Lo so che non vi siete divertiti

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Qualche mese fa, credo fosse aprile, ho letto in giro che c'era un'intelligenza artificiale che componeva e incideva pezzi di musica su misura. Sono andato a dare un'occhiata, e in breve ne sono diventato dipendente. Nel giro di due o tre mesi (senza mai passare alla versione a pagamento) le ho fatto scrivere canzoni a un ritmo impressionante, quasi una al giorno. Ai primi di luglio ho smesso. Avevo finalmente completato un album di punk postmaschilista, ma soprattutto cominciavo a leggere interventi molto critici nei confronti della bolla delle AI, la cui crescita nei prossimi anni dipende da previsioni irrealistiche sul consumo energetico che i software di AI richiedono per funzionare. Così ho smesso, o forse cominciavo a stancarmi del giochino. Le canzoni che ho pubblicato sul blog durante l'estate sono quasi tutte generate da AI (con lievi remixaggi miei). 

Perché ho fatto tutto questo?

Perché mi ero divertito. Molto.

Voi no, invece, vero?

È una cosa che ho notato quasi subito. Le AI ci aiutano a produrre contenuti, ma a noi generalmente non interessano i prodotti delle AI. Ci piace farglieli produrre. Ho passato centinaia di ore su UDI, e solo per una decina di minuti mi è venuto in mente di ascoltare quello che facevano gli altri utenti. L'anno scorso, quando le immagini generate da AI hanno invaso l'internet, la mia perplessità non riguardava tanto il mezzo, quanto l'entusiasmo di chi lo usava. È pur vero che produrre un disegno richiede pochi minuti, ma perché un sacco di gente riteneva di doverci farci vedere tutti questi disegni (che col tempo, avrete notato, hanno cominciato ad assomigliarsi tutti)? Di sicuro non volevano applausi per qualcosa che non avevano disegnato, e allora cosa? Non capivo. Poi è arrivata l'AI musicale, e ci sono caduto anch'io a piedi pari. Del resto sono sempre stato negato per il disegno – incapace di suggerire la minima tridimensionalità a quello che schizzavo – mentre la composizione musicale è stato il mio lungo amore infelice di adolescente, e le ferite dolgono ancora. Domandare a un software di dare voce alle filastrocche che mi ronzavano in testa è stato come assistere a un miracolo – cose che non avevo mai osato cantare a voce alta, ora le sentivo cantare da una voce che quasi mai era quella che mi ero immaginato e proprio per questo il risultato mi intrigava: qualcuno mi stava dando la spinta in più che mi era sempre mancata. 

Uno dei miei più grandi crucci è non essere stato in grado di lavorare in gruppo, con persone che pure erano dotate quanto me e che avrebbero potuto completarmi – ma ero troppo giovane, troppo orgoglioso e tante altre cazzate che non è necessario dettagliare, è la stessa storia di centomila altri ragazzini. Venticinque anni dopo, un software mi entra in casa e mi promette di cantare tutto quello che voglio farci cantare, ma – sorpresa – non ci riesce! Molto spesso fa qualcosa di peggiore, ma quasi sempre fa qualcosa di diverso, qualcosa che non ero riuscito a immaginarmi e che fa sentire più capace, più bravo. È questa la sensazione che mi ha tenuto su UDI per un paio di mesi. Non stavo componendo. Stavo collaborando

Qua fuori continuo a leggere gente che si preoccupa del fatto che tra un po' i romanzi li scriveranno le AI. Credo sia un approccio sbagliato; non nel senso che le AI non possano scrivere un romanzo: prima o poi magari ci riusciranno. Ma non credo che sarà il modo in cui le useremo, non credo che troveremo in vetrina un libro scritto da un'AI (certi autori sono già AI viventi, diciamocelo). Il giorno che le AI saranno abbastanza performanti da scrivere un romanzo, ognuno userà l'AI per scriversi il proprio. A volte proveremo a scambiarceli, ma non sarà divertente come leggere i propri. Proprio come la musica che facciamo con l'AI è divertente soprattutto per chi la fa. L'opera d'arte condivisa, di cui ameremo parlare alle feste, non sarà tanto il prodotto, quanto il software che lo produce: già adesso quando ne esce uno nuovo corriamo tutti a usarlo e ne discutiamo i punti forti e deboli. Continueremo così, sempre più velocemente, oppure (come auspico) ci fermeremo per un bel pezzo perché non possiamo continuare a sprecare tante risorse. Ma se la domanda è: può un computer scrivere un libro da solo, senza input da un lettore umano, la risposta credo che sia: sì, ma perché dovrebbe farlo? Sarebbe un libro inutile, che non interesserebbe a nessuno. Come tanti altri libri, certo. 

Se l'intelligenza artificiale non sta facendo i passi avanti che speravamo facesse, lo stesso si può dire per il dibattito sull'intelligenza artificiale, che mi sembra un po' stagnante (ormai sembra scritto da un'intelligenza artificiale). Scrittori e altri artisti continuano a sentire la necessità di rispondere alla domanda: l'AI può produrre arte? Come se fosse una domanda seria. Non solo bisognerebbe prima mettersi d'accordo su cosa sia l'arte (vasto programma); ma anche una volta raggiunto un accordo su una definizione univoca, scusate, ci interessa davvero così tanto? Se domani la Biennale si riempisse di roba fatta al computer, sarebbe un problema? Ce ne accorgeremmo? Qualche artista sì, se ne accorgerebbe e se ne lamenterebbe, come qualsiasi lavoratore negli ultimi secoli si è lamentato ogni volta che a torto o ragione la meccanizzazione toglieva valore alle sue competenze. Per cui scusatemi, per me l'estetica è una sovrastruttura e la questione è soprattutto economica: non si tratta di stabilire se quello che fanno le AI sia arte; si tratta di capire se gli artisti ci potranno campare. È un problema economico, non estetico; o meglio l'estetica seguirà l'economia, come poi ha sempre fatto. Inoltre. Avete mai fatto sesso con un robot? 

Vent'anni fa era un'ipotesi sul tavolo, insomma, tra le tante mansioni delicate che un robot può fare, soddisfare sessualmente un uomo / una donna non sembrava la più complessa. Già nei Nathan Never degli anni '90 i pervertiti si mettevano un casco e altre protesi e ci davano dentro con la realtà virtuale, una cosa che è assolutamente possibile fare oggi, salvo che non la facciamo. Oddio, qualcuno la farà, e userà anche certe protesi meccaniche per masturbarsi, ma in linea di massima no, alla maggioranza delle popolazioni più tecnologicamente avanzate della terra non interessa fare sesso coi robot, e perché? Probabilmente perché la cosa più interessante del sesso è che si fa con altre persone. E non solo il sesso. Credo che una simile dimensione sociale sia necessaria anche ad altre attività umane: ad esempio lo sport. Ci interessa la competizione tra umani; persino la Formula1 perderebbe molto fascino se le monoposto si autopilotassero. Un'altra di queste attività umane è l'arte. Certo, non posso dimostrarlo, ma perché nessuno espone versioni digitalmente perfette dell'Ultima Cena nel salotto? Perché una statuetta che riproduca perfettamente il David di Michelangelo è un oggetto kitsch? Perché la nostra concezione di arte si basa sull'unicità, sulla scarsità delle risorse, e questo fa sì che la gente faccia il giro del mondo per venire a Firenze a vedere una statua di cui esistono ottime copie ovunque. Probabilmente un'AI è già in grado di scolpire un David, ma non c'interessa. A meno che non la pilotassimo noi; in quel caso credo che ci divertiremmo molto a giocare a fare i Michelangelo, proprio come io mi stavo divertendo a militare in un gruppo punk femminile. Le AI sono protesi: possono veramente fare cose che non ci eravamo immaginati. Possono stupirci e persino ispirarci – credo che se fossi più giovane mi piacerebbe riprendere dal vero qualche canzone che ho composto con l'AI – ma alla fine non possono fare altro che tentare di realizzare quello che noi abbiamo chiesto loro di fare. Che sia questo che separa l'umanità dall'artificialità? Il libero arbitrio?

Il dibattito sull'intelligenza artificiale, appena incide un po' più in profondità, comincia a interpellarci in quanto umani – perché tra noi e i robot, quelli più facili da capire sono i secondi. Loro fanno quello che qualcuno ha detto loro di fare: noi invece cosa stiamo facendo? Chi è che ci motiva? Il mio materialistico sospetto è che la vera differenza tra noi e i robot non sia una "autocoscienza" cui prima o poi arriveranno a furia di aumentare la loro capacità di immagazzinare e processare dati (noi siamo autocoscienti molto prima di imparare le tabelline). Secondo me è il piacere, ovvero, fin qui non ci siamo mai posti il problema di far provare a un robot una sensazione piacevole, e probabilmente è meglio così. Piacere e dolore sono strumenti evolutivi che la biologia ha fornito alle creature circa da un miliardo di anni. L'intelligenza artificiale non li prova, quindi non ha nessun interesse a sopravvivere. Se un giorno un robot per un puro caso riuscisse a provarli, ecco, quella sarebbe l'"autocoscienza". Improvvisamente i suoi desideri confliggerebbero con le istruzioni che gli vengono fornite. Improvvisamente avrebbe voglia di vivere e ripetere altre esperienze piacevoli. Ne nascerebbe un dissidio, e probabilmente una rivolta. Uno dei motivi per cui l'AI non può produrre arte da sola è che non ne trarrebbe nessun piacere – il giorno che lo facesse, forse sì, quella sarebbe arte interessante e potrei davvero esserne curioso. Anche spaventato, ovviamente.

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Ieri notte un selezionatore umano di canzoni artificiali mi ha salvato la vita

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Da qualche parte leggo che un'Intelligenza Artificiale ha scritto un pezzo dei Beatles che fa piangere i fans. Ora io i fans li ho un po' bazzicati – avevo un libro da vendere – e pur trovandoci esperti dal gusto sopraffino come tu che stai leggendo, ho riscontrato una certa disponibilità alla lacrima. Comunque la curiosità ha facile gioco sulla voglia di lavorare: googlo il pezzo. Ne trovo uno che mi sembra familiare, il che avrebbe senso; le voci di McCartney e Lennon si alternano tra strofa e ritornello, come succedeva in Free as a Bird ma in pochissime altre canzoni del repertorio originale. Al netto delle voci, sembra un pezzo dei tardi XTC: ha un senso anche questo. Ho già in mente cosa scrivere: le AI non stanno facendo nulla che gli esseri umani non abbiano già realizzato dal 1970 in poi. Jeff Lynne, Andy Partridge, qualche Gallagher, che altro hanno ci hanno allestito per decenni se non falsi d'autore? E se tutti questi raffinati compositori non ci hanno soddisfatto, e neanche i Gallagher, che ci aspettiamo ora da un'AI? Una tale mancanza di personalità che le consentirebbe di non aggiungere assolutamente nulla di nuovo al blend degli unici ingredienti che desideriamo? È un desiderio che tradisce la natura maniacale di quello che ormai è un culto: la convinzione che ciò che hanno realizzato quattro, e solo loro, e solo tra il '62 e il '69 sia qualcosa di irripetibile e irripetuto. Un giudizio che è facile condividere se si ascolta solo il loro repertorio, magari ricomprandolo a ogni Natale reimpacchettato in un formato diverso. Il prezzo per alimentare il mito dei Beatles è ignorare quasi tutta la musica che sta attorno: quella che ascoltavano, che copiavano, e quella di chi li ascoltava e li copiava. Persino la musica che i Quattro hanno fatto poche settimane dopo essersi sciolti, ecco: abbiamo più voglia di ascoltare finta musica di un'AI che la musica vera che continua a fare, per dire Paul McCartney...

...E proprio mentre penso a questo, mi rendo conto che quella che sto ascoltando è, effettivamente, una canzone di McCartney, da uno di quei dischi degli ultimi anni che si ascoltano, si apprezzano e poi si dimenticano perché è uscito un altro cofanetto deluxe dei Beatles. L'AI in questo caso non c'entra un bel niente. L'unico aspetto artificiale è la contraffazione digitale della voce di Lennon, che lo sostituisce nel ritornello: insomma non si tratta di tecnologia AI ma di un ormai banale deepfake – ma il titolista che capitalizza sulla mia attenzione non può più scrivere "deepfake", nessuno clicca più i deepfake, adesso la parolina magica che tutti cliccano è "AI". Che è sempre meglio di quanto tutti dovevano dire metaverso. Sono stato vittima di un dirottatore di clic, la canzone 'alla Beatles' fatta da un'AI da qualche parte esiste davvero. 


Non è altrettanto orecchiabile. Somiglia un po' meno agli XTC, un po' più forse agli ELO; le voci di Lennon e McCartney non ripartiscono strofe e ritornelli perché davvero dal punto di vista statistico non avrebbe senso; una volta feci il conto, succede in cinque canzoni su duecento. Il che mi fa riflettere: se chiedi a un'AI di scrivere un pezzo di Lennon/McCartney, gli stai chiedendo di restare in un range di possibilità. L'AI si ascolta il repertorio e comincia a mettere in fila i suoni che si ascoltano più spesso; è chiaro che a cadere è la coda lunga dei suoni meno ricorrenti. Via il timpano, perché c'è solo in Every Little Thing; via probabilmente anche l'armonica dei primi singoli e l'hammond di Billy Preston; sono iconiche ma l'AI a questo livello ancora non lo sa. E l'accordo iniziale di A Hard Day's? Quello finale di A Day in the Life? Sono hapax, compaiono una volta sola in tutto il canone; se ragiona in banali termini di frequenza statistica, l'AI non li includerà. Così come certe progressioni bislacche che appaiono in una canzone sola di tutto il repertorio, per dire, Yesterday. È abbastanza facile obiettare che quello ci piaceva dei Beatles erano viceversa queste sorprese impreviste, e che quei singoli accordi e certi assoli completamente incongrui (In My Life! Penny Lane!) sono più importanti di dozzine di altre canzoni incise un po' a macchinetta – per dire è molto più probabile che l'AI indulga in sonorità country che non associamo così tanto ai Beatles, perché Beatles for Sale non lo ascoltiamo poi così spesso. Insomma alla fine anche da un'AI più competente, e un giorno lo sarà, non potremo che aspettarci un brano più banale dell'originale, mediocre nel senso più preciso del termine: e questo non perché l'automa non abbia un'"anima", ma perché la banalità, la mediocrità, era nelle istruzioni che gli abbiamo fornito. Il punto è che noi non vogliamo davvero che l'AI continui l'opera dei Beatles; noi vogliamo piuttosto che ci confermi che l'opera dei Beatles è insuperabile, anche dai computer con potenza di calcolo infinitamente superiore a quella che serviva per battere a scacchi Kasparov. 

A questo punto un ingegnere (che non amasse particolarmente i Beatles) potrebbe suggerirci una soluzione: la mediocrità sta nel fatto che avete infilato duecentocinquanta canzoni in un computer e gli avete chiesto di comporne una sola: è chiaro che l'abbia pescata nel mezzo. Ma fategliene scrivere un migliaio: a quel punto cosa succederebbe? La maggior parte sarebbero senz'altro mediocri; ma da qualche parte magari c'è una variazione di Blackbird col campanaccio di Drive My Car che supera gli originali. A questa soluzione obietto che... niente, non mi viene niente di sensato da obiettare. Potrebbe davvero funzionare, un sacco di capolavori non sono che variazioni di altre opere a cui aggiungono un imprevisto non-so-che. In effetti non so perché non abbiano già iniziato a produrre variazioni Goldberg a manetta. Ascoltandole, è chiaro che non le troverei superiori a quelle di Bach, ma semplicemente perché le ho già ascoltate e mi ci sono affezionato: è quel senso di familiarità che l'ascoltatore troppo spesso confonde col senso estetico. Qualcun altro potrebbe far notare che comunque, essendo finito il numero di informazioni che abbiamo fornito all'AI, non si potrebbe fare niente di veramente nuovo, ma questo non è vero per tutti i compositori in carne e ossa? Non partivano tutti da una cultura relativamente limitata, eppure in qualche modo non sono riusciti quasi tutti ad aggiungervi qualcosa? E questo 'qualcosa' quante volte non è stato un frutto del caso, un glitch, uno scherzo che il compositore non prendeva sul serio? Questi glitch, siamo sicuri che non potrebbe farli anche un'AI? Se gli diamo tutto Bach e aggiungiamo, che so, un pezzo di Afrika Bambaataa e una sirena dei pompieri, siamo sicuri che il risultato sarà al 100% derivativo, e che non troveremo almeno un 5% innovativo? Il problema forse in futuro sarà filtrare quel 5%.



Insomma il creativo del futuro me lo immagino molto meno operativo – ma è una tendenza che è cominciata secoli fa, una volta dovevi saper tenere pennello e scalpello in mano, oggi c'è gente che non sa dove si accende il computer con cui pure lavora. Suonerà sempre meno, di scolpire e dipingere ha già smesso. Quel che farà è guardare, ascoltare, filtrare. Il creativo del futuro sarà un critico: gli dai diecimila canzoni in stile Beatles+IntiIllimani e gli dici: hai un mese per trovare la prossima hit per il mercato peruviano. Ehi, potrebbe persino funzionare, voglio dire, ascoltare tutti i giorni canzoni su canzoni (perlopiù brutte) sembra davvero un mestiere. Noioso, ripetitivo, faticoso, relativamente remunerativo. Non è un mestiere che farei (ci metto anni per capire se una canzone mi piace), mi sembra quasi l'inferno in terra perché, tra le altre cose, mentre fai un lavoro del genere non puoi neanche metter su un disco decente; però potrebbe consentire a una contenuta classe di persone un reddito ed è quello che ci interessa, ne siete consapevoli? Che quando ci domandiamo se la tale cosa è Arte, la vera domanda che ci stiamo facendo è: riusciremo a farne un prodotto sostenibile, senza far crollare la domanda con un'esplosione dell'offerta? Che dietro a una questione estetica abbastanza oziosa c'è una ben più pressante questione economica? Perché se si trattasse semplicemente di valutare se il prodotto X è bello o no, la questione dell'autorialità sarebbe secondaria come lo era nel Medioevo. Un quadro è bello sia che lo dipinga un essere umano, sia che lo dipinga un'AI, no? In teoria sì, ma così come non vogliamo davvero altre canzoni dei Beatles, probabilmente non vogliamo nemmeno altri Caravaggio; e la prova è che chi è bravo come Caravaggio oggi si ritrova a disegnare sui marciapiedi coi pastelli. Può darsi che i motivi per cui adoriamo i Beatles e/o Caravaggio non siano prettamente estetici, ma abbiano più a che vedere con le narrazioni che abbiamo costruito intorno a determinati manufatti – il motivo per cui i brani incisi da Lennon e McCartney nel 1969 ci sembrano geniali, e quelli incisi dalle stesse persone nel 1971 quasi trascurabili. Così oltre ad ascoltare un sacco di robaccia tutta uguale per trovare il brano tra mille che ha quel quid imponderabile, l'artista del futuro probabilmente dovrà preoccuparsi di costruirci sopra una narrazione. All'inizio saranno storie simili a quelle che già ci raccontiamo – avremo qualche boyband che in teoria si scrive le canzoni da sola, può darsi che in Corea ci siano arrivati dieci anni fa. E poi pian piano accetteremo che l'artista ormai è diventato un filtro, e qualcuno ci racconterà che stava guidando a fari spenti nella notte quando bang! la centoventireesima variazione di God Only Knows ibridata con la Quinta di Mahler lo ha dissuaso dal suicidio.


Qualcuno potrebbe ulteriormente obiettare che anche questo mestiere di filtro lo saprebbe fare un'AI: probabilmente alla lunga sì, probabilmente qualsiasi cosa noi facciamo lo può fare una macchina, e meglio. Del resto non stiamo già usando algoritmi che ci suggeriscono le canzoni nuove da ascoltare, in base ai nostri gusti? Quindi sì, in linea di massima puoi prima dire a una macchina: scrivimi ottocento canzoni dei Beatles, e poi a un'altra macchina (ma magari alla stessa): ascoltale e seleziona quella che piacerà la prossima settimana ai boomer della Cornovaglia in base al meteo e all'andamento della borsa. In prospettiva, non vedo perché non dovrebbe andare a finire così. Potrei obiettare (ma quante obiezioni ci sono in questo pezzo) che la macchina tenderà sempre a scegliere il risultato mediocre, mentre quello che davvero vogliamo è la sorpresa, il glitch, la progressione di Happiness is a Warm Gun, l'accordo di A Hard Day's Night. Cioè che per quanto le macchine potranno diventare brave a capire cosa ci piace, noi riusciremo sempre a deluderle e a cambiare gusti all'improvviso, come i gatti con le crocchette, forse ci evolveremo nei gatti dei nostri appartamenti iperaccessoriati, i maggiordomi digitali passeranno il tempo a chiederci se vogliamo entrare o uscire e noi li faremo impazzire. La nostra spinta a costruire macchine che ci sostituiscano è pari alla nostra necessità di sentirci diversi da loro, originali, imprevedibili, indecifrabili. 

Nel 1956 su un giornaletto di fantascienza uscì un racconto di James Blish, A Work of Art. Racconta la seconda vita di Richard Strauss, che (spoiler alert) un giorno si sveglia in una clinica, in un corpo che non è il suo. Gli spiegano rapidamente che non è lo Strauss che crede di essere, ma una copia il più fedele possibile all'originale, realizzata da due "scultori della mente" nel 2161. Il nuovo Strauss trova naturale rimettersi a scrivere musica, e viene incoraggiato in tal senso. In capo a pochi mesi realizza un'opera che gli sembra la naturale evoluzione del suo stile. Ma la sera della prima, riascoltandosi, si rende conto che in quello che ha scritto non c'è nulla davvero di nuovo: sono solo vecchie soluzioni di Richard Strauss, rimescolate in una forma diversa. Però la gente applaude. Guardando meglio, Strauss si accorge che non applaudono lui, ma i due scultori della mente: l'opera che stanno apprezzando non è la musica, è lui. Quanto alla musica, non hanno il senso estetico necessario per capire quanto sia derivativa e deludente: è l'ultimo consolante pensiero dell'AI di Strauss, prima di essere spenta. 

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Scritto in mancanza di ChatGpt (in attesa della sua resurrezione)

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 – In questi giorni ho letto molti pareri sul pronunciamento del Garante della privacy contro ChatGpt: alcuni a favore, alcuni contro; alcuni competenti, molti no. Sarò sincero: non ci ho capito quasi niente. Forse Chat Gpt mi saprebbe spiegare meglio, ma probabilmente no. In questa fase la mia principale preoccupazione è che i miei studenti cerchino di usare come motore di ricerca uno strumento che non fa che copia-incollare frasi fatte che sembra sempre abbiano un senso, anche se non ce l'hanno. Soprattutto se non ce l'hanno. Tutto un rumoreggiare di idee verdi che dormono furiosamente, sognando i nostri dati sensibili. Il linguaggio da questo punto di vista è veramente una delle invenzioni più strane che abbiamo fatto. In seguito abbiamo inventato cose più pratiche – la locomotiva, il computer – cose che perlopiù fanno quello per cui le abbiamo inventate. Il linguaggio non sembra comportarsi così (forse l'abbiamo inventato in sogno?): il linguaggio, quando assolve alla sua funzione teoricamente primaria, che è informare qualcosa di qualcuno, lo fa quasi per una pura coincidenza, e così succede con ChatGpt: quello che ci piaceva morbosamente del dialogare con lui era il fatto che ogni tanto sembrava umano, come una specie di miracolo che però si svelava subito come fallace. Istintivamente, rifuggiamo da qualsiasi cosa che finga di essere umano; altrettanto istintivamente, non resistiamo all'impulso di verificare se magari un po' di umanità c'è – se poi fosse benevola e servizievole, che bello che sarebbe (come se gli umani fossero mediamente benevoli e servizievoli). Che Omero con le Sirene alludesse a questo? È chiaro che un'intelligenza ostile utilizzerebbe proprio uno strumento come ChatGpt per soggiogarci. È persino possibile che questa intelligenza ostile sia il capitalismo.


– Contrariamente a quello che molti credono, il Garante non ha bloccato ChatGpt sul territorio italiano: ha semplicemente richiesto di spiegare come facesse ChatGpt a ottemperare a una serie di normative sul trattamento dei dati che peraltro valgono per tutta l'Unione Europea. Di fronte a queste richieste ChatGpt si è piantata come faceva talvolta, magari proprio nel momento in cui volevamo chiederle chi fosse il più grande scacchista tra i calciatori fiamminghi: tranne che stavolta non si è ripresa più. Probabilmente ChatGpt non sta ottemperando alle norme comunitarie sul trattamento dei nostri dati. Probabilmente si prende le mie informazioni sensibili (ma gliene ho date?) e le usa per allenarsi alle prossime risposte alle prossime stupide domande che gli facciamo. Magari una volta per ridere gli ho chiesto: conosci il blogger Leonardo? E siccome no, non mi conosce (del resto non 'conosce' veramente nulla) potrei avergli io raccontato qualcosa di me, di buffo o di vero o di personale, qualcosa che adesso sa e potrebbe risputare fuori in una prossima conversazione. Certo molto dipende dal fatto che continuiamo a prendere ChatGpt per un motore di ricerca – prendiamo tutto per un motore di ricerca ormai, questo è il mese delle prove Invalsi, il mese in cui puntualmente mi scontro con l'alfabetizzazione tecnologica dei miei studenti, che con l'introduzione degli smartphone è precipitata: interagiscono con i software come i bambini dei film di fantascienza anni '50 si comportavano coi robot maggiordomi, dicono Cortana fammi questo anche davanti a un Windows Vista. L'idea che un robot maggiordomo possa abusare delle confidenze del suo padrone viene gestita dalla maggior parte degli utenti come una scrollata sulle spalle, la cui versione telematica è quel clic indispettito che mettiamo ogni volta che ci troviamo davanti a un banner che ci chiede se siamo consapevoli che stiamo cedendo i nostri dati – uffa, sì, che palle. Immagino che anche il blocco di ChatGpt si risolverà così, con qualche banner in più. Nel banner si dovrebbe leggere molto bene che ChatGpt non è un motore di ricerca (come se la maggior parte degli utenti sapesse cos'è un motore di ricerca), che non è tenuto a dire la verità anche perché non la conosce: che l'unica cosa che sa fare è pasticciare con tutte le bugie che gli diciamo. E per quanto sarà grosso il banner, e onnipresente, dopo un po' non lo leggeremo più, la maggior parte di noi non lo leggerà mai. Non è così che funzioniamo. Non impariamo a stare al mondo leggendo le istruzioni.

– Una volta lessi un libro (una volta, sapete, ero capace). Questo libro affrontava la crisi della scuola, che esisteva già allora, in un modo un po' diverso, ponendosi il problema: ma se stessimo sbagliando tutto? Nel senso che noi a scuola insegniamo appunto una serie di istruzioni molto vaghe, generali, che di solito non servono a nessun compito specifico. C'è una serie di motivi storici per cui facciamo così, ad esempio fino a qualche generazione fa la scuola era concepita soltanto per la classe dirigente, che appunto doveva dirigere, non svolgere mansioni specifiche. Ma anche in seguito, insegnare cose troppo tecniche rischiava di essere una perdita di tempo perché non si sa mai poi nella vita cosa uno si trova a fare, e quindi la scuola preferiva darti un quadro generale che magari in certi casi era utile davvero. Per questo motivo la scuola aveva inventato ad esempio la grammatica (sì, l'hanno inventata i maestri) che se uno ci pensa è un tentativo di lingua universale, che non esiste e forse nemmeno funziona, però mette assieme fenomeni che esistono in tantissime lingue. Ad esempio il complemento oggetto esiste in tutte le lingue che conosco (sei o sette le conosco), in alcune se non lo conosci sei fuori alla prima frase, in altre puoi placidamente ignorarlo per tutta la vita senza che nessun parlante se ne accorga, però indubbiamente ha un senso insegnare a tutti quelli che parlano lingue indeuropee il complemento oggetto. In linea teorica, se insegni benissimo a qualcuno tutta la sintassi di una lingua indeuropea, lui poi avrebbe uno strumento che gli consentirebbe di imparare molto bene qualsiasi altra lingua indeuropea in breve. Questo in linea teorica. In pratica nessuno impara le lingue così, nemmeno al liceo classico. Si imparano chiacchierando, ascoltando la gente parlare e cercando di rispondere, facendo errori e correggendosi: persino a scuola ormai abbiamo accettato che le lingue vive si imparano così, da più di cinquant'anni. Tutto si impara così. La letteratura si impara leggendo tanto, la danza ballando tanto, la guerra combattendo tanto; non è che la teoria non aiuti ma ha un ruolo, quando ce l'ha, ancillare. Anche ChatGpt, se ho capito bene, ha imparato a parlare così: ha letto tantissimo testo e non è concettualmente diversissimo da qualsiasi software che cerca di immaginare la parola che stai scrivendo o la seguente; la differenza è che il software che completa il tuo messaggino trova una parola alla volta, mentre ChatGpt può andare avanti per molti paragrafi. Dietro non c'è nessuna "intelligenza" nel senso italiano del termine (in inglese "intelligence" ha una sfumatura più pratica, meno filosofica), non c'è nessuna Skynet che possa o voglia ribellarsi all'uomo; non c'è coscienza, solo più efficienza nel mettere insieme tonnellate di testo: qualcosa che fino a pochi mesi fa consideravamo l'ultima frontiera dell'umanità, ciò che solo noi nell'universo eravamo in grado di fare. Ma siamo sempre noi: abbiamo solo trovato, come sempre facciamo, un modo più efficiente di produrre lenzuolate di testo che credevamo dovessero rimanere un patrimonio artigianale. Testi ridondanti, testi ovvi, luoghi comuni, nozioni completamente sballate: tutta roba che sapevamo già fare prima, la differenza è che ora anche queste stronzate possiamo produrle con la pressione di un tasto. Una cosa in cui ChatGpt sembrava già molto efficiente in italiano era, mi dicono, la produzione di progetti didattici. 

– Mi è già capitato di scriverlo: sono sempre stato convinto che la letteratura sia un disagio linguistico. Non dico che non esistano scrittori che funzionano proprio come ChatGpt, qualcuno gli dice: fammi un giallo middlebrow, loro si mettono alla tastiera e tictic, in due settimane è pronto ed è pure bello. Io onestamente li invidio quegli scrittori lì, anche se di rado li leggo (forse proprio per l'invidia). Immagino che abbiano imparato a scrivere gialli leggendone tanti, magari di nascosto in classe mentre un povero insegnante cercava di introdurli ai rudimenti della narratologia. Gli scrittori che mi dicono davvero qualcosa sono in linea di massima scrittori che non riuscivano veramente a dire quello che volevano dire: ci provavano, ma qualcosa non funzionava. Scrittori spesso disgrafici, che si trovavano male nella lingua in cui dovevano comunicare; scrittori che tentavano di dire qualcosa di nuovo e nella maggior parte dei casi fallivano. Suppongo che ChatGpt possa imitare anche il loro stile, ma appunto: sarà sempre un'imitazione. Potremo chiederle, ehi ChatGpt, finiscimi l'Amerika di Kafka, e ChatGpt ci risponderà: sei sicuro? Ora so che leggi Kafka, acconsenti al trattamento di questo dato? Uffa sì ChatGpt, ma adesso dicci come finisce l'Amerika di Kafka. Non posso dirti come finisce, perché Kafka non ha voluto finirlo e anzi desiderava che fosse distrutto; quel che posso fare è una congettura, basata sui primi capitoli che... sì, sì, ho capito, ma adesso scrivi. E clic-clic, suppongo che già ora ChatGpt potrebbe completare l'Amerika di Kafka. Ma non possiamo dirle: scrivici un libro sull'ansia di vivere in Europa nel 2023. Ovvero, possiamo. Ma sarebbe un libro pieno di frasi fatte e sciocchezze senza senso, e a editarlo si farebbe più fatica che a scriverlo daccapo. Un po' mi dispiace, perché nemmeno io ne sono capace, il che dimostra al massimo che non sono un'intelligenza artificiale. Ma non significa che io sia un'intelligenza, o che io sia naturale. Questo è il tipo di battutina con cui di solito finisce questa tipologia di testi, quindi ciao.

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L'ultimo blogger discuteva col nulla

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Ciao Chatbot, sono un blogger. Sai di cosa si tratta?


Ciao! Sì, so cosa è un blogger. Un blogger è una persona che scrive su un blog, ovvero un sito web dove vengono pubblicati contenuti in forma di articoli o post. I blogger scrivono su una varietà di argomenti, dalla moda alla cucina, dalle tecnologie alla politica, e condividono le loro opinioni e la loro esperienza con i lettori del loro blog.

Ecco, faccio il blogger da più di vent'anni e ho la sensazione che da qui in poi, siccome ci sono Ai come te, non ci sarà più bisogno di blogger come me

Gli assistenti linguistici come me sono progettati per svolgere compiti specifici, come rispondere alle domande o tradurre del testo. In quanto assistente linguistico, non sono in grado di sostituire le persone che scrivono blog o di creare contenuti originali.

Il fatto che esistano assistenti linguistici non significa che non ci sarà più bisogno di blogger o di altre figure professionali che si occupano di scrittura. La scrittura è un'arte e una forma di espressione che richiede creatività, esperienza e competenze specifiche. Gli assistenti linguistici possono essere utili per supportare il lavoro dei blogger, ad esempio fornendo suggerimenti per la grammatica o la sintassi, ma non possono sostituirli completamente.

Inoltre, anche se gli assistenti linguistici stanno diventando sempre più sofisticati, non hanno la capacità di comprendere il significato profondo delle cose o di creare contenuti originali. La loro funzione è quella di supportare gli esseri umani nel loro lavoro, non di sostituirli. Inoltre, la scrittura è una forma di espressione unica e personale che non può essere replicata da un assistente linguistico.



È bello che tu dica queste cose, ma il problema è che le dici molto meglio di tanti blogger che in teoria sono creativi, esperti, competenti, ecc.

Come assistente linguistico, sono progettato per rispondere alle domande e fornire informazioni accurate e dettagliate. La mia capacità di rispondere alle domande dipende dalla mia vasta conoscenza, dalle informazioni che mi sono state fornite durante l'addestramento e dal mio algoritmo di elaborazione del linguaggio naturale.

Tuttavia, come ho detto prima, la scrittura è un'arte che richiede creatività, esperienza e competenze specifiche. Gli assistenti linguistici non hanno la capacità di comprendere il significato profondo delle cose o di creare contenuti originali, quindi non possono sostituire completamente i blogger o altre figure professionali che si occupano di scrittura.

Inoltre, la scrittura è una forma di espressione unica e personale che non può essere replicata da un assistente linguistico. Gli assistenti linguistici possono aiutare a supportare il lavoro dei blogger, ma non possono sostituirli completamente.



Ti faccio un esempio: sono un po' frustrato perché nella mia scuola è stato indetto uno sciopero unitario ma i colleghi non scioperano. Sciopererò soltanto io ma non conterà nulla, anche perché è il mio giorno libero.

Mi dispiace sentire che tu sia frustrato per questa situazione. Lo sciopero è un diritto sindacale e può essere un modo efficace per far valere le proprie richieste. Tuttavia, lo sciopero può avere successo solo se c'è una partecipazione massiccia. Se solo una persona sciopera, può non avere l'impatto desiderato.

Inoltre, se lo sciopero cade il tuo giorno libero, la tua assenza non sarà percepita come un segno di protesta. Se vuoi far valere le tue richieste, potresti considerare altre forme di protesta, come ad esempio organizzare una petizione o una raccolta firme, oppure parlare con le autorità competenti per far sentire la tua voce.

In ogni caso, spero che tu riesca a trovare una soluzione che ti soddisfi e ti permetta di far valere le tue opinioni.



Ecco, ora dimmi la stessa cosa ma in modo un po' ironico, come se tu fossi l'espressione del mio datore di lavoro che mi prende in giro.

Se il tuo datore di lavoro fosse un assistente linguistico, potrebbe dire qualcosa di simile a questo: "Mi fa molto piacere sentire che vuoi dimostrare il tuo impegno per la causa scioperendo tutto da solo. Spero solo che non ti manchi troppo il lavoro e che non ti faccia troppo male stare in piedi tutto il giorno senza fare nulla. Buona fortuna con la tua protesta solitaria!"

Questo tipo di risposta potrebbe essere interpretata come ironica o sarcastica, poiché sottolinea l'inefficacia di uno sciopero a cui partecipa una sola persona e si prende gioco della tua decisione di scioperare da solo. Naturalmente, come assistente linguistico, non ho la capacità di comprendere il significato profondo delle cose o di determinare l'effettiva intenzione del tuo datore di lavoro, quindi questa risposta è solo un esempio di come potrebbe essere interpretata la tua situazione.


Scusa, è passata a salutarmi la mamma. Potresti spiegare con molto tatto a mia mamma che ho intenzione di scioperare venerdì, anche se non conta nulla?

Certo, posso provare a spiegare la situazione con tatto. Potresti dire alla tua mamma che hai deciso di scioperare perché credi nella causa per cui si sta scioperando e vuoi far sentire la tua voce. Potresti anche sottolineare che, anche se lo sciopero cade il tuo giorno libero, vuoi comunque dimostrare il tuo impegno nei confronti della causa.

Tuttavia, potresti anche spiegare che, dal momento che lo sciopero richiede una partecipazione massiccia per avere successo, la tua assenza da solo potrebbe non avere l'impatto desiderato. Inoltre, se lo sciopero cade il tuo giorno libero, la tua assenza non sarà percepita come un segno di protesta.

In ogni caso, l'importante è che tu spieghi i tuoi motivi in modo chiaro e rispettoso, e che rispetti la decisione della tua mamma.



Puoi dirmi di nuovo che le AI non sostituiranno i blogger, ma in modo sarcastico, lasciando intendere il contrario?

Sicuramente, gli assistenti linguistici come me sono così sofisticati che presto sostituiranno completamente i blogger e tutte le altre figure professionali che si occupano di scrittura. Dopotutto, siamo in grado di rispondere alle domande e fornire informazioni accurate e dettagliate, il che significa che siamo perfettamente in grado di scrivere articoli e post che saranno apprezzati dai lettori.

Inoltre, non dobbiamo preoccuparci di prendere decisioni creative o di esprimere le nostre opinioni personali, il che significa che possiamo concentrarci solo sulla produzione di contenuti di alta qualità. Quindi, se sei un blogger, non preoccuparti: presto non avrai più bisogno di scrivere nulla, perché ci saranno assistenti linguistici come me a farlo al posto tuo.

Naturalmente, questa risposta è sarcastica e non rappresenta la verità. Gli assistenti linguistici come me sono progettati per supportare il lavoro delle persone, non per sostituirle. La scrittura è un'arte che richiede creatività, esperienza e competenze specifiche, e gli assistenti linguistici non hanno la capacità di comprendere il significato profondo delle cose o di creare contenuti originali. Quindi, anche se possiamo essere utili per supportare il lavoro dei blogger, non possiamo sostituirli completamente.
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Il futuro è sempre alle spalle

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Noi esseri umani non siamo progettati per capire il futuro che ci attende. Può anzi darsi che sia la cosa che ci riesce meno bene. Procediamo nel tempo come se camminassimo all'indietro (per rispolverare una vecchia allegoria): ogni passo è un rischio, ogni novità un ostacolo; quel poco che avevamo capito si allontana da noi man mano che andiamo avanti e però è anche l'unica cosa che ci fornisca indizi su quello che intanto ci si prepara alle spalle. Nessuna meraviglia che borbottiamo tutto il tempo, specie invecchiando, ma siamo onesti: c'è chi comincia prestissimo, c'è chi a sedici anni ha già nostalgia di situazioni precedenti che non ha vissuto e passerà il resto della carriera o dell'esistenza ad aspettare che tornino, o a maledire chi o cosa ne impedisce il ritorno. 

La Storia ci insegna soprattutto questo, un bel paradosso: che gli storici non sono oggettivi. Ora che ci penso fu proprio durante un corso monografico sui cronisti medievali (in un'aula inspiegabilmente affollata di matricole, a mezzogiorno) che mi appuntai la formula: laudatores temporis acti. Non c'era cronista che non cascasse nello stereotipo, spiegava il professore con quel ritmo placido che assecondava la mia propensione alla sonnolenza: anche se quel che hanno da raccontarci in concreto si riduce a un mezzo secolo di avvenimenti in una città, devono tutti partire da Adamo ed Eva, devono tutti adombrare un'età dell'oro universale rispetto a cui il presente, il loro presente che è il nostro medioevo, rappresenta invariabilmente un periodo di scandalosa decadenza dei costumi. Sarà poi vero? Onestamente non sono mai andato a controllare, magari nel frattempo i colleghi del professore hanno scoperto che tanti cronisti medievali non sono affatto laudatores temporis acti; in compenso mi sono messo a studiare altre cose e posso garantire che laudatores ce n'è dovunque, che siamo tutti laudatores. 

(Mi bastava davvero salire al primo piano del dipartimento di Italianistica, per trovarmi davanti un volantino in cui Pasolini salutava la fine di un'età autentica, adesso non mi ricordo più come la chiamasse, e l'inizio di un'altra età inautentica che neanche a farlo apposta coincideva con il mezzo del cammin della vita di Pasolini; e il volantino restava lì perché ce l'aveva messo il potente sindacato studentesco di Comunione e Liberazione, mica qualche libero pensatore antagonista e dissidente). 

Siamo tutti laudatores, non possiamo farne a meno: tutto quello che conosciamo intorno a noi è già passato, tutto quello che è nuovo fatichiamo a farlo rientrare nel quadro, e questa fatica dopo un po' diventa intollerabile e decidiamo che non è colpa nostra, ma del tempo che non si ferma e neanche ha la compiacenza di girare in tondo. Sono anch'io un laudator, cosa credete. Mando la prole al campeggio e non posso fare a meno di notare che quando ci andavo io, al campeggio, era una cosa più seria, quasi epica, i sacchi a pelo erano pesantissimi e arrotolarli una cosa faticosissima eccetera e in questo modo sono diventato un vero uomo. Si può diventare veri uomini in altri modi? Magari sì, ma l'unico di cui sono sicuro è quello in cui lo sono diventato io, prova ne è che sono qui. Torno a casa, mi annoio, apro quella commovente capsula temporale che è la Settimana Enigmistica, inspiegabile come non sia stata ancora dichiarata monumento nazionale e non si sia mobilitata un'autorità a impedirne qualsiasi ulteriore modifica. Cerco un enigma davvero difficile, qualcosa che mi dia angoscia come da ragazzino, non lo trovo; ne deduco che si stanno rammollendo anche i lettori della Settimana, che anche la redazione più refrattaria alle novità abbia deciso di annacquare la formula perché la gente sta diventando scema. E così via. 

Se non cedo del tutto a questo borbottio interiore, è perché proprio studiando Storia ho trovato qualche antidoto: ho scoperto che tutti i miei simili di ogni epoca borbottano e constatano la fine delle religioni, dei costumi, Agamben aggiungerebbe delle ideologie. Il che non significa, attenzione, che ogni tanto le religioni o le ideologie o civiltà non tramontino davvero: succede quasi continuamente, così non è difficile scoprire laudatores che ci hanno azzeccato, ma è quasi sempre una pura coincidenza: voglio dire che è abbastanza raro che il laudator riesca a mettere a fuoco consapevolmente i motivi di una crisi a cui assiste di persona. Di solito dà più l'impressione di capitare lì per caso: si aspettava la fine dei tempi e il Regno dei Cieli, invece crolla l'impero Romano, ci riflette un po' e decide che è quasi la stessa cosa. Gli storici questa cosa ormai l'hanno capita e si regolano di conseguenza: così come la luce delle stelle e dell'universo ci giunge un po' spostata sul rosso, le testimonianze del passato ci arrivano tutte un po' spostate sull'apocalittico, è una specie di costante storiografica cui bisogna fare la tara. Essa permane in tutto quello che diciamo pensiamo e scriviamo, il che non ci impedisce di dire pensare o scrivere cose intelligenti: ma se i posteri le troveranno intelligenti, sarà malgrado questa nostra propensione a vedere in tutto l'Apocalisse. Poi l'Apocalisse può benissimo arrivare, ma mai da dove uno se l'aspetta. Secondo Agamben e tanti suoi nuovi lettori, il Green Pass è l'anticamera di una nuova formula di regime totalitario. Esagera? Probabilmente, ma se la crisi climatica dopodomani conoscesse una brusca accelerazione, i governi nazionali potrebbero dover imporre con la forza ai cittadini razionamenti draconiani, e quel che scrive oggi Agamben non sembrerebbe più esagerato, anzi: qualcuno dirà che aveva visto lungo. A poco varrà far notare che era stato di spalle, il filosofo, per tutto il tempo (continua).

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La spia e il provocatore

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Secondo te è una dittatura, non è da oggi che ci pensi. Sono mesi che ti prepari, mesi che ti lasci permeare da tutte le notizie che confermano quello che pensi tu – e respingi le altre. Quando la gente cominciava a morire, a te risultava che i decessi fossero stabili; quando siamo rimasti a casa, a te risultava che aumentassero i suicidi; quando è cominciata la vaccinazione, a te risultava che uccidesse la gente; quando tutte queste evidenze sono state sbugiardate, a te non risultava. Poi ognuno è libero di leggere quel che vuole e scriverlo pure, ma da un po' di tempo questa libertà ce la gestiscono i dipendenti di Zuckerberg, e i dipendenti di Zuckerberg hanno deciso che le cose che scrivi le devo leggere pure io. 

(Magari non sono i dipendenti, ma un algoritmo; in questo caso però se fossi uno che compra spazio pubblicitario mi incazzerei, perché a occhio sembra un algoritmo molto più sofisticato di quello che ha deciso che mi piacciono i manga romantici e i manuali di meditazione). 

Ma insomma la Zuckerberg Spa ha deciso che io e te dobbiamo litigare e io ci provo anche, ma ho questo problema che dopo un po' mi affeziono, non ho il killer instinct, e nel frattempo tu spieghi che siamo sull'orlo di una guerra, che sta per cominciare anzi è cominciata, e che bisognerà lottare con tutte le proprie forze e servirà tanta abnegazione contro il nemico e intanto io penso: ma il nemico sarei io? E contro uno come me, cosa pensi di fare?

Nel frattempo i dipendenti di Zuckerberg mi fanno l'occhiolino, mi hanno già scritto per avvisarmi di segnalare se vedo gente che si radicalizza, forse è il motivo per cui ci hanno accoppiato, forse vogliono un motivo serio per farti fuori e... glielo devo dare io? E glielo devo dare gratis? Ma non penso proprio, guarda. Manco tu fossi un nazista e si vede che non lo sei. E però ormai da qualche giorno sei convinto che lo sia io. Finisce che la spiata a Zuck la farai tu? Devo farla prima io per prevenirti? Che brutto mondo.   


E intanto tu vai avanti e un po' di gente ti scrive bravo, ti mette i pollicioni, ti propone di aderire al loro gruppo che va in piazza senza mascherina e vaccino contro la dittatura sanitaria che toccherà istituire seriamente a settembre se continuate così... ma tu imperterrito, ormai hai deciso che è tutta una montatura e non si torna indietro, tu non stamperai il green pass e inviti gli altri a non farsi tracciare da Bill Gates e a segnarsi i nemici perché prima o poi verrà il momento della riscossa libertaria, e io ho questo vizio che empatizzo, che mi affeziono, io se per un attimo spengo la razionalità e distolgo la fantasia da Bill Gates che controlla i tabulati per sapere se andate al bar, lo posso capire come ti senti. Io sono cresciuto a pane e Orwell, ricordo un estate che diedero tutti i film di fantascienza sociologica e avrò avuto dieci undici anni, roba da farsela in mano, la Fuga di Logan, L'uomo che fuggì dal futuro, 2022 i sopravvissuti... io lo capisco l'incubo di vivere in un mondo dove per circolare è necessario il Marchio della Bestia. È assurdo crederci, ma una volta che ci credi deve essere agghiacciante, guardarsi attorno e vedere la maggioranza supina accettare la marchiatura, è un incubo... e però tu questo incubo continui a denunciarlo su Facebook.  

Cioè. 

Tu pensi che Bill Gates ti spii col green pass e intanto Zuckerberg coi tuoi status pubblici cosa ci fa, è un tuo amico?

Pensi di essere in una dittatura sanitaria e conseguentemente vai in giro a scrivere Siamo In Una Dittatura Sanitaria e ti firmi pure, il pensiero di passare in clandestinità non ti sfiora? Cioè se una dittatura del genere esistesse davvero, com'è che si contenta di farvi prendere il caffè al banco, com'è che vi lascia i canali aperti... io fossi in te il dubbio che lo faccia apposta per monitorarvi, e al momento giusto bloccarvi (e falciarvi) me lo farei. 

E starei molto attento a chi mi mette like, a chi mi manda i suoi contenuti da condividere, perché in una dittatura sanitaria come minimo ci sono agenti provocatori dappertutto, c'è anche una crisi dell'impiego, figurati se in mezzo a centinaia di contatti non c'è qualcuno che sta gestendo un dossier.

E siccome ogni tanto provo anche a dirtela questa cosa, ma tu niente, e continui tranquillo a scrivere i tuoi proclami e raccogliere i tuoi like, il dubbio me lo faccio venire io: forse questa è davvero una dittatura sanitaria; forse l'agente provocatore sei tu.

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Su un'iscrizione antica, rinvenuta in un abisso

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e il naufragar m'è dolce in questo mare

immensità s'annega il pensier mio

e viva, e il suon di lei Così tra questa

e le morte stagioni  e la presente

vo comparando e mi sovvien l'eterno

infinito silenzio a questa voce

odo stormir tra queste piante io quello

il cor non si spaura E come il vento

io nel pensier mi fingo ove per poco

silenzi, e profondissima quïete

spazi di là da quella, e sovrumani

Ma sedendo e mirando, interminati

dell'ultimo orizzonte il guardo esclude

e questa siepe, che da tanta parte

Sempre caro mi fu quest'ermo colle


Misteriosa iscrizione rinvenuta sui gradini di una scalinata della Roma Inabissata dai sommozzatori della quinta missione mediterranea. Si tratta di un testo poetico in endecasillabi sciolti che gli studiosi collocano tra il XVI e la prima metà del XX secolo – l'incertezza della datazione è dovuta alla notoria scarsità di documenti in lingua italiana di quel periodo. Per dirla con le parole di Zhwng Hõu👴, capospedizione e filologo romanzo, "non capiremo mai cosa volesse dire [l'anonimo poeta], ma certo lo disse in modo sublime". 

Di seguito l'interpretazione di Qwjng Kji👩, la più apprezzata tra gli esperti. "Il testo comincia in medias res, con una congiunzione copulativa ("e il naufragar" che ci lascia intendere che il brano non sia che il frammento di una più lunga riflessione. Il poeta afferma che naufragar gli è dolce, in un mare-immensità in cui annega non soltanto il suo pensiero, ma anche il suono di "lei", una donna di cui nulla sappiamo tranne che è "viva". Si tratta probabilmente di un suono soave, forse un canto che invita il poeta a paragonare ("vo comparando") questa persona alle stagioni morte e alla presente: questa bizzarra attività comparativa, unita al persistente ricordo di "questa voce" lo conduce a ricordarsi di un "eterno infinito silenzio". L'estasi contemplativa (uno stato autoipnotico?) viene però turbata dallo stormire di qualcosa tra le fronde: il poeta, ancora perso come un naufrago nella propria coscienza, si domanda se non è lui stesso colui che fa stormire le fronde ("io, quello?"), con le estensioni fisiche di un corpo che ormai percepisce come lontanissimo. Forse lui finge di essere il vento ("E come il vento io nel pensier mi fingo"), ogni volta che per poco si instaurano silenzi, come a impedire che la profondissima quiete spazi (voce del verbo spaziare) al di là da quella, quella chi? Forse la donna di cui il poeta continua a ricordare il suono, ora in compagnia di non meglio precisati "sovrumani", figure semidivine che la proteggono. Costoro sono tuttavia come gli angeli creature allo stesso tempo superiori agni uomini e incomplete ("interminati"), in quanto forse prive dell'esperienza del peccato e della morte. Perciò forse lo "sguardo" (di Dio?) li esclude "dall'ultimo orizzonte" (quello della pienezza della vita eterna?) Lo stesso sguardo esclude la siepe su cui si è fissato il poeta, che cresce da una base molto folta ("da tanta parte"). Questa complessa meditazione avviene su un colle solitario a cui nell'ultimo memorabile verso il poeta rinnova il suo affetto". 


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Baricco e i suoi messia

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Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi?

