Come i funghi
20-01-2012, 22:37anniversari, autoreferenziali, cinema, Lomas, ModenaPermalink(2002-2012)
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Carpi (che è un posto come tutti gli altri)
24-04-2009, 02:2525 aprili, concerti, Lomas, musicaPermalinkForse fan come gli etruschi
(che non hanno mai documentato la loro esistenza)
(che non hanno mai documentato la loro esistenza)
(Incollo da Polaroid): Sabato, 25 aprile, in occasione della Festa della Liberazione del Mattatoio, a Carpi suoneranno i Lomas. Un gruppo di cui ho paura che non sappiate molto.
Ne ho paura perché nel 2009, quando ormai a colpi di google e wiki ci si può fare una cultura di qualsiasi cosa, dei Lomas su Internet non c'è quasi praticamente niente. Tant'è che al Mattatoio mi hanno chiesto il permesso di ripubblicare un vecchio pezzo che avevo scritto io qui. Cosa che, per carità, non può che farmi piacere, ma si trattava della cronaca di un concerto non proprio esaltante, e davvero non è giusto che i Lomas siano ricordati per questo.
Io poi quando parlo di queste cose divento un campanile insopportabile, ma in mancanza di cd (ormai introvabili) e di fonti scaricabili, vi tocca fidarvi: i Lomas sono stati grandi, nel loro punk minimo non minimalista. In un decennio ('90) generalmente mediocre, in cui in mancanza di niente ci siamo affezionati a tanti chissàchi, la voce sconsolata di Fox ci ha fatto intravedere una poetica decente, provinciale senza troppo menarsela, e ci ha tenuto su il morale molto di più di quanto promettesse. Voi poi non potevate sapere, voi eravate persi in cazzate e mancanze di tatto (come si usa qui), ma non è colpa vostra.
Va bene, metto su un esempio, ma chissà se è quello giusto.
Lomas: Tre giorni (1997)
Ne ho paura perché nel 2009, quando ormai a colpi di google e wiki ci si può fare una cultura di qualsiasi cosa, dei Lomas su Internet non c'è quasi praticamente niente. Tant'è che al Mattatoio mi hanno chiesto il permesso di ripubblicare un vecchio pezzo che avevo scritto io qui. Cosa che, per carità, non può che farmi piacere, ma si trattava della cronaca di un concerto non proprio esaltante, e davvero non è giusto che i Lomas siano ricordati per questo.
Io poi quando parlo di queste cose divento un campanile insopportabile, ma in mancanza di cd (ormai introvabili) e di fonti scaricabili, vi tocca fidarvi: i Lomas sono stati grandi, nel loro punk minimo non minimalista. In un decennio ('90) generalmente mediocre, in cui in mancanza di niente ci siamo affezionati a tanti chissàchi, la voce sconsolata di Fox ci ha fatto intravedere una poetica decente, provinciale senza troppo menarsela, e ci ha tenuto su il morale molto di più di quanto promettesse. Voi poi non potevate sapere, voi eravate persi in cazzate e mancanze di tatto (come si usa qui), ma non è colpa vostra.
Va bene, metto su un esempio, ma chissà se è quello giusto.
Lomas: Tre giorni (1997)
La vita è stata in discesa,
ma quando colpisce colpisce pesa, e a caso
e non c'è niente di nuovo, e chi t'ha aspettato
forse non ti aspetta più
e quando andrai tu in salita, e finisce la vita, li vorresti lì
Forse aspetta le scuse, ma da voi non le avrà:
le avrà tardive e confuse, forse lui non s'aspetta più niente
da noi che lo prendemmo in giro in campeggio
nell'ottantotto, ma questa è mancanza di tatto
e io non credo affatto che lui ci crederà
Forse fa come gli etruschi,
che non hanno mai documentato la loro esistenza,
ma non c'è niente di nuovo, e fai senza,
e la vita a volte ha colpito e sconfitto,
e forse ti avrebbe cercato
ma non t'ha più chiamato e mai più chiamerà
Quando sei andato a Caserta nei carristi
lui venne al tuo Giuramento e sarebbe voluto venire con te
ma non sapeva niente,
con certa gente non chiedeva il perché.
Perché era un illuso,
e quando lo avete escluso non lo vedeste più
Ma cos'è che succede qui a Modena: brucia una casa nel centro e nessuno la vede?
E non vede nessuno... e la strada è piena di fumo
Andammo su il giorno prima della festa in piscina
e per tre giorni restammo lì, ma voi non veniste,
ma voi siete persi in cazzate
e mancanze di tatto come si usa qui,
e noi caricammo la vespa con un gran mal di testa
e tornammo giù.
Quando tornammo da un viaggio venimmo ai cortili e incontrammo
la Silvia che ci disse che non c'era niente di nuovo
e che t'ha visto in piazza parlare con Giulio e con Colby
e con Colby passare la sera,
ma lei non c'era e non ci sarà più
Ma cos'è che succede qui a Modena: brucia una casa nel centro e nessuno la vede?
E non vede nessuno... Ma la strada è piena di fumo!
La vita è stata in discesa,
ma quando colpisce colpisce pesa e a caso
e non c'è niente di nuovo e chi ti aspettato
forse non ti aspetta più (sotto casa)
e quando andrai tu in salita, e finisce la vita, li vorresti lì
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11-10-2004, 04:06cantautori, Lomas, musicaPermalink
2 bar
Dietro al banco c'è un mutuo / che il cliente non sa
Lomas, banchi del bar
Al mio paese, che non esiste, ci sono due bar, che per comodità chiameremo.
Il primo è a due isolati da qui, ma per andarci occorre comunque una macchina. Insegna al neon, bancone luminoso, ampia scelta di superalcolici. Molto fumo in giro, fumano tutti, nessun divieto. Niente televisione. La manopola della radio si è ossidata col tempo su un'unica stazione, che manda classici fuori dal tempo cantati da eroi sbattuti con la voce molto roca – in pratica manda solo Tom Waits, tutto il tempo. Il bar si chiama, non potrebbe non chiamarsi, Roxy.
