In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Raid razzisti, blitz a Verona: in manette 7 estremisti di destra

INDAGATE ALTRE 29 PERSONE. Gli arrestati sono militanti di Casa Pound e ultrà del Chievo. Tra i reati contestati lesioni, violenza privata, minacce e danneggiamenti

Sette giovani arrestati e altri 29 indagati è il risultato di un blitz della polizia veronese condotto venerdì mattina in seguito ad una corposa indagine sulle organizzazioni di estrema destra della città scaligera. Gli arrestati, sei veronesi e un trentino, hanno tra i 19 e i 27 anni e sono tutti attivisti della sezione locale di Casa Pound e militano nel gruppo ultras «North Side» che sostiene il Chievo Verona.

Alcuni degli episodi contestati ai giovani, sono infatti legato al tifo calcistico, non senza una componente xenofoba e razzista. Ricordiamo la feroce aggressione ad esponenti della locale comunità magrebina che il 6 dicembre del 2022 erano scesi nelle piazze veronesi per festeggiare la vittoria ai rigori della loro nazionale contro la Spagna nel Mondiale. Un gruppo di giovani vestito con felpe nere e passamontagna aveva aggredito e picchiato con bastoni e manganelli i tifosi del Marocco “colpevoli”, a loro modo di vedere, di festeggiare con canti e balli il passaggio ai quarti della loro nazionale nelle strade di Verona. Con spranghe e nunchaku, gli attivisti di Casa Pound avevano attaccato, al grido di «Tornate al vostro Paese», anche i caroselli di auto che sventolavano la bandiera del Marocco.

A TREDICI dei giovani del branco che sono stati identificati, è stato notificato un daspo.
Un altro episodio di violenza contestato agli attivisti di Casa Pound, riguarda il rudimentale ordigno esplosivo fatto brillare nel luglio 2023, durante la Festa in Rosso a Quinzano, una frazione del Comune di Verona, e i tentativi di ferire con bottiglie di vetro alcuni partecipanti alla manifestazione di Rifondazione Comunista.

«GLI ARRESTI odierni di neofascisti a Verona – ha dichiarato Maurizio Acerbo, segretario nazionale del partito – confermano quanto denunciamo da anni. Verona è da troppi decenni un caposaldo della destra che, quando governava la città, non disdegnava di organizzare, senza incontrare opposizione istituzionali, concerti nazi rock o eventi che inequivocabilmente si configuravano come anticostituzionali in quanto apologetici del fascismo e del nazismo».

I reati contestati agli indagati sono quelli di lesioni, violenza privata, minacce, danneggiamento pluriaggravati e porto di oggetti atti ad offendere, con le aggravanti della finalità dell’odio e della discriminazione razziale. L’esigenza di applicare le misure cautelari, scrive nell’ordinanza il Gip di Verona, Carola Musio, è giustificata in quanto «vari pretesti, prevalentemente di colore politico hanno costituito e potranno costituire in futuro una sicura miccia per attacchi gratuiti e di inaudita violenza».

Tanti gli episodi contestati dai magistrati agli attivisti di Casa Pound. Gli indagati, si legge nell’ordinanza, «non hanno mai provato alcuna remora nell’avventarsi con ferocia anche contro soggetti estranei alle loro logiche di scontro politico o contro soggetti inermi».

INQUIETANTI, sempre secondo i magistrati, le dinamiche del branco: «I soggetti si fomentano a vicenda, organizzano le spedizioni punitive e traggono giustificazione e sostegno per le proprie condotte. Gli stessi partecipano attivamente con i propri commenti anche quando non prendono parte direttamente alle spedizioni punitive, cosi dimostrando la loro piena partecipazione ad un gruppo che prevede l’uso della violenza come normale strumento di lotta politica». In altre parole: una organizzazione fascista.

«Non giriamoci attorno – conclude Jessica Cugini, consigliera Comunale per Avs – sappiamo tutti chi sono questi i ragazzi arrestati dalla Digos, sappiamo della loro giovane età e del loro protagonismo in altri episodi di violenza cittadina. Rribadiamo, ancora una volta, che occorre sciogliere questi gruppi nazifascisti che si richiamano a un agire anticostituzionale. Chiediamo lo scioglimento di Forza Nuova, Casapound, Fortezza Europa».



La Digos alla Ca’ Foscari identifica gli studenti

Palestina/Italia Durante un seminario su Israele, la polizia arriva all’università veneziana, fotografa e scheda. «Niente violenza, solo contestazioni verbali». I docenti chiedono agli agenti di uscire

Gli studenti di Ca’ Foscari sono in mobilitazione per denunciare quanto accaduto lunedì scorso: durante un seminario alcuni agenti della Digos sono entrati nell’aula universitaria e hanno fotografato e identificato alcuni studenti.

È accaduto a palazzo Vendramin, una delle sedi dell’ateneo veneziano, durante un incontro sul tema «Dove va Israele? Scenari, sfide, prospettive» organizzato dall’Osservatorio di Politica e Relazioni internazionali dell’università. Tra i relatori del convegno pomeridiano, per lo più tutti docenti di Ca’ Foscari, figurava come esterno il professore Sergio Della Pergola, che insegna all’Università ebraica di Gerusalemme e che in più occasioni ha dichiarato le sue simpatie per il sionismo.

UN GRUPPO di studenti e studentesse si era recato al seminario e aveva atteso il dibattito finale per contestarlo. «Voglio sottolineare che nessuna di noi ha manifestato comportamenti violenti e neppure ci siamo abbassate agli insulti», spiega Alice Bazzoli, una delle portavoce delle assemblee studentesche che in questi ultimi mesi hanno organizzato accampate nei campus veneziani e occupazioni di rettorati dei tre istituti presenti in città: Ca’ Foscari, lo Iuav e l’Accademia. «I relatori non ci hanno permesso di intervenire al dibattito, togliendoci la parola, non concedendoci il diritto di spiegare le nostre ragioni o di porre domande scomode».

