che si perpetrano ogni anno. Tra 2013 e 2014 sono stati oltre 1200, con una media di 2,6 denunce al giorno. Il fenomeno interessa per il 35% sindaci, per il 17% assessori, per il 17% consiglieri comunali e per il resto dirigenti, funzionari e dipendenti degli enti locali. Si tratta di “un fenomeno poco conosciuto” scrive la Commissione d’inchiesta e che dovrebbe esserlo molto di più, il cui fine è il “condizionamento dell’attività amministrativa” (per influire su scelte urbanistiche e ambientali, interferire su appalti e servizi erogati, reagire a iniziative contro il crimine e altro).
Anche “Avviso Pubblico”, l’associazione tra amministrazioni pubbliche che promuovono la legalità e la lotta alle mafie, registra il preoccupante fenomeno. L’ultimo Rapporto, del 2014, registra un aumento del 66% rispetto al 2010 degli atti intimidatori. L’80% avviene al sud ma anche al nord ormai il problema si pone in modo inquietante. Nel Veneto sono 9 i casi censiti. Di questo quadro allarmante parliamo con Gianfranco Bettin, sociologo e scrittore, attivista politico e ambientalista ma anche più volte amministratore pubblico a Venezia con deleghe alle politiche sociali e all’ambiente, uno degli amministratori del Nord più sotto attacco, per anni sotto scorta, definito da “Avviso Pubblico” nel suo ultimo rapporto “un amministratore storicamente impegnato nella difesa dell’ambiente e contro la criminalità”.

Sono dati molto preoccupanti, no? Anche per la “risalita” al Nord e nel nostro Veneto di questa escalation di attacchi e intimidazioni.
Secondo me, il dato è ancora sottostimato. Credo che si basi su ciò che viene segnalato da interrogazioni parlamentari. Ma molto sfugge. Mi baso sulla mia esperienza: dagli atti citati nei report che mi riguardano mancano diversi episodi: le minacce contro mia madre, scritte intimidatorie apparse in varie parti della città, diverse intimidazioni a domicilio. Certo, quelle registrate bastano a farmi entrare in classifica, diciamo così, per sdrammatizzare. In realtà, voglio dire che molto probabilmente il fenomeno generale è più esteso e, dunque, più preoccupante.



A cosa pensi sia dovuto?
Intanto al fatto che molti amministratori locali fanno il loro dovere. A fronte di qualcuno che, qualità del lavoro amministrativo a parte, si comporta da disonesto, ce ne sono moltissimi che fanno il loro dovere anche rischiando. Bisognerebbe rammentarlo a chi blatera contro la politica e gli amministratori in generale. Anche a Venezia. Poi c’è il fatto che, oggi, gli amministratori sono in prima linea comunque, sul fronte dei bisogni dei cittadini, con scelte difficili e cruciali da assumere, con interessi potenti da contrastare. Lo Stato li lascia spesso soli, togliendo risorse e poteri, e facendone dei capri espiatori (pensiamo al feroce Patto di stabilità che devasta i bilanci comunali o alle regole farraginose che imbrigliano l’azione amministrativa e la subordinano a pareri e poteri sovradeterminati, spesso opachi, sempre autoreferenziali).

Ma c’entra anche la crescita dei poteri criminali, no? La loro risalita al Nord.
Certo. Sia quelli “in guanti bianchi”, e qui a Venezia e nel Veneto, ne abbiamo avuto un esempio lampante con le vicende del Mose e delle truffe sulle bonifiche a Marghera (il capitolo più infame di quella storia infame), sia quelli “senza guanti”, anche se spesso tendenti a mimetizzarsi. Qui da noi, ad esempio, la gang del Tronchetto, e i suoi possibili ammanicamenti mafiosi, o quella degli appalti, con sicuri legami mafiosi, come nel settore dello smaltimento rifiuti e terre di scavo, o del riciclaggio nell’edilizia, nel turismo e nel commercio. Oltre, ovviamente, ai racket del narcotraffico e dello spaccio di strada, della prostituzione e perfino dello sfruttamento dei mendicanti e alle più ovvie rapine, scippi, furti, prepotenze varie.

Tu hai avuto e hai a che fare un po’ con tutti costoro. E’ inevitabile?
E’ inevitabile se entri a fondo nelle dinamiche della città, se non ti limiti ad agire in superficie. Se non chiudi gli occhi o non giri lo sguardo da un’altra parte. Un amministratore locale non lo deve fare. ma con questi ambienti loschi mi sono scontrato anche prima e dopo aver avuto ruoli amministrativi e istituzionali. Anche da semplice cittadino o da attivista ci si può impegnare contro questi nemici della sicurezza, della legalità e della convivenza civile. Tra costoro, beninteso, ci metto anche fascisti e razzisti.

Te ne sei mai pentito?
No.

Tempo fa, dopo qualche ennesimo attacco, hai dichiarato di non volere la scorta. Perché?
L’ho avuta per diversi anni, è pesante. In Italia, poi, se proprio non ti ammazzano (e anche in quel caso…), dopo il primo momento di solidarietà, si comincia a malignare, a guardare male gli stessi agenti che ti tutelano. Mi era diventato insopportabile, per il rispetto e la gratitudine che provavo per il loro lavoro. Piuttosto, mi chiedo se vale la pena di rischiare, di mettere in pericolo te stesso e chi ti sta vicino, in un paese di ciarlatani maligni capaci di dire che perfino Falcone l’attentato all’Addaura se lo era fatto da solo, o che Saviano è un mitomane, e via infamando. Non sto parlando dei fuori di testa che impestano il web, o dei calunniatori da mouse, o dei buontemponi che buttano tutto in vacca, disgustosi comunque. Sto parlando di chi fa finta di non vedere il tuo lavoro, il tuo rischio, e sparge veleni e allusioni e quando può ti calunnia. Accade a tutti gli amministratori esposti al pericolo, oggetto di campagne di delegittimazione.

Come mai?
Per interesse, da parte dei nemici politici (o dei loro nemici criminali o malavitosi). O perché essi sono la prova vivente dell’ignavia e a volte del fallimento di chi è bravo solo a cianciare e quindi vorrebbe denigrarli, ucciderne immagine e reputazione. Lo ha ben documentato proprio Roberto Saviano, ma è esperienza corrente di chiunque si trovi esposto da un lato agli attacchi dei criminali o dei fuori di testa e dall’altro all’azione denigratoria di questi cialtroni. Scarabei stercorari, senza la bellezza e l’ingegno di quegli ottimi insetti (pure buoni astronomi, si muovono seguendo la traccia in cielo della Via Lattea, lo sapevi?). Di essi - degli umani stercorari, intendo - potremmo dimenticarcene, se non fosse che il loro sporco lavorìo mette ancor più in difficoltà chi lavora onestamente nelle istituzioni e sul territorio e coerentemente contrasta malavita e crimine organizzato così come i poteri forti e loschi.

Insomma, vale la pena.
Non lo so, se ne vale la pena. So che è giusto.

