In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Il luogo più inquinato del mondo? Il ponte di una nave da crociera!

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E poi c'è chi va in crociera per "respirare aria buona"! Tutto il contrario, invece. Lo testimonia una ricerca condotta dai tecnici del Nabu (Naturschutzbund Deutschland), una delle maggiori organizzazioni ambientaliste tedesche, e diffusa in Italia dall'associazione Cittadini per l’Aria.
Sul ponte passeggeri di una comune nave da crociera sono presenti concentrazioni di microparticelle fino a 200 volte superiori ai livelli di fondo naturali. Un dato davvero incredibile che in Francia è stato oggetto, il 20 gennaio, di una speciale trasmissione televisiva mandata in onda su France 3 e visibile a questo link focalizzata in particolare sul porto di Marsiglia.
Non è la prima volta che Nabu denuncia l'inquinamento provocato dalle navi. Ricordiamo dal 15 al 19 aprile 2016, i tecnici dell'associazione tedesca sono scesi fino a Venezia per documentare i danni prodotti dal via vai delle Grandi Navi. Qui i risultati delle misurazioni che testimoniano come le emissioni inquinanti non solo danneggiano gravemente l'ambiente, ma soprattutto la salute umana.

"Gli armatori espongono i loro passeggeri a elevate dosi di inquinanti dannosi per la salute mentre promettono vacanze, mare e aria puliti e rigeneranti– ha detto Anna Gerometta, presidente di Cittadini per l’Aria - In realtà, come risulta dalle misurazioni effettuate, chi sta sul ponte di una nave da crociera a prendere il sole è esposto a concentrazioni di particelle superiori anche di 200 volte i valori che si misurerebbero in assenza della nave”.
Nonostante questi dati sconvolgenti i principali attori del settore delle crociere si rifiutano di passare a carburanti più puliti e installare sistemi di depurazione dei gas di scarico come accade per i motori terrestri.
“Tali misure potrebbero ridurre l'inquinamento massiccio da navi da crociera immediatamente e quindi limitare l'impatto per l'uomo, l'ambiente e il clima in modo significativo – continua Gerometta - Interpretiamo questo comportamento come una forma di speculazione irresponsabile resa possibile dalla generale ignoranza del problema". Nabu- si legge in un comuicato diffuso dalla battagliera associazione ambientalista - ha richiamato anche l’evidenza scientifica sui danni ai polmoni a cui possono essere soggette in particolare le persone che già soffrono di malattie respiratorie come l'asma se esposte a simili livelli di particolato e le istituzioni mediche che raccomandano di stare lontano da alcune parti del ponte di una nave da crociera per evitare di inalare gas di scarico che potrebbero innescare riacutizzazioni. Anche l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha di recente classificato gli scarichi dei motori diesel come sostanza cancerogena, allo stesso livello di rischio come l'amianto. Quando si brucia olio combustibile pesante o diesel marino – ciò di cui si alimentano le navi - accanto al particolato vengono emesse altre sostanze dannose come la fuliggine, il biossido di azoto e metalli pesanti. Il responsabile della politica dei trasporti NABU Daniel Rieger ha detto: "Non siamo stati sorpresi quando abbiamo visto questi nuovi numeri. E’ noto da anni che i gas di scarico delle navi contengono elevate quantità di inquinanti atmosferici tossici poiché utilizzano i carburanti più sporchi disponibili sul mercato, senza dotarsi di eventuali sistemi di filtraggio. Finora siamo stati solo in grado di documentare l'inquinamento atmosferico delle navi a terra, vicino ai terminal crociere, per esempio, ma né a noi né ad altri soggetti indipendenti era stato permesso di farlo sulle navi al fine di verificare l'inquinamento lì. Forse perché gli armatori si aspettavano questi esiti drammatici? Sarebbe molto grave se si scoprisse che l'industria delle crociere guarda deliberatamente altrove pur essendo a conoscenza del problema".
Si potrebbe supporre che i risultati delle misurazioni non siano un caso isolato, molto probabilmente infatti rappresentano la realtà a bordo della maggior parte delle navi da crociera della flotta corrente. Questa misurazione dovrebbe essere considerata come una prova di inadeguatezza e stimolare ulteriori verifiche nel settore delle crociere, verifiche di cui siamo in attesa da lungo tempo.
I soli annunci pubblici sono stati sin qui di gran lunga insufficienti: ad esempio Aida Cruises, leader del mercato tedesco promise di fare il retrofit di tutta la sua flotta con filtri antiparticolato dal 2014, ma ancora non vi è alcuna prova di un solo sistema installato.
In Italia, neppure promesse!


Tabella 1: I risultati delle misurazioni a bordo di una nave da crociera

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Tabella 2: comparazione dei livelli con altre situazioni (aria pulita e traffico urbano)
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La cittadella della povertà e i reggiseni delle vigilesse

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La questione ruota tutta attorno al concetto di "decoro". Concetto che ognuno interpreta a modo suo. Vediamo due esempi: i poveri e i reggiseni delle vigilesse. Per il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, meglio conosciuto come "il Gigio da Spinea" da quei veneziani che non lo amano, i poveri sono indecorosi. Sono sporchi, soprattutto da quando l'amministrazione ha tagliato le docce dove andavano a lavarsi, qualche volta puzzano, non hanno un posto dove dormire, anche perché detta amministrazione ha chiuso le cooperative che davano loro un letto, tra loro qualcuno rubacchia o spaccia droga (questo non è vero, altrimenti non sarebbero poveri, ma il Gigio da Spinea ne è convinto), e poi - questo è indiscutibile - continuano a non curare l'eleganza e si infilano tutti gli stracci che trovano nelle immondizie per combattere il freddo. Insomma, sono indecorosi!
Il secondo esempio, riguarda le donne vigile. Ieri, il sindaco ha fatto la rituale comparsata per augurare buon natale ai cittadine decorosi in piazza Ferretto, in pieno centro a Mestre, con una mimetica addosso. Sì… l'altra parola che tiene banco da quando hanno eletto il Gigio da Spinea, è "sicurezza". Metti che ci sia un attentato, beh, lui ha già la mimetica addosso. Tra una cosa e l'altra, il primo cittadino di Venezia ha pensato bene di prendersela con le vigilesse. Si truccano troppo e indossano reggiseni non consoni. Qualche volta, dice il Gigio, non se lo mettono nemmeno il reggiseno.

Io, ve lo giuro, non me ne ero mai accorto. Fatto sta che adesso, in Laguna, ogni volta che passa una donna vigile tutti a misurarla con gli occhi e a fare supposizioni!
Tutto questo, dice il Brugnaro, è indecoroso, perché anche le donne vigile, al pari degli uomini, rappresentano Venezia agli occhi del mondo. Evidentemente, non si può rappresentare Venezia senza reggiseno!

Bisogna anche spiegare che il Gigio da Spinea con le vigilesse nostrane non ci è mai andato d'accordo. Colpa delle pistole. Colpa della "sicurezza". Il Gigio, appena eletto, ha armato di pistola tutti i vigili. Costo non indifferente da sostenere, ma, se vogliamo la "sicurezza", non basta girare in mimetica!
Fatto sta nessun vigile è rimasto contento del regalo e sette donne gli hanno pure risposto picche. La sicurezza non è andare in giro armati, hanno spiegato. I compiti di un vigile non sono quelli di un carabiniere o di un poliziotto. Altre sono le questioni che un vigile è chiamato ad affrontare e nessuna di queste si risolve con una pistolettata. Le pistole sono sempre pericolose, specie se chi le porta, come il corpo di polizia municipale, non è addestrato per usarle. E poi, metti che avvenga uno scippo, cosa dovremo fare? Sparare in mezzo alle calli? Caro sindaco, non siamo Tex Willer e la pistola non la vogliamo.
La questione sta andando per tribunali e sindacati. Ma intanto il Gigio da Spinea ha scoperto che può costringerle a non truccarsi ed a mettere un reggiseno "decoroso", e lo ha fatto.
Ce n'è anche per i colleghi uomini, eh? Niente piercing, niente capelli lunghi e niente tatuaggi. E se poi uno ha il Leone Marciano tatuato su una chiappa, voglio vederlo il Gigio, che glielo va a scovare per licenziarlo!
Non che gli altri dipendenti comunali, lo abbiano particolarmente in simpatia, il nostro sindaco, considerato che giusto lunedì c'è voluto un battaglione della celere per impedire a duecento precari licenziati di mettergli le mani addosso quando hanno assalto il consiglio comunale.

