In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Sulle orme di chi non dimentica

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Tante scarpe appese ad un filo, tra le fronde degli alberi di Ca' Bembo liberata. Sotto, le stampe delle loro suole. Ciascuna con una frase, un pensiero, un ricordo, una speranza. Sono le orme di chi non vuole dimenticare suo padre, sua madre, suo figlio. Vittime innocenti di un crimine che ha come primo responsabile lo Stato. Sono i desaparecidos della frontiera del Messico. Gente scomparsa nel nulla. Venduti a peso di carne umana a latifondisti, narcotrafficanti, magnaccia. Fatti a pezzi per incrementare il mercato di organi, usati come capri espiatori nelle galere o cavie da laboratorio, schiavizzati in fabbriche illegali, prostituiti nei postriboli. Numeri secondi solo alla guerra in Siria. Più di 30, forse anche 40 mila scomparsi, secondo le recenti stime delle associazioni per i diritti umani. Perlomeno centomila ammazzati negli ultimi dieci anni. Da quando cioè, Stati Uniti e Messico dichiararono la cosiddetta "guerra al narcotraffico" che ha ottenuto il solo risultato - che poi è quello che si prefiggeva! - di consegnare il Paese centroamericano alle multinazionali della droga e creare una "pattumiera" sociale ed economica a ridosso degli States. Proprio come a ridosso delle nostre case ci sono i contenitori della differenziata. Perché, sia chiaro a tutti, che se le pistole che uccidono sono tenute dai narcos, ad armare queste pistole ed puntarle è lo Stato messicano. Partiti al governo ed opposizioni, polizia ed esercito sono spartiti tra i tanti cartelli mafiosi. E quando qualche narcotrafficante viene trovato accoppato per un regolamento di conti, non è raro scoprire che apparteneva all'esercito o alla polizia o che era stato addestrato in uno di quei campi dove gli specialisti della guerra statunitensi preparano le forze che dovrebbero combattere i trafficanti di narcotici.


Ecco perché Messico, fare domande è molto più rischioso che commettere un omicidio. Lo sanno bene tutti i colleghi giornalisti che ogni giorno rischiano la vita. E lo sapeva bene Javier Valdez Cárdenas, accoppato lunedì 15 maggio sotto il giornale che dirigeva. E' il settimo giornalista messicano ucciso quest'anno.

E lo sanno bene, che a far domande si rischia la pelle, anche i genitori degli scomparsi. Lo sa bene Ana Enamorado, madre di un ragazzo di 17 anni fatto sparire nel niente. Più volte minacciata di morte perché si ostina a percorre la strada che doveva aver percorso anche suo figlio, mostrando a tutti coloro che incontra la foto del suo ragazzo. E, ad ogni passo che compie, ad ogni orma che lascia, non può fare a meno di chiedersi se il suolo che calpesta non sia in realtà la tomba di suo figlio.

Le orme di chi continua a cercare sono state trasformate in una esposizione artistica - Huellas de la Memoria - che vuole essere, prima di tutto, un grido di dolore su quanto avviene alla frontiera del Messico, dallo scultore Alfredo Lopez Casanova. L'esposizione itinerante è esposta a Venezia, tutti i pomeriggi sino a domenica, nello splendido giardino di Ca' Bembo, in fondamenta del rio di San Trovaso, che gli studenti del Lisc, Liberi Saperi Condivisi, hanno recuperato e restituito alla città. A portare la mostra in laguna, sono stati gli attivisti dell'associazione Ya Basta Edi Bese.

Di seguito, l'intervista di Camilla Camilli a Ana Enamorado.



La Regione, con la scusa del cinghiale, apre i parchi ai cacciatori

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La Regione Veneto ha approvato col decreto numero 598 del 28 aprile 2017 un piano di controllo e di eradicazione dei cinghiali nel territorio regionale ai fini di riportare il numero degli esemplari della specie a livelli - a detta della Giunta - "sostenibili".
La presenza del cinghiale nelle nostre terre viene trattata con tutti i criteri dell'emergenza. Nella premessa al decreto, si legge una lunga serie di danni arrecati all'agricoltura da questi animali che sarebbero addirittura pericolosi per l'uomo. La conclusione, sempre dettata della cosiddetta logica emergenziale, è ovviamente quella di autorizzarne la caccia. Si tratta, in altre parole, dell'ennesimo regalo con il quale la Giunta del Veneto premia i suoi fedeli cacciatori, sostenendo quella stessa categoria sociale che ha causato il danno (e pure l'emergenza) con rilasci abusivi di animali di allevamento, non di rado ibridati con i maiali domestici.
Se è vero che, per ora, la caccia dentro i parchi prevede comunque l'approvazione dell'ente gestore, è anche vero che il decreto punta verso questa soluzione e apre una porta all'attività venatoria che difficilmente potrà venir chiusa.


I parchi del Veneto corrono seriamente il rischio di trasformarsi da oasi di tutela ambientale a riserve di caccia con grave rischio di chi vi si reca per una passeggiata, per sport o semplicemente per godere di un angolo di natura incontaminata. Senza contare poi, che un decreto simile incoraggia indirettamente la caccia abusiva, considerando che non saranno pochi i cacciatori che, con la doppietta in mano, si limiteranno ad abbattere solo cinghiali e solo nel numero consentito per la sopracitata "sostenibilità".

Una nube nera nera sui cieli di Roma. Facciamo finta di niente?

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Cinque giorni dopo, si viene a sapere che ci avevano ragione gli ambientalisti. Quel fumo sprigionatosi dal deposito dell'Eco X di Pomezia e che, nella mattinata di venerdì 5 maggio, ha invaso i cieli di Roma conteneva anche diossina e amianto. "Avevamo già avuto delle segnalazioni nei giorni precedenti all'incendio - aveva dichiarato all'Ansa il presidente di Legambiente Lazio, Roberto Scacchi - Dei cittadini ci avevano segnalato la presenza di mucchi di materiale plastico all'interno dell'area dell'azienda Eco X dai quali provenivano odori maleodoranti. Si erano anche formati dei comitati di quartiere sul problema. Abbiamo segnalato più volte la situazione alle autorità e denunciato pure la possibile presenza di amianto, ma sembra che tutto fosse in regola". Il problema, come vedremo più avanti, sta tutto nelle cosiddette "regole".