Adriatico “No Oil”

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Il Governo Renzi le sbandiera come “strategiche”. In realtà le trivellazioni petrolifere nell’alto Adriatico non coprirebbe il fabbisogno nazionale che per poche settimane, perché il greggio sotto il nostro mare è scarso e di bassa qualità. Senza considerare che - e la crisi economica dovrebbe avercelo insegnato! - il futuro corre verso le rinnovabili. Una politica perdente anche dal punto di vista economico quindi, questa che vuole devastare l’Adriatico, mettendo a rischio l’ambiente e le attività come il turismo che ad esso sono legate, solo per pagar dazio alle compagnie petrolifere.
Per ribadire un netto “no” alle trivellazioni in mare, un centinaio di attivisti si è radunato in piazza San Marco per colorare uno striscione con la scritta “Italia - No Oil - Croazia”. Ovvero: niente estrazioni tra la le due sponde del mare. La manifestazione è stata organizzata da Legambiente, Wwf e Greenpeace e vi hanno aderito Vas, associazione Balcani Caucaso, Movimento 5 Stelle, Verdi Green Italia e Verdi Europei (che in questi giorni sono a Venezia per il direttivo europeo).


“Le trivelle appartengono ad una logica di sviluppo a discapito dell’ambiente che non ha futuro - ha spiegato Davide Sabbadin di Legambiente -. I vantaggi sarebbero pochissimi e solo per i petrolieri, i rischi tantissimi e tutti nostri. Cosa succederebbe alla pesca, al turismo nel caso si ripetesse anche qui uno di quei disastri che si sono già verificati in altre parti del mondo? Oramai il 40 per cento dell’energia che si consuma in Italia viene da fonti rinnovabili. In Europa questa percentuale è ancora più alta. Invece di investire in questa direzione e in quella del risparmio energetico, in Italia si preferisce ripercorrere la vecchia strada del combustibile fossile. Che poi è la strada che ci ha portato alla crisi economica, regalandoci in cambio solo devastazioni ecologiche”.
Tanta solidarietà ai manifestanti dai turisti che, in piazza San Marco, non mancano mai. Molti si sono avvicinati per contribuire a colorare lo striscione, Altri hanno chiesto informazioni sulle trivellazioni. Tutti si sono stupiti che un Governo accettasse di metter a repentaglio la straordinaria bellezza di una città come Venezia per pochi barili di petrolio di cattiva qualità.

Ambientalisti europei per Casson sindaco
In Comune

I verdi d’europa sostengono la candidatura a sindaco dell’“ambientalista” Felice Casson. Una scelta naturale per una città come Venezia che è stata travolta dallo scandalo del Mose - ha spiegato Angelo Bonelli, presidente dei Verdi italiani -. Una scelta che, ne sono sicuro, i veneziani in cerca di un riscatto politico non potranno non sostenere. Felice Casson è l’uomo giusto perché, tanto come magistrato che come politico, si è sempre speso a difesa del popolo inquinato”.
Proprio per sostenere Casson, i nove componenti del direttivo dei Verdi Europei si sono dati appuntamento a Venezia, nella sede della Fondazione Levi. Dopo un incontro con la stampa, al quale ha partecipato anche il candidato sindaco, i verdi europei hanno tenuto il direttivo mensile, quindi la giornata si è conclusa con un seminario sulle strategie di riconversione ecologica delle industrie inquinanti. Un tema che da queste parti significa: Porto Marghera. Significativa in questo senso la presenza di tanti eurodeputati ambientalisti. “Venezia è un patrimonio dell’umanità - ha spiegato il tedesco Reinhard Bütikofer, copresidente dei verdi europei - ed è un dovere dell’Europa non lasciarla sola e non abbandonarla alle speculazioni”.
Per una giornata, la nostra città ha ospitato il ghota dell’ambientalismo europeo e personaggi come Maurizia Giusti, Davide Sabbadin, Domenico Finiguerra, Bartolomeo Pepe, Francesco Ferrante, Luigi Lazzaro, Claudia Bettiol, Monica Frassoni, Annalisa Corrado, Oliviero Alotto. A far gli onori di casa, Luana Zanella. Tra i vari ospiti nostrani, ricordiamo solo Maria Rosa Vittadini che ha garantiamo Casson il personale sostegno.


Naomi Klein: la rivoluzione che ci salverà parte parte da noi

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Diamoci da fare. La conclusioni che l'autrice di No Logo tira al termine dell'incontro svoltosi nella serata di oggi all'auditorium di Santa Margherita, potrebbero essere condensate in queste tre parole. Diamoci tutti quanti da fare perché il mutamento del clima è oramai una verità accettata da tutti gli scienziati. Un cambiamento ci sarà. E sarà un cambiamento inevitabile perché il modello economico imposto dal capitalismo non è più sostenibile dalle risorse di cui dispone la terra. Eppure, nonostante sia ancora il sistema neoliberista a dettare i paradigmi sui quali corre l'informazione dominante, la consapevolezza che questa crisi non sia come ce la raccontano le banche si sta facendo strada tra la gente. Lo dimostra il successo di Podemos in Spagna e di Syriza in Grecia. E in Italia? "In Italia - scherza Naomi Klein - avete l'Expo sponsorizzato dalla Coca Cola".



L'incontro organizzato dall'associazione In Comune in collaborazione con Ca' Foscari e la Rizzoli Libri è stato un successo annunciato, considerato che questa veneziana è stata una delle tre sole tappe che la scrittrice canadese ha tenuto nel nostro Paese per presentare il suo ultimo libro "Una rivoluzione ci salverà", sottotitolo "Perché il capitalismo non è più sostenibile". Tutti 237 posti a sedere occupati, tanta gente, giovani soprattutto, in piedi o seduta per terra. Tanti altri fuori a masticare delusione perché, per ragioni di sicurezza, i responsabili della sala sono stati costretti a chiudere le porte.

Ad introdurre il dibattito, dopo l'inevitabile rito dei saluti del magnifico rettore, Michele Bugliesi, è stato il politologo Beppe Caccia, che ha ricordato come proprio la nostra città sia particolarmente toccata dai cambiamenti climatici e come tutti i veneziani, sulla loro pelle, hanno vissuto la storiaccia brutta del Mose. La grande opere salvifica che alla fin fine ha dirottato i fondi per la salvaguardia nel baratro della corruzione e della devastazione ambientale.

La Klein ha cominciato il suo intervento proprio da questa suggestione, ricordando come proprio a Venezia, una quindicina di anni or sono, venuta a presentare il suo libro "No Logo", abbia sentito per la prima volta la parola "precarietà" dagli attivisti dei centri sociali. "Un termine che oggi potrebbe essere esteso a tutto il mondo - ha sottolineato -. Il fatto è che non esistono risposte non radicali al problemi che ci pone l'ambiente. La scienza ci dice che entro i prossimi anni la temperatura crescerà di un valore tra i quattro e i cinque gradi. Questo cambiamento può forse essere evitato ma solo con una altro cambiamento radicale che investa la società, la cultura la produzione. Non illudiamoci che il neo liberalismo posso affrontare questo problema perché la sua agenda va in direzione completamente diversa. Un programma finalizzato al taglio delle emissioni è improponibile semplicemente perché il loro progetto è di aumentare le emissioni".

Il compito di stimolare Naomi Klein, è toccato all'ambientalista Gianfranco Bettin. L'incontro poi si è chiuso gli interventi del pubblico coordinati dal docente Duccio Basosi. Ma è proprio Bettin a buttare benzina sul fuoco sottolineando come, nel libro della Klein, vengano mosse pesanti critiche anche un certo ambientalismo non radicale ed alle sinistre di governo che, pur con sensibilità ben diverse rispetto alle destre, continuano a non mettere l'ambiente al primo posto delle loro agende, perseverando, alle fin fine, nel sostenere una politica neo liberista che, allo stato attuale delle cose, non può più essere riformata. Un esempio è stata l'Unione Sovietica con il suo capitalismo di Stato che ha devastato tutto il devastabile ed oltre. Oppure la Cina di Mao con la sua dottrina di "guerra alla natura" in nome della quale, tra le altre cose, ha cercato di sterminare tutti i passeri del continente. Un altro esempio sono le democrazie di sinistra dell'America latina: il Brasile, l'Ecuador, il Venezuela di Chavez. Paesi che, pur con atteggiamento diverso rispetto alle dittature, hanno comunque continuato l'attività estrattiva del greggio a spese dei popoli indigeni che dalla foresta ricavavano sostentamento.