Ma la cosa più grave è successa fuori dell’istituto, quando agenti in borghese della Digos hanno fermato gli studenti che uscivano dalla sala per identificarli chiedendo loro i documenti. «Come se non bastasse, alcuni agenti sono entrati nella sala del dibattito e hanno scattato fotografie ai presenti – spiega la studentessa Alice Bazzoli -. Un intervento chiaramente intimidatorio. Ci piacerebbe che la rettrice Tiziana Lippiello prendesse le distanze da questa operazione e ci garantisse che non è stata lei a chiamare la polizia dentro i locali dell’ateneo».

IPOTESI smentita sia dalla rettrice che dai professori presenti al dibattito. Alcuni di loro, aderenti al comitato Guerra&Pace, hanno preso le difese degli studenti, invitando la polizia a uscire dalla sala. Resta il fatto grave di una intrusione delle forze dell’ordine in un contesto universitario in cui non stava accadendo nessun episodio violento ma una semplice contestazione verbale.

«Non ci faremo intimidire da questi atteggiamenti – conclude Bazzoli . Continueremo a denunciare il sionismo, come fatto finora e a chiedere che i fabbricanti di armi rimangano fuori delle nostre università. Una vittoria l’abbiamo già ottenuta: mercoledì 26 giugno ci sarà l’assemblea di ateneo in cui ribadiremo le nostre posizioni e porteremo le nostre richieste per una università disarmata. Dovrebbe svolgersi ogni anno ma a Ca’ Foscari l’ultima è stata organizzata nel 2015. Questa assemblea è frutto delle nostre lotte, dei nostri accampamenti e delle nostre occupazioni. Continueremo così anche di fronte a queste intimidazioni».

La Tav sul bosco Lanerossi, rivolta degli ambientalisti

VICENZA. Cittadini e associazioni occupano l’area boschiva dove dovrebbe passate la ferrovia. In difficoltà il giovane sindaco di centrosinistra. Ricorso al Tar di Italia nostra contro il progetto alta velocità Verona - Padova

La battaglia è cominciata venerdì 19 aprile. Le aziende appaltanti avevano appena recintato l’area destinata ad ospitare il cantiere della Tav. Operazione peraltro condotta senza degnarsi di attendere l’esito del ricorso al Tar di Italia Nostra sulla legittimità di un progetto deficitario degli studi di impatto obbligatori per la legge sugli appalti e che viola le norme ambientali europee sulle grandi opere. Con un blitz inaspettato, gli ambientalisti hanno divelto tutte le reti di demarcazione e le hanno riportate alla sede della società Iricav Due, il General Contractor a cui il Gruppo FS Italiane ha affidato la realizzazione della tratta ad alta velocità Verona – Padova.
IL SABATO SUCCESSIVO, l’area boschiva che sorge nel quartiere popolare “I Ferrovieri”, nella prima periferia ovest di Vicenza, è stato pacificamente invasa da centinaia di persone che hanno cominciato a gestirla come un bene comune, costruendo giochi per bambini, percorsi sugli alberi, spazi per attività artistiche. «Noi abbiamo bisogno degli alberi. Ora gli alberi hanno bisogno di noi», si legge in uno dei tanti cartelli colorati appesi sulla piante.
In mezzo a questi 11 mila metri quadrati di verde, un tempo sorgevano gli impianti di pettinatura della storica azienda vicentina Lanerossi. Nel 1984, la fabbrica ha chiuso e l’area è stata abbandonata a se stessa. Un poco alla volta la natura ha ripreso il sopravvento divorando le mura degli edifici industriali, scoperchiando i capannoni ed abbattendo muri e recinzioni. Oggi, l’area è una vera e propria selva, un polmone verde situato dentro la città che i residenti del quartiere chiamano bosco Lanerossi. E questa è solo una parte dell’area destinata a venir cementificata dai cantieri della Tav. A 200 metri di distanza, lungo via Ca’ Alte, un’altra area boschiva di 16 mila metri quadrati dovrebbe subire lo stesso destino. Da sottolineare che il bosco di Ca’ Alte sorge a ridosso dell’argine del fiume Bacchiglione. Sei mesi fa, queste piante avevano fatto da barriera ad una inondazione del fiume, evitando danni più seri.
L’ABBANDONO delle attività umane, ha favorito l’arrivo di molte specie animali che sotto le fronde del Bosco Lanerossi hanno trovato riparo. Qui volano e hanno messo nido numerosissime specie di uccelli che gli appassionati della Lipu si sono incaricati di censire. E con loro sono arrivati anche mammiferi di grossa taglia come i tassi e qualche capriolo in fuga dai cacciatori che oramai hanno ottenuto il permesso di sparare anche dentro il parco dei Colli Euganei. Sovrano indiscusso del bosco è un enorme esemplare di Liquidambar, che la famiglia Rossi aveva fatto mettere a dimora all’incirca un secolo fa e che oggi ha raggiunto la circonferenza di 4 metri e venti centimetri. In autunno le sue foglie si accenderanno come tante fiamme.
Sempre se non ci costruiranno un cantiere sopra.
«IL SINDACO HA PROMESSO che farà di tutto per salvare l’albero monumentale – spiega Elena Guerra, portavoce dell’assemblea del Bosco – ma non ci può bastare. Il nostro primo cittadino dovrebbe imparare la differenza tra giardinaggio, cioè salvare un albero, e ambientalismo, che significa salvare il bosco. Che in questo caso significa anche salvare Vicenza dalle devastazioni della Tav». Una bella gatta da pelare, questa, per il giovane sindaco di centrosinistra, Giacomo Possamai, eletto sul filo di lana grazie anche al voto degli ambientalisti, che si trova a dover gestire un progetto già approvato dalla precedente amministrazione di destra e fortemente imposto dalle Ferrovie.
Dall’altra parte della barricata, a dar sostegno all’assemblea del Bosco, è sceso in campo l’intero arcipelago ambientalista della città berica. Dai Fridays for Future, ai centri sociali Caracol e Bocciodromo, più comitati di cittadini come quello del Quartiere Ferrovieri, Salute e Territorio, Civiltà del Verde e associazioni come i medici per l’ambiente dell’Isde, Legambiente e i cattolici di Laudato Sii che nelle prossime settimane hanno simbolicamente scelto il Lanerossi per svolgere i loro convegni.
A PORTARE SOLIDARIETÀ non sono mancati neppure il Wwf, Europa Verde e Italia Nostra, scesa in campo con i suoi avvocati. «I cantieri realizzati dentro l’area boschiva sono solo il primo passo di una devastazione che non avrà precedenti – spiega la presidente di Italia Nostra di Vicenza, l’avvocata Maria Grazia Pegoraro -. In una piccola città patrimonio Unesco vogliono calare un’opera enorme, invasiva e demolitiva che prevede 9 chilometri di barriere antirumore, l’abbattimento di un centinaio di edifici e di 9 condomini con 200 famiglie sfollate, un viadotto nella zona storica che l’Unesco ha già condannato e scavi sopra falde inquinate da Pfas».
Il cemento che vogliono calare sul Lanerossi è solo un avvertimento di quello che la Tav farà di Vicenza se non riusciremo a difenderla.

