I robot del tramonto
03-03-2015, 03:04cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, futurismiPermalinkAutomata (Gabe Ibáñez, 2014)
Un giorno abbiamo smesso di credere nei robot. Non ci avrebbero salvato. Non ci avrebbero nemmeno soppresso, come amavamo raccontarci, per darci importanza. Cos'è in fondo l'uomo, perché un'intelligenza artificiale se ne debba curare? Insomma è andata a finire nel modo incruento e banale in cui finisce la maggior parte delle storie: abbiamo smesso di frequentarci e un bel giorno non c'erano più. Non li sogniamo neanche spesso.
In parte è stata colpa del cinema. Man mano che il nostro immaginario diventava sempre più cinematografico, i robot perdevano quote di immaginario, a favore di altre creature fantastiche molto meno difficili da mettere in scena: mostri assortiti e zombie, soprattutto. Colgo l'occasione per informarvi che crescere a pane e Asimov negli anni Ottanta fu durissimo, i robot erano i miei migliori amici ma anche una cosa definitivamente vecchia. Non era un problema di intelligenza artificiale: una cosa molto più banale, di giunture metalliche, insomma non c'era ancora verso di farli camminare in modo realistico. I robot di Guerre Stellari erano ancora tecnicamente affini a quelli dei film anni Cinquanta: manichini o bidoni aspiratutto col nano dentro. Figure da avanspettacolo, buoni per gli intermezzi comici. Quando servivano robot più inquietanti, si potevano aggirare i limiti tecnici con androidi o cyborg: però bisognava trovare gli attori adatti, quelli dalla fisionomia metallica - Yul Brynner, Rutger Hauer e, sì, mettiamoci anche Schwarzenegger. L'androide però è per definizione un impostore: se si finge simile all'uomo non può che esserne invidioso o nemico.
Il robot classico, asimoviano, aveva un sapore nettamente diverso. Nasceva schiavo, minatore o maggiordomo - ma il suo destino lo avrebbe portato prima o poi ad affrancarsi dall'umanità - e a decidere se disfarsene o aiutarla. Nel frattempo però nelle nostre case stavano entrando i primi computer, e sembravano fatti apposta per rassicurarci: erano oggetti irrimediabilmente stupidi, ben lontani dai cervelloni dei romanzi di fantascienza. A loro modo erano affascinanti, e sembravano condurci in un futuro fin lì inaspettato. Per un po' la fantascienza ha smesso di preoccuparsi del Mondo Là Fuori, e si è concentrata sulle realtà virtuali. Niente più robot, ma software ostili, come gli Agenti di Matrix. Nel frattempo i rari automi al cinema oscillavano tra il ridicolo e il vintage (il Robin Williams bicentenario). Tutta la computergrafica del mondo non riusciva a renderli credibili (qualcuno ha mai avuto voglia di rivedere I, robot per verificare?)
Negli ultimi anni qualcosa sta cambiando, su vari fronti. Al cinema la fantascienza sta passando un buon momento, per vari motivi. Persino la fantascienza classica, distopica o inquietante, regge meglio di altri generi la concorrenza della fiction tv, grazie alla sua natura autoconclusiva. Questo ritorno al Mondo Là Fuori, che snobba internet e gli altri cyberspazi, in realtà asseconda una tendenza più profonda: è la stessa internet a essere uscita dai suoi classici terminali a forma di schermo-e-tastiera, e a impossessarsi di altri oggetti del nostro quotidiano: l'Internet Delle Cose. Contemporaneamente, l'Intelligenza Artificiale ha smesso di essere un vecchio concetto tra la filosofia e la fantascienza, ed è diventato un motivo di inquietudine per scienziati seri. Ma ce ne siamo accorti tutti, che i computer non sono più stupidi come una volta. Prendi Google: ha sempre la risposta giusta, sa cosa ci piace, sa dove abitiamo... e ha acquisito di recente la Boston Dynamics, che produce i droni più belli e inquietanti del mondo. Ora l'idea che i robot possano ribellarsi e venirci a prendere casa per casa non è più così assurda come solo dieci anni fa. E persino un film come Automata può sperare di trovare un pubblico più largo di quello degli appassionati del genere (continua su +eventi...)