"I cambiamenti climatici - ha risposto la scrittrice canadese - pongono in discussione tutte la nostra civiltà, dalla nascita della società industriale, quando si vendevano le macchine a vapore sostenendo che con questa avremmo sconfitto la natura, ad oggi dove il capitalismo è addirittura capace di proporsi come unica via di uscita ai danni che egli stesso ha causato. I cambiamenti climatici, in fondo, altro non sono che una risposta a scoppio ritardato a questo atteggiamento di scontro che l'uomo ha avuto nei confronti della natura. Come se ne esce? Con una sorta di, come l'ho chiamato, nuovo Piano Marshall. Non aspettiamoci che siano i Governi a farlo per noi. Neppure i Governi di sinistra. E' il momento di scendere in piazza e non solo per bloccare le grandi opere devastanti ma anche per proporre con forza progetti alternativi, cosa che non sempre siamo stati capaci di fare. Progetti che siano allo stesso tempo credibili, entusiasmanti e coinvolgenti. Perché il capitalismo è bravo a smuovere le acque della paura. Ma l'unica cosa di cui dobbiamo avere paura è che sia il capitalismo a governare i cambiamenti che, inevitabilmente, stanno arrivando".
Diamoci da fare, dunque.

Corruzione a norma di legge. Così il Bel Paese è stato svenduto alla lobby mafiosa delle Grandi Opere

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La prima osservazione da fare è tutta positiva: tanta, tantissima gente. In sala San Leonardo, questo pomeriggio, non si trovava un posto a sedere neppure a pagarlo. E questo, per una città che sta cercando di riscattarsi da quel sistema corrotto e corruttore legato al Mose che l'ha tenuta in scacco per tanti anni, è senz'altro un sintomo positivo. "Tanti anticorpi per far da antidoto al veleno che ha intossicato il nostro tessuto sociale" ha sottolineato Beppe Caccia in apertura del dibattito sul tema "Come liberare Venezia dal sistema Mose?" augurandosi che "la comunità sappia trovare la strada per ribaltare un sistema legato alla concessionaria unica capace solo di generare corruzione, ridando spazio alla buona politica".

L'incontro promosso dall'associazione In Comune aveva lo scopo di presentare il libro di Giorgio Barbieri e Francesco Giavazzi, "Corruzione a norma di legge", edito da Rizzoli. Sottotitolo da sottolineare: "La lobby delle grandi opere che affonda l'Italia". Nel volume si sostiene la tesi che ci siano due tipi di corruzione: quella in aperta violazione delle leggi e quella, molto più subdola e pericolosa, che viene portata avanti a norma di legge con meccanismi come la concessione unica. "Corruzione a norma di legge", appunto, è una inchiesta giornalistica come non se ne fanno tante in Italia, tanto più apprezzabile in quanto firmata da un economista come Giavazzi che, in passato, certo non è mai stato critico nei confronti di quella Grande Opera chiamata Mose.


Ed proprio l'ambientalista Armando Danella, primo ospite della serata, che non esita a dichiarare il suo disagio nel parlare di un libro che, quando parla del Mose, evita di affrontare l'aspetto ecologico per focalizzarsi su quello della corruzione. "A mio avviso è un errore - spiega - perché la tragedia del Mose non sta solo sulla corruzione ma anche sulla devastazione ambientale che ha portato con sé. Ancora oggi non sappiamo se le paratoie funzioneranno o no. Studi terzi ne hanno evidenziato la criticità strutturale in condizioni particolari. Prima di proseguire, dobbiamo essere certi quanto meno che l'opera funzioni e che non ci sia pericolo per la città".

Roberto d'Agostino ha sottolineato come, con un giro d'affari di oltre 10 miliardi di euro, il Mose sia stato il più grande trasferimento di denaro dal pubblico al privato del Dopoguerra.  "Di solito si corrompe per far cambiare le leggi, il sistema Mose pagava perché tutto continuasse così. Adesso è necessario fare pulizia. I politici che hanno preso soldi dal Consorzio perché non sapevano chi fosse se ne devono andare. E se lo sapevano debbono andarsene lo stesso. E così le imprese che sono state sorprese a rubare, non debbono più continuare ad occuparsi della Salvaguardia".




Corruzione sì, ma una corruzione che viene da lontano e che, come ha spiegato Luana Zanella, è cominciata con la Legge Obiettivo, fortemente voluta dal Governo Berlusconi, che ha abbassato i controlli antimafia e favorito procedure semplificate per bypassare le verifiche ambientali ed i controlli democratici. "Tutt'oggi non vedo la volontà politica di uscire da questo sistema che genera solo corruzione e devastazione - ha spiegato l'ex senatrice verde - Il decreto Sblocca Italia varato dal Governo Renzi continua ad andare proprio in questa direzione. La stessa legislazione speciale per Venezia nel corso degli anni è degenerata sino a dirottare i fondi solo al Consorzio Venezia Nuova, sostenendo che anche questa è Salvaguardia".

Proprio la Salvaguardia con le Bonifiche di Porto Marghera sono stati i capitoli di finanziamento che hanno portato più denaro in laguna. Denaro che, come ha spiegato Gianfranco Bettin, è finito dritto dritto nelle casseforti della criminalità organizzata. "Perché in altro modo non riesco a definire il Mose e il Consorzio Venezia Nuova. Anche la terza voce in classifica, il turismo, ha seguito questo esempio, pure se, in questo caso, la corruzione non è ancora classificabile come a norma di legge". Lo dimostrano i fatti legati alle infiltrazioni di Cosa Nostra al Tronchetto. "La tragedia raccontata nel libro sta nel fatto che non tratta solo della corruzione del corrotto, che sarebbe facile da affrontare con l'aiuto della magistratura, ma della corruzione delle regole. Su questo punto, i magistrati non possono aiutarci. Questa corruzione avvelena lo stesso tessuto sociale e politico della città perché porta voti, denaro facile, potere". In questo stato di cose, ben pochi possono dichiararsi davvero estranei. "Non assolviamo i tecnici che si sono fatti corrompere ma non assolviamo neppure tutta la città. Rendiamoci conto che una parte della società civile con la corruzione ci marciava bene e, per vantaggi o per paura, era ben contenta di rintanarsi nel grembo accogliente del Consorzio. Non crediamo quindi, che basti gettare le mele marce per bonificare la politica. E' necessario andare molto più in profondità e cambiare l sistema".

Spazio quindi a Felice Casson, senatore e candidato alle primarie per il centrosinistra. L'ex magistrato comincia con una battuta al suo compagno di partito, nonché presidente del Consiglio, Matteo Renzi che recentemente ha presentato a Roma il libro di Giavazzi e Barbieri: "Chissà se lo ha letto? Probabilmente no, ma gli farebbe bene impararselo a memoria". Casson raconta le difficoltà che ci sono a far passare in parlamento una legge anticorruzione o una normativa a tutela dell'ambiente. "Ci troviamo davanti un fronte
comune pronto a fare opposizione ad oltranza. Un fronte composto non solo dalle destre, che in questo caso dimenticano tutte le divergenze interne, ma anche da elementi del mio partito che certo mi guardo bene dall'assolvere". La chiusura è tutta elettorale: "Mi auguro che Venezia sia un punto di partenza per mettere definitivamente all'angolo questo sistema corruttivo e ridare voce ai veri valori del centrosinistra".


