In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.
A tutto Mose. Saltano i vertici, arriva la supercommissaria
15/11/2019Il ManifestoCom'è triste Venezia. È Elisabetta Spitz, ex direttrice dell’Agenzia del Demanio E Conte annuncia i primi, insufficienti, finanziamenti
Piazza San Marco, dopo la grande mareggiata, è una passerella d’alta moda di politici con la faccia indignata e gli stivali ai piedi. Tutti a sottolineare la vergogna nazionale di un’opera costata miliardi e ancora lontana dal venir realizzata. Tutti. Anche chi, come il presidente della Regione Veneto Luca Zaia, qualche responsabilità sulla mancata realizzazione dell’opera in questione, potrebbe cercarla a casa sua, sin da quando era il delfino di Giancarlo Galan – già presidente della sua Regione, caduto in disgrazia proprio in virtù degli scandali giudiziari connessi con quel sistema di malaffare istituzionalizzato chiamato Mose.Il piagnisteo ricorrente, come lo ha definito Gianfranco Bettin, è sempre lo stesso: «Se il Mose fosse stato realizzato come avrebbe dovuto – e se non lo è stato è colpa degli altri partiti e non del mio – la mareggiata di lunedì non avrebbe messo in ginocchio la città». Di alternative alla grande opera, di lavori di riequilibrio del sistema idrogeologico o, più banalmente, di interventi di compensazione al Mose, perché non va dimenticato che l’aumento della frequenza e della violenza di queste mareggiate va imputata soprattutto agli scavi dei canali di accesso alla laguna effettuati proprio per sistemare le paratoie dell’opera, nessun accenno.
E COSÌ, ECCO IL SINDACO Luigi Brugnaro, altro accanito sostenitore del Mose, che lamenta ritardi e mancati finanziamenti, scordando di essere uno dei sostenitori più accaniti delle Grandi Navi e del progetto di scavo di una ulteriore autostrada d’acqua in laguna per farle entrare in porto. Quel che ci mancava per compromettere definitivamente l’ecosistema lagunare e trasformare la laguna in un braccio di mare aperto.
Chi non indugia nel piagnisteo, si sbilancia in previsioni tutte da dimostrare e dà il via al solito teatrino delle promesse. Promesse che i veneziani si sentono ripetere da sedici anni. L’opera infatti doveva essere pronta nel 2014 e costare “solo” 3,4 miliardi di euro, contro gli 8 ai quai siamo vicini ora. E senza contare le paurose spese di manutenzione previste.
«Per il Mose siamo nella dirittura finale – ha azzardato il premier Giuseppe Conte – . Siamo al 92 o al 93 per cento dell’opera e, guardando all’interesse pubblico, non c’è che da continuare nel completamento di questo percorso. Il Mose va completato e poi mantenuto». Proprio sulla manutenzione, che si prevede costosissima, e sulla spartizione di quest’ultima «torta» miliardaria si giocherà l’ultima partita del Mose.
LA DATA DELL’INAUGURAZIONE intanto slitta di anno in anno. L’ultimo comunicato del Consorzio Venezia Nuova, parla del 2021. Ma è notizia di quasi un anno fa. Poi, lo scorso 4 novembre, i tecnici han tentato di sollevare una paratoia a mo’ di test e si sono accorti che il giocattolo si era già rotto. L’acqua salata e gli organismi infestanti di cui la laguna è piena avevano corroso tutto il sistema di cardini. Tutto rinviato a data da destinarsi e altri soldi per la voce «manutenzione».
Ma se il gioco degli «imprevedibili problemi tecnici» e dello spostamento continuo della data di inaugurazione risulta credibile in condizioni normali, dopo un disastro come quello di martedì, il banco salta. A farne le spese sono i vertici del Consorzio mandati a casa per fare spazio alla nuova super commissaria che sarà Elisabetta Spitz, già direttore dell’Agenzia del Demanio. Classe ’53, architetta, la Splitz ha alle spalle una lunga carriera nelle strutture burocratiche statali. E’ l’ex moglie di Marco Follini (Udc) ed è stata definita «la regina degli immobili pubblici».
Assieme alla dichiarazione dello stato di calamità, dal governo arriva una promessa di indennizzo per chi è stato danneggiato dall’acqua alta. Giuseppe Conte ha parlato di 20 mila euro agli esercenti e di 5 mila ai privati. Cifre che hanno già fatto storcere il naso a chi, proprietario di una gondola o di un taxi, ha visto sfasciarsi la sua imbarcazione che costa quanto una Ferrari.
I DANNI CHE L’ACQUA «granda» ha causato alla città, più che sulle migliaia, si contano sui milioni di euro. Senza contare quello che nessun conto in banca potrà mai risarcire: la perdita o il danneggiamento di opere d’arte uniche al mondo. Un quadro questo che avremo chiaro solo nei prossimi giorni. Augurandoci che lo Stato trovi perlomeno i mezzi, i finanziamenti e la progettualità per mettere in sicurezza il patrimonio rimasto e far sì che le acque «grandi» a Venezia non arrivino più.
Il procuratore di San Marco: «Siamo gli artefici della nostra cattiva sorte»
14/11/2019Il ManifestoIntervista. Parla Arrigo Restucci: «Non c’è nessuna progettualità seria per difendere Venezia dal mare e dagli altri seri pericoli»
Drammatizzando non si risolve nulla. Anzi, si complicano le cose e si impedisce la costruzione di una vera progettualità capace di governare il problema. Arrigo Restucci, già rettore dell’Università di Venezia e Procuratore di San Marco, scomoda Niccolò Machiavelli per spiegare che prevenire è sempre meglio di curare.«Sul Principe il grande filosofo scriveva che se non si sistema l’alveo dei fiumi, alla prima piena questi inonderanno, se non si puliscono i campi dalle sterpaglie, al primo focolaio di incendio, brucerà tutto. Allora non diciamo che la fortuna ci ha voltato le spalle ma che siamo stati noi gli artefici della nostra cattiva sorte. Per Machiavelli, provvedere a ciò è compito del Principe. Oggi noi diremmo lo Stato, ma il discorso non cambia. Il disastro di oggi a Venezia è stato causato sì da condizioni meteorologiche avverse, ma se le amministrazioni avessero provveduto a pulire i canali per facilitare il deflusso, a difendere gli argini delle rive ed a mettere in atto tutte quelle operazioni di prevenzione necessarie, oggi non ci troveremo in queste condizioni. Queste sono cose che la Serenissima col suo buon governo faceva regolarmente e che oggi non si fanno più».
Alcuni sostengono che lo Stato ha fatto – e speso! – sin troppo per Venezia realizzando il Mose. Che ne pensa?
Il Mose è un progetto nato già vecchio. Ricordo la lungimiranza dell’ex sindaco Massimo Cacciari, che io considero l’ultimo epigone della Serenissima, che aveva bocciato il progetto sostenendo che era inutile, oltre che costoso. Oggi abbiamo visto che aveva ragione. Abbiamo speso 5 miliardi per un’opera sommersa che, quando un mese fa abbiamo provato ad alzare una paratoia, è andata subito in crisi. Con questo denaro, anzi con molto meno, si sarebbe potuto alzare la pavimentazione di piazza San Marco, mettere in sicurezza tutte le rive, risistemare l’ambiente lagunare che ha sempre fatto da polmone a Venezia. Se avessimo investito in questa direzione, oggi non saremmo in queste condizioni.
Il sindaco Luigi Brugnaro e il presidente della Regione Luca Zaia continuano a sostenere il Mose. Anzi, dicono, proprio quanto è avvenuto dimostra che l’opera è necessaria.
