In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.
Nuovo rotte migratorie, stessa risposta violenta. In Messico la polizia carica i migranti africani
30/08/2019LasciateCIEntrare
Anche il Messico alza un muro contro i migranti africani. La situazione è precipitata a Tapachula, cittadina dello Stato del Chiapas a pochi chilometri dal Guatemala. Una zona di selve tropicali dove nella tradizionale rotta dei migranti mesoamericani verso gli Stati Uniti si sono aggiunti i profughi provenienti dai Paesi equatoriali dell’Africa: Congo, Camerun e Angola, in particolare. Qualche giorno fa la guardia nazionale messicana ha cercato di chiudere e di sgomberare un campo chiamato Ventunesimo Secolo dove erano stati sistemati circa 700 migranti. Ne sono seguiti cariche e tafferugli che sono ancora in corso. Irineo Mujica attivista di Pueblo Sin Fronteras ha denunciato come la polizia messicana abbia picchiato anche bambini e donne incinte, una delle quali ha perso il piccolo.
“Il Messico non ha soldi per rimpatriare questi migranti ai quali non viene data nessuna alternativa – ci spiega l’attivista -. Queste persone vengono da perlomeno due mesi di cammino tra le giungle del Centroamerica, si trovano in una situazione quantomeno precaria e certo non possono tornare indietro. Con la chiusura del campo, ora sono costretti a vivere sulla strada senza nessuna assistenza. Il Governo messicano così come quello dello stato del Chiapas, hanno accettato in tutto e per tutto le richieste del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di impedire a qualsiasi costo il passaggio di questi migranti ma non hanno predisposto nessuna soluzione per queste persone. Dicono che è colpa dei migranti che non vogliono farsi identificare ma è completamente falso e hanno avviato una campagna di criminalizzazione di queste persone senza neppure accennare ad una possibile soluzione del problema”. Campagna di criminalizzazione che Pueblo Sin Fronteras ha formalmente denunciato alla commissione Interamericana dei diritti umani.
Gli scontri di Tapachula hanno perlomeno il merito di portare all’attenzione dell’opinione pubblica la rotta alternativa a quella che conduce all’Europa aperta dai migranti dell’Africa equatoriale verso gli Stati Uniti. Anche la risposta degli Usa riflette quella Europea, giocata sull’esternalizzazione della frontiera tramite la complicità di Governi ricattabili e ubbidienti cui viene demandato il lavoro sporco. Una ulteriore testimonianza di come la questione migratoria sia una questione globale che non può più essere nascosta e che va risolta globalmente con politiche di accoglienza e mantenendo come punto fermo il diritto della gente di migrare.
Di seguito alcuni video e immagini inviatici da Pueblo Sin Fronteras
“Il Messico non ha soldi per rimpatriare questi migranti ai quali non viene data nessuna alternativa – ci spiega l’attivista -. Queste persone vengono da perlomeno due mesi di cammino tra le giungle del Centroamerica, si trovano in una situazione quantomeno precaria e certo non possono tornare indietro. Con la chiusura del campo, ora sono costretti a vivere sulla strada senza nessuna assistenza. Il Governo messicano così come quello dello stato del Chiapas, hanno accettato in tutto e per tutto le richieste del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di impedire a qualsiasi costo il passaggio di questi migranti ma non hanno predisposto nessuna soluzione per queste persone. Dicono che è colpa dei migranti che non vogliono farsi identificare ma è completamente falso e hanno avviato una campagna di criminalizzazione di queste persone senza neppure accennare ad una possibile soluzione del problema”. Campagna di criminalizzazione che Pueblo Sin Fronteras ha formalmente denunciato alla commissione Interamericana dei diritti umani.
Gli scontri di Tapachula hanno perlomeno il merito di portare all’attenzione dell’opinione pubblica la rotta alternativa a quella che conduce all’Europa aperta dai migranti dell’Africa equatoriale verso gli Stati Uniti. Anche la risposta degli Usa riflette quella Europea, giocata sull’esternalizzazione della frontiera tramite la complicità di Governi ricattabili e ubbidienti cui viene demandato il lavoro sporco. Una ulteriore testimonianza di come la questione migratoria sia una questione globale che non può più essere nascosta e che va risolta globalmente con politiche di accoglienza e mantenendo come punto fermo il diritto della gente di migrare.