Venezia, «no al ritorno delle grandi navi»

In laguna Corteo per mare e per terra contro il piano dell’Autorità portuale per rilanciare la crocieristica con nuovi scavi e l’approdo a Fusina. Mentre il canale Vittorio Emanuele potrebbe riportare i giganti dentro la Stazione marittima

Buttate fuori dalla porta, le grandi navi da crociera provano a rientrare dalla finestra e il popolo dei No Navi torna a manifestare come si può manifestare solo a Venezia: in barca. La giornata non comincia bene. Piove a dirotto per tutta la mattina. Già un mesa fa l’iniziativa era stata rinviata per il maltempo. Il primo gruppo di attiviste e attivisti – qualche centinaio di persone – si dà appuntamento a mezzogiorno alle Zattere, storica “casa” del comitato, punto di partenza di tante manifestazioni per terra e per acqua. La gente arriva alla spicciolata con l’ombrello in mano.

«CI SONO VOLUTI dieci anni di lotta per ottenere nel 2021 che le grandi navi da crociera non transitassero più a far danni davanti a San Marco – spiega Ruggero Tallon, portavoce del comitato -. E senza navi, non mi pare che la città abbia sofferto per la mancanza di turisti, considerato che stiamo letteralmente soffocando e che, per studenti e giovani coppie, trovare una casa è una impresa impossibile: ci sono più locazioni B&B che appartamenti. Ora però chi vuole il male di Venezia, dal Comune alla Regione, dall’autorità portuale al Governo, vuole riportare dentro le navi. Anche a prescindere dall’inquinamento e dai danni a quel che rimane dell’ecosistema lagunare, ciò significa un milione e mezzo di turisti in più all’anno. Mi pare proprio che non ne abbiamo bisogno. E poi impongono il ticket di ingresso con l’obiettivo di ‘fermare i flussi’. Ridicolo!».

Verso l’una il sole splende sulla laguna. In fondamenta delle Zattere approdano una ventina di barche, per lo più tradizionali a remi con un piccolo fuoribordo. Gli attivisti si imbarcano verso Fusina, a ridosso di Marghera, dove li attende dietro a lunghi striscioni il presidio organizzato dagli attivisti di terraferma.

UN CORTEO ACQUEO coloratissimo, quello che sfila sotto le bandiere No Navi verso la gronda lagunare. Artisti della Biennale d’Arte hanno dato il loro contributo realizzando grandi pupazzi in cartapesta a forma di polpi e di pesci, uno dei quali lungo 15 metri, e dipinto decine e decine di maschere con musi di animali lagunari arrabbiati che gli attivisti indossano come ad una festa di carnevale.

L’OBIETTIVO del corteo era quello di bloccare il transito di una grande nave, previsto per le 16, ma la capitaneria ha giocato d’anticipo e la crociera è partita due ore prima. Interdetto per legge il Bacino di San Marco, la Msc Crociere ha spostato il suo approdo sulla banchine di Fusina per far uscire le sue navi da un’altra bocca di porto lagunare, quella di Malamocco, percorrendo il canale dei Petroli.

Una soluzione decisamente provvisoria, come stabilisce lo stesso decreto Draghi che ha allontanato le navi da San Marco, ma una soluzione che le compagnie crocieristiche vorrebbero fa diventare definitiva con la realizzazione di un grande porto turistico su misura a Marghera e lo scavo e l’allargamento dei canali lagunari per poterci far transitare navi di stazza ancora superiore alle attuali.

Senza contare che lo scavo di un altro canale, il Vittorio Emanuele, potrebbe riportare le grandi navi addirittura dentro la Stazione marittima di Venezia. Esattamente da dove, dopo dieci anni di lotte per terra e per mare, il popolo dei No Navi era riuscito a scacciarle. E questa volta a entrare in laguna non sarebbero più solo le grandi navi, ma la mega crocieristica, il gigantismo navale di ultimo livello, che si sta ritagliando spazi in tutti i mari del mondo puntando su offerte di vacanza low cost. Un progetto fortemente appoggiato dall’Autorità Portuale e dalle attuali amministrazioni di destra in Comune e in Regione.