Ragionano da politici. Dicono che, visto che è pronta al 99 per cento, tanto vale finirla e poi vediamo. Io qui alzo le braccia. Molti ingegneri affermano che ci sono forti dubbi sulla tenuta e sulla tecnicità dell’opera. Vorrei avere dei dati più certi prima di esprimermi. Ma il vero punto è la prevenzione. Il rischio del Mose è che, una volta in funzione, con gli altissimi costi di manutenzione che avrà, assorba i finanziamenti destinati ad una vero piano di difesa della città. Venezia è una città fragile. Una città sotto gli occhi di tutto il mondo. Eppure non c’è nessuna progettualità seria per difenderla dal mare e dalle altre criticità che la mettono in serio pericolo.
Questa alluvione ha colpito Venezia al cuore. E il cuore di Venezia è nella cripta della Basilica, il punto più basso della città, che è stato completamente sommerso dopo oltre mezzo secolo.
Già. La Basilica ha un suo sistema di pompe ma non è bastato a contenere un assalto così massiccio della marea. Nei prossimi giorni faremo la conta dei danni. Auspico che quanto accaduto si trasformi in un buon punto di partenza per mettere in campo quella indispensabile progettualità di buon governo cui accennavo. Questa acqua alta ci è costata tanto ma dobbiamo tirare fuori la capacità di farne un punto di partenza per un nuovo inizio. La città si sta svegliando. Le calli sono piene di persone che si stanno dando da fare per ritornare a vivere. Il patriarca ha dato l’esempio mettendo a disposizione di chi ha perso la casa tutte le strutture della Caritas. Seguiamo il suo esempio, recuperando una etica civile che sta scomparendo. E seguiamo anche l’esempio del padrone dell’Harry’s Bar che, acqua alta o no, questa mattina si è messo gli stivali e ha aperto il suo bar.
Nella notte da incubo, la città lagunare si scopre a rischio
14/11/2019Il ManifestoCom'è triste Venezia. L’allarme del Servizio Maree andato in tilt, paura e sconforto. I cittadini fanno da sé. Luigi Bugnaro e la sua maggioranza sotto accusa per aver smantellato il sistema di allerta precoce
La paura è arrivata alle 10,30 di sera, l’ora in cui avrebbe dovuto cominciare il deflusso e pareva che anche questa ondata di “acqua alta” si fosse conclusa col “solito” disastro di primi piani allagati, magazzini pieni di merci da buttare, tavolini dei bar che se ne vanno a spasso per le calli, qualche barca disormeggiata e catapultata in mezzo ad un campo. Il solito refrain di un normale novembre veneziano ai tempi del Mose, insomma.
A FAR CAPIRE CHE STAVOLTA Venezia non se la sarebbe cavata a buon mercato sono state le sirene che in laguna annunciano l’arrivo dell’alta marea e che, proprio nel momento in cui tutti si aspettavano il deflusso si sono messe ad ululare tra campi e calli come se non volessero più smettere, gelando il cuore dei veneziani. «Un’altro ’66», hanno pensato i più anziani, ricordando la grande mareggiata che aveva messo in ginocchio Venezia, 50 anni prima.
E LA PRIMA COSA DA DIRE è che non se lo aspettava nessuno. Certo, sarebbero stati due, forse tre giorni di alte maree eccezionali. Lo si sapeva. Per due volte, in questi giorni, seguendo il ritmi della luna, l’acqua avrebbe dovuto raggiungere i 140 cm, forse anche 145 cm e portare le solite, nefaste, conseguenze, alle quali però i residenti sono abituati. Il giorno prima inoltre, lunedì, la situazione era andata meglio del previsto e il livello dell’acqua si era fermato dieci centimetri sotto quanto annunciato. I più speravano che la cosa si sarebbe ripetuta anche mercoledì.
NON È STATO COSÌ. L’Ufficio Maree aveva previsto un massimo di 145 cm per la sera ma quel massimo era già stato raggiunto due ore prima. E superato, pure. Il vento forte di scirocco che ululava nei canali e la corrente che aveva trasformato ogni calle in un torrente in piena, dipingevano una Venezia da apocalisse. Chi abitava nei primi piani ha dovuto abbandonare casa, salvando il salvabile. Fondamenta e salizade erano riempite di commercianti che cercavano di portare all’asciutto le loro merci. Le pompe dei magazzini e delle entrate dei condomini lavoravano senza sosta ma, quando l’acqua saliva di un certo livello, anche loro diventavano inutili. Così come le piccole paratoie sistemate davanti agli usci delle case, adatte a fermare solo le altre maree “normali”.
Nei cellulari dei veneziani rimbalzavano gli sms di allarme del Servizio Maree. Uno più preoccupante dell’altro. «Condizioni meteo peggiori di quanto previsto. Prossimo max 155, 160 cm h 23 di oggi 12/11». Un’ora dopo, alle 21,45: «Ulteriore peggioramento meteo. Previsti 170 cm alle ore 23 di oggi. Marea eccezionale, codice rosso». Un’altra ora, un’altra previsione ancora peggiore. «La laguna subisce gli effetti di non previste raffiche di vento da 100 km orari. Il livello potrete raggiungere i 190 cm alle 23,30». Quasi due metri sopra il livello del mare!
MA COME MAI UNA TALE confusione in previsioni così breve termine? L’Ufficio Maree era una delle perle dell’amministrazione del Comune di Venezia. Le sue previsioni sempre puntali e precise. Una delle prime operazioni della nuova giunta fucsia – una giunta né di destra né di sinistra come sottolinea sempre il sindaco Luigi Bugnaro ma che ha nella sua maggioranza Lega e Fratelli d’Italia – è stata quella di smantellare il servizio, privandolo di fondi e pensionando i tecnici che avevano espresso dubbi sul sistema Mose diffondendo statistiche secondo le quali, da quando hanno cominciato a scavare per l’opera, le maree in laguna sono sempre più frequenti. E i risultati del cambio di gestione si sono visti sin da subito.
ALLA FINE, AD AVERE PIETÀ di Venezia è stato il vento. Alle 22,50 lo Scirocco è calato, permettendo all’acqua di defluire verso il mare. Ma il picco raggiunto è stato da record: 187 centimetri. Mai così alta nell’ultimo mezzo secolo. Soltanto in quel famoso 4 novembre del ’66 era stato registrato un livello superiore: 194 centimetri sul livello del mare.
QUESTA MATTINA LA CITTÀ si è risvegliata da una notte quasi insonne contando i danni. Un pensionato di 78 anni dell’isola di Pellestrina è morto fulminato nel tentativo di azionare la pompa di casa, molti battelli e motoscafi delle linee di servizio sono stati devastati. Nel web girano incredibili ma vere immagini di battelli disormeggiati e scaraventati di traverso alle fondamenta. Anche il patrimonio artistico ha subito devastazioni ancora tutte da verificare. La Basilica è stata sommersa. San Marco, d’altra parte, è uno dei punti più bassi di Venezia. Ma anche Ca’ Pesaro e il suo museo, il Teatro La Fenice sono stati invasi dall’acqua del mare.
E POI CI SONO I DANNI SUBITI dai cittadini: case devastate, magazzini sommersi con tutto quello che c’era dentro, negozi chiusi e pieni di merci rovinate, gondole sfasciate incastrare nelle calli, taxi e imbarcazioni rovinate o finite chissà dove. I conti si faranno nei prossimi giorni. Ma si sa che saranno salati come l’acqua che li ha causati. Intanto si lavora per ritornare a vivere, senza stare a sentire il telegiornale che dava notizie del genere: «Acqua alta a Venezia. Disagi per i turisti». I residenti si sono rimboccati le maniche e si sono organizzati in squadre di volontari. Servono soprattutto elettricisti perché l’acqua ha fatto saltare i quadri elettrici di mezza città.