Di seguito alcuni video e immagini inviatici da Pueblo Sin Fronteras
Grandi navi, grandi rischi in laguna
23/08/2019Gente in MovimentoForte di un fatturato mondiale di 14 miliardi di euro l’anno, la crocieristica detta i tempi del turismo a Venezia
Ed anche stavolta ci è andata bene. Tanta paura ma nessuna conseguenza per le numerose persone che, nel pomeriggio di domenica 7 luglio, si trovavano nel battello di linea sfiorato dalla gigantesca mole della Costa Deliziosa, una sorta di villaggio turistico galleggiante con una stazza lorda di oltre 92 mila tonnellate.
La prima domanda da porsi infatti è: perché la nave è stata fatta salpare sotto condizioni meteorologiche così pericolose? Il forte vento che ha portato grandine e tempesta in laguna, aveva indotto anche le autorità aeroportuali di sospendere i voli del marco Polo.
Motoscafi e battelli sono rimasti fermi agli imbarcaderi. Anche la tratta ferroviaria ha subito ritardi. La Deliziosa, invece, è stata fatta partire lo stesso per non dover modificare gli orari degli intrattenimenti a bordo.
Per lo stesso motivo, la domenica precedente, la celebre Vogalonga, la manifestazione sportiva che porta in acqua centinaia di tradizionali imbarcazioni a remi, è stata fermata per consentire il passaggio di una grande nave. Non era mai successo prima. miliardi di euro all’anno, la crocieri- stica detta i tempi del turismo a Venezia. Inutili gli appelli degli ambientalisti che chiedono da anni “Fuori le grandi navi dalla laguna”. Inutileanchelaminacciadell’Unesco di inserire Venezia nella sua black List. Inutili gli incidenti sfiorati come quello di domenica e inutili anche l’incidente accaduto solo un mese prima, quando la MSC Opera (65 mila tonnellate) finì contro una banchina del porto di San Basilio, sfracellando una barca da turismo fluviale e mandan- do una mezza dozzina di persone all’ ospedale. Ma non è solo la possibilità di trovarsi una enorme prua dentro la basilica di San Marco che motiva la battaglia degli ambientalisti.
Motoscafi e battelli sono rimasti fermi agli imbarcaderi. Anche la tratta ferroviaria ha subito ritardi. La Deliziosa, invece, è stata fatta partire lo stesso per non dover modificare gli orari degli intrattenimenti a bordo.
Per lo stesso motivo, la domenica precedente, la celebre Vogalonga, la manifestazione sportiva che porta in acqua centinaia di tradizionali imbarcazioni a remi, è stata fermata per consentire il passaggio di una grande nave. Non era mai successo prima. miliardi di euro all’anno, la crocieri- stica detta i tempi del turismo a Venezia. Inutili gli appelli degli ambientalisti che chiedono da anni “Fuori le grandi navi dalla laguna”. Inutileanchelaminacciadell’Unesco di inserire Venezia nella sua black List. Inutili gli incidenti sfiorati come quello di domenica e inutili anche l’incidente accaduto solo un mese prima, quando la MSC Opera (65 mila tonnellate) finì contro una banchina del porto di San Basilio, sfracellando una barca da turismo fluviale e mandan- do una mezza dozzina di persone all’ ospedale. Ma non è solo la possibilità di trovarsi una enorme prua dentro la basilica di San Marco che motiva la battaglia degli ambientalisti.
Una grande nave, anche ormeggiata in banchina, inquina come 15 mila e 500 automobili e non è un caso se sotto il ponte di Rialto si sono misurate più polveri sottili che nel mezzo di una autostrada a tre corsie. In Norvegia, una legge obbliga questi mezzi inquinanti a fermarsi fuori dai fiordi. In Italia, consentiamo loro di entrare nel cuore dell’ecosistema più fragile del mondo: Venezia e la sua laguna.
Cronache di ghiaccio e di fuoco. La Siberia brucia, il nostro pianeta brucia e a qualcuno va bene così
9/08/2019EcoMagazine, Global Project
La nostra casa è in fiamme. Letteralmente. In questi ultimi due mesi, che passeranno alla storia come il giugno e il luglio più caldi della storia del pianeta Terra, se ne andata in fumo una area più vasta del Portogallo: più di 100 mila chilometri quadrati. Anche di più, a dare retta alla sezione russa Greenpeace che afferma senza peli sulla lingua che il presidente Vladimir Putin non racconti tutta la verità quando parla della portata degli incendi.