Sotto 35 anni non si entra al Roxy Bar, né serve esibire la patente, le cicatrici bastano. E poi bisogna essere maschi, il Roxy è una fantasia maschile. È il posto dove ci si rilassa verso il tramonto della propria vita spericolata: si raccontano le vecchie storie, i casini da cui siamo saltati fuori, insomma le solite cazzate. Il Roxy è, per dirla tutta, il punto di arrivo: è a due isolati da qui, ma per arrivarci occorre avere fatto il giro del mondo, il periplo delle terre conosciute e no.
In una vecchia storia dei Simpson, Bart sogna una cosa che abbiamo sognato tutti: diventare una rockstar. Ma nel sogno non si sofferma troppo sulla sua ascesi musicale, sulle folle in delirio e sulla vita da backstage: gli preme arrivare subito al dunque. In pratica dopo pochi secondi Bart si vede già in crisi d'astinenza, riverso seminudo su un divano con la bava alla bocca, mentre un Milhaus cappellone lo rimprovera: "Una volta ti facevi solo di musica!" Una volta, già. In quel momento la nuvoletta del sogno scoppia, e Bart esclama: Fico! Questo è il vero sogno dell'aspirante rockstar: non l'ascesa, non il trionfo, ma quel che viene dopo: un viale del tramonto imboccato a duecento all'ora, e poi una strana sopravvivenza. Le rockstar vere sono tutti esseri sovrumani, reduci da stravizi di ogni tipo. Hanno fatto il giro del mondo in lungo e in largo, e ora bevono whisky al roxy bar. Ogni tanto mettono in giro un disco nuovo, rigorosamente simile ai vecchi, giusto per far notare che ce l'hanno fatta, sono sopravissuti, sono eterni.
Ora, la cosa interessante non è che Vasco ci stia speculando più o meno da 15 anni, su questa estetica del sopravvissuto; ma che tutto sommato avesse previsto tutto molto prima, e per giunta a Sanremo, cantando Vita spericolata. Come a dire che in realtà l'hanno fondato dei giovinetti, il Roxy Bar. Scientemente hanno deciso: ora vado, mi sbatto, mi faccio questo e quello, e tra vent'anni se sopravvivo vi offro da bere. Questa, se volete, è un'altra interpretazione degli '80: non ci si distruggeva più per sfondare le porte della percezione ('67) o per autodistruggersi semplicemente ('77), ma per il gusto di diventare protagonisti di una narrazione: ascesi, trionfo, caduta, sopravvivenza. In fondo, il vero gruppo rock del periodo sono stati gli Aerosmith.
L'altro bar sta sotto casa, ci passo più spesso. C'è un flipper, un biliardo, quattro pensionati a un tavolino di briscola, la Gazzetta dello Sport e il Resto del Carlino spiegazzati sul congelatore pieno di ghiaccioli e coppe del nonno. La birra è acquosa, il caffè è buono. Il gestore si chiama Mario. Immaginatevelo come il barista dello spot della Peroni – in realtà si tratta proprio di quel bar, coi suoi personaggi, la vecchina, il vitellone, la coppietta, la cassiera imperiosa, eccetera. Il Bar Mario è un po' come la tv generalista, non ha barriere di ceto o di genere; perlomeno non vorrebbe averne.
Il generalismo è un'utopia molto italiana: nel resto d'Europa i ricchi non entrano nel locale dei poveri, le donne non siedono al bancone degli uomini (lasciate stare le capitali, andate a vedere in provincia). Ma anche qui da noi, mi chiedo fino a che punto il Bar Mario esista davvero, se pure è mai esistito. Forse abbiamo cominciato a sognarlo, nelle canzoni e negli spot, quando è scomparso, quando i giovani hanno preferito i luoghi per giovani e gli anziani il circolo anziani. Salvo sentire gli uni la mancanza degli altri. Il Bar Mario sembra eterno: in realtà è più nuovo del Roxy, è un'idea di 15 anni fa. È il ritorno del quartiere, dopo un periodo in cui non ci si rivolgeva più la parola tra vicini. E il ritorno del dialetto.
Il dialetto, da noi, non era mai scomparso, ma tra '70 e '80 ha vissuto un brutto momento. I genitori lo usavano tra loro, ma ai figli parlavano soltanto in italiano. L'italiano fiammante della tv. E dopo l'italiano sarebbero venute le altre lingue importanti: l'inglese per girare il mondo, il tedesco per fare affari.
Il dialetto è arrivato dopo. È una lingua che non è ammessa al Roxy Bar: i clienti del Roxy sono gli sradicati per eccellenza. Ma i ragazzini degli anni '90 sono andati al bar di Mario a impararlo. È una lingua che non serve a girare il mondo, e in fondo neanche a comunicare: il suo fine principale è farti sentire a casa tua. Questo soprattutto è il Bar Mario: la tua casa. Coi suoi personaggi, sempre più o meno gli stessi.
Roxy Bar e Bar Mario sono due idee della provincia, da due decenni l'un contro l'altro armati, Vasco contro Ligabue, e ora tocca pronunciarsi, scegliere dove vorremmo essere stasera. Forse in nessuno dei due.
Il Roxy, è vero, è più cosmopolita: per arrivarci occorre viaggiare, vivere, stravivere, pentirsi ed eccetera. Mario, per contro, è un ormeggio ideale per un cordone ombelicale: a dodici anni verrai a prendere i ghiaccioli, a venti la birra, a venticinque ci porterai la morosa, a trenta la lascerai a casa e vincerai il primo torneo di pinnacolo, e così via, fino alla pensione.