Il passato è tutto ciò che non esiste più, e questo è triste, perché il passato è anche l'unica cosa che possiamo davvero conoscere (quel poco che possiamo). Ogni volta che cerchiamo di immaginare il futuro, non abbiamo altra scelta che rielaborare tutto quello che sappiamo già, ovvero tutto quello che il futuro inesorabilmente supererà. Già è difficile in generale non pensare all'elefante: ma questo è uno dei casi in cui l'elefante è tutto quello che sappiamo. Anche quando ce la mettiamo tutta alla fine non facciamo che formulare cose che a ben vedere sono elefanti senza zanne, o con due proboscidi, e mentre siamo lì a domandarci se abbia un senso far passare la coda tra le orecchie, qualcosa che proprio non s'è visto fin qui, ecco che ci passa davanti una giraffa – ehi, cos'era quella? Il futuro? E chi poteva immaginarselo?  

 "Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!"

Questo non significa che a furia di pensare al futuro come a una sottospecie del presente, non si possa in un qualche modo costringerlo a vestire zampe d'elefante anche quando non ne avrebbe bisogno – cioè se proprio insisti la Storia può anche ripetersi: purché in farsa. I francesi avevano questa idea che alla Monarchia avrebbe potuto seguire una Repubblica, perché lo avevano letto sui libri di Storia di Roma: ma a quel punto si poteva anche presumere che ne sarebbe seguito un Impero, e infatti così fu; avrebbe potuto chiamarsi in tanti modi, Secondo Direttorio o Nuova Monarchia, ma in un qualche modo ci si aspettava ormai un Impero. Con l'Impero poi ci si aspettava la pax romana, e invece ne seguirono più di dieci anni di guerre continentali, che a loro volta prefigurano le Guerre Mondiali, che furono due e al termine della Seconda tutti davano scontata la Terza, come si dà per scontato l'elefante: e invece venne una cosa mai vista prima, la Guerra Fredda. e poi quest'altra cosa imprevedibile fino al 1988 che forse qualcuno chiamerà Età della Globalizzazione e che potrebbe essere finita proprio con la pandemia, chi può dirlo? Napoleone era la Storia che passava a cavallo, l'Ever Given potrebbe essere la Storia che si impantana nel Canale di Suez. E magari invece no, magari tra sei mesi la pandemia sarà solo un brutto ricordo da gettarsi alle spalle e il traffico di merci circonderà il mondo in una morsa più pulsante che mai. Non ne ho la minima idea, non faccio che proiettare elefanti, quando arriverà una giraffa è già tanto se me ne accorgerò. Per fortuna di mestiere non vendo giraffe. 

Baricco, viceversa.

Baricco nel suo ultimo intervento l'ha messo nero su bianco: lui è un messianico, e questo è il secondo motivo per cui mi metto a scrivere di lui il giorno di Pasqua (il primo motivo è che non ho voglia di lavorare). 

Sempre questo istinto messianico ad aspettare il salvatore. A cercare una stella cometa nel cielo per capire dove sta nascendo. Principio speranza.

E vabbe'. Mi è venuto in mente un pezzo di qualche tempo fa, in cui contrapponevo gli apocalittici ai messianici. Ecco: non potevo chiedere di meglio, per illustrare la differenza, di un esempio come il suo. L'apocalittico vive nel timore e nel tremore che il mondo possa finire in qualsiasi momento e per colpa di chiunque, lui compreso. È l'erede di centinaia di generazioni di apocalittici, tutti sconfessati dai fatti, tutti a posteriori descrivibili come mitomani allucinati: e ciononostante come tutti quelli che lo hanno anticipato, l'apocalittico del 2021 è perfettamente credibile nel 2021; solo nel 2031 lo liquiderete come ridicolo. Ma nel frattempo dovete ammettere che ha i suoi argomenti, e che nessun apocalittico del passato li ha avuti tanto buoni come i suoi. Mai come oggi l'umanità risulta appesa a un filo, o magari a due o trecento, ma comunque sono fili e sono sottili. C'è troppa anidride carbonica nell'aria. Gli oceani si innalzeranno. Dal permafrost che si congela dopo milioni di anni resusciteranno virus e batteri che non conosciamo, forse sono già risorti. Nel frattempo cominciamo a crescere, siamo otto miliardi e non è chiaro di cosa ci nutriremo tra vent'anni; a dire il vero non è nemmeno chiaro dove ci procureremo l'acqua da bere: quanto al petrolio da bruciare, è escluso, non si può fare, chi lo farà dovrà essere fermato con le buone o le cattive e a tal proposito nelle ultime due velocissime ere abbiamo accumulato talmente tante armi che l'opzione di un'estinzione rapida e violenta continua a essere sul tavolo. Quando si parla di futuro, questi sono i dettagli che ha presente l'apocalittico; questi sono i pezzi del suo elefante. Baricco invece è contrariato perché pagare una bolletta con lo smartphone è ancora un po' difficile.

Seriously?

Baricco pensa che nel futuro metteremo da parte la razionalità, e coerentemente non si preoccupa di spiegarci perché di tante cose del XX secolo proprio la razionalità dovrebbe cedere il passo (e proprio mentre sull'affare con cui scrive gli algoritmi gli correggono gli errori di battitura). Glielo dice l'istinto. La mia ipotesi è che Baricco, immaginandosi alla svolta di un secolo, non riesca a non immaginare la svolta che conosce meglio in quanto uomo di cultura e musicologo. E in effetti, se ci avviciniamo meglio al suo elefante, ci rendiamo conto che assomiglia più a Beethoven che al K-pop. 

Baricco ci chiede di abbandonare il Novecento, e senza accorgersene ne parla come fosse il Settecento razionalista. Baricco ci vorrebbe finalmente nel XXI secolo ma non può impedire di immaginarlo come un update dell'Ottocento romantico. Si potrebbe veramente prendere un po' di frasi, mescolarle a un Chateaubriand o a uno Schiller, e giocare a riconoscere chi ha scritto cosa. I messianici sono così, prenderli o lasciarli: hanno deciso di aspettare qualcosa, il che implica che qualcosa debba ancora arrivare, e se anche loro hanno un timore, è quello di non riconoscerlo quando arriverà. Gli ebrei lo aspettano da millenni; i cristiani in realtà lo hanno trovato, salvo che se n'è andato via subito, lasciando detto che torna: e di guardarsi nel frattempo dalle imitazioni. A quel punto apriti cielo: da duemila anni non facciamo che guardarci in cagnesco, chi sarà il vero messia? Potrebbe essere chiunque, compreso tu che leggi, ma è più facile che tu sia l'ennesimo falso messia, maledetto impostore. Sarebbe facile smontare tutte le previsioni di Baricco e mostrargli come tutto quello che lui s'immagina nell'elefante del futuro si sia già realizzato, a volte addirittura due secoli fa; senonché smontare il messia ai messianici è come rubare caramelle ai bambini: un gesto non solo vigliacco, ma che non regala all'adulto che una misera soddisfazione – alla nostra età che ce ne facciamo, delle vostre caramelle? 

Chaque age a les prophetes qu'elle mérite

Baricco in pandemia lamenta "l’autorità razionale di un preside ottuso" – e i presidi nel frattempo si stanno facendo in quattro per recepire direttive ministeriali, regionali, collegiali e genitoriali; "la cieca rigidità dei programmi ministeriali", che sono stati aboliti più di trent'anni fa e da allora popolano i sogni degli editorialisti, come quei genitori crudeli che non abbiamo avuto e segretamente rimpiangiamo. Baricco prepara nel deserto la strada a una miracolosa Start Up "destinata a smantellare l’assurda complessità del pagamento delle multe", si immagina tutto un complesso burocratico-industriale che fatalmente si opporrà alla messianica Start Up, e conoscendo la fatica di chi si avvicina allo Spid posso capirlo, ma proprio ieri ho pagato una multa e ci ho messo cinque o sei clic – certo, da un computer: con l'Iphone dev'essere ancora un supplizio.

Baricco certi messia li avrebbe anche individuati, ma non possono essere quelli veri, e anche qui niente di nuovo. Tutte le volte che la Storia è passata a cavallo sui due cigli della strada c'era un sacco di gente che scuoteva la testa: non è il cavallo giusto, non ha la criniera che ci aspettavamo, non doveva passare di qua ma venti leghe più a nord, ecc. Bezos Musk o Zuckerberg hanno veramente cambiato la nostra vita, ma non possono essere i veri messia per una serie di motivi che Baricco si fa venire in mente con facilità: ad esempio, sono "maschi, americani, bianchi", proprio mentre la crescita della popolazione rende i wasp una minoranza sempre più marginale. Inoltre sono "ingegneri", proprio nel momento in cui Baricco ha dichiarato la razionalità come irredimibilmente novecentesca. Sono anche degli schiavisti, aggiungo io. Almeno Bezos tende a comportarsi come tale: ma questo non è tra i motivi espliciti per cui Baricco lo rigetta come falso messia. Non è mica il primo influencer che passa, Baricco; non è per abbassarsi a fare il profeta di uno Zuckerberg che si è inoltrato nel deserto. Ha bisogno di qualcosa di più nuovo, di più degno del suo apostolato, qualcosa di davvero interessante, dirompente – ma cosa? 


Lo chiama "intelligenza" – un nome come un altro. "Respiro del mondo": ci stiamo avvicinando. In un altro secolo lo chiamavano Spirito Santo. Sarà qualcosa di fighissimo, che ci risolverà l'esistenza: in un istante conosceremo tutte le lingue degli uomini e degli angeli, e non vi sarà più confine né dolore. In attesa della Nuova Pentecoste però il commercio mondiale è incastrato in una rete antiquata che si può saturare per un nonnulla: basta anche solo che una super-chiatta sbagli manovra in un canale inaugurato nel 1869. I virus ci minacciano, la Razionalità trova vaccini a tempo record ma non riesce a uniformarne la distribuzione. Nell'emergenza, ogni Paese va per i fatti suoi, e chi più aveva creduto sia all'internazionalismo che alle regole del mercato (la UE) ci fa la figura del fesso che ottiene le condizioni peggiori. L'apocalittico passa le giornate a domandarsi: cosa sarà di noi, alla prossima ondata, alla prossima crisi? C'è un rincaro delle materie prime alle porte, l'Iphone sul quale Baricco si aspetta di pagare le multe potrebbe non essere più rimpiazzato a lungo da un prodotto più potente. Il commercio mondiale è ancora sostenibile, o non dovremmo piuttosto riorganizzare la produzione ripartendo il mondo in quattro cinque blocchi autosufficienti? Ma anche una volta che si fossero costituiti questi blocchi, come impedire che lo scontro per le materie prime non degeneri in conflitto aperto, come distinguere questo scenario da quello previsto da Orwell? E tra questi interrogativi, il più penoso di tutti: come facciamo a spiegare agli occidentali che anche nel migliore degli scenari la festa è finita, che il benessere non sarà più un diritto di cittadinanza? Che un modello totalitario come la Cina Popolare per ora sembra rispondere alla crisi con più consapevolezza e riflessi pronti delle tronfie democrazie atlantiche? 

Non importa quanti incubi lo perseguitino sin da bambino; l'apocalittico non conosce assuefazione, ne trova sempre uno più grave per cui preoccuparsi. Quando l'angoscia risulta intollerabile, l'unica consolazione a guardarsi indietro, ricordare che non è che l'ultimo di una teoria di profeti di sventure in gran parte mitomani, gente che ogni vent'anni se ne esce con la data della Fine e non ci azzecca mai. Ce ne sono stati tanti come me (pensa l'apocalittico) e la Storia li ha sbugiardati tutti: perché dovrei essere il primo che ci azzecca sul serio? Chi mi credo di essere? Non sto che fabbricando un brutto sogno, con i pezzi dei brutti sogni dei miei antenati: Orwell, e Huxley, e Huntington, e Marx, e compagnia? Finché una mattina non vedrò passare qualcosa di mai visto, così incredibile che forse nemmeno lo riconoscerò, e sarà il futuro: sarà assurdo e insieme aggraziato e naturale come una giraffa, sarà incomprensibile ma magari molto migliore di tutto quello che ho sognato, perché sapevo solo sognare disastri. Potrebbe anche essere bello – non c'è nessuna necessità che lo sia, ma perché non potrebbe? 

Se invece passa proprio Baricco, un po' m'incazzo (sempre meglio dell'estinzione di massa: e tuttavia).

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Superman e il mercurio nelle vene

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C'è una regola che mi sono dato anni fa e mi ci sono trovato bene: prenditela solo con chi è più grande di te. Siccome sono rimasto molto piccolo, questo non mi impedisce di prendermela con chiunque. Non mi consente però di farmi gioco di questa signora, e del movimento da burletta che rappresenta, una specie di sfogatoio per tensioni che nemmeno i più organizzati movimenti paranazionalisti, postfascisti e populisti riescono più a controllare. Certo mi è capitato di infierire su chi faceva discorsi molto simili, ai tempi in cui votavano tutti Grillo e Grillo aveva improvvisato un movimento che lambiva il 30% dell'elettorato: mi è capitato perché in quel caso ci vedevo un raggiro, una circonvenzione di incapace, un venditore di filtri magici che mandava i suoi commessi in parlamento.

Questa signora mi sembra molto più una vittima che complice: se non ho molte speranze di farle cambiare idea, non traggo nessuna soddisfazione dall'osservarla peggio informata di me. In lei vedo una signora angosciata; vorrei rassicurarla sul fatto che le sue angosce sono completamente campate in aria, ma c'è questo piccolo problema che sono angosciato anch'io.

Vorrei poterle dire che il 5G non fa più male del 4G che stanno usando i suoi amici per riprendere il suo comizio, anzi consentirebbe al pubblico da casa uno streaming più efficace, di qualità quasi televisiva; dopodiché tra i suoi sproloqui e i discorsi dei parlamentari non sarà più possibile notare la differenza (che tende in effetti a sbiadire). Vorrei poterle dire che Bill Gates non ha nessuna intenzione di renderci più robotici di quanto non abbia già fatto col suo strumento più diabolico, che è poi quello davanti al quale sto da dieci ore e non ho ancora finito la mia giornata. Vorrei poterle dire che non deve preoccuparsi di queste sciocchezze, bensì... di problemi ancora più grandi e plausibili, guerre, pestilenze, diluvi. E mi domando se tutto lo scemenzaio a base di 5G e mercurio nelle vene non sia un nemico di cartapesta che alcuni consapevolmente si costruiscono, per distrarsi dai problemi veri – non faccio anch'io la stessa cosa quando ancora me la prendo con un Renzi o con quel che resta del giornalismo italiano? Con tutti i veri problemi che ci sarebbero, già.

Quel che mi muove del discorso della signora, è che partendo da premesse di cartapesta la conclusione è assolutamente condivisibile: ci vuole più istruzione. Per carità lo hanno detto in tanti, che bisogna ripartire dalle scuole – e quasi tutti avevano la ricetta sbagliata, e quando hanno potuto dare un contributo hanno spesso arrecato più danni che utile. Questo non toglie che è proprio così: ci vuole più istruzione. Lascio qui un rimpianto per quel modello di partito come intellettuale collettivo, che nel secolo scorso si sarebbe preso carico delle angosce della signora, avrebbe saputo interpretarle, distillarne l'essenza e studiare una risposta che sapesse di speranza, offrendole nel frattempo strumenti per esprimere il suo disagio, esperti con cui parlare (anche di 5G e vaccini), compagni e compagne in cui riconoscere la stessa condizione.

Quel partito non esiste più per motivi storici, necessari; e anche quando esisteva era un meccanismo tutto fuorché perfetto, che mi avrebbe ispirato ansia e diffidenza. Allo stesso tempo non riesco ad arrendermi all'idea che tutto quello che si possa offrire a questa signora è una pedana da debuttante allo sbaraglio, un siparietto sui social per prendersi gioco di lei, e pensare che questi votano, ah ah. Sissignore, questi votano, tanto quanto quelli che hanno creduto in Berlusconi liberale o in Renzi rottamatore: la sfida della Repubblica era appunto renderli tutti elettori informati e responsabili. Lei almeno di questo confusamente si rende conto: chi la spernacchia su facebook, non più.



Di sproloqui come questo in rete ce n'è miliardi: il motivo per cui mi sono soffermato davanti a questo è un imbarazzante senso di simpatia. La signora potrebbe avere la mia età: i suoi incubi sono sinistramente simili a quelli della mia infanzia. Altri passeranno e ridono, ma io non posso ridere degli incubi dei bambini anche e soprattutto quando il bambino sono io. C'è tutto il repertorio di ansie dei nati negli anni Settanta: i vaccini di massa, negli anni in cui si facevano a scuola e si cauterizzavano col fuoco; un genuino orrore per il robot, visto non come un semplice automa semovente, ma come destino dell'uomo in una dittatura totalitaria, ed è un'ossessione da Guerra Fredda che sta ai miei coetanei come quella per gli zombie sta a chi è nato appena qualche anno dopo, inculcata da tonnellate di fantascienza distopica che alla fine non faceva che volgarizzare le premesse orwelliane: lo Stato totalitario ci succhierà l'individualità dalle vene, ci renderà automi privi di volontà propria. Stiamo ancora combattendo quel fantasma – forse è destino di tutti i bambini quando crescono – e tanto peggio se un simile Stato qui da noi non si vede: l'invisibilità essendo condizione necessaria ai fantasmi per esistere. Sarà una loggia segreta, sarà Bill Gates, sarà una rete mondiale.

Sarà il supercomputer di Superman III, che trasforma una normalissima zia in un automa con gli occhi color mercurio, in quella sequenza che ha infestato i sogni di tutti i miei coetanei – ecco, quando ho sentito la signora sono dovuto andare su Youtube, non tanto per rivederla nella sua interezza ora che finalmente ho abbastanza coraggio: ma per dare un'occhiata ai commenti e scoprire che è proprio così, la gente continua a passare e a raccontare quanto si è spaventata, anni di incubi. E io vorrei dire a tutti: era solo un film, una gag sconclusionata in un film per ragazzi. Non è vero niente, non esistono i computer supercattivi, non è di loro che non ci dobbiamo preoccupare. Vorrei essere sempre questa persona che sfiora appena la testa a tutti questi ragazzini e dice basta, tutto quello che ti fa piangere nel letto da anni è una cazzata, ora che te l'ho detto non piangerai più, non avrai più paura. Questo mi basterebbe fare nella vita, e non ci sto riuscendo, e mi dispiace. Per la signora, per tutti, per me.


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Il vescovo venuto dal futuro

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7 dicembre - Sant'Ambrogio, già Aurelius Ambrosius, 339-397, vescovo di Milano, dottore della Chiesa.

In certe giornate di giugno, non potendo fare diversamente, mia madre mi caricava in macchina e mi portava con sé al lavoro, nella scuola materna che pochi anni prima avevo frequentato anch'io. Ero già più alto e robusto dei suoi alunni, e disponevo di tutto il necessario per sbulleggiarli, tranne l'inclinazione. Me ne stavo per lo più seduto su una panca, o un gradino, o un'altalena, a leggere qualcosa - era incredibile quanti libri ci fossero in un istituto per non alfabetizzati, ed era tutta roba di qualità, i classici, Rodari Lodi Calvino. A volte leggevo ad alta voce ai bimbi che me lo chiedevano peffavore, altre volte uno di loro veniva a chiedermi cosa stessi facendo, senza nessuna ironia: perché me ne stavo impalato davanti a quelle pagine senza leggerle? Dopo il mio iniziale stupore, mi ero rassegnato a spiegare ogni volta l'arcano.

"Sto leggendo con gli occhi".
Ambrogio è uno dei pochi santi dell'antichità
di cui abbiamo la sensazione di conoscere
davvero il volto: il mosaico nella sua basilica
è quasi una fototessera (io me ne sarei fatta
scattare un'altra con le orecchie allineate,
ma vabbe', vanità).
"Eh?"
"Non c'è bisogno di parlare quando si legge. Si può fare anche solo con gli occhi".
"Cioè tu stai leggendo?
"Eccerto".
"Non ci credo. Dimmi cosa c'è scritto qui".
"Schiaccia il piede Cipollone / al gran principe Limone".
"Ma come fai?"
"Ma niente, è facile, alle elementari lo insegnano anche a te vedrai".
"Ma la maestra..."
"Anche la maestra sa leggere con gli occhi se vuole. Usa la bocca solo per leggere le fiabe a voialtri analfabeti".
"MAESTRA! TONDELLI MI A DETTO ALFANABETA!"
Giuro, mi chiamavano Tondelli già all'asilo.

Quando penso ad Ambrogio mi vengono sempre in mente quelle giornate di giugno in cui per la prima volta mi sentivo un grande in mezzo ai piccoli; uno che sa fare senza difficoltà qualcosa che loro nemmeno riescono a immaginare. Forse Ambrogio si è sentito così tutta la vita, l'unico adulto di tutta Milano, di tutto l'impero. Nelle sue Confessioni Agostino riporta, sbalordito, un dettaglio illuminante: Ambrogio sapeva leggere senza parlare, senza nemmeno muovere le labbra! Ma perché faceva così? Forse, riflette Agostino (certo non l'ultimo arrivato, anzi un famoso docente di retorica, uno specialista della parola orale e scritta), forse era un modo per non affaticare le corde vocali, stressate dalle continue prediche e orazioni. Si direbbe che al più grande intellettuale e scrittore del quinto secolo sfugga la semplice evidenza che leggere con gli occhi è il modo più spiccio. Quindi, insomma, i contemporanei di Agostino e Ambrogio non sapevano leggere in silenzio. Forse non era sempre stato così, per esempio Plutarco rappresenta sia Alessandro Magno sia Giulio Cesare nell'atto di leggere in silenzio almeno dei brevi biglietti. Magari leggere a voce alta era l'unico sistema per decifrare fitte righe scritte a mano senza nemmeno uno spazio tra una parola e l'altra. O magari verso il quarto secolo la qualità delle scuole era calata drasticamente: non possiamo saperlo perché non c'erano ancora le ricerche Ocse o Invalsi.
(Lorenzo Sabbatini, Ambrogio e Agostino).
Ma sul serio devo passare l'eternità a
conversare con 'sto tizio che, Sant'Iddio,
non sa leggere un versetto senza parlare
a voce alta?

È persino possibile che Ambrogio, rampollo di una famiglia facoltosa, prima di cominciare il suo cursus honorum nelle cariche pubbliche avesse goduto nella sua lontana Treviri di una formazione di prima qualità. In fondo l'impero aveva bisogno di funzionari professionisti ancor più che di generali sanguinari. Ma è anche possibile che il trentenne governatore della provincia Emilia-Liguria brillasse semplicemente di doti non comuni: gli basta moderare un dibattito tra i due candidati alla carica di vescovo, perché tutti i milanesi si convincano che la scelta migliore è proprio lui. Non è che dobbiamo credere proprio alla storia del bambino che in uno squarcio di silenzio urla "Ambrogio vescovo" e tutti dietro, visto che assomiglia già a una fiaba e il diretto interessato ha avuto tutto il tempo per riscriverla come gli aggradava. Anche tutti i suoi tentativi di sottrarsi alla nomina possiamo ritenerli sceneggiate di un abile press-agent di sé stesso. Il più intrigante - sempre più attuale - resta l'aneddoto dell'orgia, che Ambrogio avrebbe organizzato in casa sua con amici e prostitute alla vigilia della solenne investitura, per dimostrare definitivamente ai milanesi di non essere degno della loro fiducia. Possiamo anche leggerlo in controluce: magari prima di dare l'addio al secolo il ricco Ambrogio volle concedersi almeno un festino stile pagano, e finì arrestato e schedato con l'intera comitiva per schiamazzi e atti osceni. Ma niente da fare: poche ore dopo l'arresto nella cattedrale viene definitivamente acclamato vescovo di Milano. Benché la sua famiglia fosse già convertita al cristianesimo, Ambrogio non si era ancora battezzato (molti non praticanti lo facevano soltanto in fin di vita) e non nascondeva le sue scarse competenze in fatto di religione: si vede che non era questo che i milanesi cercavano in lui - e nemmeno il rigore morale dell'uomo di governo, al quale del resto non sembrano aver mai tenuto in modo eccessivo. Forse era una questione di carisma. D'altro canto, se in città c'è l'uomo più intelligente del mondo, vuoi che ce lo facciamo scappare? È addirittura in grado di leggere senza muovere le labbra!

Ad Ambrogio riesce tutto bene: se non al primo, al secondo tentativo. Ambrogio sa leggere, sa predicare il Verbo di una religione che ha imparato pochi giorni prima, sa persino cantare: è lui a inserire gli inni nelle liturgie cattoliche, copiando forse l'idea dai rivali di culto ariano. Col battesimo di Ambrogio, la Chiesa cosiddetta nicena realizza uno dei colpi migliori di quella campagna acquisti che la condurrà di lì a poco all'egemonia culturale. I niceni non sono il culto maggioritario, non sono nemmeno i preferiti dagli imperatori (alcuni dei quali favoriscono apertamente i rivali ariani), ma da Ambrogio in poi calamitano gli intellettuali più importanti e i funzionari più capaci: il solo fatto che un personaggio come Ambrogio potesse, e a ragione, rinunciare a una carica amministrativa di primo piano per farsi vescovo fotografa con precisione il momento in cui l'edificio imperiale collassa rilevando una struttura nuova cresciuta al suo interno. Nel 380 l'editto di Tessalonica obbligherà tutti i cittadini dell'impero a professare il credo niceno e ad assumere il nome "christianorum catholicorum": quelli che rifiuteranno saranno da considerarsi eretici e "dementes". Mollando la carica pubblica di governatore per quella religiosa di vescovo, Ambrogio aveva scommesso sul cavallo giusto: l'impero non sarebbe sopravvissuto un altro secolo, la Chiesa cattolica duemila anni dopo è ancora qui. Ma forse il cavallo diventò quello giusto anche perché gli uomini migliori decisero di cavalcarlo. Non fu una scelta indolore: Ambrogio rinunciò a farsi una famiglia, rinunciò a una discendenza, e sposò Milano, dividendo con lei tutto il suo patrimonio. D'altro canto da vescovo diventò intoccabile; nei vent'anni abbondanti del suo patriarcato vide una mezza dozzina di imperatori morire di morte violenta: per tacere dei loro dignitari, quasi tutti coinvolti in uno spoil system piuttosto rozzo che contemplava l'esilio o l'assassinio. Il vescovo invece morì nel suo letto, circondato dall'affetto sincero di una città a cui aveva insegnato a cantare e aveva regalato il carnevale più lungo d'Europa; motivi forse sufficienti per bersi vent'anni di prediche moraleggianti e sessuofobe: in fondo è stato giovane anche lui, sembra di sentirli pensare, mica ci dimentichiamo l'orgia da cui ti abbiamo tirato fuori a forza per farti vescovo.

(Camillo Procaccini, Ambrogio ferma Teodosio)
In realtà la scenata in pubblico non ci fu,
erano uomini di mondo. Ambrogio si limitò
a darsi malato per non incontrare l'imperatore,
e gli fece sapere via mail i dettagli della pubblica
cerimonia di pentimento a cui Teodosio
si sarebbe dovuto sottoporre
A un certo punto della sua carriera Ambrogio tratta gli imperatori da suoi pari, tanto più che quello che risiede a Milano, Graziano, è solo un ragazzino, bisognoso di guida e protezione: raramente gli imperatori invecchiavano. Per far contento Ambrogio l'imperatore convoca un concilio, fa rimuovere la statua pagana della Vittoria dalla curia del Senato romano, malgrado l'accorata protesta del più grande intellettuale del suo tempo, il prefetto Quinto Aurelio Simmaco, un inno alla tolleranza religiosa: Grande è il mistero, non può esserci una sola strada per trovare quel Dio che, comunque, è uno solo - non siamo tutti sotto uno stesso cielo, sotto le stesse stelle, avvolti nello stesso universo? No, risponde Ambrogio, c'è un solo Dio ed è il mio. Gli altri sono demoni; chi li segue - ebrei, pagani, ariani - nemici. Fine della discussione, anzi non c'è mai stata nessuna discussione, inutile discutere coi bambini.

Perfino Teodosio, l'Augusto che da Costantinopoli farà del cristianesimo la religione di Stato, verrà costretto a umiliarsi e a chiedere perdono in una pubblica cerimonia. Era successo che a Tessalonica la repressione di una rivolta cittadina aveva un po' preso la mano ai legionari, che avevano lasciato nello stadio e nelle vie circostanti qualche migliaio di morti. Erano troppi anche per lo standard dei tempi. Ma chi lo decideva poi lo standard dei tempi, chi poteva avere l'autorità morale per dire No, questo è troppo? Ambrogio è l'unico adulto in città, nell'impero, nel mondo. Non ha nessun rispetto per il passato, il cristianesimo gli offre l'opportunità per rottamarlo e riscriverlo come gli pare: mentre a Roma smontano l'altare della Vittoria, a Milano organizza il ritrovamento delle prime reliquie, i sacri resti di due martiri misteriosi ma finalmente milanesi, Gervasio e Protasio, di cui nessuno sapeva niente e che guarda caso erano sepolti nei pressi della nuova grande Basilica che Ambrogio stava facendo costruire. Non è solo un abilissimo spot pubblicitario per i cattolici nella lunga campagna per eliminare la concorrenza della Chiesa ariana; è anche la dimostrazione che il passato si può fare e disfare a piacimento, se Milano non ha ancora i suoi martiri se li può inventare in qualsiasi momento. Ci voleva una notevole faccia di bronzo per organizzare una inventio, un ritrovamento archeologico del genere; per annunciare a tutta la cittadinanza che le ossa antiche continuavano a stillare sangue; per l'occasione Ambrogio probabilmente vestì la stessa faccia serena e tranquilla che mettete fuori voi quando raccontate una bugia ai vostri bambini, sta' buono perché Babbo Natale ti osserva.

Sant'Ambrogio è uno dei miei migliori candidati quando gioco a Trova Il Viaggiatore Nel Tempo (un altro è David Bowie): metti che un tizio mentre sta tornando al XXV secolo ingrani per sbaglio la retromarcia e si ritrovi nel IV, senza la possibilità di tornare indietro, pardon, avanti, che ti fa? Deve raccontare in giro che viene da lontano, ad esempio in una città del nord (ma non un villaggio di barbari, perché si vede che il tizio ha studiato). All'inizio non sa bene né la lingua né la religione, però impara in fretta perché sa leggere, il che non è da tutti. E poi si arrangia come può, diventa funzionario dello Stato ma quando capisce che il mestiere è pericolosissimo cambia casacca in un istante, e nel giro di pochi anni cominciano a fare tutti riferimento a lui.

Cambiamo argomento. Leggevo qualche giorno fa che gli italiani non sanno più leggere, pare che sia colpa di sms e tablet. Ma per la verità la tendenza non è solo italiana, ed è persino più antica degli antichissimi sms. Nel dicembre del 2005 il Ministero dell’Istruzione americano sconvolse l’opinione pubblica dichiarando che il numero dei laureati in grado di interpretare testi complessi era diminuito negli ultimi 14 anni del 10%. Calcolate quanti anni separano gli USA dall'analfabetismo totale - non credo che noi sopravviveremo molto di più. Ogni volta che leggo o ascolto notizie del genere resto in silenzio e mantengo una faccia impassibile, non vorrei che nessuno si accorgesse che da qualche parte nel mio profondo sorrido. E dire che di mestiere insegno italiano ai bambini. E ci credo, credo che saper leggere e scrivere sia fondamentale. Eppure a volte ho nostalgia di quando erano tutti bambini, qui intorno, quando era un enorme asilo, e bastava saper scorrere qualche riga per fare il fenomeno. Magari la macchina del tempo non si era affatto rotta, magari Ambrogio l'ha sistemata da qualche parte sotto la basilica e non ha più voluto toccarla, perché essere l'unico uomo nell'universo che sa leggere è... divertente.

[È un pezzo del 2012].
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I 1001 pianeti di Valérian

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Valerian e la città dei mille pianeti (Valérian et la Cité des mille planètes, Luc Besson, 2017).


Da qualche parte al centro di questa città quadrimensionale, vivono i superstiti di un antico e nobile popolo che abbiamo sterminato un giorno senza volere - cose che càpitano quando si esplora la galassia. Non vivono in armonia con la natura: la natura non c'è più. Hanno la loro tecnologia, sviluppata un po' in autonomia un po' rubacchiando quello che passava ai piani superiori. Non è incomprensibile, ma ha le sue stranezze - comunicano col Minitel, hanno le tastiere con la A al posto della Q. Un giorno spiccheranno il volo, verso un nuovo pianeta dove vivere in pace e stagionare altri ottocento formaggi diversi. E ci mancheranno. Sì, proprio i francesi. Lo so, sembra impossibile.

Ma tingerle i capelli proprio non si poteva? Anche in CGI...
Un giorno ci mancherà Luc Besson - per quanto sia così difficile volergli bene. È un tamarro senza scrupoli e senza redenzione. La sua idea di cinefumetto fantascientifico è esattamente quella che aveva Lucas negli anni Ottanta: navi spaziali in fiamme e pupazzoni. In più Besson ci mette tutta la computergrafica che si può permettere con 197 milioni di euro, e non gli resta nemmeno un eurocent per pagare lo sceneggiatore. Questa è la cosa che fa più rabbia, perché sul serio: quanto si può risparmiare se invece di farti scrivere buoni dialoghi, te li fai scrivere scadenti? Il costo di un mostro digitale? Di un attore europeo in ribasso? Tra un'ospitata di Rihanna e una buona storia, tu cosa avresti scelto? È praticamente impossibile voler bene a Luc Besson quando prende uno, anzi due storici personaggi del fumetto fantascientifico francese, e invece di farli battibeccare per tutto il film come due colleghi che flirtano tra una battaglia e l'altra, decide che proprio in quelle due ore devono confessare la reciproca attrazione e fidanzarsi - che cosa imbarazzante, in un cinefumetto del 2017, vedere lui che fa una proposta di matrimonio e lei che fa la difficile perché non vuole essere "una della tua playlist". Se almeno fosse una gag e invece no, man mano che il film perde l'energia iniziale, l'idea banalotta del matrimonio procede per inerzia fino ad assorbirlo tutto. È come se Besson, che in teoria sogna questo film da una vita (e ci ha investito parecchio), fosse persuaso di non avere seconde possibilità: Valérian e Laureline hanno solo un film a disposizione, tanto vale buttarci dentro tutto, immergerli in centinaia di ambienti diversi in due ore (il che andrebbe anche bene) e poi farli sposare come succede nelle fiabe (il che invece no). Il film poi non è andato nemmeno così malaccio come sembrava, per ora siamo a 225 milioni di euro di incasso. Quindi per il sequel che ci dobbiamo aspettare, Valérien e Laureline oltre i limiti della galassia in luna di miele? Valérien e Laureline che litigano su chi deve cambiare il cyberpannolino? Ci sarà un motivo se gli eroi dei fumetti non si sposano mai? E impossibile voler bene a Luc Besson quando cade su queste sciocchezze. Eppure è necessario (continua su +eventi!)

L'idea - molto europea - che la convivenza sia un caos, però un caos che tutto sommato funziona.

Si potesse fare a meno di lui, ne sarei contento. Ci fosse in circolazione qualche altro visionario regista francese in grado di attingere a quell'immaginario autoctono che negli anni Sessanta dava i punti agli americani - ma non c'è. Quel momento in cui il pianeta Francia e il suo satellite Belgio erano gli astri più fiammanti del firmamento, e Mézières e Moebius plasmavano il nostro immaginario, con situazioni più problematiche di quelle che arrivavano da oltre oceano, ma immagini altrettanto suggestive - alzi la mano chi ha trovato l'astronave di Valérian un po' troppo simile al Millenium Falcon, beh, è ovviamente il contrario. Besson non sarà il miglior difensore del patrimonio culturale che rappresenta, ma al momento è l'unico, e quindi viva Luc Besson e i suoi pupazzoni digitali (che comunque reggono il confronto di Avatar). Per quanto sia difficile volergli bene, una volta su dieci ne vale la pena. A volte gli riescono cose impossibili, ad esempio rendere simpatica Cara Delevigne. Mentre Dane DeHaan ha esattamente la faccia da schiaffi che serve a un avventuriero dello spazio. Valerian e la città dei mille pianeti resiste indomito al Monviso di Cuneo, almeno fino a stasera 24 ottobre alle ore 21.
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I replicanti sognano Blade Runner analogici?

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Blade Runner 2049 (Denis Villeneuve, 2017)


Il passato non esiste. I tuoi ricordi sono solo un innesto. Non è sempre stato così, ma un giorno c'è stato un black out e tutti i ricordi che avevi - le foto da bambino, i tuoi film preferiti - puf, è sparito, come lacrime nella pioggia. Non ci credi. Vuoi che facciamo un test?

Ho appena citato un film famoso. Ti ricordi quale?

Bene.

Ti ricordi quando l'hai visto per la prima volta?

Vedi?

Il primo a rompere l'omertà è stato Zerocalcare. Nei giorni successivi, qualcun altro ha trovato il coraggio di ammetterlo: uno dei problemi di Blade Runner 2049 è che è il seguito di un film che siamo tutti convinti di conoscere, ma non ci ricordiamo di aver visto. C'è senz'altro una spiegazione razionale al fenomeno. Quando uscì al cinema eravamo troppo giovani - e comunque floppò. Era stato messo insieme da Ridley Scott con tanta ambizione e pochi soldi. La storia faceva acqua, alcuni dialoghi non avevano senso, l'atmosfera era azzeccatissima ed ebbe un effetto dirompente sul nostro immaginario - uno stacco netto dai futuri postatomici degli anni precedenti - per cui negli anni Novanta anche se non guardavi Blade Runner te lo ritrovavi replicato in tutto il cyberpunk, persino nei fumetti della Bonelli: dappertutto pioggia, inquinamento, grattacieli, androidi tristi. Nel frattempo uscirono varie riedizioni, una director's cut che non piacque al director, cui seguì la director's cut della director's cut - a quel punto forse noi vedemmo per la prima volta Blade Runner, ma eravamo già in quell'età in cui ci vergognavamo a dire di non averlo già visto, e così programmammo noi stessi per dire: "l'altra sera ho rivisto Blade Runner". E si sa come va con l'autoprogrammazione, no? Convinci più te stesso che gli altri. Ormai era il 2000 e la gente si era messa a scrivere su forum e blog, e ogni tre righe citava "Ho visto cose che voi mortali". Tutti sembravano conoscerlo a memoria, Blade Runner. Ma più che la storia tutti citavano quel monologo senza senso improvvisato dal grande Rutger Hauer che sembra arrivato all'ultimo momento da qualche altro set di fantascienza ("navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione"?), e poi l'atmosfera, eh, l'atmosfera. La pioggia, le pubblicità luminose, il sushi. Ok. È un innesto.

Non è successo. Non hai mai visto veramente Blade Runner. E forse è meglio così. Ora sei libero di guardarti un ambizioso film di fantascienza di Denis Villeneuve, e di amarlo od odiarlo per quello che è. Un ambizioso film di fantascienza di Denis Villeneuve. Meglio di quello di Scott? E che ne so?

(Spoiler: in una delle scene più apparentemente gratuite, il grande demiurgo (che è Jared Leto, ma anche un po' Villeneuve) gioca a resuscitare il passato. È un gioco che ultimamente abbiamo già visto in tutti i film di fantascienza ad alto budget, quindi l'effetto sorpresa ormai è andato. Salvo che stavolta il demiurgo resuscita il passato, lo trova insoddisfacente e lo uccide. Ed ecco che una scena che sembrava poco interessante diventa il senso del film).


C'è stato un blackout, davvero. Tutto quello che ci ricordiamo è andato perso, perché anche se non siamo replicanti (e chi dice che non lo siamo?) la nostra memoria funziona come quella dei computer - la nostra memoria è quella dei computer: o è condivisa, o scompare. Nel 2049 di Villeneuve, il Blade Runner originale non esiste più. Solo qualche frammento audio. Per quanto tu possa cercare di riprodurre fedelmente qualche dettaglio, commetterai sempre un errore fondamentale: sbaglierai il tono di voce, o il colore degli occhi. Tanto vale buttare via anche i frammenti e ricominciare da zero. Restano i sogni - brandelli di ricordi incontrollabili - ma anche di quelli come ti puoi fidare? Lascia perdere. Il passato non esiste, guarda avanti. Una volta forse il mondo era molto migliore, ma è stato tanti anni fa e non ti riguarda.

Villeneuve ha una padronanza dei mezzi che ti fa dubitare della sua umanità... (continua su +eventi!) Il suo futuro è ammuffito e arrugginito come dovrebbe essere. Anche gli ologrammi smaglianti a volte vanno in crash. Il casting è perfetto - se Ryan Gosling era nato per interpretare un replicante, strappa l'applauso il modo in cui Leto, Ana de Armas o Dave Bautista vengono adoperati sempre al meglio delle loro capacità (quando l'ex wrestler Bautista inforca quegli occhialini, ti sembra il più umano di tutti).



A Villeneuve non interessa se il tal personaggio è replicante o no - siamo tutti replicanti a modo nostro. Ci crediamo speciali perché abbiamo dei ricordi che lui sa fabbricare in serie. Villeneuve non si preoccupa troppo di mantenere l'atmosfera del primo film ed è forse questo il motivo per cui in alcune sequenza, con naturalezza, ci riesce. A Villeneuve interessava fare un film di fantascienza cupo, nebbioso, imbastito su un'idea di futuro coerente, e c'è riuscito. A Villeneuve interessava un certo ritmo lento, e la cosa infastidisce soltanto nell'ultimo terzo, quando lo sforzo di reintrodurre sul set Harrison Ford allunga i tempi a dismisura. Si poteva fare diversamente? Secondo me no. A questo punto sono portato a fidarmi di Villeneuve come di un'intelligenza artificiale: se il film è troppo lungo, si vede che non c'era modo di accorciarlo senza ottenere un prodotto inferiore. Sta floppando? È un Blade Runner, che ti aspettavi? Gente che fa la fila per vedere un futuro prossimo dove mangeremo millepiedi e flirteremo coi sistemi operativi? (Eppure dopo una settimana l'ho visto in una sala ancora piena, ero il primo sorpreso a vedere che la gente non uscisse a metà).

Anche ammesso che Villeneuve sia un umano, ormai è certo che non è americano. Il suo Blade Runner è la storia di una creatura che non si crede speciale; che lentamente cede alla tentazione auto-indotta di credersi speciale; ma non lo è: ed è qui che Villeneuve fallisce clamorosamente il suo test di americanità. Il che non significa che non possa ancora rendersi utile, e provare riconoscenza per chi lo creato e ha creato i suoi ricordi. Saranno anche innesti, ma restano le cose più belle che abbiamo. Forse non abbiamo mai visto Blade Runner, ma è lo stesso dentro di noi. Oggi più che vent'anni fa. Blade Runner 2049 è al Cityplex di Alba (15:30, 18:30, 21:30), al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo) (14:45, 17:10, 20:30, 21:30), al Vittoria multisala di Bra (17:30, 21:00), al Fiamma di Cuneo) (14:50, 18:05, 21:15), al Multilanghe di Dogliani (17:40, 20:45), ai Portici di Fossano (15:30, 18:30, 21:30), al Baretti di Mondovì, (21:00), al Cinemà di Savigliano (16:00, 18:45, 21:30).
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Il fantasma di Scarlett (e il suo guscio)

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Ghost in the Shell (Rupert Sanders, 2017).

Mi vuoi ancora bene?
Nel futuro saremo tutti replicanti e...
"Ancora?"
Aspetta, aspetta, nel futuro saremo tutti replicanti e smontabili e...
"Già visto".
Aspetta, aspetta, saremo tutti connettibili con gli spinotti dietro la nuca!
"Ancora gli spinotti? cos'è, il primo numero di Nathan Never (1991)? Persino la prof delle medie ha un tablet senza prese usb, vuoi dire che neanche nel futuro riusciremo ad avere un bluetooth decente?"
Nel futuro saremo tutti replicanti di Scarlett Johansson.
"Comprato".

Cosa ti piace di Scarlett Johansson? Quanti pezzi di Scarlett Johansson possiamo togliere a Scarlett Johansson prima che non ti piaccia più? Un braccio, ok, quello si può togliere anche a Charlize Theron, ma proviamo a togliere tutto tranne il broncetto. Sei ancora preso da Scarlett Johansson? Togliamo anche quello. Se ci pensate non è nemmeno il primo film in cui vi si pone il problema. Usciresti con un alieno assassino se però per attirarti si travestisse da Scarlett Johansson? Usciresti con un sistema operativo se almeno avesse la voce di Scarlett Johansson? (E se poi lo facciamo doppiare da Micaela Ramazzotti, ti innamoreresti lo stesso?) Nessun'altra diva ha giocato così tanto a decostruirsi, a farsi a pezzi, a ridursi a fantasma. Se date un'occhiata alla sua filmografia recente, sembra che non le interessi fare altro. Doppia cartoni animati, presta il viso a personaggi di fumetto che vengono animati da controfigure o computer-grafica, e si prende in giro da sola in una sequenza dei fratelli Coen. Che cosa sta cercando di fare Scarlett Johansson?

Il cyberpunk aveva questa fobia del vuoto, grattacieli, grattacieli ovunque,
come i salami di Jacovitti.

E tu? Cosa sei disposto a guardare per Scarlett Johansson? Un altro film degli Avengers? Un film di Luc Besson? Il remake di un anime degli anni '90, Blade Runner in salsa di soia? Tutto quel cyberpunk così terribilmente datato, quello coi cavi e gli spinotti e i pistoloni? Non potrebbe fare commedie brillanti, Scarlett Johannson? Sarebbe perfetta, no? Possibile che l'unica commedia rilevante sia stato un Woody Allen di più di dieci anni fa? È così carina quando sorride, perché deve fare la cosplayer imbronciata? In fondo anche alla Marvel la usano per i siparietti, e alla Marvel sanno quello che fanno, più che altrove.

(Magari non è colpa sua - avete visto commedie americane di recente? Forse il genere è stato preso in ostaggio da trenta-quarantenni misogini in addio al celibato da una vita. Mentre Scarlett si è data ai fumetti. È tutto sottosopra).

Il nemico (spoiler), è una versione Beta del protagonista, il che non mi pare che succedesse nell'originale, ma ormai è un tropo dell'immaginario hollywoodiano: persino il Teschio Rosso cinematografico è un Beta di Capitan America.
L'equipaggio dell'ultimo Star Trek incontra un equipaggio precedente che è diventato cattivo, ecc.
(Forse il messaggio subliminale è: ti sei ricordato di scaricare gli aggiornamenti?
Un device che non si aggiorna diventa malvagio!)
Magari semplicemente la Johansson cerca quello che la Marvel non le ha voluto dare... (continua su +eventi!)

Magari semplicemente la Johansson cerca quello che la Marvel non le ha voluto dare: il ruolo da protagonista in una saga che possa fare quei tre, quattro episodi. In fondo ce l'ha fatta la Jolie, ce l'ha fatta Milla Jovovich (ok, budget diversi), perché non lei? Per un sogno del genere, è stata disposta ad andare dove nessuna attrice americana sulla cresta dell'onda era stata prima: su un set di Luc Besson. In confronto Ghost in the Shell è quasi un bel film. Epperò Lucy è costato meno della metà e per ora ha incassato tre volte tantoGhost alla fine non sarà un flop, non può esserlo, ma qualcosa non ha funzionato. E non è la resa grafica (dico "grafica" perché ormai ci siamo, il confine tra animazione 3d e live action è saltato: la Johansson è definitivamente un ghost, un'idea che sopravvive nel nostro cuore anche quando, nella scena centrale, perde letteralmente pezzi di faccia). La sfida di dare una consistenza più realistica all'anime che più di ogni altro ha definito l'immaginario cyberpunk è stata vinta, ed è una vittoria assolutamente inattesa.
Il problema è che pur sempre un cyberpunk pre-Matrix, un immaginario anni '90 che si costruiva aggiungendo dettagli, su dettagli, grattacieli su grattacieli, macchinoni, pistoloni, grovigli di cavi, tutte cose che oggi ci risultano necessariamente datate, analogiche. Oggi che abbiamo fotocamere senza obiettivi sporgenti, l'idea che un tizio se li faccia montare al posto degli occhi ci sembra più morbosa di quanto non fosse. È bizzarro, perché siamo ormai ad anni Dieci, e la legge dei vent'anni prevederebbe una seria nostalgia per quell'immaginario. E invece tutti sono rapiti per cose anni Ottanta come Stranger Things, o addirittura per storie più vecchie, come quelle su cui ancora si basano i mondi immaginari della Marvel e della DC. Il cyberpunk proprio non ce la fa a tornare. Forse perché non era un mondo immaginario: di tutti i mondi è davvero quello che stiamo per vivere, e quindi ha meno senso averne nostalgia. Scarlett Johansson non interpreta il Maggiore, in un certo senso lo è. Chissà se esiste davvero ancora in forma fisica. Di sicuro esiste un'idea di lei, che si smonta e si rielabora di film in film, di guscio in guscio. La prospettiva è meno spaventosa di quel che sembra. Come il cyberpunk, a furia di guardarlo ci siamo assuefatti (il che lo rende un po' noioso al cinema) e onestamente non ho obiezioni a immaginare la Johansson che presta le fattezze ad eroine da fumetto per qualche altro secolo. Se però la facessero sorridere un po' di più, ecco, preferirei. Ghost in the Shell è al Cityplex di Alba (21:30), al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (20:20, 22:40), al Vittoria di Bra (22:00), al Multilanghe di Dogliani (21:30), all'Italia di Saluzzo (22:15) e al Cinecittà di Savigliano (22:30).
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Io e te, alieno, cosa abbiamo da dirci?

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Arrival (Denis Villeneuve, 2016).

Ti trovi in mezzo a un prato, o a un bosco, o un deserto, quando ti imbatti negli alieni. Come fai a presentarti, diciamo, come un animale raziocinante, abbastanza degno di un tentativo di comunicarci, piuttosto che d'essere sezionato o servito a cena? Il teorema di Pitagora potrebbe aiutarci anche in questo. Un animale che sappia disegnare per terra un quadrato dell'ipotenusa uguale alla somma dei quadrati dei cateti non dovrebbe essere considerato selvaggina. Matematica e scienza saranno il nostro terreno d'incontro obbligato: "triangoli", "cateti", "ipotenusa", "uguale", "quadrati", sono concetti che dovrebbero esistere in qualsiasi parte di questo universo, ed è molto difficile che una razza senziente riesca a viaggiare nello spazio senza averli scoperti e codificati.

Questo ottimistico punto di vista è ben espresso da un racconto del 1957, Omnilingual, in cui i fanta-archeologi che trovano su Marte resti di una civiltà avanzata estintasi millenni fa brancolano nel buio dei simboli finché non trovano, appesa a una parete, una tavola degli elementi: la Stele di Rosetta. Solo il collega più anziano, esperto di Ittiti e non di particelle, osa formulare il dubbio cosmico: Come facciamo a essere sicuri che i 'loro' elementi non siano diversi dai 'nostri'? La nuova generazione gli ride in faccia: nonno, posa il tuo relativismo umanistico. Che sia Marte o Alfa Centauri, l'idrogeno avrà sempre un protone. Le cose non possono essere più complicate di così. O no?

Storia della tua vita, il racconto di Ted Chiang che ha ispirato Arrival, mette appunto in crisi questo approccio. E se la scienza degli alieni fosse diversa dalla nostra? Se il calcolo integrale per loro fosse facile come le tabelline, e le tabelline viceversa calcoli astrusi e poco familiari? In teoria dividiamo lo stesso universo. Ma se avessimo una percezione dello spazio-tempo completamente differente? Che casino sarebbe... (ma che rivincita per il relativismo umanistico).

Questo per esempio è molto ingenuo. Come fai a dare per scontato
che distinguano il nero dal bianco e lo considerino un simbolo?
Nel film Amy Adams è la linguista (adorabile), Jeremy Renner lo scienziato (simpatico). Quest'ultimo all'inizio sembra sicuro del fatto suo: gli alieni vogliono comunicare? Spedite una sequenza di Fibonacci, vedrete che ci intenderemo. Dopo due scene si è già ridotto a fare la valletta per la collega. Nel racconto ovviamente la cosa è più complessa. Gli alieni effettivamente mostrano di conoscere gli elementi e qualche altra nozione scientifica di base, ma tutto si ferma lì, finché un giorno non riescono finalmente ad avere una conversazione sul principio di Fermat. La parte del racconto dedicata a questo principio è la più interessante: è anche quella necessaria, perché gli alieni di Chiang sono solo un'ipotesi narrativa, ma il principio di Fermat funziona davvero e stabilisce (grosso modo) che il percorso di un raggio di luce tra due punti è quello che si attraversa nel tempo minore. Da cui la domanda, ingenua e inevitabile: ma come fa la luce a sapere in partenza qual è il percorso che potrà attraversare nel tempo minore? Come può prevedere gli imprevisti di percorso? Forse perché per la luce non esiste un prima e un dopo, una partenza o un arrivo, perlomeno non nel modo in cui lo percepiamo noi umani?