«LO SCAVO di questi canali non implicherebbe solo la devastazione definitiva della nostra laguna ma anche un inquinamento senza precedenti, sia nell’atmosfera che nell’acqua, considerando che in queste zone sono state interrate tonnellate di fanghi tossici. – spiega Marta Sottoriva, portavoce del Comitato – Inoltre, come hanno sottolineato anche molti studi tecnici, c’è il pericolo che queste enormi navi in transito lungo un canale comunque sottodimensionato, in caso di maltempo improvviso e di vento forte, scarroccino sino a cozzare contro gli impianti dell’area industriale di Marghera».

Arrivato davanti a Fusina, il corteo ha trovato una flotta di motoscafi della polizia a far muro. Ne è nato qualche tafferuglio navale con scambi di spruzzate d’acqua ma alla fine il corteo è riuscito a ricongiungersi col presidio di terraferma al grido di «Fuori le navi dalla laguna». Quelle navi che buttate fuori dalla porta, spingono per rientrare dalla finestra. Più grandi, più inquinanti, più pericolose di prima.

Venezia, parte il ticket d’ingresso. I residenti: «Non siamo allo zoo»

La protesta Primo giorno d’accesso in città a pagamento: chi aggira la misura, chi manda al diavolo i controllori. I comitati: facciamo ricorso al Tar

La signora ha una certa età, una bandiera No Navi sulla spalle e sta andando alla manifestazione contro il ticket di ingresso. «Che umiliazione! La città in cui sono nata, cresciuta e dove mi ostino a vivere è diventata un parco tematico, un museo con biglietto di ingresso. Gruppi di ragazzini che non sono nemmeno di qui, ti fermano ai varchi mentre vai a casa tua, per chiederti un... codice Querre che, io che ho ancora un cellulare con i tasti, non so neppure cosa sia». E aggiunge: «Il sindaco ci odia, non c’è altra spiegazione».

PRIMO GIORNO di sperimentazione del cosiddetto «contributo di accesso a Venezia». Primo giorno di manicomio. Se l’obiettivo dichiarato dal comune era quello di «limitare i flussi turistici», proprio non ci siamo. Circa centomila persone sono arrivate ieri mattina in città dopo essersi «loggate» sul sito e aver scaricato il codice di accesso. Il sistema infatti non prevede, come sarebbe giusto attendersi se davvero lo scopo fosse quello di limitare il flusso, un limite alle entrate.

È SUFFICIENTE pagare i famosi 5 euro e hai il via libera. Ma solo un decimo dei turisti in visita ha pagato. Gli altri sono i cosiddetti «esenti»: persone cioè che risiedono in Veneto oppure turisti con la prenotazione alberghiera, che godono di una speciale entrata gratuita. Tanti altri visitatori sono sbarcati dai treni o dagli autobus e hanno eluso i controlli prendendo calli secondarie. Oppure rifiutandosi semplicemente di esibire il codice ai controllori: circa 200, per lo più giovanissimi precari, che non appartenendo a forze dell’ordine non hanno nessuna autorità per chiedere i documenti. Il risultato è stato un piazzale della stazione che pareva un manicomio, strapieno di gente che non sapeva dove andare, controllori che si prendevano la loro dose di insulti e turisti che si chiedevano in che girone del purgatorio fossero capitati.

UN PONTE e una calle più in là, in fondamenta Santa Chiara, mezzo migliaio di residenti si è dato appuntamento per manifestare contro il ticket. «Questa città non è uno zoo e noi non siamo comparse nel supermarket turistico del sindaco Brugnaro» grida indignato al megafono Ruggero Tallon, del comitato No Navi. «A Venezia ci sono 2 mila case vuote – continua Federica Toninelli dell’Asc, l’Assemblea Sociale per la Casa -. Il ticket serve solo a far finta che si stia facendo qualcosa. Il turismo di massa si contrasta offrendo queste case e relativi servizi a chi vorrebbe continuare a vivere a Venezia. Bisogna combattere le locazioni turistiche selvagge che stanno svuotando la città e il proliferare di alberghi. Tutte cose che il sindaco si guarda bene dal fare». Non manca qualche frecciatina al Pd, che non ha aderito alla manifestazione per partecipare a quelle istituzionali del 25 aprile. «Noi invece la resistenza più che commemorarla preferiamo farla!” ha sottolineato Federica Toninelli.

RESPINTO IL TENTATIVO di entrare in corteo nel piazzale della stazione da un cordone di poliziotti in assetto antisommossa, i manifestanti hanno raggiunto campo Santa Margherita a ritmo di musica «per rallegrare la città a cui Brugnaro vorrebbe fare il funerale». «Stiamo preparando un ricorso al Tar contro questo provvedimento medioevale – ha spiegato

Andreina Zitelli di Ambiente Venezia che ha passato mezza mattinata in stazione a spiegare in inglese ai turisti che potevano tirare dritti, senza dare credito ai supposti controllori -. Il ticket viola il principio di libera circolazione ed è violazione dei diritti anche l’obbligo da parte dei residenti veneziani di dimostrare il loro status». «Questo provvedimento è solo fumo negli occhi – ha commentato il consigliere di opposizione Gianfranco Bettin, Europa Verde -. Il comune è stato messo sotto accusa dall’Unesco per la mancata gestione del turismo e questo ticket serve solo a far credere che siano facendo qualcosa. Intanto, l’amministrazione lascia in sospeso l’emendamento Pellicani che consentirebbe al comune di intervenire sulla concessione di locazioni turistiche, limitandole».

AL TICKET di ingresso, i veneziani hanno tentato di rispondere usando l’ironia. L’Arci ha stampato un finto passaporto, che ha consegnato ai visitatori. All’interno si cita l’articolo 16 della Costituzione sulla libera circolazione dei cittadini. Ancora più spiritoso il finto biglietto stampato dall’Asc che ricalca i colori e i font usati dal comune per la campagna informativa sul ticket. Dietro si legge: «Il biglietto è valido per visitare tutta l’area di Venezia Museo. Non oltrepassare le recinzioni, potrebbero costituire pericolo. Per favore, non date da mangiare ai veneziani e non lanciate loro oggetti, neanche per attirare la loro attenzione».