Chiusura per i due autori, Giorgio Barbieri e Francesco Giavazzi. "Nel nostro libro, affrontando il tema della corruzione, abbiamo cercato di fare un passo in avanti - ha dichiarato Giavazzi - esplorando quel meccanismo che, dal Mose all'Expo, viene ripetuto ogni volta dalla lobby politica ed affarista delle grandi opere. I problemi non vengono mai affrontati se non quando si può parlare di emergenza. Allora appare un solo progetto in campo ed su questo vengono dirottate tutte le risorse. Con la scusa di 'fare presto' vengono sospese le misure cautelari antimafia, le norme a tutela dell'ambiente. Tutto viene affidato ad un concessionario unico e spariscono gli attori politici che dovrebbero fare da controllori. Anche quando scoppia lo scandalo ed interviene la magistratura, i mass media parlano del corrotto e dimenticano di riferire che lo scandalo più grande, la corruzione più grave, è sempre quella delle leggi. Che poi è la corruzione della democrazia".

La retata. Il libro sullo scandalo del Mose presentato alle Prigioni

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Vien da chiedersi se la location era davvero casuale. Magari anche sì. Certo è che parlare del Mose e del sistema di malaffare ad esso connesso, proprio dentro il palazzo delle Prigioni, è stata una istigazione ai nostri peggiori istinti giustizialisti. A cominciare da quel Maurizio Dianese che, nel suo ruolo di moderatore oltre che di autore del libro, non ha fatto altro che chiedere a tutti - come provocazione, per carità! - cosa ne pensavano di quell’antica usanza non soltanto islamica di tagliare le mani ai malfattori. Amputazioni o no, qualche piano sotto i famigerati Piombi, ai veneziani di oggi scappava di pensare ai veneziani di ieri ed a quali supplizi avrebbero condannato tali corrotti e corruttori, rei di peculato con la pesante aggravante, che all’epoca da sola giustificava la decapitazione, di aver devastato madre laguna per interessi privati.
Ma torniamo al nostro triste presente in cui i reati ambientali non sono neppure presi in considerazione dal codice penale. Corruzione, concussione, riciclaggio, turbativa d’asta, evasione fiscale - tanto per citare alcuni capi d’accusa mossi alla cricca del Mose - ancora sì. Ed è proprio questo aspetto che viene affrontato nel libro presentato ieri sera alle Prigioni di Palazzo Ducale: “Mose. La retata storica”, pubblicato dal Gazzettino e scritto da tre suoi giornalisti, Gianluca Amadori, Monica Andolfatto e, per l’appunto, Maurizio Dianese.



Ospiti d’eccezione, Carlo Nordico, procuratore aggiunto di Venezia, e due dei magistrati che hanno coordinato l’inchiesta: Stefano Ancilotto e Stefano Buccini. Dietro il tavolo dei relatori, anche il direttore del Gazzettino, Roberto Papetti. Unico politico e componente dell’ex Giunta invitato agli organizzatori, Gianfranco Bettin, che anche in tempi non sospetti ha sempre denunciato il malaffare legato al “sistema Mose”.
Un malaffare che, spiega Dianese, permeava l’intera società veneziana. Il giornalista dipinge lo scandalo Mose come il più grande dell’intera storia Repubblicana: “Tanto per fare un esempio,la maxi tangente Eni che ha dato il via a Tangentopoli era di 70 milioni di euro, mentre il Mose ha fruttato perlomeno un miliardi di euro in 10 anni”. Dianese racconta di gente con sporte piene di denaro in giro per le calli e di come “il Consorzio abbia pagato politici, società di calcio, partiti, associazioni, consulenti, finanzieri, amministratori… tutti, tutti a Venezia sono stati pagati dal Consorzio”.


Si vede che frequento la gente sbagliata. Quali che conosco io, dal Consorzio hanno avuto solo querele, denunce e calci in culo. E mettiamoci anche qualche manganellata dalla Celere perché sventolavano striscioni con scritto “A Venezia la mafia si chiama Consorzio Venezia Nuova”.
Che non siamo tutti uguali, al Dianese, gliela canta pure Bettin: “Ti passo quel ‘tutti’ come una licenza poetica. C’è tanta gente, anche in questa sala, che il malaffare del Consorzio lo ha sempre denunciato”. Il sociologo è l’unico a sottolineare che il danno operato dalla cricca del Mose non può essere confinato nell’ambito delle ruberie, sia pure miliardarie, ma investe l’ambiente e, più generale, la stessa democrazia. “Col Consorzio non è mai stato possibile discutere o sollevare obiezioni. Il Mose ha avuto una sola Via ed è stata negativa. Ma i lavori sono partiti ugualmente sotto il segno della prepotenza. Inutile il voto contrario del sindaco e del consiglio comunale. Un sistema delinquenziale che non è stato ancora sconfitto e che è tutt’ora in mano a malfattori che hanno lucrato sulla salvaguardia e anche sulle bonifiche di porto Marghera. Crimine questo, particolarmente odioso perché hanno approfittato anche dei finanziamenti che sequestrati dalla magistratura e destinati al recupero di aree dove la gente muore avvelenata”.
Come era prevedibile, i tre magistrati spostano il discorso sulla legalità. Al Dianese che gli chiede “Che fare?”, Nordio sottolinea come l’inasprimento delle pene non sia una soluzione al “mal di tangente” che permea la politica italiana. Non è sufficiente neppure migliorare gli strumenti processuali. “Bisogna piuttosto intervenire sugli strumenti che il corrotto adopera: semplificare le leggi, individuare le competenze. Così si tagliano gli artigli al corrotto. Ma questa è una soluzione che il nostro Governo non intende prendere in considerazione”.
C’è anche un aspetto culturale, come sottolinea Buccini: “La soluzione del problema non può essere solo giudiziaria. La scelta di legalità è una scelta individuale e non di sistema. Chi rispetta le regole lo fa a suo giudizio e non viene mai premiato dal sistema che invece elogia i corrotti”. Ne sono un esempio i funzionari pluricondannati che l’assessore regionale Renato Chisso promuoveva ai vertici dei servizi regionali.
E il famoso taglio della mano? Non serve, spiegano i magistrati. Chi delinque, dà sempre per scontato di farla franca e non si fa spaventare dalle pene pur se truculente.
Certo che, quando scopri che corrotti come Giancarlo Mazzacurati dopo l’arresto, la confessione ed il patteggiamento si recano a cena da Paolo Costa per chiedere lo scavo del Contorta, cominci a sospettare che nel sistema qualcosa non funziona. E se poi leggi che dei No Tav rischiano un’accusa di terrorismo e la galera a vita per aver tagliato una rete, allora sei sicuro, che qualcosa nel sistema non funziona. Ma questi sono gli amici nostri. Quelli che Dianese non prende neppure in considerazione. Quelli che dal Consorzio (o dalla Tav, o dall’Expo o fate voi…) non hanno mai avuto niente se non querele, denunce e calci in culo.
Frequento proprio la gente sbagliata.