Fatto sta che quando il deposito è andato a fuoco, gli ambientalisti hanno subito denunciato l'inevitabile presenza di diossina, essendosi sviluppato da un cumulo di plastiche di riciclo allo stato grezzo e, quindi, non ancora trattate. Ci son voluti cinque giorni però prima che le autorità ammettessero che avevano ragione loro.
Con il cielo della capitale ancora oscurato dalla nube nera, era tutto un coro di "non destiamo allarmismi nella popolazione che è tutto sotto controllo". Anche Enrico Mentana apre il suo Tg sottolineando che "se la nube fosse sopra un'altra città e non su Roma, non staremmo neppure a parlarne".
Eppure la nube è nera, brutta, puzza e fa paura. E la gente che ci si trova sotto non ci crede che non faccia anche male respirarla, quell'aria che sa di plastica bruciata.
A gettare acqua sul fuoco, ci si mette anche la Giunta capitolina della sindaca Virginia Raggi e lo stesso Comune di Pomezia, pure lui a guida pentastellata. "I valori di Pm10 registrati dall'Arpa sono tutto sommato accettabili - ha dichiarato il sindaco della cittadina situata a poco meno di 30 chilometri dalla Capitale, Fabio Fucci -. I valori rilevati, sebbene siano sopra lo soglia di allarme, sono analoghi ai valori registrati nel centro urbano di Roma nei periodi di maggiore criticità".
Il che, secondo lui dovrebbe tranquillizzarci. Secondo noi invece, dovrebbero preoccupare non poco chi si trova a respirare l'aria del centro urbano di Roma nei periodi di maggiore criticità, come spiega il primo cittadino.
Ma il punto non è neppure questo. Tanto l'Arpa, quanto gli amministratori locali, e lo stesso ministro della Salute, Beatrice Lorenzin- che ad intervalli regolari esce dal suo ufficio a spiegarci che "stiamo attentamente monitorando la situazione" - parlano dei valori di polveri sottili. La diossina è un'altra cosa e non è rilevabile con questo tipo di analisi. L'amianto pure. E allora di cosa parlavano?
Anche sull'area interessata dal disastro, i conti non tornano. Da Pomezia ai quartieri di Roma, secondo la mappatura del ministero della Salute. Ma secondo segnalazioni raccolte dal Legambiente e dall'Ona, l'osservatorio nazionale amianto, la puzza di plastica bruciata si è sentita per un raggio di oltre 50 chilometri dal rogo. sino ad arrivare nei paesi più a nord della provincia di Latina. Sempre secondo il ministero, non ci sarebbero stati ricoverati a parte un vigile del fuoco, uno dei primi accorsi nel luogo dell'incidente, che ha accusato un lieve malore. Di opinione diversa Legambiente Lazio che parla di decine di persone giunte nei pronto soccorso degli ospedali accusando sintomi come bruciore aglio occhi, nausea e vomito.
Proprio come in tempio di guerra, la prima vittima dei disastri ambientali è sempre la verità. Le amministrazioni, sia locali che nazionali, si rivelano ancora una volta quantomeno impreparate - sia dal punto di vista scientifico che procedurale - a fronteggiare queste situazioni di crisi ambientale. La paura di innescare panico tra la popolazione impedisce di intervenire prontamente, perdendo tempo prezioso proprio nella prima fase, quella più delicata e pericolosa del disastro. Meglio adagiarsi su una politica di monitoraggio continuo, sperando che le cose si sistemino da sole. In fondo, quante volte i limiti di sicurezza di Pm10 e di altri inquinanti vengono sforati nelle nostre città senza che nessuno si sogni di protestare? Al massimo, si può consigliare alla gente di tenere le finestre chiuse. Male, non fa.
E come per tante altre devastazioni ambientali, si attende che sia la Procura a fare i primi passi. Con i tempi lunghi della giustizia italiana che non sono certo quelli che servirebbero a contenere ed a combattere i fenomeni inquinanti.
Subito dopo l'incendio, il cantiere dell'Eco X è stato messo sotto sequestro dalla Procura di Velletri. Ed è toccato allo stesso procuratore che indaga sull'ipotesi di reato per incendio doloso, Francesco Prete, dichiarare quello che gli ambientalisti affermavano, i cittadini sospettavano ma nessun amministratore aveva prima ammesso. Cioè che: "La Asl ha rilevato la presenza di amianto sul materiale campionato".
C'era quindi l'amianto e c'era quindi anche la diossina. E i giornali e i cittadini lo vengono a sapere - cinque giorni dopo - dal procuratore che indaga e non dal ministro o dall'assessore regionale all'ambiente o dal sindaco. C'è qualcosa che non funziona nella catena di comando e di pronto intervento, evidentemente.
Così, per sapere quanto vasta sarà l'area contaminata dove, con tutta probabilità verrà interdetto il raccolto agricolo, bisognerà attendere il prosieguo delle indagini.
Una stima di Coldiretti, parla di circa 150 aziende agricole coinvolte dalla nube. Numeri che sono sicuramente destinati ad aumentare, secondo Legambiente, perché la diossina è un inquinante infido e pericoloso e, più che nell'aria, si diffonde nella terra e nelle acque, avvelenando i prodotti della terra per lunghi periodi di tempo. Ma intanto che la giustizia fa il suo corso, i contadini continuano a lavorare la loro terra inquinata e gli operai impiegati nelle fabbriche della zona industriale di Pomezia, a ridosso del deposito bruciato dell'Eco X, continuano ad andare al posto di lavoro senza neppure la protezione di una mascherina per i residui di amianto. Quali saranno le conseguenze sui polmoni di questi lavoratori?
Non ci sono regole, in Italia, per gestire le crisi ambientali. E nessuno vuole prendersi la responsabilità di scriverle, perché queste regole sarebbero decisamente in contrasto con i dettami imperanti dell'economia e dello "sviluppo". Così come non ci sono regole certe sulle soglie di pericolosità di tante sostanze inquinanti e i limiti di sicurezza sono solo asticelle che si alzano e si abbassano a seconda dei casi. Così come non ci sono normative cui attenersi nella gestione di tante lavorazioni a rischio per il solo motivo di non abbassare la redditività. "Viene da pensare che un’impiantistica necessaria per evitare incendi neppure c’era nella Eco X - nota il presidente di Legambiente Lazio - perché probabilmente non era nemmeno necessaria per legge! Altrimenti la gestione dell’incendio sarebbe stata differente".
Ancora una volta, i tempi e gli obiettivi dell'economia, della politica e dell'ambiente sono sempre più distanti tra loro.

Il gasdotto for dummies. Ovvero, perché noi stiamo dalla parte degli ulivi

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Ulivi contro manganelli? Noi stiamo dalla parte degli ulivi. Anche perché i manganelli scendono sempre in campo quando le altre argomentazioni non convincono. Reprimere e criminalizzare, è un buon sistema per evitare di dare risposte. Soprattutto quando le risposte non ci sono o sono ben diverse da quelle che la propaganda ufficiale cerca di propinarci. In gergo tecnico, si chiamano "bugie". Ecco di seguito un elenco commentato con le principali "bugie" che raccontano quelli che stanno dalla parte dei manganelli. E che, non per altro, hanno bisogno dei manganelli.