«Disarmare Israele», corteo davanti alla fiera delle armi a Verona

European Outdoor Show. Il camuffamento da rassegna puramente sportiva non basta. Dura poco anche il nuovo codice etico voluto dal sindaco: molti bambini con le pistole in mano
Le prime ad arrivare sono state loro: le Donne in Nero di Verona. Anche quest’anno si sono fatte trovare puntuali all’apertura dei cancelli della fiera. Silenziose, spalle alla cancellata e grandi cartelli in mano dove si leggevano scritte come «La diffusione delle armi non aumenta la nostra sicurezza», «Abbiamo già Giulietta e Romeo, non ci servono pistole», «Insegnate ad amare e non a sparare». Cartelli per lo più ignorati dalla folla di visitatori che, sin dalla prima mattina, si è accalcata all’ingresso di Eos, acronimo per European Outdoor Show.

LA NUOVA VESTE della tradizionale fiera delle armi di Verona, dopo una lunga trattativa con associazioni pacifiste e il Comune, ha accettato di abbassare i toni e mimetizzarsi in una esposizione dedicata alla caccia, al tiro e alla pesca, togliendo il contestato termine «armi di difesa personale». Come se nel nostro Paese, in cui tutte le armi semiautomatiche sono considerate armi da sparo, ci fosse distinzione tra una pistola “sportiva” e una da difesa.

Proprio la “mimetizzazione” di quella che resta comunque una mera esposizione di armi, è stata considerata inaccettabile dalla Rete veronese per la Palestina, considerato che tra i circa 300 espositori figurano anche aziende israeliane o comunque aziende che forniscono armi ad Israele, così come a tante altre nazioni che non brillano per la difesa dei diritti umani. «In questa fiera vengono esposte armi che vengono usate per reprimere il dissenso – spiega Mackda Ghebremariam Tesfau’, attivista per i diritti dei palestinesi – Ad esporre i loro prodotti di morte figurano le maggiori industrie di armi del mondo, perché chi vende armi da caccia, da tiro e sportive, da difesa personale, equipaggia anche gli eserciti, che portano orrore e distruzione attraverso la guerra globale permanente. Guerra che ricadono come sempre sulla popolazione civile, come sta accadendo a Gaza».

Circa un migliaio di attiviste e attivisti ha accolto l’appello dell’associazione e si è radunato dietro al grande striscione «Stop al genocidio. Disarmiamo Israele». Da piazza della Fiera, il corteo ha marciato attorno alla sede espositiva per concludere davanti ai cancelli d’entrata dove si è verificato qualche tafferuglio con le forze di polizia che non hanno risparmiato le manganellate. Alla fine i manifestanti sono comunque riusciti ad esporre uno striscione pro Gaza davanti all’ingresso e sono rimasti sino a sera a gridare slogan contro Israele e le industrie belliche.

TRA GLI ADERENTI alla manifestazione, associazioni per i diritti, per il disarmo, centri sociali, partiti come i Verdi, Sinistra e Rifondazione e anche molte organizzazioni animaliste che certo non avranno gradito le dichiarazioni dell’assessore regionale veneto allo sport, Cristiano Corazzari, che dall’interno dell’esposizione ha rimarcato il fondamentale ruolo dei cacciatori, a suo dire, autentici ambientalisti «che in perfetto accordo con la Regione hanno un ruolo fondamentale nella gestione ambientale del territorio a tutto vantaggio della comunità». Rimarcando di seguito come «la gente che è qui dentro è la migliore perché è gente che rispetta le regole».

Magari, l’assessore non si riferiva al rispetto del codice etico – una novità di quest’anno espressamente voluta dal Comune – che chiedeva agli espositori di non mettere le armi in mano ai bambini. Disposizione sostenuta anche dalla Questura ma che è stata completamente disattesa.

Giorgio Beretta, autore del libro Il Paese delle Armi (Altreconomia), ha twittato da dentro la fiera: «Ma la Questura sta controllando che la sua disposizione sulla preclusione ai minori di maneggiare armi sia applicata? Ho visto molti bambini con le armi in mano con tanto di immagini – a volto oscurato – di bimbi che giocano con fucili più grandi di loro».

«Quanta ipocrisia! Pensi che alla fiera del vino l’ingresso ai minori è, giustamente, vietato. Qui invece è addirittura gratuito!», mi ha sussurrato una signora con in mano un cartello con scritto: «Anche le armi detenute legalmente ammazzano le donne».

Verona, domani il corteo contro la Fiera delle armi

Torniamo a bomba Il sindaco: solo strumenti “sportivi”. Limiti strappati dai pacifisti, non basta ai centri sociali: «Ci sono anche aziende israeliane»

«C’è davvero differenza tra un’arma da difesa e un’arma da tiro? Il fucile del cacciatore che spara al cervo è lo stesso fucile che viene utilizzato dal cecchino». Alberto Modenese, attivista della Rete Veronese per la Palestina, non cambia il suo giudizio sulla Fiera della Armi che andrà in scena a Verona a partire da sabato prossimo.

«Da Fiera Internazionale delle Armi, l’hanno fatta diventare ‘European Outdoor Show. Caccia, tiro sportivo, pesca’. Ma la sostanza non cambia. Di fatto, esporranno i loro strumenti di morte le maggiori industrie di armi del mondo. Chi vende armi da caccia, da tiro e sportive, sono gli stessi che equipaggiano anche gli eserciti, foraggiano la guerra globale e spargono dolore e distruzione nel mondo». La Rete ha annunciato una manifestazione che si svolgerà sabato, nel giorno dell’apertura dell’esposizione, a partire dalle ore 14.30 nel piazzale Fiera di Verona.