Immaginare la città come esercizio di democrazia e speranza. Salvatore Settis a Marghera

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Salvatore Settis sull'altra faccia della luna. Dopo l'affollato incontro di martedì a palazzo Franchetti, in pieno centro storico, l'autore di "Se Venezia muore" ha superato il Ponte per presentare questo pomeriggio il suo libro in una biblioteca di Marghera colma di gente. Con un relatore così, puoi mettere quante sedie vuoi che la maggior parte della gente deve rassegnarsi a stare in piedi. Un incontro, questo di Marghera, particolarmente interessante perché lo storico dell'arte che ha invitato i suoi lettori ad "immaginare la città" come esercizio di democrazia applicata, si è messo a confronto con le varie realtà del territorio che costruiscono percorsi di appartenenza sociale ad un luogo, riconquistando spazi pubblici e applicando quel "diritto alla città" che costituisce il leitmotiv del suo pensiero. Associazioni come In Comune, Airis, Comitato Marghera Libera e Pensante, I Celestini, e spazi sociali come il Loco che nasce proprio da uno spazio destinato alla vendita in nome di quello "scellerato patto di stabilità" come lo ha definito lo stesso Settis. Ma anche singoli personaggi come l'urbanista Maria Chiara Tosi, l'economista territoriale Federico Della Puppa, il parroco della Resurrezione Nandino Capovilla, rappresentanti di istituzioni come il presidente della municipalità Flavio Del Corso. A far gli onori di casa, il sociologo Gianfranco Bettin che ha introdotto il dibattito sul tema "Far vivere la città" ricordando come proprio il patto di stabilità, che vincola le amministrazioni pubbliche, sia uno dei principali motori della devastazione delle nostre città.



Opinione condivisa da Salvatore Settis che nel suo intervento ha meticolosamente risposto alle domande ed alle suggestioni che gli sono state poste dagli altri relatori. Venezia, ha spiegato lo scrittore, è il paradigma insuperabile della città d'arte. "Le nostre città sono state storicamente il teatro della democrazia. Democrazia che si è sviluppata grazie al luogo e non al prezzo. Chiediamoci, se dobbiamo prezzare ogni cosa, quando costa la nostra libertà?" Settis si riferisce alla lunga lista di beni che la legge sul federalismo demaniale ha elencato come "alianabili". Dentro ci si trova mezza Venezia. "Ci hanno detto che questi beni vengono venduti come merce al supermercato per risanare il bilancio, ma il debito ha continuato a crescere ugualmente. La verità che che questi beni pubblici vengono svenduti a prezzo di regalo per favorire chi li compera. E con loro, viene svenduta anche la nostra democrazia. Il diritto alla città, come hanno compreso bene queste persone che hanno parlato prima di me, è sinonimo di democrazia".
Impossibile non chiedere allo storico il perché di quel "Se" che mette angoscia sul titolo del libro. "Grandi navi, assurdi progetti di grattacieli in stile Dubai, turismo di massa, cementificazione del territorio ancora sole esempi della nuova peste che affligge Venezia. Possiamo fermarli? Io credo di sì se riusciamo a recuperare una idea di città che tragga forza della sua memoria. Il mio titolo vuole essere una speranza. Se uniamo progetto, responsabilità e anche speranza, fermeremo la peste".

“El mostro”. Un progetto per raccontare la storia di Gabriele Bortolozzo

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Non solo un film d’animazione. “El mostro” è molto di più. Un progetto dal basso innanzitutto. Un progetto che ha appena mosso i primi passi attivando un crowdfounding sulla piattaforma Eppela per raggiungere i primi 5 mila euro necessari a cominciare i lavori. L’obiettivo è quello di raccontare “a chi ne ha perso la memoria”, come si legge nel sottotitolo, la storia di Gabriele Bortolozzo. E raccontarla con un linguaggio nuovo come quello dell’animazione che ha il magico potere di “creare un immaginario e scavalcare le generazioni” come ha sottolineato Gianfranco Bettin, intervenuto ieri pomeriggio al municipio di Marghera all’incontro di presentazione dell’iniziativa. “Gabriele è stato il primo che dall’interno della fabbrica ha trovato il coraggio di denunciare la nocività della lavorazione e a superare il ricatto di chi offriva lavoro in cambio della salute. La sua è una vicenda esemplare che va tenuta viva e raccontata a tutti, e soprattutto ai giovani” ha sottolineato l’ambientalista. Con lui, Felice Casson, oggi senatore del Pd ma all’epoca il pubblico ministero che trascinò i vertici della Montedison al banco degli imputati. Casson ha rievocato il momento in cui Bortolozzo bussò alla sua porta di magistrato. “La storia di Gabriele, scomparso proprio vent’anni fa, mi ha accompagnato professionalmente e umanamente per tutta la vita. E’ merito suo se ho scoperto che oltre la mia vecchia aula al palazzo di Giustizia c’era un mondo reale”.
A presentare il progetto, sono intervenuti Flavio del Corso, presidente della municipalità di Marghera, Elisa Pajer, dello Studio Liz che lo produce, Cristiano Dorigo che ne ha scritto il soggetto assieme a Federico Fava, e Lucio Schiavon che lo ha disegnato. L’incontro si è svolto proprio nella sala che a Gabriele Bortolozzo è dedicata.




Non solo un film d’animazione, abbiamo scritto in apertura. “El Mostro è anche un percorso che abbiamo intrapreso con tanto entusiasmo e tanta convinzione - ha spiegato Elisa Pajer -. Un percorso che ci ha aiutato ad incontrare tanta gente. Giovani soprattutto, ma non solo. Siamo entrati nelle scuole, abbiamo tenuto incontri nelle librerie e nelle biblioteche con l’obiettivo di sensibilizzare la cittadinanza sui temi del lavoro e della salute, Abbiamo raccontato a tutti la storia di Gabriele che è poi la storia di Porto Marghera come anche quella di tante realtà, penso all’Ilva di Taranto, che stano vivendo lo stesso dramma. Gabriele ha avuto il coraggio di andare oltre e questo fa della sua vicenda una storia epica”.
Una storia che è stata già raccontata in tanti modi, cito solo il libro a fumetti di Claudio Calia “Porto Marghera” edito da Becco Giallo, ma mai attraverso un cartone animato. “Per il tipo che era Gabriele - ha concluso Bettin - sono sicuro che ne sarebbe stato contento”.

Di seguito alcuni link sui quali si può seguire il progetto e partecipare alla raccolta fondi. Ricordiamo la cena di sostegno che si svolgerà giovedì 11 dicembre al Bagolaro di Forte Marghera.

Pagina Facebook
https://www.facebook.com/events/1485840401681450/?fref=ts

http://www.eppela.com/ita/projects/992/gabriele-bortolozzo-el-mostro

http://producinuovevisioni.studioliz.org/2014/11/14/sostieni-el-mostro/

http://studioliz.org/2014/07/14/sostieni-gabriele-bortolozzo/

Spazio Loco: una pazza occasione per ripensare a come si combatte il degrado in città

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Proviamo a guardare lontano. Alziamo lo sguardo oltre la politica urlata dai sindaci dal pugno di ferro che invocano ronde ed inferriate. Oltre questo buoi mare di paure, sorge un’altra città. Quella città che sognano i ragazzi che hanno recuperato uno spazio di via Piave che versava da anni in stato di abbandono e degrado, con il solo obbiettivo di restituirlo alla città. Certo, non la città dei vigilantes ma la città dei cittadini capaci di interrogarsi, intervenire, riappropiarsi e gestire in democrazia il proprio territorio. Non c’è spazio per la paura in questa città. Perché, come sottolineano i ragazzi, è “la chiusura mentale che genera solamente proposte che non analizzano la complessità e le problematicità, che propongono vie risolutorie semplificatrici, banali, e non efficaci e che spesso degenerano in derive intolleranti e razziste”.
Una idea pazza? Sì, perché sono i pazzi quelli che gettano le fondamenta del futuro. Non a caso, il nome scelto dai ragazzi per questo nuovo spazio è Loco: acronimo di Laboratorio Occupato Contemporaneo.
“Viviamo le strade di Mestre - raccontano - e vediamo sempre più luoghi lasciati all'abbandono e al degrado che invece potrebbero essere o diventare spazi vivi, per aiutare a migliorare le situazioni complesse dei nostri quartieri e che potrebbero arginare quelli che tutti noi consideriamo problemi reali ai quali far fronte nella nostra città. Per questo e per molto altro abbiamo deciso di riprenderci uno di questi luoghi lasciati all'abbandono: per costruire assieme a tanti e tante, studenti, precari, giovani e meno giovani, un laboratorio sociale nuovo, in grado di ricercare e discutere collettivamente le contraddizioni che il nostro territorio sta vivendo e subendo negli ultimi anni”.