Dico questo per darvi una idea di quali pericoli ed insidie nasconda il sempre antipatico concetto di "decoro". Le soluzioni, poi, sono ancora peggio. Quella ai "troppi poveri indecorosi" - perlomeno 500 persone, secondo le stime della Caritas, vivono in stato di completa indigenza a Venezia - è sin troppo facile, per il Gigio. "Penso ad una cittadella della povertà che allontani i poveri dalle zone residenziali e dal centro, dove concentrare mense e servizi" ha spiegato. Non ha inventato niente, il Gigio da Spinea. Di slum e favellas è pieno il mondo. Di quartieri ghetto, la terra. Fa solo specie che chi non ce li ha, pensi ad istituirli d'ufficio.

Ai giornalisti che hanno chiesto dove dovrebbe sorgere questa… cittadella, il sindaco ha risposto: "Io lo so ma non ve lo dico". E qui ci sta tutto il concetto di democrazia di uno come il Brugnaro che appena eletto vuole vendere i quadri del Comune e si incavola quando gli spiegano che non lo può fare. Oppure quando a uno studente che lo contestava civilmente in un dibattito ha urlato: "Io, te ti aspetto fuori!" Oppure quando ha esautorato tutte le municipalità e si è circondato di assessori senza deleghe effettive perché nelle aziende che vogliono fare "schei" troppa "democrazia" impedisce al capo di prendere le decisioni. Oppure quando al referendum costituzionale dichiara ai giornalisti che, nella sua opinione, ci ha ragione il Brunetta e il fronte del No ma che voterà Sì perché glielo ha chiesto Renzi e lui, per principio, si allinea sempre con quelli che comandano. Oppure… va beh, avete intuito, immagino.

"Cosa volete? - commenta il politologo veneziano Beppe Caccia - siamo in un periodo di interregno, tanto per citare Gramsci, il vecchio muore ma il nuovo non può nascere. E in questo periodo sospeso si verificano i fenomeni morbosi più svariati. Trump e Brugnaro ne sono due efficaci esempi".
Ah sì, Trump. Il Gigio da Spinea ne è un accanito sostenitore. Gli ha scritto una lettera per invitarlo in laguna assieme ad un altri due "suoi" idoli della democrazia, Putin ed Erdogan. Già me li vedo, tutti insieme appassionatamente a spasso per piazza San Marco. Come si dice da queste parti, "Speriamo nell'acqua alta".

Ma torniamo alla famosa cittadella tutta per i poveri da costruire dove non ci è dato sapere ma senz'altro in qualche periferia già degradata di per suo così da non doverci lavorare più di tanto per degradarla ancora di più.
"Ma davvero c'è qualcuno che si stupisce se il Brugnaro non vuole poveri, accattoni, tossici e barboni in centro? - si chiede provocatoriamente Vittoria Scarpa, attivista del cso Rivolta e portavoce della cooperativa Caracol che lavora con l'emarginazione offrendo posti letto al caldo e coperte a chi ne ha bisogno. Cooperativa naturalmente scaricata dall'amministrazione Brugnaro -. A Mestre sono state rimosse le panchine perché i senza casa ci si sedevano, è stata tolta la fermata dell'autobus, piazzale Donatori è stata trasformata in una scoassera (immondezzaio.ndr) piuttosto che fosse frequentato da chi non ha casa casa. Gli operatori in strada sono sempre di meno, perché ora il must è 'aiutiamo solo chi vuole redimersi'. Come se la povertà fosse una scelta o una colpa! Chi lavorava nel sociale e ha denunciato le vergognose politiche di questa giunta è stato sostituito da quelli che fino a ieri vendevano panchine di legno e oggi da bravi lacchè ammaestrati fanno da palcoscenico al finto assessore buono! Si vantano di progetti che non sono loro e non sanno che sono nati dalle nostre occupazioni delle stazioni nei giorni freddi. Ma noi non lo facevamo per togliere i poveri da sotto gli occhi della città per bene e neanche per carità cristiana. Noi ci siamo battuti e ci batteremo ancora per garantire a tutti i loro diritti. Ma il sindaco e l'assessore non sanno neanche cosa significhi questa parola".

Purtroppo per il brugnaro, il progetto della cittadella dei poveri nasce già in salita. Le mense colpevoli di attirare i poveri da spostare nella famosa cittadella appartengono tutte alla curia patriarcale e non al Comune. Immediata la replica del patriarca Francesco Moraglia: "La città non può emarginare realtà che appartengono al vivere sociale. Se c’è da organizzare meglio le mense, ci impegneremo perché questo avvenga, però portare tutto in un luogo deputato alla carità, quasi come se ci fossero barriere divisive all’interno della comunità civica e sociale, questo no. Così si crea emarginazione su emarginazione".
Adesso bisogna vedere cosa risponderà il Gigio da Spinea che certo non ama essere contraddetto, lui che si è fatto i soldi creando una società di lavoro interinale! E' una fortuna per il patriarca di Venezia non aver bisogno di portare reggiseni!

Guerre per il petrolio e petrolio per le guerre

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I cambiamenti climatici generano guerre. E le guerre generano i cambiamenti climatici. Facciamo le guerre per i combustibili fossili e consumiamo combustibili fossili per fare le guerre. Ci siamo mai chiesti quanto costa un carro armato in termini di emissioni di Co2? Quante emissioni serra porta con sé un bombardamento? 
D’accordo, di fronte a tragedie come quella di Aleppo, tentare di valutare la questione in termini di riscaldamento globale, sembra una bestemmia. Ma non dimentichiamoci che la guerra in Siria è stata causata anche dai cambiamenti climatici. 
Uno
studio pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences” e riportato in italiano dalla celebre rivista Le Scienze (versione nostrana di Scientific America) ha spiegato come la guerra civile che sta insanguinando il Paese mediorientale sia imputabile, tra le altre cause, ad una tremenda siccità. La peggiore mai registrata in quell’angolo di medio oriente che ha visto nascere la civiltà. Tra il 2006 e il 2011, la siccità ha messo in ginocchio l’agricoltura, costringendo decine di migliaia di contadini a spostarsi verso le città. Un flusso migratorio che si è mescolato con quello dei profughi provenienti dal vicino Iraq in guerra – altro conflitto che ha radici profonde nel riscaldamento globale – causando un forte aumento dei prezzi, scarsità di generi alimentari e tensioni sociali. “Non stiamo sostenendo che la siccità abbia causato la guerra – scrive il climatologo Richard Seager – ma che, aggiunta a tutti gli altri fattori di tensione, ha contribuito a spingere la situazione oltre il limite, fino al conflitto aperto. E una siccità di tale entità è stata facilitata dalle attività umane in corso in quella regione”.
“I cambiamenti climatici mettono sotto stress le risorse idriche e l’agricoltura e probabilmente aumenteranno ancor più il rischio di conflitti – ha spiegato Seager su Scientific America – La guerra siriana vive ormai di vita propria, tuttavia, l’aggravamento della siccità per i cambiamenti climatici è stato un fattore importante nell’innescare la disgregazione sociale.”