Tap, di cosa stiamo parlando?
Lo possiamo leggere nel sito stesso della Trans Adriatic Pipeline: "Tap, Trans Adriatic Pipeline, è il progetto per la realizzazione di un gasdotto che trasporterà gas naturale dalla regione del Mar Caspio in Europa. Collegando il Trans Anatolian Pipeline alla zona di confine tra Grecia e Turchia, attraverserà la Grecia settentrionale, l’Albania e l’Adriatico per approdare sulla costa meridionale italiana e collegarsi alla rete nazionale".

Gas naturale, naturalmente.
Tutta la campagna pubblicitaria a favore del Tap si basa su due equivoci di fondo. Entrambi montati ad arte. Il primo è che "Una volta realizzato, costituirà il collegamento più diretto ed economicamente vantaggioso alle nuove risorse di gas dell’area del Mar Caspio", come si legge sempre sul loro sito che evita di spiegare per chi è "economicamente vantaggioso".
Il secondo è quello del "gas naturale". Naturale come dire che è ecologico. Ma stiamo parlando di metano. Siamo d'accordo che bruciare carbone è più inquinante ma non dimentichiamo che il metano, come tutti i combustibili fossili, fa parte delle energie non rinnovabili, quelle che a Parigi (ce lo vogliamo ricordare o no?) sono state buttate fuori dalla storia dell'umanità. dell'umanità che vuole avere ancora un futuro su questa terra, intendiamo. Il metano è un climalterante, è tutt'altro che un combustibile ecologico ed è un gas serra. Quando, sempre a Parigi, parlavamo di "decarbonizzazione" non intendevamo il processo di sostituzione del carbone col gas, ma abbattere le emissioni di carbonio. Quelle emissioni che anche il metano produce.
Il Tap, come tante altre Grandi Opere, si basa su queste due fondamenta di argilla: convenienza economica e 'sviluppo'. Siccome è facile smentirle con un po' di dati, le manganellate si rivelano sempre necessarie per convincere gli ambientalisti recalcitanti. Dove non può la logica…


L'obiettivo del Tap è variare le rotte di importazione del metano che oggi sono appannaggio di un Paese tutt'altro che stabile e amico dell'Europa come la Russia di Putin.
Già. Perché la Turchia guidata da quel Pinochet del Bosforo che altro non è Erdogan è un Paese serio, democratico e affidabile! Per non parlare della Georgia e dell'Azerbaijan, dei satrapi che le governano e che, oltretutto, pescano parte del gas che rivendono a noi proprio dalla Russia di Putin.

Grazie a questa condotta, l'Italia diventerà un hub dal metano. (Hub è un inglesismo brutto ed inutile per dire "fulcro". Noi lo usiamo perché tutta la propaganda a favore della Tap usa questo termine e ciò da anche l'idea del valore di questa propaganda.)
Manco per sogno. La Germania ha già investito sul raddoppio del North Stream che le porta il gas direttamente dai giacimenti russi. Il gas proveniente dagli Stan ce lo dovremmo ciucciare tutto noi. Anche perché la Francia non ne ha bisogno, visto che ha il nucleare. E così la Croazia.

Questo gas ci serve.
In Italia nessun Governo ha mai affrontato la costruzione di una politica energetica seria. Così come, ad esempio, hanno fatto Paesi come la Svezia o la Danimarca, pianificando per tempo il passaggio alle rinnovabili sulla lunghezza di decenni. Per cui nessuno può dire quanto metano servirà agli italiani nei prossimi anni. Due fatti però possiamo notare. Il primo è che la nostra capacità di importare metano, anche senza Tap, è già doppia rispetto ai fabbisogni attuali. Il secondo è che la tendenza dell'ultimo decennio all'uso di gas è in diminuzione.
La realtà è che il mondo sta cambiando. Le rinnovabili stanno rivoluzionando l'economia e non ci sono dubbi che alla fine, nonostante la fortissima e violenta resistenza delle multinazionali dei combustibili fossili, vinceranno loro. I Paesi che si adegueranno arriveranno primi al traguardo della storia. Il Trans Adriatic Pipeline ci riporta alla partenza.

Il governatore Emiliano gioca sporco sul Tap e cerca di spostare gli equilibri in vista del congresso del Pd.
Domenica scorsa, dopo una combattutissima partita, il Campodarsego si è imposto 2 a 1 sull'Union Feltre nella 29esima giornata del campionato di serie D, girone C. Come dite? Non ve ne frega niente? Neanche a me dell'Emiliano e del congresso del Pd.

I soldi investiti sono dei privati. Gli italiano avranno solo benefici in bolletta.
Questa barzelletta l'abbiamo già sentita e non ci diverte più. Il privato geneticamente modificato che lavora per gli interessi pubblici devono ancora inventarlo. Il Tap, oltre che dalle sei società iniziali - Saipem, Bp, Socar e in misura minore Fluxys, Axpo e Enagas - è finanziato anche dalla Banca Europea per gli Investimenti (che avrebbe nel suo statuto la mission di combattere i cambiamenti climatici, pensate un po') e vi partecipa anche la Snam con altri soldi pubblici che prima o poi ci ritroveremo in bolletta. Ricordiamoci soltanto del rigassificatore di Livorno. Altra Grande Opera "strategica" sull'approvvigionamento di metano che doveva essere realizzata interamente dai privati e poi si è trasformata nell'ennesima inutile incompiuta capace solo di fagocitare vagonate di finanziamenti pubblici. E senza che i privati ci abbiano rimesso un euro. Anzi.

Gli ulivi verranno solo spostati e non distrutti.
Che bello! E i poveri orsi polari che per colpa dei cambiamenti climatici si troveranno senza ghiaccio sotto il culo, li carichiamo su una nave e li portiamo nello zoo del film Madagascar. Scherzi a parte, non possiamo ridurre problemi complessi che richiedono una soluzione radicale al destino di ulivi e di orsi. Rispondere, a chi ribadisce il suo No al Tap chiedendo una diversa politica energetica, che gli ulivi saranno risparmiati, vuol dire fare brutta demagogia. Talmente brutta che servono le manganellate per farla entrare nella testa degli ambientalisti. E poi cosa significa "li spostiamo su un altro posto dove si troveranno ancora meglio"? Se son cresciuti là, devono restare là. Se c'è un altro posto adatto, piantiamoci ulivi giovani e facciamoli crescere. Con questo ragionamento, tra un po' sposteremo tutte le opere d'arte, anche quelle architettoniche, dentro musei privati a pagamento ed i paesaggi li ricorderemo in cartolina. A pagamento, pure queste.