Riccardo Caldura, urbanista e sostenitore del Progetto 2020Ve, ha partecipato alla serata di inaugurazione del Loco. “Avevo ricevuto una cortese telefonata di uno dei promotori dell’iniziativa, al quale non potevo che estendere un mio ‘Bene, andate avanti’. Ieri sera ho rifatto un giro fra quelle sale, insieme ad uno degli artisti che vi avevano a suo tempo esposto, e che le conosce quanto me. La sensazione era stranissima, il luogo era rimasto così come lo avevamo lasciato, ancora con il muro dipinto di rosso dell’ultima installazione realizzata. Come se quattro anni non fossero trascorsi. All’ingresso, con il medesimo arredo di allora, si distribuivano spritz e birre e si organizzava una colletta di sostegno. Alle pareti manifesti, striscioni, e un pubblico di dreadlocks e jeans oversize. Ho letto un articolo di Tantucci sulla Nuova che riportava questa notizia: la prevista restituzione di 41 milioni di euro da parte del Comune a Est Capital, importo che era stato versato come anticipo sul valore realizzabile dei beni cartolarizzati.  Oltre a quell’importo, per giunta, se non ho capito male, era prevista anche la restituzione all’ente pubblico dei beni rimasti inveduti, fra i quali appunto la ex-Galleria Contemporaneo. Luogo che avevamo dovuto lasciare in tutta fretta, quattro anni fa, per ritrovarla identica ieri sera, però in fase di utilizzo come Laboratorio Occupato Contemporaneo. Non so se sia questa una risposta al degrado, ma mi chiedo se in ogni caso non sia meglio aver provato a riaprire, magari non con tutti i crismi della legalità, piuttosto che chiudere e vendere (male) o non vendere proprio”.
Un discorso molto simile a quello portato avanti da Maria Chiara Tosi, docente allo Iuav e anch’essa aderente al progetto 2020Ve, che in una intervista al Corriere ha sottolineato come “Non c’è miglior risposta al degrado della riappropriazione sociale degli spazi. La militarizzazione non è la sola soluzione”. Anzi, a lungo termine, non è neppure una soluzione. I quartieri migliorano se si investe nel sociale, se si aiutano i cittadini a diventare protagonisti della loro città. Un quartiere non può essere rivitalizzato tralasciando il contributo di chi ci abita. “Servono luoghi dove i bambini possano giocare e i ragazzi incontrarsi - conclude la docente nella sua intervista che potete leggere integralmente a questo link. - Bisogna investire i pochi soldi che ancora ci sono nel sociale. Purtroppo a Venezia si sente il peso della mancanza di una amministrazione. I tagli del commissario al welfare hanno creato un terreno fertile al degrado e alla criminalità”.
Sulla stessa lunghezza d’onda, il sociologo Gianfranco Bettin che da sempre sostiene la necessità di andare alle urne il prima possibile. “Un'osservazione contingente ma cruciale questa di Maria Grazia Tosi, che ha ben evidenziato i guasti creati dall’assenza di una gestione politica e dai pesanti tagli pesanti al welfare. Tanti, anche a sinistra, non hanno idea di quanto pesino queste cose. Dispiace che il Corriere, soprattutto nei titoli, enfatizzi una cosa che non mi pare ci sia nelle parole di Maria Chiara, e cioè la contrapposizione tra gli interventi che lei suggerisce come fondamentali e, appunto, strategici, e gli interventi tesi a ripristinare anche nell'immediato sicurezza e senso di tutela, di fiducia, nei cittadini, residenti o fruitori di alcune aree in particolare. Penso sia un errore molto grave, commesso frequentemente a sinistra, quello di contrapporre i diversi tipi di interventi. A Marghera, ad esempio, in una situazione molto critica abbiamo sostanzialmente ripreso il controllo del parco Emmer sia ripensandolo che riprogettandolo insieme ai residenti ed ai fruitori: spostando i giochi per bambini di fronte alle abitazioni, invece che lontano da esse dov'erano in origine, cosa che li aveva posti alla mercé degli spacciatori e dei vandali, animandolo con iniziative culturali, ricreative e non ultima, un orto sinergico. Abbiamo restituito al parco pulizia e decoro, ma abbiamo anche, ecco il punto, fronteggiato duramente, le bande di spacciatori e gli incivili che se ne erano impadroniti. I risultati sono stati eccellenti”.
Oggi che l’amministrazione non c’è, la situazione al parco è regredita, pur senza tornare al peggio perché la natura strutturale di alcuni interventi continua a funzionare positivamente, ma alcune insidie e ragioni di disagio si sono ripresentate.
“Si tratta - conclude il sociologo - si tratta di valutare caso per caso gli interventi da applicare, senza pregiudizi e senza ideologismi. Certo, tali interventi devono essere integrati in una visione che non può che essere quella cui allude Maria Chiara e non devono, mai, essere il centro, tanto meno propagandistico-ideologico e demagogico, dell'azione politica e amministrativa, ma non possono non esserne parte, pena l'abbandono di ampie parti della nostra popolazione ai discorsi e alle ‘ricette’ della destra e dei demagoghi di ogni tipo. Non, ripeto, per fare a costoro concorrenza ma perché la ragioni sulle quali a volte costruiscono le loro fortune sono fondate, si tratta di fondate paure e rabbie e frustrazioni dei cittadini che non possiamo dimenticare. A costo di esporsi a polemiche spesso velenose”.

Frattanto a chi, come Raffaele Speranzon di Fratelli d’Italia, chiede lo sgombero immediato dell’edificio, risponde Federico Camporese di Sel. “Commissario, questore e prefetto devono occuparsi della criminalità vera e non di chi vuole migliorare la città. In tante città d’Europa, iniziative come questa si sono rivelate fondamentali per risollevare le sorti economiche, sociali e culturali di aree della città che sembravano destinate all’oblio”.