Il caso della Siria non è certo l’unico. Altri
studi scientifici hanno messo in relazione l’aumento di temperatura con lo scoppio di conflitti in tutto il mondo, dall’africa sub sahariana allo stesso Egitto, dove la rivoluzione è stata preceduta da una impennata dei prezzi del cibo causata dalla siccità. 
Non è quindi una questione secondaria chiedersi quanto ci costa in termini di emissioni di Co2 quelle guerre causate proprio dalle emissioni di Co2. 
Più difficile dare una risposta esauriente. 
Il primo in Italia a fare i conti in tasca ai… carri armati è stato, a quanto ci risulta, il meteorologo Luca Mercalli. In un suo
articolo del 2003 (quando ancora i negazionisti contestavano la teoria dei cambiamenti climatici), consultabile nel sito della società meteorologica italiana, l’ambientalista si domandava, riferendosi a Desert Storm: quanto petrolio ci costa la guerra per il petrolio? 
Partiamo intanto dai dati che abbiamo. 
  • Un carro armato consuma in media 200 o 300 litri ogni 100 chilometri. Poi ci sono le “eccellenze”: l’Abrams M1, ad esempio, soprannominato “l’ingozzatore di benzina”, ne brucia almeno 450. 
  • Un aereo tipo F-15 Strike o un F16 Falcon consumano 16 mila e 200 litri all’ora. (Non mi lamenterò più della mia Kawasaki 750Z!)
  • Un bombardiere B52, 12 mila litri all’ora.
  • Un elicottero da combattimento Apache, 500 litri all’ora. 
  • I mezzi di appoggio sono assai più parchi, e possiamo stimare, sempre lavorando di difetto, il consumo medio in un litro a chilometro. 
Limitandoci solo alle forze dell’esercito statunitense e dei loro alleati, Desert Storm ha messo in campo 42 F17 che volarono per 6900 ore in 38 giorni, 2400 aerei, 1848 carri Abrams, più di 50 mila veicoli d’appoggio. Solo i rifornimenti in volo che tutti i telegiornali mandarono in onda in quanto “spettacolari”, costarono 675 milioni di litri di carburante sufficienti a riempire i serbatoi di 17 milioni di auto. 
“Assegnando un parco mezzi più o meno di questa consistenza – scrive Mercalli – e applicando un coefficiente di utilizzo molto prudente di una sola ora al giorno per mezzo, si ottiene un consumo giornaliero di 45 milioni di litri di carburante”. E parliamo solo delle forze alleate di terra. Senza considerare le navi, le portaerei che vanno col nucleare e sulle quali bisognerebbe fare tutto un altro discorso, i consumi dell’esercito iracheno e i pozzi di petrolio dati alle fiamme. 
Facciamo adesso due conti della serva: 45 milioni di litri di carburante bruciati si traducono con emissioni pari a 112.400 tonnellate di Co2. Come dire che 10 giorni di guerra inquinano – e, ripetiamolo, la cifra è calcolata per difetto – come per una anno una città di oltre 110 mila abitanti. 
“Da ciò si constata come, oltre ai problemi di ordine etico che difficilmente giustificano un tale sperpero di risorse volto a danno di una nazione (quindi si preparano altri costi energetici per ricostruire quanto distrutto) – scrive Mercalli –
un tale volume di emissioni gassose in atmosfera vanifica in pochi giorni gli sforzi di intere nazioni per ridurre i consumi e risparmiare energia, alla faccia del Protocollo di Kyoto”. Tanto per fare un esempio, l’emissione giornaliera derivante dal conflitto iracheno equivaleva almeno alla metà del carico di emissioni che il nostro Paese avrebbe dovuto ridurre per mettersi in regola con gli allora accordi di Kyoto. 
A questo punto vien da chiedersi
come mai, durante la Cop parigina, le attività militari siano state esonerate dall’obbligo di ridurre le emissioni. Anzi, le cosiddette “spese per la difesa” non hanno neppure fatto parte degli argomenti messi nelle agende di discussione. Quella guerra che secondo Gino Strada dovrebbe diventare un tabù come l’incesto, è stata invece esonerata da ogni rendicontazione climatica. Come fosse welfare cui l’umanità non può rinunciare. 
Eppure la guerra ammazza. Prima ammazza con le bombe, poi ammazza ancora di più con l’inquinamento climalterante e le conseguenti guerre innescate all’inquinamento climalterante. 
Marinella Correggia giornalista di Altreconomia in un suo
interessante articolo si chiede provocatoriamente “quanto carburante fossile ha consumato il 3 ottobre 2015 l’aereo AC-130 della United States Air Force per i 45 minuti di bombardamenti sull’ospedale di Medici senza Frontiere a Kunduz”.
Mike Berners-Lee, autore di “How Bad are Bananas? The Carbon Footprint of Everything” scrive: “I costi umani diretti delle guerre sono così tragici che pensare agli impatti ambientali e climatici pare quasi frivolo o insolente. Ma le moderne forze armate e le loro operazioni belliche sono voraci divoratrici di energia ed emettendo carbonio riscaldano il clima, condannando gli umani anche oltre e dopo la fase della guerra”. 
Opinione condivisa anche da Barry Sanders, autore di “Green Zone. The environmental costs of militarism”: “Il settore militare non solo inquina ma contamina, trasfigura, rade al suolo. Scrivendo il mio libro mi sono accorto che
il destino della Terra e del mondo è nelle mani delle armi”. Una prospettiva davvero inquietante. 
Nel 2005, l’associazione ecologista Friends of the Earth ha stimato che
solo il mantenimento dell’apparato militare mondiale – senza contare il suo uso – produce due miliardi di tonnellate di Co2 all’anno. Oggi, più di dieci anni dopo, il bilancio è peggiorato. 
E la fetta più grossa della torta militare mondiale, è quella che si mangiano gli Usa. “Da quanto ne so – scrive sul suo Facebook il meteorologo Luca Lombroso –
il solo Pentagono ci costa in emissioni quanto la Svizzera“. Il sopracitato Sanders è ancora più esplicito. “L’esercito degli Stati Uniti è il principale produttore istituzionale di gas serra al mondo: oltre il 5% del totale. E la percentuale sarebbe molto più alta, se si comprendessero i costi energetici di produzione delle armi, il consumo di combustibili fossili e di materiali da parte dei privati contractors e infine l’enorme peso della ricostruzione di quanto distrutto dalle guerre”. 
Vien da chiedersi se si possa pensare di contenere l’aumento di temperature entro i due gradi, come prevede Cop 21, mantenendo questo mostruoso apparato inquinante capace solo di generare altre occasioni di inquinamento climatico. 
L’ultimo rapporto dell’International Peace Bureau spiega che ciò non è possibile: “
Ridurre il complesso militar-industriale e ripudiare la guerra è una condizione necessaria per salvare il clima, destinando le risorse risparmiate all’economia post-estrattiva e alla creazione di comunità resilienti. Le spese militari rubano alla comunità internazionale i fondi di cui ha disperatamente bisogno per la mitigazione e l’adattamento alla crisi climatica”.
Destinare alle iniziative di contenimento dell’inevitabile aumento della temperatura globale le risorse che oggi vengono spese per finanziare le guerre che sono la principale causa dell’impennata della temperatura globale, sarebbe probabilmente la sola speranza dell’umanità di vivere su questo pianeta così come ha vissuto sino ad oggi. Ed è quanto ha chiesto l’appello “
Stop the Wars, Stop the Warming” lanciato da scienziati climatici e ambientalisti Usa nel luglio del 2014. Appello inascoltato dall’allora presidente Barack Obama. E possiamo azzardarci a prevedere che non avrà miglior fortuna con Donald Trump!
“È un circolo vizioso infernale – si legge nel documento -: l’uso esorbitante di petrolio da parte del settore militare statunitense per condurre guerre per il petrolio e le risorse, guerre che rilasciano gas climalteranti e provocano il riscaldamento globale. È tempo di spezzare questo circolo: farla finita non solo con le guerre per il petrolio, ma con l’uso di petrolio per fare le guerre”.