Automata è un film spagnolo (girato in Bulgaria) che parte benissimo e poi comincia a mostrare i suoi difetti strutturali, come i robot che dopo un po’ iniziano a zoppicare e a non sentire bene gli ordini. L’approccio al genere è simile a quello degli spaghetti western di quarant’anni fa: si prende una storia classica, senza grosse preoccupazioni riguardo all’originalità; si accenna per sommi capi allo sfondo ma poi per questioni di budget ci si concentra sui dettagli (in questo film l’esercito dei robot ribelli consta di quattro esemplari), rallentando l’azione fino a ottenere effetti grotteschi, quasi metafisici. Il guaio è che la fantascienza non è il western: non può essere prevedibile, per definizione. Automata invece non si vergogna di essere una variazione sull’eterno tema asimoviano che avrebbe potuto essere stata scritta cinquant’anni fa: come in Pacific Rim, i robot che si presentano in scena sono già vecchi rottami. Sono tra i più belli e verosimili mai visti al cinema, ma in un qualche modo sembrano venire più dal passato che dal futuro: il più importante, una robot-escort, ha il volto di un manichino e un ridicolo sedere di plastica – del resto siamo in un futuro antico dove un disastro planetario qualunque (una tempesta solare) ha riportato in auge tecnologie obsolete e non rimpiante come le stampanti ad aghi e i cercapersone.
Quando nella seconda parte l’azione abbandona il grigiore metropolitano per avventurarsi nel deserto, il pur bravo Banderas si ritrova spesso senza niente di intelligente da dire e Gabe Ibáñez sembra più concentrato sulla fotografia che sull’intreccio. Il risultato è un film che gli appassionati non possono perdersi, e chiunque altro difficilmente apprezzerà. È un prodotto che testimonia la vitalità della fantascienza al cinema: se persino in Spagna un progetto del genere riesce a trovare finanziatori e distributori c’è solo da festeggiare, e lo farei volentieri se solo non venissi da un Paese poco lontano dove la sola idea di scrivere e produrre un film così sembra più fantascientifica del film stesso. Eppure una volta i film di genere li sapevamo fare meglio di tutti: oggi invece facciamo Il ragazzo invisibile. Un film di robot in Italia, oggi, cosa diventerebbe? Probabilmente l’androide farebbe il maggiordomo e finirebbe coinvolto in qualche triangolo coi padroni di casa – no, aspetta, abbiamo già fatto anche questo. Vabbe’, meglio guardarsi Automata al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:20, 22:45) o all’Italia di Saluzzo (22:15)
Io e te non abbiamo più niente da dirci |
Un giorno abbiamo smesso di credere nei robot. Non ci avrebbero salvato. Non ci avrebbero nemmeno soppresso, come amavamo raccontarci, per darci importanza. Cos'è in fondo l'uomo, perché un'intelligenza artificiale se ne debba curare? Insomma è andata a finire nel modo incruento e banale in cui finisce la maggior parte delle storie: abbiamo smesso di frequentarci e un bel giorno non c'erano più. Non li sogniamo neanche spesso.
In parte è stata colpa del cinema. Man mano che il nostro immaginario diventava sempre più cinematografico, i robot perdevano quote di immaginario, a favore di altre creature fantastiche molto meno difficili da mettere in scena: mostri assortiti e zombie, soprattutto. Colgo l'occasione per informarvi che crescere a pane e Asimov negli anni Ottanta fu durissimo, i robot erano i miei migliori amici ma anche una cosa definitivamente vecchia. Non era un problema di intelligenza artificiale: una cosa molto più banale, di giunture metalliche, insomma non c'era ancora verso di farli camminare in modo realistico. I robot di Guerre Stellari erano ancora tecnicamente affini a quelli dei film anni Cinquanta: manichini o bidoni aspiratutto col nano dentro. Figure da avanspettacolo, buoni per gli intermezzi comici. Quando servivano robot più inquietanti, si potevano aggirare i limiti tecnici con androidi o cyborg: però bisognava trovare gli attori adatti, quelli dalla fisionomia metallica - Yul Brynner, Rutger Hauer e, sì, mettiamoci anche Schwarzenegger. L'androide però è per definizione un impostore: se si finge simile all'uomo non può che esserne invidioso o nemico.