È un posto più umano, senza dubbio. Mentre il Roxy in fondo è un covo di solitari che la raccontano a sé stessi, da Mario l'atmosfera è più comunitaria. Sennonché alla lunga ti viene a noia quell'aria di casa, quella mutua società di sorveglianza. È una delle cose che mi è piaciute di più di Lavorare con lentezza: il modo in cui un luogo mitico come il bar di periferia si trasforma lentamente in qualcosa di sinistro, i vecchietti con la pipa e il Resto del Carlino smettono di sembrare saggi e inoffensivi, e tutti i personaggi capiscono che è ora di cambiare aria. Quel che m'indispone di Mario è quella parvenza di eternità, quel suo voler abolire la storia, pretendere che tutto andrà sempre così, tanto Mario riapre prima o poi. E sì, verrà un giorno che il vitellone perderà al flipper, "ma per fortuna non oggi".
Alla fine, non vedo perché dovrei vergognarmi a dirlo: entrambi i bar mi hanno un po' stancato. Mi ha stancato l'epica del rocker, quel modo di conquistarsi la gloria a mazzate sul fegato, mi ha rotto Tom Waits, forse anche Capossela, da quando ho un blog grazie al cielo bevo un po' meno. E mi ha stancato anche il circolo di quartiere, la piccola comunità con la sua piccola antropologia, i suoi usi e i suoi costumi. Forse è l'età, forse sono di quelli che invecchiando si trovano un hobby e non escono più di casa. No.
(No, scherzo. In realtà mi troverai in qualsiasi posto tu voglia offrirmi da bere).
Dietro al banco c'è un mutuo / che il cliente non sa
Lomas, banchi del bar
Al mio paese, che non esiste, ci sono due bar, che per comodità chiameremo.
Il primo è a due isolati da qui, ma per andarci occorre comunque una macchina. Insegna al neon, bancone luminoso, ampia scelta di superalcolici. Molto fumo in giro, fumano tutti, nessun divieto. Niente televisione. La manopola della radio si è ossidata col tempo su un'unica stazione, che manda classici fuori dal tempo cantati da eroi sbattuti con la voce molto roca – in pratica manda solo Tom Waits, tutto il tempo. Il bar si chiama, non potrebbe non chiamarsi, Roxy.
Sotto 35 anni non si entra al Roxy Bar, né serve esibire la patente, le cicatrici bastano. E poi bisogna essere maschi, il Roxy è una fantasia maschile. È il posto dove ci si rilassa verso il tramonto della propria vita spericolata: si raccontano le vecchie storie, i casini da cui siamo saltati fuori, insomma le solite cazzate. Il Roxy è, per dirla tutta, il punto di arrivo: è a due isolati da qui, ma per arrivarci occorre avere fatto il giro del mondo, il periplo delle terre conosciute e no.
In una vecchia storia dei Simpson, Bart sogna una cosa che abbiamo sognato tutti: diventare una rockstar. Ma nel sogno non si sofferma troppo sulla sua ascesi musicale, sulle folle in delirio e sulla vita da backstage: gli preme arrivare subito al dunque. In pratica dopo pochi secondi Bart si vede già in crisi d'astinenza, riverso seminudo su un divano con la bava alla bocca, mentre un Milhaus cappellone lo rimprovera: "Una volta ti facevi solo di musica!" Una volta, già. In quel momento la nuvoletta del sogno scoppia, e Bart esclama: Fico! Questo è il vero sogno dell'aspirante rockstar: non l'ascesa, non il trionfo, ma quel che viene dopo: un viale del tramonto imboccato a duecento all'ora, e poi una strana sopravvivenza. Le rockstar vere sono tutti esseri sovrumani, reduci da stravizi di ogni tipo. Hanno fatto il giro del mondo in lungo e in largo, e ora bevono whisky al roxy bar. Ogni tanto mettono in giro un disco nuovo, rigorosamente simile ai vecchi, giusto per far notare che ce l'hanno fatta, sono sopravissuti, sono eterni.
Ora, la cosa interessante non è che Vasco ci stia speculando più o meno da 15 anni, su questa estetica del sopravvissuto; ma che tutto sommato avesse previsto tutto molto prima, e per giunta a Sanremo, cantando Vita spericolata. Come a dire che in realtà l'hanno fondato dei giovinetti, il Roxy Bar. Scientemente hanno deciso: ora vado, mi sbatto, mi faccio questo e quello, e tra vent'anni se sopravvivo vi offro da bere. Questa, se volete, è un'altra interpretazione degli '80: non ci si distruggeva più per sfondare le porte della percezione ('67) o per autodistruggersi semplicemente ('77), ma per il gusto di diventare protagonisti di una narrazione: ascesi, trionfo, caduta, sopravvivenza. In fondo, il vero gruppo rock del periodo sono stati gli Aerosmith.
L'altro bar sta sotto casa, ci passo più spesso. C'è un flipper, un biliardo, quattro pensionati a un tavolino di briscola, la Gazzetta dello Sport e il Resto del Carlino spiegazzati sul congelatore pieno di ghiaccioli e coppe del nonno. La birra è acquosa, il caffè è buono. Il gestore si chiama Mario. Immaginatevelo come il barista dello spot della Peroni – in realtà si tratta proprio di quel bar, coi suoi personaggi, la vecchina, il vitellone, la coppietta, la cassiera imperiosa, eccetera. Il Bar Mario è un po' come la tv generalista, non ha barriere di ceto o di genere; perlomeno non vorrebbe averne.
Il generalismo è un'utopia molto italiana: nel resto d'Europa i ricchi non entrano nel locale dei poveri, le donne non siedono al bancone degli uomini (lasciate stare le capitali, andate a vedere in provincia). Ma anche qui da noi, mi chiedo fino a che punto il Bar Mario esista davvero, se pure è mai esistito. Forse abbiamo cominciato a sognarlo, nelle canzoni e negli spot, quando è scomparso, quando i giovani hanno preferito i luoghi per giovani e gli anziani il circolo anziani. Salvo sentire gli uni la mancanza degli altri. Il Bar Mario sembra eterno: in realtà è più nuovo del Roxy, è un'idea di 15 anni fa. È il ritorno del quartiere, dopo un periodo in cui non ci si rivolgeva più la parola tra vicini. E il ritorno del dialetto.