Gli attivisti della rete, alla quale hanno aderito i centri sociali del Veneto, ritengono insufficienti i cambiamenti che la nuova amministrazione comunale guidata dal sindaco Damiano Tommasi ha apportato all’evento – con la spinta decisiva (e dopo un lavoro durato due anni) di associazioni pacifiste come il Movimento Nonviolento, la Rete Pace e Disarmo, l’Opal (Osservatorio permanente armi leggere), che ieri hanno tenuto una conferenza stampa per illustrare il «discreto risultato» ottenuto. «I minori dovranno essere accompagnati – spiega ancora Modenese – ma non è stata proibita loro l’entrata. Anche le scolaresche potranno entrare in fiera con una visita guidata. Magari per imparare che la caccia è uno ‘sport’ come un altro...».

A presentare i loro prodotti nell’esposizione veronese, ci saranno anche società israeliane le cui armi stanno mietendo in Palestina migliaia di vittime innocenti, devastando ospedali, scuole, case. E altre aziende che armano l’esercito israeliano che, con la complicità dei “democratici” governi occidentali, sta compiendo quello che l’Onu chiama “plausibile genocidio” del popolo palestinese. «Tutto questo – conclude Mackda Ghebremariam Tesfau’, una giovane attivista veronese per i diritti della Palestina – per noi è inaccettabile. Così come è inaccettabile la semplificazione dell’acquisto di pistole e fucili, magari con la mimetizzazione dello ‘sport’, che i produttori di armi vogliono far passare, proponendoci un nuovo modo di essere: tutti armati, tutti pronti a sparare su qualcun altro per difendere privilegi, denaro, proprietà. Questa fiera propone un mondo dove la parola “pace” sia sempre accompagnata da “armata”».

Venezia, polemiche per la nomina di Roberto Rossetto come presidente dell’Autorità della Laguna

Gestirà anche il Mose Urbanista e paesaggista in pensione, 71 anni, nessuna competenza da segnalare nel campo della morfologia della laguna e delle sua salvaguardia. Zanella (Verdi e sinistra): «Ancora una volta le logiche della politica hanno il sopravvento rispetto alle competenze scientifiche

Manca solo l’avallo della Corte dei Conti perché Roberto Rossetto venga nominato presidente dell’Autorità per la Laguna di Venezia, il nuovo ente che dovrà raccogliere l’eredità del Magistrato delle Acque e che avrà in gestione il Mose quando, presumibilmente il prossimo anno, il Consorzio Venezia Nuova terminerà i lavori e chiuderà i battenti.

Ma chi è costui? Nel curriculum Rossetto si dipinge come un urbanista e paesaggista in pensione con una lunga attività nel settore privato. Tutto qua. Nessun “incarico istituzionali di grande responsabilità e rilievo” come richiede l’articolo 95 del decreto legge 14 agosto 2020 n.104 che istituisce l’Autorità per la Laguna. Nessuna competenza particolare da segnalare nel campo della morfologia della laguna e delle sua salvaguardia, anche queste caratteristiche richieste dalla legge. In altre parole, si tratta di un illustre sconosciuto. Un illustre sconosciuto gradito però al potere politico che, dopo tre anni di impasse, ha fatto quadrato attorno a lui. A caldeggiare la nomina di Rossetto infatti è il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, ed il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro.

«Siamo di fronte all’ennesima nomina politica» sostiene la deputata Luana Zanella, Alleanza verdi e sinistra che ha chiesto che l’urbanista venga ascoltato in commissione Ambiente della Camera. «Ancora una volta, di fronte ad un problema delicatissimo come la salvaguardia della laguna di Venezia, le logiche della politica hanno il sopravvento rispetto alle competenze scientifiche». La deputata Zanella ha sollevato anche il problema dell’età di Rossetto, 71 anni, e il suo stato di pensionato, in quanto il comma 9 dell’articolo 5 del decreto-legge n. 95 del 2012 vieta l’attribuzione di incarichi ai lavoratori collocati in quiescenza. Come se non bastasse, la legge istituiva dell’Autorità prevede che il presidente sia scelto tra una rosa di candidati papabili. Una rosa che, nel caso di Rossetto ha solo un petalo: il suo.

Tutte incompatibilità che non preoccupano l’urbanista che in città si è già reso operativo concedendosi a conferenze stampa e partecipando a vari incontri col sindaco Brugnaro per discutere sul da farsi, proprio come se la nomina fosse già nelle sue tasche.

Un comportamento che l’associazione Ambiente Venezia non ha esitato a definire «arrogante», sottolineando anche presunti conflitti di interesse. Rossetto, si legge in una nota dell’associazione ambientalista, «svolge attività professionale privata su progetti gestiti dal ministero delle Infrastrutture. Inoltre ha in essere incarichi professionali con le Istituzioni che lo hanno indicato, come la Regione con la Pedemontana Veneta, e il Comune con cui ha incarichi di consulenza per valutazioni ambientali. Essendo un libero professionista, la normativa prevede una interruzione di rapporto da almeno due anni». Ambiente Venezia lancia un appello alla Corte dei Conti, l’ultimo ostacolo alla nomina di

Rossetto: «Non vogliamo altro che la nomina sia conforme alla legge e che venga seguito il corretto percorso di comparazione e selezione dei candidati».

Non sa cosa pensare Luigi D’Alpaos, professore emerito di Idraulica dell’Università di Padova, uno dei massimi esperti della morfologia lagunare. Non sa cosa pensare perché non ha mai sentito parlare di Roberto Rossetto prima. «In tutti questi anni non l’ho mai sentito intervenire sui fatti e sulle opere lagunare su cui si discute. Non so quale sia la sua esperienza su questo campo e quindi non saprei cosa pensare della sua nomina. Quel poco che l’ho sentito dire, su interviste apparse nei giornali di questi giorni, sono solo dichiarazioni quantomeno fuori tempo e fuori luogo. Ed invece un incarico di questo tipo dovrebbe prevedere una bagaglio di conoscenze vastissimo, non solo idrauliche e morfologiche. Ma oramai la salvaguardia della laguna è solo uno specchietto per le allodole, tutti ne parlano e nessuno la pratica».