Il metano ci aiuta nel passaggio alle rinnovabili
Questo sarebbe vero se ci fosse un Governo più serio. Ma, d'altra parte, un Governo più serio avrebbe fermato le trivelle in mare e non si imbarcherebbe mai in una opera senza futuro come il Tap. Il rischio, piuttosto, è che avvenga il contrario. Il nostro Paese attualmente ha creato una sovracapacità di energia elettrica basata sui fossili e in particolare sul metano che finisce per rallentare, se non addirittura opporsi, ad un auspicabile passaggio verso le rinnovabili.
Soprattutto, perseverare in questa direzione, ostinata e contraria ad un futuro senza fossili, ci allontana dalla vera soluzione che è la creazione di una politica energetica sostenibile, atta a contenere davvero i cambiamenti climatici. Bruciare metano al posto del carbone, - come ci ordinano le multinazionali del Tap - non è la risposta corretta alle domande che sono state poste negli incontri di Parigi. La soluzione è sempre quella: risparmiare energia, consumare meno, combattere lo spreco, utilizzare mezzi sostenibili, rinunciare al superfluo.
Ma non abbiate timore che un giorno ci arriveremo. Il giorno in cui i fossili saranno solo un ricordo e non sarà più l'economia ma la scienza e la democrazia dal basso a dettare l'agenda politica.

In Veneto c'è un'enclave dell'accoglienza

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Qui tra i monti del Cadore
oggi è un giorno un po' speciale,
gli invitati sono in tanti
e tre coppie a festeggiare.
In paese le notizia ha stupito anche il prete,
Tre figlie con la mano con un giovane africano!

Cinquemila persone sfilano tra le calli e i campi di Venezia. Cinquemila persone in marcia per l'umanità, dietro ad un grande striscione ricamato con la scritta "Side by side", fianco a fianco. Sono ragazze e ragazzi degli spazi sociali del Veneto, sono migranti, sono "seconde generazioni", sono cittadine e cittadine, sono profughi, richiedenti asilo, attivisti di associazioni umanitarie e di diritti umani.
Cinquemila persone che hanno risposto così all'appello del City Plaza di Atene e della Campagna #overthefortress di Melting Pot, a scendere nelle piazze d'Europa - nei "campi" nel nostro caso lagunare - per dare corpo e parole a quanti non possono rassegnarsi ad accettare un presente di odio, barbarie e falsa informazione.

Cinquemila persone e una sola, ripeto, una sola!, fascia tricolore. Ed è stato così che, in una domenica 19 marzo accarezzata di primi zefiri primaverili, ho conosciuto Alessandra Buzzo, sindaca di Santo Stefano di Cadore. Alessandra è una bella signora bionda dall'aspetto giovanile. Non mi sogno nemmeno di azzardarle una età. Veste in maniera semplice, come si conviene ad una manifestazione: jeans, scarpe da ginnastica e una giacca a vento imbottita gialla. Lassù, nella verdi vallate del Cadore, deve fare ancora freddo. E' venuta a Venezia come sindaca, con tanto di fascia tricolore, come abbiamo detto. Santo Stefano, tra tutti i 576 Comuni del Veneto, è quindi l'unico che ha ufficialmente aderito all'iniziativa per i diritti dei migranti.

E se la cosa non vi stupisce abbastanza è perché non conoscete il Veneto. L'aria che tira da queste parti, e soprattutto tra i Comuni di montagna, è quella delle barricate contro chi viene dal mare, dei Gonfaloni di San Marco usati a sproposito (la Serenissima era assai più accogliente, e guardava più al Mediterraneo che alle Alpi), degli albergatori che protestano perché i profughi danneggiano il turismo, dei sindaci che rifiutano di accogliere perché il loro Comune ha già troppi problemi per caricarsene di altri, dei cretini che hanno paura delle malattie portate dai migranti e magari poi rifiutano di far vaccinare il figlio, dei predicatori del "non possiamo accogliere tutti" per non accogliere nessuno.

Cantano ancora i Modena City Ramblers. (Poi spieghiamo il perché della scelta di questa canzone a dare musica all'articolo).

C'è chi dice " non so razzista
ma ci tengo alla mia valle" …
e chi storce pure il naso
e alle spalle va a colpire.


E riprendiamo a raccontare di Alessandra Buzzo. Quando mi si è presentata, nel bel mezzo del corteo, ho subito pensato che era un nome che avevo già sentito. Ma dove? E' bastata una ricerca in rete per ricordare il fatto di cronaca che l'aveva resa famosa. E' la sindaca del paese dove i fedeli avevano intimato al prete di non dare la comunione ai profughi!
Facciamo raccontare a lei come è andata la faccenda.
Siamo a Santo Stefano di Cadore, piccolo paese con poco più di 2600 abitanti sovrastato dal monte Col e posto alla confluenza del fiume Piave, sacro alla patria, col torrente Padola. La provincia quella di Belluno. Profondo Veneto. E' venerdì 13 maggio dell'anno del signore 2011. Non nel medioevo. Nel 2011.

"La prefettura mi aveva telefonato alle 16 per dirmi che un pullman con 90 ragazzi in fuga dalla guerra e dalla fame sarebbe arrivato nel mio Comune verso le 20 di quella sera stessa. Lì per lì, mi venne da rispondergli che non se ne parlava neppure. Che, quantomeno, avrebbero dovuto avvisarmi con qualche giorno di anticipo. Ma poi ho pensato: e se ci fosse uno dei miei figli là in mezzo? E se io fossi una delle madri di questi ragazzi, come vorrei che fosse trattato mio figlio? Così non ci ho pensato più sù, e, grazie all'aiuto di un gruppo di volontari, ho sistemato 90 brande e preparato 90 pasti. Ci son cose per cui i calcoli politici non valgono nulla. Di fronte a qualcuno che ha bisogno, c'è una cosa sola che una sindaca può fare: darsi da fare ad aiutarlo. Certamente, i miei concittadini non l'hanno presa bene. Nei giorni successivi gruppi di genitori hanno picchettato la scuola dove lavoro come amministrativa. E la cosa più sconvolgente è successa la domenica, quando qualcuno di questi ragazzi in fuga, ha voluto andare a messa! Le mamme sono insorte contro il parroco chiedendogli di non dare la comunione ai loro figli con le stesse mani con le quali aveva toccato i profughi!"