Il dialetto, da noi, non era mai scomparso, ma tra '70 e '80 ha vissuto un brutto momento. I genitori lo usavano tra loro, ma ai figli parlavano soltanto in italiano. L'italiano fiammante della tv. E dopo l'italiano sarebbero venute le altre lingue importanti: l'inglese per girare il mondo, il tedesco per fare affari.
Il dialetto è arrivato dopo. È una lingua che non è ammessa al Roxy Bar: i clienti del Roxy sono gli sradicati per eccellenza. Ma i ragazzini degli anni '90 sono andati al bar di Mario a impararlo. È una lingua che non serve a girare il mondo, e in fondo neanche a comunicare: il suo fine principale è farti sentire a casa tua. Questo soprattutto è il Bar Mario: la tua casa. Coi suoi personaggi, sempre più o meno gli stessi.
Roxy Bar e Bar Mario sono due idee della provincia, da due decenni l'un contro l'altro armati, Vasco contro Ligabue, e ora tocca pronunciarsi, scegliere dove vorremmo essere stasera. Forse in nessuno dei due.
Il Roxy, è vero, è più cosmopolita: per arrivarci occorre viaggiare, vivere, stravivere, pentirsi ed eccetera. Mario, per contro, è un ormeggio ideale per un cordone ombelicale: a dodici anni verrai a prendere i ghiaccioli, a venti la birra, a venticinque ci porterai la morosa, a trenta la lascerai a casa e vincerai il primo torneo di pinnacolo, e così via, fino alla pensione.
È un posto più umano, senza dubbio. Mentre il Roxy in fondo è un covo di solitari che la raccontano a sé stessi, da Mario l'atmosfera è più comunitaria. Sennonché alla lunga ti viene a noia quell'aria di casa, quella mutua società di sorveglianza. È una delle cose che mi è piaciute di più di Lavorare con lentezza: il modo in cui un luogo mitico come il bar di periferia si trasforma lentamente in qualcosa di sinistro, i vecchietti con la pipa e il Resto del Carlino smettono di sembrare saggi e inoffensivi, e tutti i personaggi capiscono che è ora di cambiare aria. Quel che m'indispone di Mario è quella parvenza di eternità, quel suo voler abolire la storia, pretendere che tutto andrà sempre così, tanto Mario riapre prima o poi. E sì, verrà un giorno che il vitellone perderà al flipper, "ma per fortuna non oggi".
Alla fine, non vedo perché dovrei vergognarmi a dirlo: entrambi i bar mi hanno un po' stancato. Mi ha stancato l'epica del rocker, quel modo di conquistarsi la gloria a mazzate sul fegato, mi ha rotto Tom Waits, forse anche Capossela, da quando ho un blog grazie al cielo bevo un po' meno. E mi ha stancato anche il circolo di quartiere, la piccola comunità con la sua piccola antropologia, i suoi usi e i suoi costumi. Forse è l'età, forse sono di quelli che invecchiando si trovano un hobby e non escono più di casa. No.
(No, scherzo. In realtà mi troverai in qualsiasi posto tu voglia offrirmi da bere).
14-02-2004, 10:07Libera, Lomas, segnalazioniPermalink
Hai preso le gocce?
Poche parole per esprimere un pensiero: stasera i Lomas presentano il loro nuovo cd, naturalmente a Libera (Mo).
Io, siccome vado a Grottammare, non ci sarò, come non sarò alla serata dei polaroidi che mettono su i dischi, né al convegno sui blog a Napoli.
No, ma avete presente certi sabati sera che sembra non ci sia proprio niente di niente da fare al mondo? Tipo sabato scorso? Ecco.
Divertitevi.
Poche parole per esprimere un pensiero: stasera i Lomas presentano il loro nuovo cd, naturalmente a Libera (Mo).
Io, siccome vado a Grottammare, non ci sarò, come non sarò alla serata dei polaroidi che mettono su i dischi, né al convegno sui blog a Napoli.
No, ma avete presente certi sabati sera che sembra non ci sia proprio niente di niente da fare al mondo? Tipo sabato scorso? Ecco.
Divertitevi.
03-02-2004, 02:19cantare, Emilia paranoica, Lomas, Modena, musica, provinciaPermalink
Chiedo scusa a quelli che questo pezzo l'hanno letto ieri su Polaroid, ma ho pensato che non succede niente se lo metto anche qui.
Sai che c’è? C’è che non va
Sabato sera i Lomas hanno suonato al TPO di Bologna. Non lo sapevate e non vi siete persi un granché.
Io l’ho saputo e ci sono andato, perché amo i Lomas e i loro pezzi. Cioè, “amo” è un po’ forte da dire a persone che hanno la barba (e i basettoni). Dirò allora che gli “voglio bene”. Sì: “voglio bene” va benissimo. Io voglio un gran bene ai Lomas e ai loro pezzi. A volte mi chiedo come sia possibile, da un punto di vista meramente statistico, che l’unico gruppo italiano degli anni ’90 a cui non abbia smesso di voler bene sia proprio nato a pochi km da casa mia (e non sia mai andato molto più in là).
Bisogna ricordarsi che nei ’90 la via Emilia era… “trendy” non mi sembra la parola adatta, eh? Assolutamente. Direi piuttosto che la Via Emilia era molto pompata… esclusivamente sulla Via Emilia. Sulla via Emilia c’erano scrittori, musicisti, filmaker, artisti, giornalisti, che non facevano che parlare di scrittori, musicisti, filmaker, artisti, giornalisti sulla Via Emilia. La cosa poteva andare avanti all’infinito e mi dava una certa nausea. Sulle Feltrinelli della Via Emilia, io trovavo libri di scrittori della Via Emilia: li aprivo, mi mettevo a leggere e… rimettevo il libro al suo posto, perché si parlava di una ragazza che anch'io avevo incontrato, mentre passeggiava per la Via Emilia, e allora, insomma, mi suonava tutto così incestuoso.