Improvvisamente, di fronte alle terrificanti immagini di enormi ghiacciai trasformati in laghi, abbiamo scoperto tutti che la nostra Terra è molto, molto più fragile di quello che pensavamo o, meglio, speravamo.
I ghiacci che pensavamo eterni della Groenlandia, del Canada, dell’Alaska e della Siberia si sono trasformati in fuoco, complice un aumento della temperatura su queste regioni che va dagli 8 ai 10 gradi rispetto alle medie registrate tra il 1981 e il 2010. Non ha mai fatto tanto caldo nelle terre artiche. Basta la semplice caduta di un fulmine per scatenare un incendio di proporzioni bibliche.
I disastri peggiori sono avvenuti in Siberia, terra che i russi hanno sempre considerato un territorio di conquista e di sfruttamento. Al momento in cui scrivo, ci sono oltre 180 focolai ancora attivi e, da quasi un mese, un incendio grande come la città di Londra continua ad avvampare senza che nessuno pensi a come intervenire.
I cieli di Krasnoyarsk, Kemerovo e di altre città siberiane sono neri di fuliggine. Il fumo sta arrivando anche a Mosca ed è soltanto una notizia di pochi giorni fa che Putin abbia dato ordine alla protezione civile di intervenire in qualche modo.
Ma perché tanta indifferenza di fronte ad un disastro di queste proporzioni? «Gli incendi? Sono fenomeni naturali qui da noi. Combatterli è inutile! Sarebbe come affondare un iceberg per rendere più tiepida la temperatura del mare in inverno» ha dichiarato il governatore della regione di Krasnoyarsk, Aleksandr Uss, cercando di gettare acqua sul fuoco (in senso metaforico, ovviamente) davanti alle denuncia degli ambientalisti. A parte il paragone con l’Iceberg che è palesemente idiota, anche se l’avesse voluto, il governatore Uss non aveva nemmeno i mezzi per intervenire. Una legge nazionale russa vieta infatti la mobilitazione della protezione civile se i costi non valgono la candela. Come dire che prima di spegnere un incendio bisogna buttare giù due conti per vedere se l’intervento costa più del valore della “merce” che sta bruciando. E pazienza se gli incendi siberiani hanno sparato nell’atmosfera - sino ad ora - oltre 100 milioni di gas climalteranti! L’equivalente delle emissioni di un anno di Svezia e Norvegia insieme. Gas che, manco a dirlo, contribuiranno al riscaldamento del pianeta così che il prossimo anno ci saranno ancora più incendi.
«Soltanto adesso, con un ritardo di almeno un mese e mezzo, il presidente Putin ha deciso di intervenire dichiarando addirittura di aver mobilitato anche l’esercito - mi ha raccontato al telefono una amica giornalista ed attivista ambientalista di San Pietroburgo che mi ha pregato di mantenerle l’anonimato - Una decisione arrivata sulla spinta dell’opinione pubblica mondiale, considerando che anche Trump lo ha chiamato, offrendogli il suo aiuto, perché i fumi sono arrivati anche in Alaska. Ma è tutto da verificare l’impegno del nostro presidente su questioni come queste che riguardano la tutela ambientale».
Ma perché tutta questa indifferenza davanti ad un disastro di queste proporzioni? «Non è affatto indifferenza ma complicità. Non possiamo portare prove certe ma, secondo molti attivisti siberiani, non tutti gli incendi sarebbero naturali. La Siberia è da tempo una terra di conquista per il capitale cinese che ha investito in grandi progetti di estrattivismo. Gli incendi giocano tutti al loro interesse. Senza contare l’industria del legno che è quasi completamente appaltata ad aziende di Pechino. Ci sono più segherie cinesi che orsi, oramai. Il disboscamento illegale, gestito in collaborazione con la mafia russa, è una piaga consolidata nelle regioni di Krasnoyarsk e Irkutsk. Questi incendi permettono di avviare immediatamente riforestazioni di intere aree con piante non autoctone ma a più alto valore commerciale. Insomma, mafia e capitalismo si sono alleati per causare disastri ambientali cui aggiungere altri disastri ambientali e trasformare tutto in merce da vendere al mercato globale. Il tutto con l’appoggio più o meno coperto del governo di Mosca».
Putin non combatte la mafia russa? “Come no? Più o meno come il vostro Salvini combatte la mafia italiana”.