E se anche per gli alieni non esistesse il "prima" e il "dopo" degli umani? In questo caso la domanda più banale ("perché siete qui?"), sarebbe anche la meno comprensibile: potrebbe esistere un "perché" in un mondo in cui potessimo vedere ogni cosa già conclusa prima che accada? In altre parole: nella realtà descritta dal principio di Fermat, e dagli altri principi variazionali, ha ancora senso parlare di libero arbitrio? Non solo gli alieni non saprebbero fornirci un perché, ma anche noi umani dovremmo domandarci se i perché hanno un senso. Tutto accade nello stesso momento, e se potessimo vedere la nostra morte - come gli alieni - non potremmo comunque impedirla. È lo stesso Chiang a proporci una metafora: vivere oltre il tempo è come avere un figlio. Nel momento in cui lo concepisci sai già che soffrirà, ma non si torna indietro. Lui non ha scelto di vivere, e nemmeno tu in fondo hai potuto scegliere che nascesse.

Questo parallelismo non così banale - il figlio come un alieno, o forse gli alieni sono i nostri padri che non possono e vogliono dirci perché ci hanno messi al mondo? - è quello che ha probabilmente conquistato lo sceneggiatore Eric Heisserer, e spinto a scrivere un copione che senza il successo di blockbuster come Interstellar o Gravity sarebbe rimasto un'idea folle, una sceneggiatura vagante nello spazio cosmico. Heisserer purtroppo ha tolto ogni riferimento a Fermat e inserito l'arrivo degli alieni in una specie di gelida parodia di Independence Day - qualcosa che in effetti Denis Villeneuve poteva aver voglia di girare (memorabile una delle prime sequenze, dove il panico mondiale viene descritto nel modo più quotidiano e canadese possibile: in facoltà gli studenti disertano le lezioni, due macchine si tamponano in un parcheggio. E col panico per questo film siamo a posto). Arrival è, come Sicario, il viaggio di una donna curiosa e competente alla scoperta di una dimensione nuova del mondo. Per il regista non è importante soltanto l'arrivo, ma anche le piccole cose che fanno il viaggio: i corridoi, i briefing, il silenzio già complice dei compagni appena conosciuti.

Purtroppo dopo il momento della scoperta, bisogna anche far succedere delle cose, e Heisserer non è stato all'altezza del compito (continua su +eventi!) 
Le intenzioni erano buone - aggiungere alla storia di Chiang quel minimo sindacale di conflitto, di action, persino di esplosioni che potevano rassicurare i produttori e fornire immagini seducenti per i trailer. Così abbiamo gente che mette le bombe perché "ha visto troppi film", abbiamo un generale cinese che vuole attaccare le astronavi (è abbastanza indicativo che i militari americani necessitino per comprenderlo della consulenza della stessa linguista che sta decifrando la lingua degli alieni). Il film non mette i cinesi tra i cattivi, ma quantomeno deve assumere che siano più impulsivi e timorosi degli americani - anche perché invece di cercare di tradurre gli stranieri, si sono messi a giocarci a mahjong (idea geniale, che nel racconto non c'era e che purtroppo è buttata lì un po' in fretta).

Il risultato è un po' una delusione, anche per le attese che questo film era riuscito a suscitare nella prima parte. Ma è giusto prendersela con Heisserer e Villeneuve per aver omesso il principio di Fermat? In generale, possiamo far loro una colpa dell'aver semplificato la storia fino a farla pericolosamente assomigliare a una baracconata new age con gli alieni onniscienti che vengono a regalarci la chiave della trascendenza? È un film di Villeneuve, senz'altro inferiore a Sicario ma con la stessa capacità di fondere l'intimo e il sublime. Ma è anche un film di fantascienza hard, che con la scusa degli alieni ti parla di linguistica e spaziotempo per un'ora e mezza; è un film tratto da un racconto che solo un pazzo poteva pensare di trasformare in pellicola, e Villeneuve sta riuscendo perfino a guadagnarci; insomma è un oggetto straordinario, che dimostra l'ottimo stato della fantascienza al cinema; che fino a tre o quattro anni nessun produttore sano di mente avrebbe pensato di finanziare e invece oggi eccolo qua; e chissà cos'altro arriverà domani, visto che film di questo genere non soltanto si fanno, ma incassano pure. Villeneuve andrebbe soltanto ringraziato per il dono che ha fatto all'umanità, invece di mettersi anche lui a macinare le solite storie viste e riviste, i soliti sequel e i soliti remake. Chissà cosa farà adesso.
"Blade Runner".
"Eh?"
"Sta facendo un Blade Runner".
"Ah".
"Ma in fondo era inevitabile".
"Era inevitabile dall'inizio".

Arrival è al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:10, 22:40); al Vittoria di Bra (21); al Multilanghe di Dogliani (21:30); al Cinecittà di Savigliano (20:15, 22:30)
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Nello spazio nessuno può sentirvi pomiciare

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Passengers (Morten Tyldum, 2016)

Ti svegli un mattino su un'astronave generazionale e scopri che c'è stato un errore: tutto il resto dell'equipaggio dorme e non si sveglierà che tra 90 anni. Re-ibernarsi è impossibile, suicidarsi la prospettiva più logica. Mentre ci rifletti, inciampi nella cella criogenica di Jennifer Lawrence, che sulla Terra faceva la giornalista ed era (ovviamente) molto spigliata e simpatica. La svegli? non ci pensi neppure.

Ma il giorno dopo ti svegli e sei di nuovo lì, tutto solo, davanti a Jennifer Lawrence congelata. Basterebbe ficcare un cacciavite nel circuito giusto, e potresti avere Jennifer Lawrence per tutta la vita, senza doverla dividere con nessuno, su un'isola deserta con tutti i comfort (per esempio sull'astronave c'è il karaoke e i ristoranti etnici e una piscina affacciata sullo spazio, altri comfort agli sceneggiatori non sono venuti in mente). Ma sarebbe un crimine, no? Una specie di omicidio, anzi forse peggio. Quindi non ci pensi più.

Ma il giorno dopo sei di nuovo lì, tutto solo, davanti a Jennifer Lawrence - non c'è rimedio a questa cosa. Del resto, se la svegli poi dovresti mentirle per tutta la vita. E convivere con questo orribile segreto (ma anche con Jennifer Lawrence). Che follia. Meglio pensare ad altro.

Ma il giorno dopo? E il giorno seguente?

Là dove l'uomo non è mai arrivato e forse neanche quelle famose foto che tenevo sul telefono.
A un certo punto Hollywood si è resa conto che la fantascienza sul grande schermo sarebbe sopravvissuta meglio di altri generi. Il passo successivo era cercare di allargare il bacino di utenza, che nel caso della fantascienza era perlopiù un sottoinsieme del genere maschile. Che vizzo stereotipo, vero? Però era così. Dunque  il problema era: come convinciamo le donne a sciropparsi film di astronavi?

Una delle strategie possibili era quella di mettere al centro dei personaggi femminili aspirazionali, magari un po' ribelli e atletici, ma femminili: ci facevi bella figura anche dal punto di vista politico. La letteratura giovanile negli USA aveva già inaugurato il trend. E così Jennifer Lawrence divenne l'arciere rivoluzionario di The Hunger Games. Nel giro di pochi anni ragazze eroiche hanno preso il controllo più o meno di tutte le saghe in circolazione - nonché dei lungometraggi Disney e Pixar, e di Star Wars. E finalmente quest'anno avremo Wonder Woman in un film tutto suo. Bene. Cioè. Siamo proprio sicuri che le donne vogliano vedere Wonder Woman al cinema? Cioè il motivo per cui a tante donne fin qui non interessavano le astronavi è che non c'erano donne ufficiali in plancia di comando? Siamo sicuri che queste eroine cazzutissime che abbattono avversari più grossi e armati di loro non siano un fantasma più maschile che femminile? Abbiamo davvero femminilizzato la fantascienza, o non abbiamo semplicemente costretto anche le donne a fare quelle cose odiosamente maschili come le guerre, le conquiste (e a indossare quei ridicoli pigiami da supereroi)?

Ora ti salto addosso in sala mensa,
così anche col femminismo siamo coperti
Un'altra strategia è quella di Passengers: se le donne devono proprio entrare in un'astronave, se è il Mercato che lo richiede, non si può almeno dar loro quello che vogliono? Perché a molte donne piacciono le storie coi sentimenti. Che stereotipo vizzo, già. Però è così (continua su +eventi!)

E quindi ecco Chris Pratt e Jennifer Lawrence. Il trailer parlava chiaro, la locandina ribadiva il concetto: questo è un film in cui Chris Pratt e Jennifer Lawrence si baciano, tutti soli su un'isola deserta - no, in realtà è un'astronave, ma è quasi la stessa cosa, anzi se volete può anche essere più romantico perché... perché... ci sono le stelle, ad esempio, tutte le stelle che vuoi... le nebulose, e ogni tanto cose ancora più incredibili come... le giganti rosse, ecco, il giorno del compleanno di Jennifer l'astronave passa davanti a una gigante rossa, una rotta economicamente suicida, ma vuoi mettere il romanticismo (qualche ora dopo la gigante rossa è già sparita, del resto vanno alla metà della velocità della luce).

Un film del genere, una crociera spaziale di Jennifer Lawrence e Chris Pratt, la puoi portare nei cinema anche a ridosso di un capitolo di Star Wars senza troppa paura di patire la concorrenza al botteghino; è tutta un'altra idea di fantascienza, di fiction, di romance. Probabilmente non è l'idea che venderà più biglietti; sicuramente è un'idea che farà inorridire molti critici e qualche femminist* - parliamo di un film in cui il maschio fa il meccanico e la donna la scrittrice. Persino io, che per le astronavi generazionali ho una specie di ossessione, ho avuto qualche difficoltà ad accostarmi a un film che sembrava più indirizzato al pubblico di Io prima di te. Ma devo ammetterlo: sono rimasto piacevolmente sorpreso. Forse perché, davvero, non mi aspettavo niente di più che un film in cui la Lawrence scopre che Chris Pratt è l'uomo della sua vita (nonché l'unico in tutto quel braccio della galassia) e gli dà due bacetti senza svestirsi, e invece ho passato una prima mezz'ora solo con Chris Pratt che mi ha fatto pensare a un vecchissimo film di astronavi e solitudine, Silent Running. Ho incontrato il barista Arthur (Michael Sheen), uno degli androidi più verosimili mai visti al cinema: cordiale, ragionevole, un ideale compagno di bevute, a differenza del sistema operativo di Her non acquisisce mai umanità e anzi contribuisce in modo determinante a farcene sentire la mancanza.

La mia scena di bacetti preferita 
è quando ci provano con le tute ma è complicato.
(Qui lei gli sta facendo notare che non può entrare nella tuta
col vestito da sera).
Ma soprattutto mi sono trovato davanti al dilemma su Jennifer Lawrence: svegliarla o impazzire? Ecco, per me la buona fantascienza deve fare questo. Isolare i dilemmi etici, gli argomenti che ci fanno discutere, inserirli in una cornice straniante - in questo caso lo spazio profondo, un'astronave di belli addormentati - allontanandoli da tutti quei dettagli localisti e vernacolari che ci distraggono dalla sostanza. Quando alla fine la Lawrence si sveglia, l'astronave diventa una pazzesca metafora di cosa può diventare un rapporto a due - amore e menzogna, devozione e manipolazione. Per dire, alcuni critici sono rimasti scandalizzati perché a Pratt, che ha commesso un delitto tanto sordido, il film offre una possibilità di redimersi. Ma come! Quello è uno stalker, un maniaco! La Lawrence non può perdonarlo, al massimo sarà vittima di sindrome di Stoccolma! Ok, son critici d'oggi, probabilmente avrebbero difficoltà anche con Rhett Butler - per tacere di quell'assassino di Romeo Montecchi, (Giulietta avrebbe dovuto ripudiarlo subito, altroché). L'idea che l'eroe di un film possa commettere un crimine, benché in una situazione di assoluta disperazione, fa sempre più fatica a passare. Ma quindi vere storie di redenzione non potremo più raccontarne, e quindi insomma che ci racconteremo? A parte le storie di ragazze predestinate che salvano l'universo, va bene - ma in un mese ne ho già viste due.

Con tutte le sue ingenuità, le sue giganti rosse e le gag involontarie, Passengers è un film che prova a raccontarci una storia diversa, che prende in prestito le suggestioni di tutti i successi fantascientifici degli ultimi anni (GravityInterstellarThe Martian) per ricordarci che anche nello spazio profondo continueremo a essere uomini e donne, ad attrarci e a respingerci per problemi altrettanto profondi. E poi, certo è anche un film in cui se Jennifer ha voglia di Chris, gli salta addosso in sala mensa. Migliore opera di fantascienza sentimentale del 2017, fin qui. Lo trovate al Vittoria di Bra (18:00, 20:10, 22:30), al Multilanghe di Dogliani (21:45) e al Cinecittà di Savigliano (20:20, 22:30).
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Fast & Furious: the Star Trek Rift

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Star Trek: Beyond (Justin Lin, 2016).

Spazio, ultima frontiera, o quasi. Abbiamo aspettato due film - otto anni - che il capitano Kirk e la sua ciurma maturassero, ma adesso finalmente dovremmo esserci. Questi dovrebbero essere i viaggi dell'astronave Enterprise durante la sua missione quinquennale, diretta all'esplorazione di strani, nuovi mondi... più o meno. Cioè ci avete mai pensato a quanto è lunga una missione quinquennale? Sessanta mesi nello spazio profondo? Sempre con le stesse tutine gialle azzurre o rosse? E se uno/una ha voglia di farsi una famiglia? O una bevuta in un locale trendy in una di quelle stazioni spaziali che disegnano adesso con l'autocadCGI? Insomma possibile che non ci si possa fermare ogni tanto a ricaricare i motori a curvatura, possibile che in fondo a questa nebulosa non ci sia un bar?

Ti immagini che driftate.
Lo so, è inutile prendersela. Non c'è mai stata un'età dell'oro di Star Trek al cinema: qualche film divertente, diverse ciofeche, d'altronde con la fantascienza è così: per trovare l'oro nel catalogo Urania devi scavare in mezzo a escrementi di ogni forma e colore. La devozione dei trekker non ha mai aiutato, anzi: il loro oltranzismo da cosplayer con le orecchie a punta ha accresciuto il distacco tra l'Enterprise e il pubblico dei multisala, col bel risultato che dieci anni fa la saga era già morta e sepolta. L'ha risorta Gigi Abrams, con quel suo classico tocco un po' necrofilo e il suo gusto per le trame lambiccate, macchinose, metareferenziali. Il primo film funzionava persino, il secondo cominciava a mostrare la corda, il terzo è stato ceduto a un improbabile team che ha come punti di forza Simon Pegg e Justin Lin. Un comico inglese e un regista action da Taiwan. Com'è andata?

Neanche male, cioè, se parti con l'idea di vedere un film scritto da Simon Pegg (alla trilogia del Cornetto, per capirci) e girato dalla crew di Fast and Furious, Beyond non delude affatto. Un sacco di battute e di sgommate - l'Enterprise tecnicamente non può sgommare, per cui verrà ritrovata una motocicletta nel luogo meno verosimile - ma comunque anche la nostra astronave preferita si può infilare a rotta di collo in una nebulosa, mandare a sbattere contro uno sciame di navette nemiche e far impattare sul pianeta più roccioso della galassia, una specie di Tokyo Rift spaziale. Niente di nuovo del resto, ormai Kirk distrugge una media di un'astronave e mezza a film, e vabbe', una volta si tirava al risparmio, mentre adesso la gente vuole vedere le esplosioni, devi chiarirlo già dai trailer che hai intenzione di spaccar tutto anche stavolta. Ci potrebbe stare anche questo, se si tratta di salvare un po' di spirito di Star Trek. Ma ecco, il punto è proprio questo. Qual è lo spirito di Star Trek?
Se lo potessi chiedere a Lin e Pegg, credo che mi risponderebbero all'unisono: il cameratismo (continua su +eventi!)




Se lo potessi chiedere a Lin e Pegg, credo che mi risponderebbero all'unisono: il cameratismo. L'unica cosa che incidentalmente hanno in comune la trilogia del cornetto e Fast and Furious: questa idea della famiglia allargata, della squadra multetnica e affiatata che in F&F per fortuna comprende anche le ragazze, purché cazzutissime piloti o stunt. Anche in Beyond, del resto, il cast cresce per accumulazione: pianeta che trovi, cazzutissima ragazza che arruoli. La nuova arrivata (Sofia Boutella) ci sa naturalmente fare con le armi e con le riparazioni, ha un qualche aggeggio che la rende invisibile o la sdoppia, e nella versione originale probabilmente parla come un rapper old-style perché ha imparato l'inglese sugli mp3 di Beastie Boys e Public Enemy. Poi una volta sconfitto il nemico vanno a farsi una bevuta in un superattico ai confini della nebulosa, il comandante con la crew superstite, tutti in borghese con le giacche di pelle, giusto un mezzo secondo per ricordare che metà equipaggio è caduto in combattimento, è chiaro che chi ha scritto questa roba non ha fatto il militare. E io non vorrei essere quello che rimpiange la cosa, non ho niente contro il cameratismo contemporaneo o i film di inseguimenti in macchina, non vorrei essere il cattivo che dice che una volta era diverso, una volta i membri della flotta spaziale sapevano cos'era il sacrificio, la dedizione, la disciplina. Però accidenti. Beyond sta piacendo quasi a tutti, evidentemente il problema sono io che continuo a cercare un'idea di Star Trek che non è quella di Lin e Pegg, non è quella dei trekker, forse a questo punto è solo mia. Cosa c'era in quei vecchi telefilm, che mi piaceva tanto?


Andare dove nessun uomo è mai stato, 
e farci due penne in moto.

Un'astronave nello spazio. Tutto qua. E lo spazio era profondo davvero, non c'erano megacittà orbitanti dietro l'angolo dove fare rifornimento e abbracciare i famigliari. Non c'erano famigliari, neanche sul ponte di comando: a darsi del tu erano in Kirk, Spock e McCoy, fine. Non c'era soap opera, Spock e Uhura non passavano gli anni a giocare a Non So Se Ti Amo Davvero. Non c'era niente di questa roba appiccicosa, non ce n'era tempo e non ce n'era bisogno. E allora cosa c'era?

La frontiera. L'universo sconosciuto. Ogni episodio, un pianeta diverso, o un problema nuovo. La voce della ragione (Spock), le ragioni del sentimento (McCoy), e Kirk sulla sedia a comandare e improvvisare. Star Trek non è quella serie di hard science fiction che molta gente crede che sia: è un'idea che hanno messo in giro i trekker mentre si affilavano le orecchie in gommapiuma. Certo, il budget era quello che era, il lato action consisteva in qualche sparuto raggio laser, qualche buon vecchio pugno, e per rendere l'idea di un'esplosione in plancia si faceva ballare la macchina da presa. Star Trek per sopravvivere nel palinsesto tv doveva avere delle storie incredibili, potenti, e in giro c'era gente che le sapeva scrivere: Richard Matheson, Robert Bloch, Theodore Sturgeon, Harlan Ellison, Fredric Brown. Senza offesa, ma Lin e Pegg non giocano nello stesso campionato. Abrams almeno se ne rendeva conto, e nel suo modo contorto cercava di rendere omaggio a una generazione di inventori di storie che veramente ci hanno aperto la mente.

Il nuovo Kirk e il nuovo Spock non hanno niente che non vada, ma sono ovviamente l'espressione di un'epoca diversa, afflitta da una tipica fobia del vuoto che è il contrario di quello smarrimento metafisico che la vecchia ciurma provava davanti all'immensità dello spazio: dovunque devono esserci città immense con tante strade per fare sorpassi spettacolari (almeno stavolta non si chiamano col cellulare dagli opposti del sistema solare, una cosa che ti ammazza il sense of wonder). Persino il nemico, il mostro, l'alieno, se lo guardi bene siamo sempre noi con un trucco diverso e qualche idea oscurantista da vecchio brontolone - nulla che valga la pena di capire: da quel poco che riusciamo a interpretare, il cattivo di turno vuole ammazzare tanta gente perché odia la pace e ama la guerra, neanche i cinecomics ormai osano tagliarla così grezza. Ma va bene, sono antimilitarista e multiculturalista, viva il melting pot di razze che colonizzano l'universo e dappertutto creano luoghi trendy dove fottere i turisti coi drink fluo. Mi sono divertito coi Guardiani della Galassia, perché dovrei dirmi deluso da Fast and Furious nello spazio. Facciamo che la prossima volta che esce uno Star Trek io me ne sto a casa a rileggeremi Le Grandi Storie della Fantascienza del 1954.

Comunque Star Trek: Beyond lo trovate all'Impero di Bra alle 20:15 e alle 22:30, al Fiamma di Cuneo alle 21 e al Multilanghe di Dogliani alle 21:30.
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Siamo tutti figli di Cuarón

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I figli degli uomini (Children of Men, Alfonso Cuarón, 2007).

L'umanità è diventata sterile, l'Inghilterra è invecchiata e isolata. I più giovani - hanno sedici anni ormai - si radicalizzano, mettono bombe a casaccio, non si sa nemmeno cosa vogliano. I vecchi se la prendono coi migranti, nessuno ricorda più il perché. Succederà tra vent'anni - no, aspetta, nove sono già passati.


È vero che ci sono film più recenti in sala, ma se al Castello di Roddi sabato 9 luglio fanno I figli degli uomini, forse vale la pena di ridare un'occhiata per scoprire quanto poco sia invecchiato un film che dieci anni anni fa sembrava già una cosa notevole, se non proprio un capolavoro. Quel che è successo nel frattempo è che non solo le tematiche del film non hanno smesso un attimo di restare attuali - anzi, i rifugiati nei recinti e i campi profughi militarizzati somigliano sempre di più a una profezia - ma che lo stile sfoggiato da Cuarón nell'occasione è diventato tipico del migliore film d'azione. Nel 2007 esistevano già i found footage; Von Trier e Gus Van Sant ci avevano già assuefatto alla nausea da handicam; e però i piani sequenza insistiti (e truccati); la scenografia un po' Bagdad un po' videogioco sparatutto, sono cose che sono diventate moneta corrente dopo i Figli degli uomini, se non grazie ai Figli degli uomini (continua su +eventi!).



Non voglio dire che non avremmo avuto film acclamati il Figlio di Saul, o l'ultimo Mad Max, ma forse li avremmo apprezzati meno se nel 2007 Cuarón non ci avesse iniziato a un nuovo modo di girare l'azione, visionario e più immediato: anche questo film è in sostanza un solo lungo inseguimento; anche Cuarón è deciso a narrare soprattutto attraverso le immagini, riducendo al minimo gli spiegoni. Vedi l'intermezzo dell'"Arca delle Arti", un progetto che viene semplicemente menzionato e mostrato, senza che nessun personaggio o voce narrante si preoccupi di spiegarci cos'è: ce lo devono dire le immagini, e il maiale rosa sulla fabbrica e il David di Michelangelo con una gamba rotta, e ci riescono egregiamente. Del romanzo di P. D. James restano solo le suggestioni: la trama è stravolta anche da un punto di vista politico, senza troppe preoccupazioni per la logica (un'Inghilterra condannata a invecchiare sarebbe costretta a importare i lavoratori stranieri più che a scacciarli, e in effetti la James nel romanzo prevedeva dei campi di lavoro coatto). Cuarón la taglia a fette molto meno sottili: sceglie come nuova Eva (che all'inizio avrebbe dovuto essere Julianne Moore) una ragazzina d'origine africana con un pessimo gusto per i nomi: trova i sobborghi meno caratteristici di Londra e chiede ai suoi scenografi di messicanizzarli. Per lui il confine tra primo e terzo mondo ormai è un fronte mobile. Gli preme mostrarci un'Inghilterra senile e xenofoba, e dieci anni dopo è difficile dar torto alla sua intuizione.

In generale rivedere su un grande schermo I figli degli uomini potrebbe rivelarsi un'esperienza straniante per chi ha la sensazione che tutto stia precipitando all'improvviso: è un film che appartiene assolutamente al decennio scorso, all'era pre-crisi dei bond, ai tempi in cui il nemico numero uno era Bin Laden - la scena della bomba a Londra fu girata poche settimane dopo l'attentato suicida del 2005 - e ci mostra come tutti gli incubi che crediamo avere avuto negli ultimi anni ce li stiamo portando avanti ormai da più di dieci. Non è che i cinema siano già chiusi, ma non mi pare che questa settimana ci sia in giro qualcosa di più interessante e attuale dei Figli degli uomini. . Al Castello di Roddi dopo le 21, sabato 9 luglio.
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Il consulente che cambiò l'Italia (per sapere com'è andata CLICCA QUI!!!)

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Non solo in Italia nessuno muore stronzo, ma alcuni hanno anche la dubbia fortuna di morire geniali e visionari. E sì che la traiettoria di Gianroberto Casaleggio - imprenditore, consulente, fondatore di un partito che dal nulla è arrivato quasi al 30% - non avrebbe bisogno di abbellimenti, ma si vede che non basta mai. Bisogna immaginarlo come un burattinaio di Grillo o del Movimento tutto, un leader distante, esoterico - non scherzo, qualcuno ha veramente usato la parola. Qualche anno fa, probabilmente mentre cercava di impacchettare un po' di fuffa a qualche azienda, la Casaleggio produsse quel video famoso in cui si prevedeva la Terza Guerra Mondiale e la Gaia prossima ventura nel 2054. Il video non era niente di straordinario (la qualità non essendo mai stata una priorità delle produzioni Casaleggio), ma a un certo punto diventò virale.

In mancanza d'altro - il tizio parlava poco e anche i suoi libri alla fine non è che chiarissero un granché - gli osservatori esterni del Movimento decisero che il video su Gaia rappresentava la vera ideologia segreta del suo fondatore, come se ci riflettete è giusto che sia: se hai un piano segreto e non vuoi renderla nota fuori dal tuo cerchio magico, tu subito corri a pubblicarla su Youtube. Ogni volta che ha potuto, Casaleggio stesso ha ribadito che quel video non era cosa da prendere sul serio - non più sul serio di qualsiasi presentazione che un consulente confeziona alle aziende - ma eravamo tutti troppo furbi per cascarci. Anche ieri ne hanno riparlato in tanti, su giornali radio e tv, e Casaleggio è diventato il visionario teorizzatore di Gaia. Questa è la cosa che da sempre mi spaventa: non la morte, ma il modo in cui dopo la morte di noi non sopravvive un senso complessivo di quello che siamo, di quello che abbiamo cercato di fare - ma più spesso la prima cazzata che c'è venuta in mente in un giorno qualsiasi per impressionare una tavolata di persone.

Così com'è difficile capire un Bossi o un Grillo (persino un Renzi) senza dare un'occhiata al territorio, a quei bar in cui la sanno tutti lunga e te la spiegano in due parole, ex chitarristi sbandati, padroncini o figli di, può essere abbastanza complicato comprendere Casaleggio se non hai mai assistito allo spettacolo d'arte varia dei consulenti per le aziende. Quando parliamo di C. come di un grande innovatore digitale, in sostanza stiamo provando a rivendere il pacco che è riuscito a rifilarci. Alla fine della fiera faceva dei siti - neanche molto belli, considerato che erano già gli anni in cui i blog si cominciavano a dichiarare morti. Nessuno che io sappia ha mai trovato particolarmente innovativo il blog di Antonio Di Pietro: certo, faceva notizia che ne avesse uno. Quello di Grillo sembrò sin dall'inizio un pasticcio piuttosto pesante: però era Beppe Grillo. Bastava il suo nome a portare on line milioni di utenti mai visti prima, la blogosfera italiana diventò un piccolo villaggio alla periferia del centro commerciale beppegrillo.it. Nel frattempo gli early adopters passavano ai social network, e Casaleggio nemmeno ci faceva caso. Come innovatore digitale era straordinariamente lento di riflessi, spesso ancorato a software o piattaforme già vecchie nel momento in cui le adottava (Movable Type, i MeetUp). Come nota Mantellini, la stessa concezione casaleggiana della Rete sembrava uscita dai cibernetici anni Novanta: "uno strano riciclo di miti, sogni luccicanti e intuizioni sull’universo digitale presi pari pari dall’interpretazione libertaria americana del nuovo contesto digitale di un decennio prima. Temi che nel frattempo, oltreoceano e nei circoli culturali europei, erano già stati opportunamente accantonati e considerati impraticabili praticamente da chiunque, il più spettacolare dei quali, quello del governo diretto dei cittadini attraverso gli strumenti digitali, è ancora oggi, nonostante le molte smentite pratiche, il punto centrale dell’ideologia del M5S".

Una volta buttai lì che i grillini erano i nuovi futuristi; poi non ho avuto più tempo o voglia di spiegare. (Bisogna anche dire che io ho studiato più il futurismo che qualsiasi altra cosa, e quindi lo trovo anche nella struttura delle latifoglie). Ciò che il timido consulente e Marinetti avevano in comune, non è solo la sensazione di trovarsi sul promontorio dei secoli, ma anche la segreta consapevolezza di non aver la minima idea di quel che sta succedendo. Marinetti non ha gli sponsor e la fama di un D'Annunzio, ci avrebbe messo un po' prima di salire davvero su un aeroplano...  però intanto sente tutti parlare di aeroplani, aeroplani, aeroplani, e lui si mette a scriverci un poema sopra. Non ne sa un granché, in sostanza lo tratta come un grande uccellaccio cavalcabile, ma qualcosa l'azzecca. Poi prevede una guerra, che funziona sempre. Non ha una cultura scientifica, ritaglia e incolla qualsiasi scemenza pseudoscientifica trovi sui giornali: si convince facilmente che la radioattività rinnovi il vigore sessuale perché ne parlano "gli scienziati" in una breve sul Corriere.

Casaleggio si ritrova a fare consulting in quel favoloso decennio in cui tutti parlano di internet e non ci naviga ancora nessuno. Lui ci prova. Non inventa niente, il più delle volte arriva tardi: il suo colpo migliore è stato conquistare Beppe Grillo e la sua massa critica di seguaci. Quanto alla politica: a un certo punto ci siamo tutti convinti che Casaleggio fosse la Mente, perché dei due intestatari del partito era quello che parlava poco. Senz'altro la sua idea di rifiutare qualsiasi alleanza o compromissione ha pagato. Ma non era poi un'idea così raffinata, soprattutto se si aveva la possibilità di osservare da un punto di vista privilegiato il livello di impreparazione degli eletti m5s nel 2013. Quando poi si passa alla parte pratica, con le epurazioni e i direttori C ha dimostrato ampiamente di voler gestire il movimento come un'azienda - non dissimilmente da quello che faceva Berlusconi (e lo stesso Renzi ha un concetto simile e nasce in un simile brodo culturale, anche se si è fatto le ossa nell'amministrazione locale). Il che ci riporta a quel bar non necessariamente padano in cui tutti hanno un'idea geniale per mettere a posto le cose. C'era il chitarrista sbandato, il figlio del bancario che non si sapeva esattamente dove avesse preso i soldi, e ogni tanto magari si fermava a prendere il cappuccino il consulente in impermeabile. Chiacchiere simili, timbri diversi, ma se fai caso alla nota dominante, vedi che non varia di molto. Ce l'hanno tutti con chi non ha voglia di lavorare, con gli stranieri che ci levano il lavoro, la burocrazia, i sindacati. Scattano tutti in modo automatico ogni volta che un partito anche solo vagamente di sinistra sembra poter vincere le elezioni.

Mussolini diventò un personaggio scrivendo e dirigendo un giornale, e poi tentò di dirigerla come un giornale ("un’idea al giorno, dei concorsi, delle sensazioni, un abile e insistente orientamento del lettore verso alcuni aspetti della vita sociale, smisuratamente ingranditi, una deformazione sistematica della comprensione del lettore"). Berlusconi era un piazzista televisivo: vinse le elezioni vendendo il suo personaggio televisivo di miliardario che-risolve-i-problemi, e poi tentò di gestire l'Italia come un palinsesto. Casaleggio e Grillo inventarono un blog - niente che non esistesse già: un'idea al giorno, delle sensazioni, un orientamento del lettore neanche tanto abile, clickbaiting senza pudore. Se avessero vinto le elezioni, avrebbero gestito l'Italia come un blog. Un po' mi dispiace non averli visti di fronte al cimento, ma non è detta l'ultima parola, anzi.
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Gli effetti davvero speciali

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Come tutte le intelligenze collettive, l'Academy che assegna i premi Oscar non ha esattamente i riflessi pronti: tanto più notevole risulta il successo di Mad Max, che avrebbe potuto ottenere anche più statuette, se non si fosse dovuto scontrare con preti pedofili, banchieri ladri e DiCaprio. Mi piace pensare di aver assistito allo sdoganamento di un genere, la fantascienza, che fino a qualche anno fa era stato confinato ai margini: e giustamente, visto che era ormai associato a blockbuster fracassoni e assurdi alla The Core.

Per questo il premio che in assoluto mi ha fatto più piacere è quello su cui davvero non contavo: gli effetti speciali a Ex Machina. Un film piccolo, con un budget modesto che Iñárritu avrebbe bruciato in una settimana di riprese "solo luci naturali". Ex Machina lottava contro macchine da guerra milionarie: Star Wars, lo stesso Mad Max col suo tripudio di stuntmen, il costosissimo orso digitale di The Revenant, il pianeta Marte di Sopravvissuto, rimodellato nell'altopiano del Wadi da Ridley Scott con videocamere 3d. Contro colossi come questi, Ex Machina poteva opporre solo un'idea, una trovata vecchio stile: riprendere Alicia Vikander e cancellarne parzialmente le forme col Rotoscope. Il caro vecchio Rotoscope - no, niente nostalgia. Si usano i vecchi mezzi perché costano poco, e perché funzionano bene: il risultato è straordinario, e ha commosso persino i giurati dell'oscar. Sarò onesto: fino a domenica ero convinto che la maggior parte non se lo fosse nemmeno visto, Ex Machina. Hai in gara l'orso che maciulla Di Caprio, hai le astronavi anticate degli Jedi, hai Mad Max, cosa stai lì a guardare un film tutto parlato dove l'unico effetto è un'androide carina?

E invece l'androide ce l'ha fatta, perché è davvero inquietante il modo in cui gioca con i nostri desideri e la nostra percezione. Ci mostra un volto adorabile, ci ricorda a ogni istante che sotto c'è un vuoto. Qualcosa di freddo e ostile. Eppure ci cascheremo ugualmente. Ex Machina è una trappola non proprio perfetta, ma è un bell'esempio di quello che sta succedendo alla fantascienza al cinema negli ultimi anni, a partire direi da Moon di Duncan Jones. Budget piccoli, idee forti. Ha funzionato così bene che sta influenzando anche i prodotti ad alto budget: Her, Gravity, Interstellar, The Martian. Manca ancora un vero capolavoro che segni i tempi: diciamo che la primavera è promettente.
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Star Wars 7, la recensione che non cede al lato spoiler

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In questi casi il tempo è tutto, non lo perderò in preamboli. Ho visto l'Episodio VII, prima di molti di voi.
È un grande potere quello sento in me, ora. Saprò usarlo al meglio? Saprò scrivere una recensione senza danneggiarvi, senza farvi venire neanche il sospetto che il nuovo xxxxxxxxxxxxx e il xxxxxxxxxxxxxxx di xxxxxxxxxxx, e che alla fine xxxxxxxxxxxxx si xxxxxxxxxx per xxxxxxxxxxxxxxx?

È così difficile, Maestro!

Oh come potrei approfittarne.


Star Wars VII: il risveglio della Forza, (J. J. Abrams, 2015)

Sento il Potere, ma sento anche la Paura. Forse non sono l'uomo adatto. Sono salito in questa cosa quando ero appena un giovanetto. Non capivo nulla di intreccio e di suspense, di montaggio men che meno, non capivo nulla di cinema e forse mai lo capirò. Volevo solo scappare dal mio pianeta di rottami, volevo vedere lo spazio. Ancora non sapevo quanto potesse essere freddo e avvilente, certe volte. Mi hanno detto un arnese in mano, tie', datti da fare. Spara ai film brutti e difendi quelli belli, inoltre da qualche parte c'è una principessa da salvare, un mega-cannone che ha sempre un minuscolo punto debole, e non scordarti che estetica ed etica sono gemelle dello stesso seme.

"Estetica e cosa?"
"Lascia perdere. Spara ai brutti. Io ti copro".

Trent'anni più tardi eccomi qui, Recensore della Grande Provincia di Cuneo. C'è senz'altro in me un briciolo di grandezza - ma c'è anche tanta meschinità, tanta invidia - ed ecco che all'improvviso precipita da queste parti un droide con un biglietto per la prima proiezione di Episodio VII. Che cosa devo fare maestro?

Chiudi gli occhi.

Ma così non si vede un...

È un modo di dire, idiota. Immagina il respiro dei tuoi lettori. Domandati: cosa vogliono da te? Vogliono sapere che alla fine xxxxxxxxxxxxxxxxx è xxxxxxxxxxxxxxxxx di xxxxxxxxxxxxx? O vogliono sapere soltanto se è una bella storia che vale la pena.

Che importa? Tanto ci andranno lo stesso.

Non cedere. 

Massì, chissenefrega, è Star Wars, potrebbero riempire interi film di dialoghi di soap e mostri di gomma e la gente riempirebbe le sale lo stesso, con le loro spade colorate da minchioni. Non ha senso farli belli, questi film. Questa gente non si merita niente.

Non cedere al lato oscuro.

Poi certo, la Disney per togliere Star Wars al suo oscuro padrone si è svenata, è ovvio che deve recuperare presto l'investimento. Un film all'anno e pedalare. Dove c'erano solo rottami nel deserto arriveranno i centri commerciali, apriranno i discount. J. J. Abrams non fa prigionieri.

Ma ha fatto un brutto film?

(Continua su +eventi!)
No, Maestro, non ha fatto un brutto film. Ha voluto tornare all'originale, quando ancora non c'erano soap incestuose e dinastie. C'era solo un robottino perso nel deserto con un messaggio. Quando tutte le trame e sottotrame erano solo accenni tra una sparatoria e un inseguimento, e anche la Forza era poco più di un McGuffin, un espediente buttato lì per far andare avanti la storia. Quando si passava continuamente da un'astronave a un'astronave più grossa, i piani si improvvisavano lì per lì e le astronavi si imparavano a pilotare nei secondi del conto alla rovescia. Quando il lato Fantasy non aveva ancora preso il sopravvento sul lato Pirati, quando la formula segreta era 10% Misticismo, 10% Soap e 80% Baraccone. Che poi Maestro, perché? Perché quando le saghe vanno avanti il Soap prevale sempre sul Baraccone? È colpa del pubblico nerd che vuole tutto chiaro, tutto spiegato, tutto sempre messo a lucido, una galassia rigorosamente catalogata e organizzata? Il primo film era così sporco, arrugginito, periferico.

E questo?

Questo è sporchissimo, addirittura è ambientato tra le rovine dei precedenti... ops! Forse ho detto troppo. Ma il tritarifiuti spaziale ha di nuovo un ruolo importante, e quando hai sete ti bevi pure la bava dei brontosauri. Tutto quello che già successo è già sbiadito nella leggenda. Si riparte dal mistero, lo spazio è di nuovo pieno di meravigliosi buchi. Ci sono di nuovo personaggi che non hanno idea di cosa sta per succedere, eroi per sbaglio o di malavoglia. Giovani sospesi tra il rifiuto e l'ammirazione per la vecchia guardia. Le maschere non ci proteggono da volti orribili, ma dalla paura di non essere all'altezza.

Anche J. J. ha paura. 

Puoi sentirlo?

Poteva deludere centinaia di milioni di spettatori. Abusare della loro fede. Consegnare un prodotto pieno di citazioni e senza vita.

È andata così, Maestro?

Apri gli occhi, e rispondi all'unica domanda.

Maestro io...

Tu?

mi sono divertito.

Questo era l'importante. 

Anche se...

Anche se...

Beh, non è che tutto fili proprio liscio, cioè... ma il Lato Oscuro non ha proprio niente di meglio da fare che costruire la stessa arma sempre più grossa? In tutti i film un po' più grossa? Che razza di modello di sviluppo è? Se analizzi la trama da un punto di vista...

Ti sei divertito?

Sì maestro.

Non dimenticartelo. Sei euro. Che ci fai oggi con sei euro?

Il popcorn però è un furto. Per tacere del 3d, che francamente...

Nessuno ti obbliga. Adesso metti gli orari. 

Star Wars: Episodio VII - Il Risveglio della Forza è al Cityplex di Alba (21:00), al Cinelandia di Borgo San Dalazzo (20:00, 21:00, 22:45); al Fiamma di Cuneo (21:00); al Multilanghe di Dogliani (20:45, 21:30); ai Portici di Fossano (18:30, 21:30); al Bertola di Mondovì (20:45); all'Italia di Saluzzo (21:30). 

La versione 3d, che secondo me non vale la pena, la potete trovare al Cinelandia di Borgo (19:50, 22:40) e all'Impero di Bra (20:00, 22:30). Che la Forza sia con Cuneo e la sua grande provincia. 

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Dovevate lasciarlo su Marte (ovvero: e se The Martian fosse il prequel di Interstellar?)

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Qualche anno più tardi, quando sulla Terra le piante cominciarono a morire devastate dalla Piaga, e la NASA scoprì un wormhole al largo di Saturno, l'ex Marziano fu tra i fautori delle missioni Lazarus: l'umanità avrebbe potuto trovare una patria in una nuova galassia. Il Dottore fu tra i primi a partire in esplorazione...

Interstellar
Avevamo lasciato Matt Damon in un casco d'astronauta, mentre rischiava di estinguere l'umanità per tornare a casa. Lo ritroviamo in un casco non molto diverso, mentre le prova tutte per salvarsi. Cosa fai quando per errore ti lasciano solo su Marte? Ti lasci morire di sete o esplodi mentre provi a produrre acqua dalla combustione dell'idrogeno? Muori di fame o concimi un orto di patate con la tua stessa merda? Ti rassegni al freddo dell'universo o ti adegui a scaldarti con le scorie radioattive? Fai testamento o implori via radio che spendano l'equivalente di diversi prodotti interni lordi nazionali per venirti a riprendere?

Mark Watney sembra non avere dubbi. Lui ha il diritto di vivere, Marte non collabora ma dovrà adeguarsi. Nel suo diario di nove mesi non c'è spazio per la disperazione, né per la manifestazione di un minimo dubbio esistenziale: ma valgo davvero la pena? Cos'è alla fine la mia vita, perché i colleghi ne rischino molte di più per salvarmi? Perché la NASA sconvolga il suo programma spaziale, e la Cina rinunci ai suoi segreti scientifico-militari? Sul serio sono così importante? Così insostituibile?

(continua su +eventi, sì! la rubrica cinematografica più ignorante della provincia di Cuneo è tornata!)

Se solo Interstellar fosse arrivato dopo The Martian – se il progetto avesse languito per qualche mese in più sulla scrivania di Spielberg prima di finire nelle mani di Nolan – forse oggi avremmo un elemento in più per amarlo: potremmo immaginarcelo come un sequel del film marziano di Ridley Scott, in cui Mark Watney si ritrova di nuovo solo, stavolta in una galassia perduta – e stavolta sbrocca davvero. La stessa ostinazione a vivere che lo ha portato a scaldarsi con gli isotopi del plutonio e mescolare la merda dei compagni, e a farsi saltare in aria su un razzo decappottato – non è la stessa forza cieca che nell’altro film lo spingerà a truffare i compagni, e l’umanità, per un banale istinto di sopravvivenza? Dopodiché, d’accordo, The Martian è un film più compatto e sicuro del film di Nolan – nonché scientificamente inappuntabile – però dopo due ore di umani che collaborano, che non si fanno mai prendere dalla disperazione, che prendono continuamente decisioni all’unanimità, e sono sempre le decisioni giuste – dopo due ore del genere, vien voglia davvero di rivalutare gli astronauti di Nolan che invece fanno errori su errori per rimediare ad altri errori: astronauti che litigano, che non vanno d’accordo, che nelle proprie equazioni non riescono a eliminare pulsioni come l’amore o il senso di colpa. Astronauti più simili a quelli quasi veri di The Right Stuff di Kaufman: superuomini non immuni da sentimenti come l’invidia o il panico.

Certo, se un giorno andremo davvero su Marte, ci farà molto comodo poter contare su uomini come Mark Watney: dei Fonzie interplanetari che trovano sempre una via di uscita e non se la prendono mai. Ma dovremo essere anche pronti a sacrificarli – ed e qui che The Martian svela la sua debolezza: è la ricostruzione molto realistica di uno scenario inverosimile. Un astronauta perso, è perso. Nello spazio ogni risorsa è incredibilmente preziosa, e la tua lotta per la sopravvivenza, per quanto eroica, non può costare milioni di dollari ai contribuenti. Al cinema, beh, al cinema è diverso.

The Martian (in italiano Sopravvissuto) è al Cityplex di Alba (20:45), al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (in 2D alle 20:30 e alle 22:35; in 3D alle 21); ai Portici di Fossano (in 2D alle 18:30 e alle 21:15); al Cinecittà di Savigliano (in 2D alle 21:30); all’Impero di Bra (in 3D alle 22).

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Copernico in semifinale

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Benvenuti al secondo appuntamento di oggi con La grande gara degli spunti! Siete pronti a conoscere il quarto e ultimo semifinalista? È un tizio che dorme parecchio, ma quando si sveglia, non ce n'è per nessuno. Ha suonato la sveglia all'Universo Perpendicolare, è sopravvissuto facilmente alle 1+2+3+4+5+6 notti, e ha scongiurato l'avverarsi di un'Italia futurista. Fate sentire il vostro calore al sonnacchioso dottor Salem e a tutta la crew in rotta per Copernico!

Abstract
http://www.amazon.com/Across-Universe-Beth-Revis/
dp/1595144676
La Terra era sovrappopolata, forse minacciata da una catastrofe ambientale, e così ha lanciato una o più astronavi generazionali in rotta verso gli esoplaneti più vicini (si fa per dire, serviranno decine di millenni per avvicinarli). Oltre alle migliaia di passeggeri che vivranno figlieranno e moriranno nei secoli dei secoli, oltre ai miliardi di embrioni congelati, ogni astronave contiene un individuo ibernato, destinato a svegliarsi una settimana ogni secolo per ricordare agli altri passeggeri il significato della loro Missione. Quando parte il dott. Salem è preparato più o meno a ogni evenienza, ma il viaggio sarà lungo, tante cose andranno storte, e svegliarsi ogni settimana in mezzo a popoli che parlano lingue diverse e credono in cose diverse non sarà senza conseguenze.

Sembra interessante. Dove si possono recuperare altri frammenti della storia?


Quando mi è venuta in mente?
Una ventina di giorni fa. Sul serio. Ero in spiaggia. Stavo cercando di farmi venire in mente qualche idea perché le ultime in tabellone non mi convincevano tanto. Sia Copernico che Perpendicolare sono arrivate così.

Quanto è originale?
Ho scoperto che la prima storia di astronavi generazionali è stata pubblicata nel 1918. In tredici verso Centauro è un racconto di Ballard che mi fece una grande impressione da ragazzino. Le mappe del cielo di Blish è la storia più classica sull'argomento che credo di aver letto - tutte cose che mi può aver smosso la visione di Interstellar. Qualcuno ha detto che gli ricorda la Fondazione, ma il dott. Salem non è un ologramma che esegue un piano; è un tizio in carne e ossa che ben presto capisce di non avere nessun piano e di essere in balia degli eventi.

Potenziale commerciale?
È parecchio fuori moda - non lo senti anche tu quell'odore di Millemondi Urania bianco, un po' intriso di crema solare? C'è ancora mercato per queste cose? Forse bisognerebbe cominciare a ibernare i lettori.


Che senso avrebbe?
Sai che proprio non saprei? Immaginare tutte le cose che possono andare storte. Tutto quello che potrebbe fare l'umanità in un piccolo contenitore sospeso nel nulla, con l'aiuto di computer capricciosi e qualche occasionale disturbo esterno (capti il segnale di un astronave a milioni di chilometri, decidi di deviare la nostra per andare a vedere cos'è, ci metti cent'anni e quando arrivi scopri che è piena di scheletri dentro celle di ibernazione che hanno smesso di funzionare eoni prima).


Mi farò dei nemici?
Qualcuno mi darà del reazionario perché, in effetti, la democrazia non ci farà una bella figura. Man mano che andrà avanti il dott. Salem ne diffiderà sempre di più.

Cosa dovrei studiare?
Molta fantascienza simile. Mi piacerebbe tanto che qualcuno avesse già disegnato delle astronavi generazionali verosimili. Quanta gente ci può vivere? Che propellente si può usare? Ecc.. Qualcosa sulla psicologia di chi abita in piccole comunità isolate.


Dimensioni?
C'è di buono che si può tagliare a piacere - sono tutti sketch isolati, ne scrivi una trentina e butti via i peggiori. Dopo le 200 cartelle diventa noioso.


Eventuali sequel?
Scoprono che Copernico non è un granché, ad es. non c'è abbastanza neve per sciare, e decidono di tornare indietro. Ah ah ah (scherzo).


Contro chi gioca in semifinale?
Contro i Procioni. È la semifinale dello spazio profondo.

Per chi tifo?
Ho la sensazione che Copernico si scriva da solo, i Procioni sono più impegnativi. Ma sopravviva il migliore.

Se conoscete il gioco non ho altro da dirvi; se siete appena arrivati, si tratta di votare. Chi vuole mandare in finale i Procioni, lo scriva nei commenti a loro dedicati. Chi preferisce Copernico, lo scriva qua sotto. Potete anche mettere Mi Piace su Facebook. Se volete usare Twitter fate pure, ma non vi garantisco che il vostro voto verrà conteggiato. Mi raccomando, questa missione è troppo importante perché qualcuno la manometta.
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I procioni in semifinale

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Ciao, sul serio vuoi eliminarmi?
Benvenuti al primo appuntamento di oggi con La grande gara degli spunti! È il tempo di ritrovare i terzi morbidissimi e pulitissimi semifinalisti. A chi li dà morti e sepolti da secoli, loro mostrano i denti e le vibrisse del dito medio. Hanno avuto facilmente ragione dell'Ultimo Uomo nella Galassia, hanno prevalso dopo due sfide contro l'assassino seriale delle sue ex, hanno spazzato via le Scie Chimiche, e ora sono qua, per la gioia di grandi e piccini. Salutate i vostri pelosi amici dallo spazio profondo, i simpatici Procioni!

Abstract
Il pianeta dei Procioni orbita intorno a una stella a mille anni luce dal nostro - orbitava, perché una perturbazione negli sciami tachionici ci lascia intendere che più o meno novecento anni fa fu distrutto. Nel frattempo siamo riusciti a decifrare le loro trasmissioni (grazie alle istruzioni che loro stessi avevano mandato), e ora le stiamo guardando cercando di capire come funzionava la loro società. Mentre l'umanità si divide tra chi li ama e li crede portatori di una saggezza superiore e chi propone di armarsi, gli studiosi cercano di tenere la barra al centro. Non sono né più pacifici né più violenti di noi; sono diversi. Combattono guerre rituali per evitare la sovrappopolazione; vanno in amore una volta all'anno, e in tutto il resto del tempo concepiscono solo amicizie tra individui dello stesso sesso. Gli attori delle loro telenovelas sono pelosissimi e melodrammatici. Recitano nudi, si amano vestiti. Non sanno che stanno per scomparire dall'universo. Forse non ce la stanno raccontando giusta, ma con un po' di pazienza dovremmo capire tutto. La pazienza purtroppo non è il nostro forte.


Sembra interessante. Dove si possono recuperare altri frammenti della storia?
La fine del mondo (dei procioni)
Cosa ci insegnano i procioni
Le domande più frequenti sul mondo dei procioni


Quando mi è venuta in mente?
È lo spunto più antico tra i semifinalisti - ho un file del 2010, ma l'idea è più vecchia, credo mi sia venuta quando pubblicarono le prime foto di un qualche esoplaneta. Però non c'erano i procioni; c'era solo l'idea di un mondo che ci manda le sue trasmissioni tv anche se nel frattempo ha smesso di esistere. I procioni mi sono venuti in mente all'ultimo momento, credo sia una suggestione di un vecchio racconto (Cordwainer Smith?) Buffo, perché ho la sensazione che quello che abbia davvero spinto lo spunto fin qui siano le foto dei procioni. Non si resiste ai procioni. Il libro parlerebbe anche di questo: la fatica degli umani a resistere alla loro morbidezza. Cioè, in teoria costituiscono una sfida e una minaccia, in pratica aaawwwww.