Vien da chiedersi se Gesù Cristo si disinfettava le mani prima di moltiplicare pani e pesci, con tutti quei luridi palestinesi che toccava ogni giorno.
Ma a parte queste amenità, desta qualche perplessità il comportamento della Prefettura, che avvisa un Comune con solo 4 ore di anticipo sull'arrivo di 90 persone alle quali trovare una sistemazione.
"Come venni a sapere dopo, fu una sorta di punizione. Nel 2011 assistevamo ai primi arrivi di migranti e già tutti gli altri sindaci dei Comuni del Cadore, tutti leghisti o di quanto meno di destra, avevano alzato muri, minacciando di sbarrare l'ingresso del loro paese con le barricate. Io ero l'unica che diceva che accogliere era un obbligo e che un amministratore non può negare il proprio aiuto di fronte a certe terribili situazioni. Che noi non siamo stati eletti solo per sistemare i buchi delle strade. Noi abbiamo il dovere morale di trasmettere valori ai nostri concittadini e di testimoniarli con le nostre azioni! Facevamo di quelle litigate… Così, quando sono arrivati i primi profughi, li hanno scaricati tutti a me invece di dividerli per Comune, come sarebbe stato più logico, più giusto e anche più funzionale. Devono aver pensato: 'Vediamo come se la cava, quella, con tutte le sue teorie sull'accoglienza'"

Eran magri e spaventati quando qui sono arrivati,
quando qui sono arrivati,
Clandestini sulla nave,
poi il destino gli ha portati
dove il mare è un miraggio
e la neve invece e nera,
con magliette e infradito a scalare un sogno ardito.


"Quando sono arrivati, ero piena di paura di non riuscire a gestire la situazione. Ho delle precise responsabilità anche nei confronti dei miei concittadini. Così, ho detto loro: 'Guardiamoci negli occhi. Io farò di tutto per aiutarvi. Voi fate di tutto per non crearmi problemi'. Non me ne hanno creati. Né dopo, né mai".

C'è chi vince il pregiudizio
e rincorre un po' d'amore


"Avevano la paura dipinta negli occhi. Ho chiesto loro di cosa avessero bisogno e mi hanno risposti tutti che volevano telefonare a casa, per dire alle loro famiglia che stavano bene e che erano arrivati in Europa. Nessuno aveva ancora dato loro un telefono o una scheda. Così ho messo a loro disposizione il mio. Ancora oggi, qualcuno mi chiama per sbaglio dall'Africa perché ha memorizzato il mio numero".
A creare problemi ad Alessandra non sono stati i migranti ma pregiudizio, ignoranza ed intolleranza. Terreno fertile per l'opposizione leghista che, alle amministrative del maggio del 2014, han provato a scalzarla dalla carica di sindaca. Eppure Alessandra è stata rieletta. Forse che è riuscita a far cambiare idea ai suoi concittadini sui profughi? "A qualcuno, forse. Ma diciamo meglio che il lavoro di una sindaca non si misura solo con un metro. Io non ho mai delegato e mi sono sempre assunta le mie responsabilità. Sono sempre stata in prima linea, con coerenza, nella battaglie per la sanità, l'ambiente e la viabilità. I cittadini hanno riconosciuto il lavoro che ho fatto a vantaggio di tutta la comunità. Certo, se fossero nati problemi con i migranti l'avrei pagata cara, ma il fatto che tutto sia andato bene, anzi, benissimo, mi ha aiutata. Questa è una prova che, se il problema viene gestito bene, alla fine è una risorsa in più. Abbiamo affidato loro dei lavori, come la tinteggiatura del municipio e dell'anagrafe, per cui non trovavamo manodopera. Affittando le case di alcune signore anziane, permettono loro di pagare la retta della casa di riposo… Senza contare che la nostra valle ha il problema dello spopolamento. Alcuni di questi ragazzi si sono fermati ed ora fanno parte della comunità. Tre hanno sposato ragazze locali, una delle quali è mia figlia, e ora sono nonna. I Modena City Ramblers ci hanno scritto pure una canzone".

I confetti sono pronti mandorla e cioccolato,
ebano ed avorio insieme,
una promessa e un bacio.
brillano le fedi
e il bouquet volan suol Piav


La canzone, che è quella che citiamo sin dall'inizio dell'articolo, è intitolata "Fiori d'arancio e chicchi di caffè" e fa parte del loro album "Niente di nuovo sul fronte occidentale".

Oggi, la sindaca Alessandra del Cadore che sfila senza paura accanto ai "violenti dei centri sociali" di Venezia, oltre ad un nipote in più, ha anche un figlio in più. E con la pelle tutta nera. Uno di questi 90 ragazzi, con il quale si era creato un legame speciale, si è fermato a casa sua, è stato adottato e ora la chiama mamma.
"In realtà, sono in tanti, tra quei primi 90 arrivati a Santo Stefano a chiamarmi mamma. Di tutti loro so dove sono e come se la passano, siamo amici sui social e li seguo con affetto. E poi c'è quel ragazzo bengalese che prima di partire mi ha chiesto quando è il mio compleanno. Ora lavora a Roma in una agenzia turistica ma ogni anno, quel giorno per me speciale, sale in Cadore a portare un regalo per me e uno per il mio compagno".

Uomo nero la strada ti chiama, infradito e polsi del tuo cielo nero.
Fratello dalla pelle di tabarro è la paura che ti veste ad ogni ballo,
il ballo della gente che non sa dire niente,
il ballo di chi è povero ma diversamente da te che non sei di pelle uguale a noi,
da te che non hai qui cresciuto i tuoi figli. Ci saranno corvi in volo sopra questi monti,
nuvole maligne a nascondere i tramonti tra le strade di montagne confidano nei ponti,
quindi adesso lancia il riso e balla!

Dove nasce il terrore. la crisi siriana tra fascismi e combattenti per la libertà

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Perché? La domanda che pesava nel cuore di tutti noi, accomodati in platea, viene fuori solo alla fine dell'incontro. Marco Sandi, prima di porla sente il bisogno di scusarsi, quasi a vincere un naturale pudore nel cercare di entrare nell'intimo di una persona che ha dato tanto ad un ideale di giustizia e libertà. Tanto da mettere a repentaglio anima e vita. Perché lo hai fatto? Cosa spinge un giovane ad arruolarsi nelle Ypg per combattere, armi in pugno, i fascisti dell'Isis? Davide Grasso scuote la testa e risponde che queste sono domande senza risposta. Forse è nato tutto da una lettura giovanile di un libro sulla vita di Che Guevara, racconta. Forse su quelle pagine ha imparato che in tante parti del mondo, sorelle e fratelli, compagne e compagni, combattono per la libertà e per la giustizia. E le compagne e i compagni che lottano non vanno mai abbandonati. "Sapevo bene che, probabilmente, non sarei tornato vivo, ma sapevo anche che se fossi tornato vivo sarei stato contento della scelta che avevo compiuto". Ed è stato così? "Per certi versi sì. Ma non puoi andare a fare la guerra di rivoluzione e tornare integro. Quello che ho visto, quello che ho sofferto e che ho visto soffrire mi hanno scavato dentro. Di fronte agli immani orrori che ho trovato, quello che io ho potuto fare è quasi niente e non è sufficiente a colmare l vuoto che sento".