In fiamme l’auto di Fulvia Gravame, membro dell’esecutivo dei Verdi e storica ambientalista di Taranto
23/06/2019Verdi Veneto
Questa notte a Taranto un incendio doloso ad opera di ignoti ha dato alle fiamme l'automobile di Fulvia Gravame, storica esponente dei Verdi pugliesi e nota attivista sempre in prima fila nella battaglia contro l’Ilva. Le fiamme sono divampate poco dopo le 3 di notte in via Pitagora, dove Fulvia Gravame era solita parcheggiare la sua auto.
Solidarietà e stima per la nostra Fulvia Gravame sono giunti da tutto l’arcipelago ambientalista della Puglia e dell’Italia.
Anche, noi verdi del Veneto, ribadiamo la nostra vicinanza a Fulvia, vittima di un’attentato ignobile e vigliacco, compiuto in puro stile mafioso. Siamo certi che episodi come questo non avranno altro effetto che spingere Fulvia a continuare con determinazione ancora maggiore la sua battaglia per la difesa della salute dell’ambiente. Una battaglia che è anche quella di noi tutti.
Un Climate Camp per discutere su come difendere la terra. Fridays fo Future e No Navi lanciano al Lido di Venezia il primo campeggio per il clima
20/06/2019EcoMagazine
Verranno in tanti. Verranno da tutta Europa. Verranno per rispondere all’appello lanciato dalle ragazze e dai ragazzi di Fridays For Future di Venezia e delle attiviste degli attivisti No Grandi Navi, di dare vita ad un grande Climate Camp, un grande incontro dedicato al clima, dove discutere del futuro del nostro pianeta e, soprattutto, delle iniziative e delle lotte per dare un futuro al nostro pianeta.
L’appuntamento è a settembre, da mercoledì 4 a domenica 8, al Lido di Venezia, in una spiaggia libera che, assicurano, sarà gestita con il minimo impatto ambientale, proprio come lo Sherwood Festival che si sta svolgendo in questi giorni a Padova. “L’approvvigionamento energetico proviene da fonti rinnovabili con pannelli ad energia solare – spiegano gli organizzatori-. Il cibo degli agricoltori locali e non trattato con agenti inquinanti e tossici”.
Il primo Climate Camp, si svolgerà in contemporanea della Mostra del Cinema che, nelle intenzioni degli organizzatori, dovrebbe fare da cassa di risonanza all’evento, anche in virtù della sensibilità sulle questioni climatiche che tanti celebri artisti internazionali hanno sempre dimostrato. Il momento culminante si svolgerà proprio il giorno della premiazione del festival cinematografico, sabato 7 settembre, con la marcia “We want red carpet” verso il tappeto rosso. “I riflettori mediatici non dovrebbero stare su un evento mondano ma sull’emergenza climatica” hanno dichiarato gli organizzatori.
Non è neppure un caso che il primo Climate Camp organizzato da Fridays for Future si svolga a Venezia, città di incomparabile bellezza ma, proprio per questo, vittima di un delirante degrado ambientale causato da mercificazione del territorio, turistificazione senza controllo, grandi opere inutili e devastanti realizzate in odor di mafia come il Mose. Una città in cui la stessa democrazia è stata tacitata per coprire gli interessi dei grandi speculatori di cui le compagnie crocieristiche sono solo l’esempio più eclatante. Ma Venezia, non dimentichiamocelo, è anche la città che lo scorso sabato 8 giugno ha saputo portare in campo 10 mila persone al grido “Fuori le Grandi navi dalla laguna”.
Ospiti del Camp, incontri, iniziative, dibattiti sono ancora in fase di definizione. Potete seguire la costruzione degli incontri sul sito del Climate Camp, che tra qualche giorno sarà on line, o sulla sua pagina Facebook dove vi invitiamo a mettere un “mi piace”.
E, naturalmente, questo settembre siate tutti invitati in laguna!
E’ record: in sole 24 ore si sono sciolte due miliardi di tonnellate di ghiaccio. E il caldo deve ancora arrivare!
16/06/2019EcoMagazine
Una giornata storica, quella di giovedì 13 giugno 2019. In solo 24 ore, si sono staccati dalla Groenlandia più di due miliardi di tonnellate di ghiaccio. Un record, in questa stagione! Un record che purtroppo rischia di essere superato nei prossimi giorni. Secondo gli scienziati del clima, ci sono ottime possibilità che questa estate assisteremo ad uno scioglimento dei ghiacciai artici senza precedenti.