BRUGNARO, IL SINDACO FUCSIA di Venezia, ha chiesto al Governo di dichiarare lo stato di calamità naturale. Si è fatto fotografare con gli stivaloni davanti alla Basilica quando l’acqua era già scesa sotto i livelli di guardia ed ha spiegato che: «Questi sono evidentemente gli effetti dei cambiamenti climatici. Adesso tutti avranno capito che il Mose serve». Quindi se l’è presa con i “finti ambientalisti” che non gli permettono di difendere a colpi di cemento la città.
DICHIARAZIONI CHE HANNO immediatamente sollevato l’indignazione di tanti veneziani. «Parole che sintetizzano l’orrore politico di cui questa città è vittima, la lucida follia e la corruzione morale che il nostro primo cittadino incarna – hanno commentato le ragazze ed i ragazzi del centro sociale Morion in una nota – Il nostro sindaco chiama in causa i cambiamenti climatici per allontanare le responsabilità politiche».
Mose e cambiamenti climatici infatti, non vanno affatto d’accordo. Se l’opera dovesse funzionare in uno scenario realistico di drastico innalzamento del livello del mare, previsto nell’arco di pochi decenni, le paratoie dovrebbero rimanere sollevate per più di sei mesi l’anno, come conferma uno studio della rivista Nature. Il che significherebbe la morte della laguna che dal mare riceve vita, ossigeno e nutrimento.
FA ECO UN COMUNICATO dei No Navi: «Quello che è successo non è una fatalità: l’acqua alta fa da sempre parte della vita della laguna, ma picchi del genere non sono naturali. Questi picchi arrivano se si scavano canali nuovi, cambiando per sempre l’equilibrio lagunare. Arrivano se si tagliano i fondi al Centro Maree, che non è più in grado di garantire un’efficenza totale. E non raccontiamoci bugie: non sarà il Mose, una grande opera devastante, costata miliardi, mai finita, fonte di speculazioni e tangenti, a risolvere la situazione!».
VENEZIA NON È SOLO un sindaco fucsia, il Mose o le grandi navi. È anche le ragazze e i ragazzi di Fridays for Future che, prima di rimboccarsi le maniche per andare ad aiutare chi ne aveva bisogno, sono andati in piazza a farsi una foto dietro un grande striscione che diceva: «La marea sta crescendo, e così anche noi».
La vergogna delle Grandi Navi in laguna entra anche in un fumetto della Bonelli
6/11/2019EcoMagazine
“Oh! Mamma! Che cosa è quella roba là?” E’ la domanda che Julia, la criminologa protagonista dell’omonimo fumetto edito dalla Bonelli (quella di Tex e Zagor, per intenderci) pone al suo accompagnatore mentre assiste al passaggio di una Grande Nave. L’ultimo albo della serie intitolato “Il mistero di Venezia” l’eroina ideata da Giancarlo Berardi, il papà di Ken Parker, vede l’investigatrice sosia di Audrey Hepburn visitare la città lagunare per risolvere un caso. Passeggiando per Piazza San Marco, Julia assiste al passaggio di uno di quei condomini galleggianti del tutto spropositati per l’ambiente lagunare e non manca di stupirsi. “Ma come è possibile che tutto ciò sia tollerato? I veneziani non dicono nulla?” chiede Julia. La sua guida le spiega che i veneziani protestano parecchio e che organizzano anche partecipate manifestazioni, ma che a comandare rimangono gli interessi delle multinazionali del turismo di massa. I danni alla città, alla salute dei suoi cittadini, non contano per la politica di palazzo. “Ed intanto che si discute, le Grandi Navi distruggono tutto”, conclude amaramente l’eroina della Bonelli.
Il giorno dopo la grande mobilitazione: la rassegna stampa dell'horror
28/09/2019EcoMagazine
Lo confessiamo. Ieri sera, mentre scrivevamo della più grande manifestazione ambientalista della storia dell’umanità, non vedevamo l’ora che sorgesse il sole di domani per andarci a leggere i titoli di quotidiani come Libero o il Giornale. “Chissà che titolacci riusciranno ad inventarsi” pensavamo. Bisogna dargli atto di una innegabile, pure se un tantino perversa, immaginazione sulle sparate in prima pagina. Tanto di chapeau, come dicono i francesi. Certe cose nemmeno in mille anni noialtri che facciamo giornalismo e non fantascienza riusciremmo ad inventarcele. E così, prima ancora del caffè, siamo andati a spulciare sui siti che riportano le prime pagine dei quotidiani in edicola e abbiamo deciso di fare una bella rassegna stampa degli orrori su carta stampata. Di solito ce n’è da fare invidia a Stephen King e paura a Cthulhu ma stavolta, ammettiamolo, siamo rimasti un pochino delusi.
Già, delusi. Delusi soprattutto da Libero che ci aveva regalato l’intramontabile “La rompiballe va dal papa”. La manifestazione che ha portato in piazza più di un milione di giovani in Italia e un numero incalcolabile in tutto il mondo, Libero non se l’è neppure cacata. Ci informa invece che, per il Governo, il nemico è il contante. Se intendessero la finanza o il capitale o le multinazionali, ci avrebbero pure ragione. Ma no. Ce l’anno su con gli sconti a chi usa le carte di credito. “Una rapina” secondo loro. La mobilitazione mondiale è relegata ad un box dedicato ai “disagi ovunque” portati dai ragazzi scesi in piazza e ad un botta e risposta tra studenti e automobilisti. “Ci avete rotto i polmoni” vs “ci avete rotto i maroni”. Per fortuna c’è anche un corsivo su bambini “senza sogni” uccisi in India e Nigeria che, secondo i “colleghi” di Libero, dovrebbero essere presi ad esempio. E va beh. Potevano fare di meglio. Applicatevi di più la prossima volta e rimanete sul tema del giorno. Voto: 5. Deludenti e prevedibili.
Il titolone del Giornale ci gratifica un po’ di più. Perlomeno mette in prima la notizia della manifestazione informandoci che “Anche manifestare rovina l’ambiente”. In primo piano della foto di apertura c’è un cestino straripante di rifiuti. Sullo sfondo tre ragazzi seduti che chiacchierano. Nessun cartello, nessuna bandiera, nessun striscione. Non ci sono indicazioni su quando sia stata scattata la foto (certo non durante la manifestazione). L’ultima volta, il fake lo avevano costruito meglio. Ma allora erano stati aiutati dalla “Bestia” di Salvini che aveva fatto girare immagini taroccate come dio comanda su strade e piazze invase dalla sporcizia colpevolmente abbandonata dagli ipocriti inquinatori “gretini”. Da soli, si sono ridotti a cercare qualche immagine battendo “cestino sporcizia giovani” su Google. No, no. Così non va. Voto: 4. Esame da ripetere. Inventatevi una bufala tutta vostra la prossima volta, se volete alzare il voto. E che cazzo!