Almeno duecento persone, ben oltre la capienza dell'aula, sono venute all'appuntamento con il combattente Davide Grasso e il regista Claudio Jampaglia, questo pomeriggio al Baum dell'università Ca' Foscari di Venezia. Il tema era "La battaglia per l'umanità" perché, come ha sottolineato nella sua introduzione Jacopo Bernaus del collettivo universitario Lisc "siamo attivisti più che conferenzieri. Non abbiamo paura di dire che siamo dalla parte dei curdi perché quelle che si combatte nel Rojava e in tutto il Kurdistan non è solo la battaglia dei curdi per le loro terre ma la battaglia per l'umanità contro gli orrori del Daesh, la battaglia della democrazia contro il fascismo. Una battaglia che dobbiamo combattere tutti. Nell'ultimo comunicato del battaglione Antifa, in prima fila contro le milizie islamiche, abbiamo letto: 'pianteremo dei semi e li difenderemo sino alla fine'. Ed è quello che il collettivo vuole fare all'interno di una università sempre più lontana dai principi del sapere critico e della conoscenza dal basso".

L'incontro è stato organizzato, oltre cha da Lisc, anche dall'associazione Ya Basta Edi Bese. Marco Sandi, che ha avuto il compito di moderarlo, ha chiarito subito il campo da equivoci. Se oggi tutti i media sono concentrati sull'attentato di Londra, il cuore di Ya Basta non è in Inghilterra ma nel Rojava, assieme a coloro che combattono davvero il terrorismo. Tra le compagne e i compagni curdi, e non tra quei governanti che a parole attaccano l'Isis ma finanziano proprio quei Governi fascisti che soffiano sul fuoco degli integralismi ed hanno trasformato la Siria in un "poligono di tiro".

Quanto sta accadendo a Mosul non è la liberazione di una città, come è stato per Kobane, dove esisteva un progetto politico e non solo militare di liberazione, ma una conquista. Una conquista volta a riconsegnare la città a quelle milizie che hanno giurato fedeltà al criminale di Damasco, Bashar Hafiz al-Asad.
E che quanto accada su quel fronte non sia sempre quello che le tv ci fanno vedere lo testimonia l'altro ospite della serata, Claudio Jampaglia venuto a proiettare il suo docu-film Our War. "Come i peshmerga nel Kurdistan orientale, in Siria le milizie di Assad non fanno passare nulla. Né medici, né medicinali, né tantomeno giornalisti. Parlo di quelli veri. Conosco una giornalista britannica che è ferma da due settimane ad un posto di blocco. Mi ha scritto che ha visto passare solo una troupe della Bbc e ne ha chiesto ragione ai soldati. Le hanno risposto: ma quelli sappiamo che cosa scrivono".
La verità, qualcuno ha scritto, è sempre la prima vittima di ogni guerra.

L'ospite d'onore dell'incontro, avrebbe dovuto essere lui, Karim Franceschi, autore de "Il combattente" (Rizzoli), che è tornato a combattere con il Ypg. Il collegamento dal fronte di guerra doveva essere la sorpresa della serata. Ma non c'è stato niente da fare. Ci auguriamo che il problema sia tutto nella difficoltà di collegamento in rete, ma un po' di preoccupazione non riusciamo a mandarla via.
A Karim, un abbraccio forte da tutti noi.

A raccontare quanto accade nel fronte, rimane Davide Grasso, che dalla Siria è tornato da poco. Davide traccia una mappa precisa delle azioni in cui sono impegnati in Siria combattenti arabi e curdi delle Ypg, e del prossimo obiettivo: la città di Raqqa. Parla anche dell'attentato di Londra. "Non è stato un attentato al Parlamento. Il terrorista voleva solo colpire la gente comune. Così come avviene in Siria, considerato che il popolo siriano è stato trasformato un carne da macello dai tagliagole dell'isis ma anche dalle feroci milizie di Assad e dai governi occidentali. Il sindaco di Londra ha ribadito che la città non si piegherà al terrorismo. Giusto. Ma dovremmo definire meglio cosa sia terrorismo. Proprio in Inghilterra, qualche giorno fa è stato arrestato un ragazzo inglese che tornava in patria dopo aver combattuto nelle file curde. Lui, che ha combattuto i terroristi, lo hanno chiamato terrorista. Ma terroristi veri, come Erdogan o gli sceicchi dell'Arabia Saudita che fomentano l'integralismo e l'Isis, sono considerati alleati dai governanti europei. Per non parlare del presidente del Kurdistan iracheno, Mas'ud Barzani, che compie autentici genocidi gasando interi quartieri di Damasco e accordandosi con l'Isis per massacrare gli yazidi eppure, forte del petrolio che scorre sotto il suo Paese, viene accolto a braccia aperte ai colloqui di pace di Ginevra".

Come sia possibile che terroristi diventino alleati, e combattenti per la libertà vengano visti come terroristi - in una Europa dove l'opinione pubblica ed il rispetto dei diritti umani dovrebbero ancora contare qualcosa - è imputabile solo ad una pesante mancanza di corretta informazione.
Anche nella guerra contro il terrorismo e il capitalismo suo alleato, la prima vittima è sempre la verità.
Conclude Davide: "Conoscere ed informarsi è il primo fronte su cui dobbiamo impegnarci tutti. Se non capiamo quello che accade nel mondo, siamo tutti in pericolo. Anche solo a camminare per le strade di Londra o di Venezia".