“Nel giugno del 2012 abbiamo assistito ad un fenomeno analogo – ha riferito alla Cnn Thomas Mote, ricercatore dell’Università della Georgia – E’ normale che in estate i ghiacciai si sciolgano, ma negli ultimi anni stiamo assistendo ad una escalation preoccupante”.
Il periodo di scioglimento dei ghiacciai groenlandesi va da giugno ad agosto con un picco a luglio. Quest’anno la stagione è cominciata prima, ad aprile, con almeno tre settimane di anticipo, ed ha fatto subito registrare picchi precedentemente toccati solo in piena stagione. Il che, con il caldo che deve ancora arrivare, non fa presagire nulla di buono. Ricordiamo che lo scioglimento dei ghiacci artici è la causa principale dell’innalzamento del livello di acqua del mare. Quell’innalzamento che, secondo le previsioni dell’ilcc potrebbe portare alla scomparsa, tanto per dirne una, di città come Ferrara e Venezia. Il trend di scioglimento registrato in questi giorni va proprio in questa direzione.
Non torneranno i prati
13/06/2019EcoMagazineStorie e cronache esplosive di Pfas e Spannoveneti
di Alberto Peruffo – Editore Cierre
Dice Alberto Peruffo, l’autore di “Non torneranno i prati”, che “uno come me, nato nella terra dei Pfas, della Pedemontana e della base militare Dal Molin, non poteva che diventare un attivista”. Così dice e… sbaglia! Sbaglia per troppa generosità, ma sbaglia. Tutta l’Italia, caro Alberto, è una gigantesca “terra dei fuochi”. Tutta l’Italia è piena di emergenze ambientali, di grandi opere, di attacchi ai beni comuni e al territorio che, alla fin fine, sono attacchi alla stessa democrazia. Già, alla democrazia. Perché nessuno accetterebbe di vedere la sua terra devastata, la sua salute compromessa da una economia di rapina che fagocita ambiente e diritti per trasformarli in enormi profitti riservati a pochi. Nessuno, se non gli fosse fatto credere che la “colpa” è tutta dei migranti, dei rom, dei centri sociali o dei “pidioti”. E che bisogna odiare chi ha tendenza sessuali diverse dalla media o chi scappa dalla guerra per non odiare chi si arricchisce con il cemento, l’evasione delle tasse, i profitti mafiosi, le grandi navi, lo sfruttamento del lavoro, il business malavitoso dei rifiuti e la nostra salute. Alberto è diventato un attivista perché queste cose le ha capite sin dall’inizio. E credetemi se vi assicuro che sarebbe lo stesso Alberto che conosciamo ora se fosse nato in un ipotetico territorio incontaminato (che in Italia non c’è più) dove la gente non ha bisogno di scendere in piazza per difendere la sua terra.
Il destino casomai, lo ha portato ad occuparsi dei Pfas, gli scarti della lavorazione di sostanze idrorepellenti che per vent’anni, nel silenzio complice della politica e di chi doveva tutelare l’ambiante, la Miteni ha versato nella falde del vicentino, sino a causare il più grande inquinamento delle acque nella storia d’Europa.
“Non torneranno i prati”, (Cierre edizioni) racconta in bello stile – cosa più unica che rara per un libro che è anche una inchiesta giornalistica, corredata da dati e analisi scientifiche – questa brutta storia di inquinamento che è anche una bella storia di rivolta, di persone, soprattutto di donne, che hanno avuto il coraggio di mobilitarsi e denunciare. Ed è grazie alla loro denuncia, non certo dalla politica, che ora sappiamo cosa è successo e sappiamo cosa bisogna fare. Già. Perché il libro di Alberto ha una chiosa non scritta ma che riecheggia in tutto il libro: “Non torneranno i prati se…” E’ in quel “se” sussurrato delle sue “Storie e cronache esplosive di Pfas e Spannoveneti” – come si legge nel sottotitolo – che sta tutta la forza rivoluzionaria del libro di Alberto Peruffo. I prati possono anche tornare a fiorire se… e quel “se” dipende tutto da noi. L’autore ce lo ricorda in ogni pagina, in ogni riga del suo libro. E per questo, non possiamo che dirgli: grazie, Alberto!