Che poi, d’accordo, in teoria saremmo la regione più europea d’Italia “per offerta culturale”, ma in pratica finiamo per andare sempre negli stessi posti a fare le stesse cose: in dieci anni di consumo culturale ci siamo praticamente conosciuti tutti, ma proprio tutti, e non sto parlando di sei gradi di separazione. Per tacere del groviglio di relazioni sentimentali e sessuali che, ecco, appunto, taciamone.
I Lomas, in tutto questo? Apparentemente c’erano dentro fino al collo. Basta leggere i titoli delle loro tre raccolte: “Modena, stazione di Modena per Carpi Suzzara Mantova si cambia”; “Porci Ceramiche”; “Mutina Punkae Lomas”; “0.5.9. 1.9.9.8”. Bisogna aggiungere che 059 è il prefisso di Modena, che i suini e le ceramiche sono il principale contributo modenese al Prodotto Interno Lordo, che Carpi-Suzzara-Mantova sono le uniche coincidenze su cui l’altoparlante della Stazione FS tenga informati, da epoche immemori, i viaggiatori? Tutto questo però può suonare incomprensibile se abiti appena a… a… Casumaro.
E se i titoli degli album non ti hanno convinto, prendiamo quelli delle canzoni: “Elena Morselli”, “Claudio Bellei”: sembra l’appello di una scuola media di Bomporto. (Non sto scherzando, io ho fatto e faccio le medie di Bomporto e avevo un compagno che si chiamava così). Però tutto questo localismo secondo me era riscattato da una cosa: i Lomas erano bravi. Di un tipo di bravura che non c’entra tantissimo col saper usare gli strumenti, quanto nel saper cogliere problemi universali con un linguaggio semplicissimo e divertente. Questo è il dono dei classici. E i Lomas, per me, sono dei classici.
Credo che non lo siano soltanto per me, ma per almeno una mezza dozzina di persone, con le quali a volte mi trovo e ci mettiamo a cantare che “dietro un banco c’è un mutuo che il cliente non sa”, oppure “non dire niente, non tacer nemmeno”, oppure “Oh Peggy Peggy uonderbra / non va più lontano di tanto il primo appuntamento”; o anche “lui suona male / ma sei peggio te che non conosci le scale”; oppure “lui verrebbe a prenderti stasera / ma tu trovi sempre un'altra scusa / bussi ma la porta è sempre chiusa / bussi ma nessuno ti aprirà" o anche "e sei tu sei come me non hai mai concluso un cazzo nella vita di concreto / e sei uscito dalle Medie con discreto"; e più spesso “Carpi, che è un posto come tutti gli altri /e sei tu che hai problemi, e non loro”.
E potrei continuare per parecchio, ma temo che mi stia divertendo solo io.
Infatti quelle che ho scritto, che a voi alieni potranno sembrare casualità sconnesse, per noi modenesi sono invece grandi verità della vita, che nessuno ha saputo raccontarci e cantarci meglio dei Lomas. Nessuno, in Italia e forse nel mondo. A me piacciono i Beatles, i Clash, i Lomas. Il resto viene da sé, è una naturale conseguenza: se mi piacciono quelli, mi devono piacere anche gli altri (un sacco di altri).
Poi, naturalmente, mi dispiace che al contrario degli altri due gruppi citati i Lomas non possano essere classici se non per una ristrettissima comunità di persone.
- A volte mi dico che non importa, anzi: i Lomas sono il simbolo di qualcosa di nuovo e importante: la Piccola Proprietà Intellettuale (un po’ come i blog, ogni tanto bisogna parlare un po' di blog). Non importa che tutte le orecchie del mondo ascoltino i Lomas. Ma sarebbe bello che in tutte le piccole città del mondo nascesse un gruppo autoctono e geniale come i Lomas. Prendete le loro canzoni e cambiate i nomi, cambiate i testi, fate quello che vi pare, non credo che s’incazzeranno, e se anche s’incazzano, poi gli passa. Sono anarchici e, se tutti gli anarchici fossero persone ammodo come loro, saremmo anarchici anche noi.
- Altre volte però mi domando se questa ossessione toponomastica non sia stato un po’ un modo per non crescere mai (anche se come uomini sono diventati grandi e lavorano fuori di casa). Varrebbe per loro quello che vale per molti scrittori, musicisti, filmaker, giornalisti sulla Via Emilia: che a furia di parlare di Via Emilia si sono persi sulla Via Emilia, come Pier Vittorio Tondelli quella volta che continuava ad andare avanti e indietro sullo stesso tratto per non perdere il segnale di MondoRadio (cfr. Un Weekend postmoderno). E insomma, quando vi decidete, tutti quanti, a crescere e ad andare per il mondo? (Detta da me, questa frase, è come spiccare un salto per infilare con la testa un cappio al volo. Canestro!).
I Lomas a Bologna sembravano i marziani su Saturno. Fox tra un pezzo e l’altro continuava a dire: “Cioè, ragazzi… noi non vi vediamo, non vi sentiamo, non capiamo chi siete…” Probabilmente aveva ragione lui: non ci si vedeva e non ci si sentiva un cazzo. Ma questo sarebbe stato un problema come tanti sul palco del Left di Tre Olmi, o nella stalla di Libera a Marzaglia, o nel mitico mattatoio X, dove nel 1996 saltò la valvola quand’era pieno di fumo e persone.
A Bologna, invece, i Lomas non credevano semplicemente nella possibilità di comunicare con gli indigeni. E sarò anche stato anche il bere e il mangiare, siam d'accordo, che "dopo duecento birre siamo tutti fratelli, dopo trecento birre abbiamo tutti ragione", però... “Elena Morselli” è diventato un catalogo dei nomi degli istituti superiori modenesi; “Racconti di Modena Est”, senza l’omonimo cortometraggio, un flusso di in-coscienza di Fox. “Tortellino nero” ha funzionato anche, ma in coda nessuno si è accorto che Mucci da dietro i piatti stava cantando il pezzo inedito su Forza Nuova: acustica di merda, siamo d’accordo. Però.