Pfas, il veleno nell'acqua e nella testa

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Un vero paradiso, il Veneto. Per gli inquinatori. Quegli inquinatori che, anche quando i risultati di ricerche scientifiche e le denunce dei comitati per l'ambiente portano a scoprire intere aree trasformate in discariche tossiche, possono sempre contare sulla complicità della Regione Veneto, pronta a ritoccare al rialzo i limiti di sicurezza delle percentuali delle sostanze tossiche. Anche a costo di andare allegramente in deroga a regolamenti nazionali ed europei, oltre che alle stesse indicazioni dell'Oms. E' accaduto con le polveri, è accaduto con l'amianto, è accaduto… sempre.
Accade anche oggi con i Pfas, composti chimici nati dalla fusione di solfuro di carbonio e acido floridico. Composti di cui, solo fino a qualche anno fa, soltanto gli studiosi di chimica conoscevano l'esistenza, ma che ora, secondo alcune stime (e neppure le più pessimiste) perlomeno 400 mila persone che vivono lungo il bacino del Fratta Garzone hanno scoperto di avere nel sangue con valori ben oltre la soglia di attenzione. Numeri degni di una epidemia di peste medioevale, quando i medici giravano con le bautte dal becco lungo per difendersi dal contagio e il popolino, complici i governanti, se la prendeva con gli untori.
Oggi che il popolino, complici i governanti, se la prende con i migranti e la scienza qualche progresso l'avrebbe pur fatto, ci è voluto un medico epidemiologico vicentino, Vincenzo Cordiano, per scoprire che nella ottantina di Comuni attorno a Trissino da anni la gente moriva in percentuali che sforavano le medie Istat per patologie riconducibili ai Pfas. A qualcuno allora è venuto il sospetto che tutto fosse riconducibile a quella fabbrica, la Miteni, di Trissino appunto, specializzata nell'impermeabilizzazione di tessuti tramite i Pfas, che aveva fatto registrare negli ultimi anni la bellezza di ventun operai morti delle medesime patologie: tumori ai reni e ai testicoli, in particolare.
La faccenda a questo punto, si sposta in procura. Anzi, in tre procure, perché tre sono le provincie le cui falde sono state contaminate di Pfas: Vicenza, Verona e Padova. Arrivano studi scientifici, analisi e gli screening. La Regione ne ha attivato uno che durerà dieci anni senza pensare che certe malattie ammazzano molto prima ma considerando che, per i tempi della politica, dieci anni senza dover prendere decisioni scomode sono una manna del cielo. Arriva anche l'Unione Europea che laurea il Po e i suoi affluenti come i fiumi più inquinati e pericolosi del continente. Come dire: "Ecco cosa ottenete ad andare in deroga ai nostri limiti". Arriva una prima sentenza del tribunale di Venezia che non può che prendere atto che le falde sono inquinate da far paura ma si prende il disturbo di sottolineare che detto inquinamento non è dovuto soltanto ai Pfas ma anche a tante altre sostanze nocive. E se per voi questo è un motivo in più per intervenire velocemente, per la Regione è un motivo in più per prendere tempo e studiare un "piano complessivo di bonifica". Aspettando i risultati dello screening tra dieci anni o, se preferite, due legislature. Arriva anche la Miteni che casca dalle nuvole. "Abbiamo inquinato? Beh… bonificheremo" e intanto continua ad inquinare come prima, complice, come abbiamo detto, la Regione Veneto che per evitare di scontrarsi con chi produce pur sempre "schei", oltre che morti ammazzati, gli adegua i limiti di sversamento così da non far perdere alla fabbrica neppure un giorno di lavoro.
A chiedere la chiusura immediata della Miteni e la bonifica immediata della falda, rimangono solo i soliti ambientalisti. Quelli che hanno ragione sempre dopo una decina di anni e dopo un bel po' di inchieste della magistratura.
Abbiamo detto tutto? Ah già… dimenticavamo… Buona giornata mondiale dell'acqua potabile a tutti!

Occhio al parco! La Regione Veneto non è posto per ambientalisti. Delibera o no, sabato si manifesta per il Parco dei Colli

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Vista dalla pagine dei giornali di oggi, parrebbe che la Regione Veneto abbia alzato bandiera bianca. Un bel #ciaone al consigliere "sparattutto" Berlato e il Parco dei Colli, a furor di popolo, viene salvato per direttissima delibera regionale da cacciatori e palazzinari.
Ma è davvero così?
Come minimo, prima di cantar vittoria, bisogna fare qualche considerazione. La prima è che la Regione Veneto - e con essa intendo tanto la maggioranza al governo quando buona parte della cosiddetta opposizione - sta all'ambientalismo come Erdogan sta alla democrazia.

D'accordo, consentire la caccia all'interno di un parco naturale, e bello come quello dei Colli per di più, era una proposta degna di un titolo di Lercio. Troppo persino per una Regione che ogni hanno paga salatissime multe all'Europa - con soldi nostri! - pur di varare norme che consentono la caccia a specie protette, in deroga a tutte le tutele. La sollevazione di cittadine e cittadini, delle amministrazioni locali e di tutte le associazioni ambientaliste, erano inevitabili e certo devono aver pesato non poco sulla decisione annunciata dal governatore Luca Zaia di cassare l'emendamento Berlato con salvifica delibera. Delibera che comunque non è ancora stata firmata. Lo sarà lunedì, così perlomeno è stato annunciato. Ma stiamoci attenti. Non sarebbe la prima volta che il governo regionale annuncia una correzione di rotta davanti ad una protesta popolare col solo proposito di sgonfiare le mobilitazioni. Magari per poi varare alla fine dell'iter legislativo, con qualche ritocco qua e là, una legge che si rivela ancor peggio di quella annunciata.
La manifestazione di sabato quindi si deve fare, e si farà, con ancor più determinazione di prima per ribadire quello che abbiamo sempre detto e scritto. Nel parco dei Colli Euganei non c'è spazio per cacciatori e cementificatori.
Ma c'è anche un'altro motivo che ci spinge a tener duro nella nostra battaglia ambientalista. Ce lo spiega bene Francesco Miazzi in questo breve video. Questa delibera che con troppo ottimismo è stata chiamata "Salvaparco" puzza troppo da operazione di marketing e non incide minimamente sul vero pericolo che minaccia l'integrità dei parchi veneti: quella legge 143 che smantella i piani ambientali messi a punto dagli enti gestori dei parchi, demandando nei fatti la loro gestione ai Comuni. In pratica, proprio quanto il fratello d'Italia Sergio Berlato ha cercato di fare, pur se per altre strade!

Anche per questo, domani, sabato 11 marzo, cittadini e ambientalisti si ritroveranno a Merendole alle ore 15,30, per manifestare tutti insieme. Lo slogan "Salviamo il parco dei Colli Euganei" è valido oggi, come ieri, come domani.