Per trovare una bella prima pagina, tocca andare su La Verità. Il quotidiano di Maurizio Belpietro è l’unico che non ci delude e ci rivela gli autentici retroscena della mobilitazione, sia pure solo di quella italiana. E’ stata tutta una manovra del Governo. A che scopo? Ma per le tasse, ovviamente! “Hanno usato migliaia di ragazzi per giustificare le tasse verdi”. Il sottotitolo poi non è neppure del tutto falso: “Il Governo e molti professori hanno spinto gli studenti a scendere in piazza”. Che stia maturando una coscienza verde? Macché! “Obiettivo: spegnere il cervello e accettare qualsiasi fesseria green”. Dai, a questi per incoraggiarli gli diamo 7 meno. Il “meno” perché non possono continuare a infilare la parola “tasse” su ogni apertura di prima. Ci sono che i migranti, i comunisti e gli ebrei, no?
Già, delusi. Delusi soprattutto da Libero che ci aveva regalato l’intramontabile “La rompiballe va dal papa”. La manifestazione che ha portato in piazza più di un milione di giovani in Italia e un numero incalcolabile in tutto il mondo, Libero non se l’è neppure cacata. Ci informa invece che, per il Governo, il nemico è il contante. Se intendessero la finanza o il capitale o le multinazionali, ci avrebbero pure ragione. Ma no. Ce l’anno su con gli sconti a chi usa le carte di credito. “Una rapina” secondo loro. La mobilitazione mondiale è relegata ad un box dedicato ai “disagi ovunque” portati dai ragazzi scesi in piazza e ad un botta e risposta tra studenti e automobilisti. “Ci avete rotto i polmoni” vs “ci avete rotto i maroni”. Per fortuna c’è anche un corsivo su bambini “senza sogni” uccisi in India e Nigeria che, secondo i “colleghi” di Libero, dovrebbero essere presi ad esempio. E va beh. Potevano fare di meglio. Applicatevi di più la prossima volta e rimanete sul tema del giorno. Voto: 5. Deludenti e prevedibili.
Il titolone del Giornale ci gratifica un po’ di più. Perlomeno mette in prima la notizia della manifestazione informandoci che “Anche manifestare rovina l’ambiente”. In primo piano della foto di apertura c’è un cestino straripante di rifiuti. Sullo sfondo tre ragazzi seduti che chiacchierano. Nessun cartello, nessuna bandiera, nessun striscione. Non ci sono indicazioni su quando sia stata scattata la foto (certo non durante la manifestazione). L’ultima volta, il fake lo avevano costruito meglio. Ma allora erano stati aiutati dalla “Bestia” di Salvini che aveva fatto girare immagini taroccate come dio comanda su strade e piazze invase dalla sporcizia colpevolmente abbandonata dagli ipocriti inquinatori “gretini”. Da soli, si sono ridotti a cercare qualche immagine battendo “cestino sporcizia giovani” su Google. No, no. Così non va. Voto: 4. Esame da ripetere. Inventatevi una bufala tutta vostra la prossima volta, se volete alzare il voto. E che cazzo!
Per trovare una bella prima pagina, tocca andare su La Verità. Il quotidiano di Maurizio Belpietro è l’unico che non ci delude e ci rivela gli autentici retroscena della mobilitazione, sia pure solo di quella italiana. E’ stata tutta una manovra del Governo. A che scopo? Ma per le tasse, ovviamente! “Hanno usato migliaia di ragazzi per giustificare le tasse verdi”. Il sottotitolo poi non è neppure del tutto falso: “Il Governo e molti professori hanno spinto gli studenti a scendere in piazza”. Che stia maturando una coscienza verde? Macché! “Obiettivo: spegnere il cervello e accettare qualsiasi fesseria green”. Dai, a questi per incoraggiarli gli diamo 7 meno. Il “meno” perché non possono continuare a infilare la parola “tasse” su ogni apertura di prima. Ci sono che i migranti, i comunisti e gli ebrei, no?
Un’onda verde ha sommerso la Terra
27/09/2019EcoMagazine
La marea verde cresce e non si arresta. Il terzo sciopero globale, dopo quelli del 15 marzo e del 24 maggio, è riuscito a mobilitare ancora più giovani – e non solo giovani – di quanto fatto nelle due, già eccezionalmente partecipate, manifestazioni precedenti. Le squallide operazioni di sputtanamento lanciate contro Greta e i “gretini” – ragazzini viziati che se ne fregano dei quelli meno fortunati di loro costretti a lavorare -, gli sproloqui pseudo scientifici di chi continua negare i cambiamenti climatici, i tentativi di distogliere l’attenzione puntando le canne di un fucile sempre carico contro migranti, neri o gli “ebrei” di turno, hanno clamorosamente fallito il loro scopo. Nemmeno le spocchiose dichiarazioni di forza hanno ottenuto l’effetto sperato. Bolsonaro che ti va a dichiarare, proprio mentre all’Onu si parlava di clima, che “l’Amazzonia è mia e me la gestisce io” è riuscito solo a far incazzare ancora di più le ragazze ed i ragazzi brasiliani che, proprio nel momento in cui scriviamo, sono scesi in piazza a milioni per le strade di Rio e di San Paolo. La protesta ha investito tutta la terra da est a ovest, seguendo il corso del sole e del fuso orario. L’Australia dove ogni giorno sbarcano migranti costretta ad abbandonare isole già finite in fondo al mare, l’Indonesia dai cieli oscurati dai fumi provenienti dalle foreste in fiamme, e ancora l’India, la Turchia dove sono state organizzate “feste tematiche” sul clima perché nel Paese dei Erdogan non si può scioperare. In tutti le città, in tutti i paesi del mondo, i giovani di Fridays For Future si sono mobilitati come e quanto hanno potuto.
Checché se ne dica, siamo di fronte, per la prima volta nella storia dell’umanità, ad un movimento di dimensione globale, non ideologico, basato su affermazioni scientifiche, che non mira a conquistare Palazzi d’Inverno, e che ha un obiettivo nel suo contesto tanto semplice quanto fondamentale: consegnare agli uomini e alle donne che verranno dopo di noi, un pianeta vivibile. Un obiettivo definitivo, che va conquistato a qualunque costo. Un bene comune imprescindibile che appartiene a tutti coloro che abitano questo pianeta, al di là di diverse religioni, geografie, politiche, specie, generi e culture. E vorrei aggiungere anche “etnie” se non fosse che è una cosa che non esiste perché è un modo edulcorato per dire “razza”.
Siamo di fronte insomma ad un’onda verde che, per prima cosa, è riuscita a superare gli argini di un ambientalismo che, in tanti casi, andava poco al di là di una mistica dichiarazione di amore per la natura. L’onda verde su cui naviga Fridays For Future non è giardinaggio ma rivoluzione. Ne sono consapevoli le milioni di giovani e meno giovani che oggi, venerdì 27 settembre 2019, hanno occupato le piazze del mondo. Lo hanno scritto nei loro cartelli, lo hanno sventolato nelle loro bandiere, lo hanno gridato nei loro slogan. Salvare la terra dalla dittatura dei fossili significa giustizia sociale. Significa diritti civili, significa reddito, casa, scuole, ospedali, città vivibili. Significa democrazia diffusa e partecipata. Significa aprire i porti ai migranti perché solo insieme l’umanità si potrà salvare. I muri, non sono la soluzione agli sconvolgimenti causati dai cambiamenti climatici ma parte del problema. Non fosse altro che per il tremendo costo in emissioni di Co2 che portano con se tutte le politiche di guerra.
La generazione FfF scesa in piazza oggi è la prima ad essere cresciuta dopo la caduta del muro di Berlino e libera dal peso delle ideologie novecentesche. Con leggerezza e spontaneità, hanno saputo vedere ciò che è davanti agli occhi di tutti: capitalismo e umanità non hanno nessun futuro comune. Ed hanno scelto l’umanità.