Però non credo che nessun bolognese, davanti al palco, abbia avuto l’impressione che i Lomas cantassero per loro. E invece i Lomas ai bolognesi avrebbero tante cose da dire, secondo me. Non è questione di campanile, di gara a chi ce l’ha più lungo (comunque la Ghirlandina è più lunga): ma l’understatement dei Lomas a Bologna è merce rara, bisognerebbe aprire uno spaccio da qualche parte, e darne via a chili, quintali di understatement sotto i portici bolognesi. Che Bologna è poi un posto come gli altri (e sei tu che hai problemi, e non loro).
L’ho fatta molto lunga, e mi scuso, ma ci tenevo. Il titolo del post è preso da una canzone di Porci Ceramiche, dedicata a un amico che non viene più nel vecchio bar a bere con gli amici perché è diventato una promessa in qualche squadra di calcio locale: “Sai che tutti sanno ormai / che in Serie A tu giocherai / e se la tua squadra perde? / E se perde tornerai”.
I Lomas sono quel tipo di amici lì, per i quali una serata al bar con gli amici vale più di ogni cosa, compresa una folgorante carriera in Serie A. E serata dopo serata, briscola dopo briscola, i loro discorsi cominci a saperli a memoria. E pensi: ma si rendono conto che anche loro, con un po’ di sforzo, se non in Serie A almeno in C1 avrebbero potuto giocarci?
Poi forse hanno ragione loro: l’importante non è quel po’ di gloria che ti trovi per strada: l’importante è bere e mangiare tra amici in un posto ospitale, un banco del bar dove "a volte tiri fuori i tuoi gioielli". Io non lo so. Mi resta il dubbio.
(Se siete curiosi scaricate qui)
Sai che c’è? C’è che non va
Sabato sera i Lomas hanno suonato al TPO di Bologna. Non lo sapevate e non vi siete persi un granché.
Io l’ho saputo e ci sono andato, perché amo i Lomas e i loro pezzi. Cioè, “amo” è un po’ forte da dire a persone che hanno la barba (e i basettoni). Dirò allora che gli “voglio bene”. Sì: “voglio bene” va benissimo. Io voglio un gran bene ai Lomas e ai loro pezzi. A volte mi chiedo come sia possibile, da un punto di vista meramente statistico, che l’unico gruppo italiano degli anni ’90 a cui non abbia smesso di voler bene sia proprio nato a pochi km da casa mia (e non sia mai andato molto più in là).
Bisogna ricordarsi che nei ’90 la via Emilia era… “trendy” non mi sembra la parola adatta, eh? Assolutamente. Direi piuttosto che la Via Emilia era molto pompata… esclusivamente sulla Via Emilia. Sulla via Emilia c’erano scrittori, musicisti, filmaker, artisti, giornalisti, che non facevano che parlare di scrittori, musicisti, filmaker, artisti, giornalisti sulla Via Emilia. La cosa poteva andare avanti all’infinito e mi dava una certa nausea. Sulle Feltrinelli della Via Emilia, io trovavo libri di scrittori della Via Emilia: li aprivo, mi mettevo a leggere e… rimettevo il libro al suo posto, perché si parlava di una ragazza che anch'io avevo incontrato, mentre passeggiava per la Via Emilia, e allora, insomma, mi suonava tutto così incestuoso.
Che poi, d’accordo, in teoria saremmo la regione più europea d’Italia “per offerta culturale”, ma in pratica finiamo per andare sempre negli stessi posti a fare le stesse cose: in dieci anni di consumo culturale ci siamo praticamente conosciuti tutti, ma proprio tutti, e non sto parlando di sei gradi di separazione. Per tacere del groviglio di relazioni sentimentali e sessuali che, ecco, appunto, taciamone.
I Lomas, in tutto questo? Apparentemente c’erano dentro fino al collo. Basta leggere i titoli delle loro tre raccolte: “Modena, stazione di Modena per Carpi Suzzara Mantova si cambia”; “Porci Ceramiche”; “Mutina Punkae Lomas”; “0.5.9. 1.9.9.8”. Bisogna aggiungere che 059 è il prefisso di Modena, che i suini e le ceramiche sono il principale contributo modenese al Prodotto Interno Lordo, che Carpi-Suzzara-Mantova sono le uniche coincidenze su cui l’altoparlante della Stazione FS tenga informati, da epoche immemori, i viaggiatori? Tutto questo però può suonare incomprensibile se abiti appena a… a… Casumaro.
E se i titoli degli album non ti hanno convinto, prendiamo quelli delle canzoni: “Elena Morselli”, “Claudio Bellei”: sembra l’appello di una scuola media di Bomporto. (Non sto scherzando, io ho fatto e faccio le medie di Bomporto e avevo un compagno che si chiamava così). Però tutto questo localismo secondo me era riscattato da una cosa: i Lomas erano bravi. Di un tipo di bravura che non c’entra tantissimo col saper usare gli strumenti, quanto nel saper cogliere problemi universali con un linguaggio semplicissimo e divertente. Questo è il dono dei classici. E i Lomas, per me, sono dei classici.
Credo che non lo siano soltanto per me, ma per almeno una mezza dozzina di persone, con le quali a volte mi trovo e ci mettiamo a cantare che “dietro un banco c’è un mutuo che il cliente non sa”, oppure “non dire niente, non tacer nemmeno”, oppure “Oh Peggy Peggy uonderbra / non va più lontano di tanto il primo appuntamento”; o anche “lui suona male / ma sei peggio te che non conosci le scale”; oppure “lui verrebbe a prenderti stasera / ma tu trovi sempre un'altra scusa / bussi ma la porta è sempre chiusa / bussi ma nessuno ti aprirà" o anche "e sei tu sei come me non hai mai concluso un cazzo nella vita di concreto / e sei uscito dalle Medie con discreto"; e più spesso “Carpi, che è un posto come tutti gli altri /e sei tu che hai problemi, e non loro”.