Rischiavano 15 anni, liberi tre migranti

TREVISO. I tre giovani accusati di sequestro di persona e devastazione e saccheggio per aver partecipato a una protesta risalente al giugno 2020

Sono liberi, Mohammed Traore, Amadou Toure e Abdourahmane Signate, i tre giovani migranti accusati di sequestro di persona e devastazione e saccheggio per aver partecipato a una protesta risalente al giugno 2020, in piena pandemia. Protesta innescata dalle gravi condizioni in cui versavano gli ospiti del centro di accoglienza dell’ex Caserma Serena di Treviso.

Il castello accusatorio è stato spazzato via dalla sentenza emessa venerdì pomeriggio dal Tribunale trevigiano. I tre migranti che rischiavano sino a 15 anni di galera sono stati condannati solo a una pena secondaria di un anno e 8 mesi. Pena che i richiedenti asilo hanno già scontato: da tre anni hanno vissuto tra carcere e misure cautelari. «Il tribunale ha stabilito che i tre non avrebbero dovuto nemmeno andare in carcere – commenta Monica Tiengo, attivista di Adl Cobas -. Addirittura ai tre giovani state concesse le attenuanti perché è stato riconosciuto che si trovavano in una palese situazione di mala gestione del centro, abbandonati al contagio del Covid».

La sentenza non potrà comunque riportare in vita il quarto accusato, l’appena ventitreenne Chaka Ouattara, che si è suicidato nel novembre del 2020, in una cella di isolamento del carcere di Verona. «Per lui, che era il più fragile, queste accuse si sono trasformate in una condanna a morte senza appello – conclude Monica Tiengo – Ora pretendiamo che i responsabili dell’ex Caserma Serena chiedano scusa e si dimettano».
Gli avvocati dei tre migranti hanno già annunciato il ricorso in Appello per ottenere l’assoluzione completa e farli riconoscere come vittime.

Quella che va in scena in Qatar non è la festa del calcio ma del capitalismo fossile

La giornalista argentina Dominique Metzger è rimasta esterrefatta quando negli uffici della polizia dello sceiccato – nell’ala riservata alle donne, ovviamente, perché da queste parti tutto è rigorosamente diviso per genere! – gli agenti le hanno chiesto come voleva che fosse punito il borseggiatore che le aveva rubato il portafogli. “Io sono rimasta a bocca aperta: mi hanno chiesto se volevo che il tribunale lo condannasse alla prigione, se dovevano espellerlo dal Paese (il ladruncolo era un immigrato.ndr) o che altro. Ho risposto che mi bastava riavere il mio portafogli”. L’incredibile di questa vicenda, come ha sottolineato la collega in un suo post sui social, è che la polizia credeva di farle un favore, di mettersi in bella mostra con una giornalista straniera. Una giornalista che magari nei suoi articoli avrebbe sottolineato come nel Qatar la giustizia funzionasse egregiamente! La paradossale vicenda, al contrario, testimonia solo come nello sceiccato la parola “diritti” non abbia semplicemente nessun significato. Le terrificanti condizioni in cui i lavoratori migranti sono tenuti da schiavi nelle aziende e nelle case dei padroni qatariani sono solo una diretta conseguenza di questa totale assenza di diritti mescolata ad un bel po’ di razzismo nei confronti dello straniero. 

Le associazioni per i diritti umani hanno denunciato la morte di 6500 lavoratori, per lo più indiani, nepalesi e bangla, per la realizzazione di questo Mondiale di sangue. Le autorità del Qatar hanno risposto che i decessi sarebbero “solo” 35, mentre gli altri decessi sarebbero dovute a non meglio specificate cause naturali. Cause naturali come quel disgraziato che è schiattato in camerata dopo turni di lavoro di 20 ore sotto il sole del deserto E la Fifa ci ha pure creduto. O ha preferito far finta di crederci. Ma siano più di seimila o “solo” una trentina, è innegabile che il rispetto dei diritti umani – per non parlare di quelli delle donne! – abbiano ancora un lungo percorso da fare prima di essere presi in considerazione in questo Paese.

La domanda allora è questa: perché assegnare i Mondiali di calcio proprio al Qatar? La risposta è semplice: per i soldi. Tanti, tanti soldi. Questo che sta andando in scena nel Paese degli sceicchipasserà alla storia come il mondiale delle bustarelle e degli investimenti miliardari. Che il calcio non fosse più solo passione e pallone, ma un giro d’affari da… sceicchi lo avevamo capito da tempo. Il Qatar si è solo inserito nell’andazzo generale investendoci denaro a badilate. Non ha dovuto faticare più di tanto a far “dimenticare” ad una Fifa che gli manco solo di quotarsi in borsa, i lavoratorimorti ammazzati nella costruzione degli stadi e pure a far spostare spostare i calendari dei campionati di tutto il mondo perché, sotto il sole del deserto, si può giocare solo a Natale. E anche a proibire, pena espulsione immediata, una semplice fascia arcobaleno attorno alla braccia del capitano. 

E’ cominciato così il Mondiale più ricco di tutti i tempi. Secondo il sito Money – che di soldi se ne intende! – la Fifa incasserà per l’intera kermesse la bellezza di 6,5 miliardi di dollari. Tanto per fare un esempio, l’ultimo Mondiale ha portato nelle casse della federazione “solo” 4 miliardi di dollari. E poi, ci sono gli indotti per le nazionali partecipanti, anche questi in forte crescita, gli sponsor, i diritti televisivi, il marketing come la vendita dei biglietti e dei gadget. 