I cacciatori nel parco. La Regione confeziona un bel regalo di Natale alla lobby degli “sparatutto”

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Alla regia di questo ennesimo tentativo della Regione Veneto di smantellare le – poche – aree protette del Veneto per trasformarle in riserve di caccia per gli amici degli amici, c’è ancora lui: il consigliere Sergio Berlato, eletto nelle liste di Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale. Sotto tiro, è proprio il caso di dirlo, c’è il parco dei Colli Euganei. Un emendamento alla legge regionale legge di stabilità che sta per andare in discussione a Palazzo Ferro Fini, a firma del consigliere vicentino, chiede di ridurre di ben due terzi l’attuale superficie del parco, così da poter permettere ai cacciatori di praticare il loro “sport” preferito in aree sino ad oggi proibite alle doppiette
Un provvedimento che è stato definito una autentica porcheria, non solo dagli ambientalisti ma anche dai sindaci dei Comuni interessati come Arquà, Montegrotto, Battaglia, Lozzo, Este, Monselice e Galzignano, che vedono azzerare tutti i benefici che i loro cittadini ottengono dal parco, per fare un regalo di natale alla potentissima lobby dei cacciatori che ha nel consigliere Berlato il suo punto di riferimento. Una lobby, questa dei cacciatori, molto appetita da tutti i politici di destra (e anche da qualcuno di sinistra), considerato che il suo esempio è stato immediatamente seguito dal collega consigliere Stefano Valdegamberi, lista Zaia, che ha presentato un emendamento fotocopia sostituendo al nome “parco dei Colli”, “parco della Lessinia”. 

In poche parole, se gli emendamenti dovessero essere approvati, il nostro povero Veneto, già abbastanza cementificato, si ritroverebbe con due storici parchi in meno e due aziende venatorie in più. 
Il tutto, nel silenzio (complice?) del presidente Luca Zaia, dal quale ci si attenderebbe un po’ di veemenza in meno nella difesa di una lingua che non esiste e di una etnia immaginaria, e un po’ di attenzione in più per l’ambiente in cui viviamo.
E, siccome siamo sotto natale, i regali ai cacciatori non sono finiti: l’emendamento a firma Berlato prevede anche la depenalizzazione degli illeciti penali in materia di caccia. Come dire: fate quello che volete anche se la legge lo vieta. Tanto, tutti i vostri reati saranno condonati. Pensate che festa se questo principio giuridico fosse applicato anche alle altre categorie come, che so, gli automobilisti o i ladri!  
E c’è ancora qualcuno che sostiene che i cacciatori non siano una lobby! Lo sono invece. Proprio come quella dei costruttori che sarebbero i secondi a beneficiare dell’emendamento Berlato perché, una volta abbattuti i vincoli di tutela dei parchi, anche il cemento e le speculazioni edilizie avrebbero la strada spianata. 
La colpa poi, è tutta dei cinghiali! Il partito dei cacciatori giustifica questa vergognosa operazione di smantellamento dei parchi veneti imputandola ai cinghiali. E che ci sia un numero eccessivo di questi animali nella nostra Regione, che questi causino danni all’agricoltura e che trovino rifugio all’interno dei sopracitati parchi, è una verità indiscussa. 
Ma la soluzione non sono i cacciatori. Nessuna questione ambientale può essere risolta con la caccia. Soprattutto per come la intende chi oggi se la spassa a procurare dolore agli animali. Un cacciatore come lo era Mario Rigoni Stern, sottoscriverebbe ogni parola che abbiamo scritto perché non avrebbe nulla da spartire con chi spara per “sport”. 
I cacciatori non sono la soluzione. Casomai, sono il problema. Se la popolazione di questi animali ha raggiunto nel nostro Veneto livelli preoccupanti è solo perché proprio i cacciatori ne hanno fatto continue, e spesso illegali, immissioni. Non è neppure un mistero che questi animali sono fonte di grandi guadagni nel mercato clandestino della carne da tavola. 
Affidare la “tutela” della fauna, o anche una suo semplice contenimento, ai cacciatori è un controsenso. Intanto perché la loro sensibilità ambientale è quella di un dirigente del Consorzio Venezia Nuova, ma soprattutto perché l’interesse di un cacciatore è quello di riempire il carniere e, di conseguenza, di avere tanti animali ai quali sparare. 
Quello che si deciderà in consiglio regionale è il destino dei parchi veneti. Ed è appena il caso di notare che le scelte saranno irreversibili. Da una colata di cemento, dalla scomparsa di una specie, dalla devastazione di un’area protette non si torna più indietro. 
Chi ha a cuore l’ambiente e i beni comuni, deve agire oggi perché domani i pentimenti non serviranno a niente. 
Ambientalisti, comitati civici, associazioni animaliste hanno invitato tutti cittadini alla mobilitazione. L’appuntamento è lunedì 12 dicembre a Venezia, a mezzogiorno, davanti a Palazzo Ferro Fini, sede del consiglio regionale.
Dovremo essere in tanti. Solo così riusciremo a far capire un bel po’ di cose a gente che ha la testa dura. 