Pfas, tutti sapevano. Nessuno è intervenuto
10/06/2019EcoMagazine, Global ProjectUn corposo rapporto dei Noe accusa la giunta provinciale di Vicenza della leghista Manuale De Lago di non essere intervenuta per fermare l’avvelenamento delle acque
Lo sapevano. Lo sapevano tutti e non hanno fatto niente. Non hanno fatto niente anche se, per scongiurare il più devastante caso di inquinamento della falda acquifera dell’intera Europa, sarebbe bastato applicare la legge! 350 mila persone - ed è una stima per difetto - avvelenate dai Pfas, gli acidi perfluoro alchilici utilizzati dalla Miteni per produrre rivestimenti impermeabili. 350 mila uomini, donne e bambini avvelenati grazie al silenzio complice delle autorità che avevano il compito di difendere la loro salute.
Per almeno 13 anni, l’Arpav e la giunta provinciale di Vicenza hanno deliberatamente ignorato tutte le prove della contaminazione. Hanno fatto finta di non vedere per non dover intervenire nonostante fossero evidentissimi i segnali dell’ “incremento nella contaminazione da benzotrifluoruri, sintesi o sottoprodotti derivati dall’attività della Miteni”, come si legge nel documento di monitoraggio ambientale chiamato Giada avviato sin dal 2003 dall’Ufficio ambiente della provincia di Treviso.
Un rapporto del Nucleo operativo ecologico (Noe) dei carabinieri di Treviso testimonia come sin dal 2006 i preoccupanti risultati emersi dal progetto Giada fossero stati portati all’attenzione della giunta provinciale di Vicenza, capitanata dalla leghista doc Manuela Del Lago. Lo studio evidenzia senza possibilità di errore come la falda acquifera di Trissino, dove sorgeva la Miteni, avesse subito un drastico inquinamento imputabile “a fattori idrologici o a fatti nuovi verificatesi all’interno dell’area dello stabilimento”.
Se la Provincia fosse intervenuta immediatamente, ora non saremmo all’emergenza. Ed invece sono stati zitti e hanno scelto di lasciare tutto come stava, permettendo alla Miteni di continuare a produrre Pfas ed al conseguente inquinamento di allargarsi sino a contaminare le falde delle vicine province di Treviso e Padova.
I No Navi vincono sul campo la battaglia per San Marco. Ora li attende la battaglia politica contro le false “soluzioni”
9/06/2019EcoMagazine
Ci si aspettava tanta gente. Ne è venuta di più. Novemila, forse diecimila persone hanno accolto l’appello del comitato Noi Grandi Navi per dare vita ad una grande manifestazione alle Zattere, sabato pomeriggio. Una partecipazione senza precedenti, per di più in una “piazza” difficile come quelle di Venezia. Una volta tanto, tutti i giornali, tanto quelli cartacei, quando quelli on line sono d’accordo nel sottolineare il pieno successo dei manifestanti, rimarcando come la cittadinanza attiva – quella che non si rassegna a vedere la loro città trasformata in una Disneyland per il business turistico – sia tutta contraria alle Grandi Navi.
La grande partecipazione ha sorpreso tutti. Compresa la Prefettura che di fronte a tutta quella gente ha precipitosamente concesso al corteo di arrivare sino alla Bocca delle Piazza, dopo aver inizialmente vietato il passaggio adducendo pretestuose motivazioni. La piazza dei veneziani è tornata ai veneziani e non solo alle orde di turisti, alle aziende come l’Aperol che la affitta per pubblicità o a quei 4 gatti miao dei “venetisti” che ogni 25 aprile arrivano dalla terraferma per sventolare un Gonfalone che non è loro. La piazza insomma, è tornata ad essere per i veneziani quel punto di aggregazione, anche politica, che è sempre stata sin dall’epoca dei dogi.
L’incidente dell’Msc Costa ha certo aiutato a mobilitare le coscienze, ma nessuno può negare che sin da quando questi villaggi turistici galleggianti sono arrivati in laguna – col loro carico di fumo inquinante e di smottamento ondoso – ai veneziani, così come a tutti coloro che hanno a cuore la città, non è mai andato giù vedere l’ambiente lagunare devastato e mercificato per far fare profitti a quelle multinazionali delle crociere che con Venezia non hanno niente a che fare. Venezia è No Grandi Navi. Chi aveva ancora dei dubbi, a proposito, se li è levati dopo la grande manifestazione di ieri.