E potrei continuare per parecchio, ma temo che mi stia divertendo solo io.
Infatti quelle che ho scritto, che a voi alieni potranno sembrare casualità sconnesse, per noi modenesi sono invece grandi verità della vita, che nessuno ha saputo raccontarci e cantarci meglio dei Lomas. Nessuno, in Italia e forse nel mondo. A me piacciono i Beatles, i Clash, i Lomas. Il resto viene da sé, è una naturale conseguenza: se mi piacciono quelli, mi devono piacere anche gli altri (un sacco di altri).
Poi, naturalmente, mi dispiace che al contrario degli altri due gruppi citati i Lomas non possano essere classici se non per una ristrettissima comunità di persone.
- A volte mi dico che non importa, anzi: i Lomas sono il simbolo di qualcosa di nuovo e importante: la Piccola Proprietà Intellettuale (un po’ come i blog, ogni tanto bisogna parlare un po' di blog). Non importa che tutte le orecchie del mondo ascoltino i Lomas. Ma sarebbe bello che in tutte le piccole città del mondo nascesse un gruppo autoctono e geniale come i Lomas. Prendete le loro canzoni e cambiate i nomi, cambiate i testi, fate quello che vi pare, non credo che s’incazzeranno, e se anche s’incazzano, poi gli passa. Sono anarchici e, se tutti gli anarchici fossero persone ammodo come loro, saremmo anarchici anche noi.
- Altre volte però mi domando se questa ossessione toponomastica non sia stato un po’ un modo per non crescere mai (anche se come uomini sono diventati grandi e lavorano fuori di casa). Varrebbe per loro quello che vale per molti scrittori, musicisti, filmaker, giornalisti sulla Via Emilia: che a furia di parlare di Via Emilia si sono persi sulla Via Emilia, come Pier Vittorio Tondelli quella volta che continuava ad andare avanti e indietro sullo stesso tratto per non perdere il segnale di MondoRadio (cfr. Un Weekend postmoderno). E insomma, quando vi decidete, tutti quanti, a crescere e ad andare per il mondo? (Detta da me, questa frase, è come spiccare un salto per infilare con la testa un cappio al volo. Canestro!).
I Lomas a Bologna sembravano i marziani su Saturno. Fox tra un pezzo e l’altro continuava a dire: “Cioè, ragazzi… noi non vi vediamo, non vi sentiamo, non capiamo chi siete…” Probabilmente aveva ragione lui: non ci si vedeva e non ci si sentiva un cazzo. Ma questo sarebbe stato un problema come tanti sul palco del Left di Tre Olmi, o nella stalla di Libera a Marzaglia, o nel mitico mattatoio X, dove nel 1996 saltò la valvola quand’era pieno di fumo e persone.
A Bologna, invece, i Lomas non credevano semplicemente nella possibilità di comunicare con gli indigeni. E sarò anche stato anche il bere e il mangiare, siam d'accordo, che "dopo duecento birre siamo tutti fratelli, dopo trecento birre abbiamo tutti ragione", però... “Elena Morselli” è diventato un catalogo dei nomi degli istituti superiori modenesi; “Racconti di Modena Est”, senza l’omonimo cortometraggio, un flusso di in-coscienza di Fox. “Tortellino nero” ha funzionato anche, ma in coda nessuno si è accorto che Mucci da dietro i piatti stava cantando il pezzo inedito su Forza Nuova: acustica di merda, siamo d’accordo. Però.
Però non credo che nessun bolognese, davanti al palco, abbia avuto l’impressione che i Lomas cantassero per loro. E invece i Lomas ai bolognesi avrebbero tante cose da dire, secondo me. Non è questione di campanile, di gara a chi ce l’ha più lungo (comunque la Ghirlandina è più lunga): ma l’understatement dei Lomas a Bologna è merce rara, bisognerebbe aprire uno spaccio da qualche parte, e darne via a chili, quintali di understatement sotto i portici bolognesi. Che Bologna è poi un posto come gli altri (e sei tu che hai problemi, e non loro).
L’ho fatta molto lunga, e mi scuso, ma ci tenevo. Il titolo del post è preso da una canzone di Porci Ceramiche, dedicata a un amico che non viene più nel vecchio bar a bere con gli amici perché è diventato una promessa in qualche squadra di calcio locale: “Sai che tutti sanno ormai / che in Serie A tu giocherai / e se la tua squadra perde? / E se perde tornerai”.
I Lomas sono quel tipo di amici lì, per i quali una serata al bar con gli amici vale più di ogni cosa, compresa una folgorante carriera in Serie A. E serata dopo serata, briscola dopo briscola, i loro discorsi cominci a saperli a memoria. E pensi: ma si rendono conto che anche loro, con un po’ di sforzo, se non in Serie A almeno in C1 avrebbero potuto giocarci?
Poi forse hanno ragione loro: l’importante non è quel po’ di gloria che ti trovi per strada: l’importante è bere e mangiare tra amici in un posto ospitale, un banco del bar dove "a volte tiri fuori i tuoi gioielli". Io non lo so. Mi resta il dubbio.
(Se siete curiosi scaricate qui)
Comments (6)
21-10-2003, 22:44karaoke esistenziale, Lomas, musicaPermalink
Karaoke Esistenziale, ciak! 3.
Redshift: (It. “spostamento sul rosso”: “l’effetto Doppler ottico è utilizzato in astronomia nello studio di stelle binarie spettroscopiche e nella determinazione della velocità radiale di corpi celesti e di porzioni di materia cosmica, mediante la misurazione dello spostamento verso il rosso (red shift) delle righe dello spettro da questi emesso”. È una prova empirica dell’espansione dell’universo, forse).