Il robot classico, asimoviano, aveva un sapore nettamente diverso. Nasceva schiavo, minatore o maggiordomo - ma il suo destino lo avrebbe portato prima o poi ad affrancarsi dall'umanità - e a decidere se disfarsene o aiutarla. Nel frattempo però nelle nostre case stavano entrando i primi computer, e sembravano fatti apposta per rassicurarci: erano oggetti irrimediabilmente stupidi, ben lontani dai cervelloni dei romanzi di fantascienza. A loro modo erano affascinanti, e sembravano condurci in un futuro fin lì inaspettato. Per un po' la fantascienza ha smesso di preoccuparsi del Mondo Là Fuori, e si è concentrata sulle realtà virtuali. Niente più robot, ma software ostili, come gli Agenti di Matrix. Nel frattempo i rari automi al cinema oscillavano tra il ridicolo e il vintage (il Robin Williams bicentenario). Tutta la computergrafica del mondo non riusciva a renderli credibili (qualcuno ha mai avuto voglia di rivedere I, robot per verificare?)
Negli ultimi anni qualcosa sta cambiando, su vari fronti. Al cinema la fantascienza sta passando un buon momento, per vari motivi. Persino la fantascienza classica, distopica o inquietante, regge meglio di altri generi la concorrenza della fiction tv, grazie alla sua natura autoconclusiva. Questo ritorno al Mondo Là Fuori, che snobba internet e gli altri cyberspazi, in realtà asseconda una tendenza più profonda: è la stessa internet a essere uscita dai suoi classici terminali a forma di schermo-e-tastiera, e a impossessarsi di altri oggetti del nostro quotidiano: l'Internet Delle Cose. Contemporaneamente, l'Intelligenza Artificiale ha smesso di essere un vecchio concetto tra la filosofia e la fantascienza, ed è diventato un motivo di inquietudine per scienziati seri. Ma ce ne siamo accorti tutti, che i computer non sono più stupidi come una volta. Prendi Google: ha sempre la risposta giusta, sa cosa ci piace, sa dove abitiamo... e ha acquisito di recente la Boston Dynamics, che produce i droni più belli e inquietanti del mondo. Ora l'idea che i robot possano ribellarsi e venirci a prendere casa per casa non è più così assurda come solo dieci anni fa. E persino un film come Automata può sperare di trovare un pubblico più largo di quello degli appassionati del genere (continua su +eventi...)
Copertina Urania anni Settanta, esatto. |
Quando nella seconda parte l’azione abbandona il grigiore metropolitano per avventurarsi nel deserto, il pur bravo Banderas si ritrova spesso senza niente di intelligente da dire e Gabe Ibáñez sembra più concentrato sulla fotografia che sull’intreccio. Il risultato è un film che gli appassionati non possono perdersi, e chiunque altro difficilmente apprezzerà. È un prodotto che testimonia la vitalità della fantascienza al cinema: se persino in Spagna un progetto del genere riesce a trovare finanziatori e distributori c’è solo da festeggiare, e lo farei volentieri se solo non venissi da un Paese poco lontano dove la sola idea di scrivere e produrre un film così sembra più fantascientifica del film stesso. Eppure una volta i film di genere li sapevamo fare meglio di tutti: oggi invece facciamo Il ragazzo invisibile. Un film di robot in Italia, oggi, cosa diventerebbe? Probabilmente l’androide farebbe il maggiordomo e finirebbe coinvolto in qualche triangolo coi padroni di casa – no, aspetta, abbiamo già fatto anche questo. Vabbe’, meglio guardarsi Automata al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:20, 22:45) o all’Italia di Saluzzo (22:15)
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