Milioni di partecipanti allo sciopero. Nel mondo, il clima è già cambiato
“A Milano in 100 mila. Cinquantamila a Napoli, trentamila a Roma, ventimila a Torino” titola Repubblica. Un milione di partecipanti in tutta Italia, secondo il Fatto Quotidiano. Altissima partecipazione anche nel Veneto. A Venezia la ragazze ed i ragazzi di Fridays fo Future hanno dato vita ad un coloratissimo corteo, fermatosi per suonare l’allarme della crisi climatica davanti alla sede della Rai, scandendo i nomi delle cento multinazionali colpevoli del 70% delle emissioni di Co2, tra cui spicca l’italianissima Eni. Trento, Padova e Schio ganno fatto da teatro ad altrettanto partecipate manifestazioni, portando in piazza migliaia di studenti.
Le manifestazioni, al momento in cui scriviamo, non sono ancora finite ma già le notizie che rimbalzano sul web riportano numeri da spavento. A New York, le strade sono state occupate da oltre 250 mila manifestanti. Una risposta chiara al vertice del clima che, proprio nella Grande Mela, si è appena concluso con risultati assolutamente deludenti. Se qualche Paese ha messo in cantiere qualche buona pratica, è chiaro come il sole che proprio i grandi inquinatori – Usa, Cina, Russia, Paesi arabi, in testa – non hanno nessuna intenzione di cambiare rotta. In compenso, si stanno attrezzando per avvantaggiarsi il più possibile dagli sconvolgimenti che si stanno preparando, come lo scioglimento dei ghiacciai artici che renderanno disponibili nuovi giacimenti fossili. Tipo il Trumpche chiede alla Danimarca se gli vende la Groenlandia. Questo per dare la misura di come la battaglia per la terra sia, come scrive Vandana Shiva, più che altro una battaglia contro gli idioti e la loro idiozia. Ma il clima sta già cambiando. Adesso deve cambiare anche la politica.
Deniz, rinchiuso dentro un Cpr, a due settimane di sciopero della fame, ci scrive...
22/09/2019LasciateCIEntrare
Deniz è stato fermato a Piacenza perché privo di documenti. Da agosto è rinchiuso nel Cpr di Torino. Rinchiuso in una struttura carceraria, senza essere mai stato condannato e senza che nessuno gli abbia mai detto quanto durerà la sue reclusione.
Deniz Pinaroglu è di origine turca, si è dichiarato rifugiato polito, perseguitato dal regime di Erdogan. Dall’1 settembre ha deciso di intraprendere uno sciopero della fame perché considera illegittimo il suo fermo e chiede che venga esaminata la sua richiesta d’asilo.
In questa lettera che è riuscito ad inviare oltre le sbarre del Cpr, ci fa sapere come sta procedendo la sua protesta e quali sono le richieste sue e degli altri migranti rinchiusi.
Deniz Pinaroglu è di origine turca, si è dichiarato rifugiato polito, perseguitato dal regime di Erdogan. Dall’1 settembre ha deciso di intraprendere uno sciopero della fame perché considera illegittimo il suo fermo e chiede che venga esaminata la sua richiesta d’asilo.
In questa lettera che è riuscito ad inviare oltre le sbarre del Cpr, ci fa sapere come sta procedendo la sua protesta e quali sono le richieste sue e degli altri migranti rinchiusi.
Il diciannovesimo giorno del mio sciopero della fame, un’amica parlamentare mi ha visitato. Ha detto che stava seguendo il mio caso e stava tentando di accelerare l’iter burocratico. Abbiamo parlato dei problemi di questo posto e le ho inoltrato le mie richieste, che sono le seguenti:
1. Monitoraggio regolare, nel Cpr, da parte degli individui/ong indipendenti e impegnati nel salvaguardare i diritti umani,
2. Nominare professionisti che prendono sul serio il proprio lavoro e portare le cause al tribunale della città per discutere i casi delle persone trattenute nel Cpr, non giudici pensionati,
3. Nell’infermeria, all’interno del Cpr, devono lavorare le persone che rispettano l’etica professionale e le visite effettuate devono essere registrate in un sistema ospedaliero sulla rete senza subire modifiche,
4. Diversificazione dei pasti e migliorare e rispettare le condizioni igieniche con delle ispezioni periodiche,
5. Accelerare il processo burocratico che si svolge qui dentro il Cpr e impedire/evitare che le persone trascorrano i migliori anni della loro vita tra 4 mura,
6. Formazione linguistica e di diverse attività formative per le persone che rimarranno qui a lungo,
7. Chiudere questi e campi simili a lungo termine.
La mia richiesta personale: appena possibile, uscire di qui senza perdere la salute, ricostruire la mia vita.
Ringrazio; La deputata Jessica Costanzo per il suo interessamento e la sensibilità per la situazione,
Al mio caro Murat Cinar, che è stato con me sin dall’inizio del processo ed è stato il mio interprete, ai miei avvocati Federico Milano e Gianluca Vitale
“La famiglia” della nostra famiglia Mika Sims and Zeynep Koçak
Alla cara Ezel Alcu, che ha portato la mia situazione alla stampa italiana, correndo il rischio di perdere il lavoro.
Engin Aslan da cui ho ricevuto informazioni sul mio caso, parliamo al telefono quasi ogni giorno.
I miei angeli custodi a Güleycan Demir, Naciye Demir, Naat Naat, Yeşim Pınaroğlu, Seçil Pınaroğlu, Nazlı Bayram ‘a.
Ai compagni/attivisti della Göçmen Dayanışma Ağı – Migrant Solidarity Network che si sono riuniti per trovare soluzioni ai problemi degli immigrati in solidarietà e lotta,
Al caro Luca De Simoni e #BlackPost, #LinformazioneNero #subianco, che hanno fatto sentire la mia voce in Italia,
Ad Alda e agli amici che compongono #Lasciatecientrare, il cui lavoro e solidarietà sono sempre stati al mio fianco,
Non sono stato in grado di scrivere i nomi di alcuni a causa della loro sicurezza, che erano con me prima e dopo lo sciopero della fame; dalla Grecia verso l’Italia, dalla Polonia alla Turchia, dalla Svizzera dalla Germania, dalla Francia all’Inghilterra per combattere spalla a spalla per superare i confini, i miei compagni che hanno dedicato la loro vita alla lotta contro l’ingiustizia, ai miei cari heval ed a tutti miei amici…
Sto continuando con lo sciopero della fame.
Per la libertà,
Con solidarietà e in lotta …
1. Monitoraggio regolare, nel Cpr, da parte degli individui/ong indipendenti e impegnati nel salvaguardare i diritti umani,
2. Nominare professionisti che prendono sul serio il proprio lavoro e portare le cause al tribunale della città per discutere i casi delle persone trattenute nel Cpr, non giudici pensionati,
3. Nell’infermeria, all’interno del Cpr, devono lavorare le persone che rispettano l’etica professionale e le visite effettuate devono essere registrate in un sistema ospedaliero sulla rete senza subire modifiche,
4. Diversificazione dei pasti e migliorare e rispettare le condizioni igieniche con delle ispezioni periodiche,
5. Accelerare il processo burocratico che si svolge qui dentro il Cpr e impedire/evitare che le persone trascorrano i migliori anni della loro vita tra 4 mura,
6. Formazione linguistica e di diverse attività formative per le persone che rimarranno qui a lungo,
7. Chiudere questi e campi simili a lungo termine.
La mia richiesta personale: appena possibile, uscire di qui senza perdere la salute, ricostruire la mia vita.