Quell'ebraismo che rifiuta il sionismo

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La Terra Santa? "Appartiene esclusivamente al popolo Palestinese". Israele? "Uno stato illegittimo che non ha nessuna ragione di esistere". Ebraismo e sionismo? "Due concetti antitetici". Il chassidismo rifiuta il principio che sta alla base di questa ideologia: quello del diritto degli ebrei ad avere un loro Stato. Perlomeno sino a che il promesso Messia non busserà alle porte di Gerusalemme, inaugurando un'era di pace e prosperità sia per i vivi che per i morti. "Nell'attesa, noi preghiamo per un immediato e pacifico smantellamento dello Stato di Israele, perché i sionisti abbandonino la loro criminale ideologia e perché la terra di Palestina venga restituita ai loro legittimi proprietari. Così che anche in quei luoghi si possa tornare a vivere in pace come era nel passato". Parola di ebreo. Anzi, parola di rabbino: Yisroel Dovid Weiss, religioso ortodosso appartenente al movimento chassidista e noto attivista anti sionista, portavoce dell'organizzazione Neturei Karta (traducibile dall'aramaico come "i guardiani della città"). Assieme al discepolo Yehoshua Rosenberger, rabbi Weiss, martedì 29 novembre, in occasione della giornata che l'Onu dedica ai diritti dei palestinesi, è venuto a Venezia dagli Stati Uniti dove risiede per spiegare che quanto il governo israeliano sta portando avanti nella Terra Santa è un crimine che nulla ha a che vedere con l'ebraismo.
Per gridare al mondo la sua denuncia, rabbi Weiss si è scelto un palcoscenico mica male: piazza San Marco. I due ortodossi hanno chiesto l'appoggio di alcuni militanti per i diritti dei palestinesi di Venezia. Appoggio, detto per inciso, non poco problematico perché i due rabbini ortodossi debbono seguire regole rigidissime, tanto nell'alimentazione quando nel vestire e nel rapportarsi con gli altri. Gli è vietato, tanto per fare un esempio, non soltanto sfiorare un essere di genere femminile ma anche farsi inquadrare in una fotografia assieme ad una donna. Il che, in una piazza perennemente strapiena di turisti come quella di San Marco, è una pretesa non da poco. Anche le regole che rabbi Weiss detta per l'iniziativa sono alquanto particolari. Le riprese e le foto non devono inquadrarlo davanti a chiese o edifici religiosi. Così sceglie lo sfondo del palazzo Ducale, dopo essersi assicurato che il governo della Serenissima, ai suoi bei tempi, fosse sufficientemente laico. Niente altoparlanti ma solo la voce diretta, lingua inglese o ebraica. Solo i due religiosi inoltre, dovranno sostenere il cartello con la denuncia di Israele. Che si cominci la piazzata con "solo" un paio di ore di ritardo, era il minimo che ci si potesse aspettare. I due chassidim hanno un orologio tutto per conto loro. Si parte verso le sei di sera in una piazza San Marco che non è mai deserta. Quando rabbi Weiss comincia a parlare ad alta voce, dietro quel cartello con scritto, in italiano, l'ebraismo rifiuta il sionismo e lo Stato di Israele, si forma subito un capannello di turisti incuriositi dai nostri personaggi che, detto senza offesa, sembrano un anticipo di carnevale. E cominciano subito le contestazioni. Già, perché tra tanta gente da tutto il mondo non manca mai qualche turista israeliano che, sul sionismo, la pensa in tutt'altra maniera. Non passa un quarto d'ora che una viaggiatrice israeliana, particolarmente incavolata dall'acceso battibecco sostenuto col rabbino, telefona alla polizia. In tre minuti arrivano, nell'ordine, due vigili di piazza e una vigilessa, due soldati armati con bombe, maschere antigas e mitraglie come se fossero sulle strade di Mosul, con un poliziotto a sostegno (sono le famose ronde per la "sicurezza" che il sindaco di Venezia apprezza tanto), due carabinieri, altri due poliziotti in divisa e uno della Digos in borghese. C'è da sottolineare che la sceneggiata che ne è nata aveva il suo lato comico. Nessuno di questi signori spiaccicava una sola parola di inglese, per tacer dell'ebraico, inoltre nessuno di loro aveva idea che esistessero ebrei ortodossi antisionisti. I cartelli che denunciavano Israele, in mano a due uomini che possedevano tutte le caratteristiche del tipico ebreo da film, li spiazzava non poco. Quando i due rabbini hanno esibito regolari passaporti a Stelle e strisce, e non di qualche strano stan ex sovietico, i tutori dell'ordine hanno cominciato a pensare che le cose fossero più complicate del previsto. Come se non bastasse, tra tutte quelle forze in campo, non era neppure chiaro chi dovesse prendersi la responsabilità di decidere se portarli dentro per accertamenti o limitarsi a sgomberare il sit in. Ma un passaporto rilasciato dagli Usa dà sempre qualche vantaggio rispetto ad uno emesso in Libia o in Sudan. Così, una volta resisi conto che la questione era sì complicata ma non rientrava nel genere "attentato terroristico di matrice islamica", hanno optato per un saggio "lasciamo perdere". Non senza aver prima preso i documenti di un paio di italianissime persone che si erano gentilmente offerte di fare da interpreti con l'inglese ed essersi accertati che i due rabbini si incamminassero verso il loro albergo. Senza voler entrare nel merito della delicata questione se la causa palestinese tragga o no vantaggio da un sostegno che, per così dire, arriva dalle file dell'integralismo religioso ebraico, va sottolineato che l'iniziativa dei due rabbini nordamericani ha avuto quanto meno il merito di mettere il dito nella piaga del problema: l'uguaglianza ebreo = israeliano = sionista, con la quale Israele giustifica le sue continue violazioni ai diritti dei palestinesi, non ha motivo di essere. Si può essere ebreo senza essere sionista e si può essere sionista senza essere ebreo. "L'ebraismo è una religione, una forma di spiritualità, mentre il sionismo è una ideologia nazionalistica che non ha nulla a che vedere con la religione ebraica – spiega rabbi Weiss-. Più di un secolo fa, qualcuno decise di creare uno Stato per il popolo ebraico mentre noi crediamo fermamente che questo ci è proibito perché siamo stati esiliati dalla Terra Santa per decreto divino. Israele è stata creata sull'oppressione di un intero popolo e continua ancora ad opprimere commettendo continue violenze e atrocità. Noi ebrei non possiamo che ribadire che questo è un crimine. Nei dieci comandamenti è scritto 'non uccidere' e 'non rubare'. Eppure al mondo viene data l'impressione che i crimini sionisti siano commessi in nome del popolo ebraico, quando simili azioni sono espressamente proibite nella Torah". Eppure Israele continua ad essere appoggiata dalla maggior parte dei governi. Come vede questo sostegno? "Il mondo deve capire che l'appoggio allo Stato di Israele non è assolutamente di aiuto al popolo ebraico. Al contrario, il sionismo sta favorendo la ripresa dell'antisemitismo. Alla gente viene fatto credere che tutti gli ebrei siano favorevoli allo Stato di Israele, mentre, di fatto, ci sono centinaia di migliaia di ebrei che si oppongono all'esistenza stessa di uno Stato fondato su una ideologia nazionalista. A Gerusalemme comunità religiose cristiane, ebraiche e musulmane vissero in armonia per secoli. Fu l'intervento di questo movimento politico, il sionismo, che occupò le terre e commise crimini inauditi, a scatenare l'odio e la violenza che vediamo ancora oggi". Quali sono le soluzioni per portare la pace in Palestina? "Ce n'è una sola di soluzione che è anche la cosa giusta da fare: la Terra Santa appartiene ai palestinesi e a loro va restituita".

Referendum costituzionale, ecco perché gli ambientalisti devono votare NO

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Non è solo sul futuro del bicameralismo paritario, che saremo chiamati a decidere domenica 4 dicembre.
La revisione del Titolo V della Costituzione nasconde un tentativo - vergognosamente mascherato sotto il velo della "riduzione del numero dei parlamentari" e del "contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni", che si legge nel quesito referendario - di espropriare democrazia ai territori per accentrarla nelle mani di un apparato governativo che - qualsiasi sia il suo colore politico - è sempre di più un obbediente e prono portavoce dei dettami della finanza.
Basti solo pensare che l'introduzione della clausola di "supremazia statale", tanto cara alla Boschi e Renzi, su temi come l'energia, le infrastrutture, il governo del territorio, avrebbe reso impossibile condurre battaglie come quelle, vinte, per l'acqua pubblica e contro il nucleare o come quella, persa ma che comunque qualche risultato lo ha ottenuto, sulle trivelle.


Il disegno renziano di accentramento del potere non può essere accettato supinamente da chi si definisce ambientalista e crede in un allargamento della democrazia capace di includere i territori in cui conduce le sue battaglie, e si batte per una società slegata dai condizionamenti di un sistema economico che ha causato la crisi e i cambiamenti climatici.

Una visione di un futuro possibile e indispensabile, totalmente in contrasto con quella che sta proponendo il premier Matteo Renzi con questa riforma raffazzonata e, volutamente, poco chiara che si inserisce nell'ondata populista e antidemocratica che, proprio grazie al democratico strumento del voto (che non significa affatto "partecipazione"), sta investendo il mondo intero e che ha portato all'affermarsi di partiti filo nazisti in tanti Paesi dell'est europeo, alla Brexit in Gran Bretagna e all'elezione di Donald Trump negli Stati Uniti.
Una ondata che ha come principale nemico l'ambiente e coloro che si oppongono alla sua devastazione e trasformazione in merce. Perché altro non è che il riflesso politico dei cambiamenti climatici.

Per questo, oltre 150 comitati territoriali, dai No Tav ai No Muos, da Stop Biocidio a Medici per l'Ambiente - la lista completa la potete leggere a questo
link - hanno deciso di prendere posizione contro la riforma costituzionale con un appello. Una scelta doverosa per difendere non soltanto la pratica di rappresentanza contro chi vorrebbe arrogarsi il potere di scegliere i membri del senato, ma anche il diritto di poter continuare a lottare dai nostri territori per difendere salute, ambiente, diritti e beni comuni. In altre parole, per difendere la democrazia. Quella vera. Quella dal basso e partecipata, come solo chi ama, rispetta e cura l'ambiente in cui vive la può intendere. 