“In totale – leggiamo su Money – l’evento muoverà qualcosa come 17 miliardi di dollari, più o meno il costo di una manovra finanziaria!” E continua: “Di fronte a queste cifre, ecco che organizzatori e Federazioni hanno chiuso più di un occhio sulle accuse piovute negli ultimi anni sul Qatar”. 

Insomma, anche se sul campo prenderà – come mi auguro – una vagonata di gol, la nazionale del Qatar il suo Mondiale lo ha già vinto: quello dei soldi. Quello del greenwashing invece, Il Qatar se lo sta giocando con la Cop egiziana, tanto per ricordare un altro Paese dove i diritti umani sono carta straccia. 

L’ambiente infatti è la seconda vittima sacrificale di questo Mondiale.

I colleghi giornalisti che stanno seguendo le partite non hanno potuto esimersi dal partecipare ai tour organizzati dalle autorità del Qatar che gli ha fatto ammirare pannelli fotovoltaici ultimo modello, eleganti auto elettriche ed altre meraviglie tecnologiche per dimostrare quanto il loro Paese sia “verde”. Nei comunicati ufficiali, il Qatar fa un gran vantarsi di aver compensato tutte le sue poche emissioni con i famosi crediti di C02. A parte tutte le critiche che potremmo fare sul sistema delle compensazione, viene facile immaginare come uno Stato che è una cassaforte di dollari e un pozzo di petrolio, come il Qatar, non faccia nessuna fatica ad acquistare crediti dai Paesi messi alla fame da quegli stessi dollari e petrolio. Ma anche a voler accettare il discutibile sistema delle compensazioni, la pretesa dei qatariani che si vantano di aver organizzato il primo mondiale neutrale dal punto di vista delle emissioni è una balla stratosferica. Basta pensare ai sette  super stadi costruiti ex novo con tanto di infrastrutture a sostegno, il mantenimento del manto erboso sotto il sole del deserto che richiedono oltre 10mila litri d’acqua al giorno, i semi fatti arrivare dagli Stati Uniti in contenitori a climatizzazione speciale. 

Wired, in un capitolo dal chiaro titolo “Specchietto per le allodole” ha spiegato che il Mondiale del Qatar “in totale produrrà circa 3,6 milioni di tonnellate di anidride carbonica, secondo il rapporto ufficiale della Fifa sulle emissioni di gas serra. Si tratta di 1,5 milioni di tonnellate in più rispetto alla precedente edizione in Russia del 2018”.

Il fatto è che i “conti” sulle emissioni li hanno tirati giù gli sceicchi, utilizzando evidentemente lo stesso pallottoliere con il quale quantificano i diritti umani e i morti sul lavoro, senza che nessun organismo terzo ci abbia potuto metter mano. “Gli organizzatori – sottolinea sempre Wired – hanno creato un proprio sistema, chiamato Global carbon council, sollevando preoccupazioni in merito alla trasparenza e alla legittimità.”

Anche associazioni come Carbon Market Watch hanno evidenziato tutte le manchevolezze delle ottimistiche dichiarazioni degli sceicchi sulle reali emissioni del Paese: ”L’indagine che abbiamo condotto sulle prove a disposizione getta seri dubbi su queste affermazioni, che probabilmente sottostimano i veri livelli di emissioni e l’impatto climatico del torneo”. Soltanto le emissioni imputabili alla costruzione degli stadi, secondo Carbon Market Watch, sarebbero sottostimate di almeno di otto volte.  

In altre parole, il Qatar se ne frega dell’ambiente pressapoco come se ne frega dei diritti umani. Il che non impedisce che anche il nostro Paese, ci faccia dei gran affari. Anche grazie ai Mondiali, lo scambio commerciale dell’Italia verso il Qatar ha registrato nei primi otto mesi dell’anno in corso, un aumento del 140% rispetto agli stessi mesi del 2021, raggiungendo i 4 miliardi di dollari. Esportiamo abbigliamento di alta moda, pregiati prodotti alimentari, macchine e soprattutto… armi! Voce questa che nei bilanci viene sempre etichettata col termine di “ tecnologia di difesa”! Tanto per non farci mancare la giusta dose di ipocrisia.  Ma se l’Europa questo inverno potrà rimanere al caldo dei termosifoni, ha spiegato l’Aie, Agenzia internazionale dell’energia, lo farà soprattutto grazie alle esportazioni di gas e di petrolio dal Qatar. Questo è anche il motivo per il quale, al di là di qualche ammirevole presa di posizione individuale – come la nazionale tedesca i cui giocatori si sono fatti fotografare con le mani davanti alla bocca -, i Governi europei si sono ben guardati dall’esprimere severi giudizi o dal prendere drastiche prese di posizione su questo Mondiale della vergogna. Italia compresa che, tramite l’ambasciata di Doha, ha inviato i migliori auguri alle autorità qatariane per la riuscita di questo Mondiale modello rammaricandosi solo di non poter essere presente con la nostra nazionale. 

Mondiale che, come avrete intuito, col calcio, perlomeno con quel calcio che ci aveva fatto innamorare da ragazzini, non ha più niente a che fare. Ce lo spiega, efficace come una sua indimenticabile pedata, una leggenda del calcio, quello vero: Éric Cantona. “Siamo onesti: questa Coppa del Mondo non ha senso! Peggio ancora, è un abominio! Il Qatar non è un Paese di calcio! Non c’è fervore, non c’è sapore. Un’aberrazione ecologica, con tutti gli stadi climatizzati. Che follia, che stupidità! Ma soprattutto un orrore umano, con migliaia di morti per costruire questi stadi che serviranno solo per divertire il pubblico presente per due mesi. L’unico senso di questo evento – e lo sanno tutti – è il denaro!” 

Dopo il lavoro, i diritti, la socialità e l’ambiente, il capitalismo si è mangiato anche il pallone.

Vedi gli articoli precedenti
Stacks Image 16