Ringrazio; La deputata Jessica Costanzo per il suo interessamento e la sensibilità per la situazione,
Al mio caro Murat Cinar, che è stato con me sin dall’inizio del processo ed è stato il mio interprete, ai miei avvocati Federico Milano e Gianluca Vitale
“La famiglia” della nostra famiglia Mika Sims and Zeynep Koçak
Alla cara Ezel Alcu, che ha portato la mia situazione alla stampa italiana, correndo il rischio di perdere il lavoro.
Engin Aslan da cui ho ricevuto informazioni sul mio caso, parliamo al telefono quasi ogni giorno.
I miei angeli custodi a Güleycan Demir, Naciye Demir, Naat Naat, Yeşim Pınaroğlu, Seçil Pınaroğlu, Nazlı Bayram ‘a.
Ai compagni/attivisti della Göçmen Dayanışma Ağı – Migrant Solidarity Network che si sono riuniti per trovare soluzioni ai problemi degli immigrati in solidarietà e lotta,
Al caro Luca De Simoni e #BlackPost, #LinformazioneNero #subianco, che hanno fatto sentire la mia voce in Italia,
Ad Alda e agli amici che compongono #Lasciatecientrare, il cui lavoro e solidarietà sono sempre stati al mio fianco,
Non sono stato in grado di scrivere i nomi di alcuni a causa della loro sicurezza, che erano con me prima e dopo lo sciopero della fame; dalla Grecia verso l’Italia, dalla Polonia alla Turchia, dalla Svizzera dalla Germania, dalla Francia all’Inghilterra per combattere spalla a spalla per superare i confini, i miei compagni che hanno dedicato la loro vita alla lotta contro l’ingiustizia, ai miei cari heval ed a tutti miei amici…
Sto continuando con lo sciopero della fame.
Per la libertà,
Con solidarietà e in lotta …
Clima, è cominciata la settimana di mobilitazione per il pianeta. Ed è cominciata alla grande!
21/09/2019EcoMagazine
Ci siamo. E’ cominciata la settimana di mobilitazione mondiale contro i cambiamenti climatici con l’obiettivo di far pressione sul summit dell’Onu, che si svolgerà a New York a partire da lunedì 23 settembre. Saranno sette giorni di manifestazioni, occupazioni, marce, iniziative che coinvolgeranno 156 Paesi e che culmineranno nello sciopero globale previsto per venerdì 27.
Le prime manifestazioni che si sono svolte nella maggiori città del globo terrestre sono andate ben oltre le più ottimistiche previsioni. Ben oltre anche la precedente manifestazione del 15 marzo che hanno messo in movimento milioni di studenti.
“Non ci sono foto che rendano giustizia a questo. I primi numeri dicono 400.000 in tutta l’Australia, 100.000 a Berlino, 100.000 a Londra, 50.000 ad Amburgo – ha scritto Greta Thunberg sulla sua pagina Facebook – . E le prime cifre in Germania sono di 1,4 milioni di persone!!! Ma è una cosa più che gigantesca ovunque!!!! In ogni città. Insieme stiamo cambiando il mondo”.
In Australia, il primo continente che, per una questione di fuso orario, si è mobilitato, la partecipazione è stata da record: 100mila persone a Melbourne, 80mila a Sydney, 30mila Brisbane, 20mila ad Adelaide e Hobart, 15mila a Canberra e 10mila a Perth. Più del doppio di quanto registrato il 15 marzo. E la protesta ha coinvolto anche Paesi come la Thailandia dove qualche centinaio di attivisti ha occupato il ministero per l’Ambiente.
Ad Istanbul, capitale di un Paese in cui scioperare non è affatto facile!, le ragazze ed i ragazzi di Fridays for Future hanno preparato una grande festa ne cuore del quartiere di Kadikoy con incontri, musica e workshop. Degli artisti hanno anche realizzato un gigantesco murales su un edificio del quartiere che ritrae Greta e il suo inseparabile impermeabile giallo. Anche a Islamabad, Pakistan, e addirittura a Kabul, Afghanistan, – altri Paesi in cui protestare non è affatto facile – i giovani sono riusciti ad organizzare cortei che si sono mossi per le strade delle città scortati da intere formazioni militari in assetto da guerra. Manifestazioni come queste aiutano a c
omprendere perché la causa climatica non può essere slegata alle battaglie per la giustizia sociale, la pace, la parità di genere.
omprendere perché la causa climatica non può essere slegata alle battaglie per la giustizia sociale, la pace, la parità di genere.
Ma la protesta ha toccato anche l’Africa, sposandosi alle cause locali. A Nairobi, in Kenia, i giovani hanno protestato per il clima chiedendo al Governo di bloccare le concessioni di estrazione alle multinazionali dei fossili. Ad Hong Kong, dove da alcune settimane la gente sta già occupando le piazze per chiedere più democrazia al Governo di Pechino, i manifestanti si sono presi una… “pausa” e hanno cambiato i loro slogan con quelli della “giustizia climatica”. A Berlino, nel momento in cui scriviamo, migliaia di manifestanti stanno girando in bicicletta per le strade, bloccando il traffico automobilistico proprio nel momento in cui la causa climatica ottiene una importante vittoria: il Governo tedesco infatti ha appena approvato un pacchetto da 54 miliardi di euro per contrastate il climate change e superare l’economia fossile. E senza aver, per questo, aumentato il debito pubblico, dimostrando difendere l’ambiente per il bene di tutti costa alle casse dello Stato molto meno che devastarlo per i profitti di pochi.
In Italia, dove già Fridays for Future si era mobilitata in collaborazione con il comitato No Grandi Navi per occupare il red carpet della Mostra del Cinema di Venezia, le iniziative sono davvero troppe per poterle elencare. In questa pagina di Fridays for Future potete trovare un elenco in aggiornamento continuo e partecipare a quella più vicina a voi, seguendo il consiglio del regista Michael Moore, una delle tantissime celebrità che si sono spesa a favore dello sciopero mondiale per il clima: “Salta la scuola, lascia perdere il lavoro, smetti di fare quello che stai facendo per un paio d’ore e prendi parte agli eventi in programma nella tua città! Quale altra scelta abbiamo?”
Il punto sta tutto qua. Non abbiamo nessun’altra scelta. Ed è questo il grande salto che i cambiamenti climatici hanno fatto fare all’ambientalismo: non si tratta più di difendere un bene comune come l’ambiente. Stavolta ci giochiamo tutto. L’ambientalismo è diventato un campo di battaglia globale in un pianeta diventato troppo piccolo per permettere al capitalismo e all’umanità di continuare a prosperare assieme. Tu da che parte stai?
IL 27 SETTEMBRE A VENEZIA L’APPUNTAMENTO SARA’ ALLE 8.30 NEL PIAZZALE DELLA STAZIONE DEI TRENI SANTA LUCIA. VIENI ANCHE TU E PORTA QUALCOSA PER FAR RUMORE PERCHE’ VOGLIAMO FARNE DAVVERO TANTO!