Mose: è tempo di fare luce anche sui “collaudi tecnici” milionari

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La società è stata commissariata, alcuni ex presidenti sono finiti in galera, le inchieste hanno oramai accertato come la corruzione fosse usata a tutti i livelli in maniera sistematica ed i costi fatti costantemente lievitare per coprire tangenti e malversazioni. Eppure, in mezzo a tutta 'sta merda, la macchina della propaganda non si arresta. Anzi. Il Consorzio Venezia Nuova continua a parlare del Mose come di un'opera eccelsa, dalle magnifiche sorti e progressive, ed accende vetrine su vetrine di sfavillanti "collaudi tecnici" il cui copione è sempre lo stesso: gitarella in mare con brochure plastificata e ricco buffet ad uso e consumo di politici e giornalisti. Il tutto, per mostrare loro la magnificenza della Grande Opera che testimonierebbe l'italico genio.
Ebbene, non pare a voi che sia arrivato il momento di fare luce anche su questi "collaudi"? Sapere chi sono i membri della commissione che li effettua, come sono stati selezionati, quali i loro corricula e, magari, anche quanto guadagnano per far da passerella?
Tutte domande alle quali il Cvn, sino a qualche giorno fa, non si sarebbe neppure degnato di prendere in considerazione. Ma adesso il vento è cambiato (o perlomeno così ci auguriamo). Il Consorzio del malaffare è stato commissariato e Gianfranco Bettin e Beppe Caccia – esponenti del progetto aperto 2020VE - si sono rivolti all'Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone, per chiedere ufficialmente di fare luce anche su questo aspetto.


"Pubblicare integralmente tutti i dati riguardanti le commissioni di Collaudo è un atto di trasparenza, necessario e non più rinviabile - spiega Bettin - preliminare ad effettuare una reale due diligence tecnico-scientifica indipendente sui cantieri del Mose, in modo da verificare affidabilità e sicurezza, funzionalità e congruità economico-finanziaria delle opere fin qui realizzare e in corso di realizzazione”.
Già. Perché, come sottolinea l'ambientalista, la questione non è solo quella dei compensi milionari e di chi se li merita e di chi no. Diciamocela tutta, tangente più o tangente meno, i compensi ai collaudatori non cambieranno che di poche righe la storia che i posteri dovranno scrivere su questo disastro chiamato Mose.
Il vero problema è la sicurezza. Davvero vogliamo affidare il futuro di Venezia e di chi ci vive al giudizio di non si sa chi, non si sa come e neppure a quale titolo, se non che è nel libro paga della banda del Consorzio?
Per i collaudi del Mose infatti, sono stati spesi decine di milioni di euro in incarichi affidati ad alti burocrati dello Stato, figure con ruoli cruciali nei ministeri dell’Economia e delle Infrastrutture ma con competenze tecniche e scientifiche tutte da verificare. "La vicenda - commenta Beppe Caccia che aveva già segnalato la questione in una inascoltata interrogazione datata maggio 2012 - pone non solo una macroscopica questione relativa ai molteplici conflitti d’interesse nell’indistricabile intreccio tra chi avrebbe dovuto essere controllato e chi avrebbe dovuto controllare, ma anche e soprattutto solleva dubbi enormi che riguardano l’affidabilità tecnologica, la funzionalità e la sicurezza di un’opera di tale importanza, il cui percorso autorizzativo, a quanto risulta dalle indagini finora condotte dalla Magistratura, risulta essere segnato e condizionato dal sistematico ricorso alla corruzione”.
Il malaffare legato al sistema Mose non può essere liquidato, come vorrebbe far credere il Consorzio, affibbiando la colpa alle solite "poche mele marce" che si trovano in qualunque famiglia. Il marcio è nell'opera stessa. E, se vogliamo, in tutta quella logica delle "Grandi Opere", inutili ai fini che si prefiggono, devastanti per l'ambiente, invise dalle comunità locali che altro scopo non hanno che dirottare denaro pubblico a privati malavitosi, condizionando politica e gestione del territorio.
Un sistema corrotto e corruttore che va colpito anche con l'arma della trasparenza. Questo è quanto Bettin e Caccia chiedono a Raffaele Cantone: affidare i collaudi a seri professionisti estranei al Cvn, e andare con tutti i mezzi a disposizione sino in fondo nel colpire il legame tra un sistema politico-affaristico, complesso e ramificato, e le scelte compiute nell’imporre un progetto che, oggi più di ieri, appare lontano dagli obiettivi dichiarati di salvaguardare la Città e la sua Laguna.

Soldi al posto delle aiuole. Così il commissario Zappalorto vuol far cassa con l'urbanistica

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A cosa serve una aiuola? E a cosa serve un parco? Qualcuno potrebbe rispondere "A niente". Qualcun altro "A tutto". Filosofie diverse. Così come sono diverse le filosofie del commissario Vittorio Zappalorto, impegnato, costi quel che costi, a far quadrare il bilancio, e quelle di due ex assessori come Andrea Ferrazzi, Urbanistica, e Gianfranco Bettin, Ambiente, che ricordano come il consumo del suolo pubblico non possa prescindere da miglioramenti ambientali. Il motivo del contendere è proprio il verde pubblico messo a grave rischio da una delibera volta a modificare il regolamento comunale in materia che Zappalorto porterà mercoledì 29 in consiglio comunale. Scrivo questo per gli amanti della precisione e della burocrazia. Perché la conclusione va tradotta così: "che Zappalorto approverà mercoledì 29" considerato che il consiglio non c'è e che le delibere, in virtù dei suoi poteri di commissario straordinario, lo Zappalorto se le scrive e se le vota tutto da solo.
Fatto sta, che questa delibera, dall'esplicativo titolo "disciplina della realizzazione delle opere di urbanizzazione da parte di soggetti privati e della monetizzazione degli standard urbanistici", punta a "monetizzare", per l'appunto, il consumo del suolo pubblico.
In parole più semplici, i privati che vorranno costruire potranno, invece di realizzare aree verdi o spazi alberati a complemento della lottizzazione (come è sempre stato fatto finora), potranno optare per la comoda scorciatoia di versare qualche euro nelle asfittiche casse comunali.



Non è cosa da poco. Per l'urbanistica veneziana, questa delibera rappresenta un radicale cambio di rotta. D'ora in avanti chi costruisce potrà farlo come gli piace, senza curarsi del verde, col solo pagamento di una quota neppure tanto salata.
Va bene. Siamo in tempi di crisi. Ma siamo sicuri che se ne esce solo col cemento? "I proventi dell'urbanizzazione vanno vincolati a scopi ambientali, a fare Mestre più bella - commenta Ferrazzi -. Posso capire se si volesse monetizzare sui parcheggi, ma anche in questo caso, il ricavato va investito su progetti 'smart' come la mobilità collettiva o le piste ciclabili".
Sulla stessa lunghezza d'onda, Gianfranco Bettin, che spiega: "Con l'azione del commissario salta un principio sacrosanto che per tanti anni ha governato la nostra urbanistica. Il principio secondo il quale chi consuma suolo pubblico deve anche garantire miglioramenti ambientali per tutta la città. Far cassa usando l'urbanistica invece, rischia di innescare un meccanismo che può avere conseguenze devastanti".
Il verde insomma, serve a tutti ed è una misura della vivibilità di una città.
"Per qualcuno le aiuole sono inutili - conclude l'ambientalista - ma negli ultimi vent'anni, grazie a questa politica, abbiamo consentito a Mestre di arrivare ai primi posti per verde pubblico in Italia. Per questo, considero la posizione del commissario non solo pericolosa ma anche culturalmente arretrata".