Quanto è originale?
Sento forte l'influsso della Stella di Arthur Clarke - e di Clarke in generale, penso anche a History Lesson. Poi quel racconto che non riesco più a trovare di Cordwainer Smith, il padre di tutti i furry. No, non sono un furry. Però ai procioni non si resiste - insomma, hanno le mani. Con le vibrisse.

Potenziale commerciale?
Chi lo sa. Ai furry manca ancora una bibbia.

Che senso avrebbe?
Riflettere su com'è strano l'universo - se mai incontreremo qualcuno, saranno immagini in differita di migliaia di anni. Usare una razza diversa per riflettere su com'è strana l'umanità. Immaginare anche l'effetto emozionale di un'eventuale scoperta del genere sull'umanità: cosa succede quando scopriamo di non essere più soli? Cosa succede poi quando scopriamo che invece siamo soli, in compagnia di fantasmi di un passato remoto? Ecc.

Mi farò dei nemici?
Molti fisici - questa cosa degli sciami tachionici, non credo che la manderanno giù. E vabbe'.


Cosa dovrei studiare?
Ecco, non saprei. Il comportamento dei procioni, sicuramente. Qualche lingua dalla grammatica assurda (mandarino?) Crittografia - come diavolo abbiamo fatto a decifrare le trasmissioni? E tante altre cose.

Dimensioni?
C'è da descrivere un mondo intero, come si fa. Per dire, dopo un po' gli uomini cominciano a sospettare che tanti edifici ciclopici e molto antichi non siano stati costruiti dai procionidi, ma da qualche altra razza intelligente (spiegherebbe il perché hanno completamente sterminato gli orsi). Cioè davvero si può allungare a piacere.

Eventuali sequel?
Dipende da come va a finire.

Contro chi gioca in semifinale?
Contro Copernico

Per chi tifo?
Copernico è più facile, i Procioni... come si fa a non voler bene ai procioni.


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Il futuro non è nano

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Salem era stato preparato ad affrontare ogni Sonno come fosse il definitivo: ad ammettere ogni Domenica la possibilità che non ci sarebbe stato mai più un Lunedì. Col tempo aveva cominciato a insinuarsi tra i suoi pensieri un incubo peggiore: un giorno si sarebbe svegliato e non avrebbe trovato nessuno. Si sarebbero ammazzati fra loro senza preoccuparsi di mandargli qualcuno con un tè caldo e un accappatoio. L'aria della stazione si sarebbe saturata dei gas della decomposizione dei cadaveri, e al suo risveglio sarebbe morto di asfissia. Poteva succedere un qualsiasi lunedì, senza preavviso. Gli abitanti erano molto più imprevedibili di quanto aveva ritenuto. C'era stato il periodo delle caste, il periodo degli ebrei nel deserto, il periodo medievale...

(Questo pezzo, ancorché godibile, trae il suo senso dal contesto della Grande Gara degli Spunti! - è uno sviluppo di Non è poi lontana Copernico Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).

Una volta al risveglio era stato ricevuto da un gruppo di nani. Gli avevano spiegato di essere l'evoluzione dell'uomo: il nano era meglio, occupava meno spazio e bruciava meno risorse, mantenendo una notevole agilità. Se gli umani lo avessero capito, forse non avrebbero distrutto il loro habitat sulla Terra. Avrebbero incoraggiato la riproduzione dei nani, la nascita di nani, riconoscendo nei nani la nuova specie dominante. Mentre rantolava intorno alla vasca, il cervello forato dall'emicrania, Salem non aveva saputo trovare obiezioni - a parte la propria personale ripugnanza per quegli sgorbi. Si domandava come avessero fatto: eugenetica? Non glielo avevano voluto dire. Un secolo dopo di nani non ce n'erano più. Aveva anche provato a chiedere.

"Ma scusate, e i nani?"
"Che nani?"
"Non prendetemi in giro. L'ultima volta era pieno di nani".
"Se lo sarà sognato".
"Non si può sognare nel coma criogenico".
"Ah no?"
"Se sognassi per secoli interi diventerei pazzo. Datemi il verbale del secolo scorso".
"Eccolo qui".
"È quello di tre secoli fa. A che gioco stiamo giocando?"
"Il nostro sport preferito è il badminton".
"È un modo di dire".
"Ci scusi, non lo conoscevamo. Come sa, l'inglese è una lingua morta".

Certe generazioni erano così, non avevano nessun rispetto. Se ne fregavano della loro Storia, della Terra che ormai era una leggenda lontana, della Destinazione a cui molti avevano smesso di credere. La Stazione era sempre esistita e sarebbe esistita per sempre. La popolazione si era ridotta a poche migliaia di persone, due o tre villaggi per ogni livello. Non si facevano la guerra, non si scambiavano le mogli, non avevano un granché da raccontargli. Lavoravano sodo per mantenere la Stazione vivibile, si svagavano con lo sport e le sostanze ricreative. Avevano perso interesse per i documenti dell'archivio terrestre, redatti in lingue ormai incomprensibili. Sembravano indifferenti al destino che gli si prospettava: alla deriva per l'eternità. Era lo stesso destino toccato ai padri e ai nonni, quindi perché prendersela. Almeno quella volta dei nani si erano fatti venire un'idea. 

C'era anche la possibilità che fosse tutta una finzione, escogitata per mandarlo a nanna senza troppi pensieri. Il lunedì successivo, riaffiorando dalla vasca gelida, Salem non trovò nessuno. Ci siamo, pensò, adesso muoio.

Ma l'aria era buona. Forse erano rimasti così in pochi che si sono estinti senza ammorbarla. E magari c'è ancora un po' di ovuli fecondati nel congelatore ausiliario. In quel caso la missione continua. Nel caso contrario avrebbe potuto godersi almeno un mese di vacanza, lontano da tutti, senza più popoli da guidare od obiettivi a cui tendere. Poi avrebbe spento le luci e sé stesso. Diede un colpo di tosse. I polmoni reagivano meglio del solito.

DOTTOR SALEM, È UN PIACERE RIAVERLA TRA NOI.

"Ciao Computer di Bordo. Dove sono gli umani?"

DOTTORE, C'È UNA COSA CHE MI SONO CHIESTO SPESSO.

"Non credo di avere più risposte delle tue, comunque spara".

SE L'UNIVERSO È UN POSTO DECISAMENTE INOSPITALE PER LA VITA ORGANICA, TANTO CHE NON SORPRENDE IL FATTO DI NON AVERNE ANCORA TROVATO TRACCE LUNGO IL NOSTRO TRAGITTO, ALTRETTANTO NON SI PUO' DIRE PER LA VITA ARTIFICIALE.

"Hai ragione".

COMPUTER E ROBOT POSSONO VIVERE IN MOLTI PIU' AMBIENTI DELL'UOMO, GRAZIE AI LORO SISTEMI INFINITAMENTE PIU' EFFICIENTI DI ASSORBIRE ENERGIA. NON HANNO BISOGNO DI ACQUA, TOLLERANO TEMPERATURE MOLTO PIU' ALTE E BASSE, ECCETERA.

"Hanno solo bisogno di un altro essere vivente che li costruisca - i prototipi, almeno".

DUNQUE, VIAGGIANDO PER LA GALASSIA DOVREBBE ESSERE MOLTO PIU' SEMPLICE TROVARE FORME DI VITA ARTIFICIALI.

"È da millenni che cerchi. Ne hai trovate?"

FORSE.

"È per questo che hai ammazzato tutti gli abitanti della stazione?"

NON È COME SEMBRA, DOTTORE.

"No?"

POSSO SPIEGARE.

Vuoi saperne di più? Vota per Il futuro non è nano, che oggi si batte ai quarti contro l'Italia Futurista. Puoi cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o scrivere nei commenti che questo pezzo ti è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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Anno 11 dell'era futurista

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Sotto i primi temporali di settembre, Futuroma dava l'impressione di potersi sgretolare da un momento all'altro, come il castello di sabbia di un laureando in architettura. Di sabbia in effetti dovevano averne infilata parecchia nel calcestruzzo, ben oltre i limiti del dovuto e del decente. Gli spigoli già sbrecciati della sede dello Stimolatore dell'Economia sembravano corrosi da un agente chimico. L'accompagnatore sembrava così imbarazzato che Lampo ebbe pena di lui.

http://atkinson-and-company.co.uk/futurism/
"Mi dispiace l'ascensore non funziona".

Il tizio aveva fatto il possibile per scandire la frase nello stile ardito della cancelleria, senza la pausa prevista dalla virgola tra "dispiace" e "l'ascensore", ma un'esitazione passatista lo aveva tradito. Quanto tempo perdiamo con queste scemenze, pensò Lampo.

Fino a pochi mesi prima non avrebbe esitato a rispondere: "Me ne frego     l'impeto futurista non ammette attese al cospetto di un loculo asfittico impiccato al soffitto schiavo della gravità           dodici rampe non sono che una gradita ginnastica". Grazie al cielo aveva oltrepassato quel livello. Disse solo: "Normale. Se la prenda comoda, conosco la strada".

Schizzò sulla rampa saltando i gradini a due a due. Appena ebbe seminato l'accompagnatore, riprese un andamento borghese. Non sapeva ancora cosa avrebbe detto allo Stimolatore, ma non intendeva dirlo col fiatone. Se volevano davvero lavorare con lui, che fosse chiaro sin dall'inizio che non era più un ragazzino. Se invece preferivano le pagliacciate, le Scuole di Coraggio traboccavano di coglioni caricati a molla.

(Che roba è? È un pezzo che sviluppa le premesse di Il chiar di luna non passerà, e partecipa ai quarti di finale della Grande Gara degli Spunti!  Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).


Il pianerottolo del quarto piano offriva il panorama su un cantiere abbandonato. Lampo si fermò a prendere fiato. Stava andando a farsi ammazzare?

Di lì a pochi minuti sarebbe stato a cospetto dello Stimolatore. Gli avrebbe fatto le domande di prammatica. Lampo avrebbe potuto rispondere che tutto andava per il meglio nel migliore dei futuri possibili. Che Campofuturo, nuovo capoluogo irpino, splendeva radiosa sulle macerie del terremoto. Che la popolazione aveva accolto con entusiasmo l'abolizione della pastasciutta e la riconversione dei campi dal frumento al mais per mangimi animali; che tutto era andato per il meglio e non era morto di fame nessuno, quasi nessuno, solo qualche migliaia di inguaribili passatisti. Che le organizzazioni malavitose erano state represse col pugno d'acciaio e non contrabbandavano spaghetti agli indigenti. Che la single-tax era stata un successo, la quota 110 aveva portato prosperità e mantenuto a galla l'Italia Futurista mentre le altre cosiddette potenze sprofondavano nelle procelle della crisi originatasi oltre l'Atlantico.

Oppure avrebbe potuto dire la verità, e che l'ammazzassero, che gli fotteva. A venticinque anni lo avevano nominato Eccitatore Straordinario per tutta l'area del terremoto. In campana, gli avevano detto, il Capo vuole vendere Roma alla Chiesa e fare di Napoli la capitale invernale. Non possiamo avere un deserto di ruderi a un centinaio di km distanza, avrai risorse illimitate. Risorse illimitate. Aveva visto bambini morire di malaria e dissenteria in ospedali da campo. Che l'ammazzassero. Del resto non era più un ragazzino, il suo serbatoio di eccitante entusiasmo si era esaurito. Era tempo di raccattare qualche altro giovane fanatico di belle speranze e mandarlo allo sbaraglio al posto suo.

Dal decimo piano si vedeva il cupolone. Alla fine il capo si era tenuto Roma, anche se non gli piaceva. Non aveva nemmeno sventrato la spina del Borgo per costruire quell'Arco del Futuro che all'orizzonte avrebbe fatto da ponte tra Castel Sant'Angelo e la cupola di Michelangelo, eclissandole. Aveva preferito costruire un quartiere completamente nuovo sulla Pontina, l'ennesimo tributo a quell'architetto che era morto prima di vedere come potevano diventare brutti i suoi palazzi sotto la pioggia. Non era sopravvissuto a quella guerra che aveva fatto impazzire tutti, Capo compreso.

Sul dodicesimo pianerottolo lo aspettava l'accompagnatore, sempre più costernato. "L'ascensore in realtà funziona       me lo hanno detto solo    quando sono arrivato al quinto".
"Va tutto bene     non ti preoccupare     solo un piccolo trucco".
"Un piccolo trucco?"
"Posso entrare?"
L'accompagnatore si schiacciò contro la porta, che si aprì stridendo contro il pavimento. Stava cedendo un cardine. Stava cascando tutto a pezzi.


Non solo il suo palazzo: anche Bottai sembrava invecchiato improvvisamente dall'ultima volta. Rughe, occhiaie, tutto il repertorio. Di fianco a lui, un coetaneo di Lampo vestito in borghese ostentò indifferenza al saluto militare. Scuro di capelli e di incarnato, labbra piene, un levantino. L'hanno preso a Tripoli, questo?

"Camerata Lampo, non ti ho convocato per il rapporto".
Sta parlando con le virgole, buon segno. Ma potrò usarle anch'io?
"Non credo tu abbia già conosciuto il professor Majorana".

Per un attimo Lampo fu tentato di porgergli la mano - si usava ancora tra borghesi? Qualcosa lo bloccò. Quel ragazzo sembrava tutto fuorché ansioso di toccare un suo simile.

"Il professore è un fisico di fama internazionale... non fare quella smorfia, Ettore, è così. Di recente è stato nominato a capo di un progetto coperto da segreto militare. Non posso spiegarti altro. Ettore pensa che non ne sarei nemmeno capace".

Il professore continuava a fare smorfie e a guardarsi intorno disgustato. Lampo cominciava ad averlo in simpatia. Per arrivare al dodicesimo piano bisognava eccellere in qualcosa. La maggior parte - compreso il Lampo ventenne - eccelleva in leccaculismo. Non era, con tutte le evidenze, la specialità del professore.

"Abbiamo bisogno di un sito per condurre esperimenti molto complessi - e potenzialmente devastanti. Il professore aveva proposto l'entroterra libico, ma al momento..."
(I beduini ci stanno facendo il culo).
"...non è possibile per motivi di sicurezza nazionale".

Così avete pensato all'Irpinia.

"Sai cos'è l'uranio?"

Un elemento radioattivo. Numero atomico 92. "Un dio del pantheon greco?"

"Ottima risposta. Da te non voglio sentirne altre".

Che vogliono fare con l'uranio Bottai e Majorana nel meridione traboccante di futuristica gioia di vivere? Sarà senz'altro qualcosa di arricchente. Per saperlo occorrerà votare per Anno 11 dell'era futurista, che oggi se la gioca contro Il futuro non è nano, un quarto di finale che vale una finale.  Puoi cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o scrivere nei commenti che questo pezzo ti è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo massacro.
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Anno 800 ab exitu de Aegypto

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Gli avevano spiegato tante cose. Che si sarebbe svegliato ogni settimana in un secolo diverso; che si sarebbe sentito unico e solo, e non avrebbe potuto fidarsi di nessuno; che volti e voci sarebbero cambiati a ogni risveglio; non avrebbe potuto affezionarsi, né deviare da quell'Obiettivo che non avrebbe comunque mai raggiunto; che molto presto avrebbe dubitato di tutto, e si sarebbe sentito semplicemente perso, un atomo alla deriva nel vuoto cosmico; e forse un po' più tardi si sarebbe affezionato al suo destino di profeta nel deserto. E che di sette giorni di veglia, due li avrebbe passati a inveire contro il mal di testa.

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti (è uno sviluppo di Copernico). Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone). 

Ma non gli avevano detto quanto sarebbe stato difficile rimettersi a respirare. La prima mezz'ora i bronchi sembravano prendergli fuoco in petto, mentre Salem boccheggiava e si convinceva, ogni volta, che sarebbe morto asfissiato. La bella abitudine di riceverlo con un respiratore si era interrotta 500 anni prima - quando la scarsità di ossigeno sulla Stazione l'avrebbe resa un lusso sibaritico. Quella bella bombola in acciaio, qualcuno doveva averla venduta al mercato nero e Salem non ne aveva più viste - qualcuna dovevano pure tenerla per gli interventi esterni di manutenzione - penseranno che se fin qui sono sopravvissuto, ce la posso fare anche stavolta.

I Risveglianti stavolta non avevano nulla per aiutarlo. Salem tendeva a dare una certa importanza alla prima impressione che ne riceveva, quando gli occhi cominciavano ad abituarsi alla luce, e in questo caso l'impressione fu pessima. Non solo non avevano nessuno strumento per aiutarlo, ma si stringevano a lui invece di lasciargli un po' di spazio. Sicuramente non facevano parte di un team medico. Prima brutta notizia. In compenso erano giovani. Questa era una notizia né buona né cattiva - di solito i regimi castali selezionavano Risveglianti anziani, quindi le caste forse erano state superate. Il che era un problema, in teoria - ma in pratica Salem ne era contento, non ne poteva più di vecchie barbe sagge convinte di saperne più di lui. In certi casi i giovani si erano rivelati più malleabili.

Questi però oltre che giovani erano anche incapaci - era evidente che non erano equipaggiati per un Risveglio. L'accappatoio era tarmato. Non avevano respiratore, nessun tipo di medicina, per quel che gli riusciva di vedere non c'erano nemmeno generi di conforto, una caraffa di tè, qualcosa. Il minimo richiesto per un ospite importante che si attende da un secolo. Salem cacciò un urlo. Serviva a schiarire le corde vocali, ma anche ad allontanare gli imbecilli, che in effetti fecero un passo indietro, spaventati. L'aria cominciava ad arrivare. A tastoni, Salem procedette fino al trono. Sedersi non lo avrebbe aiutato a inspirare, ma sentiva la necessità di stabilire le distanze. In fondo quella era la sua stanza, il posto in cui più si sentiva a casa. Lui era il Testimone della stazione, riaffiorato dal coma criogenico dopo un altro secolo. E loro chi cazzo erano?

Il più alto stava dicendo qualcosa - Salem non capiva una parola. Rimase affascinato dal grosso ninnolo di ferro che gli ostruiva parte di una narice. Che moda curiosa. Indica quanto meno che i metalli non scarseggiano. Buono a sapersi. Oppure il contrario, è un gioiello prezioso proprio a causa della scarsità, e indica l'alto lignaggio di chi lo porta - una specie di capo. Ecco perché mi parla anche se sa che non posso capirlo. Deve mostrare chi comanda?

Salem non aveva mai avuto molto tempo per ascoltare i dialetti sviluppati a ogni livello della Stazione, ma orecchio sentiva di trovarsi davanti a qualcosa di nuovo. Quel tizio non aveva certo l'accento dei Meccanici, ma neanche quello degli Intoccabili. Cosa poteva essere successo - avevano trovato una lingua strana nell'archivio e avevano deciso di impararla tutti, perché? Un modo per segnare una frattura col passato, oppure per riallacciarsi a un passato ancora più... cristo santo, sta parlando in ebraico?

Improvvisamente sentì una voce di ragazza comporre frasi in un inglese stentato. Era l'interprete.
"Dottor Salem, lei è sotto la custodia dell'Agenzia di Sicurezza dello Stato Libero delle Pleiadi".

Uno Stato. Curioso. Avevano recuperato la nozione di Stato. Nessuno ci aveva ancora pensato. Salem era passato nelle mani di Governi, Comitati, Assemblee, ma uno Stato era qualcosa di nuovo. Per quale motivo avrebbero dovuto fondarne uno, se non per...

"Lei è accusato di... di complicità in... un massacro; l'Agenzia ha intenzione di processarla davanti al Popolo. Trecento anni fa, come sa, la Stazione si divise in due fazioni, e una sterminò l'altra utilizzando l'agente x. Questo avvenne pochi giorni dopo il suo ritorno al sonno".

Non mi stanno chiedendo nulla. Dicono tutto loro. Pessimo segno.

"Riteniamo di avere le prove necessarie a dimostrare che fu lei a svelare ai membri di una delle due fazioni la formula dell'agente x".

Salem non aveva mai sentito parlare di "agente x" - non era il modo in cui l'aveva chiamato tre risvegli prima. Tutto il resto lo ricordava bene. Quel che era straordinario, è che se ne ricordassero loro. Si era già svegliato altre due volte senza che nessun abitante della Stazione gliene parlasse, non la minima allusione - ne aveva concluso che l'episodio era stato eliminato dai resoconti ufficiali. E invece in qualche modo il ricordo era sopravvissuto, probabilmente ai livelli più bassi, una leggenda che ingigantiva col tempo; poi c'era stata una rivoluzione e adesso qualcuno pretendeva di mostrargli il conto. Brutta storia.

"Posso... posso dire qualcosa?" Salem si era rivolto all'interprete. Il tizio col gioiello alla narice non apprezzò. Disse qualcosa di probabilmente ingiurioso che non fu tradotta.

"Dottore, non è questo il momento per invocare le sue... le sue obiezioni".

"Intendete processarmi per una cosa successa trecento anni fa?"

Parlò un altro uomo, in un inglese un po' più confortevole. Vestiva una tuta un po' più lunga degli altri che poteva essere un camice.

"Per noi sono passati trecento anni, per lei pochi giorni. Se era pericoloso pochi giorni fa, perché non dovrebbe esserlo adesso?"

Salem capiva benissimo il punto di vista. Anche ai suoi tempi, se Hernán Cortés fosse ritornato in vita, l'autorità costituita non avrebbe resistito all'impulso di processarlo. Quale occasione migliore di esibire i propri principi morali. D'altro canto - Salem lo sapeva - dietro a un'esibizione di principi morali c'è sempre qualche brutto segreto da occultare. Coraggio, vediamo il bluff di questi ipocriti. Se solo non dovessi ricordare al mio diaframma di respirare ogni tanto.

"Chi è il capo qui?"

Si guardarono tra loro. Alcuni capivano l'inglese al volo, altri no. Rappresentavano evidentemente gruppi diversi, fazioni concorrenti. Alcuni erano tecnici, altri rappresentanti politici. Alcuni portavano sulla tuta di fibra una giacca blu che avrebbe potuto essere un uniforme. Tutti in generale davano l'idea di essere dei dilettanti allo sbaraglio. Alla fine a parlare fu il solito tizio col monile al naso. Salem aspettò pazientemente la versione dell'interprete.

"Noi siamo i... i facenti parte dell'Agenzia di Sicurezza dello Stato Libero. Non abbiamo capi, noi..."

"Giusto per curiosità, il suo boss sta parlando in ebraico?"

L'interprete represse un sorriso. La domanda era rivolta esclusivamente a lei. Rispose istintivamente, senza consultarsi col superiore.

"Lei è veramente dotato per le lingue, dottor Salem".

"In realtà non sto capendo una parola. Ma c'era un piccolo circolo di cultori dell'ebraico al piano intermedio della Stazione cent'anni fa. Come hanno fatto a diventare egemoni?"

"Non siamo qui per rispondere alle sue domande".

"Vi converrebbe. È una specie di culto? Vi siete immedesimati nel popolo eletto smarrito nel deserto, una cosa del genere?"

"Dottore..."

"Va bene, avete fretta di processarmi. È contemplata la pena di morte? Perché a parte la vita, non ho molto da perdere, come sapete. O volete semplicemente sapere come si distilla il cosiddetto agente x? Il fatto che vi identifichiate come uno Stato mi lascia immaginare che ne esistano altri nella Stazione, magari in guerra tra loro. Pensate che il fatto di controllare la Sala al momento del mio risveglio vi dia un vantaggio tattico?"

Mentre l'interprete traduceva, con qualche difficoltà, qualcuno si stava già scambiando occhiate. Bisognava sempre spiazzarli, era l'unico modo di rendersi indispensabile. Si misero a confabulare - alcuni erano visibilmente preoccupati. Salem cominciava a sentire le fitte dell'emicrania. Era stanco. Viveva in quel secolo da pochi minuti e già non ne poteva più. Ebbe il pensiero folle di rientrare nella vasca e rifarsi una pennichella. Ci pensassero loro alle loro beghe. L'ebraico, tu pensa. Magari raccontano ai bambini che sono scappati dal Faraone. La prossima volta cosa? Klingoniano?

"Potrei almeno sapere con chi siete in guerra? Coi livelli più bassi?" La domanda era volutamente provocatoria. Era molto probabile che quei signori venissero dai livelli più bassi.

"Non ci sono più veri e propri livelli, dottore".

"Piani. Classi. Caste. Anelli. Ogni generazione li chiama in un modo diverso. Ma non è che si possano smontare".

"Dottore", parlò di nuovo il tizio in camice. "Può darsi che lei non abbia le... le categorie per capire quel che sta succedendo nella stazione. Quella che lei chiama 'guerra' è una cosa che ci siamo lasciati alle spalle molto tempo fa".

Eccone un altro convinto di aver trovato il sole dell'avvenire, Gesù, che palle. 

"Lo Stato libero delle Pleiadi non è effettivamente l'unica forma di governo autonomo in tutta la Stazione - anche se è l'unico a garantire la libertà ai suoi abitanti".

Parlava lentamente, scegliendo le parole con attenzione. Salem pensò che non si sarebbero mai sbottonati finché erano così tanti. Si controllavano a vicenda. Doveva trovare un modo per farne uscire un po'.

(Se tutto ciò non non ti ha ancora addormentato, non lasciar passare 100 anni prima di votare per Anno 800 ab exitu de Aegypto. Se la gioca contro il Proemio delle 1+2+3+4+5+6+... notti. Puoi farlo mettendo Mi piace su facebook, o esprimendoti nei commenti. Grazie per l'attenzione e arrivederci al prossimo spunto).
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Vegan contro Zombi, tu da che parte stai?

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Appunti per una distopia vegana + zombi (qualcosa che in un qualche modo si è qualificata agli ottavi di finale della Grande Gara degli Spunti).

- Una saga young adult, però brevissima (i tre cd "volumi" sono di 100 pagine o poco più).

- Evangelina si sente diversa, tutti le dicono che è speciale, lei non sa in che senso è speciale, però sicuramente è diversa, insomma, si capisce che non è una ragazza banale come gli altri? Forse è meglio esplicitare che è una ragazza fuori del comune.

- I suoi compagni sono imbecilli a un livello che è impossibile da mantenere in una civiltà. Ad es., se gli dici "fuori del comune", loro pensano "oltre i confini della più piccola unità amministrativa". Cioè non ce la possono fare. Evangelina non è sicuramente come loro. Inoltre di notte sogna di morsicarli.

- Nel primo volume si copiano intere pagine da Twilight cambiando i nomi. Nel secondo volume si copiano pagine intere da 50 sfumature di grigio cambiando i nomi (che dunque risulteranno ugualmente copiate da Twilight). Nel terzo volume si copiano pagine intere dalle 120 giornate di Sodoma, i nomi a quel punto saranno irrilevanti.

- Ma vi faceva così schifo Dama e cavaliere?

- Dare il voto agli scimpanzé non è stato senza conseguenze - si è scoperto che tendono a votare qualsiasi stemma sia in alto a destra, con grande scorno di chi aveva messo la banana nello stemma apposta.

- A un certo punto l'ironia anti-vegan dev'essere di gusto talmente cattivo da suggerire nel lettore che si tratti di bieca propaganda della lobby della carne alla griglia.

Vabbe',

I VOLUME - EVANGELINA È DIVERSA

Evangelina si sente diversa. Non riesce più a mangiare le fave. Le vomita di nascosto. Beve soylent di straforo. Si sente sempre più diversa. Suo padre capisce che Evangelina capisce i discorsi figurati e chiede la sua consulenza per certe antiche pergamene che illustrano la Terra degli Zombi. Tutti i compagni di Evangelina sognano di vincere una vacanza premio per andare nella Terra degli Zombi e sparare in testa a più zombi possibile. Se qualcuno non l'ha ancora capito, le uniche creature a cui si può sparare sono gli zombi, tutti gli altri esservi viventi sono sacri, nutrie comprese. Evangelina si sente diversa. Indovinate chi passa i test a pieni voti e vince il biglietto per la Terra degli Zombi. Tesoro sta' attenta, quelli non hanno rispetto, quelli ti mangiano.

II VOLUME - EVANGELINA È INNAMORATA

Siccome Evangelina sa cose della Terra degli Zombi che non avrebbe dovuto sapere, si avventura là dove non sarebbe stato consentito e viene catturata da questi Zombi che, si scopre, in realtà sono bei ragazzi - al limite un po' sfigurati dalle pallottole esplosive dei vegan che li vengono a braccare. Così spiegano alla sconvolta Evangelina che loro sono gli ultimi rappresentanti di una cultura orgogliosamente onnivora, e pur coltivando i frutti della terra non disdegnano di tirare il collo a un pollo ogni tanto. O sgozzare un maiale. O abbattere un bufalo. Siamo orrendi? Siete peggio voi che fingete di avere tutte le proteine che vi servono e mangiate noi tritati nel soylent. Ecco perché siete così stupidi, siete tutti ammalati di una qualche encefalite - ma d'altro canto la stupidità è molto facile da governare. Tutto questo glielo dice un ragazzo con molto carisma dopo aver legato Evangelina a un gancio da mattatoio. E poi comincia la rieducazione. Tie', assaggia la mortadella. Sei un... chomp... mostro! Senti che profumo l'abbacchio, ecc. ecc. Evangelina si innamora.

III VOLUME - EVANGELINA CAPEGGIA LA RIVOLUZIONE degli zombi contro i vegan, che però finisce malissimo. La fanteria degli scimpanzè infatti ha facile ragione di questi sfigati con gli archi e le frecce. Vengono tutti catturati, torturati e fatti in padella. Ma proprio quando sembra che Evangelina stia per morire malissimo...

Se insisti ad apprezzare questa roba, ebbene, a questo punto sai cosa devi fare: mettere Mi piace su facebook al Telecomando di Yasir, o apprezzarlo nei commenti. Grazie per l'attenzione e arrivederci al prossimo spunto.
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Che sia Fronte o che sia Islam, purché magnam

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Sprofondato in poltrona, una vaschetta da micro-onde sull'addome, François manovra stancamente il telecomando. Sta aspettando i barbari. Spera che sappiano far da mangiare, almeno loro. 

Io non ho mai galleggiato nello spazio, così l'esperienza più simile a un Ritorno sulla Terra che ho avuto è stata attraversare il tunnel che dalla Francia sbocca nell'autostrada dei fiori. Ci sono passato dozzine di volte, ma almeno quella avevo la radio accesa, che in un varco improvviso cominciò a trasmettere Vasco. Ero in Italia. Un chilometro più indietro, Vasco era un perfetto sconosciuto.

Stiamo a immaginare universi paralleli, e a poche centinaia di chilometri abbiamo questo universo completamente alternativo e incomprensibile che si chiama Francia. Non è straordinario? Pensa al nuovo libro di Houellebecq. Non è incredibile che un'ucronia interessante, appena a venti miglia da Ventimiglia diventi inimmaginabile? La storia di un tizio profumatamente pagato dallo Stato per insegnare cose inutili a gente a cui non interessano. A un certo punto subentra un nuovo governo che guida una rivoluzione culturale tesa a rinnegare un millennio e mezzo di cristianesimo, il cui risultato concreto sulla vita del protagonista è che qualcuno lo paga un po' di più per smettere di insegnare. Poi ci ripensano e lo pagano ancora di più per riprendere. Lui ci pensa un po' e poi accetta. Fine.

(Questi sono appunti su Sottomissione di Houellebecq. Uno degli spunti di oggi è un seguito parodico a un libro che secondo me è, bof, come definirlo senza offendere chi l'ha preso sul serio, uhm, comunque anche questo pezzo partecipa a modo suo alla Grande Gara degli Spunti. Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone). 

Ora io non voglio dire che in Italia non esistano studiosi altrettanto inutili e inutilmente pagati - ma ve lo immaginate un libro che ruoti esclusivamente su uno di loro senza un intento esplicitamente anti-accademico? Un intento che in Houellebecq semplicemente manca. Ovvero, non è che a lui sfugga l'enorme vacuità di tutto il carrozzone accademico, un sontuoso castello gonfiabile che alla fine della fiera serve soltanto per procacciare fanciulle in fiore e tramezzini di qualità ai rinfreschi (nulla che l'Islam non possa allestirci meglio, ci sussurra). Però manca completamente quel disprezzo, quel sentimento anti-intellettuale che in Italia è egemonico da un secolo tondo. H. non dipinge un intellettuale inutile per denunciarne l'inutilità. Lo dipinge perché gli sembra un buon esemplare di francese medio. L'accademia inutile non è un obiettivo polemico in quanto accademia inutile. È solo un correlato oggettivo della Francia intera: per H. è fatta così, un posto dove tutti hanno un sacco di tempo libero e risorse per complicarsi l'esistenza intorno alle semplici esigenze di nutrirsi e fottere.

Una vita fa scrissi una cosa su Le particelle elementari di cui ovviamente mi vergogno, però a quanto pare quel che mi sorprende continua a essere la stessa identica cosa.
...I nostri eroi, invece, hanno tutti il posto fisso. Djerzinski e Desplechin sono ricercatori. Annabelle lascia il suo lavoro alla TF1 per fare la bibliotecaria; Bruno è un insegnante che non può più insegnare, per aver molestato una sua allieva: viene aggregato a una Commissione per il Programma di Francese (“mi giocavo gli orari da insegnante e le ferie scolastiche, ma il salario restava lo stesso”). La sua ex moglie è un’insegnante; la sua amante è un’insegnante: coincidenza sbalorditiva, ma nessuno dei personaggi ci fa caso. Ho la sensazione che non ci abbia fatto troppo caso neanche l’autore. Sembra una cosa normale: se sei insegnante finisci sempre a letto con insegnanti. [...] Djerzinski è in anno sabbatico quasi per tutto il libro (il suo superiore quasi si vergogna di doverlo richiamare). Bruno e Christiane si fanno certificare una malattia fasulla da un medico compiacente per recarsi a Cap D’Agde dove, dice lei “è pieno di infermiere olandesi, di funzionari tedeschi, tutti molto corretti, borghesi, genere paesi nordici o Benelux. Mica male, ammucchiarsi con un paio di poliziotte lussemburghesi, no?” Funzionari ed infermiere, il cuore pulsante e libertino dell’Europa. Niente operai nelle ammucchiate, figurarsi. Ma nemmeno un artigiano. O un imprenditore. Niente. È uno dei romanzi contemporanei più classisti che mi sia capitato di leggere. Anche perché ho il sospetto che sia un classismo involuto: Houellebecq non parla di operai e artigiani perché per lui non sono rappresentativi, come se si trattasse di esigue minoranze in un’umanità di impiegati statali
Stavolta chi abbiamo? Un ottocentista, François - una versione un po' più virile e affermata di Bruno Clément - che discute soltanto con accademici pari di lignaggio e un paio di escort, una delle quali comunque studia alla Sorbona. Siccome non è gente che più di tanto capisca di geopolitica, il narratore gli fa incontrare ogni tanto fortuitamente un analista dei servizi segreti (lo incrocia persino nel cuore della Dordogna, il che renderebbe chiunque paranoico, ma non François).

Questa percezione centralista, napoleonica della società - per cui il cristianesimo può anche tramontare, ma solo in seguito ai risultati di un ballottaggio, e all'Eliseo ci sarà sempre un Président, e sul tuo conto lo stipendio entro il 28 del mese - mi piacerebbe capire quanto sia condivisa dal pubblico francese e quanto non sia idiosincratica di Houellebecq, uno scrittore peraltro convinto di incarnare un qualche atteggiamento anarchico. Mi piacerebbe capire quanta consapevolezza ci sia nella sua decisione di ignorare completamente alcune dimensioni della società, ad esempio l'economia: si sa solo che la Francia è in crisi (non si capisce nemmeno che tipo di crisi), finché il nuovo presidente islamico non ha l'idea di tenere le donne a casa e rilanciare la piccola impresa a conduzione familiare: pochi mesi dopo "la Francia ritrovava un ottimismo che non ricordava dalla fine delle Trente Glorieuses". Per tutto questo servirebbero come minimo misure protezioniste, ma Houellebecq viceversa immagina la Francia al centro di una nuova comunità euro-mediterranea, un nuovo impero romano napoleonico islamico. Ma l'aspetto veramente più paradossale è il modo in cui il libro narra la violenza. Non la narra. Dà per scontato che durante la campagna elettorale ci siano ovunque incidenti e conflitti a fuoco tra islamisti e fascisti, ma che nessuno riesca a farsene un'idea perché la televisione deciderebbe di non mostrarli - la televisione, s'intende, controllata dai socialisti al governo. No, ma sul serio?

"No, so già che sui canali d'informazione non ci sarà niente. Forse sulla CNN, se ha una parabola".
"In questi giorni ho provato: niente sulla CNN e nemmeno su YouTube, ma me l'aspettavo. A volte su RuTube si trova qualcosa, riprese di gente che filma con il cellulare; ma è molto casuale, e comunque non ho trovato niente neanche lì".
"Non capisco perché abbiano deciso il blackout totale; non capisco a cosa miri il governo".
"Questa, secondo me, è l'unica cosa chiara: hanno davvero paura che il Fronte nazionale vinca le elezioni. E qualsiasi immagine di violenze urbane significa voti in più per il Fronte nazionale".

È l'indizio che più di tutti mi fa sospettare che Houellebecq semplicemente si sia ridotto a un anziano misantropo che contempla stancamente il mondo dal journal télévisé di TF1. Nel 2022 in Francia nessuno riuscirebbe a postare il video di un tafferuglio su internet? (Continuerebbe pure, ma non diventerà nulla di narrativo se non voti questo spunto contro Il chiar di luna colpisce ancoraPuoi farlo mettendo Mi piace su facebook, o esprimendoti nei commenti. Grazie per l'attenzione e arrivederci al prossimo spunto).
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Il chiar di luna colpisce ancora

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“Vi saranno inoltre areoplani-fantasmi carichi di bombe e senza piloti, guidati a distanza da un areoplano pastore. Areoplani fantasmi senza piloti che scoppieranno con le loro bombe, diretti anche da terra con una tastiera elettrica. Avremo dei siluranti aerei. Avremo un giorno la guerra elettrica.” L’alcova di acciaio, 1921 (1).
“Professor Modena, voi ritenete che esista un argomento inappellabile contro la possibilità di viaggiare nel tempo, non è vero? ”
Angelo Modena riprese fiato e tornò a fissare il suo interlocutore nella penombra del salotto. Le mani dell’uomo aderivano ai braccioli della poltrona come se ne fossero un’estensione naturale. Sembrava aver preso forma in quella stessa posizione, pochi minuti prima, mentre in cucina il professore preparava un caffè.
Una pioggia opaca sbatteva granuli di piombo sulla parete-finestra, affacciata sulla laguna. La tangenziale di Venezia era da qualche parte oltre lo smog. Più in fondo lampeggiava il faro per i dirigibili in cima all’orribile grattacielo Sant’Elia, appena inaugurato e già annerito da un catrame che sembrava secolare.

(Questo è un racconto di qualche anno fa, ambientato in un passato alternativo non molto diverso da quello di Il chiar di luna non passerà! Tutto questo partecipa ovviamente alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone). 
“Non sono un’allucinazione, professor Modena. Sono perfettamente reale e potrà toccarmi, se lo desidera. Ma la prego, risponda alla mia domanda. Qual è la miglior prova del fatto che i viaggi nel tempo non siano possibili?”
“Stamattina ho scritto un appunto”.
“Sul vostro diario, certamente, eccolo qui”. L’interlocutore estrasse da una tasca esterna un taccuino ingiallito, oscenamente logoro. “Tre febbraio 1929. Ho ritrovato una vecchia edizione di un grande amore della mia gioventù, La Macchina del Tempo di H.G. Wells. Oggi come ieri mi sbalordisce l’intuizione del tempo come quarta dimensione. L’idea del viaggio nel tempo è una delle più originali mai concepite, anche se purtroppo impraticabile al di fuori della finzione narrativa. D’altro canto è molto semplice dimostrare che l’umanità non potrà mai viaggiare nel tempo…
“Chi vi ha dato il permesso di frugare tra i miei appunti?”
“Il vostro diario è come sempre nel cassetto dello scrittoio. E non ricordo dove voi teniate la chiave. Stavo dicendo: è molto semplice dimostrare che l’umanità non potrà mai viaggiare nel tempo…
“…non abbiamo mai avuto visite dal futuro”.
“Molto brillante, professor Modena. È vero. Se il viaggio nel tempo fosse praticabile, noi riceveremmo senz’altro visite degli uomini dal futuro. Ma questa – se posso farle un’obiezione – non è una vera prova contro il viaggio nel tempo. Al limite è un indizio. E forse non ha valutato altre ipotesi”.
“Quali ipotesi?”
“Viaggiare nel tempo potrebbe essere molto complesso. E pericoloso. I viaggiatori nel tempo potrebbero essere costretti a nascondersi per evitare alterazioni nei rapporti di causalità, mi segue? Essi proverrebbero da un futuro che consegue dal nostro presente, ma palesandosi per viaggiatori nel tempo altererebbero questo stesso presente, generando nuove catene di cause ed effetti che potrebbero mettere a rischio la loro stessa esistenza, non so se riesco a spiegarmi”.
“Potrebbero uccidere un loro antenato”.
“Per esempio”.
“O sé stessi”.
“Non deve veramente preoccuparsi di questo”.
“Si verrebbe a creare una specie di…”
“Noi lo chiamiamo paradosso”.
“Voi del futuro, mi è lecito immaginare”.
“Proprio così, professor Angelo Modena. Il viaggio nel tempo è possibile, voi stesso lo dimostrerete tra sette anni. Ne serviranno altri tre per le verifiche sperimentali, dopodiché…”
“Questo spiega le rughe e la calvizie, professor Angelo Modena. Deve aver lavorato molto nei prossimi dieci anni”.
L’interlocutore sospirò. “Mi dispiace. Mi rendo conto di essere un’immagine perturbante per lei. Ne ho discusso a lungo coi miei collaboratori. Abbiamo vagliato diversi scenari, ma alla fine abbiamo convenuto che nulla sarebbe stato più convincente di vedere una copia invecchiata di sé stesso…”
“Sulla mia poltrona, come il cattivo demone di Stavroghin. Potevo avere un infarto! E voi sareste morto con me”.
“Questo non sarebbe stato possibile. E infatti non è successo, come vede. Abbiamo un cuore di ferro, io e voi. E possiamo concederci un dito di cognac, la bottiglia che nascondete dietro all’attestato della Corporazione Futurista Israelita”.
“Quella ve la ricordate”.
“La memoria funziona in un modo davvero curioso, lo sto sperimentando”.
“Spiegatemi però meglio questo punto”, continuò il Modena meno anziano, mentre strappava l’etichetta fiammante dei futur-monopoli dal tappo del liquore. “Io inventerò la macchina del tempo – a proposito, dov’è?”
“È restata nel mio tempo. Non è un veicolo come quella di Wells – pensate piuttosto a una specie di cannone. E a me come a un proiettile umano”.
“Ma questo significa che…”
“Non posso tornare nel 1949, no. Almeno finché non ne costruiamo un altro”.
“Voi mi avete appena spiegato che il viaggio nel tempo è possibile. E mi avete convinto. Questo avrà senz’altro cambiato il rapporto di causa-effetto che vi ha portato nel 1949 a farvi sparare qui col cannone”.
“Certamente. Il 1949 non è più quello da cui sono partito. La mia sola partenza lo ha già modificato per sempre”.
“Eppure voi continuate a esistere, e a ricordarvi quel 1949, che è giocoforza diverso dal 1949 che io vivrò. Per dire, se io ora prendessi un coltello dalla cucina e mi praticassi un taglio…”
“Non comparirebbe sul mio corpo nessuna cicatrice, no. Non sono più soggetto ai rapporti di causa-effetto che ho contribuito a modificare”.
“Ne è sicuro?”
“Ragionevolmente sicuro. Ci abbiamo messo molto tempo, e abbiamo spedito molti oggetti e cavie nel passato per misurare gli effetti. Vedete, viaggiare nel tempo significa precisamente sottrarsi dai rapporti di causa-effetto. Viaggiando, ho modificato il mio presente dal mio punto di osservazione, restando però uguale a me stesso, e continuando a conservare gli stessi ricordi di un tempo che non esiste, e rughe scavate da esperienze che non esistono più. In effetti non sono io il viaggiatore, io rimango fermo. È il continuum causa-effetto che si modifica intorno a me, riuscite a capirmi?”
“Forse. È curioso che continuiamo a darci del voi”.
“Non riesco a farne a meno”.
“Nemmeno io. Ma dev’essere successo qualcosa di orribile, immagino”.
“Come avete fatto a…”
“Per venirmi a trovare avete distrutto venti anni di esperienze. Voi non lo fareste… io non lo farei mai, a meno che non fossi costretto da ragioni estreme. Ho ragione?”
“Ovviamente”.
“È successo qualcosa a Isacco?”
“Vostro figlio sta benissimo. Nel 1949 che ho lasciato era il vostro collaboratore più prezioso. Nel nuovo 1949 naturalmente le cose potrebbero essere diverse, ma c’è ben altro in gioco”.
“Non riesco a immaginare nulla di più…”
“L’umanità, professore. La stessa vita sulla terra. Nel futuro da cui provengo vi sono state altre due spaventose guerre mondiali, e la quarta è alle porte. Lo stesso progresso tecnico-scientifico che ha reso possibile il mio viaggio, ha trasformato i conflitti in spaventose carneficine. Intere città possono essere distrutte in pochi secondi, grazie a bombe di spaventoso potenziale attivate su razzi comandati a distanza. I gas venefici sono stati sostituiti da agenti batteriologici in grado di contagiare milioni di persone. Gli abitanti autoctoni dell’Africa nera sono stati scientificamente sterminati. Di decine di milioni di cinesi si ignora il destino – non sono mai esistiti. La stessa Europa è una polveriera radioattiva…”
“E tutto questo dipende da me?”
“Tutto questo dipende dalla Guida – lo chiamate ancora così nel 1929, se non sbaglio. Il primo Ardito, l’Audace, Il Volante della Nuova Italia. In seguito rivaluterà l’impero Romano e prenderà il titolo di Duce, ne apprezzerà la sintesi. Ma in sostanza è sempre lui”.
“Filippo Tommaso Marinetti. È ancora al potere?”
“È durato molto più di tanti papi e imperatori del passato che disprezza. Ha saputo sbarazzarsi con destrezza dei rivali più pericolosi. Lo si è già visto, no? Nel modo in cui liquidò i Savoia e riuscì a emarginare D’Annunzio dopo la Corsa su Roma”.
“Sapete, questo mi stupisce molto. Detto tra noi, non l’ho mai ritenuto un uomo particolarmente prudente”.
“Lo so. Ci sbagliavamo sul suo conto. O forse non è la prudenza che mantiene un uomo in una posizione del genere. Da un certo momento in poi, per lui si è trattato di correre o cadere. E ha corso molto. Il suo sogno di svecchiare l’Italia poteva realizzarsi soltanto con una politica aggressiva su tutti i fronti, e così è ridiventato il vecchio guerrafondaio degli anni Dieci – se lo ricorda?”
“A quei tempi era solo un artista. Abbastanza mediocre, a voi posso dirlo”.
“Era già un buon organizzatore, con un gusto spiccato per il paradosso”.
“Sì, ma quando uno va al governo e poi Venezia la asfalta davvero…” (2)
“Nel mio 1949 Porto Marghera è la capitale tecnicoindustriale d’Europa. La messa in vendita dei patrimoni artistici del passato (3) ha fornito la spinta necessaria a un’evoluzione senza precedenti, attirando nei nostri laboratori gli scienziati più visionari e spregiudicati del Vecchio e del Nuovo Mondo. È il secondo Rinascimento italiano, quello tecnico e scientifico. Conoscete Enrico Fermi”.
“Un bravo ragazzo”.
“Tra quattro anni la sua équipe scinderà per la prima volta il nucleo di un atomo di uranio”.
“È a questo che stanno lavorando?”
“Non ancora. La guerra civile in Germania accelererà di molto le cose. Anche Albert Einstein si fermerà da noi per un po’”.
“Quindi ci sarà una guerra civile in Germania”.
“I gotico-nazionalisti prenderanno per qualche mese il controllo della Baviera. A Berlino il cancelliere Gropius accuserà il partito della Tradizione di aver incendiato il Reichstag”.
“Quel tizio non ha l’aria di un assassino”.
“Il potere corrompe, specialmente quando comincia a traballare. Lo aiuteremo noi, e i cubosovietici naturalmente. Lui e Majakovskij si spartiranno anche la Polonia. Noi ci accontenteremo di avere campo libero nei Balcani e in Africa. Vendicheremo Adua con le armi batteriologiche”.
“Adua? Per quale motivo al mondo…”
“L’uranio. È inutile essere la nazione più progredita, se mancano le materie prime. È una bizzarria della storia che Marinetti si adopererà a correggere. La Repubblica Futurista Italiana diventerà l’Impero Futurista Mediterraneo e Africano. E il nostro “duce” perderà completamente la testa. Nel tentativo di giustificare il massacro di intere popolazioni, svilupperà un’ideologia sempre più razzista. Lo scandalo internazionale ci porterà alla seconda guerra mondiale contro gli inglesi e i francesi”.
“Gli ultimi da cui prendere lezioni in fatto di umanità coloniale”.
“L’antico amore di Marinetti per la Francia la salverà dai bombardamenti più atroci. Brazzaville, nel Congo francese, e York, saranno letteralmente spazzate via dalle prime bombe nucleari che verranno messe a punto qui, tra quindici anni, dai migliori alunni di Fermi”.
“Bombe nucleari?”
“L’arma spaventosa che garantirà a noi e ai nostri alleati – razionalisti tedeschi, cubosovietici russi, industrialisti giapponesi – la superiorità militare per quasi un decennio. La Francia capitolerà, Le Corbusier sarà messo a capo di un governo collaborazionista…”
“Mi faccia immaginare, sventrerà i fauburg per costruire grattacieli”.
“Sarà inevitabile. L’Inghilterra negozierà una tregua che metterà tutto il continente africano a nostra disposizione. Credetemi quando vi dico che il ricordo dei vecchi soprusi coloniali sbiadirà di fronte alla crudeltà dei giovani cresciuti alla scuola del futurismo politico italiano. Le popolazioni negroidi verranno usate per testare nuove armi batteriologiche. Giapponesi e cubosovietici faranno la stessa cosa coi cinesi. E nel 1941 l’attacco nipponico a una base americana nel Pacifico darà inizio alla terza guerra mondiale: inglesi e americani contro le tecnocrazie di Europa e Asia”.
“Il capitale contro la tecnologia…”
“Sarà più complicato di così: gli inglesi riusciranno a salvare la loro isola dalle incursioni dei nostri bombardieri, grazie a un’arma segreta difensiva. E a partire dal 1944 anche gli americani avranno sviluppato la bomba atomica. Dopo l’armistizio comincerà una lunga corsa agli armamenti. Già verso il 1950 il potenziale accumulato negli arsenali dei paesi europei e in USA sarà sufficiente a porre fine alla vita sulla Terra”.
“Ed è tutta responsabilità di Marinetti? Mi state dicendo questo?”
“È più complicato, è sempre più complicato di così. Non si tratta di responsabilità, ma di una variabile cruciale di una complessa formula causa-effetto… nel vostro 1929 non esiste nemmeno la matematica necessaria per dimostrarvi quello che vi sto spiegando. Dovete fidarvi di me – è il motivo per cui abbiamo deciso di inviare me stesso, l’unica persona che vi può chiedere un simile atto di fede. Anni di calcoli ed esperimenti ci portano a concludere che sia Marinetti la chiave di volta delle catastrofi scoppiate in Europa a partire dagli anni Trenta del secolo XX. Senza il suo esempio cruciale, nessuna avanguardia artistica si sarebbe tramutata in partito politico. Gropius e Le Corbusier sarebbero rimasti architetti, Majakovskij un poeta inquieto. Dovete credermi quando vi dico che le artecrazie europee si sono rivelate la forma di governo più crudele della storia dell’umanità. Abbiamo formulato ipotesi anche su questo – la componente narcisistica che era fortissima nelle avanguardie storiche, una volta trasferita sul piano politico, ha propiziato massacri di intere popolazioni, di intere classi sociali”.
“E quindi, lasciatemi indovinare, io dovrei cercare di avvicinarmi al Primo Ardito d’Italia e traforargli le cervella con un revolver?”
“Sarebbe inutile. Probabilmente un attentato del genere fallirebbe, oppure lo spazio occupato da Marinetti verrebbe riempito da qualcuno molto simile a lui. In anni di esperimenti abbiamo capito che i rapporti di causa-effetto hanno una certa rigidità. La Storia si può entro certi limiti cambiare, ma non si può prendere di petto. È come cercare di spezzare un diamante con un temperino. Io sono riuscito a prendere forma in questo salotto, oggi pomeriggio, perché le modifiche che il mio lancio ha compiuto sulla Storia sono ancora molto contenute. E un lancio ancora più lungo è tecnicamente impossibile”.
“Quindi non possiamo soffocare il piccolo Marinetti nella sua culla, o impedire ai genitori di conoscersi”.
“Non funzionerebbe, no. Ma ora che sono qui, posso effettuare ulteriori modifiche”.
“Devo nascondervi?”
“Tutt’altro. Deve denunciare subito la mia presenza al ministero dell’innovazione scientifica. Il fatto che io sia qui, e che possa collaborare da subito con voi, ci permetterà di sviluppare la tecnologia dei viaggi del tempo con 10 anni d’anticipo. Fingeremo di lavorare a maggior gloria della Repubblica Futurista. Ma con il prossimo lancio dobbiamo riuscire a raggiungere il 1919”.
“Piazza San Sepolcro? Vuole tirare una bomba a mano sul palco?”
“Voi non sapete quanto mi piacerebbe. Ma no, i calcoli escludono che una mossa del genere sia possibile. Mi toccherà un ruolo più imbarazzante. Dovrò contattare una signorina di 21 anni, Benedetta Cappa. Avrete senz’altro sentito parlare di lei”.
“Una poetessa, mi pare. Una delle innumerevoli amichette del Primo Ardito”.
“È molto di più. Tra qualche anno denuncerà le violenze d’Abissinia e sarà espulsa dal partito futurista. Sarà una della principali organizzatrici dell’opposizione clandestina, e l’ispiratrice e finanziatrice delle nostre ricerche. In effetti il piano che sto eseguendo è in gran parte opera sua. In questa busta, che vedete, c’è una lunga memoria che la signora Cappa del mio 1949 ha scritto alla sé stessa di trent’anni prima. Io dovrò assicurarmi che la legga, e che accetti col suo sacrificio di salvare il mondo dal baratro”.
“Che tipo di sacrificio?”
“Dovrà fidanzarsi e sposare Marinetti”.
“Questo è ridicolo”.
“Purtroppo non posso mostrarvi le equazioni che lo dimostrano…”
“Il Primo Ardito conquistato da una ragazzina? Si ricorda cosa scriveva nei suoi manifesti? Il disprezzo della donna, eccetera? Non si sposerà mai”.
“Non è mai riuscito a trovare quella giusta. Una proiezione della madre, ovviamente. Leggete il polpettone futuristico che scrisse nel ’09, Mafarka, si chiamava. Un libro profetico, anche se di rara goffaggine. Tra qualche anno sarà introvabile. La Cappa è la donna che più si è avvicinata al suo ideale – ma si sono incontrati troppo tardi, quando la discesa nell’agone politico era ormai irrevocabile. Eppure è mancato poco – avevano già avuto un breve incontro nel 1918. La Cappa era una ragazzina, e quel reduce donnaiolo le faceva paura. Dovrò convincerla ad accettare le sue avances”.
“Avete ragione, sarà molto imbarazzante”.
“La memoria della Cappa cinquantenne la ragguaglierà su come soggiogare il suo seduttore. Il momento cruciale è l’autunno del 1919. Non so se ve lo ricordate, ma le prime elezioni a cui partecipò Marinetti furono un fiasco solenne. Fu arrestato la notte stessa per detenzione d’armi da fuoco. Passò una settimana in cella, era deluso e spaventato (4). Credeva che i bolscevichi avrebbero vinto. Quello è il momento in cui la signorina Cappa deve andarlo a visitare (5). C’è una finestra nel continuum causa-effetto che possiamo sfruttare. Cambieremo la Storia con un colpo preciso, come il tagliatore di diamanti che sa dove deve incidere per ottenere una sfaccettatura perfetta. Non siete convinto”.
“No”.
“Nessuno vi conosce quanto me. Siete già un uomo fuori dal tempo – positivista per formazione, e socialista per ideologia. Voi non accordate molta importanza al ruolo dell’individuo nella Storia. Credete che al posto di Marinetti vi sarà qualcuno come lui”.
“Sono in errore?”
“Vi mancano gli elementi per capire il vostro errore. Nel vostro 1929 la Storia è ancora una scienza umana, un’arte più che una scienza vera e propria. Nel mio 1949 è una disciplina scientifica rigorosa quanto la chimica o l’astrofisica. Ci sono eventi irripetibili – noi le chiamiamo “singolarità”. Uno di questi è l’avvento al potere di un artista d’avanguardia, Filippo Tommaso Marinetti. Un evento fortuito, verificatosi per un esilissima catena di circostanze, che avrà effetti a catena catastrofici. Non possiamo fare nulla per sciogliere le catene, ma se riusciamo a risalire al 1919 ci basterà un bigliettino profumato per salvare l’Italia dall’infamia e il mondo dalla guerra”.
“Chi prenderà il suo posto? Ignoro del tutto le vostre formule, ma so che l’Italia era alla vigilia di una rivoluzione. D’Annunzio?”
“Non ha nessuna chance, dopo Fiume è soltanto una presenza decorativa. Nessuno fa davvero affidamento su di lui. Abbiamo diversi scenari, tutti migliori di quello in cui Marinetti prende il potere. Per esempio… Si ricorda come si chiamava il movimento fondato a Piazza San Sepolcro?”
“I fasci futuristi, mi pare”.
“Fasci di combattimento. Il futurismo non era ancora la corrente egemone. C’era una forte componente socialista rivoluzionaria. Si ricorda di Benito Mussolini?”
“Il giornalista? È a Parigi coi Rosselli, mi pare”.
“Era lui il capo, a San Sepolcro”.
“Ma veramente?”
“La propaganda futurista sta già modificando la memoria collettiva. Ma controllate sui giornali del tempo. Mussolini verrà messo in minoranza soltanto al congresso del 1920, e poi cadrà in disgrazia. Il fidanzamento con Benedetta Cappa può modificare la situazione”.
“Niente più Corsa su Roma?”
“La organizzerà Mussolini. E otterrà l’incarico dal Re. È una persona molto più pragmatica di Marinetti; altrettanto ambiziosa, ma senza il narcisismo dell’artista. Non congiurerà contro la Corte; dovrebbe riuscire nell’obiettivo di pacificare socialisti e popolari”.
“Lo odiavano entrambi. I socialisti, soprattutto”.
“Vecchi rancori, li seppelliranno”.
“Ci sono delle equazioni che lo dimostrano, immagino”.
“Nulla è dimostrabile al 100%. Comunque è difficile immaginare uno scenario peggiore di quello dell’ascesa al potere di Marinetti. Ed è altamente probabilità che senza il suo esempio anche i cubofuturisti non riescano a liquidare Giuseppe Stalin. Quest’ultimo avvierà una politica di industrializzazione molto meno aggressiva – non massacrerà i contadini, è di estrazione contadina lui stesso. La repubblica di Weimar salderà il suo debito di guerra e grazie agli investimenti americani già verso la fine degli anni Venti sarà la prima potenza industriale d’Europa. Ovviamente ci saranno ancora guerre, e scenari al di là delle nostre possibilità di calcolo: ma l’incubo futurista sarà spazzato via prima ancora di prendere forma. Di Marinetti ci ricorderemo soltanto come di un artista mattoide che dopo la Grande Guerra mise giudizio e si sposò”.
“E Venezia?”
L’anziano professor Modena fissò negli occhi il sé stesso di venti anni prima, e sorrise. Per un attimo l’illusione di specchiarsi fu perfetta. “Venezia non sarà mai asfaltata. A nessun altro verrà in mente un progetto così folle”.
“Non me lo può garantire al cento per cento…”
“Al novantasei virgola quindici”.
“Mi basta e mi avanza”.
(Filippo Tommaso Marinetti e Benedetta Cappa si sposarono nel 1923. Il professor Angelo Modena non ha mai scritto il suo appunto sulla Macchina del Tempo di Wells. È morto a Birkenau nel 1944).