In una democrazia compiuta, non ci sarebbero tentennamenti di sorta. Grandi Navi fuori dalla laguna. Punto e basta. Verso Trieste – ammesso che i triestini le vogliano – o verso qualche altro porto. Ma in laguna mai più. Ma l’Italia una democrazia compiuta non lo è. Tutte le Grandi Opere sono state un vero e proprio esproprio di democrazia ai territori per imporre con decreti emergenziali gli interessi speculativi di mafie economiche e politiche. In questi senso, le Grandi Navi sono l’emblema perfetto delle Grandi Opere. Anche le “soluzioni” che certa politica vorrebbe dare al problema, sono – e pure questa è una peculiarità delle Grandi Opere – rimedi peggiori del male. Spostare le navi a Marghera, per esempio, scavando il canale Vittorio Emanuele e allargando il canale dei petroli, col risultato di alterare per sempre l’ecosistema lagunare, portare alla luce tonnellate di fanghi tossici e far arrivare in laguna ancora più navi. Una soluzione su cui si sono gettati in tanti. Comprese le compagnie di crociera, a parole, “disponibilissime” al dialogo. Con la realizzazione di un approdo a porto a Marghera infatti, le loro navi potrebbero scorrazzare più di prima in laguna. E intanto che la politica discute su come bypassare ostacoli come la direttiva Seveso che non consentirebbe la navigazione di navi di quella stazza accanto a petroliere ed a siti industriali a forte rischio, le Grandi Navi continuano a rimanere dove stanno, a San Basilio, a fare l’inchino alla piazza e, loro, ad incamerare profitti miliardari.
Ed è proprio per questo, per lasciare le cose come stanno, che tanta politica si è scoperta improvvisamente No Navi e favorevole alla non soluzione di Porto Marghera. Parliamo della Regione e soprattutto del sindaco di Venezia Luigi Brugnaro. Uno che farebbe meglio a stare zitto sulla questione, se non altro per una mera questione di conflitto di interesse. La sua società “Porta di Venezia spa” è proprietaria di vaste aree da bonificare in zona Pili di Marghera. Me lo ricordo in campagna elettorale sfilare in canale della Giudecca con un rimorchiatore con la scritta nera su sfondo giallo (come quello della canzone Boccadirosa!) “Sì alle Grandi Navi”. Oggi pure lui, il Gigio da Spinea, vuole le Grandi Navi lontane da San Marco e da quel canale sventolava promesse elettorali!
Ed è proprio per questo che i manifestanti alternavano al coro “Fuori le navi dalla laguna”, “Fuori Brugnaro dalla laguna”. E per dirla come va detta, non sono del tutto sicuro su chi abbia fatto i peggiori danni a Venezia.
Nella giornata mondiale dell’Ambiente il Governo non vuole sentire parlare di ambiente. Lega e 5 Stelle bocciano la mozione sull’emergenza sostenuta da Fridays for Future
7/06/2019EcoMagazine, Global Project
Al Governo del Cambiamento dell’ambiente non gliene frega niente. Lo sapevamo sin dall’inizio della legislatura. Ce lo ha confermato quel Patto di Governo che i cambiamenti climatici non si sogna neppure di menzionarli. Ma lo sapevamo anche prima. Tanto i 5 Stelle che la Lega - i due partiti populisti per eccellenza, fabbricatori di fake new in perenne e urlata campagna elettorale - non hanno nulla a che spartire con concetti complicati come quelli relativi alla difesa dell’ambiente. Non hanno né la capacità né tantomeno l’obiettivo di farsi carico di scelte che li porterebbero ad intaccare un sistema economico che, soprattutto in Italia, non ha niente di verde. Scelte peraltro, che risulterebbero anche impopolari ai tanti italiani che non hanno nessuna intenzione di cambiare stile di vita. Anzi, è proprio sulla paura del cambiamento che questi partiti hanno costruito le loro fortune elettorali. La “colpa” è sempre e comunque dei migranti e non del clima. Giusto? Oppure delle zecche dei centri sociali che quando vanno in piazza “obbligano” la polizia a pestare a sangue un giornalista. Perché mai 5 Stelle e Lega dovrebbero mettere tutto in discussione? Solo per evitare quei cambiamenti climatici i cui effetti più drastici li vedremo tra una ventina d’anni, quando si sa che l’orizzonte di politici di mezza tacca come sono quelli che ci governano non va oltre le prossime consultazioni elettorali?