A questo link, l'intervista a Francesco Miazzi
https://youtu.be/y5hJceEMODM

Nasce l’associazione Preziose, per una politica al femminile

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Preziose, è il nome che si sono date. Perché “preziose” sono le donne che fanno politica. Donne capaci di agire con consapevolezza e radicalità per allargare orizzonti oggi confinati al solo maschile. “In un’epoca di crisi come quella in cui stiamo vivendo, c’è bisogno che le donne imparino a fare rete e a mettere in comune tutta quella ricchezza di saperi, competenze accumulata in tanti anni, per arginare la decomposizione delle istituzioni e della stessa democrazia” ha spiegato la verde Luana Zanella, in apertura dell’incontro.
La presentazione della nuova associazione ideata da Annarosa Buttarelli, è avvenuta, ieri pomeriggio negli spazi dell’eco osteria Laguna Libre, in fondamenta Cannaregio, a Venezia. Un locale aperto di recente ma che già si propone come un punto di riferimento, oltre che per l’aspetto gastronomico, anche per le più innovative attività culturali, politiche, artistiche e musicali del veneziano. Imperdibili, le jam session del martedì sera che sono già diventate un must per gli appassionati di jazz d’autore.

A presentare la nuova associazione tutta femminile, e femminista, con la Zanella e la Buttarelli sono intervenute anche la presidente Luisella Conti e Nadia Lucchesi.
Nei programmi di Preziose, c’è la vicina fondazione di una scuola di alta formazione politica con sede a Venezia e a Roma, e una accademia delle eccellenze femminili con lo scopo di valorizzare quanto le donne hanno saputo produrre.
Una curiosità. Il nome “Preziose” viene da un movimento culturale e letterario femminile nato in Francia nel salotto mondano di Madame de Rambouillet in cui molti studiosi lessero un tentativo di reazione contro la condizione di passività legata alla condizione femminile. Il “preziosismo” si basava su una scrittura barocca tutta iperboli e parafrasi, volta a strutturare tempi, spazi e modi del corteggiamento amoroso. Il genio di Molière ebbe buon gioco a metterlo alla berlina nella sua commedia in prosa “Les précieuses ridicules”. Alle preziose francesi, ha ricordato Luisella Conti, va comunque il merito di aver inventato i racconti di fate. Ed in un momento in cui l’inquisizione metteva al rogo qualsiasi donna al solo sospetto di stregoneria, non è stata una invenzione da poco.

Il luogo più inquinato del mondo? Il ponte di una nave da crociera!

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E poi c'è chi va in crociera per "respirare aria buona"! Tutto il contrario, invece. Lo testimonia una ricerca condotta dai tecnici del Nabu (Naturschutzbund Deutschland), una delle maggiori organizzazioni ambientaliste tedesche, e diffusa in Italia dall'associazione Cittadini per l’Aria.
Sul ponte passeggeri di una comune nave da crociera sono presenti concentrazioni di microparticelle fino a 200 volte superiori ai livelli di fondo naturali. Un dato davvero incredibile che in Francia è stato oggetto, il 20 gennaio, di una speciale trasmissione televisiva mandata in onda su France 3 e visibile a questo link focalizzata in particolare sul porto di Marsiglia.
Non è la prima volta che Nabu denuncia l'inquinamento provocato dalle navi. Ricordiamo dal 15 al 19 aprile 2016, i tecnici dell'associazione tedesca sono scesi fino a Venezia per documentare i danni prodotti dal via vai delle Grandi Navi. Qui i risultati delle misurazioni che testimoniano come le emissioni inquinanti non solo danneggiano gravemente l'ambiente, ma soprattutto la salute umana.

"Gli armatori espongono i loro passeggeri a elevate dosi di inquinanti dannosi per la salute mentre promettono vacanze, mare e aria puliti e rigeneranti– ha detto Anna Gerometta, presidente di Cittadini per l’Aria - In realtà, come risulta dalle misurazioni effettuate, chi sta sul ponte di una nave da crociera a prendere il sole è esposto a concentrazioni di particelle superiori anche di 200 volte i valori che si misurerebbero in assenza della nave”.
Nonostante questi dati sconvolgenti i principali attori del settore delle crociere si rifiutano di passare a carburanti più puliti e installare sistemi di depurazione dei gas di scarico come accade per i motori terrestri.
“Tali misure potrebbero ridurre l'inquinamento massiccio da navi da crociera immediatamente e quindi limitare l'impatto per l'uomo, l'ambiente e il clima in modo significativo – continua Gerometta - Interpretiamo questo comportamento come una forma di speculazione irresponsabile resa possibile dalla generale ignoranza del problema". Nabu- si legge in un comuicato diffuso dalla battagliera associazione ambientalista - ha richiamato anche l’evidenza scientifica sui danni ai polmoni a cui possono essere soggette in particolare le persone che già soffrono di malattie respiratorie come l'asma se esposte a simili livelli di particolato e le istituzioni mediche che raccomandano di stare lontano da alcune parti del ponte di una nave da crociera per evitare di inalare gas di scarico che potrebbero innescare riacutizzazioni. Anche l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha di recente classificato gli scarichi dei motori diesel come sostanza cancerogena, allo stesso livello di rischio come l'amianto. Quando si brucia olio combustibile pesante o diesel marino – ciò di cui si alimentano le navi - accanto al particolato vengono emesse altre sostanze dannose come la fuliggine, il biossido di azoto e metalli pesanti. Il responsabile della politica dei trasporti NABU Daniel Rieger ha detto: "Non siamo stati sorpresi quando abbiamo visto questi nuovi numeri. E’ noto da anni che i gas di scarico delle navi contengono elevate quantità di inquinanti atmosferici tossici poiché utilizzano i carburanti più sporchi disponibili sul mercato, senza dotarsi di eventuali sistemi di filtraggio. Finora siamo stati solo in grado di documentare l'inquinamento atmosferico delle navi a terra, vicino ai terminal crociere, per esempio, ma né a noi né ad altri soggetti indipendenti era stato permesso di farlo sulle navi al fine di verificare l'inquinamento lì. Forse perché gli armatori si aspettavano questi esiti drammatici? Sarebbe molto grave se si scoprisse che l'industria delle crociere guarda deliberatamente altrove pur essendo a conoscenza del problema".
Si potrebbe supporre che i risultati delle misurazioni non siano un caso isolato, molto probabilmente infatti rappresentano la realtà a bordo della maggior parte delle navi da crociera della flotta corrente. Questa misurazione dovrebbe essere considerata come una prova di inadeguatezza e stimolare ulteriori verifiche nel settore delle crociere, verifiche di cui siamo in attesa da lungo tempo.
I soli annunci pubblici sono stati sin qui di gran lunga insufficienti: ad esempio Aida Cruises, leader del mercato tedesco promise di fare il retrofit di tutta la sua flotta con filtri antiparticolato dal 2014, ma ancora non vi è alcuna prova di un solo sistema installato.
In Italia, neppure promesse!


Tabella 1: I risultati delle misurazioni a bordo di una nave da crociera

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Tabella 2: comparazione dei livelli con altre situazioni (aria pulita e traffico urbano)
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Vedi gli articoli precedenti
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