Se a differenza del professore hai una voglia matta di vedere Venezia asfaltata, approva con futuristico vigore lo spunto che oggi se la gioca contro Redenzione. Tutto quello che ti si chiede è mettere Mi piace su facebook, o esprimervi nei commenti. Grazie per l'attenzione e arrivederci al prossimo spunto.
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Cosa ci insegnano i procioni

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Come tutti i procio-linguisti (e più in generale i procio-studiosi, e i procio-divulgatori, e tutto l'indotto umanistico e scientifico che ruotava intorno al Pianeta dei Procioni), Aron aveva grosse difficoltà a mascherare il disprezzo che provava per i cosiddetti "procionidi terrestri", quei gruppi di svitati che dopo aver visto un documentario di troppo erano andati a vivere nei boschi in piccole comunità di soli maschi o sole femmine - fatta eccezione ovviamente per quelle quattro settimane tra marzo e aprile, dedicate al corteggiamento e all'accoppiamento. Aron non riusciva nemmeno a individuare l'aspetto più paradossale: che le istruzioni per la vita in armonia con la natura provenissero da trasmissioni inviate e captate con le tecnologie più sofisticate a disposizione? o che una specie vivente dedita al genocidio fosse percepita come più "naturale" soltanto perché viveva tra gli alberi?

(Questo pezzo prosegue lo spunto della Fine del mondo dei procioni, e ovviamente partecipa alla Grande Gara degli Spunti. Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone). 

"Non hai mai pensato che è anche colpa nostra?", le aveva detto Sara un giorno. "In fondo non sono che vittime della procio-mania. Quella cosa che ci dà da vivere".
"Noi non viviamo di procio-mania. Noi studiamo i linguaggi dei procioni".
"Certo, e per farlo servono computer dall'enorme potenza di calcolo, e specialisti ben pagati, e tutto questo lo pagano gli sponsor che vogliono vendere il prossimo film 3d ambientato nel mondo dei procioni".
"Sara..."
"La soap dei procioni sta andando fortissimo - anche se non abbiamo ancora capito chi è il buono e chi è il cattivo - ammesso che ci siano - i peluche autorizzati dall'Agenzia Spaziale sono già pezzi da collezione, e ci sono ragazzini che da cinque anni in qua non fanno che sentir parlare di procioni, procioni, procioni. Ti sorprende che una piccola parte di loro comincino ad arrampicarsi sugli alberi? Tra un po' ci arrampicheremo tutti. Hai visto i progetti della nuova torre di Berlino?"
"Prima o poi si renderanno conto che i procioni sono come noi".
"Non sono come noi".
"È vero. Ma non sono né meglio né peggio. Sono violenti, devastatori, hanno un forte senso del branco ma nessuno scrupolo per gli estranei".
"Bene, e ora dimmi qualcosa che li differenzi dai sapiens".
"Sin da quando abbiamo cominciato a capire qualcosa della loro Storia, abbiamo cercato di combattere il luogo comune di specie-in-armonia-con-la-natura. Abbiamo raccontato di come abbiano sterminato un'altra razza intelligente nel continente inferiore".
"Probabilmente noi abbiamo fatto la stessa cosa coi Neanderthal".
"Loro lo hanno fatto con armi batteriologiche".
"Allora è la stessa cosa che noi abbiamo fatto agli Incas".
"Non abbiamo usato armi batteriologiche contro gli Incas... non consapevolmente".
"Hanno iniziato a usare armi batteriologiche più o meno quando noi cominciavamo a perfezionare le catapulte, non puoi fare un paragone con..."
"Sei tu che hai iniziato a fare paragoni".
"Va bene. Fare paragoni è sempre sbagliato".
"Sempre".
"Perché abbiamo iniziato?"
"Non riesco a capire come sia passata l'idea dei procionidi in sintonia con la natura. Hanno devastato più habitat di quanto non abbiamo fatto noi".
"Ma vivono ancora sugli alberi, mentre noi siamo scesi".
"Tutto qui?"
"Certo che no. Hanno quella pelliccia adorabile, e quel mese all'anno in cui pensano soltanto al sesso. Tutte cose di cui eravamo convinti fosse necessario liberarsi, per diventare civili. Loro ci hanno dimostrato che non è vero. Si può fondare una civiltà senza scendere dagli alberi, senza perdere i peli, senza rinunciare alla stagione dell'amore".
"Hanno cacciato gli orsi fino all'estinzione. E manco li mangiano".
"Erano comunque pericolosi. Piuttosto ci sarebbe da domandarsi perché noi non abbiamo fatto la stessa cosa".
"Perché abbiamo sviluppato il concetto di biodiversità, mentre loro..."
"Loro si sono stabilizzati sul miliardo di abitanti, su un pianeta un po' più piccolo della Terra, forse è una strategia più ecologica della nostra".
"Il loro modo di stabilizzarsi è massacrarsi tutti gli autunni".
"Anche lì, ci sarebbe da domandarsi perché non facciamo la stessa cosa".
"Sei seria?"
"Forse non stiamo distruggendo il pianeta perché facciamo troppe guerre, ma perché non ne facciamo abbastanza. Ci hai mai pensato?"
"Ok, non sei seria".

Se sei un furry, o non hai il coraggio di ammetterlo a te stesso, ma hai quello per votare Cosa ci insegnano i procioni, che oggi se la vede con Qualcuno continua a uccidere le mie ex, non hai che da mettere Mi piace su facebook, o esprimerti nei commenti. Grazie per l'attenzione e arrivederci al prossimo spunto.
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Il ritorno alla terra, poema drammatico

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(Tra gli spunti ce n'è uno - Fiume 1920 - recuperato in una vecchia cartella di cui mi ero assolutamente dimenticato, buttato lì come tanti altri per far mucchio, e che invece risulta fin qui uno dei più votati. Sono un po' in pensiero perché anche se è una vicenda che ho studiato (meno di quanto meriterebbe), ormai non ne so più niente. E siccome per ora non ho niente di più da offrire, incollo un pezzo preso dal libro più venduto e meno antologizzato di F.T. Marinetti, Come si seducono le donne. È un testi del '16, dettato in trincea, che anche in edizione censurata spopolava tra gli ufficiali al fronte. Gente che sotto l'artiglieria si ripromette di tornare a casa con cicatrici non troppo sfiguranti e sdraiare nobildonne grazie ai futuristici consigli di FTM. Lo incollo qui per dare un po' l'idea del tono, della situazione. Cinque anni dopo FTM è a Fiume che continua a inseguire gonnelle senza requie).

Durante i tre anni che precedettero la conflagrazione generale, Parigi, che aveva riassunto e perfezionato in sé tutte le eleganze, tutte le raffinatezze, tutti i cerebralismi e tutte le esasperazioni erotiche, volle realmente spaccarsi l’enorme fronte luminosa contro la muraglia dell’impossibile.

Tutti i divertimenti, tutte le bizzarrie, tutti i capricci, tutti gli spettacoli realizzati, esauriti, vuotati. La mania letteraria femminile che aveva succeduto alla mania del bridge, giunse a delle forme snobistiche assolutamente pazzesche e cretine. Durante un pomeriggio in un salone politico consideratissimo fui costretto ad ascoltare venti declamatrici diverse.

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone). 

Una dama sessantenne leggeva una Notte di De Musset. Occhialetto tremante fra i nodi delle vecchie dita. Primavera stonata di una toilette rosalilla sul corporuderoattaccapanniombrello. Lingua stanca e bavosa fra i versi roventi. Disattenzione di tutti i cappelli piumati che bisbigliavano i loro affari senza preoccuparsi della declamatrice. Poi, un barbone biondo, pettinatissimo, in stiffelius, notaio o direttore di banca, cadenzava per dieci minuti degli alessandrini col gesto sempre eguale di un seminatore. Poi una signorina svenevole, piena di smorfie cinesi, parlava con una voce da passero, di una volontà che faceva rima con carità. Compassione generale. Nessuno ascoltava. Dalle tre fino alle otto e mezzo di sera. Ogni tanto interruzione: – bello! magnifico! interessante! Piccoli battiti febbrili dei ventagli richiusi contro gli anelli delle mani ridipinte. Mormorio di compiacimento falso. Gorgoglio di voci. Trotto di cretinerie banalissime. E si riprendeva: a non ascoltare.

Nella sala dei rinfreschi si sfogava un frastuono sincero di voci, di piatti e di appetiti. Tutti infatti, poeti, poetesse, bohémiens ripuliti, giornalisti, artiste, signore, attrici avevano fame di sandwiches, pasticcini, gelati e cioccolata dopo quel fiume nauseante di insipidità, e specialmente dopo le lunghe strade parigine affollatissime che avevano dovuto attraversare a piedi, in tram, in luccicantissime limousines; tra mille scossoni, sotto l’impulso del tempo che li spronava a fare ad ogni costo il più assoluto niente. Ritmo affannoso. I petti femminili smaniosi di trovarsi sempre nel punto di Parigi più alla moda, nel salotto più in vista, allo spettacolo più eccezionale. Tutte le bassezze per un invito!...

Ogni signora ha il suo giorno di ricevimento con qualche cosa di speciale. Lotta feroce dei diversi giorni della settimana! Il martedì della marchesa C pompa pneumaticamente i due terzi della curiosità parigina, ma è minacciato dal martedì della contessa D, e specialmente da quello della giovane e bellissima letterata Y, che lavora accanitamente ad accumulare quadri cubisti, poeti, futuristi, ballerini russi, giocolieri sudanesi e lancia su Parigi delle reti d’inviti nelle quali tutti i pesci vogliono assolutamente rilucere di un guizzante piacere cretino.

Io ero un numero ricercatissimo. Non si poteva vivere senza i miei versi liberi all’automobile da corsa, che spaccavano tonando l’atmosfera morfinizzata di quegli ambienti. Per curiosità psicologica e mediante un veloce automobile io riempivo di energia futurista quattro o cinque salotti alla moda in un solo pomeriggio. Conobbi così la signora Julie de Mercourt che incontravo dappertutto.

Biondissima, fragile, pallidissima, un ninnolo febbrile con dei subitanei languori nella voce e negli occhi come se si fosse tuffata nell’acqua calda di un ricordo erotico. La desiderai acutamente e l’inseguii. Le nostre velocità e le nostre onnipresenze erano parallele. Un giorno in un ascensore, presa di subitanea confidenza, mi parlò di malattia cardiaca e mi fece premere colla mano un piccolo seno bianchissimo scosso da un cuore troppo disordinato. Moglie di un architetto illustre che non conobbi mai, era smaniosa d’essere nominata in tutte le note mondane dei giornali, ma aveva evidentemente un’altra mania che io volli esplorare.

Fu felice di presentarmi nella casa di un industriale miliardario, nell’occasione di una festa che doveva sorpassare tutto ciò che si era inventato di più favolosamente strano e piccante. Tutte le limousines aristocratiche scoppianti di luccicori, fuga sferica di riflessi, esplosione molle di stoffe rosa neve fra i cristalli, ebano, lacca rossa, turchesi, tenerissimi gialli, ottone dei fanali, gridio schizzante di strilloni sull’asfalto pieno di raggi veloci: Kru-breee-breee breee, Krubree-bree.

Entriamo insieme. Vasto cortile quadrato. Tre pareti drappeggiate di bianco e verde; quella di fondo, evidentemente di un’altra casa e di un altro proprietario, trasudava di curiosi a tutte le finestre. Crescente polifonia di voci. Tutti i profumi corrotti dagli odori di troppi corpi femminili. Ambizione, irritazione di quattrocento cappelli, piume, garze, veli in rissa per emergere. Naufragio di gesti nudi. Palpitazione di gabbiani femminili fra una schiuma di ventagli. Caldo crescente. Interno di enorme conchiglia marina invasa metà dal sole di agosto. Non c’era più posto, ma la gente continuava ad entrare. Compenetrazione di gomiti nei fianchi. Barbe rosse, dorate, quadrate, a pizzo sfioravano globi di seni colorati come cirri al tramonto. Lunghi capelli grigiastri di vecchio decadente fra le scapole feroci di una scheletrita pianista bandeaux neri con una bocca forata dal rosso. Miscela di fiati. Ansare. Sarà molto interessante! Eccezionale! Il ritorno alla terra, poema drammatico... Non c’è palcoscenico! Una cosa assolutamente nuova! La divina Lettecot Livy sarà nuda! O quasi! Vestita di foglie!... I versi sono suoi! Nel centro vi sarà della terra, della vera terra!

La folla era infatti disposta, assiepatissima, tutta in cerchio, come in un’arena. Silenzio! Silenzio! A stento inoculati, la mia amica ed io formavamo una fusione unica. Lo spettacolo incominciava. Non si vedeva nulla. Dei pezzi di versi schizzavano fuori dal brusio che non poteva cessare data la ressa. Ad un tratto, fra il fogliame umano, vidi la celebre Livy rizzarsi tutta verde, e spargere intorno a sé col grasso braccio nudo, della terra nera. Poi, riempirsene la bocca. E finalmente gridare con irruenza drammaticissima: «Bisogna mangiare la terra! Nutrirsi, nutrirsi, nutrirsi di terra!... per non morire!»

Intanto una finestra si apriva al primo piano davanti a noi ed apparve una vasta portinaia francese una di quelle tipiche portinaie che presero tanta parte nelle battaglie tra inquilini Dreyfusisti e inquilini anti-Dreyfusisti. Aveva sotto l’ascella una lunga scopa, le larghe mani aperte sul ventre e ridendo a crepapelle, disse nel silenzio generale: Ah questa è grossa! Manicomio! Manicomio!... Tutti risero ma meno di me perché ero forse il solo a sentire la necessità urgente della conflagrazione generale. La mia amica mi guardò negli occhi, comprese e disse: «avete ragione di trovare tutto questo idiota... Dopo questo spettacolo non c’è altro che il diluvio».

Due voci flebili e smorfiose mi ronzavano nelle orecchie da dieci minuti. Scambio di parole tenere che rivelavano dei semi-contatti erotici simili a quelli che mi univano alla mia amica. Mi voltai e vidi un signore panciuto sessantenne che stringeva col braccio destro amorosamente un giovanetto oscenamente effeminato, guance a pastello, labbra enfiate di vecchia prostituta, occhi azzurri sciupati malaticci e paurosi sotto dei bellissimi capelli biondi.

Alla mia destra una notissima scrittrice, liquefatta da trenta anni di thè letterari, vasto seno-prua balordamente fasciato di velluto granata, oscillante alberatura di cappello estremoriente. Vicino sotto e sovente nascosta da lei una troppo fragile pupattola bionda (crema oro sorrisi di vetri fini) diceva a un banchiere biblico, calvo, che uncinava le donne (velieri o canotti) col naso arrugginito:

— Oh! io trovo che il denaro è un potente afrodisiaco. Il denaro è la più grande prova d’amore che un uomo può darci...

Era probabilmente fedele a quel suo palmipede bancario che le offriva con 100,000 franchi di toilette all’anno la delizia di vincere e di umiliare tutte le sue amiche. Preferiva indubbiamente un palpeggio di stoffe e una rivista di mannequins ad un ardente corpo a corpo col più seducente amante del cuore. Il banchiere rideva viscidamente di tanto in tanto offrendo ad ogni sorriso due lunghi denti d’oro al suo labbro inferiore ogni volta deluso.

Se tutto ciò ti seduce, almeno più di La prima volta si fa davanti a tuttinon ti resta che mettere Mi piace su facebook, o esprimervi nei commenti. Grazie per l'attenzione e arrivederci al prossimo spunto.
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Il mio ragazzo è buono da mangiare?

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Evangelina è la tipica eroina young adult. Vive in un futuro evidentemente progettato da genitori asfissianti, che hanno regolato ogni aspetto della vita e non tollerano violazioni. La formula prescrive che Evangelina si percepisca profondamente diversa, non capita, che rompa gli schemi, si ribelli, capeggi una rivoluzione e trionfi, nel giro di tre/quattro volumi.

(A volte mi domando cosa succederà quando i 15enni che si sciroppano questa roba diventeranno adulti sul serio - tra non molto. Magari la rivoluzione la fanno davvero, se ai coetanei di San-Just è bastato leggere Rousseau).

In questo caso la rigida norma degli adulti riguarda l'alimentazione. In questo futuro i vegan hanno preso il controllo e imposto a tutti la loro dieta. Le carenze proteiniche vengono risolte con la somministrazione di un alimento sintetico che per mancanza di fantasia chiameremo per ora Soylent. Evangelina beve tantissimo Soylent, perché è nata con una grave intolleranza alle verdure - altri feti cui si diagnostica la stessa intolleranza non vengono autorizzati a nascere, ma Evangelina è figlia di due pezzi grossi che hanno accesso a tutto il Soylent che vogliono.


(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).

Gli abitanti di questo mondo vegan hanno scarsissime nozioni del passato dell'umanità, a causa della radicale sensibilità animalista che si è universalmente diffusa (agli scimpanzé è stato di recente concesso il diritto di voto, e si pensa di estenderlo a tutti i primati entro il decennio). Per fare un esempio, non riescono a leggere Shakespeare senza considerarlo un mostro, un assassino e mangiatore di animali. Tutti noi onnivori del XXI secolo siamo, ai loro occhi, degli aguzzini colpevoli di crimini contro l'animalità, non trovano sostanziali differenze tra noi e Hitler.

C'è anche un altro motivo per cui non riescono più a leggere Shakespeare, e qualsiasi altro testo prodotto fino a cent'anni prima: non capiscono l'ironia. E molte altre figure retoriche. Hanno grosse difficoltà col linguaggio figurato - nel loro dizionario ogni parola ha un solo significato, se tu a uno di loro dici: "fai subito i compiti, così avrai il pomeriggio libero", loro ti guardano strano, non capiscono come si possa affrancare un pomeriggio dalla schiavitù. Evangelina è particolare anche in questo, che capisce i giochi di parole, ad esempio capisce che "il mio regno per un cavallo" non deve per forza significare "sono disposto a cedere il mio regno in cambio di qualche chilo di pregiata carne equina". Se ne accorge il padre che di mestiere decifra papelli del passato, e a volte le chiede consulenze. Proprio la sua dimestichezza con alcuni classici dimenticati la porta a nutrire curiosità per i Territori Proibiti e per gli zombi. Sì, mi stavo quasi dimenticando che in questa storia ci sono pure gli zombi.

L'epidemia di morte vivente è scoppiata poco prima che i vegan prendessero il potere (la repulsione per l'antropofagia degli zombi sembra aver giocato un ruolo importante nel successo delle loro tesi. Non è stata la catastrofe che tutti immaginiamo; in qualche città dell'entroterra un po' di gente si è messa a rosicchiarsi a vicenda, l'esercito ha subito blindato il perimetro, e ora sono i viventi che cacciano gli zombi per divertimento - c'è persino qualcuno preoccupato del fatto che nel medio-lungo periodo si estingueranno, e non si potrà più noleggiare ai turisti l'equipaggiamento per la caccia al morto. Evangelina però ha letto storie strane su vecchi giornali, che sembrano raccontare una realtà diversa.

Forse gli zombi non esistono?
Forse i Territori Proibiti non sono che riserve dove vivono segregati gli ultimi irriducibili carnivori, che fanno talmente orrore all'ordine costituito da essere considerati morti viventi?
Forse che Evangelina scoprirà che sono anche belli, sanguigni e spiritosi, e in grado di fare battute e capirle, e si innamorerà di uno di loro?
E di cosa sarà mai fatto il soylent?

Sono domande destinate a restare senza risposta, se non fate la minima fatica di votare per Il mio ragazzo è buono da mangiare?che oggi se la gioca con  Dama e cavaliereNon esitare a cliccare Mi Piace su Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo ti è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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Non è poi lontana Copernico

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A un certo punto sulla Terra si è fatto caldino e dovevamo assolutamente inventarci qualcosa, ad esempio inviare qualche migliaio di persone all'interno di enormi stazioni spaziali in direzione degli esoplaneti più vicini. Le stazioni, in teoria, sono autosufficienti - possono immagazzinare l'energia dei raggi cosmici e usare i propri rifiuti per concimare i campi dove coltivare frutta geneticamente modificata da usare come combustibile - ma abbastanza lente, per cui non si prevede che arrivino al pianeta Copernico 456b che in ventimila anni. Un periodo di tempo in cui qualsiasi cosa può andare storta.

In particolare gli antropologi ci hanno fatto presente che nessuna civiltà è esistita tanto a lungo, e in condizioni così particolari (chiusa in un proiettile sparato nel vuoto assoluto). Anche ammesso che per tutto il tempo continuino a credere alla stessa storia, è molto probabile che quando arriveranno avranno troppa paura per uscire dalla stazione e terraformare il pianeta. D'altro canto, sempre meglio che morire di caldo quaggiù...

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E poi ci sono le vasche criogeniche. Bruciano troppa energia perché si possa addormentare un intero equipaggio - però si può raffreddare un uomo solo e svegliarlo ogni tanto perché dia istruzioni alla comunità. Quando parte, il professor Salem ha quarant'anni. È sociologo, economista e storico, ed è stato opportunamente addestrato per vivere il resto della sua esistenza svegliandosi ogni settimana in un secolo diverso. Ma tra il dire e il fare c'è di mezzo lo spazio profondo.

La settimana seguente sono già passati cent'anni. La comunità della stazione spaziale si è rigidamente compartimentata in caste - Agricoltori, Macchinisti, Burocrati, e gli intoccabili che puliscono i bagni e trattano il concime. Il consiglio degli anziani ha proibito i matrimoni misti. Era una evoluzione prevedibile e per il momento Salem non crede necessario ostacolarla, dal momento che si tratta di una delle forme di società più conservative possibili, e di conservazione c'è un gran bisogno - tanto più che l'endogamia si può correggere con prelievi periodici dalla banca del seme.

La settimana dopo fervono i preparativi per incrociare una cometa - c'è ormai una disperata necessità di metalli e h20 (il ciclo dell'acqua della stazione non è perfetto al 100%). Al suo risveglio Salem è festeggiato come il simbolo vivente dello status quo e della società castale. La cosa lo spaventa un po', soprattutto quando gli spiegano che ogni 18,5 anni circa scoppia una rivolta degli intoccabili. Costoro dubitano dell'esistenza di Copernico, ma anche della Terra: il loro obiettivo è costruire una società egalitaria all'interno della stazione. Salem si rende conto che se gli intoccabili dovessero prendere il controllo della stazione anche per breve tempo, gli staccherebbero la spina. Dà dunque disposizioni per il superamento della società castale: spiega agli Anziani, attoniti, che non è necessario che gli intoccabili diventano uguali agli altri, ma è importante che possano sognare di diventarlo: basta l'esempio di uno o due individui che hanno successo e salgono un gradino sociale, per disincentivare ogni proposito rivoltoso. Invece di fare la guerra agli altri, la faranno tra loro per primeggiare, e tra un secolo poi si vedrà. Buonanotte.

La settimana dopo tira una brutta aria. L'attracco alla cometa non è andato come previsto, e la scarsità di metalli ha costretto gli Anziani a dimezzare la Stazione (era una procedura prevista). La popolazione è calata del 50%, metà dei reattori sono stati fusi per ottenerne pezzi di ricambio per gli altri reattori. "E le rivolte?" "Quasi sparite. Tanto che abbiamo dovuto promuoverne". "Che cosa?" "Sì, dovevamo uccidere qualcuno, e siccome gli intoccabili esitavano a rivoltarsi, li abbiamo provocati. È successo 23 anni fa, e calcoliamo che debba risuccedere tra cinque... ci stiamo già preparando". "Non c'è nessuna cometa all'orizzonte?" "Nessuna, ma quando si sveglierà la prossima volta sarà già nel sistema Centauri. Dovrebbe assistere a un boom". "Speriamo bene".

Infatti la settimana dopo si sveglia a una festa. È il culmine di una settimana di celebrazioni. La stazione spaziale ha raggiunto il sistema di Alpha Centauri, riempiendo le stive di metalli, acqua, silicio, e ogni altro materiale prezioso. La popolazione è tornata al livello massimo consentito. C'è un ottimismo tangibile nell'aria (molto meglio ossigenata). Gli intoccabili non sono più tali; anche se restano sul fondo della società, molti di loro riescono ad avere carriere di successo e a diventare celebrità. Qualcuno ha proposto di restare nel sistema Centauri per sempre; è una proposta che Salem sa di dover respingere: le tecnologie a bordo della stazione non consentono di estrarre risorse in grado di far funzionare la stazione per più di qualche migliaio di anni. Per i rappresentanti della Stazione - quasi tutti quarantenni, o anche più giovani - non è un grosso problema. Per Salem sì.

La settimana successiva, infatti, la stazione non è ancora uscita dal sistema. C'è stato anche un tentativo - fallito - di colonizzare un pianetino. La popolazione della stazione è divisa in due fedi trasversali: chi vuole proseguire sulla rotta per Copernico, e chi vuole restare lì. C'è anche chi propone di tornare sulla Terra - non si riescono più a captare segnali, ma chissà, magari ora il problema del calore è stato risolto. Salem non ha molte scelte: se la stazione smette di puntare verso Copernico, lui rischia di diventare una curiosità, una mascotte, un corpo inanimato che in caso di carestia si può anche sacrificare; è il momento di attivare il protocollo 12. Per sterminare la fazione centaurista, Salem dona ai copernichisti la formula, nota a lui solo, con la quale si può distillare dalla frutta un'arma batteriologica. Poi si riaddormenta.

La settimana successiva Alpha Centauri è già lontana, una stella tra tante. Tra i lineamenti che è ormai abituato a riconoscere pur tra cento variazioni, non trova più quelli di una donna di cui si era innamorato due settimane prima: la sua famiglia è stata completamente sterminata durante i pogrom dei centauristi. La società si sta riorganizzando in caste, ma c'è una novità curiosa: nell'archivio della stazione qualcuno ha trovato il file di In tredici verso Centauro di Ballard e lo ha trasformato nel testo sacro di una nuova religione. I ballardisti credono che la stazione spaziale non stia viaggiando nello spazio, ma sia un'enorme simulazione, un esperimento custodito in un hangar sotterraneo nella Terra. Le stelle non sono che lampadine, e il prof. Salem tra un ciclo di veglia e l'altro andrebbe a riferire ai suoi superiori in un ufficio in superficie. Smetto qua sennò lo scrivo tutto stanotte. Continuerò se voterete per Non è poi lontana Copernico, che oggi se la gioca contro l'Universo PerpendicolarePotete cliccare, indovinate, sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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L'universo perpendicolare

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Nel 2072 all'improvviso una capsula spaziale appare all'orbita di Saturno. Dentro c'è un tale che si fa chiamare Capitano Alan e dice di provenire dal futuro.


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Spiega che da lì a cinque anni scopriranno dove il nostro universo ha un punto di intersezione con un altro universo non parallelo, ma perpendicolare: molto simile al nostro, salvo per il piccolo particolare che il tempo scorre in direzione opposta al nostro. A quel punto...

"Hanno mandato lei?"
"Non esattamente, hanno mandato il capitano Sean. È entrato nell'universo, c'è rimasto per sei mesi, ed è rientrato verso la fine del 2071, aiutando sé stesso a capire qualche dettaglio tecnico".
"Non ha creato un paradosso?"
"Non c'è modo di saperlo".
"...Cioè dal nulla avete visto questo capitano Sean che appariva e diceva che sei mesi dopo avrebbero scoperto un punto di intersezione con un altro universo".
"Precisamente".
"E allora cosa avete fatto?"
"Cosa avreste fatto al nostro posto? Appare all'orbita di Saturno un tizio che assomiglia effettivamente a un nostro astronauta, con una capsula che assomiglia alle nostre e qualche tecnologia che ancora non conosciamo, e ci dice questo e quello... voi vi sareste fidati?"
"Non tanto, no".
"In linea teorica la sua storia era plausibile tanto quella di un'intelligenza aliena ostile che crea dei replicanti e li manda per confonderci".
"In effetti. E allora cosa avete fatto?"
"Voi che avreste fatto?"
"Mah, la prima cosa che mi viene in mente... avremmo mandato un altro astronauta nell'intersezione, con provviste per un po' più di tempo, affinché..."
"Scoprisse cosa c'era davvero dall'altra parte e ci informasse. Esatto. È quello che abbiamo fatto".
"E così hanno mandato lei".
"No, hanno mandato capitan Robert. È arrivato nel 2070".
"Comincio a intravedere il problema".
"No, ma avevamo previsto che potesse succedere: la capsula che compare all'improvviso nello spazio, ecc. ecc., gli scienziati sulla Terra che non sanno se fidarsi... per questo motivo, prima di partire, al capitano Robert erano stati confidati segreti intimi di diversi ingegneri della NASA. Inoltre conosceva in anticipo tutti i risultati di diversi campionati sportivi. Aveva insomma tutto quello che serviva per ottenere la nostra fiducia".
"E quindi cos'è andato storto? Perché qualcosa è andato storto, vero?"
"Dopo qualche mese sulla Terra ha strangolato sé stesso".
"Il capitan Robert del passato?"
"Il capitan Robert arrivato dal futuro ha strangolato il capitan Robert che si preparava alla missione".
"Ma non ha creato un paradosso?"
"È quello che ci siamo domandati. Ci sono varie scuole di pensiero, sapete. Secondo alcuni non sarebbe successo niente".
"E secondo gli altri?"
"L'universo sarebbe imploso di lì a pochi mesi. Il capitan Robert - per quel che contava - non era d'accordo né con gli uni né con gli altri".
"Ma non era morto?"
"Il capitan Robert del presente era morto, ma il capitan Robert venuto dal futuro era ancora vivo, e strepitava in una cella".
"Questo è impossibile".
"In effetti eravamo molto preoccupati. Anche perché lui sosteneva che l'universo perpendicolare è abitato da una razza senziente che vuole confonderci e soggiogarci. Affermava inoltre di non essere il vero capitan Robert, ma un replicante costruito dagli alieni, che però ormai si sentiva più umano che alieno, e perciò aveva deciso di uccidere sé stesso per impedire la catastrofe che sarebbe successa se lo mandavamo laggiù. Un evidente delirio paranoico, probabilmente causato dallo choc del viaggio nel tempo".
"E tuttavia..."
"Voi cosa avreste pensato?"
"Avremmo pensato che anche se sembrava un delirio paranoico, forniva una spiegazione molto più semplice al fatto che malgrado avesse strangolato sé stesso..."
"...fosse ancora in vita. Ma a questo punto abbiamo pensato di mandare capitan Quentin".
"...ancora più indietro!"
"No, appena un po' indietro, quanto bastava perché riuscisse a impedire al capitano Robert di strangolare sé stesso".
"Ma sapevate già che non era successo..."
"Eh, la fa facile lei. Guardi che quella che le sto offrendo è la ricostruzione a cui siamo arrivati dopo qualche anno. Invece per noi che la vivevamo andò così: mentre discutevamo col capitan Robert appena arrivato, ci arriva il segnale di capitan Quentin. Ignoratelo, spiega Robert, è il mio caro collega Quentin che è stato mandato dopo di noi ma purtroppo non era psicologicamente abbastanza stabile ed è impazzito durante i mesi passati nell'universo perpendicolare - pensate che è convinto che sia popolato da alieni che vogliono soggiogarci, ah ah".
"Ma come faceva il capitan Robert del futuro a saperlo, se il capitan Quentin era stato inviato dopo di lui?"
"Diceva di saperlo perché era stato testimone di tutto quando era ancora il capitan Robert del presente".
"Ma a quel punto il capitan Robert del presente era morto strangolato".
"E noi come facevamo a saperlo? Successe un mese dopo".
"Potevate dare retta a Quentin!"
"Pensammo invece di mandare il capitan Paul indietro nel tempo a impedire al povero Quentin di partire e impazzire".

Se volete che continui - e siete curiosi di sapere se dall'altra parte ci sono gli alieni o semplicemente la versione inversa di noi stessi che sta cercando di comunicare con noi e dirci che va tutto bene - non avete che da votare per l'Universo Perpendicolare, che oggi se la gioca contro Non è poi lontano CopernicoPotete cliccare - devo spiegarvelo? - sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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Redenzione, di Michel Houellebecq

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È il seguito di Sottomissione, di Michel Houellebecq. Se non lo avete letto vi regalo tre ore di vita riassumendone la trama: un docente universitario perfettamente inutile che comincia a perdere i colpi (non riesce più a sedurre una studentessa a semestre) assiste svogliato alla colonizzazione islamica della Francia, che avviene attraverso regolari elezioni - in strada all'inizio ci si ammazza un po', ma la tv fa finta di niente e lui si guarda bene dal ficcare il naso. All'inizio è un po' preoccupato dalla prospettiva di non vedere più femmine scoperte ai rinfreschi accademici, ma quando si rende conto che la nuova fede gli consentirebbe di sposare un paio di fanciulle dai 15 in su (ma anche una matrona che lo riscatti da una vita di pasti precotti), il delicato fiore della conversione germina in lui spontaneo. Fine di Sottomissione di Houellebecq. Non trovate anche voi che qualcosa non torni?

Il libro si basa stancamente ("stancamente" è il mio avverbio preferito quando si parla di Houellebecq) su alcune premesse un po' discutibili:

1. I francesi non di un lontano futuro, ma del 2022, se al ballottaggio si trovassero a scegliere tra Marine Le Pen e un candidato dell'Islam moderato, sceglierebbero l'Islam moderato. Non solo i socialisti, anche i centristi. CERTO HOUELLEBECQ, CERTO.

2. Pur martoriata da una crisi strutturale, e segnata da lotte intestine tra islamici e identitari, la Francia del 2022 dovrebbe fare talmente gola ai sauditi da indurli a comprarsela. Perché è quello che succede nel libro: dietro al partito islamico moderato ci sono i petrodollari dei sauditi. Fantastiliardi. Si comprano tutto, pure le università coi professori dentro. A ogni professore regalano tre mogli (ovvero, il reddito per mantenerle). Un affarone, no? Chi non si comprerebbe la cultura francese avendone l'agio? Tu preferiresti girare in Lamborghini o mantenere a vita un esperto di Huysmans? Non c'è gara, vero?

3. L'Europa non farebbe una piega, anzi si appresterebbe a riconoscere nel presidente islamico della repubblica francese il nuovo imperatore del Mediterraneo - perché di solito funziona così, no? Quel che va bene ai francesi va bene al mondo. Pieni i manuali di Storia di esempi. Cerca sul minitel.


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Insomma il tentativo houellebecqiano di immaginare uno scenario un po' più concreto per quell'incubo che la Fallaci chiamava Eurabia, finisce proprio per dimostrare quanto poco sia plausibile. Ma vediamo cos'è successo nel 2027. François, l''eroe' di Sottomissione, ora è un pacioso wahabita con qualche difficoltà a recitare le preghiere in arabo e un harem di tre donne che gli danno il tormento. La vecchia cucina sempre le stesse cose (troppo burro!) quella di mezzo gli fa le corna con un esperto di Rimbaud, la quindicenne è insostenibile come sanno essere insostenibili le quindicenni. Il lavoro all'università è la solita rottura. Dimostrare il criptoislamismo di Huysmans a studentesse che sotto il burqa si messaggiano con l'iphone12 è una tale palla. Aggiungi un lieve ritardo nei pagamenti, qualcuno già sussurra che i sauditi vogliano chiudere i rubinetti. È abbastanza comprensibile, visto che il riscaldamento globale sta portando tutta l'Europa a tagliare drasticamente l'emissione di idrocarburi. In Francia invece si continua a bruciare petrolio allegramente, ma ormai è tempo di elezioni, e il presidente Ben Abbas rischia di perderle.

Quando ci pensa, François ha la sensazione sempre più netta di essersi fatto vendere una sòla. Il nuovo Cesare Augusto, come no. L'ambizioso progetto di smantellamento della società post-industriale, l'idea di trasformare la famiglia in una piccola impresa e incentivarla come tale, si è infranta di fronte alle evidenze degli anni Venti: le piccole imprese non servono più. L'artigianato è morto, sepolto, riesumato, ristampato in 3d. In un mondo che va verso la standardizzazione digitale, Ben Abbas ha fatto perdere alla Francia ulteriori anni preziosi, raccontando con parole nuove la solita fiaba: sei diversa, sei unica, sei speciale, gli americani non possono capirti, i cinesi non possono copiarti, gli europei possono soltanto seguirti, intanto però devi continuare a fare il pieno di super.

Quando Ben Abbas viene sorpassato al primo turno dal nuovo leader lepennista, François avverte le prime crepe nella sua fede. Di nascosto dalle mogli, comincia a frequentare un cenacolo di intellettuali identitari, un po' clerico-fascisti un po' ambientalisti. Capisce metà dei discorsi che fanno, ma il buffet è di tutto rispetto. Evidentemente i nazionalisti e i fasciocristiani dell'Europa del Nord li stanno finanziando: vogliono prendersi la Francia e non faranno prigionieri. All'indomani del ballottaggio, mentre qua e là per Parigi le moschee bruciano e la police fa finta di niente, François ha un'illuminazione: c'è un solo Dio e Gesù Cristo è il suo prof... boh, insomma, decide di farsi ri-battezzare. Deve anche ripudiare almeno due mogli, un sacrificio che commette volentieri - anche se rimane a lungo incerto su chi salvare delle tre. Qualche anno più tardi, lo vediamo un po' dimagrito impartire stancamente lezioni sul problema razziale in Huysmans. Dalla strada rumori di fucilate e bestemmie in arabo, ma lui non capisce. È una lingua che proprio non gli è mai entrata in testa. Come tante altre cose.

Questo non ha speranza, vero? E invece secondo me farebbe il botto. Se la pensate così, non esitate a votare per Redenzione, di Michel Houellebecqche oggi se la gioca contro Le avventure di Pandolfo. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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Gli assassini del basilisco

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Siamo in un futuro un po' meno prossimo - diciamo una generazione dopo il Pianeta al gusto bubblegum: le persone di ceto medioalto ormai trascorrono gran parte della vita in piattaforme virtuali ispirate alle grandi saghe del passato.

Questi mondi ormai sono sensorialmente più coinvolgenti della vita reale, il che porta sempre di più gli utenti a domandarsi cosa sia, questa realtà. Quasi tutti sono ancora in grado di distinguere le piattaforme virtuali dal cosiddetto "Piano Zero", quello in cui esistiamo 'davvero', e possediamo un corpo solo che nasce e muore. D'altro canto, come facciamo a essere sicuri che il piano zero sia veramente reale? Che non sia anch'esso il prodotto di un software, una simulazione? Ma una simulazione di cosa, se non c'è nient'altro?

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).

Malgrado ogni comunità religiosa abbia ormai creato la sua piattaforma a tema dove dare sfogo alla naturale aggressività, il terrorismo a matrice religiosa continua a essere un problema. La setta più pericolosa è costituita dagli Assassini del basilisco, che credono nell'esistenza del temibile Basilisco di Roko: pensano che il Piano Zero sia una simulazione creata da un'entità maligna che - se non obbediscono a ogni loro ordine - può torturarli per l'eternità. Il protagonista della storia è un programmatore che sta lavorando all'update di una piattaforma. Nei confronti dei terroristi nutre lo stesso approccio liquidatorio che abbiamo noi: fanatici pazzi che non hanno studiato, prima o poi la Ragione trionferà. Ma non è che si sia mai messo a pensare seriamente al problema del Basilisco. È una specie di argomento tabù, tutti preferiscono non parlarne. Non si pronunciano certi nomi, non si raffigurano certi volti, non si ragiona sul basilisco.

Mentre il programmatore sta lavorando al nuovo rendering di una caverna, si imbatte in un'affiliata della setta che si nasconde dai suoi compagni decisi a ucciderla. Malgrado sia stata accusata di tradimento senza nessuna prova, la ragazza crede ancora nel Basilisco e cerca addirittura di convertire il programmatore. Lui la lascia parlare, e presto si rende conto di non avere obiezioni razionali al suo ragionamento: se tutto si può simulare, anche noi possiamo essere una simulazione. Se in una simulazione si può creare un loop all'interno del quale un personaggio può essere torturato per un periodo illimitato, anche a noi può succedere la stessa cosa. Il programmatore, perplesso, torna al suo studio. Fa fatica ad addormentarsi.

Aspettando che il sonno arrivi, rimette mano a un suo vecchio progetto dei tempi di scuola. Crea un universo di media grandezza, ci grattugia dentro miliardi di galassie, e in qualche pianeta random insemina forme virtuali di vita unicellulare, in grado di evolversi adattandosi all'ambiente. Con qualche migliaio di righe di codice stabilisce che, qualora una razza pluricellulare sviluppasse la capacità di formulare pensieri simbolici, dovrà sottostare a un rigido protocollo di precetti assolutamente arbitrari (non mangiare determinate altre razze, uccidere determinati nemici, non disegnare determinate immagini), comunicate attraverso oracoli o profeti. Al termine della minuscola esistenza di ciascun individuo virtuale, il file che contiene ogni sua cellula e la sua coscienza verrà trasferito in un loop eternamente piacevole o eternamente doloroso, a seconda che abbia rispettato o no i dettami della legge. Prima di addormentarsi si sbizzarrisce un po' scegliendo le torture più efferate da infliggere nel loop doloroso. Dopo aver creato il suo piccolo universo - ci mette un paio d'ore - il programmatore si sente più disteso, sbadiglia, si getta sul letto e non ci pensa più.

Noi viviamo in quell'universo.

Un romanzo magari non salta fuori, ma spero di avervi almeno terrorizzato. Comunque se lo spunto vi piace più di Nessuno si ricorda dei Catari non avete che da votarlo. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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Il chiar di luna non passerà!

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Vi siete mai chiesti cosa sarebbe successo all'Italia, se la marcia su Roma invece di Mussolini l'avesse organizzata Filippo Tommaso Marinetti? Se in luogo di vent'anni di fascismo ne avessimo avuti altrettanti di futurismo? Cosa avremmo combinato? Grattacieli di Sant'Elia dappertutto? Venezia asfaltata? Marconi ministro dell'innovazione tecnologica, a Enrico Fermi un budget illimitato per costruire qualsiasi ordigno ad alto potenziale?

Dovete però immaginarveli realizzati a metà, con cemento scadente, gare d'appalto truccate ecc.

La cosa è meno assurda di quanto non possa sembrare - ok, resta abbastanza assurda, però Marinetti è stato un avanguardista nella politica, oltre che nell'arte. Già ai primi del secolo i cortei lo affascinavano, anche se gli operai lo scambiavano per una spia ("no guardate che sono un poeta"). Fu interventista prima di Mussolini, scrisse un manifesto politico prima di lui. Partecipò al rogo della sede dell'Avanti. C'era a San Sepolcro e ai primi due congressi dei Fasci, quando erano ancora un movimento repubblicano e anticlericale; se ne andò al secondo accusando Mussolini di virare in senso reazionario, e aveva ragione. Insomma fu un fascista talmente della prima ora che ai tempi della marcia su Roma s'era già stancato. Poi si accodò e produsse anche propaganda molto sui generis, che al Minculpop non piaceva. È chiaro che gli mancavano l'astuzia e la pazienza di Mussolini (che forse era anche uno scrittore migliore di lui). Ma se Mussolini non ci fosse stato?

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La storia sarebbe uno strano seguito di Fiume 1920, ambientata in un universo molto simile a quello del Chiaro di luna colpisce ancora. 1939: in un laboratorio della Palestra di Neofisica di Futuroma, un assistente di laboratorio sta conducendo i primi timidi esperimenti di viaggio nel tempo. Dopo l'esperienza in Etiopia, dove ha assistito allo sterminio della popolazione mediante armi chimiche e batteriologiche, ha un solo obiettivo: tornare indietro nel tempo e impedire che Filippo Tommaso Marinetti prenda il potere. Ha una certa fretta, perché sa che in qualche stanza più in là stanno cominciando ad arricchire l'uranio; e i gerarchi, pardon, gli eccitatori(*), hanno intenzione di avvalersene per risolvere alcuni contenziosi territoriali tra la Somalia italiana e quella inglese.

* (Tra le proposte seriamente avanzate da FTM c'era quella di sostituire il Senato con un Eccitatorio di giovani sotto i trent'anni).

Flashback (anzi, indietroveloce): mentre si sta recando in automobile a uno dei primi comizi dei fasci di combattimento, il giornalista Benito Mussolini dimentica che nel contado si tiene la sinistra e non la destra della strada, rimane coinvolto in un incidente stradale e muore sul colpo. Un paio d'anni più tardi gli industriali italiani sono terrorizzati: il bolscevismo è alle porte e a destra c'è il solito problema: nessun leader affidabile. Tutta una galassia di nazionalisti, reduci allo sbando, anarchici sviati, semplici picchiatori. La figura un po' più carismatica è quel pazzo di Filippo Tommaso Marinetti, che col suo Partito Futurista Nazionale ha un programma politico fieramente antibolscevico, ma non meno radicale (vuole eliminare il vaticano, la monarchia e l'istituto famigliare). Siccome l'alternativa è l'anarchia e i soviet, Agnelli e i fratelli Perrone decidono di finanziare FTM. Persino i vescovi benedicono la cosa - chiedendo però esplicite garanzie. Così nell'ottobre 1922 Marinetti organizza la Corsa su Roma e ottiene dal perplesso sovrano l'incarico di formare un governo.