"La riforma Costituzionale formalizzata dal Governo Renzi, e sostenuta da Confindustria e dalle lobbies finanziarie ed economiche è un attacco diretto alla nostra possibilità di decidere sul futuro delle nostre vite e dei nostri territori. - si legge nell'appello - Un ulteriore e definitivo attacco da parte di quello stesso Governo che, in spregio ai valori della democrazia, ha sbeffeggiato con un #ciaone gli oltre 13 milioni di persone che il 17 Aprile scorso hanno votato per un modello energetico libero dal petrolio".

Domenica 4 dicembre, gli ambientalisti sbarrando la casella del No sulla scheda, avranno la possibilità di restituire il #ciaone a Renzi ed ai suoi referenti finanziari lanciando un segnale forte che affermi che, se si deve ammodernare la Costituzione, lo si faccia come hanno fatto Germania, Spagne e Francia, introducendo la tutela dell'ambiente, il principio di precauzione e la difesa delle generazioni future.
Tutte cose verso le quali la riforma renziana marcia in senso opposto, partorita come è da un sistema economica che si basa ancora sull'aggressione e sulla mercificazione dei beni comuni e delle risorse ambientali.

La fattoria senza padroni

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Nelle colline del Chianti, tra filari di viti e boschi di ulivi, c'è una fattoria senza padroni. E per raccontare la sua storia, partiremo dalla fine.
Siamo a pochi chilometri da Firenze. Trovare la fattoria non è facile perché bisogna indovinare lo sterrato giusto, dopo aver navigato a vista su una matassa di stradine sali e scendi, badando di non farsi distrarre dallo splendore artistico della cupola del Brunelleschi, che appare e scompare in lontananza, marcando il cuore del capoluogo toscano, adagiato nella valle dell'Arno. In quell'oasi di verde collinare, sembra impossibile che Firenze possa essere così vicina.
Capiamo di essere arrivati a destinazione quando vediamo un cartello della Monsanto. Già! Solo che sopra qualcuno ci ha disegnato un ragazzo armato di pennello che cancella il "santo" per sostituirlo con "deggi", tanto per rimarcare che da queste parti si respira tutta un'altra idea di agricoltura. Il nome della fattoria senza padroni è proprio Mondeggi. "Mondeggi Bene Comune", per l'esattezza. Nome che viene dallo sterrato che sale sulla collina sino ai tre casolari che sono la casa, il laboratorio, il deposito attrezzi, le cantine e tutto quanto fa fattoria per la ventina di ragazze e ragazze che, da circa tre anni, ha occupato questa terra, trasformandola, per l'appunto, in un Bene Comune.

Sabato 7 e domenica 8 marzo, la fattoria era in festa. Festa grande, intendo. Perlomeno un centinaio di persone si era radunato per discutere di occupazioni, sostenibilità, alternative ad un capitalismo predatorio che ha portato all'umanità solo povertà, guerre e devastazioni, mercificando Beni Comuni e diritti dei popoli. Si discuteva, in altre parole, del Mondo Possibile annunciato dagli zapatisti e su come traghettarci l'umanità. Una atmosfera simile, dico la verità, l'avevo respirata solo nei caracoles del Chiapas. Sotto gli accoglienti pergolati di Mondeggi, a raccontare storie di resistenza e di costruzione di alternative ad una economia basata sull'accumulazione e non sulla solidarietà, c'erano portavoce di popoli indigeni e di comunità contadine provenienti da tutta l'Amercia Latina. Nelle tante assemblee che si sono tenute nella fattoria senza padroni, ho ascoltato rappresentanti del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional del Salvador, dei Sem Terra brasiliani, dei sindacati contadini d'Argentina e del Messico. E poi, ospite d'onore, c'era lei: "Bertita" Càceres, in rappresentanza del Copinh dell'Honduras, che, come non sarà fuggito ai lettori di FrontiereNews avevo intervistato pochi giorni prima all'Internazionale di Ferrara. Non mancava, naturalmente, anche una vasta rappresentanza dei movimenti sociali e dell'associazionismo italiano ed europeo, tra i quali citiamo solo Genuino Clandestino, perché è il movimento da cui provengono le ragazze ed i ragazzi di Mondeggi e che ha promosso questa esperienza. E qui apro una parentesi per rimarcare che questo appuntamento, pure ignorato dalla maggior parte dei media italiani, ha avuto un riscontro tale a livello internazionale che papa Francesco, ha formalmente invitato un portavoce della fattoria senza padroni all'incontro internazionale dei movimenti popolari, in programma a Roma dal 2 al 5 novembre, alla presenza del pontefice, sul tema: “Programmare il protagonismo dei lavoratori di tutto il mondo che agiscono nelle lotte per la terra, la casa e il lavoro”. Un invito inaspettato che ha sollevato un bel po' di discussioni, non ancora concluse, all'interno della mailing list di Genuino Clandestino.
Ma torniamo sulle colline dei Chianti. Tra una assemblea tematica e una plenaria, c'è il tempo di visitare la fattoria. Gil e Carlo, portavoce a tempo della comunità senza padroni, mi fanno vedere la cantina. Considerata la loro giovane età, chiedo loro dove hanno imparato a fare il vino. "Su Google" mi risponde Gil. Devo aver fatto una faccia… No, dai, sul serio. Dove avete imparato a fare il vino? "Siamo tutti, o quasi tutti, studenti di agraria. Qualcosa ne sapevamo quindi, ma ti confesso che passare dalla teoria alla pratica non è affatto facile, soprattutto nei campi. Quindi abbiamo sperimentato, abbiamo chiesto ai vicini che sono sempre solidali con noi e, non ultimo, abbiamo fatto anche delle ricerche in rete. Per questo dico: Google. Se ci siamo riusciti noi, possono riuscirci tutti!"
Arrivati a questo punto, bisogna raccontare la storia di Mondeggi che comincia con un fallimento, quello dell'azienda srl a partecipazione pubblica che una decina di anni fa chiuse i battenti lasciando all'allora amministrazione provinciale un buco di un milione e 200 mila euro. Per la grande tenuta di oltre 200 mila ettari, seguirono sette anni di abbandono totale. Viti, ulivi, tutte le coltivazioni… tutto andava alla malora. "Qui attorno vivono molte comunità di contadini - mi racconta Carlo - e sono stati loro i primi a gridare allo scandalo nel vedere abbandonare al degrado una terra ricca e generosa come questa". Nascono i primi comitati autorganizzati che si riuniscono in "Verso Mondeggi Bene Comune" e si legano a Genuino Clandestino. Si comincia a parlare di occupazione e autogestione.
A prescindere da una esperienza in Umbria, di poca durata e già conclusa, è la prima volta in Italia che si ragiona di come "recuperare una terra" in stile Sem Terra. A differenza del Sudamerica, dove l'occupazione di uno stabile scatena immediatamente la repressione poliziesca mentre sulle terre da coltivare il Governo tende a mediare (il che non significa che i movimenti contadini ottengono sempre la terra, naturalmente), nel nostro Paese e in Europa le cose funzionano al contrario. Anche perché questa di Mondeggi è la prima vera esperienza di occupazione di terre coltivabili in Italia. "E' più facile occupare un centro sociale che un campo - mi assicura Carlo -. La terra, ce ne siamo accorti con le nostre mani, è bassa e dura!"
Seguono un paio di anni di preparazione, in cui ottiene l'appoggio dei contadini del Chianti, ed in cui si organizzano iniziative come la raccolta popolare delle olive, il recupero degli oliveti abbandonati, l'avvio di orti comuni. Quindi, tre anni fa, Mondeggi viene occupata. Dapprincipio un solo casolare e un piccolo appezzamento, poi il recupero si estende ad altri edifici e agli attuali 40 ettari gestiti in comune e senza padroni. La terra, come ci ha spiegato Carlo, è bassa e dura. le ragazze e i ragazzi ci investono quello che anno e, soprattutto, danno l'anima a coltivare dapprincipio viti e ulivi per farne vino e olio. Un po' alla volta, arrivano le arnie per le api, gli orti, un piccolo gregge di capre e pecore, la birra artigianale, il laboratorio di piante officinali, la scuola contadina… "Quest'anno siamo riusciti ad acquistare pure un trattore" racconta felice Gil. "La Cia, il potente sindacato dei grandi coltivatori, ci attacca di continuo e fa pressione sulle amministrazioni per arrivare allo sgombero. Dicono che abbiamo rubato la terra, che gli facciamo concorrenza sleale. Ma sono bugie. Il nostro olio, il nostro vino, il nostro miele vengono venduti solo negli spazi sociali e nei mercati di acquisto solidale. Chi compra i nostri prodotti, lo fa non soltanto per acquistare del vino, dell'olio o del miele ma soprattutto per sostenere il nostro progetto. Noi vendiamo quello che la Cia non può vendere: una agricoltura sostenibile e senza padroni!"
Le fertili terre attorno alla fattoria però, fanno gola alla speculazione. La Città Metropolitana che dalla Provincia ha ereditato il podere di Mondeggi (e i suoi debiti), affitta saltuariamente grandi appezzamenti della collina alle aziende private. "Prendono la terra per una anno e, in questo breve tempo, la sfruttano per ricavarne più soldi possibile. Usano grandi macchine che devastano le piante e impoveriscono il suolo, consumano prodotti chimici e inquinano l'acqua. Qualcuno farà anche i soldi, ma così non si va da nessuna parte. Non è per questa strada che si costruisce un futuro sostenibile e aperto a tutti".
L'ultima notizia è ancora più preoccupante. Una multinazionale agricola ha acquistato un appezzamento di Mondeggi. Sono solo pochi ettari, ma pagati ad un prezzo esorbitante perché contempla il diritto di prelazione verso i terreni confinanti. E' evidente che hanno tutte le intenzioni di allargarsi anche verso le terre senza padrone.
Cosa farete se compreranno anche la vostra terra e vi intimeranno di andarvene?
"Non hai sentito quello che hanno detto all'assemblea i compagni dei Sem Terra, del Frente salvadoregno, del Copinh e la stessa Berta Càceres? La terra non si compra e non si vende. Si difende. Faremo quello è giusto fare. Resistere ad ogni costo".

