scusa se ti chiamo Kitsch

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Qualche metro sopra Moccia

Caro Sandrone Dazieri,

Complimenti per il blog, che trovo interessante e scritto bene. Però la tua difesa dei “romanzi di Moccia” non m’ha troppo convinto.

i romanzi di Moccia, e quindi Moccia autore, hanno un enorme pregio: hanno fatto leggere una generazione di non lettori: prima le ragazze, poi i ragazzi, forse un po’ costretti dalle fidanzate.
Grazie ai suoi libri centinaia di migliaia di adolescenti che non avevano mai messo piede in una rivendita di libri, se non per ordinare con disgusto e fatica i testi scolastici, hanno cominciato a frequentare librerie, centri commerciali, remainders. Hanno cominciato a scoprire il gusto per una cosa difficile come isolarsi dal resto del mondo, senza playstation e senza chat, senza televisione, senza la compagnia degli amici, “solo” per leggere. Per immaginare, per sognare, per soffrire attraverso la carta stampata. Vi pare niente?


Non saprei, perché io – a differenza di te – Moccia proprio non l’ho letto. Per quel che ne so potrebbe essere l’autentico Shakespeare della mia generazione, e ne sarei felice (ma coi Romei e le Giuliette basta, grazie). Eppure questa tua difesa d’ufficio della lettura, di qualsiasi tipo di lettura, mi spaventa. Da quel che scrivi si direbbe che “isolarsi dal resto del mondo… solo per leggere” sia comunque un’esperienza positiva. Indipendentemente dai contenuti. Quel che scrive Moccia non ti piace; ma se è servito a “immaginare, sognare, soffrire attraverso la carta stampata”, va bene. I contenuti arriveranno.

Questo è il punto: arriveranno? Nel finale tu tiri fuori un argomento a doppio taglio: le mamme.

chi disprezza i romanzi d’amore, si ricordi che è stato grazie ai paperback con cuori infranti e aviatori romantici che un’intera generazione di donne dei ceti meno abbienti ha cominciato a leggere. Le nostre nonne, le nostre madri. Moccia sta facendo lo stesso con i nostri figli. Se qualcuno di loro comincera’ un giorno a leggere Ellroy, De Lillo o Sciascia, lo dovremo anche a lui.

Ecco, queste mamme che sono arrivate a Ellroy partendo da Liala francamente non le conosco. Naturalmente ho un’esperienza limitata – la mia per esempio è arrivata a Dick, ma partiva da autori popolari ma già più problematici, come Asimov. Invece ho il grosso dubbio che chi sia partito da Liala – senza fuggirne via immediatamente – sia rimasto a Liala: nel corso delle decadi naturalmente è cambiato lo stile delle copertine e la consistenza della carta, sono cambiati i nomi degli autori e dei personaggi, sono state introdotte scene di sesso e scene di shopping; però in sostanza il modello è rimasto quello. E la domanda rimane la stessa: isolarsi dal mondo per leggere un romanzo rosa, o di chick-lit, come la chiamano oggi, è comunque un’esperienza positiva? Un propedeutico a Proust o a Musil? E se invece fosse, più semplicemente, un ghetto?

Anch'io credo che la lettura sia importante, ma non qualsiasi lettura. Francamente non so se Moccia sia una lettura buona o cattiva, ma presumo che esistano letture “cattive”. Libri che impoveriscono chi li legge, sia dal punto di vista dei contenuti che dal punto di vista della lingua. Libri che rinchiudono i loro lettori invece di aprire i loro orizzonti: esattamente come esiste una musica che impoverisce chi la ascolta. Non mi sognerei mai di consigliare a un adolescente i successi di Bob Sinclair perché sono pur sempre meglio del silenzio, e poi piano piano arriverà a Mozart. No. Avrei paura di diseducargli l’orecchio in una fase delicata della sua crescita, a rischio di allontanarlo per sempre da Mozart. Allo stesso modo, anche se credo che alcuni videogiochi siano un’esperienza intellettuale e formativa, non gli permetterei di passare giornate intere con uno sparatutto, perché è sempre meglio di non avere la playstation accesa. Sarebbe un ragionamento delirante.

Ma è lo stesso ragionamento che tu fai con la lettura: piuttosto di non leggere niente, lasciate che leggano Moccia. Certo, ci sarà chi da Moccia passerà a Tolstoj o Kafka. Ma temo che siano le stesse persone che a Kafka ci sarebbero arrivate anche passando da Calvino. Gente che vive in case piene di libri, che possono incontrare quando vogliono.

E invece ci sono ragazzini che nella vita avranno l’opportunità per scontrarsi con un libro soltanto una o due volte; e se quel libro è povero, c’è il rischio che l’avventura finisca lì. Davvero un libro povero può far venire voglia di leggerne uno ricco? Un pacchetto di patatine industriale mi fa venire voglia di aragosta? Non lo so. Ho solo il sospetto che le cose siano più complesse.
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