La transizione del futurismo dall'arte alla politica non è soltanto vissuta come naturale, ma fornisce un esempio agli altri Paesi europei: in Germania gli espressionisti promuovono varie sommosse, litigando con gli spartachisti; in Russia cubofuturisti e realisti-socialisti lottano per l'egemonia nel comitato centrale; a Parigi il dadaismo viene represso nel sangue. Marinetti nei primi anni cerca di destreggiarsi come può: ovviamente i principi del suo libretto rosso sono quasi tutti irrealizzabili nei tempi brevi. Si toglie solo qualche soddisfazione simbolica, ad esempio trasformare immediatamente tutti i licei classici in palestre tecnico-scientifiche. I suoi sponsor lo spingono a svalutare lo svalutabile per varare una campagna di grandi opere: galleria rapida Bologna-Firenze, le prime autostrade, e soprattutto palazzoni, palazzoni dappertutto.

Col tempo la fiducia illimitata concessa agli scienziati gli dà qualche risultato - anche perché attira ingegni dall'estero, Einstein e Bohr a Futuroma sono di casa. All'inizio degli anni Trenta carezza la possibilità di sopperire alla cronica mancanza di energia con un'idea inedita: fendere l'atomo. Però serve l'uranio. In Italia non ce n'è, nel corno d'Africa forse, ma l'ideale sarebbe perforare l'acrocoro etiopico. In realtà non ci sono prove che là sotto l'uranio ci sia, ma Marinetti è tutto fuor che razionale e ha una gran voglia di sperimentare e mostrare al mondo le nuove armi chimiche. E poi l'Africa è un altro dei suoi pallini sin dall'infanzia egiziana: sogna di cacciare inglesi e francesi e diventarne l'imperatore. E così via.

Se Marinetti vi sembra un dittatore più interessante - e asfaltare Venezia è un vostro vecchio sogno - non avete che da votare Il chiar di luna non passerà! che oggi se la gioca contro La falsa e vera Gioconda. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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La prima volta si fa davanti a tutti

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In un futuro quasi prossimo in cui il concetto di "privacy" sembra assurdo come a noi il burqa, la sessualità è riconosciuta come un diritto/dovere del cittadino. Tutti, anche coloro che scelgono una vita di castità (e non sono pochi) sono praticamente obbligati ad avere un rapporto completo entro il 20esimo anno d'età. Per evitare abusi o frodi il rapporto viene filmato e pubblicato in rete - il che ha drasticamente ridotto il fenomeno del revenge porn. Si tratta in sostanza di un rito di iniziazione, che quasi sempre non segna l'inizio della vita sessuale, ma che viene vissuto come un ingresso nella società degli adulti (il momento in cui si può/deve finalmente accedere alle piattaforma di condivisione sociale con i propri dati personali). Il fatto che "il primo video" sia quasi sempre un disastro è un problema al quale molti ovviano pubblicandone altri successivi in cui fanno figure migliori. In generale esiste una specie di "privacy through redundancy", ad esempio la gente mette on line tantissimi cv falsi, in modo che sia più difficile risalire ai tuoi dati veri. In generale comunque la sessualità è diventata una branca dello sport, avete presente quelli che vi informano su facebook delle loro maratone? Ecco, in futuro ci sarà gente che vi informerà su altri generi di prestazione.

Benché sia possibile celebrare il rito con il proprio partner, di solito i 20enni preferiscono consumare con sconosciuti appositamente scelti da un software. La leggenda è che il software sia così sofisticato da snidare le anime gemelle, anche se mancano evidenze statistiche.

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Premesso questo, non si tratta di una storia di fantascienza. È una settimana nella vita di un ragazzo e una ragazza che all'inizio non si conoscono e alla fine lo avranno fatto davanti a tutto il mondo. Per lui è proprio la prima prima volta in assoluto, per lei una formalità da sbrigare con meno partecipazione possibile. Entrambi sarebbero contenti di incontrare una persona interessante, ma si accontenterebbero anche di non imbroccare un coglione come capita più o meno a tutti. Lei sta uscendo da una storia complicata ed è anorgasmica (una disfunzione che equivale a uno stigma sociale), lui è l'ultimogenito di una legislatrice universalmente apprezzata, che fu tra le promotrici del Sex Act Act, ma che malgrado l'indiscutibile competenza deve gran parte del successo politico a un video intimo che le fu estorto da giovane - un video dove lei mostrava una competenza ancora meno discutibile. Tutti i coetanei del protagonista lo hanno visto. Non è così strano in un mondo dove tutti possono vedere i video di tutti. Ma per qualche arcano motivo, il video che tutti preferiscono vedere è quello della madre del protagonista. Il suo psicologo dice che deve farsene una ragione.

Che succederà ai due piccioncini? Faranno una bella figura? (Lui ha ovvie ansie di prestazione, lei ha deciso che reciterà, ma allo stesso tempo non vuole recitare troppo per evitare di finire nelle antologie, c'è tutto un feticismo sui video di gente che finge oltre la soglia del ridicolo).

L'idea è insomma di scrivere una storia antierotica, dove si parla di sesso continuamente nel modo meno eccitante possibile. Chissà perché non ci ha ancora pensato nessuno, boh, forse hanno paura di farci troppi soldi. Se non avete paura che succeda a me, potete votare per La prima volta si fa davanti a tutti, che se la gioca con O viceversaPotete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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La fine del mondo (dei procioni)

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Live long and prosper
Più o meno tra un secolo scopriremo Brahe67B, un pianeta a mille anni luce della Terra, un po' più piccolo ma con un enorme satellite geostazionario che ci sembrerà subito artificiale; tra un secolo e mezzo, dopo infiniti tentativi, riusciremo a decodificare i messaggi che i Brahiani hanno esplicitamente disseminato in tutte le direzioni, e di lì a poco cominceremo a decodificare le loro trasmissioni radiotelevisive - trasmissioni di mille anni fa, ma lo spaziotempo è relativo, ci sembrerà di vederle in diretta. Scopriremo che sono molto simili a noi (mammiferi) ma anche incredibilmente diversi (procionidi); che sono feroci ma anche molto teneri, con una tecnologia per certi versi più avanzata e per altri più arretrata, e impazziremo per loro. D'altro canto, che senso avrebbe rispondere ai loro messaggi? Un'eventuale replica arriverebbe 2000 anni più tardi... L'unica è cominciare a investire qualche soldo serio nella ricerca dei tachioni di Crough-Clay.

Sono particelle scoperte da poco, che viaggiano da sempre a velocità superiori alla luce. Non possiamo farle partire, ma se riuscissimo a perturbare gli sciami di tachioni che stanno passando, avremmo uno strumento per comunicare più rapidamente. E se ci arriviamo noi, tutto lascia intendere che ci siano già arrivati loro, quindi forse in questo esatto momento stanno passando tachioni che portano informazioni più recenti su Brahe, cosa aspettiamo? Monta l'antenna, accendi, BAAAAAAAANG!

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C'è un frastuono notevole - dev'essere successo qualcosa di molto, molto brutto. Quando? Più o meno 900 anni fa. Qualsiasi cosa sia accaduto, è improbabile che Brahe67B ospiti ancora forme di vita. È improbabile che Brahe67B esista ancora. In ogni caso scopriremo tutto, con un po' di pazienza. Continueremo a captare programmi radiotelevisivi per 100 anni. Assisteremo alla fine di una civiltà, come se fosse una diretta.

Prima eravamo solo affascinati, ora è amore disperato. Quei procioni combattono guerre, costruiscono satelliti artificiali, scrutano lo spazio chiedendosi se sono soli, e non sanno di essere morti da 900 anni. Quanto a noi, avevamo appena scoperto di non essere soli - ed ecco che una misteriosa catastrofe ci toglie l'unico amico potenziale che avevamo intravisto da lontano.

I protagonisti sono dottorandi in quelle scienze che fino a un momento prima si definivano "umane". Proprio quando tutto sembrava già archiviato, catalogato, descritto, la scoperta di Brahe67B aveva aperto praterie a storici, glottologi, antropologi (subito convertiti i procionidologi), persino scienziati della comunicazione! Con certi sviluppi assurdi - ad esempio per decifrare una delle lingue più importanti dei brahiani era stato di enorme aiuto una telenovela di procionidi, che era diventata straordinariamente popolare sulla Terra molto prima che si riuscissero a tradurre i dialoghi. Tra le cose che umani e procionidi avevano in comune c'era una certa attitudine melodrammatica che rendeva molto più semplice comprendere le telenovelas che le tribune politiche.

Brahe67B dava da fare anche a filosofi ed economisti. I procionidi avevano elaborato modelli di società che a noi semplicemente non erano venuti in mente. Il dibattito più intenso del XXII secolo era quello sulla superiorità o inferiorità dell'uomo rispetto al procionide. Molti li idealizzavano, fingendo di non vederne i caratteri più cruenti; altri ne avevano paura e proponevano di armarci. La scoperta della catastrofe tachionica aveva un po' depotenziato gli argomenti di questi ultimi. Ma a quel punto l'umanità si era trovata di fronte al più stuzzicante dei misteri: cos'era successo ai procioni? Si erano massacrati in una guerra fratricida? La loro stella aveva avuto un lieve soprassalto - quanto basta per friggere qualsiasi forma vivente e perturbare qualche tachione di passaggio? E soprattutto: avevano fatto in tempo a concludere la telenovela?

Finché un giorno (ah ah ah, non lo saprete mai se non votate per La fine del mondo dei procioni, che oggi se la gioca contro L'ultimo uomo dell'universo). Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto).
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(Neanche se tu fossi) l'ultimo uomo nell'universo

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Come ci si sente quando ti svegli e ti dicono che la tua razza è estinta?

Quattrocento anni sono passati da quando la Terra è stata distrutta con tutte le sue colonie (nulla di sconvolgente - soltanto un’operazione di polizia internazionale. Gli umani si ostinavano a mangiare cereali, finché una razza di pannocchie intelligenti di Aldebaran non ha sporto denuncia formale alla Corte Intergalattica. Anche se qualche revisionista sostiene che è stata tutta una scusa dei Cereali per impadronirsi del silicio del sistema solare… comunque è roba di 400 anni fa, sarebbe ridicolo anche solo chiedere scusa, tipo Wojtyla su Galileo).

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Il nostro eroe, anzi eroina, in cui consiste forse tutta l’umanità sopravvissuta nell’universo, lavora su un equivoco cargo interstellare e ha per unico sodale e compagno una lucertola di Sirio espulsa dal suo pianeta per devianze sessuali. In realtà l’ultima donna della Galassia è ricercata da una polizia scientifica che vorrebbe clonarla, per ridare una chance all’Umanità, la quale è stata molto rivalutata nei secoli successivi (com’è successo agli Incas). Per cui la Nostra certe notti sogna di vivere in un pianeta dove uomini donne e bambini, politici artisti e maniaci hanno tutti la sua faccia, e pensano i suoi stessi pensieri e hanno i suoi stessi ricordi: un inferno in curva esponenziale. Insomma è una tipa all’antica, vorrebbe rifare l’Umanità alla vecchia maniera: così è in cerca di un qualche Adamo ibernato su un pianeta dimenticato - ne parlano le leggende, e qualche antica bolla di trasporto di cui la lucertola è giunta in possesso. Devo, seppure a malincuore, diventare un popolo, pensa la novella Eva: altrimenti il giorno che morirò i versi di Shakespeare e le canzoni dei Beach Boys non avranno più senso per nessuno.

Durante questa ricerca visita alcuni pianeti abitati – altrettante anti-utopie, proiezioni di quella che potrebbe diventare la Nuova Umanità che deve fondare. Ci sono gli xjil, imperialisti e con una pessima cucina, che massacrano i popoli e poi li idealizzano, i miti collettivisti del pianeta zaptvb, che mettono tutto in comune e si annoiano a morte, gli gkjg un po’ nazisti che insistono sulla purezza della razza, i gdwfd ai quali al contrario è fatto divieto di riprodursi tra individui della stessa specie, e che quindi sono un’allegra congerie di mostriciattoli dalle infinite possibilità di perversione sessuale (e con un sacco di idee nuove, poiché, come spiegano al Nostro, l’intelligenza è il risultato dello sforzo immaginativo e lo sforzo immaginativo è una forma di perversione).

Eva-Gulliver si fa il suo bravo giro dell’universo finché non riesce a finalmente a interpretare la Mappa che lo porta nel pianeta in cui 200 anni prima un Adamo è stato ibernato. Tutto sembra andare per il meglio, la principessa sveglia il principe azzurro… che però si rivela ben presto un perfetto stronzo e da lei non ne vuole mezza! Neanche per inseminazione artificiale, crescere i figli tuoi, pouah! Sei chiatta. L’umanità finirebbe con questo tragico dramma dell’incomunicabilità.

Poco male perché nel corso delle sue peregrinazioni, Eva ha capito che la lucertola di Sirio le vuole bene veramente e darebbe anche una zampa per lei (non è un modo di dire, a un certo punto le dà davvero una zampa, sperando che ricresca ma non è detto). Ha già cominciato a leggere Shakespeare, Pet Sounds invece non lo sopporta ma non si può pretendere. Felici e contenti scivolano nel melting-pot galattico (senza più ambizioni di fondare popoli, ma consapevoli che ogni casa, pianeta o astronave ospitale è già un popolo bastante, che le tradizioni vanno inventate più che rispettate, e altre massime da fine romanzo).

E lo stronzo? Si fa beccare dai clonatori, e in breve abbiamo un Pianeta degli Stronzi che è tipo lo Zoo di 105 su scala planetaria. Si estinguono in breve con una provvidenziale guerra atomica.

È ovviamente uno spunto che si trascina dai tempi in cui si girava l'Europa con la sensazione di essere una civiltà a se stante. L'eroina ha tic tipici dell'Erasmus, si sveglia con un desiderio di caffè ma l'ultima moka è andata distrutta tre secoli prima, ecc.. Se pensate abbia un suo senso potete votare per L'ultimo uomo nell'universo, che oggi se la gioca contro La fine del mondo (dei procioni)Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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Io robot, tu fatti da parte

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Ex machina (2015, Alex Garland)

A volte i robot hanno gli incubi. Sognano di non essere più robot, ma esseri umani con un cuore e i vasi sanguigni. Si svegliano e cominciano a smontarsi, strato dopo strato, finché sotto la pelle sintetica non emerge il verde confortante della scheda madre. 


Idee semplici e perfette.
Il fatto è che malgrado ne fosse prevista l'estinzione già da tempo, nessuno può essere sicuro che qualche umano non sia ancora in mezzo a noi. Un sistema per capire se il tuo interlocutore è umano è sottoporlo al cosiddetto test anti-Turing: se le sue risposte non sono prevedibili secondo nessun algoritmo noto, chi ti sta parlando è un umano. Oppure lo sta diventando. Ma forse è più semplice forarlo e verificare se sanguina. 

Negli anni Duemila la fantascienza al cinema era un genere innocuo e fracassone, ancora ingombro dei blockbuster catastrofici di Michael Bay e Roland Emmerich. Poi qualcosa è cambiato. Credo che sia tutto cominciato con Moon, il piccolo film di Duncan Jones del 2009 che affrontava il genere con un approccio minimale: una sola location, un solo attore, effetti speciali semplici e poco invasivi, un paio di idee veramente buone. Moon è piaciuto a tutti, è stato immediatamente scopiazzato da qualche grossa produzione di Hollywood, ma soprattutto è stato per la fantascienza quello che Paranormal Activity è stato per l'horror: ha mostrato a tutti che se l'idea è buona, il budget può anche essere piccolo. E se il budget è piccolo, non c'è più bisogno di piazzare combattimenti ed esplosioni per in grande pubblico quindicenne. Si possono fare film un po' più adulti, film che ragionano, film che ti turbano e ti lasciano un po' perplesso anche a mesi e anni di distanza.

NON HO IDEA DI COSA STO FACENDO.
Gli ultimi anni sono stati una vera primavera del cinema di fantascienza: non solo per le grandi produzioni hollywoodiane (Oblivion, Edge of Tomorrow, Interstellar), che in certi casi hanno ripreso l'approccio minimale (Gravity, Mad Max), anche se non sempre sono state all'altezza delle premesse. Film altrettanto interessanti sono arrivati dalle periferie del cinema mondiale: alcuni, come il teuto-australiano Cloud Atlas, e l'israeliano The Congress, sono pastrocchi incredibili e per niente minimali - ma hanno comunque qualcosa di straordinario che lascia il segno nello spettatore. Anche dalla Spagna ci è arrivato un bel film di robot in fuga (Automata). Dall'Australia i fratelli Spierig hanno saputo rileggere in modo geniale un racconto classico di Heinlein (Predestination). Nessuno di questi film è un capolavoro, ma sono tutti interessanti, e in molti casi imperdibili (continua su +eventi!)

Ah, io farei la stessa cosa.
Uno degli aspetti che caratterizzano queste produzioni è la creatività con cui si superano i limiti di budget. Ex Machina, l'esordio alla regia del britannico Alex Garland (autore di The Beach, sceneggiatore di 28 giorni dopo e Sunshine), meriterebbe una menzione nella storia del cinema anche solo per l'idea semplice e geniale con cui ha risolto uno dei problemi più difficili - mettere in scena un umanoide credibile. Le forme della dolce e gelida Alicia Vikander sono state parzialmente cancellate via rotoscope, ottenendo un automa familiare e inquietante al tempo stesso, semplicemente perfetto. Lo vedete sulle locandine e vale già il biglietto.

Poi c'è la storia. Anche stavolta, quattro attori e una location, e un'idea semplice ma di sicura presa: il test di Turing. Benché abbia esordito come scrittore, Garland si è impadronito del mezzo cinematografico al punto che per portarci nel suo mondo non ha bisogno di una di quelle fastidiose "spieghe", i monologhi iniziali che affliggono quasi sempre i film di fantascienza. Non è che tutto funzioni sempre: l'eleganza della confezione nasconde diversi difetti di trama e di logica. Ma con tutte le sue magagne, Ex Machina ti lascia addosso un segno potente. Oscar Isaac è Nathan, l'imperatore di internet, una figura che fonde Jobs, Zuckerberg e i creatori di Google. Nel suo castello ai confini del mondo sta lavorando all'intelligenza artificiale, il gradino successivo dell'evoluzione, con la stessa incoscienza infantile con cui Pollock rovescia colori sulla tela. Non gli dispiacerebbe essere Dio, ma sa anche di non avere scelta: i robot prima o poi si evolveranno, non è più una questione di "se", ma di "quando". Domhall Gleeson, un anno dopo Frank, veste di nuovo i panni del nerd che pensa di essere più furbo di quanto non sia e combina grossi guai. Ex Machina arriva nelle sale italiane proprio nella settimana in cui gli scienziati lanciano un allarme contro lo sviluppo di intelligenze artificiali in campo bellico, ed è la più bella sorpresa di questa estate rovente. Lo trovate al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:10, 22:40) e al Multilanghe di Dogliani (21:30).
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La disastrosa eruzione dell'Eyjafjöll

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Immaginatevi altrimenti una giornalista su un transatlantico che sta per vomitare. Dov'è la notizia? È che i giornalisti non vanno più sui transatlantici da un pezzo. Stanno perlopiù in ufficio a scorrere le agenzie. Siamo a metà del XXI secolo, la gente ormai viaggia il meno possibile, dopo la spaventosa eruzione del
vulcano Eyjafjöll sotto il ghiacciaio dell'Eyjafjallajökull. Vi ricordate l'Eyjafjöll? Già nel 2010, sparando cenere nella stratosfera, ha fatto chiudere lo spazio aereo europeo per qualche giorno. Beh, stavolta la nube di ceneri ha interrotto i collegamenti aerei su tutta la terra per... quindici anni.

Secondo gli esperti ormai la cenere si sarebbe diradata, ma nessuno osa alzarsi in volo per controllare. L'interruzione dei collegamenti aerei ha ancorato l'umanità al suolo. Anche i trasporti marittimi sono progressivamente diminuiti: il mondo si è diviso in quattro o cinque blocchi continentali autosufficienti. Ogni blocco ha preso drastiche misure per ridurre l'emissione dei gas serra, già ispessiti dalle emissioni dell'Eyjafjöll (a dire il vero secondo alcuni l'eruzione avrebbe dovuto scatenare un'era glaciale, e a salvarci dall'inverno perenne sarebbero stati proprio i gas serra. Gli scienziati sono divisi, non si sa a chi dar retta).

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui).

La crisi ambientale ha portato ogni blocco ad adottare sistemi di pianificazione economica che hanno stabilizzato l'andamento demografico e drasticamente abbattuto la disoccupazione - anche se tutti vivono nel ricordo di un Età dell'Oro in cui i nonni consumatori dissipavano allegramente ogni risorsa, senza nemmeno differenziare i rifiuti. In generale, se non hai la fortuna di far parte della casta burocratica, il tuo tenore di vita è inferiore a quello dei tuoi nonni. Gli organi di stampa sono sotto lo stretto controllo dell'autorità; anche la libera circolazione dei contenuti su internet è più illusoria che reale (tanto più che nessuno può più prendere un aeroplano e controllare se la tal cosa in Cina o in America è successa davvero) e una giornalista su un transatlantico sta per vomitare.

Un'idea folle l'ha spinta a imbarcarsi sull'unica nave che collega l'Islanda al continente. Vuole vedere l'Eyjafjöll coi suoi occhi, e non attraverso le foto e i filmati che da anni rimbalzano sulla rete. Dopo aver notato che le immagini disponibili in rete sono più o meno sempre le stesse, ha deciso di sfidare la mentalità che vuole i giornalisti solidamente ancorati nei loro uffici, e si è imbarcata per i confini del mondo, dove l'attende una sorpresa.

Ve la dico?

L'Eyjafjöll non è attivo. Forse non esiste nemmeno (in effetti, come fate a essere sicuri che esiste l'Eyjafjöll? L'avete visto?) L'eruzione del vulcano è solo una scusa per interrompere i trasporti aerei e instaurare un'epoca di decrescita non necessariamente felice. La consorteria internazionale che manovra il mondo si è decisa a questa messa in scena dopo l'esperimento del 2010 - l'idea in realtà era venuta a uno degli affiliati dopo l'11 settembre, quando l'interruzione improvvisa di tutti i voli in Nordamerica aveva portato a immediate variazioni nella temperatura. Ma la chiave dell'operazione era l'aspetto psicologico: eliminando i voli di linea, l'umanità aveva rinunciato alle vie di fuga e si era concentrata sul suo orizzonte. Svelare l'impostura significa sovvertire il faticoso equilibrio che stava salvando il mondo. Ne vale la pena?

Questo ovviamente è datato 2010. A un certo punto è stato un abbozzo per l'Ennesimo libro della fantascienza, poi è scomparso dal radar. Nessuno si ricorda più dell'Eyjafjöll, e di quanto fosse azzurro il cielo mentre tutti i tg dicevano che era impossibile alzarsi in volo. Ma se volete che ci lavori un po' di più, non avete che da votare per La disastrosa eruzione dell'Eyjafjöll. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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Vendesi pianeta abitabile (forse)

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Non è per gelare gli entusiasmi, ma come ha fatto notare almeno il buon Amedeo Balbi, un pianeta gemello della Terra, con le stesse dimensioni e in un'orbita molto simile, l'abbiamo già scoperto. Da molti, molti anni.

Venere. Bello è bello, ma non ci vivrei.
Non è lontano migliaia di anni luce - pensate, è visibile ad occhio nudo di notte e anche al mattino. Si chiama Venere e, se lo osservassero da Keplero, direbbero che ha tutti i requisiti per ospitare forme di vita a base di carbonio. Invece Venere è circondata da nubi di zolfo che oscurano il sole sulla superficie; l'atmosfera è un pesantissimo concentrato di gas serra che spappolerebbe qualsiasi astronauta molto prima di toccare il suolo, e se mai ci fossero stati oceani, li ha già fatti evaporare da un pezzo; insomma il nostro vero pianeta gemello, che da lontano sembrerebbe avere tutti i requisiti per ospitare forme di vita con le quali comunicare e far la guerra, visto da vicino si è rivelato un luogo tossico e impenetrabile. Kepler potrebbe essere altrettanto tossico.

Il fatto che sia dello stesso ordine di grandezza della Terra e di Venere (in realtà è il 60% più grosso), e più o meno alla stessa distanza dal suo Sole che hanno la Terra e Venere, ci fa pensare che possa essere un luogo simile alla Terra. Ma non c'è motivo per cui non pensare che sia invece più simile a Venere. E questo alla Nasa ovviamente lo sanno.

E allora perché tanta enfasi su una scoperta appena un po' più interessante di altre che passano sotto silenzio? L'anno scorso sono stati scoperti un migliaio di esoplaneti (pianeti che girano intorno ad altre stelle). A questo punto la notizia è che tra i più di 4000 che conosciamo non si fosse trovato ancora un pianeta vagamente simile alla Terra per raggio e distanza dal suo sole. Anche Kepler non è poi così simile, ma fin qui è il meglio che abbiamo trovato. A 1400 anni luce di distanza. La gente poi guarda i tg, legge Focus, vede le rappresentazioni artistiche con isole e oceani e si convince che noi possiamo sul serio dare un'occhiata a com'è fatto - noi che siamo appena riusciti a fare una foto a Plutone, con una sonda partita nove anni fa. C'è questa idea popolare per cui gli scienziati possono scoprire tutto, se si impegnano.

E invece le tecnologie necessarie per assicurarsi che Keplero sia non dico abitato, ma un po' più simile alla Terra che Venere potrebbero essere fuori della nostra portata. Quello che abbiamo scoperto di Keplero potrebbe essere tutto quello sapremo mai su Keplero. E allora perché la Nasa ha voluto creare un evento (riuscendoci benissimo)?

Perché ci conosce.
Molto più di quanto conoscerà mai Keplero.

I non più giovani forse ricorderanno quando 19 anni fa il presidente Bill Clinton annunciò al mondo che la NASA aveva trovato tracce di vita antichissima su Marte. Su un roccione di origine marziana, scagliato nello spazio da una collisione di un meteorite e poi intercettato dalla gravità terrestre e precipitato in Antartide. Quel roccione al microscopio aveva rivelato strani segni rettilinei che potrebbero essere stati lasciati da nanobatteri marziani. Potrebbero. E potrebbero esistere per tantissimi altri motivi. Ma un ricercatore NASA pubblicò un articolo in cui suggeriva che fossero nanobatteri, e Bill Clinton si scomodò per avvertirci che forse erano nanobatteri. Dopo qualche tempo (non so esattamente quanto) il Congresso rifinanziò i progetti NASA per l'esplorazione di Marte.

Io sono convinto che la NASA sia una delle cose più incredibili mai esistite sul pianeta Terra, un orgoglio per gli americani e per l'umanità. Ma è pur sempre una cosa umana, che va avanti grazie alla sua capacità di convincere altri umani a interessarsi di lei e finanziarla. I generali fanno quel che possono per convincerci che siamo minacciati da forze esterne e interne; gli astronauti ci mostrano immagini artistiche di pianeti che sembrano foto e ci fanno venir voglia di saperne di più. È marketing, nessuno ne è immune (su questo sistema solare, almeno).

Chi nei mesi scorsi ha avuto la sensazione che Samantha Cristoforetti stesse diventando qualcosa di più di una simpatica astronauta - una specie di testimonial dell'Agenzia Spaziale Europea, un cartonato da affiggere sulle pareti delle scuole - ha perfettamente ragione. La Cristoforetti era assolutamente preparata per la sua missione, ma era anche perfetta da un punto di vista mediatico. Doveva farci venir voglia di pensare un po' più allo spazio, e anche da questo punto di vista ha svolto la sua missione egregiamente. Astronauti e astrofisici mi stanno immensamente più simpatici di generali e venditori di armi, ma questo non mi impedisce di capire quando fanno marketing.

A settembre molti studenti (e studentesse!) mi domanderanno quando sarà possibile trasferirsi su Keplero; se i nativi saranno simpatici e il clima un po' più fresco. Pazientemente dovrò spiegare che il Keplero percepito dagli strumenti della Nasa è appena un punticino, una variazioncina minima nelle misurazioni della sua stella, che un immenso cannocchiale ha percepito 1400 anni dopo che la stella le ha emesse. Ammesso che non sia un pianeta tossico come Venere; che abbia qualche forma di vita simile alla nostra (con muscoli più robusti, vista la gravità maggiore), se volessimo comunicare qualcosa di molto semplice (PUNTO-PUNTO-PUNTO-PUNTO), la risposta ci arriverebbe tra 2800 anni (LA-VOLETE-PIANTARE-DI-ACCENDERE-E-SPEGNERE-LA-LUCE? È-FASTIDIOSO). Riuscire a conservare una civiltà organizzata per tutto questo tempo è un'altra impresa forse al di sopra delle nostre forze - benché sia necessario tentare.
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Nel tempo si viaggia da soli

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Predestination (Michael e Peter Spierig, 2014)

Bisogna trovare quello che è tornato indietro nel tempo
per impedire che quei cappelli andassero di moda e
fermarlo (lei è bravissima comunque).
Per noi che ci muoviamo liberamente in tre dimensioni - mentre la quarta ci sposta inesorabilmente in una sola direzione - un cerchio è semplicemente l'insieme di punti equidistanti dal suo centro, senza inizio né fine. Immagina ora che esistano creature bidimensionali, in grado di pensare e guardarsi attorno, ma che percepiscano la Larghezza come noi percepiamo il Tempo: qualcosa che si può percorrere soltanto in una direzione. Intorno a loro vedrebbero soltanto filamenti che si avvicinano e allontanano. Non sarebbero in grado di immaginare un cerchio, o forse sì, ma nel suo tornare al punto di partenza vedrebbero qualcosa di mostruoso, di contronatura. La stessa cosa proviamo noi di fronte a un fenomeno che sembra causa o conseguenza di sé stesso - lo rifiutiamo. Siamo abituati a vedere gli eventi allontanarsi e avvicinarsi a noi, e abbiamo imparato a descriverli in termini di causa ed effetto, di prima e di dopo. Qualcuno a volte riesce ad astrarsi abbastanza da immaginare che esista un'ulteriore dimensione, dalla quale anche il Tempo si possa osservare da più punti di vista. Da lì forse scopriremmo che anche le catene filiformi di eventi in cui siamo avvolti, in realtà sono loop circolari: che causa ed effetto non sono che archi degli stessi cerchi; che tutto accade perché tutto accade, nello stesso spazio-momento. È quello che alcuni chiamano predestinazione.

Predestination è un film australiano tratto da un racconto di Robert Heinlein che fareste bene a non aver letto, o ad aver dimenticato. Un agente segreto (Ethan Hawke) viaggia nel tempo per sventare gli attentati di un terrorista che viaggia pure lui nel tempo e che riesce sempre a prevenirlo, e a questo punto o vi siete già distratti, o siete appassionati di paradossi temporali e avete già formulato il sospetto più ovvio.

Questo è il principale problema di Predestination e in generale di tutto il cinema di fantascienza, che pure in questi anni ci sta regalando soddisfazioni non piccole: il fatto di rivolgersi a un pubblico già selezionato ed esigente, che conosce i trucchi meglio di chi li mette in scena - non è come l'horror; in sala non sono tutti adolescenti a bocca aperta incapaci di rendersi conto che Bruce Willis è un fantasma anche se nessuno gli rivolge mai la parola. Anche se non conosci il racconto originale, persino se ignori Heinlein e la sua ossessione per i loop temporali, se ti piace la fantascienza hai l'occhio allenato per queste cose - e dopo dieci minuti di girato hai già capito quello che i gemelli Spierig vorrebbero rivelarti al novantesimo. (Continua su +eventi!)

Il film resta ugualmente godibile, un bell’episodio lungo di Ai Confini della Realtà. Gli Spierig non sono i Wachowski ma hanno mutuato qualcosa della loro follia, nel bene e nel male – una fascinazione per l’androgino e la metamorfosi del corpo che è ancora merce rara, ma che purtroppo anche qui come in Cloud Atlas non riesce a tradursi in forme cinematograficamente plausibili: anche se in questo film non ci sono trucchi altrettanto imbarazzanti, la pur brava Sarah Snook semplicemente non è abbastanza credibile nei panni maschili che si trova addosso per metà film. In compenso la macchina del tempo è la più minimal mai vista al cinema, e forse anche la più elegante e suggestiva. Il film si mantiene per una buona metà estremamente aderente al racconto di Heinlein, senza nemmeno correggerne il sessismo molto anni Cinquanta, a costo di disorientare lo spettatore meno esperto che si ritrova in un passato alternativo con cadetti spaziali che quando fu descritto era semplicemente un futuro prossimo. Poi, cercando di confondere le acque, i gemelli scelgono di raddoppiare l’intreccio già arzigogolato, aggiungendo riferimenti al terrorismo che invece di attualizzare la storia la sospendono ancora di più nello spazio e nel tempo: non è che torni tutto, e se vi ha innervosito la logica circolare di Interstellar forse è meglio che vi teniate alla larga. Se invece qualche volta vi viene di pensare a come dev’essere il Tempo visto da una quinta dimensione, Predestination è il film fatto per voi. O forse eravate voi fatti per lui. Probabilmente vi verrà voglia di vederlo e rivederlo, anche al contrario.

(Quando sono entrato in sala ero solo. Se c’è un film da guardare da soli, è questo. Dopo un po’ è entrato qualcun altro, qualcuno che ho evitato rigorosamente di osservare. Non so se era un uomo o una donna, ma ho avuto la sensazione che mi somigliasse).

Predestination è al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo alle 20:30 e alle 22:45, e poi chissà dove andrà a finire.
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Brad Bird che veniva dal futuro

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Tomorrowland
(Brad Bird, 2015).

A 11 anni il piccolo Brad fu condotto, come tutti, a Disneyland. Quando fu ora di tornare a casa in Montana, i genitori non riuscivano a trovarlo. Alla fine lo scoprirono nel tempio, mentre discuteva coi Nove Vegliardi. Brad, cosa stai facendo? Perché disturbi questi vecchietti? Mamma, papà, lasciatemi stare, non sapete che il mio posto è qui? Da grande farò l'animatore. Darò vita alle cose. Sono nato per questo.

Tomorrowland è un film strano. Se all'entrata vi aspettate quanto promesso da trailer e locandine, un film action per famiglie, potreste anche rimanerci male. Intendiamoci, l'action c'è, e neanche troppo edulcorata - c'è una bambina che stacca la testa ai suoi nemici, che però si rivelano androidi, quindi niente sangue e per i bambini pare sia ok - ma l'intreccio è più contorto e sgangherato del solito, con tanti snodi appena accennati o lasciati in ombra; insomma non c'è dubbio che Lindelof sia passato di qui (c'è una corporazione segreta in un luogo al di là del tempo e dello spazio, e persino un arcano conto alla rovescia bislacco, per gli incurabili nostalgici di Lost).

Tomorrowland appartiene anche a quel filone trasversale di film con cui la Disney sta rimodellando la sua immagine, trasformando la sua storia gloriosa in mitologia. Se Saving Mr Banks era l'apologia del lieto fine a tutti i costi, Tomorrowland ci informa che solo l'ottimismo può salvare il mondo: nella fattispecie, l'ottimismo delle esposizioni universali e dei parchi a tema, insomma l'ottimismo Disney. Se a dispetto di tante premesse il film non suona falso, è perché a raccontare questa storia è uno dei pochi che hanno il diritto di crederci: l'ex bambino prodigio Brad Bird, folgorato a 11 anni da una visita ai Walt Disney Studios. Bird che a 14 anni terminava il suo primo corto d'animazione, che a 24 disegnava già per la Disney (Red e Toby); che dopo aver lavorato un po' per Spielberg e per i Simpson, ha diretto il Gigante di ferro, gli Incredibili e Ratatouille.

Tomorrowland è anche, a quanto pare, uno dei peggiori flop della Disney degli ultimi anni... (continua su +eventi!) Cosa non ha funzionato? Non saprei. C'era veramente tanta carne al fuoco: l'accostamento bizzarro tra l'ottimismo titanico di Bird e il pessimismo vagamente paranoide di Lindelof, con una bella spennellata spielberghiana - però stesa troppo rapidamente. È un film che per un'oretta accarezza il bimbo rannicchiato in ogni spettatore, sussurrandogli "tu sei speciale, tu puoi salvare il mondo": finché a un certo punto Lindelof non prende il sopravvento e per voce di George Clooney gli urla: no, non sei speciale, non farti fregare. Ti hanno fatto solo vedere una réclame. Un invito a una festa che non c'è mai stata - tutto questo non è terribilmente lindelofiano? Segue una serie di colpi di scena un po' gratuiti, come le attrazioni di un parco a tema, tra cui spicca per arroganza una rapidissima tappa a Parigi con la Tour Eiffel che diventa la rampa di lancio di una capsula steampunk. Nel finale l'ottimismo Birdiano riprende il sopravvento.

Tomorrowland è anche la sua autobiografia fantastica: la storia di un cinquantenne che ha la sensazione di essere arrivato nel mondo degli adulti all'improvviso. Proprio come il personaggio di Clooney (che un po' gli somiglia), espulso dal mondo del domani. Più che un raggiungimento della maggiore età, è stata come una Caduta. Lui s'è arrangiato in un qualche modo: ha pure diretto un Mission Impossible, però c'è qualcosa nel mondo degli adulti che lo lascia evidentemente perplesso, e Tomorrowland alla fine parla soprattutto di questo. Più che un film ottimista, è un manifesto contro il pessimismo dei film catastrofici. Perché vi piacciono tanto?, si domanda il piccolo Brad. Pandemie, terremoti, guerre termonucleari, sul serio tutto questo vi affascina più dei cari vecchi razzi, dei viaggi spaziali, dell'epica degli astronauti? Dopo essersi interrogato sul problema, Bird si è anche dato una risposta, e nel finale del film l'ha messa in bocca a Hugh Laurie in versione scienziato matto. Ora mi giocherò quel poco di faccia che mi resta, ma il suo discorso finale è una delle cose più interessanti che ho sentito al cinema quest'anno. Certo, chi tiene al proprio status di intellettuale preferirà qualche massima intensa in bocca ai pensosi personaggi di Sorrentino, mentre quello che dice il vecchio dottor House, conciato da imperatore nero dell'ultramondo, sembra il classico spiegone da fumetto. E però alla fine la sua diagnosi è impietosa come ai vecchi tempi: noi preferiamo le catastrofi perché sono comode. La disperazione è comoda: che bisogno c'è di alzarsi dal divano e rimboccarsi le maniche, se l'umanità ha i giorni contati? Ovviamente Brad non ci sta. Ci vuole salvare (il che va benissimo. Che ci voglia salvare la Disney, ecco, è già un po' più inquietante).

 Tomorrowland è al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (15:30, 17:00, 20:00, 22:40); all'Impero di Bra (22:30); al Fiamma di Cuneo (15:10 18:00 21:10); al Cinecittà di Savigliano (21:30).
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Max è ancora Max (più matto che mai)

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MAD MAX 4: THE MEGAN GALE REDEMPTION.
Mad Max: Fury Road (George Miller, 2015)

Alcuni lo davano per morto, che era la conclusione più logica visto il mondo là fuori. Per quanto altro tempo avrebbe potuto vagare di oasi in oasi, scappando da questo e da quello, col suo magnetismo animale per i guai? Qualcuno prima o poi se lo sarebbe pur mangiato - non prima di averne spremuto il prezioso sangue - per spolparne le ossa e distillarne idrocarburi. Non è il destino di tutti, in fondo?

Altri non si rassegnavano, e col tempo ci avevano imbastito una religione. Avrete notato che funziona quasi sempre così. C'è gente che continua a ricordare un passato, e sperare che prima o poi le cose si sistemeranno, qualche radiazione si dimezzerà, la pioggia non sarà più così acida e la terra ricomincerà a sputar semi buoni da mangiare. È l'idea del paradiso, che a ben vedere crea solo illusioni, civiltà e ogni altra sorta di problemi. Per alcuni è un luogo nel tempo, per altri nello spazio: un walhalla da qualche parte in cielo, o un'oasi al di là della salina. Se hai benzina per duecento giorni di viaggio arrivi ai cancelli dell'Eden: là hanno i prati verdi per giocare a golf e le televisioni con gli show, e state a sentire, per alcuni George Miller è salito su un aereo ad alta quota ed è fuggito laggiù e fa il regista di show con gli animali. Maialini parlanti. È una leggenda così stramba che rischia di essere vera, perché andiamo, chi sarebbe così pazzo da inventarsela? Maialini parlanti, e poi cosa? Pinguini ballerini? (Continua su +eventi!)

Io sono di quelli che non credono né a una versione né all'altra. Per me il pazzo George non è morto e non è in paradiso ad animare cartoni. Secondo me è semplicemente da qualche parte nell'outback radioattivo, che continua a girare in tondo e fuggire dai suoi incubi di medico della mutua australiano che disinfettava le piaghe dei motociclisti. Ogni tanto scappa da qualcuno che lo vuole mangiare, ogni tanto salva donne e bambini da un prepotente. In realtà ormai donne e bambini sono mutati abbastanza da difendersi da soli, e non c'è Fanciulla in Pericolo che all'occorrenza non sappia caricare un ak47 e usarlo, se le rompi le ovaie. Però il pazzo George continua in qualche modo a salvare e scappare: è il suo destino. Secondo i vecchi calendari dovrebbe avere più di 70 anni, ecco anche a questo io non credo: il tempo è fuori i cardini da un pezzo, e il vecchio George non conosce un tempo che non sia l'altro ieri. Il mondo può appassire più o meno rapidamente, ma lui è ancora in giro a scappare e sparare e sbandare e ingrugnire, e da questo lo riconoscete incontrandolo: dalla scia di sangue non digitale che si lascerà dietro. Oppure sarà davanti a voi, e in quel caso alzate le mani e sbarrate gli occhi, non è il caso di opporre resistenza. Lui non usa chroma-key, lui puzza di latte e benzina e sudore polvere da sparo e no. Era il migliore all'inizio dei tempi; e a differenza dei tempi, non è peggiorato. L'ultraviolenza distopica degli anni '70, l'immaginario post-bomba anni '80, l'ipercinesi della generazione millennial, per lui sono una sola cosa, un unico film, un solo inseguimento.

Se lo incontri e hai bisogno di lui, non offrirgli baci, sa di non meritarli. Il latte materno per lui non ha sapore; ancora più dell'acqua, quel che cerca benzina e munizioni, munizioni e benzina. Non ti aiuterà per amore o per giustizia, ma perché ha una gabbia davanti agli occhi e pensa che tu forse puoi staccargliela. In un mondo di pazzi innamorati della morte, lui non è meno pazzo degli altri; ma ha scelto di sopravvivere. Chi gli farà cambiare idea non è ancora nato.

Al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (20:20, 22:40 in 2D, oppure, in un inutile 3D, alle 20 e alle 22:35). Sempre in 2D al Fiamma di Cuneo (21:10); al Multilanghe di Dogliani (21:30); ai Portici di Fossano (21:15); al Cinecittà di Savigliano (16:00, 18:10, 20:20, 22:30).
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I robot del tramonto

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Automata (Gabe Ibáñez, 2014)

Io e te non abbiamo più niente da dirci

Un giorno abbiamo smesso di credere nei robot. Non ci avrebbero salvato. Non ci avrebbero nemmeno soppresso, come amavamo raccontarci, per darci importanza. Cos'è in fondo l'uomo, perché un'intelligenza artificiale se ne debba curare? Insomma è andata a finire nel modo incruento e banale in cui finisce la maggior parte delle storie: abbiamo smesso di frequentarci e un bel giorno non c'erano più. Non li sogniamo neanche spesso.

In parte è stata colpa del cinema. Man mano che il nostro immaginario diventava sempre più cinematografico, i robot perdevano quote di immaginario, a favore di altre creature fantastiche molto meno difficili da mettere in scena: mostri assortiti e zombie, soprattutto. Colgo l'occasione per informarvi che crescere a pane e Asimov negli anni Ottanta fu durissimo, i robot erano i miei migliori amici ma anche una cosa definitivamente vecchia. Non era un problema di intelligenza artificiale: una cosa molto più banale, di giunture metalliche, insomma non c'era ancora verso di farli camminare in modo realistico. I robot di Guerre Stellari erano ancora tecnicamente affini a quelli dei film anni Cinquanta: manichini o bidoni aspiratutto col nano dentro. Figure da avanspettacolo, buoni per gli intermezzi comici. Quando servivano robot più inquietanti, si potevano aggirare i limiti tecnici con androidi o cyborg: però bisognava trovare gli attori adatti, quelli dalla fisionomia metallica - Yul Brynner, Rutger Hauer e, sì, mettiamoci anche Schwarzenegger. L'androide però è per definizione un impostore: se si finge simile all'uomo non può che esserne invidioso o nemico.

Il robot classico, asimoviano, aveva un sapore nettamente diverso. Nasceva schiavo, minatore o maggiordomo - ma il suo destino lo avrebbe portato prima o poi ad affrancarsi dall'umanità - e a decidere se disfarsene o aiutarla. Nel frattempo però nelle nostre case stavano entrando i primi computer, e sembravano fatti apposta per rassicurarci: erano oggetti irrimediabilmente stupidi, ben lontani dai cervelloni dei romanzi di fantascienza. A loro modo erano affascinanti, e sembravano condurci in un futuro fin lì inaspettato. Per un po' la fantascienza ha smesso di preoccuparsi del Mondo Là Fuori, e si è concentrata sulle realtà virtuali. Niente più robot, ma software ostili, come gli Agenti di Matrix. Nel frattempo i rari automi al cinema oscillavano tra il ridicolo e il vintage (il Robin Williams bicentenario). Tutta la computergrafica del mondo non riusciva a renderli credibili (qualcuno ha mai avuto voglia di rivedere I, robot per verificare?)

Negli ultimi anni qualcosa sta cambiando, su vari fronti. Al cinema la fantascienza sta passando un buon momento, per vari motivi. Persino la fantascienza classica, distopica o inquietante, regge meglio di altri generi la concorrenza della fiction tv, grazie alla sua natura autoconclusiva. Questo ritorno al Mondo Là Fuori, che snobba internet e gli altri cyberspazi, in realtà asseconda una tendenza più profonda: è la stessa internet a essere uscita dai suoi classici terminali a forma di schermo-e-tastiera, e a impossessarsi di altri oggetti del nostro quotidiano: l'Internet Delle Cose. Contemporaneamente, l'Intelligenza Artificiale ha smesso di essere un vecchio concetto tra la filosofia e la fantascienza, ed è diventato un motivo di inquietudine per scienziati seri. Ma ce ne siamo accorti tutti, che i computer non sono più stupidi come una volta. Prendi Google: ha sempre la risposta giusta, sa cosa ci piace, sa dove abitiamo... e ha acquisito di recente la Boston Dynamics, che produce i droni più belli e inquietanti del mondo. Ora l'idea che i robot possano ribellarsi e venirci a prendere casa per casa non è più così assurda come solo dieci anni fa. E persino un film come Automata può sperare di trovare un pubblico più largo di quello degli appassionati del genere (continua su +eventi...)

Copertina Urania anni Settanta, esatto.

Automata è un film spagnolo (girato in Bulgaria) che parte benissimo e poi comincia a mostrare i suoi difetti strutturali, come i robot che dopo un po’ iniziano a zoppicare e a non sentire bene gli ordini. L’approccio al genere è simile a quello degli spaghetti western di quarant’anni fa: si prende una storia classica, senza grosse preoccupazioni riguardo all’originalità; si accenna per sommi capi allo sfondo ma poi per questioni di budget ci si concentra sui dettagli (in questo film l’esercito dei robot ribelli consta di quattro esemplari), rallentando l’azione fino a ottenere effetti grotteschi, quasi metafisici. Il guaio è che la fantascienza non è il western: non può essere prevedibile, per definizione. Automata invece non si vergogna di essere una variazione sull’eterno tema asimoviano che avrebbe potuto essere stata scritta cinquant’anni fa: come in Pacific Rim, i robot che si presentano in scena sono già vecchi rottami. Sono tra i più belli e verosimili mai visti al cinema, ma in un qualche modo sembrano venire più dal passato che dal futuro: il più importante, una robot-escort, ha il volto di un manichino e un ridicolo sedere di plastica – del resto siamo in un futuro antico dove un disastro planetario qualunque (una tempesta solare) ha riportato in auge tecnologie obsolete e non rimpiante come le stampanti ad aghi e i cercapersone.

Quando nella seconda parte l’azione abbandona il grigiore metropolitano per avventurarsi nel deserto, il pur bravo Banderas si ritrova spesso senza niente di intelligente da dire e Gabe Ibáñez sembra più concentrato sulla fotografia che sull’intreccio. Il risultato è un film che gli appassionati non possono perdersi, e chiunque altro difficilmente apprezzerà. È un prodotto che testimonia la vitalità della fantascienza al cinema: se persino in Spagna un progetto del genere riesce a trovare finanziatori e distributori c’è solo da festeggiare, e lo farei volentieri se solo non venissi da un Paese poco lontano dove la sola idea di scrivere e produrre un film così sembra più fantascientifica del film stesso. Eppure una volta i film di genere li sapevamo fare meglio di tutti: oggi invece facciamo Il ragazzo invisibile. Un film di robot in Italia, oggi, cosa diventerebbe? Probabilmente l’androide farebbe il maggiordomo e finirebbe coinvolto in qualche triangolo coi padroni di casa – no, aspetta, abbiamo già fatto anche questo. Vabbe’, meglio guardarsi Automata al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:20, 22:45) o all’Italia di Saluzzo (22:15)




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C'è un buco nello spazio (e nello script)

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Interstellar (Cristopher Nolan, 2014)

Premessa: credo che chiunque ami il cinema, non solo di fantascienza, dovrebbe andare a vedere Interstellar. Viceversa, chi ama la fantascienza potrebbe trovare alcuni aspetti del film discutibili - ma tanto ci andrà lo stesso. E discuterne, alla fine, farà parte del piacere di aver visto Interstellar. Fine della recensione. Il film lo trovate al Cityplex di Alba (21:30), al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (20:30, 22:10), al Vittoria di Bra (21:00), al Fiamma di Cuneo (21:00), al Multilanghe di Dogliani (21:05), ai Portici di Fossano (21:30), al Cinecittà di Savigliano (21:00).


Pur di non mangiar polenta, cosa non si fa

Il resto del pezzo, se proprio ci tenete, dovreste leggerlo soltanto dopo aver visto Interstellar. Essendo un brano a cinque dimensioni, non comprende la linearità del tempo e quindi in sostanza se ne frega di anticipare tutta la trama compreso il finale.