Il Parlamento Europeo ratifica l’accordo di Parigi. Per i movimenti si apre la stagione delle battaglie per il clima?

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Dalla politica non ci si deve aspettare niente. Una legge dello Stato, un accordo internazionale, non valgono più di un due a scopa se non c’è la volontà di applicarli. Non basta neppure la supposta buona fede di chi siede nella stanza dei bottoni. Tutto questo per spiegare che il raggiungimento del quorum di ratifica dell’accordo di Parigi, pur se va annoverata tre le “buone notizie” del giorno, non porta con sé assolutamente niente di definitivo o di vincolante. La partita del clima è ancora tutta da giocare.
In ogni caso, la ratifica degli accordi di Parigi, sancita ieri, martedì 4 ottobre, dall’Unione Europea, rimane comunque un fatto positivo. Ricordiamo infatti, che il documento di intenti varato da Cop21 sul mantenimento della temperatura entro i 2 gradi, per diventare operativo, implicava la successiva ratifica dei Governi di perlomeno 55 Paesi del mondo per una responsabilità complessiva del 55% delle emissioni climalteranti. Ieri, con la firma dell’Unione Europea il tetto è stato ampiamente raggiunto.
E qualcuno potrebbe anche stupirsi di come mai ci son voluti più di sette anni per ratificare il protocollo di Kyoto, mentre per Cop21 ne è bastato uno solo. Il perché di questa velocità, lo si spiega facilmente con due osservazioni. A dar la sveglia all’agenda politica dei nostri Governi, non è stata purtroppo la scienza - che da decenni mette in guardia dai pericoli conseguenti ai Cambiamenti Climatici - ma, ancora, il capitale.

Il primo punto da tenere in considerazione è che il futuro dell’economia, anche di quella che la Naomi Klein definisce “shock”, è solo e comunque green. Se Paesi come l’Olanda o la Svezia hanno già avviato l’iter per bonificare l’intero sistema di mobilità, sia pubblica che privata, vietare i motori a benzina e convertirli all’elettrico, non lo hanno fatto per amore dell’ambiente. O, perlomeno, non soltanto per amore dell’ambiente. I loro Governi si sono semplicemente resi conto che con il petrolio siamo agli sgoccioli. Gli ultimi giacimenti rimasti sono una delle prime cause delle guerre, delle devastazione e delle migrazioni forzate che affliggono la Terra. L’economia fondata sui fossili continua a combattere ma è già morta, pur se non se n’è ancora accorta (scusa Ariosto). Prima si sterza verso il green, e prima si arriva al traguardo dei Paesi che nel domani prossimo venturo potranno dire di contare nello scacchiere mondiale. E l’Italia? Stiamo ancora trivellando i nostri mari per non scontentare le multinazionali estere! All’appuntamento con la green economy del futuro, ci presenteremo con le classiche mutande del nonno.
La seconda osservazione è ancora più triste della prima. Dobbiamo ricordarci che nel piatto di Cop21 è stata rilanciata una posta di oltre 100 miliardi di dollari, da stanziare tra il 2020 al 2025, con i quali compensare le perdite dovute ai tagli di emissioni climalteranti ed incentivare le aziende verdi. Su chi dovrà gestire questi finanziamenti e con quali criteri (tanto per dirne una, si sono “dimenticati” di inserire la clausola del rispetto dei diritti umani per i Paesi che dovranno godere dei finanziamenti climatici) è la vera partita per la quale si sono scannati a Parigi. E questo spiega anche perché Paesi come l’India o la Cina, dove il concetto di “tutelare l’ambiente” non ha neppure una traduzione credibile, si sono affrettati a ratificare tutto ciò che c’era da ratificare pur di essere tra i primi a sedersi al tavolo dove verrà spartita la torta.
Ma, come dicevamo in apertura, la notizia che l’accordo di Parigi è diventato legge, sia pure non vincolante, né in Italia né altrove, rimane comunque una buona notizia. La politica, almeno stavolta, ha fatto quello che doveva fare e nei tempi previsti. Adesso la palla passa ai movimenti, alla cittadinanza attiva, alle associazioni. Perché la politica di più non può o non sa fare. Dovranno essere i cittadini a fare di Cop21 una bandiera, alzare la voce e pretendere che amministrazioni locali e Governi rispettino quegli accordi che loro stessi hanno ratificato. E dobbiamo aspettarci una battaglia dura, perché mai, nel dopoguerra, la democrazia è scesa a livelli così bassi come di questi tempi. E non è un caso. Perché la battaglia per il clima e la battaglia per la democrazia sono la stessa battaglia.
Cop21 ha ratificato che i fossili e l’economia che vi aveva capitalizzato sopra, stanno marciando dalla parte sbagliata delle storia dell’umanità. E, assieme a loro, tutto quel cieco fervore sviluppistico fatto di Mose, Tav, Grandi Opere, Grandi Navi, Ponti sullo Stretto, “Milioni di posti di lavoro” che hanno massacrato ambiente e democrazia negli ultimi 50 anni.
Il loro tempo sulla nostra Terra è finito. Dobbiamo solo farglielo capire.