La bocciatura in Senato della mozione per la dichiarazione dell’emergenza climatica in Italia, come è stato fatto in altri Paesi Europei, è solo una logica ed inevitabile conseguenza di tutto ciò. La Lega e il suo elettorato, ai cambiamenti climatici neppure ci crede. E’ gente che ha paura. E l’ignoranza è un rassicurante rifugio che ha il vantaggio di regalarti granitiche certezze. Fermiamo i barconi e l’invasione… Prima l’Italia… Ruspe… Cosa pretendete? Che comincino a ragionare sul fatto che sarebbe meglio cambiare l’economia e non il clima?
I 5 Stelle sono ancora peggio. Sono stati allevati in un partito di proprietà di una azienda privata che si tramanda di padre in figlio e che chiamano “movimento”. E’ vero che hanno raccolto voti di alcuni disperatissimi attivisti di movimenti ambientali, ma solo perché quando si è in campagna elettorale promettere non costa niente. Soprattutto se sei uno di quelli o di quelle che hanno la faccia come il culo. Stop ai vaccini che contengono metalli pesanti. Via l’Italia dalla Nato. Sì all’euro, no all’euro. Basta con le scie chimiche e il signoraggio bancario… Ma davvero qualcuno sperava che avrebbero tradotto in pratica politica le loro sparate da maghi di Luna Park?
Il risultato è il Governo che abbiamo. E facciamo attenzione che la bocciatura alla mozione, arrivata per giunta nella Giornata Mondiale dell’Ambiente, avrebbe potuto tranquillamente essere un “sì” senza che questo causasse stravolgimenti all’azione del Governo. Il testo presentato dalla senatrice Loredana De Petris (LeU) e dal suo collega Andrea Ferrazzi (Pd), era poco più di un impegno generico ad intraprendere qualche azione a difesa del clima. Niente di che… al massimo una dichiarazioni di buone intenzioni per “accontentare” i giovani e le giovani di Fridays for Future che si sono mobilitati con tanto impegno nei venerdì per il clima. Non c’era nessuna possibilità - per dirla come va detta - che la mozione potesse costringere il Governo a tagliare un solo euro di quei 19 miliardi di sussidi alle fonti fossili che continuiamo a sborsare alla faccia degli accordi di Parigi. Tanto per citare una voce di bilancio che, se davvero abbiamo cuore l’ambiente, bisognerebbe buttare fuori dalla finanziaria come le grandi navi dalla laguna.
Perché allora il Senato non l’ha approvata? Perché la Lega non ha voluto perdere l’occasione di usare la bocciatura come una mazzuola per dare ancora in testa ai 5 Stelle. L’ambiente è un hashtag ancora adoperato dai grillini, anche se - tu vai a capire il perché - alle manifestazioni per l’ambiente non si fanno più vedere. I leghisti, dal canto loro, ne preferiscono altri: #sicurezza, #pistolepertutti, #stopinvasione… Allora cosa è successo allora? E’ successo semplicemente che il ministro Matteo Salvini ha voluto ricordare per l’ennesima volta al collega Luigi Di Maio chi comanda e chi detta l’agenda. E nell’agenda del Governo la parola ambiente devono ancora scriverla e mai la scriveranno. Dopo la scoppola elettorale, l’unico obiettivo dei 5 Stelle oramai è salvare la poltrona sino alla fine della legislatura. Tutto qua. Da “uno vale uno” a “mutismo e rassegnazione”, come si diceva una volta alle “burbe” in caserma.
“Si vede che nessuno di quelli che ha votato contro ha dei figli. Si vede che nessuno del Governo vive in Italia, dove la temperatura media è aumentata non di 1,1 gradi come la media globale ma di 1,58 gradi. Si vede che nessuno di loro pensa di essere ancora vivo nel 2030”. Così hanno amaramente commentato sul loro profilo Instagram le ragazze e i ragazzi di Fridays for Future che non hanno preso bene la bocciatura della “loro” mozione.
Così come non hanno preso bene l’approvazione del testo alternativa avanzato dei 5 Stelle che l’emergenza climatica non la menziona neppure e parla genericamente di, pensate un po’!, “promuovere campagne di sensibilizzazione e informazione rivolte ai cittadini in sinergia con gli enti locali”. Non hanno preso bene neppure il fatto che Di Maio, tutto contento, abbia fatto passare tutto questo come una sua grande vittoria diplomatica nei confronti di quegli insensibili della Lega. Ma già, cosa dicevamo delle facce dei nostri eletti al Parlamento?