Perché abbiamo occupato il red carpet di Venezia in nome dell'ambiente
17/09/2019Frontiere News
Parlano gli attivisti che hanno ‘invaso’ il Festival del Cinema e ricevuto l’appoggio di Mick Jagger e Roger Waters: “Venezia è diventata la città delle navi inquinanti e grandi opere fallimentari; da qui lanciamo l’allarme per tutelare l’ambiente e la biodiversità”
Lo avevano annunciato sin dall’inizio, i giovani del Climate Camp. Come si usa adesso, ne avevano fatto pure un hashtag: #wewanttheredcarpet. Noi vogliamo il tappeto rosso. Il tappeto in questione è quello conduce all’elegante sala delle premiazioni della Mostra del Cinema di Venezia. Quello riservato ai grandi divi dello schermo che fanno passerella tra fan scatenati a chiedere autografi e selfie. Mai, prima di sabato 7 settembre, il tappeto rosso delle celebrità era stato “profanato” da persone che con i luccichii di Hollywood hanno poco da spartire. “Anche se, a ben vedere, di film dedicati a disastri ambientali ed a futuri apocalittici ne sono stati realizzati a centinaia – scherza Chiara Buratti, attivista dello spazio sociale Morion di Venezia -. Stavolta che al futuro apocalittico ci siamo davvero vicini e che, in quando a disastri ambientali, ne avremmo da vendere, ci è sembrato giusto salire sul red carpet per ribadire che i cambiamenti climatici e le devastazioni che comportano, ci piacciono solo nei film di fantascienza”. Chiara è una dei 400 tra ragazze e ragazzi, rigorosamente vestiti di tute bianche, che al sorgere del sole di sabato hanno scalcato la cancellata del Palazzo del Cinema e sono andati a sedersi sul red carpet. Un vero e proprio blitz che ha preso in controtempo le forze dell’ordine, convinte che l’annunciata occupazione dell’ingresso delle Mostra sarebbe stata tentata nel tardo pomeriggio, in occasione della manifestazione cittadina. Alla polizia non è rimasto altro che far cordone attorno agli occupanti, impedendo a tanti altri attivisti che arrivavano da Venezia di raggiungerli per dar loro man forte, rifornirli di cibo e, soprattutto, di acqua, considerato che la giornata era afosa e il sole non dava tregua.
IL TAPPETO ROSSO SI COLORA DI VERDE
L’assedio è durato oltre sette ore. Alla fine, ottenuta la visibilità voluta, gli attivisti se ne sono ritornati pacificamente al Camp. Ma per tutto il tempo che hanno tenuto duro sopra il Red Carpet, non hanno cessato un solo minuto di alternarsi ai megafoni per chiedere, tanto alla politica quanto alla cultura, di riconoscere come tema centrale delle loro agende l’emergenza imposta dai cambiamenti climatici. Una emergenza che ha come posta in gioco il futuro del pianeta. Richiesta rimasta inascoltata dai vertici della Mostra del Cinema, irritati dal fatto che, per la prima volta in 76 edizioni, il loro prezioso tappeto rosso sia stato oltraggiato da attivisti. Solidarietà senza confini invece è arrivata da molti artisti. Su tutti ricordiamo l’intero cast del film “Effetto domino” di Alessandro Rossetto. Alcuni dei suoi interpreti erano seduti sul tappeto con gli attivisti. E ancora l’attore Donald Sutherland e due mostri sacri della musica rock del calibro di Roger Waters e Mick Jagger. “Sono felice che i giovani abbiano occupato il tappeto rosso – ha dichiarato la voce dei Rolling Stones -. Sono loro che erediteranno il pianeta”. Jagger non ha risparmiato una frecciata contro Donald Trump: “Purtroppo negli Usa le leggi che avrebbero aiutato a proteggere il clima sono stati tutte annullate. I ragazzi fanno bene ad arrabbiarsi e a manifestare”. E intanto che qualcuno già twittava che due “semi conosciuti” come Jagger e Waters vanno solo in cerca di visibilità per avere una particina in qualche film, le ragazze e i ragazzi sopra il carpet cambiavano il loro hashtag in: #greenredcarpet. “Abbiamo colorato di verde il tappeto rosso”.
CANNONATE CONTRO IL CAMPANILE DI SAN MARCO
Quindici minuti a piedi dai fasti della Mostra del Cinema di Venezia, proprio nel cuore della lunga striscia di terra del Lido che separa la laguna dal mare Adriatico, c’è un forte militare abbandonato che risale agli inizi del secolo scorso. Nella seconda guerra, dopo l’armistizio, i soldati tedeschi che lo avevano occupato, minacciarono di tirare cannonate contro il campanile di San Marco. Con una azione esemplare, i partigiani riuscirono a disarmare la guarnigione nazista che si arrese prima di fare il tiro a segno sulla Piazza. Non è facile trovare il forte. Tutta la struttura è coperta da una fitta vegetazione e solo un branco di capre selvatiche portato là negli anni ‘70 da qualche figlio dei fiori riesce ad arrampicarsi sopra le mura per pascolare. Proprio qui i ragazzi e le ragazze di Fridays For Future e gli attivisti del comitato No Grandi Navi hanno deciso di realizzare il Climate Camp, il primo campeggio dedicato alla difesa del clima. “C’è voluto una settimana di lavoro ai nostri quaranta attivisti, per ripulire tutto, fare amicizia con le capre e rendere l’area utilizzabile anche per chi vorrà continuare ad utilizzare l’area quando noi ce ne saremo andati” ci spiega Anna Irma Battino, giornalista di Global Project, il portale che ha curato la comunicazione del Camp.
TUTTO AD IMPATTO ZERO
L’invito lanciato da FfF e dai No Navi a venire a Venezia con la tenda e il sacco a pelo per partecipare ai cinque giorni di campeggio climatico è stato accolto da un migliaio di attivisti provenienti da tutta Europa, in rappresentanza di tantissimi movimenti e associazioni. Ho incontrato un gruppo di ragazze e ragazzi provenienti dalla città tedesca di Colonia che sono arrivati in laguna a piedi. Greta ne sarebbe entusiasta. Sono studenti universitari che militano nel comitato Ende Gelände che lotta per chiudere la miniera di carbone di Garzweiler, uno dei siti più inquinanti e inquinanti dell’Ue. Per arrivare a Venezia ci hanno impiegato tutte le vacanze ma, dicono, ne valeva la pena “perché chi non ha mai viaggiato a piedi non può dire di sapere cosa vuol dire viaggiare”. Al ritorno però, mi assicurano, prenderanno un treno. Al Camp si sono trovati bene. Hanno fatto le pulci alla struttura con un piglio davvero “teutonico” e l’hanno promossa a pieni voti. La cucina era completamente vegana e ha usato solo verdure coltivate nell’isola apposta per il Camp. A chilometro “super zero”, insomma. Le stoviglie e i bicchieri erano tutti riutilizzabili e prima di restituirli per avere indietro l’euro di caparra toccava lavarli e con detersivi eco-compatibili. E ancora: energia proveniente solo da un impianto fotovoltaico, biciclette per tutti, raccolta differenziata spinta, flora e fauna del litorale rispettata, capre comprese. Pure le zanzare sono state allontanate con prodotti biologici.
PENSIERI, PAROLE, OPERE E OMISSIONI
L’obiettivo del Climate Camp era quello di costruire dal basso un percorso di lotta europeo e condiviso per contrastare i cambiamenti climatici. Senza dimenticare che questa è fondamentalmente una lotta contro il capitalismo. Capitalismo che non è soltanto la causa dei cambiamenti climatici, ma anche dei dei disastri che produce e di cui si nutre, trasformandoli in merce e profitto. Senza questa premessa, come sottolineava Chico Mendes, l’ambientalismo non sarebbe altro che volenteroso giardinaggio. Le azioni come l’occupazione del red carpet, la grande manifestazione finale che ha visto sfilare nelle strade del Lido alcune migliaia di persone dietro le bandiere dei No Navi, e anche la “battaglia navale” del venerdì, in cui una ventina di imbarcazioni ha inseguito la Msc Lirica sul canale della Giudecca mentre le lance della polizia cercavano di allontanarle, sono state precedute da incontri e discussioni che hanno visto la partecipazione di tanti relatori provenienti da tutta Europa e anche dal resto del mondo, come Moira Millán, portavoce del popolo mapuche della Patagonia, e Nnimmo Bassey, attivista nigeriano. Il tutto diviso in tre grandi tematiche: Grandi opere, migrazioni e ecofemminismo. I tre campi di battaglia in cui si giocherà la partita per il futuro della Terra.