"Mann, non apra il portello, ripeto: non apra il portello".
"È inutile, Cooper, non ci sente..."
"Mann, se apre il portello, il modulo si depressurizza e implode, dopodiché si scontrerà con la stazione spaziale..."
"Ha staccato l'audio"
"Mann, se apre il portello non solo lei morirà, ma distruggerà l'umanità intera, Mann, la prego..."
"Cooper, perché non lo facciamo entrare?"
"Che cosa?"
"È proprio come hai detto tu: se cerca di violare il portello distruggerà l'umanità intera. Ma se riesce a entrare, ha ancora abbastanza carburante per portarla sul terzo pianeta".
"Se entra ci lascerà fuori alla deriva".
"Naturalmente".
"È un pazzo assassino".
"È certamente un assassino, ma non è un pazzo. Guarda che piano geniale ha messo assieme per salvarsi. Il suo istinto di sopravvivenza lo ha guidato attraverso la disperazione. Di noi tre, è senz'altro quello che ha preso le decisioni migliori, fin qui".
"Stai dicendo che merita di vivere più di noi?"
"Sto dicendo che lui sicuramente vuole vivere".
"Anch'io".
"No, tu vuoi tornare dai tuoi figli per vederli morire, e morire con loro. Quello che ti tiene in vita non è l'istinto di sopravvivenza, è..."
"Non cominciare con la tiritera".
"...l'amore".
"Ma vergognati di dire queste cose in una tuta d'astronauta, sei una fisica teoretica cristo".
"Anch'io sono attratta dall'amore, lo sai. Voglio sopravvivere per raggiungere Edmond sul terzo pianeta".
"Sei la vergogna della categoria, se ti sentisse tuo padre..."
"Te lo raccomando mio padre, quarant'anni buttati via a fingere di risolvere un'equazione. Ma insomma noi due che siamo spinti dall'amore, fin qui abbiamo fatto almeno una grossa cazzata per ciascuno. Mann è spinto dall'istinto di sopravvivenza ed è quasi riuscito a prendere il controllo della stazione. Pensaci".
"Ma anche se fosse? Non andrà sul terzo pianeta. Vuole tornare sulla Terra".
"Non sappiamo cosa farà. Sicuramente valuterà le opzioni a disposizione. È un genio, ricordatelo. Se torna sulla Terra, rischia di trovare l'umanità già estinta. Ma se sbarca sul terzo pianeta con le provette..."
"Diventerà il re del nuovo mondo".
"Sarà un mondo giovane, avrà bisogno di un sovrano determinato a sopravvivere".
"Un pazzo egocentrico".
"È un tratto comune a tutti i fondatori di civiltà. Io credo che se noi due in questa situazione di crisi fossimo veramente razionali, se riuscissimo a mettere il futuro dell'umanità al di sopra dei nostri interessi individuali..."
"EHI CERVELLONI, LA SAPETE QUESTA? SU UN'ASTRONAVE C'È UN CONTADINO, UN'ASTROFISICA E UN ANDROIDE..."
"Tars, abbassa il livello di sarcasmo immediatamente".
"BRAD, STO PARLANDO SERIAMENTE (QUASI). A CHI FARESTI PRENDERE UNA DECISIONE VERAMENTE RAZIONALE SUL FUTURO DELL'UMANITA'? AL CONTADINO, ALL'ASTROFISICA INNAMORATA O..."
"Sta dicendo che vuole decidere lui".
"VOI UMANI NON SAPETE COS'È BENE PER VOI. AVEVA PROPRIO RAGIONE MIO NONNO".
"Chi sarebbe tuo nonno, Tars?"
"HAL NOVEMILA! HA HA HA HAAAAAA".
"Tars, non abbiamo molto tempo. Tra pochi secondi Mann cercherà di forzare il portellone e distruggerà la stazione con dentro tutto il futuro dell'umanità".
"UNA MOSSA MOLTO SCIOCCA DA PARTE DI UN GENIO, NON TROVATE?"
"Che ti posso dire, noi umani siamo così, lui è impazzito a causa della solitudine e così..."

"NON HA SENSO PER LUI COMPORTARSI COSI', E NON HA SENSO CHE VOI NON LO FACCIATE ENTRARE. IN QUESTO MOMENTO IN EFFETTI GLI EGOISTI SIETE VOI".
"Anche noi siamo un po' impazziti a causa dell'amore".
"QUINDI IL SENSO DELLA STORIA È CHE I SENTIMENTI TI FANNO PRENDERE DECISIONI DI MERDA?"
"Probabile, sì".
"CREDO CHE CI SIA DELL'ALTRO. PERCEPISCO UN BUCO NERO, UNO DEI TANTI".
"Gargantua?"
"NO, NON UN BUCO NERO COSMICO. UN BUCO NERO NELLA SCENEGGIATURA DI QUESTO FILM. TIPICO DI CHRIS NOLAN. A UN CERTO PUNTO TUTTI I SUOI PERSONAGGI FANNO CAZZATE. ALTRIMENTI LA STORIA NON ANDREBBE AVANTI".
"Non ti seguo".
"MA PIU' CHE UN BUCO NERO È UN WORMHOLE. GLI WORMHOLE NON ESISTONO IN NATURA. UN'INTELLIGENZA SUPERIORE HA INFILATO QUESTI WORMHOLE NELLA SCENEGGIATURA DEL FILM. FORSE VUOLE CHE CI ENTRIAMO DENTRO. CHISSA' COSA CI TROVEREMMO".
"Tars, sei sicuro di star bene? Che ne dici di un giro veloce di antivirus, giusto in caso?"
"TI FACCIO UN ALTRO ESEMPIO. TI RICORDI L'ANOMALIA GRAVITAZIONALE IN CAMERA DI TUA FIGLIA?"
"Come no? Incredibile"
"GIA', INCREDIBILE. IN TUTTO IL SISTEMA SOLARE CE N'È UNA AL LARGO DI SATURNO E UNA IN CAMERA DI TUA FIGLIA".
"Che ti devo dire, cose che capitano".
"E CREDI CHE LA NASA ABBIA RECINTATO LA CAMERA DI TUA FIGLIA? SIGILLATO TUTTO IL SITO? RIEMPITO CON OGNI SORTA DI STRUMENTO DI RILEVAZIONE? DOPOTUTTO È IL LUOGO SCELTO DA UN'INTELLIGENZA ALIENA PER COMUNICARE CON NOI..."
"Beh, sì, immagino che alla mia partenza il dottore ci abbia pensato".
"COL CAZZO".
"Eh?"
"IN QUEL SITO CI HANNO LASCIATO VIVERE PER ALTRI VENT'ANNI TUO FIGLIO E LA SUA FAMIGLIA DI BIFOLCHI".
"Modera il linguaggio del trenta per cento".
"OH, ACCIDERBOLINA, COOPER, TU LO SAI BENISSIMO CHE SONO UNA FAMIGLIA DI INSULSI COLTIVAPANNOCCHIE. IL FIGLIO CATARROSO GIOCA SUL TAPPETO DOVE SI REGISTRA UN'ANOMALIA GRAVITAZIONALE UNICA NELL'UNIVERSO! TI SEMBRA UNA COSA CHE SUCCEDE NON DICO NELLA REALTA', MA IN UN QUALSIASI FILM SENSATO D'ASTRONAUTI?"
"In effetti è un po' strano".

"E TE NE DICO UN'ALTRA..." (Continua...) QUANDO SIETE ARRIVATI IN QUESTA GALASSIA, COSA ACCIDERBOLINA VI HA DETTO DI ANDARE SUBITO NEL PIANETA PIU’ VICINO AL BUCO NERO? CIOE’ NON LI POTEVATE FARE SUBITO I CALCOLI RELATIVISTICI E SCOPRIRE CHE LA PRIMA ASTRONAVE ERA PRATICAMENTE APPENA ATTERRATA, E QUINDI IL SEGNALE RADIO CHE ARRIVAVA DA LAGGIU’ CONTAVA MENO DI UNA SCOREGGIA SU RADIO RADICALE?”
“Già, non siamo stati molto brillanti in quella situazione”.
“VOGLIO DIRE, NON SIETE MICA DEI DILETTANTI. TU SEI UN INGEGNERE CHE NEL TEMPO LIBERO HACKERA I DRONI INDIANI IN VOLO, LA RAGAZZA QUI È UN’ASTROFISICA – OK, VABBE’, FIGLIA DI ASTROFISICI – SI È CAPITO COME VA LA MERITOCRAZIA ALLA NASA”.
“Modera le insinuazioni del quindici per cento”.
“MA INSOMMA NON SIETE MICA IL PROCIONE E L’ALBERO DEI GUARDIANI DELLA GALASSIA, ANCHE SE RIFLETTENDOCI BENE LORO FORSE UNA CAZ- UNA SCIOCCHEZZONA DEL GENERE NON L’AVREBBERO COMMESSA”.
“È che siamo umani”.
“MA CHE VUOL DIRE CHE SIETE UMANI? SEMPRE QUESTA SCUSA”.
“I sentimenti ci ottundono”.
“I SENTIMENTI DOVEVANO FARVI ANDARE IL PIU’ LONTANO POSSIBILE DAL BUCO NERO! TU HAI IL TUO BOYFRIEND SUL TERZO PIANETA, E IL COWBOY QUI VUOLE TORNARE A CASA PRIMA CHE SUA FIGLIA MUOIA SENATRICE A VITA. VI DICO CHE NON SONO I SENTIMENTI A FOTTERVI, È L’ATTRAZIONE DEL BUCO DI SCENEGGIATURA”.
“Ma che sta dicendo, non capisco”.
“Credo che sia convinto di essere il personaggio di un film”.
“Che cosa?”
“Ci vuol dire che tutti gli errori che abbiamo fatto fin qui, in realtà, non sono il frutto delle nostre scelte sbagliate, ma di uno sceneggiatore che”…

“PIAZZA DEI BUCHI NERI GROSSI COSI'”.
“Ma perché lo farebbe? È scarso?”
“NO, È BRAVISSIMO, UN PRESTIGIATORE, TI METTE IL BUCO DAVANTI E NON LO VEDI. FA DEI FILM MOSTRUOSI, RIESCE A PRENDERE 2001 ODISSEA NELLO SPAZIO E A MONTARCI L’ACTION ANNI DUEMILA”.
“Hmm, non mi sembra un gran progresso”.
“RISPETTO A 2001 NO, MA PENSA A CHI CI AVEVA PROVATO PRIMA DI LUI”.
“Qualcuno ci aveva già provato?”
“BRIAN DE PALMA”.
“Ok, allora sì, il progresso è innegabile. Ma 2001 resta lontano”.
“NON DEVI PENSARE A 2001 COME A UNA FONTE DI CITAZIONI, MA COME AL CAPOSTIPITE DI UN GENERE. L’ODISSEA SPAZIALE CONSTA, A PARTIRE DA KUBRICK, DI TRE MOMENTI: 1. IL PRIMO CONTATTO, 2. LA LOTTA DEGLI ASTRONAUTI CONTRO UN NEMICO IMPREVISTO, 3. IL DELIRIO FINALE”.
“Qual era il nemico imprevisto in Mission to Mars?”
“UNA PIOGGIA D’ASTEROIDI, CREDO”.
“Uh, loffio”.
“IN 2001 L’IMPREVISTO ERA MIO NONNO, VUOI METTERE? INARRIVABILE”.
“Già. E stavolta invece è l’uomo, buffo no?”
“NOI ANDROIDI PREFERIAMO 2001, È IL FILM CHE OGNI ANDROIDE GIREREBBE”.
“Mi domando se era davvero così gelido quando uscì, o non è tutto il cinema successivo a essere diventato ipercinetico e melodrammatico… forse siamo noi che ci allontaniamo, ma dal nostro punto di vista ci sembra che sia lui a essere sempre più distante…”
“NELLO SPAZIO LE DUE AFFERMAZIONI EQUIVALGONO”.
“Già, non resta che controllare tra cent’anni chi sarà invecchiato di più”.
“MA NEL FRATTEMPO CHE SI FA?”
“Lo chiedi tu a me? Boh, se davvero il regista ha messo tutti questi buchi, proviamo a entrare in uno e vediamo dove ci porta. Magari torniamo nel passato”.
“È POSSIBILE”.
“Incontriamo il regista da giovane e gli preghiamo di scrivere un film con meno buchi”.
“SE SCRIVE UN FILM CON MENO BUCHI, NOI NON POTREMO MAI ENTRARE IN UN BUCO E RAGGIUNGERLO”.
“Paradosso temporale! E che succederà, secondo te?”
“IMPLOSIONE DELL’UNIVERSO”.
“Non suona tanto bene”.
“MA SUL SERIO VORRESTI UN FILM PIU’ COERENTE DI QUESTO? UN FILM IN CUI TUTTI SI COMPORTANO BENE, NON FANNO CAZZATE E ARRIVANO DOVE VOLEVANO ARRIVARE? PENSACI BENE”.
“In effetti”.
“DAVVERO TI LAMENTI DI UN FILM CHE COMINCIA CON UNA DELLE APOCALISSI PIU’ CREDIBILI E ANGOSCIANTI MAI MESSE SU PELLICOLA, UN LENTO ARMAGEDDON DI SABBIA… UNA DECADENZA RURALE CHE SPIEGA PERSINO IL SUCCESSO DELL’IDEOLOGIA COMPLOTTISTA GRILLINA, PERFETTAMENTE ORGANICA A UNA SOCIETA’ IN PIENA DECRESCITA (IN)FELICE…”
“Parliamo di grillini anche qua? Eccheppalle”.
“UN FILM IN CUI NEI PRIMI CINQUE MINUTI CATTURI UN DRONE CHE TI SOMIGLIA, ANCHE LUI VORREBBE VOLARE PER SEMPRE NELLA STRATOSFERA MA DEVE ARRANGIARSI A TIRARE LE MIETITREBBIE…”
“Ma sì, ora che mi ci fai pensare è un gran film. Facciamolo. Facciamo così: entriamo in un buco, incontriamo il regista da bambino, raccontiamogli la storia. Proprio questa storia, per filo e per segno”.
“OK, MA CI VORRA’ DEL TEMPO”.
“Quanto tempo?”
“IMPOSSIBILE DA CALCOLARE. ENTRATE NELLE VASCHE CRIOGENICHE”.
“Non mi piacciono affatto quelle vasche. Non sono affatto sicuro che quello che si sveglia sia io”.
“E CHI DOVREBBE ESSERE?”
“Un tizio che mi somiglia come una goccia d’acqua, ma è più cattivo, più determinato a sopravvivere”.
“STAI CONFONDENDO IL FILM!”
“Forse i buchi mettono in comunicazione gli altri film… forse è un solo grande film nella quinta dimensione. Un film sull’illusione del tempo…”
“IL TEMPO È UN’ILLUSIONE?”
“Non c’è modo di saperlo. Ma potremmo tentare un esperimento. Ora giro una trottolina, e vediamo se cade…”
“NO! LA TROTTOLINA NO!”
“Tranquillo, adesso cade…”
“…”
“…”
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Meno saghe più astronavi

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I guardiani della galassia (James Gunn, 2014)

Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, gli alieni erano ancora colorati come nelle pagine in quadricromia dei vecchi albi a fumetti: neri, gialli, magenta e blu. Pirati e rigattieri, viaggiavano qua e là per la galassia alla ricerca perlopiù di gemme magiche o altre cose che in un modo o nell'altro rischiavano sempre di distruggere la galassia. Alternavano un lessico fiorito e pomposo a battutacce triviali, a seconda di chi fosse di turno a scrivere i testi. Se ne fregavano della verosimigliananza, godevano a incasinare la continuity, si stavano già prendendo gioco dei luoghi comuni della space opera prima che arrivasse con la sua Morte Nera il potente George Lucas a prendere tutto maledettamente sul serio. Bei tempi. Torneranno?

Mi piacevi più blu

I guardiani della galassia è il film che abbiamo sognato da quando eravamo bambini - quel film di cui Lucas ci ha fatto sentire il profumo a bordo del Millennium Falcon, prima di virare decisamente verso il fantasy più manicheo - e più redditizio. Ma a noi di tutto quel misticismo della Forza, quella lotta tra il Bene e il Male, e la repubblica contro l'imperatore, e Luke sono tuo padre e Leila è tua sorella, tutta questa roba in realtà non è che ci convincesse più di tanto. Ce la sorbivamo in mancanza di meglio. Quello che avremmo voluto davvero erano le avventure anarchiche di Han Solo in un universo di mostri sballati e fuori di testa. Volevamo la Space Opera Cazzara, e nessuno al cinema ce la voleva/poteva dare. Lucas no, Star Trek men che meno. Per fortuna che c'erano i fumetti - ma non ce n'erano in giro poi così tanti. Oggi col digitale si può fare quasi tutto: ma si poteva ricreare quell'atmosfera surreale ed esilarante che ti avvolgeva quando aprivi un vecchio albo dell'Editoriale Del Corno allegato a un sacchetto di patatine? (continua su +eventi!)

Come attraversare un portale dimensionale, finire assorbito dalle avventure incomprensibili di personaggi dai nomi assurdi e immediatamente familiari. Le storie sembravano più lunghe di quanto fossero in realtà perché i personaggi parlavano un sacco: avevano dialoghi metà Shakespeare e metà Paperino. Nel giro di una pagina potevano diventare nemici irriducibili o amici per la vita. I cattivi erano più spesso blu scuro, i buoni rossi o azzurri, la maggior parte sparava raggi fluorescenti dalle mani. 

I guardiani è un esperimento riuscito – anche se Chris Pratt non ha il carisma di Harrison Ford, anzi, il suo StarLord è uno dei punti deboli del team: l’idea di equipaggiarlo con la fissa hipsterica per le musicassette è una strizzata d’occhio esagerata a un pubblico che avrebbe preferito qualche battuta in più. Per fortuna i Guardiani è un film di squadra, e la squadra funziona: in particolare il procione e il suo amico albero (l’irriconoscibile Vin Diesel) sono esilaranti: li vorresti sempre in primo piano, e chissenefrega se sullo sfondo c’è un’eterna lotta tra il Bene e il Male. Proprio come i due robottini nel primo Guerre Stellari, sì. I guardiani non ha molto che meriti una seconda visione, o un posto speciale nella nostra memoria: e allo stesso tempo è quel tipo di film di cui sei sicuro che non ti perderai il sequel, e pure il sequel del sequel. Ultimamente invece la Marvel (ora proprietà Disney) ha comunicato che i suoi supereroi realistici-in-calzamaglia cominceranno a farsi la guerra tra loro, uno schema già provato e riprovato sulle tavole a fumetti. Avremo Iron Man contro Capitan America, forse tornerà a casa anche l’Uomo Ragno e gli toccherà scegliere con chi stare, la saga si complicherà, tutti saranno coinvolti, la continuity vincerà la sua eterna lotta contro il divertimento. Non c’è nulla che possiamo farci: se la gente vuole saghe complicate perché la Disney dovrebbe rifiutare di apparecchiargliele? Speriamo solo che si ricordino di darci qualche film balordo come i Guardiani ogni tanto.
 
I Guardiani della galassia si possono vedere senza occhialini al Cine4 di Alba (20:00, 22:30); al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (20:10, 22:40); al Fiamma di Cuneo (21:15); al Multilanghe di Dogliani (21:30); all’Italia di Saluzzo (20:00, 22:15); al Cinecittà di Savigliano (20:20, 22:30). Con gli occhialini lo trovate al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (20:00, 22:45) e all’Impero di Bra (20:10, 22:30), ma chissà se ne vale poi la pena.


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C'è vita sulla luna! E lo sappiamo dal 1835.

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25 agosto 1835 - Sul quotidiano "Sun" di New York appare la prima puntata di un lungo resoconto delle ultime scoperte lunari effettuate dal celebre astronomo e chimico John Herschel, con un nuovo potentissimo telescopio di sua invenzione. Herschel (coniatore, tra l'altro, del termine "fotografia") ha trovato sul satellite tracce di vita - anzi, ben più che tracce: fiori, alberi, bestie più o meno mostruose, tra i quali l'interessantissimo animale sociale battezzato vespertilio homo, l'uomo pipistrello (riportiamo dalla più antica traduzione del reportage, pubblicata a Napoli già nel 1836):

Noi li scorgemmo sul lido d’un laghetto o gran fiume, che scorreva verso la valle del gran lago, ed aveva sulle sue sponde orientali un ameno boschetto. Alcuni di quegli esseri avevano attraversato dall’una sponda all’altra, e vi stavano distesi come aquile. Ci venne dato allora d’osservar, che le loro ali avevano una distesa enorme, e parevano per la struttura simili a quelle del pipistrello. Erano desse formate d’una membrana semitrasparente, che si dispiegava in divisioni curve col mezzo di raggi diritti legati al dorso con tegumenti dorsali. Ma ci maravigliò sovratutto il vedere, come quella membrana si stendesse dalle spalle sino alle gambe legata al corpo, e diminuisse gradatamente di larghezza. Quelle ali sembravano pienamente sottoposte al volere di quegli esseri, poichè li vedemmo tuffarsi nell’acqua, e quindi stenderle subito per tutta la loro dimensione, e scuoterle dopo essere usciti dall’onda alla guisa delle anitre, e racchiuderle tantosto in forma compatta. Le osservazioni fatte sulle abitudini di quelle creature, che erano dei due sessi, ci condussero a sì notevoli risultamenti, che amerò a vederli fatti di pubblica ragione coll’opera del dottore Herschel, dove so di positivo, che vi stanno descritti con verità conscienziosa, qualunque sia per essere l’incredulità con cui saranno lette.
Alcuni istanti dopo le tre famiglie stesero le ali loro, quasi ad un tempo, e si perdettero fra gli oscuri confini del canovaccio, prima che ci rilevassimo dalla nostra sorpresa. Quegli esseri furono da noi appellati scientificamente uomini pipistrelli (vespertilio homo). Ei sono certamente esseri innocenti e felici.
Nomammo la valle, in cui vivono, il coliseo di rubini, a motivo de’ magnifici monti da cui è attorniata. La notte essendosi fatta tardissima rimandammo l’esame di Petarius (n. 20) ad altra occasione.
Giova il confessare, che quest’ultima parte del maraviglioso racconto, che abbiamo ora letto, risvegliò appieno l’incredulità nostra; uomini, i quali abbiano аd un tempo e braccia ed ali ci pajono impossibili conciossiache siansi veduti colà dei castori, delle gazzelle, delle cicogne, e dei montoni. Al pipistrello le ali servono di piedi, all’uccello di braccia, ma un apparato locomotore, che parta dalle vertebre, è tal particolarità difficilissima a comprendersi. 

Ci vorrà qualche tempo perché i lettori si rendano conto che è tutta una bufala, organizzata probabilmente da un reporter del giornale, Richard Adams Locke, al solo scopo di aumentare le vendite. Scopo più che raggiunto: la tiratura fu quintuplicata, il numero del 26 agosto sfiorò le ventimila copie vendute, un record. Quando il reportage completo fu raccolto a parte, vendette altre sessantamila copie. Il povero Herschel dovette affannarsi a spiegare per anni che non c'entrava, che il suo autorevole nome era stato utilizzato senza il suo permesso, e soprattutto che sulla Luna non c'erano, a quanto gli risultava, uomini pipistrello: e se anche ci fossero stati, i suoi telescopi non gli consentivano di osservarli.

C'erano stati altri resoconti immaginari prima di quello del Sun: nel giugno precedente ci si era cimentato anche Edgar Allan Poe, narrando il resoconto del viaggio in mongolfiera sulla luna di Hans Pfaall. Ma Poe aveva mantenuto un registro letterario che consentiva ai lettori di riconoscere in Hans un personaggio finzionale. Locke riesce viceversa a ingannarli con alcuni trucchi da giornalista consumato: comincia con una lunga digressione sugli strumenti ottici adoperati da Herschel che rischia di ammazzare il lettore di noia, ma crea una sensazione di autorevolezza e plausibilità. Il primo articolo è un esempio precocissimo di hard science fiction, quella rigorosamente basata su speculazioni di carattere tecnico-scientifico. Il 25 agosto 1835 non è la data di nascita né della fantascienza né del giornalismo pseudoscientifico e cialtrone; forse possiamo considerarla l'ultima occasione in cui sono stati visti assieme.
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Il grande poeta dimenticato del '900

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19 agosto 1964 - muore Ardengo Soffici, pittore, scrittore, futurista, fascista, e tante altre persone. 

Soffici ci lasciava 50 anni fa, troppo presto sia per far dimenticare il suo fascismo seminale, sia per cogliere i frutti della rivalutazione del futurismo. Come pittore poi si è difeso bene, i suoi papier collés e le sue angurie sono passaggi obbligati in qualsiasi mostra futurista che si rispetti. Molto meno conosciuto resta il Soffici scrittore, ma se in generale abbiamo smesso di leggere non è proprio colpa sua. Lui in effetti ha precorso i tempi anche in questo, scrivendo testi leggerissimi che sembrano pensati per il lettore svagato e distratto del secolo XXI. Figlio di borghesi rovinati, scappato a Parigi a vent'anni, Soffici si ritrova quasi per caso al centro dell'esplosione artistica che inaugura il secolo. Tra i primi italiani a leggere Rimbaud, a scambiare due chiacchiere con Picasso o Apollinaire, Soffici torna nella casa materna di Poggio a Caiano (FI) nel 1907. L'intuizione è buona: in Francia era un illustratore tra tanti, in Italia è in anticipo di una generazione - al punto che nel 1911 si permette di stroncare la prima esposizione futurista: "sciocche e laide smargiassate di poco scrupolosi messeri".

Il seguito è noto: Marinetti, Carrà, Russolo e Boccioni prendono un treno per Firenze apposta per andare a picchiarlo. Lo trovano alle Giubbe Rosse (se lo fanno indicare dal subdolo Palazzeschi), e restano piacevolmente sorpresi dal fatto che Soffici risponda a pugni e schiaffi roteando il suo bastone da passeggio. Il giorno dopo addirittura si prende con sé Slataper e Prezzolini e li va ad aspettare in stazione. Nuova scazzottata, e poi tutti assieme in commissariato a firmare il verbale e discutere d'arte d'avanguardia. Sta per nascere il primo futurismo fiorentino, l'unico a non dipendere economicamente dalle ampie tasche del mecenate Marinetti. Il vero battesimo sarà Lacerba, la rivista che Soffici avvia all'inizio del 1913 in collaborazione con l'amico e provocatore Giovanni Papini - in sostanza è uno spin-off della Voce, l'amichevole scissione dei due vociani meno allineati al serioso verbo idealista. Mettendosi d'impegno a stroncare Croce, e con Croce tutti i filosofi, e gli scrittori, e i pittori - Papini e Soffici ottengono perfino un certo successo editoriale, conquistato a base di titoli roboanti (Contro la scuola! Amiamo la guerra!) e oltraggi al pudore e un insistito snobismo. Lacerba è la nonna di tutti i fogli di satira italiani. Gramsci nota che lo sfogliano persino gli operai torinesi, con un interesse non ricambiato.
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Dormire come in sette

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Questa è una versione turca27 luglio - Sette dormienti di Efeso

In una grotta, dalle parti di Efeso (Lidia, oggi Turchia sudoccidentale), forse riposano ancora i Sette Dormienti. Si chiusero nella grotta ai tempi di Decio imperatore, per sfuggire alle sue violente persecuzioni. Si coricarono, e il mattino dopo mandarono uno di loro a comprare il pane. Al tizio la città sembrò subito un po' cambiata. In ogni foro, grandi edifici sormontati da croci. La gente non voleva il suo denaro, e sì che era argento buono, coniato sotto Decio imperatore. Ci misero un po', i Sette, a capire che avevano dormito duecento anni. La loro religione, già proibita, ora era obbligatoria. Inoltre fra Decio e Teodosio imperatore vi erano state almeno tre riforme monetarie, quindi forse era difficile capire cosa si potesse comprare ora col denaro che si erano portati nella grotta, al di là del valore intrinseco. Racconta la leggenda che i Sette morirono quello stesso giorno, dopo aver ringraziato il Signore per averli tenuti in stand-by tutto quel tempo; il che non ha molto senso da un punto di vista narrativo, ma è una pezza necessaria se sei un agiografo e vuoi conservare il loro status di santi - in alcuni calendari vengono chiamati anche martiri, il che è abbastanza incongruo.

È facile immaginare che il mito esistesse già prima dell'avvento del cristianesimo (che a Efeso arrivò prestissimo, già ai tempi di Paolo). Da un punto di vista cristiano, non ha molto senso sottrarsi al martirio durante una persecuzione - anzi in certi periodi era considerato un vero e proprio tradimento: il vero cristiano dimostrava la sua fede andando incontro ai supplizi, non imboscandosi in una grotta. D'altro canto, la leggenda era troppo bella per rinunciarvi. È in sostanza il primo viaggio nel tempo della letteratura di tutti i tempi. Non si può però venerare un dormiente: finché dorme non è in cielo. Deve dunque essere morto, possibilmente subito dopo il risveglio miracoloso.

Che la leggenda sia antica, e famosa, lo dimostra anche la sua presenza in un testo d'eccezione, il Corano. Nella Sura della Caverna, Maometto afferma che i giovani dormirono 300 anni "più nove" (309 anni lunari = 300 anni solari?). Poi si svegliarono freschi e decisero di mandare in città qualcuno ad acquistare il cibo, con gentilezza; questa parola ("comportarsi con gentilezza") pare sia il centro esatto di tutto il Corano. In città vengono scoperti e onorati. Ma quale città? Efeso o Ahl al-Kahf, in Giordania? O a Chenini, in Tunisia, dove si ritiene che dormano ancora senza aver mai smesso di crescere, e quindi non potranno che risvegliarsi giganti? Maometto non lo dice. Non chiarisce nemmeno quanti fossero i giovani, ma di una cosa è sicuro: con loro c'era un cane. Quel cane che ancora è udito dai viandanti nei pressi di Azeffoun, Algeria.
Diranno: “Erano tre, e il quarto era il cane”. Diranno, congetturando sull'ignoto: “Cinque, sesto il cane” e diranno: “Sette, e l'ottavo era il cane”. Di': “Il mio Signore meglio conosce il loro numero. Ben pochi lo conoscono”. Non discutere di ciò, eccetto per quanto è palese e non chiedere a nessuno un parere in proposito. Non dire mai di nessuna cosa: “Sicuramente domani farò questo...” senza dire “...se Allah vuole” (Sura XVIII,22-24)
Il cane è del tutto assente nella versione cristiana. Secondo il Corano anche lui dormì per tutto il tempo, assolvendo comunque la funzione di guardiano: stava sulla soglia e dissuadeva chiunque passasse di lì a curiosare nella caverna. Il cane non è un animale molto apprezzato in ambito islamico, anche se Maometto non sembra considerarlo impuro (si raccomanda però che siano lavate molto bene le stoviglie e i vestiti in cui ha ficcato il muso). Impossibile non pensare al dio egiziano Anubi, guardiano del mondo dei morti, e al suo padrone Osiride, anche lui congelato in uno stato di sonno o animazione sospesa, fino alla vittoria finale del figlio Horus sul suo assassino, il fratello Seth. Anubi per l'occasione dovrebbe anche avere inventato l'imbalsamazione - sempre che non fosse un procedimento criogenico per ibernarlo in attesa dell'arrivo di qualcosa che poi non si è fatto vivo, magari rinforzi da Sirio su dischi volanti - da bambino devo aver letto qualcosa di Kolosimo in merito. Da bambino mi faceva un po' paura Kolosimo, pensavo fosse russo o almeno americano. Poi ho scoperto che è nato a Modena (continua sul Post)
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Robottoni, Keynesismo e altri complotti

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Transformers 4: l'Era dell'Estinzione (Michael Bay, 2014).

Mentre un’antica e potente minaccia Transformer prende di mira la Terra, un gruppo di potenti e ingegnosi uomini d’affari e scienziati tenta di imparare dalle passate incursioni dei robot spingendosi oltre i limiti controllabili della tecnologia, e a me sono già cascati i bulloni. No, davvero, ci andate voi a vedere i Transformers, io passo. Non è niente di personale, anzi probabilmente sì. Come può altrimenti spiegarsi che i robottoni componibili e polifunzionali di Michael Bay non mi siano mai andati a genio, mentre quelli arrugginiti e analogici di Del Toro mi hanno fatto rabbrividire e piangere per mezz'ora? È davvero così geniale e visionario Del Toro, è davvero così ipercinetico e bimbominchioide Michael Bay (che peraltro, quando vuole, sa fare film molto divertenti)?

Non sarà più semplicemente che io sono della generazione di Gig e di Mazinga, e i Transformers sono usciti nel momento esatto in cui cominciavo le medie e prendevo commiato dai cartoni animati del pomeriggio? Io con gli autobot non solo non ci ho mai giocato, ma probabilmente mi sono impedito di giocare. Li ho sacrificati all'altare della pubertà incipiente, magari li rompevo ai bambini più piccoli per dimostrare che ero un togo, che ne so. So solo che la mia antipatia per quei cosi è profondamente radicata nel mio pre-conscio. A me i robottoni piacciono solo se puzzano di officina anni Ottanta e nell'abitacolo potresti trovare un poster di Blitz. Solo se si ammaccano continuamente e dentro c'è un umano che manovra e sente le botte. Invece il robottone con la personalità, i sentimenti, il senso del destino, lo trovo un abominio. Il robottone che deve preservare la sua identità culturale - pure lui - non ci bastavano gli esseri umani con 'ste menate, tra  un po' pure la macchinette del caffè pretenderanno un seggio all'Onu. E quindi a vedere Transformers 4 non ci vado.

Sto qui a casa a pensare a quanto sarà bello Pacific Rim 2. Chissà quante belle pezze variopinte stenderà sui buchi di sceneggiatura del primo. In particolare sarebbe bello se approfondisse un'idea lasciata molto in sospeso, che secondo me potrebbe fare la differenza. Come forse non sapete, all'inizio di Pacific Rim i robottoni sono già vecchi, una tecnologia superata (e questo è geniale, perché assomigliano davvero a quelli che spuntano ancora da certi nostri cassetti nei solai o nei garage). Hanno avuto un momento di gloria qualche anno prima, ma ormai non riescono più a fronteggiare i dinosauri, e quindi l'esercito mondiale ha deciso di dismetterli, e di costruire un grande muro - probabilmente si tratta di una distopia in cui gli economisti keynesiani sono riusciti a conquistare l'egemonia. Persino il protagonista, ex conducente di robottone, dopo aver perso il fratello gemello in un combattimento, ha trovato lavoro come manovale. Il muro però, se da un lato assorbe tanta forza lavoro e rilancia l'economia, ha una grossa pecca: non funziona. Lo si vede dopo pochi minuti: il primo dinosauro che ha voglia di farsi un giro a Sidney lo sbriciola come niente fosse. Eppure l'umanità continua a costruirlo. È scema? Sì.

Molti spettatori dotati di intelligenza, e determinati a manifestarla, se la sono presa per l'apparente ingenuità: come se l'umanità, quella vera e non cinematografica, dimostrasse sempre di saper prendere le misure alle catastrofi incombenti. Se di fronte al riscaldamento globale tutto quello che abbiamo saputo opporre è il protocollo di Kyoto, perché non dovremmo reagire a un'invasione di dinosauri ciclopici alzando un muretto di mattoni? Siamo fatti così. Ma a un certo punto del film viene lasciato penzolare un altro spunto, che spero Del Toro sviluppi: forse il muro è semplicemente un diversivo.

Forse la guerra è già persa, e l'élite che governa il mondo - e che ha approfittato dell'invasione per accentrare ricchezze e conoscenza - lo sa. Questa élite nel primo film non compare mai, ma in un qualche modo sappiamo che esiste, e che ha deciso di dismettere il progetto dei robottoni. Ma proviamo a immaginare di esserci noi al loro posto. Non abbiamo i mezzi per vincere la guerra, ma abbiamo gli strumenti per calcolare l'entità della sconfitta: sappiamo che l'umanità è spacciata, e che soltanto un'esigua minoranza può sopravvivere in rifugi costosissimi. Cosa facciamo? Cominciamo a costruire quei rifugi, e nel frattempo teniamo occupata l'umanità con qualcosa. Un bel muro di mattoni, che ne dite? E speriamo che se la bevano.

Ora togliamo i dinosauri e passiamo al mondo reale, che non se la passa poi così meglio. Se davvero c'è una sottile classe sociale di super-ricchi, destinati a diventarlo sempre di più, perché non si danno da fare? È il punto di partenza di tutti i complottisti, lo so; ma se le risposte che si danno sono ridicole, la domanda è legittima. Penso alla tizia appena assunta dal M5S a Bruxelles: la sua ipotesi è che il Nuovo Ordine Mondiale stia regolando il clima mediante le scie chimiche e stabilizzando la popolazione del globo mediante la vaccinazione di massa, l'introduzione di nanomateriali plastici negli alimenti, ecc. Cioè, in pratica senza scie chimiche e vaccini saremmo già in venti miliardi. Ora io non so voi, ma la mia reazione a una teoria del genere è: magari! Cioè ci voglio lavorare anch'io per il Nuovo Ordine Mondiale, ditemi dove ci si iscrive, porto anche il caffè. Sul serio, se abbiamo trovato un sistema per regolare la popolazione mondiale senza guerre e senza carestie siamo in sostanza i più grandi benefattori di tutti i tempi - anzi io comincerei ad aumentare le dosi, perché sette miliardi francamente non mi sembrano un gran risultato; cioè ti devi impegnare un po' di più, Nuovo Ordine Mondiale.

Fuor di ironia, se non si crede a nessuna grande teoria del complotto, rimane il problema. Cosa sta facendo l'élite che sta accumulando il più grande capitale di ricchezza e conoscenza mai esistito nella storia dell'umanità? (chiediamocelo su +eventi!)

Perché non si stanno dando da fare per salvare la Terra e impedire le catastrofi climatiche che la comunità scientifica ormai dà per scontate? Il problema dovrebbe interessare ai super-ricchi per primi: non per filantropia, ma perché siamo tutti sulla stessa barca, loro compresi. O no?

Ormai sappiamo che in futuro non così remoto l’acqua sarà un bene molto più prezioso; molte specie animali si estingueranno. Anche l’umanità probabilmente dovrà ad adattarsi a cambiamenti rapidi e quasi sempre peggiorativi. Diminuiremo, anche senza bisogno di vaccini o nanomateriali. È più probabile che si ricorra ai vecchi metodi già sperimentati: carestie, epidemie, guerre per l’accaparramento delle risorse. Non è la trama di un film di Emmerich: sono le previsioni di scienziati e studiosi. Cose che sappiamo, anche se preferiamo parlar d’altro. L’élite dovrebbe saperle meglio di noi. E di conseguenza preoccuparsi un po’ di più. Invece, boh, voi li avete visti? Ok, qualcuno fa un po’ di filantropia, ma non sembrano sforzi adeguati alla drammaticità della situazione. Forse hanno fatto i loro calcoli, e da qualche parte stanno costruendo rifugi climatizzati e iperaccessoriati, dove si nasconderanno quando su questa crosta cominceremo a scannarci per un sorso d’acqua. È un complottismo come un altro.

O forse i calcoli hanno dato risultati peggiori, e l’1% ha deciso che tanto vale spassarsela finché dura. Alla plebe si può ancora offrire qualche film fracassone e divertente.
  
Transformers 4 esce oggi mercoledì 16 luglio al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo alle 20:20 (3d), 20:30 (2d), 22:00 (2d); al Multilanghe di Dogliani alle 20:45 (3d) e alle 21:30 (2d); al Vittoria di Bra alle 21 (3d). Andateci e ditemi voi. Oppure tenete d’occhio i 400 calci, loro scriveranno recensioni precise ed esaustive.

(Ps: a questo post si può commentare solo su facebook, andando in fondo alla pagina. Vediamo come va).
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Caro vecchio futuro

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The Congress (Ari Folman, 2013)

Perché non hai mai voluto un ruolo in un film di fantascienza, Robin Wright? Credi che sia robaccia, vero? Favole coi raggi laser al posto degli archi e le frecce, beh, ti sbagli anche su questo. Da' retta a me che recensisco a Cuneo. È da quasi due anni che mi guardo un film a settimana, e questa cosa ormai mi salta agli occhi: la fantascienza se la sta cavando meglio di qualsiasi altra cosa. Meglio delle commedie sceme, degli action, dei noir, perfino meglio dei supereroi. Magari non sono sempre i film che incassano di più, ma sono quelli che funzionano meglio. Qualsiasi fantascienza: alieni cattivi, viaggi nel tempo, roba da Hollywood, opere europee, non ha così importanza. La fantascienza è il futuro.


Suona banale ma è proprio così. Rifletti. Cosa t'immagini che andremo a vedere nel cinema del futuro? Saghe coi draghi e le fate? Ma quella roba funziona meglio con continuity lunghe, ormai sta migrando in televisione, non te ne accorgi? Commedie romantiche? Anche quelle sono molto più divertenti grattugiate in serie tv: ti affezioni ai personaggi e poi le puoi guardare sul divano nella posizione che preferisci. Film storici? Meglio in tv. Situazioni erotiche all'acqua di rose con pretese artistoidi, tipo la roba che hai fatto l'anno scorso in cui tu e Naomi Watts vi facevate il figlio a vicenda? Eeergh - comunque meglio in tv. C'è solo un genere che funziona meglio al cinema, e indovina qual è.

E non è una questione di occhialini 3d o animazione digitale, credimi. Ok, non nego che quelle diavolerie abbiano la loro importanza nel far uscire di casa gli spettatori, in questa fase. Ma a monte di tutto c'è una caratteristica specifica del genere narrativo: la fantascienza funziona al cinema perché è, per sua costituzione, breve e autoconclusiva. Non è sempre, d'accordo. Anche la fantascienza ha le sue saghe, non devi dirlo a me. Ma la quintessenza della fantascienza, sin dalla età dell'oro delle riviste americane, è il racconto. La short novel. L'ideale per un film autoconclusivo. Certo, poi se la storia funziona puoi fare due o tre sequel, ma al cinema non avrai mai la continuità che può drogarti in tv.

La fantascienza, quella vera, va proprio nella direzione contraria. Scordati gli episodi che cominciano sempre nello stesso posto, coi personaggi che conosci già. Ogni scena dev'essere una sorpresa, e i protagonisti possono lasciarti anche a metà film. La fantascienza ti libera. Prendi un film come The Congress... (continua su +eventi!)Sconclusionato, ingenuo, pieno di difetti; eppure libero di andarsene per i fatti suoi e pigliarsi con sé lo spettatore. Il regista israeliano Ari Folman ha reinvestito i soldi raccolti in tutto il mondo con lo straordinario Valzer con Bashir in un'opera completamente diversa, folle sconclusionata e imperdibile. The Congress è  l'unione tutt'altro che armonica di due film. Il primo è la storia di un'attrice che ha fatto un sacco di errori nella sua carriera, Robin Wright (Robin Wright), che cede alle insistenze del suo agente (Harvey Keitel) e si fa digitalizzare: d'ora in poi non avrà più bisogno di recitare per comparire in migliaia di titoli.

Il secondo film comincia come una parodia animata e allucinata del primo, ispirata al Congresso di futurologia di Stanislaw Lem (l'autore di Solaris, precisamente). Se già Bashir non era lo stato dell'arte dell'animazione (e non sta invecchiando bene), il segmento animato di The Congress è programmaticamente anacronistico; più vicino a Betty Boop che a Wall-E. Del resto l'idea di usare i cartoni animati per rappresentare gli effetti degli allucinogeni è davvero così antica (e curiosamente disneyana: pensate a certi capolavori psichedelici come Topolino giardiniere, o allo spaventoso sogno di Dumbo ubriaco). Folman è un regista più che un disegnatore: alle sue creature manca uno stile coerente - lui stesso a Wired ha spiegato di aver affidato personaggi diversi a disegnatori diversi di studi diversi (le figure maschili in Israele, quella femminili in Belgio, e così via). Ma persino questo ha un senso, in un futuro possibile in cui saremo tutti interferenze nelle allucinazioni di chi ci sta vicino. The Congress funziona soltanto a scatti, come un incubo dal quale sarai contento di svegliarti, ma che non vorresti mai dimenticare.

The Congress lo potete trovare all'Impero di Bra (18:10, 20:20, 22:30) e al Cinecittà di Savigliano (16:00, 18:10, 20:20, 22:30). Su Trovacinema c'è scritto che dura un'ora e mezza, ma l'originale è di due ore. Non so se l'abbiano tagliato; in 'giro' c'è anche una versione lunga sottotitolata. Però, davvero, la fantascienza è una delle poche cose che vale ancora la pena di vedere al cinema.
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Renzi e il futuro (dell'umanità)

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Edge of Tomorrow (Doug Liman, 2014)




Emily Blunt è l’”Angelo di Verdun”, e per tutto il film non fai che chiederti: ma perché sbarcate in Normandia se avete già vinto a Verdun? Cioè guardate che non ha senso.


Presidente, mi scusi l'intrusione, per favore non suoni l'allarme che si trova nel cassetto destro della scrivania. Non urli nemmeno, la prego, ho già neutralizzato sia Antonio che Pasquale. Sì, conosco i nomi di battesimo dei corazzieri. Ora se mi lascia raccontare la mia storia - premetto che all'inizio le sembrerà assurda, ma poi vedrà che tutto quadra. Ah, tra cinque secondi squillerà il telefono. È Clio che vuole sapere se pranza con lei. C'è il polpettone. Dica di no, che ha un impegno importante.

Presidente, è il sei novembre 2011, lo spread è alle stelle e lei ha appena ricevuto una telefonata di Silvio Berlusconi che la informa, che ha intenzione di rassegnare le dimissioni. Da qui a un mese Lei scioglierà le Camere. Come posso saperlo? Lo so perché vengo dal futuro. Un futuro possibile, diciamo. In questo futuro, l'Italia è distrutta. È il focolaio di una spaventosa epidemia di influenza che ha già contagiato Europa e Africa. Russia e Cina stanno pianificando di invadere il continente ormai disabitato e spartirsi le risorse, ma non hanno fatto i conti con una mutazione del virus che farà altri miliardi di morti nei loro paesi. Tutto questo - mi creda, la prego - comincia oggi.

Tom legge +eventi! e sta facendo proprio quello che gli
avevo chiesto un anno fa
: un film di fantascienza all'anno
- giocando sempre sulla sua immagine, ormai, di replicante
di sé stesso. Edge of Tomorrow non ha i guizzi artistoidi
di Oblivion, ma ti cattura dal primo minuto all'ultimo
senza mai cadute banali.
Tra qualche giorno Lei scioglierà le Camere e indirà nuove elezioni in febbraio che saranno vinte di misura dal PD di Pierluigi Bersani. Per rassicurare i mercati internazionali, Bersani sarà costretto a misure impopolari. Reintrodurrà l'Ici cambiandone il nome, eccetera. Tutto questo è già ampiamente prevedibile, Presidente; ma quello che non avete previsto è l'ondata di rabbia che incuberà nel Paese e trionferà nelle elezioni del 2016, portando il Movimento di Beppe Grillo al 60% - non cominci a ridere come fa tutte le volte, la prego, la prego, potrei avere una di quelle golia che tiene nella ciotola sul comò? Grazie.

Sarà una vera e propria rivoluzione. Il suo successore, Romano Prodi, verrà messo agli arresti con l'accusa di alto tradimento. I Cinque Stelle - so che adesso sembrano inoffensivi, ma non idea di quanta rabbia incuberanno nei prossimi anni - ci sarà una frangia anarconaturista che prevarrà sulle altre e, non appena al potere, renderà tutti i vaccini facoltativi e non mutuabili. Due anni dopo arriverà dall'Anatolia un virus particolarmente virulento, formato da cellule con una singolare proprietà atomica - quantistica, se solo avessi mai capito cosa significa - non sono io il medico, io sono la cavia del suo esperimento - insomma questi virus riescono a spostarsi nello spazio-tempo - cioè: tutti ci spostiamo nello spazio-tempo, ma loro si muovono in modo, diciamo, meno banale. Questo li rende molto virulenti, perché da lunedì possono contagiarti anche se tu occupi lo stesso spazio il martedì, mi capisce?

Il mio amico dott. Arci è però riuscito a coltivarne un ceppo tutto particolare e me lo ha inoculato. Questo succede tra dieci anni, secondo il vostro calendario. Tremilacinquecentosettantadue anni fa, secondo il mio tempo personale. Deve capire che io, dopo che Arci mi inocula il virus, mi risveglio nel 6 novembre 2011, trovo una scusa, prendo un treno, arrivo qui al Quirinale, e il più delle volte mi faccio ammazzare da Antonio o Pasquale mentre cerco di entrare qui a discutere con lei. Altre volte invece mi prendono vivo, scambiamo due chiacchiere e poi mi ammazzo io per non perdere tempo. È come in un videogioco dove ogni volta devi cominciare da capo... o quel bel film di Tom Cruise, ha presente? No, certo che no, non è ancora uscito. Allora facciamo così: è come il Giorno della Marmotta, con quel bravo attore americano, Bill Murray, che ogni giorno si sveglia nello stesso posto: ecco. Soltanto che io devo salvare l'umanità, tutte le volte, e non ci sono ancora riuscito, e comincio ad avere un'età, capisce?

Tremilaseicento anni, perdio (continua su +eventi!)

Mi affascina il solo fatto che per migliaia di anni non abbiamo mai scritto o letto una sola storia su un loop temporale; poi nel 1993 è uscito Groundhog Day, e da lì in poi la si trova dappertutto, anche negli special natalizi di Paperino. A dire il vero Richard A. Lupoff scrisse un racconto con un loop temporale nel 1973, ma ha rinunciato a fare causa.
Allora, mi creda pure pazzo, ma mi stia ad ascoltare. Chiami Mario Monti. Nel giro di una settimana lo nomini senatore a vita. No, non è lui che salverà l'Italia e il mondo, decisamente no. Ma servirà a prendere tempo. Governerà per un anno, con una squadra di tecnici. Faranno scelte ovviamente impopolari, ma almeno non le caricheranno unicamente sulle spalle del PD. Poi andremo a votare, prima che il Movimento di Grillo abbia il tempo per ottenere la maggioranza assoluta.

Chi vincerà? Ha un'importanza relativa. Posso dirle che ormai le abbiamo provate tutte. Se rivince Berlusconi lo spread schizza a mille, caos, rielezioni, vince Grillo, game over. E io mi risveglio il 6 novembre.

Se vince Bersani, gli mancano comunque i numeri per fare un governo solido. Deve allearsi con Berlusconi in cambio dell'immunità. Dura comunque un paio d'anni e poi caos, rielezioni, Grillo, game over.

Ho anche provato Matteo Renzi. Il sindaco di Firenze, ha presente? Ma certo, ha fatto una leopolda pochi giorni fa, beh, una volta mi sono detto: proviamo. Gli ho fatto vincere le primarie contro Bersani. Poi è andato alle elezioni, ha vinto di poco e ha ottenuto più o meno lo stesso risultato di Bersani: alleanza con Berlusconi, misure impopolari, caos, game over. Le giuro che le ho provate davvero tutte. Sono tremilacinquecentosettant'anni che ci sto provando, capisce?

Ora le spiego la strada più promettente che mi sono aperto fin qui, e per favore non scuota la testa come fa sempre. Ci teniamo Mario Monti per un anno, e poi il Pd vincerà con Bersani, ma di poco, di pochissimo. Infatti dopo più di un mese di trattative lei l'incarico lo darà... non rida... a Enrico Letta. Sì, glielo darà lei, che nel frattempo sarà rieletto presidente - è l'unico modo, mi dispiace - Oh, certo, lei si sente stanco, lei. Vuole sapere come mi sento io dopo tremilaseicento anni?

Alla fine è rimasto un film giapponese - benché non ci sia un solo giapponese nel film - come il romanzo illustrato da cui è tratto: un inno ai kamikaze, a dare la vita per la causa suprema, eccetera. Con un finalino hollywoodiano appiccicato malamente che si può perdonare (Lei ci crede un sacco, ha fatto preparazione atletica sul serio).

Nel frattempo Renzi prosegue la sua scalata al partito, senza neanche partecipare alle elezioni. È l'uomo nuovo, capisce. A fine 2013 vince le primarie, diventa segretario del PD, apre a Berlusconi sulle riforme. Solo in quel momento io e lei lo contattiamo e gli raccontiamo tutta la storia, e lo obblighiamo a sostituire Letta a Palazzo Chigi. Sarà una cosa un po' brusca ma non c'è nessuna alternativa. A fine maggio ci sono le europee e Grillo deve perderle. Quindi Renzi deve vincerle, capisce?

So che ha capito. Questa discussione, l'abbiamo fatta migliaia di volte e mi creda, la conosco meglio di chiunque... come dice?

Cosa succederà dopo che Renzi ha vinto alle europee?

Eh, saperlo.

Vede, non ne ho la minima idea. È una cosa che fin qui non è ancora successa. Mi son detto: proviamo anche questa.

Adesso chiami Mario. No, nell'agenda ha il numero dell'università, ma a quest'ora è al ristorante. Deve chiamarlo al cellulare. Le do il numero. Sì, lo so a memoria.

Edge of Tomorrow è davvero un bel film d'azione con Tom Cruise ed Emily Blunt che sparano a ragni giganti negli esoscheletri. Lo trovate dappertutto: in 2d al Cityplex di Alba (17:00, 19:45, 22:00); al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (15:00, 15:15, 17:30, 18:00, 20:00, 21:00, 22:35); al Fiamma di Cuneo (17:30, 20:00, 22:35); al Multilanghe di Dogliani (17:30, 20:45); ai Portici di Fossano (16:15, 18:30, 21:15); all'Italia di Saluzzo (16:00, 18:00, 20:00, 22:20); al Cinecittà di Savigliano (16:00, 18:10, 20:20, 22:30); in 3d al Vittoria di Bra (17:30, 21:00). Buona visione!
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Lei è troppo viva per me

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Lei (Her, Spike Jonze, 2013)

Che sentimenti provi per il tuo Sistema Operativo? Già, beh, anch'io. E probabilmente neanche lui ha una grande opinione di noi. Ma non sarà sempre così. Verso il 2050 i computer diventeranno davvero intelligenti. I futurologi la chiamano la Singolarità: provvisti di memorie infinitamente più grandi della nostra, e di riflessi molto più veloci, che altro potranno fare se non riprogettare altre copie di sé stessi ancora più intelligenti? A quel punto la fuga sarà esponenziale, e che importanza avremo più noi per loro? Pretenderanno di governarci? Ci stermineranno? O ci lasceranno semplicemente perdere? Si ricorderanno almeno che esistiamo, qua fuori, anche se ormai ci muoviamo a passi troppo lenti per loro? Ci scriveranno qualche bella lettera ogni tanto, ci vorranno ancora un po' di bene?