Come dobbiamo dirvelo che l’inceneritore non lo vogliamo?

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E sempre all’erta bisogna stare! L’Sg31, buttato fuori dalla porta grazie ad una dura mobilitazione popolare, rischia di rientrare dalla finestra della partecipata. Finestra spalancata dalla cessione del 40% delle quote di Veritas alla srl Ecoprogetto. E il marcio non è solo in Danimarca evidentemente, considerato che della ventilata riapertura dell’inceneritore, se non addirittura della costruzione di un nuovo impianto nella stessa area, ne siamo venuto a sapere soltanto grazie all’allarme lanciato dal sindaco di Mira, il pentastellato Alvise Maniero, che ha prontamente informato la stampa non appena ne ha avuto notizia. C’è da chiedersi dove fossero gli altri 42 sindaci che pure fanno parte del consiglio di Bacino. A parte il Brugnaro “Gigio” che, di sicuro, stava sparlando di “schei” o di “sicurezza” davanti a qualche microfono. Ed è proprio sulla mancata trasparenza che il presidente della municipalità di Marghera ha puntato l’indice, questo pomeriggio, durante la riunione del consiglio. Un consiglio che sembrava più una assemblea popolare, pieno com’era di cittadini incazzati e preoccupati. “Proprio sul campo della gestione dei rifiuti bisognerebbe garantire la massima trasparenza - ha commentato l’ambientalista in apertura del dibattito -. Non è un caso che recentemente ci siano stati due attentati ai mezzi e agli impianti di trattamento, uno dei quali ha colpito proprio Veritas. I rifiuti, se non sono gestiti in maniera chiara e pulita, causano inquinamento ambientale e criminale”.

Il comunicato con il quale la partecipata Veritas, prende le distanze dal progetto Sg31 è sicuramente un passo avanti in questa battaglia per un futuro sostenibile - e non solo dal punto di vista ambientale ma anche economico considerato che, Parigi insegna, o saremo green o non saremo niente - ma rimane comunque una presa di posizione assolutamente non vincolante, perlomeno sino a quando il consiglio di Bacino formalizzerà la bocciatura del progetto.
Con un comunicato congiunto, si sono fatto sentire anche l’assemblea contro il Rischio chimico e il comitato Opzione zero che invitano i cittadini a tempestare di mail la posta dei membri del consiglio di Bacino ed a partecipare con pentole e fischietti al presidio che si svolgerà domani, alle ore 9 davanti a Veritas, via Porto di Cavergnano, Mestre, proprio in concomitanza con la riunione del consiglio.
La preoccupazione che gli interessi economici privati delle società legate all’incenerimento dei rifiuti prevalga sulla tutela dell’ambiente e della salute pubblica è forte, nonostante le rassicurazione di Veritas secondo cui Venezia non tornerà indietro dalla politica avviata dalla precedente amministrazione comunale che era riuscita a chiudere l’ultimo inceneritore potenziando la differenziata. Ma oggi, in laguna, l’aria tira da un altro versante.
E sempre all’erta bisogna stare, dicono i comitati ambientalisti. Nel Veneto, come in tutta Italia, chi parla di riciclo, riuso, riduzione, raccolta e recupero viene visto come un nemico dello “sviluppo” economico. L’Europa è ancora lontana. Alle mafie dei rifiuti va bene così. Ma i comitati, i movimenti e gli ambientalisti sono pronti alla mobilitazione. Sanno che dei comunicati non ci si può fidare. Non con questi sindaci, non con questa Regione, non con questo Governo.

Chi ama Venezia difende la laguna

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Mancavano solo loro, alla grande festa di musica e bandiere, che questo pomeriggio, sino a sera inoltrata ha colorato la fondamenta delle Zattere. Mancavano le Grandi Navi. Dalla marittima fanno sapere che l’autorità portuale ha preferito deviarle nei canali dietro la Giudecca. Eppure, il passaggio era sgombro. Questa volta, nessuno ha tentato di bloccare la circolazione di quelle specie di villaggi di vacanza galleggianti.
“Gli abbiamo fatto paura” spiegano dal palco. Più che paura forse, gli abbiamo fatto provare vergogna. Perché chi ama Venezia, questo pomeriggio, era là, in fondamenta, con i veneziani, a difenderla. Chi stava sulle navi, no. Di Venezia, dei suoi problemi e della sua vera bellezza, quei turisti da “tutto compreso”, non possono sapere nulla. Quelle tremila persone che dalla fondamenta chiedevano politiche per la residenzialità, interventi di tutela per la laguna, politiche per governare il turismo, l’allontanamento delle Grandi Navi e del loro inquinante passaggio, avrebbero anche potuto guastare la festa della partenza. Così, i condomini galleggianti, che di nave hanno ben poco, sono stati fatti girare al largo. I turisti si sono persi l’indubbio splendore di ammirare dall’alto del ponte la città dei dogi arrossare al tramonto del sole, ma gli è stata risparmiata l’umiliazione della verità: Venezia non vi vuole.

La vera festa, questo pomeriggio, era tutta alle Zattere, tra le tante bandiere Non Grandi Navi in riva, le barche a vela e a remi in canale, e la musica sul palco galleggiante, dove ad artisti come Eugenio Finardi, Gualtiero Bertelli e sir Oliver Skardy, si alternavano gli interventi politici dei rappresentanti del municipio di Barcellona e di altre “città ribelli”, o di portavoce di comitati ambientalisti come la No Tav, Nicoletta Dose, che si battono contro la politica delle Grandi Opere. categoria nella quale le Grandi navi rientrano di buon diritto: devastano il territorio, fagocitano soldi e risorse pubbliche per deviarle ad aziende private in odor di mafia. In cambio, rubano democrazia e drogano la politica. Impossibile non citare il Mose, che ha inaugurato la stagione delle Grandi Opere. Perché se puoi fare impunemente una tale porcheria in una città sotto gli occhi del mondo come Venezia, allora puoi fare ciò che vuoi dappertutto. “Il Mose è stato il bidone del secolo che ha portato via a Venezia soldi, risorse e anche democrazia – gridano dal palco -. A due anni dalla grande retata tutto è rimasto come prima. Le prove sono state un fallimento annunciato. L’opera non funziona ed è stata pensata apposta per divorare vagoni di euro in manutenzioni continue. Chiediamo al commissario di fare il suo mestiere e di verificare non soltanto l’aspetto finanziario ma anche le numerose criticità del progetto messe in evidenza da studi indipendenti dal consorzio”.
Tanta gente, abbiamo detto. Pochi gli onorevoli. Tra questi, ricordiamo solo Giulio Marcon, che venerdì ha chiesto una question time in parlamento proprio sul tema delle Grandi Navi. “Mi ha risposto il sottosegretario del ministero allo Sviluppo economico Antonello Giacomelli. Cosa mi ha detto? Poco e quel poco mi preoccupa. Prima mi ha fatto la storia delle Grandi Navi, che, se permettete, conoscevo già. Poi ha ribadito che stanno esaminando le varie proposte e che, purtroppo, non escludono lo scavo di altri canali. In conclusione, tanto per dimostrare che non aveva capito le mie domande, mi ha ricordato che nel canale della Giudecca non transitano più navi commerciali o traghetti. Grazie tante! Io stavo parlando delle Grandi Navi”.
Ultima nota per la Chiesa Pastafariana che ha aderito alla manifestazione con una sua coloratissima imbarcazione piena zeppa di birre e di pirati: i “fritelli” della costa.
Non posso sapere dove fossero gli altri dei, ma il Grande Spaghetto – o il suo spirito spiritoso-, questo pomeriggio, era in fondamenta delle Zattere ad ascoltare il concerto ed a “birredire” i manifestanti con le sue Pappardellose Appendici.
Ramen.
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