Venezia chiama Terra

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“Quando ci pentiremo, sarà troppo tardi”. A lanciare l’allarme sui rischi derivanti da una politica che continua a sottovalutare i rischi legati ai Cambiamenti Climatici non è il “solito” ambientalista catastrofista ma lo stesso Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki Moon.
Il V Rapporto Ipcc infatti mostra inequivocabilmente come il riscaldamento globale costituisca una minaccia crescente per la stessa sopravvivenza dell'umanità sulla terra. Ma se la scienza oramai è concorde nel considerare il Climate Change un fatto acquisito e le voci dei pochi negazionisti sono state messe a tacere dai fatti, la politica è ancora lontana dal capire che il passaggio ad una nuova economia basata sulle rinnovabili non è più procrastinabile.
“Le azioni dei leader mondiali - ha dichiarato il segretario della Nazioni Unite che ha convocato per martedì 23 settembre i rappresentanti dei Governi di tutto il mondo - mostrano un approccio dalla mentalità ristretta sul tema dei cambiamenti climatici e sono distratti, assai spesso, da questioni di rilevanza meramente elettorale”.
Cambiare adesso quindi, perché tra un po’ sarà troppo tardi anche per pentirsi.
A sostegno di un auspicabile cambio di rotta verso un sistema energetico atto a contrastare il Global Warming, i movimenti ambientalisti di tutta la terra ha indetto una giornata di mobilitazione per domenica 21 settembre.



L’appuntamento principale sarà a New York dove è atteso un milione di persone per dare corpo alla più grande mobilitazione ambientalista mai organizzata: la People’s Climate March.
Da Sidney a Brasilia, da Stoccolma a Città del Capo, in tutto il mondo sono previste azioni di sostegno e di sensibilizzazione.
Anche Venezia questa mattina si è mobilitata con un flash mob e lo srotolamento di grandi striscioni sul ponte di Rialto. Le immagini, iconografiche e spettacolari come tutto quello che riguarda Venezia, saranno proiettate a Time Square durante la People’s Climate March.
L’iniziativa è stata organizzata da centri sociali, movimenti per la decrescita e le associazioni ambientaliste come Legambiente, AmbienteVenezia, Opzione Zero e NoGrandiNavi.
Non è un caso che gli organizzatori abbiano scelto come sede della conferenza stampa a sostegno della marcia newyorkese, proprio la sede dell’Ufficio Maree del Comune di Venezia, a due passi dal ponte di Rialto. Secondo il V Rapporto Ipcc, infatti, la nostra laguna così come il Delta del Po, è una delle aree costiere più a rischio di essere sommerse dal mare. Il simbolo vivente di un disastro planetario annunciato.
Ed il giorno in cui il mare coprirà le nostre calli, lo si legge chiaro nel rapporto Ipcc, non basterà il Mose a salvarci. Questa grande opera che ha devastato la laguna, inquinando la politica e drogando l’economia, è solo un’altro simbolo: quello del fallimento delle politiche di adattamento locale.

Non è neppure un caso che all’iniziativa rialtina abbiano partecipato i comitati che domani manifesteranno in bicicletta a Mira contro la Orte Mestre e quelli che domenica pomeriggio remeranno in barca sino al canal Contorta per difenderlo dal progetto di scavo.
La grande e inutile autostrada, così come l’ennesima devastazione lagunare a vantaggio delle Grandi Navi, altro non sono che due eclatanti esempi di quelle politiche sviluppiste che hanno innescato il Global Warming e di una economia predatrice che si nutre dell’ambiente in cui viviamo.

Democrazia sospesa. 2020Ve porta il “caso Venezia” davanti al commissario Vittorio Zappalorto

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Lo scavo del Contorta e i tagli al bilancio sono solo due esempi di come la democrazia a Venezia stia agonizzando in uno stato comatoso cominciato ben prima dell’arrivo del commissario.  Secondo una ricerca condotta dal Sole24Ore, negli ultimi 4 anni lo Stato ha tagliato del 66% i trasferimenti alla nostra città. Venezia è in vetta alla classifica delle città più penalizzate d’Italia, considerato che in media, i tagli ai Comuni si sono aggirati sul 43%. “Proprio questo è il cuore del problema – ha commentato Gianfranco Bettin -. L’attacco dello Stato alla finanza locale e, per quanto riguarda Venezia, l’attacco alla sua ‘specialità’, derivante da indiscutibili condizioni storiche e ambientali e socio-economiche”.
In condizioni in cui alle istituzioni più vicine ai cittadini come i Comuni viene di fatto impedito di governare perché viene loro negato lo strumento finanziario, si può ancora parlare di democrazia?
I tagli al bilancio che penalizzano tanto i servizi alla cittadinanza quanto il giusto salario dei dipendenti comunali, sono solo l’ultimo gradino di quello che oramai possiamo definire virgolettato il “caso Venezia”: una città commissariata per colpe non sue, considerato che il sistema politico affaristico che ruotava e che tuttora ruota attorno al Mose ha travolto con il sindaco Orsoni una Amministrazione comunale che dallo scandalo non è stata neppure sfiorata, mentre  il Consorzio Venezia Nuova e la Regione Veneto, che sono stati il cuore del malaffare, sono ancora là a spadroneggiare. Una città abbandonata a quegli stessi “poteri forti” che hanno corrotto e devastato. Una città cui ancora non è dato sapere con certezza quando potrà tornare al voto per eleggere un nuovo sindaco. Magari uno che non abbia mai avuto a che fare col Consorzio, stavolta!



Tagli al bilancio e scavo del canale Contorta sono solo gli ultimi due attacchi ad un welfare e ad un ambiente oramai considerati al pari di carne da macello.
Su questi temi, decisivi per il futuro della nostra comunità, le associazioni e le forze politiche che stanno dando vita al progetto 2020VE hanno deciso di incalzare l’amministrazione commissariata e, più in generale, di animare il dibattito e la mobilitazione sul territorio.
Una delegazione del progetto 2020VE, composta da Beppe Caccia (associazione In Comune), Federico Camporese (Sinistra Ecologia e Libertà) e Luana Zanella (Verdi Green Italia), ha infatti incontrato ieri mattina a Ca’ Farsetti il commissario straordinario Vittorio Zappalorto per denunciare l’ennesima grave forzatura compiuta dall’Autorità Portuale, che ha presentato un devastante progetto per lo scavo del canale Contorta, scegliendo un percorso “semplificato” che riduce i tempi a disposizione per l’analisi critica e cancellando ogni momento di partecipazione pubblica al processo.
Al commissario la delegazione ha denunciato il ruolo di quei poteri forti (Consorzio Venezia Nuova, Porto e Aeroporto) che operano sul territorio cittadino imponendo le proprie scelte fuori da ogni legittimazione democratica, chiedendogli di intervenire col Governo per ristabilire la corretta procedura di Valutazione d’Impatto Ambientale e di coinvolgere, nella scelta delle soluzioni alternative, istituzioni scientifiche indipendenti incentivando momenti pubblici di confronto aperti alla partecipazione di cittadini, associazioni e movimenti.
La delegazione di 2020VE ha ribadito al commissario anche  la contrarietà all’ipotesi, contenuta nel Bilancio 2014 presentato l’altro ieri, di pesanti tagli ai servizi alla cittadinanza e al salario dei dipendenti comunali, segnalando le irreversibili conseguenze sociali che questi comporterebbero.
Al prefetto Zappalorto è stato chiesto di farsi urgentemente carico dell’apertura con il Governo nazionale di un confronto risolutivo sul “caso Venezia”, a partire dall’ingiustificata penalizzazione subita negli ultimi quattro anni dalla Città da parte dello Stato centrale. Venezia ha bisogno di un intervento straordinario, cominciando dalla cancellazione delle sanzioni ingiustamente applicate per lo sforamento del Patto di Stabilità e dal recupero delle ingenti risorse economiche sottratte alla città da quell’apparato di malaffare chiamato “sistema Mose” che, ne siamo sicuri, passerà nella storia di Venezia come l’invasione degli unni è passata in quella dell’Impero Romano.
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