VENEZIA B
Venezia, città fondata su un irripetibile equilibrio tra terra e mare, luogo d’incontro tra oriente ed occidente, crogiolo di lingue mediterranee e porto sempre aperto per i viaggiatori che arrivavano dalle altre sponde del mare, è stata la poetica ed emblematica cornice che ha donato prestigio al Climate Camp. “Proprio da questa città in cui i finanziamenti destinati alla salvaguardia sono stati dirottati alla realizzazione di una grande opera come il Mose, che si è rivelata fallimentare e devastante per l’ambiente; proprio da questa città dove le enormi ed inquinanti navi da crociera continuano a transitare indisturbate a pochi metri da piazza San Marco – ha sottolineato Marco Baravalle, portavoce del Sale Docks – proprio da questa città che sarà una delle prime a venire colpita dall’innalzamento del mare, vogliamo lanciare un appello affinché venga invertita una rotta che non porta verso nessun futuro, fermando la politica delle grandi opere e del consumo indiscriminato del suolo, per tutelare l’ambiente e la biodiversità”. Se è vero quello che dice Greta Thunberg che non abbiamo un piano b, è altrettanto vero che non abbiamo neppure una Venezia di riserva.
Tappeti rossi per il clima. Fridays For Future occupa il Red Carpet
8/09/2019Il ManifestoUn giorno da Leoni. Protesta simbolica di centinaia di giovani alla mostra del Cinema, poi marcia in Laguna contro cambiamenti climatici e Grandi navi
Un flash mob, una marcia, l’occupazione del red carpet e pure una battaglia navale. Il Climate Camp non si è fatto mancare nulla e ha voluto dimostrare al mondo che alle parole debbono seguire i fatti. Tante le iniziative di lotta che hanno colorato il primo campeggio climatico di Venezia: dal flash mob stesi per terra con la mascherina al viso, organizzato dalle ragazze e dai ragazzi di Fridays For Future e messo in scena davanti ai cancelli della 76esima Mostra del Cinema di Venezia il 28 agosto, giorno dell’inaugurazione, sino alla grande e partecipata marcia per il clima che si è svolta nel pomeriggio di ieri, lungo i viali alberati del Lido.LE BANDIERE LAGUNARI dei No Navi hanno sventolato assieme agli striscioni ambientalisti di tanti comitati come Ende Gelände, il movimento tedesco che si batte contro la miniera di carbone in Vestfalia. A far da colonna sonora, i giovani di Fridays For Future che si sono ingegnati con tamburelli e altri percussioni. Ad aprire il corteo composto da migliaia di persone e dar voce all’impianto di altoparlanti, il furgoncino messo a disposizione dagli spazi sociali del Veneto. Furgoncino, ovviamente ad energia solare, «perché le parole e le azioni hanno detto gli attivisti vanno supportati con mezzi coerenti».
Una battaglia emblematica questa dei No Navi perché contrappone la tutela della salute dei cittadini e della difesa della città e dell’ambiente, ai profitti miliardari delle compagnie di crociera. Una battaglia che, in fin dei conti, è la stessa di tutti i movimenti dal basso e di tutti i tanti comitati che difendono il territorio. Magliette, cartelloni, striscioni e bandiere che coloravano il corteo, rappresentavano le tante battaglie che si stanno combattendo in Italia e in Europa, da quelle contro i Pfas e la Tav a quelle contro le autostrade e l’estrattivismo.
La marcia si è conclusa davanti ad un serrato spiegamento di forze dell’ordine che ha impedito ai manifestanti di raggiungere il palazzo della Mostra del Cinema. «La polizia ci sbarra la strada, ma non tiene conto che sul Red Carpet ci siamo già stati stamattina!» hanno ironizzato gli ambientalisti.
LA MANIFESTAZIONE pomeridiana infatti è stata preceduta nella mattinata da una vera e propria occupazione del Tappeto Rosso dove i divi fanno passerella. Tappeto che per ben sette ore si è colorato di verde. Prima dell’apertura dei cancelli della mostra, qualche centinaio di giovani con la tuta bianca era riuscita a raggiungere ed a sedersi sopra il famoso tappeto, preparandosi ad una azione di resistenza passiva. Man mano che la notizia girava sui social, gli attivisti sono stati raggiunti subito da altre centinaia di simpatizzanti, sino a coprire tutto il Red Carpet, prima che la polizia stringesse i cordoni, impedendo anche l’arrivo di rifornimenti come l’acqua e il cibo.
PAROLE DI SUPPORTO e di incoraggiamento ai manifestanti sono arrivate da vari artisti presenti alla Mostra tra i quali Roger Waters e Mick Jagger. «Sto tutto dalla parte dei ragazzi che protestano ha dichiarato la stella dei Rolling Stones saranno loro che erediteranno il pianeta».
SILENZIO IMBARAZZANTE invece da parte dei vertici della Mostra che non si sono neppure degnati di commentare l’iniziativa. Ma per ben sette ore le ragazze ed i ragazzi hanno tenuto duro, senza mollare un solo centimetro di tappeto. È la prima volta, in tutti i 76 anni di storia della Mostra, che degli attivisti riescono a mettere piede sopra il Red Carpet dei divi. Ci sono riusciti ieri per dare voce ad una battaglia, quella per il clima, che non dovrebbe essere ignorata da nessuna istituzione perché è la battaglia per il futuro della terra. «Il nostro pianeta sta bruciando! hanno urlato al megafono È il momento di mobilitarci tutti, di prendere veri provvedimenti, di reclamare a gran voce e senza sconti giustizia climatica e sociale». L’occupazione del Red Carpet è stata preceduta il giorno prima, venerdì 6, da una azione altrettanto clamorosa e portata a termine per di più sotto un autentico nubifragio.
UNA VENTINA DI BARCHE, con a bordo una delegazione internazionale, è salpata dal Lido di Venezia per dirigersi lungo il canale della Giudecca e compiere una direct action, come hanno chiamato l’azione di disturbo, nei confronti della Msc Lirica, una delle tante Grandi Navi che continuano a scorrazzare impunemente dentro la laguna, nonostante l’inquinamento comprovato, gli evidenti rischi per la città storica, la devastazione del delicato equilibrio che regola l’ecosistema lagunare e le inutili dichiarazioni e le ancor più inutili promesse di trovare una soluzione di tanti ministri e governi. L’arrivo delle barche della polizia che hanno cercato di allontanare le imbarcazioni degli ambientalisti ha scatenato una sorta di battaglia navale in una laguna per di più movimentata dal brutto tempo e dall’incessante moto ondoso. Nel frattempo, dal molo del Lido, alcune centinaia di attivisti rimasti a terra gridavano «Fuori le navi dalla laguna».
È questa e solo questa infatti la soluzione che i veneziani chiedono. E non certo lo scavo devastante di altri canali o la realizzazione di altre strutture portuali. La politica delle Grandi Opere ha già fatto troppi danni. Ora è tempo difendere quel che rimane dell’ambiente e di chiedere per tutto il pianeta giustizia climatica.