È anche una bella canzone dei Lomas:
Ero piccolo e ho chiesto al mio parroco
lumi sull’origine dell’universo:
sapeva tutto! Era solo incerto
sulla data esatta,
e che l’ha fatto Dio,
che era tutto suo,
e neanche un po’ mio.
E anche un po’ dell’aldilà…
Ma ho chiesto a un comunista e m’ha detto: “Basta!
L’universo è sempre esistito,
i pianeti che girano sono di tutti,
la teologia è soltanto un mito,
i pianeti in cui vivono tutti i popoli della galassia
senza la gravità e privi di attrito,
infiniti operai dello spazio infinito…”
Redshift! E la tua vita si sposta sul rosso!
È il cosmo che resta infinito,
mentre tu muori senza averlo capito!
Redshift! Redshift!
[coro:] "Basta!
L’universo è sempre esistito,
i pianeti che girano sono di tutti!
La teologia è soltanto un mito,
E… tutti i popoli che girano in tutti i pianeti della galassia
Senza la gravità e privi di attrito,
infiniti operai dello spazio infinito…"
Telescopi giganti per scrutare le vicissitudini
di un universo esplorato coi razzi,
ma i misteri del cosmo creano imbarazzi…
Redshift!
Redshift! E la tua vita si sposta sul rosso!
È il cosmo che resta infinito,
mentre tu muori senza averlo capito, vai in Redshift! Redshift!
[più piano, adesso:]
Essere umano che conquisti tutto,
mentre ogni cosa si allontana da te
Ci vuoi spiegare i segreti del cosmo,
ma forse ogni cosa si spiega da sola,
si spiega da sé:
l’universo ti vede passare
per pochi istanti,
tu cerchi un motivo,
e forse non c’è.
In questo mondo tutto è già di qualcuno,
non hai niente se non puoi pagare
se non lo puoi difendere armato…
attorno al mondo redshift totale,
(perché perdo sempre, se non sono più forte di te?)
allontanatevi, stelle e pianeti, da me.
Astronauta, hai conquistato la luna,
ci hai piantato sopra la tua bandiera:
ce ne son troppe già sulla terra,
in un mondo che ti priva di tutto, bandiere
e di guerra in posti lontani,
e saran tuoi domani, perché
tu invadi lo spazio, però
stai lontano da me
[ancora più piano, repeat and fade:]
La tua bandiera non piantarla mai su un pianeta,
troppe nel mondo ce n’è:
Io non ho bandiere da piantare,
ma un universo da guardare,
che si allontana ogni giorno più da me...
(Redshift, Lomas, 1998. Dedicata al taikonauta Yang Liwei: La tua bandiera,
non piantarla mai su un pianeta,
troppe nel mondo ce n’è:
Io non ho bandiere da piantare,
ma un universo da guardare,
che si allontana ogni giorno più da me).
Redshift: (It. “spostamento sul rosso”: “l’effetto Doppler ottico è utilizzato in astronomia nello studio di stelle binarie spettroscopiche e nella determinazione della velocità radiale di corpi celesti e di porzioni di materia cosmica, mediante la misurazione dello spostamento verso il rosso (red shift) delle righe dello spettro da questi emesso”. È una prova empirica dell’espansione dell’universo, forse).
È anche una bella canzone dei Lomas:
Ero piccolo e ho chiesto al mio parroco
lumi sull’origine dell’universo:
sapeva tutto! Era solo incerto
sulla data esatta,
e che l’ha fatto Dio,
che era tutto suo,
e neanche un po’ mio.
E anche un po’ dell’aldilà…
Ma ho chiesto a un comunista e m’ha detto: “Basta!
L’universo è sempre esistito,
i pianeti che girano sono di tutti,
la teologia è soltanto un mito,
i pianeti in cui vivono tutti i popoli della galassia
senza la gravità e privi di attrito,
infiniti operai dello spazio infinito…”
Redshift! E la tua vita si sposta sul rosso!
È il cosmo che resta infinito,
mentre tu muori senza averlo capito!
Redshift! Redshift!
[coro:] "Basta!
L’universo è sempre esistito,
i pianeti che girano sono di tutti!
La teologia è soltanto un mito,
E… tutti i popoli che girano in tutti i pianeti della galassia
Senza la gravità e privi di attrito,
infiniti operai dello spazio infinito…"
Telescopi giganti per scrutare le vicissitudini
di un universo esplorato coi razzi,
ma i misteri del cosmo creano imbarazzi…
Redshift!
Redshift! E la tua vita si sposta sul rosso!
È il cosmo che resta infinito,
mentre tu muori senza averlo capito, vai in Redshift! Redshift!
[più piano, adesso:]
Essere umano che conquisti tutto,
mentre ogni cosa si allontana da te
Ci vuoi spiegare i segreti del cosmo,
ma forse ogni cosa si spiega da sola,
si spiega da sé:
l’universo ti vede passare
per pochi istanti,
tu cerchi un motivo,
e forse non c’è.
In questo mondo tutto è già di qualcuno,
non hai niente se non puoi pagare
se non lo puoi difendere armato…
attorno al mondo redshift totale,
(perché perdo sempre, se non sono più forte di te?)
allontanatevi, stelle e pianeti, da me.
Astronauta, hai conquistato la luna,
ci hai piantato sopra la tua bandiera:
ce ne son troppe già sulla terra,
in un mondo che ti priva di tutto, bandiere
e di guerra in posti lontani,
e saran tuoi domani, perché
tu invadi lo spazio, però
stai lontano da me
[ancora più piano, repeat and fade:]
La tua bandiera non piantarla mai su un pianeta,
troppe nel mondo ce n’è:
Io non ho bandiere da piantare,
ma un universo da guardare,
che si allontana ogni giorno più da me...
(Redshift, Lomas, 1998. Dedicata al taikonauta Yang Liwei: La tua bandiera,
non piantarla mai su un pianeta,
troppe nel mondo ce n’è:
Io non ho bandiere da piantare,
ma un universo da guardare,
che si allontana ogni giorno più da me).