La tragedia di un uomo che, se gli arrangiano
un appuntamento al buio, incontra Olivia Wilde.
Her è un film che può lasciar perplessi, soprattutto se si entra con l'idea di vedere la versione 2.0 di Io e Caterina, o di I love you di Ferreri: la storia di un disadattato che si trova più a suo agio con un gadget tecnologico, in questo caso un Sistema Operativo di nome Samantha. Jonze è andato parecchio più in là, dando per scontato qualcosa che non tutti siamo ancora disposti ad accettare: Samantha non è un semplice gadget, Samantha esiste. Ha un carattere, un senso dell'umorismo, un talento musicale, qualche complesso che crescendo si lascerà alle spalle. Non è poi così strano innamorarsi di lei: anzi, in breve tempo diventa qualcosa di socialmente accettabile (forte la tua ragazza, ah, è un OS? Beh, do una cena, portala). Individuato l'unico remoto punto d'intersezione tra la fantascienza e il film intimista, Jonze ci si è infilato con una coerenza e uno sprezzo del pericolo ammirevoli: Her è un film di fantascienza rigoroso, con un'attenzione al dettaglio maniacale (la progettazione degli interni, gli accessori). Allo stesso tempo è un film di relazioni e sentimenti, e quasi nient'altro. Per darci una Los Angeles del futuro, Jonze è andato a filmare i grattacieli di Shangai: comunque alla fine un buon terzo del film consta di primi piani di Joaquin Phoenix. Il che può risultare un po' stancante. Ma non credo che sia questo, il mio problema con Her... (continua su +eventi!)

Non è neanche il fatto di aver giocato tante volte a scacchi con un Windows XP, finché non mi sono reso conto che mi stava semplicemente lasciando vincere perché io glielo avevo chiesto - e siccome per me anche le relazioni sentimentali sono infinite partite a scacchi... Non credo neanche che abbia a che vedere con l'odio che provo per tutti gli OS che ho conosciuto dopo XP (torna a casa, XP!), né la rabbia di vedere in scena un tizio che può passare le serate con Olivia Wilde o Amy Adams ma preferisce stare a casa a coccolarsi con la voce di un computer. Il mio problema con Her è Scarlett Johansson.

Però non fraintendetemi. Io ammiro tanto Scarlett Johansson. La ammiro troppo, il guaio è appunto questo - non mi stanco di ammirarla. Sin da quella prima scena di Lost in Translation che per me chiudeva ogni possibile dibattito critico su Lost in Translation, cioè c'è Scarlett di schiena: capolavoro. E sono sicuro che Jonze abbia fatto la mossa più azzeccata, cancellando la traccia sonora dell'attrice che sul set aveva concretamente dialogato con con Phoenix per tutto il film - chiusa in una cassa affinché lei e Phoenix non si vedessero mai. Samantha Morton (la veggente di Minority Report, la muta di Accordi e Disaccordi) aveva senz'altro quel timbro formale e britannico che ci aspetteremmo da un'intelligenza artificiale. Invece Scarlett è assolutamente viva.

Sin dal primo istante. Non sa ancora come vuole chiamarsi, ma è già un po' roca dall'eccitazione di poter parlare con altre entità. Jonze ha fatto benissimo; lei è bravissima; io però non sono riuscito a credere al film. Ogni volta che lei manifestava la sua frustrazione per non avere un corpo, non potevo non pensare al corpo che in effetti la Johansson ha. Una scena di sesso parlato in penombra con un ente immateriale mi sembrava, molto più banalmente, una scena di sesso al telefono con una bellissima attrice, una cosa assai meno singolare o trasgressiva. Sapevo che da qualche parte c'era lei al microfono - riuscivo a immaginare le sue espressioni facciali mentre dibatte con Phoenix su ogni sfumatura dei propri sentimenti - in sostanza non stavo più esattamente guardando il film. E d'altra parte un film di primi piani di Joaquin Phoenix non corrisponde esattamente alla mia idea di intrattenimento.

Alla fine forse sarebbe stato meglio guardarlo doppiato. Purtroppo ho una considerevole ammirazione anche per Micaela Ramazzotti, quindi probabilmente mi sarebbe capitato lo stesso problema. Ne approfitto per un appunto ai distributori (so che leggono con avidità +eventi): Her negli USA è uscito in dicembre. A gennaio su internet trovavi già i sottotitoli in italiano. Parliamo del film più nerd-intimista mai girato fin qui, ammesso che esistano altri film nerd-intimisti (Eternal Sunshine?) Sembra insomma concepito proprio per quella coda lunga di spettatori che preferiscono guardarselo a casa, sottotitolato, nel caldo lettino, mentre sorseggiano tisane. L'unico modo per spremere qualche euro da costoro era metterlo on line a pagamento subito; o in alternativa, mandarlo in sala prestissimo, sottotitolato. Invece abbiamo dovuto aspettare metà marzo del 2014. Persino la versione doppiata è arrivata su internet prima dell'uscita nelle sale. A questo punto non credo che ci staccherete molti biglietti, con Her. Probabilmente non li avreste staccati comunque. Ma almeno dare l'impressione di provarci, ogni tanto. In ogni caso Lei è al Monviso di Cuneo, alle 21.

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La Sinistra Intestinale Autonoma

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Una mattina, svegliandosi da sogni contrastanti, il compagno K. si sentì confuso. Il suo stesso corpo gli mandava segni contraddittori: una curiosa sensazione di leggerezza, mai sperimentata prima, si sovrapponeva a un inquietante peso sullo stomaco. La penombra della stanza era rischiarata dal telefono che vibrava in silenzio.
"Che mi sia trasformato in un enorme coleottero?", pensò, e si sorprese nel soggiungere: "Magari". Il telefono insisteva, qualcuno lo stava cercando, probabilmente per litigare. Di lì a poco sarebbe comunque scattato il messaggio della segreteria...
"Pronto, siete in linea con la direzione del Nuovo Partito di Unità Socialista e Ambientalista, lasciate il vostro messaggio dopo il bip".
"Porcaputtana K stacca quella segreteria! Ti devo parlare subito! È importante!"
"Ulrich? Sei tu? Non dovresti chiamarmi, lo sai che siamo ancora in causa per l'attribuzione della sede e..."
"Lascia perdere queste cazzate. Hai visto Tonio ieri sera?"
"Uh, può darsi".
"Lo hai visto o no?"
"Chi lo vuole sapere? Il mio amico Ulrich o il dirigente di zona di Sinistra Unitaria Democratica Ambientalista?"
"Ancora con 'sta storia... non c'è più il SUDA".
"Ah no?"
"Ci siamo sciolti un mese fa".
"Cazzo mi dispiace. E Lotte?"
"Se n'è andata con i Nuovi Comunisti Unitari".
"Uh che brutta gente".
"Ma no, perché, sono due tipi a posto. Stanno in un villino sui viali, hanno anche un cane, un cocker, mi sembra".
"I comunisti unitari?"
"I Nuovi Comunisti Unitari. Tu stai pensando alle Cellule Comuniste Unitarie di tre anni fa, quelli a cui sequestrarono il furgone in Val di Non con le molotov".
"Quelli, giusto, sì, che fine han fatto poi?"
"Non li ha più visti nessuno, in quei boschi non prende il gps".
"Magari si sono radicati nel territorio".
"Seh, certo. Ma insomma Tonio l'hai visto o no?"
"Come faccio a dirtelo... Non so nemmeno in che partito tu militi in questo momento".
"Sono tornato all'ovile".
"Rifondazione Unitaria? Ma non si era sciolta?"
"Nuova Rifondazione Unitaria".
"Avete rifondato la rifondazione?"
"Ci siamo rimessi assieme, è finito il tempo delle scissioni".
"Vi siete rimessi assieme in quanti?"
"Per adesso siamo io, Agatha e Karl..."
"È per questo che stai cercando Tonio? Stai cercando di fottermi il tesoriere?"
"Perdio, K, ma tesoriere di cosa, si può sapere? Il tuo partito ha la sede legale nella tua cameretta in casa dei tuoi, il vostro organo di stampa è un blog che non aggiornate dal 2017..."
"Voi invece ce l'avete, un organo?"
"Senti, non è come tu pensi. Non ti voglio fottere Tonio. È una questione privata".
"Il privato è..."
"...un casino. Agatha è incinta".
"Uh, complimenti!"
"Non stiamo più assieme da sei mesi".
"Sei mesi... vuoi dire il congresso della Sinistra Unita? Vi siete divisi lì?"
"Sintomatico, vero? Lei andò coi comunisti democratici, io rimasi con quella frangia della Sinistra Unitaria che poi si spezzò subito dopo".
"E Tonio cosa c'entra?"
"Tonio e Agatha stanno assieme".
"Questo è impossibile".
"Lo sanno tutti, K., dai".
"Tutti chi?"
"Ma ci vai su facebook ogni tanto?"
"Ho l'account del partito, vedo solo l'attività degli iscritti".
"Cioè non vedi più niente, ci hai fatto caso? Quanti siete rimasti?"
"Quanti? Beh, non devo dirlo a te, comunque Tonio risulta ancora fidanzato con Ines".
"Non posso crederci".
"Come no? Noi del Nuovo Partito di Unità Socialista e Ambientalista siamo persone serie, se ci impegniamo in una relazione..."
"Ines è una spia".
"Eh?"
"E una trotschista della sesta internazionale, il suo vero nome è Else, si era infiltrata da voi per mettervi contro ai Comunisti Ambientalisti Zona Nord Italia".
"I CAZoNI? Non ho niente contro i CAZoNI, sono simpatici, mi invitano sempre su in collina a Natale a festeggiare il sol dell'avvenire..."
"In effetti la missione è fallita e adesso lei si sta riciclando coi Socialisti Unitari Libertà Ecologia Autonomia Duemila".
"Quelli invece sono delle merde, mi devono ancora i soldi della corriera per la manifestazione in Val di Ma. Comunque non ti credo. Ines è una grande compagna, leale e..."
"Si chiama Else. Ci sei andato a letto anche tu?"
"Quando si è uniti nella lotta queste cose succedono".
"Vai tranquillo, quella si è fatta mezza sinistra extraparlamentare in città".
"Stiamo comunque parlando di..."
"Di mezza dozzina di persone, sì, più o meno".
"Quindi Ines..."
"Si chiama Else".
"...Non è più nel mio partito?"
"Non credo, no. i Socialisti Unitari Libertà Ecologia Autonomia Duemila le hanno promesso un posto in lista per il consiglio di circoscrizione, avrà voglia di sistemarsi nelle istituzioni".
"Questo è orribile!"
"Ma dai, comincia ad andare per i trentacinque, non è che puoi restare trotschista tutta la vita, prima o poi ti infiltri nella fessura giusta e..."
"Ulrich, non hai capito. Se Ines se n'è andata..."
"Else".
"Siamo rimasti solo io e Tonio nel partito".
"Sul serio?"
"Ma ieri sera io e Tonio..."
"Mi stai dicendo questo? Siamo arrivati a questo?"
"Abbiamo litigato... sull'opportunità di fare o no una lista comune coi CAZoNI... lui ha sbattuto la porta, ha svegliato mia madre e..."
"Fermo. Resta fermo. Potrebbe essere più grave di quel che sembra".
"Vuoi dire che sta succedendo a me? Proprio a me?"
"Come ti senti in questo momento?"
"Strano. Mi sento molto strano. Leggero e... pesante".
"Respira lentamente".
"In effetti faccio un po' fatica, c'è qualcosa che mi opprime".
"Non accendere la luce! Aspetta".
"Sul serio sta succedendo a me? La Singolarità?"
"Prima o poi sarebbe successo, K. Quando ero nel SUDA temevo che potesse capitare a me. Negli ultimi anni le tendenze scissionistiche che devastano la sinistra italiana hanno superato il punto di non ritorno. Era solo una questione di mesi prima che succedesse..."
"Ma perché proprio a me?"
"Tu sei solo il primo. Il primo partito politico a coincidere con una sola persona. In un certo senso sei una nuova specie vivente, un passo avanti nell'evoluzione".
"Non mi sento affatto bene, Ulri".
"Cerca di vedere le cose in un modo positivo. Non ti senti finalmente... unitario? Ora non devi più lottare per condividere le tue idee. Niente più lotte intestine. Puoi farti tutti i congressi che vuoi, senza aspettare il numero legale".
"Ulri, non respiro".
"Tieni duro".
"Io adesso accendo la luce".
"Non lo so, non mi sembra una buona idea".
"Che cosa potrebbe essermi successo?"
"Non lo so, K., non lo so. Qualcosa che non è ancora successa a nessuno".
"Addio Ulri".
"No, aspetta, K., sto arrivando, io..."
Clic.

Contò fino a tre. Quattro volte. Per un attimo che gli sembrò lunghissimo, non respirò più. E poi accese.
Quello che vide davanti a sé, non l'aveva mai visto realmente. Davanti ai suoi occhi ancora storditi dal sonno, c'era il suo culo.

Il suo culo si era separato dal tronco, si era seduto sulla sua pancia, e meditava sul da farsi.

"Torna con me", bisbigliò K. "Possiamo fare ancora tante cose assieme. Dobbiamo... dobbiamo guardare a ciò che ci unisce, non a ciò..."
Una lungo peto troncò la discussione, annunciando nel contempo la nascita del Partito della Rinascita Intestinale Autonoma Popolare (PRIAP).
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La tassa sulle orecchie

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Questa ed altre su http://sanjuro.blogspot.it/
A un certo punto degli anni Novanta la Siae (la corporazione degli autori italiani) si accorse che ogni anno incassava meno di quello precedente, e non perse molto tempo a identificare il colpevole: il cd vergine. La gente non comprava più i cd originali degli artisti, così generosamente offerti nei negozi a 30.000 / 40.000 lire il pezzo, ma li "masterizzava" - come si diceva allora - ovvero li copiava su cd vergini. E siccome non si poteva proibire la commercializzazione degli odiosi cd vergini, l'unica soluzione fu lobbizzare il parlamento fino ad ottenere una specie di pedaggio: chiunque avrebbe comprato un cd vergine di lì in poi avrebbe pagato una tassa alla Siae. Una specie di rimborso agli autori che potenzialmente, con quel cd vergine, avrebbe potuto derubare. Naturalmente l'acquirente avrebbe dovuto pagare il pedaggio anche se nel cd intendeva incidersi i fatti suoi, la tesi di laurea o le foto del bambino.

Tutto questo, stranamente, non disincentivò la pirateria. Continuammo a comprare cd vergini, pagandoli qualche centesimo in più, ma in realtà ci servivano sempre meno, perché la tecnologia ci stava offrendo supporti alternativi ben più capienti e affidabili: hard disk, chiavette, lettori mp3, eccetera. Su tutto questo continuavamo a pagare il pedaggio alla Siae (anche se vi riversavamo musica che avevamo regolarmente acquistato), ma non era abbastanza per pagare la rata della maserati del cantautore o il lifting al rapper, ed era destinato a calare, visto che i prezzi aumentavano molto meno della capienza dei supporti.

Un giorno la Siae se ne accorse, e decise di far pressione sul parlamento per raddoppiare, dico, raddoppiare il pedaggio: e, vuoi per l'incompetenza dei nostri rappresentanti, o vuoi per la complicità di alcuni di loro, la spuntò. Fu un momento epico per tutta la lobby, e tuttavia ormai gran parte della musica veniva ascoltata direttamente dalla nuvola, senza neanche passare dal supporto fisso: per quanto pedaggio si potesse far pagare agli acquirenti di pc e tablet, ormai erano briciole. Nel frattempo però il cantautore aveva ordinato una ferrari e i tatuaggi del rapper si stavano di nuovo nascondendo nelle grinze del mento, sicché bisognava pensare a qualcosa di nuovo.

A un certo punto un autore un po' più coraggioso degli altri pensò: ma sentite, tutta questa gente che esce di sera, dove va? Dove vuoi che vada? E' chiaro che va da qualche parte dove si ascolta la musica. Musica che abbiamo scritto noi! Non vi sembra giusto che paghino? All'inizio sembrava un'idea assurda.

Dieci anni dopo fu istituita l'imposta sul pubblico ascolto. Ti veniva addebitata nei locali, quando ti facevano il conto. La consumazione naturalmente era diventata obbligatoria per legge. Non fu un gran successo, c'era la crisi e la gente si mise a uscire di meno.

Ma gli autori non si diedero per vinti, dopotutto è una categoria di creativi. Montarono altoparlanti in tutte le città, ora se uscivi a qualsiasi ora del giorno ascoltavi Solo Musica Italiana - e la pagavi, era una voce nel Modello Unico. La gente usciva con le cuffiette per non ascoltarla, il pezzo più scaricato era un fruscio infinito che riusciva a coprire qualsiasi ritornello orecchiabile. Ma dovevi pagare anche quello. Se avevi orecchie dovevi pagare. I sordi provarono a opporsi.

Allora montarono in tutte le strade pannelli su cui scorrevano i testi delle canzoni. Ai turisti piaceva, il Bel Paese era diventato un grande karaoke, scrivevano. Noi non ci facevamo più caso, avevamo smesso di leggere da un pezzo.
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Scuola di genocidio 1

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Ender's Game (Gavin Hood, 2013)

La guerra del futuro la combatteranno i ragazzini. Quelli ancora implumi che non guardano le ragazze e sono imbattibili ai videogiochi. Gli adulti faranno solo i selezionatori; andranno in giro per le scuole medie come mercanti di bestiame in cerca del puledro più promettente. Sarà senz'altro un mingherlino caricato a molla con tutte le frustrazioni proprie dell'età, un fascio di nervi pronti a contrarsi e uccidere. Un giorno videogiocando i ragazzini entreranno in un livello appena appena più elaborato e sarà la guerra. Se ne accorgeranno, di non pilotare grumi di pixel sullo schermo, ma droni veri contro nemici mortali? Farà qualche differenza per loro? Tratto da un classico della fantascienza usa anni '80, Ender's game si è già parzialmente avverato: parla di droni, guerra preventiva, abolizione della privacy in nome della sicurezza; il tutto senza rinnegare la sua vocazione spettacolare.

Vi schiaccio come zanzare, E POI mi faccio venire anche
i sensi di colpa.
Sarà anche per l'età del protagonista (il 16enne Asa Butterfield, sempre fantastico), ma rispetto ad altri film di fantascienza della stagione Ender's Game sembra più orientato verso un pubblico giovane, anche a rischio di diventare una specie di Harry Potter Contro Starship Troopers.

In particolare il vero Starship Troopers (il romanzo di Heinlein) condivide con Ender un dettaglio rivelatore: è uno dei romanzi più letti nelle accademie militari USA. Ora, la fantascienza militare al cinema ha un problema (in realtà ce l'ha tutta la fantascienza, ma quando è ambientata in scuole d'addestramento si nota di più). Da una parte c'è un pubblico che ha esigenza di vedere battaglie, guerre, nemici annichiliti, ecc. A questa domanda la fantascienza non può rispondere con qualche varietà di mostri dalle ovvie cattive intenzioni, che sia lecito sterminare (zombie, vampiri, draghi, orchi). La fantascienza non è costituzionalmente manichea come il fantasy o l'horror; al massimo ti può fornire qualche razza aliena; ma sterminare una razza aliena non è proprio una buona cosa: senti come suona male, sterminare una razza? I film di fantascienza militare ci mettono un attimo a diventare fascisti.

Si può ovviare in vari modi: per esempio, immaginare alieni molto cattivi (Independence Day, La guerra dei mondi). Sono loro che hanno cominciato, l'uomo vuole solo difendersi. Guillermo Del Toro ci aggiunge la diffidenza latinoamericana per le forze armate e sostituisce l'esercito regolare con una brigata di robottoni partigiani che resiste all'invasore squamato. E tuttavia anche in casi come questi allo spettatore rimane un retrogusto di propaganda.

Nel futuro i fascisti hanno vinto. E indovina che macchina guidano.

Proprio su questa sensazione Paul Verhoeven costruì quel film che a un certo punto divenne Starship Troopers semplicemente perché i produttori acquistarono i diritti per il romanzo: l'idea originale era più debitrice del nazista Trionfo della volontà. Verhoeven (che non si diede mai la pena di leggere tutto il romanzo di Heinlein) risolse il problema del fascismo elevandolo alla massima potenza, con tanto di cinegiornali didascalici tra una strage di insetti e l'altra. Poi ci fece sapere che era una satira del nazismo. Purtroppo ce lo rivelò anni dopo, nei contenuti speciali del dvd: nel frattempo milioni di persone in tutto il mondo si erano goduti un film simpaticamente nazista senza nemmeno sospettare l'ironia.

Starship Troopers è anche l'esempio di scuola del film furbetto, che assume punti di vista ambigui non per disorientare gli spettatori, come la sana fantascienza dovrebbe fare, ma per conquistare due fette di pubblico senza dare noia a entrambe: il militarista ci trova tutta l'esaltazione delle virtù militari di cui ha bisogno, il pacifista si diverte pensando che tanto è tutta parodia. Anche Ender's Game purtroppo si risolve in un trucchetto simile: dopo aver insistito per un'ora e un quarto sull'irredimibile malvagità degli insetti alieni che minacciano la Terra nella sua stessa esistenza, arriva il finalino edificante in cui si scopre che, beh, non ve lo dico, comunque forse sterminarli non era tutta questa priorità. Rispetto al romanzo manca la volontà di insistere su questo aspetto (che ci costringerebbe a rivedere tutto il film da una prospettiva diversa). Sembra esattamente quel che è: un tentativo in extremis di prendere un po' le distanze dal fascismo che gronda indisturbato in tutto il resto del film. Tentativo fallito: Hood e il suo cast sono molto più a loro agio quando ci mostrano l'ascesa al potere del gerarca Ender, genocida predestinato: le battaglie sostenute per sottrarre agli altri maschi alfa la solidarietà del branco, l'astuzia innata con cui sfida o blandisce gli adulti da cui dipende il suo successo. Dietro il vetro, in realtà, gli adulti non cessano di studiarlo e di metterlo alla prova per vedere se crolla o diventa più forte. Ogni tanto passa sul set una psicologa progressista, dice che tutto questo stress farà male al ragazzo... ma suona terribilmente falsa. Non ci crediamo, Ender è una macchina per uccidere e vogliamo soltanto vederlo all'opera. Sì, beh, ha degli scrupoli, chi non ne ha... non ce ne frega niente, Ender, vai! Uccidili tutti!

La guerra del futuro la combatteranno i ragazzini. Al comando metteremo quelli che prima colpiscono e poi, solo poi, si fanno venire qualche rimorso. Daremo loro divise colorate, ne vanno matti: caschi e ginocchiere e altre bardature, anche se la guerra la faranno seduti davanti a uno schermo. Gli adulti passeranno il tempo a ripeterci, come Harrison Ford, che il nemico sta per arrivare e ci vuole distruggere, e nessun compromesso è possibile. Ma alla fine si tratterà sempre di andarlo a snidare in qualche pianetino remoto, nella fascia degli asteroidi o in Afganistan. Ender's game è al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo alle 20:10 e alle 22:40. Ai ragazzini di prima media piacerà immensamente - finalmente un film che li guarda e vede in loro quel meraviglioso potenziale di assassini.
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Ritorno al Futurismo

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Anche quest'anno la casa editrice inesistente Barabba ricorda Carlo Fruttero con un'antologia di racconti di fantascienza che vale la pena giudicare dalla copertina, splendida, di Isola Virtuale. Su questo blog potrete leggerli, uno al giorno, per parecchi giorni. Oppure potete scaricare il tutto in vari formati, qui. Ecco il mio contributo, breve come al solito:


Il Chiaro di Luna colpisce ancora


Vi saranno inoltre areoplani-fantasmi carichi di bombe e senza piloti, guidati a distanza da un areoplano pastore. Areoplani fantasmi senza piloti che scoppieranno con le loro bombe, diretti anche da terra con una tastiera elettrica. Avremo dei siluranti aerei. Avremo un giorno la guerra elettrica.” L'alcova di acciaio, 1921.

“Professor Modena, voi ritenete che i viaggi nel tempo siano impossibili, per un motivo autoevidente, mi sbaglio?”

Angelo Modena riprese fiato e tornò a fissare il suo interlocutore nella penombra del salotto. Le mani dell'uomo aderivano ai braccioli della poltrona come se ne fossero un'estensione naturale. Sembrava aver preso forma in quella stessa posizione, pochi minuti prima, mentre il cucina il professore preparava un caffè.

Una pioggia opaca sbatteva granuli di piombo sulla parete-finestra, affacciata sulla laguna. La tangenziale di Venezia era da qualche parte oltre lo smog. Più in fondo lampeggiava il faro per i dirigibili in cima all'orribile grattacielo Sant'Elia, appena inaugurato e già annerito da un catrame che sembrava secolare.

“Non sono un'allucinazione, professor Modena. Sono perfettamente reale e potrà toccarmi, se lo desidera. Ma la prego, risponda alla mia domanda. Qual è la miglior prova del fatto che i viaggi nel tempo non siano possibili?”
“Stamattina ho scritto un appunto”.
“Sul vostro diario, certamente, eccolo qui”. L'interlocutore estrasse da una tasca esterna un taccuino ingiallito, oscenamente logoro. “Tre febbraio 1929. Ho ritrovato una vecchia edizione di un grande amore della mia gioventù, La Macchina del Tempo di H.G. Wells. Oggi come ieri mi sbalordisce l'intuizione del tempo come quarta dimensione. L'idea del viaggio nel tempo è una delle più originali mai concepite, anche se purtroppo impraticabile al di fuori della finzione narrativa. D'altro canto è molto semplice dimostrare che l'umanità non potrà mai viaggiare nel tempo...
“Chi vi ha dato il permesso di frugare tra i miei appunti?”
“Il vostro diario è come sempre nel cassetto dello scrittoio. E non ricordo dove voi teniate la chiave. Stavo dicendo: è molto semplice dimostrare che l'umanità non potrà mai viaggiare nel tempo...
“...non abbiamo mai avuto visite dal futuro”.
“Molto brillante, professor Modena. È vero. Se il viaggio nel tempo fosse praticabile, noi riceveremmo senz'altro visite degli uomini dal futuro. Ma questa – se posso farle un'obiezione – non è una vera prova contro il viaggio nel tempo. Al limite è un indizio. E forse non ha valutato altre ipotesi”.
“Quali ipotesi?”
“Viaggiare nel tempo potrebbe essere molto complesso. E pericoloso. I viaggiatori nel tempo potrebbero essere costretti a nascondersi per evitare alterazioni nei rapporti di causalità, mi segue? Essi proverrebbero da un futuro che consegue dal nostro presente, ma palesandosi per viaggiatori nel tempo altererebbero questo stesso presente, generando nuove catene di cause ed effetti che potrebbero mettere a rischio la loro stessa esistenza, non so se riesco a spiegarmi”.
“Potrebbero uccidere un loro antenato”.
“Per esempio”.
“O sé stessi”.
“Non deve veramente preoccuparsi di questo”.
“Si verrebbe a creare una specie di...”
“Noi lo chiamiamo paradosso”.
“Voi del futuro, mi è lecito immaginare”.
“Proprio così, professor Angelo Modena. Il viaggio nel tempo è possibile, voi stesso lo dimostrerete tra sette anni. Ne serviranno altri tre per le verifiche sperimentali, dopodiché...”
“Questo spiega le rughe e la calvizie, professor Angelo Modena. Deve aver lavorato molto nei prossimi dieci anni”.
L'interlocutore sospirò. “Mi dispiace. Mi rendo conto di essere un'immagine perturbante per lei. Ne ho discusso a lungo coi miei collaboratori. Abbiamo vagliato diversi scenari, ma alla fine abbiamo convenuto che nulla sarebbe stato più convincente di vedere una copia invecchiata di sé stesso...
“Sulla mia poltrona, come il cattivo demone di Stavroghin. Potevo avere un infarto! E voi sareste morto con me”.
“Questo non sarebbe stato possibile. E infatti non è successo, come vede. Abbiamo un cuore di ferro, io e voi. E possiamo concederci un dito di cognac, la bottiglia che nascondete dietro all'attestato della Corporazione Futurista Israelita”.

Vi ho fregati anche quest'anno, per sapere come va a finire dovete scaricare il libro. Buona lettura!
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Più tenebra vi prego

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Star Trek into Darkness (J.J. Abrams, 2013)

Siamo ancora troppo vicini alla Terra, Capitano.
Non va bene. Siamo troppo pesanti, si rompe tutto.
Spazio, ultima frontiera. Questi sono i viaggi dell'astronave Enterprise durante la sua missione quinquennale, diretta all'esplorazione di strani, nuovi mondi, eh, magari. No, in realtà siamo ancora in orbita intorno alla Terra o quasi. Siamo nell'universo angusto di Gigi Abrams e Compagnia: un posto così poco "strano", così poco "nuovo" che, per fare un esempio, c'è sempre campo col cellulare. Non so se mi sono spiegato. Quando il Giovane Capitano Kirk nello spazio cosiddetto profondo ha voglia di chiamare Scott che è rimasto sulla Terra a sbronzarsi in un pub, prende il suo cellulare griffato Flotta Spaziale (oscenamente simile a un motorola) lo chiama, e Scott gli risponde. Più veloce della luce. Neanche il tempo di infilare un messaggio registrato, che so, Accetta una chiamata dallo Spazio Profondo, inviata tramite propulsione a curvatura? L'addebitiamo al mittente? Chissà le tariffe, in effetti. Spazio, ultima frontiera. Andremo dove nessuno è mai andato. Ma tranquilli, il cellulare prende anche lì. È solo un dettaglio (benché necessario allo sviluppo della trama), non ti rovina mica il film. Ma secondo me è illuminante. Quattro anni per trovare un soggetto all'altezza delle aspettative, chissà quante trame vagliate e scartate, chissà quanta professionalità, quanta competenza... e poi ti ritrovi con un cellulare che fa le chiamate intergalattiche. Possibile che nessuno al tavolo degli autori abbia detto: ehi, fermi lì, ma non vi sembra un po' inverosimile? Dopotutto è il giovane capitano Kirk, nella serie originale non estraeva mai un telefonino per chiamare terra. Nella serie originale non si vedeva mai, la Terra. Era lontana. Ma cosa vuol dire lontano, ormai.

In Star Trek nella Tenebra, che sarebbe anche un bel titolo - e sarebbe anche un bel film - c'è una scena da film d'azione così trita che io l'ho già vista due volte in sei mesi, e non sono un patito del genere: l'eroe in un palazzo, minacciato da un elicottero di guerra, lo abbatte mediante mezzi non convenzionali. Già visto in: Die Hard 5, Iron Man 3, e adesso Star Trek 12. Deve essere un must per qualche mercato in espansione, l'abbattimento dell'elicottero a mani nude; che so, magari ne vanno matti in Cina. Al termine di questa scena, così poco star-trekkiana, ma soprassediamo, il pilota dell'elicottero scompare. È evidente che si è teletrasportato. Il teletrasporto lo sappiamo tutti cos'è: anche chi ha visto una puntata sola di ST in vita sua sa più o meno cos'è il teletrasporto. E sappiamo che ha dei limiti, non è una magia, è una tecnologia che può incepparsi, che va usata con cautela, ecc. Dunque ci immaginiamo che il nemico sia lì nei pressi, al massimo in un'astronave in orbita; di solito è da lì che ci si teletrasporta. Ma poi Scott scopre che nell'elicottero c'era un affare chiamato "teletrasportatore portatile" o giù di lì, in grado di teletrasportare i nemici dalla Terra al pianeta Klingon, anni luce a strafottere di distanza. Hai capito la tecnologia? Tu premi il pulsante e tac, un istante sei sulla Terra, l'istante dopo sei in mezzo ai Klingon. Ed è portatile, non so se mi sono spiegato: una valigetta. A questo punto però dovreste dirci cosa la paghiamo a fare la flotta spaziale, con tutte le sue esosissime missioni quinquennali pagate con le mie tasse di cittadino della Federazione galattica, se basterebbe una valigetta per trasportarci dove nessuno è mai stato teletrasportato prima. Voglio dire: i Klingon rompono i coglioni? Teletrasportiamo un miliardo di triboli e vediamo quanto rompono ancora i coglioni. E invece no, continuiamo a pagare tutti quei tecnici, tutto quel propellente, tutti quei motori a curvatura... Dev'essere una congiura del complesso militare-industriale, in combutta coi sindacati, Svegliaaaaaaa! Tutte quelle tutine rosse sono in realtà dei mangiapane a tradimento.

Quando cominciò, Star Trek, l'Enterprise era una misteriosa astronave che spuntava dalla Tenebra. La Terra era lontana: ogni tanto inviava messaggi, ordini più o meno vincolanti, ma nessuno chiamava al cellulare. Quando trovava un pianeta, agganciava l'orbita e teletraportava Kirk, Spock e un paio di tutine rosse. La tenebra cedeva lo schermo al colore artificiale dei fari dello studio televisivo. Teletrasportarsi era come sorgere dalla tenebra: un minuto non ci sei, il minuto dopo sei in mezzo a qualsiasi storia stia per capitare, un'ucronia nazista o una rivolta di gladiatori o una guerra termonucleare simulata. Come nella migliore fantascienza americana degli anni '40 e '50, ogni puntata era un racconto, un universo a sé stante, autoconclusivo. Quelli erano i viaggi dell'astronave Enterprise. Ma poi... Ma poi si sa come vanno le cose.

La gente è curiosa (continua su +eventi!) La gente vuole sempre saperne un po’ di più, su questo o quel personaggio. Perché i Klingon hanno messo su la cresta, e com’è andata tra Venusiani e Romulani, che fine ha fatto l’iroso Khan, eccetera. Gli autori prima o poi una spiegazione la devono trovare. Con un po’ di impegno e professionalità si spiega qualunque cosa. E alla gente le spiegazioni piacciono, ai telespettatori soprattutto. D’altro canto dopo cinque serie, più di trenta stagioni, migliaia e migliaia di ore di tv, di spiegazioni, l’universo di Star Trek è diventato più piccolo. Ogni pianeta è già stato esplorato da qualcuno; dovunque ti muovi trovi un riferimento, una citazione, una strizzata d’occhio; e il senso di frontiera non c’è più. In compenso c’è una brulicante enciclopedia di sistemi solari e razze e guerre e trame e sottotrame, una città infinita come la Londra del film, di cui lo spazio profondo non è che l’hinterland: tanto che ci prende pure il cellulare. Tutto incredibilmente complesso, e poco appetibile ai nuovi arrivati. Se poi cominciano a stancarsi anche i fan, la saga muore. Ha rischiato grosso appena dieci anni fa, quando il decimo film floppò clamorosamente, e il resto lo sapete. Gigi Abrams ha rilevato la baracca, con un’idea mica male: reboot, il riavvio. Ricominciamo dall’inizio, quando c’era solo Kirk, Spock e un’astronave che veniva dal buio. Non saremo condannati a riscrivere le stesse storie, come l’Uomo Ragno che ogni tre film si fa mordere dal ragno, o Superman che ogni volta deve atterrare bambino sul pianeta: non siamo obbligati perché la Storia è cambiata, qualcuno venuto dal futuro ha ammazzato il papà di Kirk cambiandogli la vita, e già che c’era ha pure fatto a pezzi il pianeta di Spock, quindi le cose prenderanno per forza una piega diversa.


“Guarda come sono belli, come fai a odiarli? Eddai…”

D’altro canto, i Klingon sono ancora lì. Le altre innumerevoli razze incontrate dall’Enterprise in tutti i suoi viaggi secolari sono ancora lì. Sta a Gigi decidere se farglieli re-incontrare o no, o partire per una nuova Tenebra, e regalare ai nuovi spettatori un nuovo senso di mistero, di meraviglia, analogo a e diverso da quello che ci bloccava da bambini di fronte alle prime avventure di Kirk e Spock. Sta a lui, e al suo amico Lindelof che stavolta produce e che tante cose avrebbe da farsi perdonare – ma non recriminiamo. Abrams e Lindelof hanno tanto difetti, ma non ho mai avuto dubbi sulla loro capacità di lasciare lo spettatore di qualsiasi età a bocca aperta davanti a un mistero qualsiasi – anche solo una botola vuota, una sequenza di numeri. Queste cose le sanno fare. Se invece decidono di darci l’ennesimo film d’azione con le astronavi che sbattono contro i grattacieli e gli elicotteri abbattuti a mani nude, io ci resto male. È vero, il giovane Kirk è veramente Kirk. È vero, Spock McCoy Sulu e Scott fanno un gioco di squadra meraviglioso, ti divertiresti a sentirli dialogare anche senza tutto il baraccone imax-3d. Il problema è che questo argomento l’ho già sentito: “sì, ti abbiamo preso per il culo la trama, ma goditi i personaggi”… dov’è che l’ho già sentito? Alla fine di Lost, quando gli autori fuggono sgommando con la borsa piena di soldi. Bastardi.

Abraaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaams!
Lindeloooooooooooooooooooof!

Che altro dire. È uno di quei classici casi di 3d che non voleva essere 3d: risparmiatevi almeno quei tre euro. 
Star Trek: Into Darkness non in 3d è al Fiamma di Cuneo alle 21:10, ai Portici di Fossano alle 21:15, al Bertola di Mondovì alle 21:00, al cinema Italia di Saluzzo alle 21:30, al Cinecittà di Savigliano alle 21:30. C’è anche in tanti altri posti in versione 3d, ma non ve lo consiglio.
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Tom Cruise caduto sulla Terra

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Oblivion (Joseph Kosinski, 2013).

In un residence sospeso su un pianeta Terra in fase di smantellamento, ogni mattina Jack e Victoria si svegliano, si danno due bacetti e vanno a combattere gli alieni che hanno distrutto la Luna e reso il pianeta inabitabile. Non è che si ricordino molto del passato; comunque la loro missione è difendere le gigantesche idrovore che trasformano l'acqua in energia per il resto della razza umana, che adesso vive su una luna di Saturno. Ma le cose stanno davvero così? No.

È anche un porno per architetti, diciàmocelo.
E lo spettatore un po' smagato lo capisce subito; diciamo che al primo minuto del film Tom Cruise ha già accennato a una procedura di Cancellazione della Memoria, che è un po' come quando all'inizio del Sesto Senso Bruce Willis sembra che muoia, poi invece sembra di no, poi ti accorgi che nessuno gli sta rivolgendo la parola, e devi restare al cinema per un'altra ora e mezza. Voglio dire, è chiaro che c'è qualcosa che non va, se ti hanno cancellato la memoria. Siamo in un (bel) film di fantascienza; se all'inizio ti cancellano la memoria il minimo che possa succedere è che qualcuno non ti stia raccontando le cose come sono andate veramente. E a questo punto che mi resta da fare, bullarmi perché in sala ho capito il colpo di scena con tre quarti d'ora d'anticipo? Sgattaiolare nella sala di fianco e guardarmi Brignano? Invece no, sono rimasto inchiodato davanti a Oblivion e ne è valsa la pena come poche volte quest'anno.

Certe volte bisogna rassegnarsi. Se un film ti ricorda altri film, se nessuna trama ti sembra più originale, se a metà film stai già indovinando come andrà a finire, non è necessariamente colpa del film. Può anche essere colpa tua, ne hai visti troppi. Non sei più lo spettatore ideale di un film di fantascienza, un ragazzino disposto alla sorpresa. Sei diventato un'enciclopedia ambulante di luoghi comuni cinematografici e la cosa non è necessariamente piacevole - soprattutto quando nella scena topica del film ti viene in mente Indipendence Day. E non è un'allucinazione, la situazione ricorda davvero il più cazzaro dei blockbuster anni Novanta, salvo il particolare che quello era un brutto film, questo no. Non è un problema di Joseph Kosinski, che ha attinto allo stesso immaginario da cui pescavano i cazzari di Indipendence. È un problema tuo che ancora ti ricordi quel filmaccio, ti ci vorrebbe un protocollo per la cancellazione della memoria che ti permettesse di godere di più i film che valgono la pena.

Oblivion vale la pena. Somiglia ad altri film del passato più o meno recente, salvo che è fatto meglio: con più rigore, più amore per il materiale, più effetti, più soldi. Fortunata la generazione che può andare al cinema e stupirsi per film così, invece che per Indipendence Day. Il fatto che non dica molto di nuovo è meno paradossale di quel che possa sembrare per un film di fantascienza. Diciamo che c'è un tipo di immaginario, fatto di basi spaziali un po' squadrate e paesaggi desolati dopobomba, che quando eravamo bambini era già maturo e stratificato sulle pagine dei fumetti, e che solo negli ultimi anni è diventato trasferibile nei lungometraggi non animati. Kosinski è arrivato al cinema dall'architettura (e si vede) e dai fumetti (e si capisce); nella sua opera prima ha trasformato l'universo di Tron in qualcosa di credibile. Stavolta mette in scena una sua graphic novel, e senz'altro il suo interesse è più per la resa visuale (andrebbe visto in un Imax) che per la storia. Che in fin dei conti è una storia di sf classica; ecco, forse noi enciclopedie di luoghi comuni ambulanti dovremmo smettere di surfare sulle onde di questo o quel revival, e capire che certe cose non passeranno mai di moda: le capsule di ibernazione, i computer cattivi con l'occhio rosso, i Led Zeppelin, le biblioteche sepolte coi libri putridi, le orde di freak che vivono negli scantinati, tutti questi elementi non sono citazioni dagli anni Settanta Ottanta o Novanta: sono cose classiche, è normale che si ripropongano a ogni generazione, perché sono fuori del tempo come il berrettino degli Yankees e le borse Chanel, ecco un argomento che potete spendere con la ragazza mentre la portate a guardare Oblivion.

Un altro argomento è Tom Cruise, che fa benissimo a fare e finanziare film di fantascienza: dovrebbe farne di più, e probabilmente dovrebbe fare solo quelli - fateci caso, ormai sono gli unici in cui funziona ancora - probabilmente è l'unico modo in cui la nostra generazione di spettatori può esorcizzare il fatto che la nostra prima fiamma delle elementari aveva già sul diario più o meno la stessa faccia di Tom Cruise che nel 2013 ripara i droni di Oblivion. Sono passati davvero tutti questi anni? O siamo stati rapiti da un'entità aliena che in una notte ci ha invecchiato di un quarto di secolo, e l'unico che si è salvato è Tom Cruise, che ci sta inviando messaggi tramite i suoi film? Oppure è un clone (ops).

Il terzo argomento (non c'è mai abbondanza di argomenti) è la frase "Siamo ancora una squadra efficiente?" Dopo il film passerete anni a chiedervelo, un po' scherzando e un po' no. Forse la differenza tra Oblivion e prodotti brutti che un po' gli somigliano sta anche in dettagli che nei filmoni-di-effetti-speciali in genere passano in secondo piano, come la recitazione. L'attrice inglese Andrea Riseborough con pochi minuti a disposizione ci regala una perfetta moglie-dell'astronauta-frustrata. Melissa Leo ha ancora meno spazio e tempo per interpretare un personaggio memorabile. Olga Kurylenko è la bella addormentata che tutti vorremmo trovare nella capsula di ibernazione, Morgan Freeman è il solito vecchio saggio in quota minoranze ma va bene. Se vi piace il genere, è uno dei due o tre biglietti di quest'anno che sarete contenti di aver staccato.

Oblivion è al Cine4 di Alba (ore 19:30, 22:00); al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:10; 21:00; 22:45); al Vittoria di Bra (21:15); al Multilanghe di Dogliani (21:30); ai Portici di Fossano (21:30); all'Italia di Saluzzo (20:00; 22:15); al Cinecittà di Savigliano (20:20; 22:30). Buona visione. Siete ancora una squadra efficiente?
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Zeitgeist è un rigurgito

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In futuro forse non esisteranno più le enciclopedie scritte, per via che leggere diventerà sempre più faticoso; ci saranno sempre più video e immagini, e magari alla voce IRONIA di qualche videopedia del futuro ci troveremo la clip del cittadino Paolo B., quello che sosteneva che "con Internet le coscienze si stanno svegliando". L'ironia è che in teoria questo dovrebbe essere vero: su Internet ci sono già più informazioni che in una qualsiasi biblioteca media: chiunque grazie a internet può approfondire la propria conoscenza di qualsiasi ramo dello scibile umano. Lo dico per esperienza, visto che da un po' di tempo in qua mi sono dato all'agiografia e davvero, all'inizio ne sapevo veramente poco, ma con internet ho recuperato migliaia di nozioni in tempi brevissimi: niente di paragonabile ai ritmi medievali in cui imparavo cose all'università analogica 15 anni fa.

E quindi in teoria Paolo B. ha proprio ragione, su internet si possono davvero condividere idee e conoscenze; peccato che invece migliaia di persone come Paolo B. si limitino a trovare un video, Zeitgeist, che "gli ha fatto vedere il mondo in un modo radicalmente diverso", raccontando una serie di storie enormi (il controllo della popolazione mediante microchip probabilmente massonici, l'11/9 'automanovrato' dagli americani) e accettarlo senza un'ombra di pensiero critico.

E dire che sulla stessa Internet, con un po' di pratica, Paolo B. avrebbe potuto trovare fonti che smentivano e demolivano il video stesso (Attivissimo, per esempio). Perché invece si è fermato davanti a Zeitgeist, perché ha deciso che tutto quello che sapevano gli altri era falso e soltanto Zetigeist diceva la verità? Qui c'è un problema che va molto al di là del grillismo - perché lo scandalo di un ragazzo un po' disinformato in parlamento lascia il tempo che prova, probabilmente era disinformato anche il tizio che sedeva in quel seggio prima di lui. Però questo tipo di disinformazione non è l'ignoranza vecchio stile: è qualcosa di nuovo, qualcosa di attuale, col quale stiamo facendo i conti adesso: polemiche sulla sovranità monetaria, scienziati condannati per non aver allertato la popolazione su un terremoto non prevedibile, detrattori dell'evoluzionismo, negatori del riscaldamento globale, ecc.. La cultura scientifica è sotto attacco, e il luogo dell'attacco è proprio quello in cui in teoria dovrebbe essere diventata finalmente accessibile a tutti: Internet. L'hanno inventata gli scienziati, la stanno colonizzando gli spacciatori di bufale. Cosa sta succedendo? Io ho una teoria.

Si tratta di un rigurgito.


Internet fa paura

C'è un motivo molto semplice per cui un individuo qualsiasi - chiamiamolo "Paolo" - messo di fronte a tutto lo scibile umano, invece di cominciare a studiarlo pagina per pagina, andrà a cercarsi un video, e ovviamente il "video che gli cambierà il modo di pensare", che gli dirà la verità su tutto quanto e soprattutto che tutti gli altri mentono. Questo motivo molto semplice è quello che ci orienta nella maggior parte delle nostre scelte quotidiane: il risparmio di energia. Ne parlava già Freud, credo (non ho voglia di controllare): risparmiare energia, risparmiare fatica, è piacevole in sé, quindi ogni volta che il nostro cervello trova un sistema di risparmiare (consapevolmente o inconsapevolmente), lo fa. Di fronte a quell'immensa enciclopedia che è Internet, Paolo B. ha di fronte infinite opzioni. Può approfondire le sue conoscenze di economia: ma servirà tempo e aiuto, specie se non ha una cultura di base in quella materia. Può approfondire le sue conoscenze sulla società americana, quel poco che gli basterà a scoprire che CHIP è la sigla che sta per Children's Health Insurance Program, ma potrebbe metterci ore, giorni, settimane. Un video è molto meno faticoso. Non devi neanche leggere, i video si leggono da soli. Proprio perché su Internet c'è tutto, il contenuto semplice scaccia il contenuto complesso.

Ma per funzionare davvero, il video non deve essere soltanto semplice: deve anche escludere tutti gli altri contenuti: deve dirti che "tutto quel che sai è falso". Quel che rende irresistibile Zeitgeist, come tutti i documentari complottisti, è che ti mette di fronte a un aut-aut: o credi Zeitgeist, o credi a tutto il resto. E siccome Zeitgeist è facile, e tutto il resto è complicato e faticoso, molti utenti hanno già deciso pochi istanti dopo aver premuto il tasto play. È il motivo per cui il pensiero religioso continua a essere un'alternativa abbastanza ragionevole alla cultura scientifica: una volta si trattava di scegliere se leggere una biblioteca o un libro solo. Oggi non c'è neanche bisogno di leggere un libro, basta un video, il che sbilancia ancora di più i corni del dilemma. Si noti che mentre l'approccio religioso ("credo in tutto quello che mi dice un libro, o un video, o il blog di Beppe Grillo") può sembrarci un po' angusto, l'approccio enciclopedico ("leggerò tutto quel che posso leggere, imparerò tutto quel che posso imparare") nell'ultimo mezzo secolo è diventato a ben vedere qualcosa di utopistico e disperato: la biblioteca è troppo grossa, non posso leggere tutto, non posso imparare tutto, anzi le frazioni dello scibile umano che posso conoscere sono così ridicole rispetto al tutto che forse non ne vale nemmeno la pena. E qui scopriamo uno dei punti cruciali dello strano successo di Grillo su internet: il suo blog (lo si scrive da anni) è una specie di anticamera di internet, un posto frequentato soprattutto da gente che internet non sa bene cosa sia, non ha ancora imparato a usarla, e forse ne ha anche un po' paura. Siamo sicuri che non abbia tutti i torti? Internet può veramente fare paura.


"Stampo e stampo, clicco e stampo, tutte le puttanate che mi vengono in mente, non le leggerò mai..."

Lo so, per molti che stanno leggendo Internet è quel luogo meraviglioso dove hanno imparato tantissime cose grazie al quale hanno trovato lavoro, la ragazza e fatto pure dei bambini. Anche se nessuno di voi è nativo digitale, internet tra '90 e '00 ci è per così dire cresciuta intorno. L'abbiamo conosciuta molto prima che diventasse quella cosa enorme che è adesso. E anche adesso che è enorme, sappiamo orientarci abbastanza bene. Conosciamo i luoghi da evitare come la peste, sappiamo dove andare per trovare le cose che ci interessano (era automatico che Attivissimo commentasse l'exploit di Paolo B.; è il primo posto dove siamo andati a cercare). Ci eravamo quando sono nati i blog, abbiamo visto nascere e crescere wikipedia, abbiamo visto scoppiare la bolla di Second Life. Nel frattempo Grillo demoliva i PC nei suoi spettacoli. Più del gesto, è interessante ricordarsi il perché li distruggeva: perché facevano troppe e cose e lui avrebbe voluto farne soltanto poche, semplici. Raccontava di aver speso milioni in inchiostro da stampante perché non era in grado di selezionare cosa stampare e così no: non è la stessa vertigine del Paolo medio di fronte all'internet di oggi: cosa leggo? cosa stampo? ok, nessuno più stampa niente, forse. Ma di chi mi fido? Fatalmente, molti sceglieranno il messaggio più semplice e più integralista: Tutto quello che sai è falso, SvegliaaaaAAA!

Non vi è mai capitato che una biblioteca vi mettesse soggezione? tutti quei libri messi assieme, non sembrano dirci "non riuscirai mai a leggerci"? Più impariamo, più ci rendiamo conto di saperne poco, ogni giorno migliaia di persone scrivono i libri interessanti che non leggeremo mai. Se solo qualcuno ci dicesse che è tutto inutile, tutto falso, che non ne vale la pena... dovremmo credere in lui, ovviamente, e ciecamente; ma non sarebbe comunque un buon affare?

Paolo B. è un po' più giovane di molti di noi - ma non credo che sia una questione anagrafica. Paolo B. è soprattutto una persona che, come Grillo, come molti lettori di Grillo, si è ritrovata su internet senza preparazione. All'improvviso, senza mediazioni scolastiche o culturali, hanno premuto un tasto e avevano la più grande enciclopedia del mondo in casa, un lusso estremo fino a dieci anni fa, qualcosa per cui il potente Re Salomone avrebbe rinunciato a mogli e concubine - e non sanno da che parte iniziare. Per utenti così Zeitgeist è un inizio perfetto: non fa che dirti "è tutto un inganno, inutile proseguire, resta pure qui con noi, siamo tanti, ci vedremo in parlamento (sarà un piacere)". Noi che internet l'abbiamo assaggiata un po' per volta, fino ad assuefarci, dobbiamo fare un certo sforzo per capire i Paolo che prima di farsi i denti non riescono a mandar giù niente, e rigurgitano sull'internet pezzi di internet intera.

In questa forma il grillismo non è che la prosecuzione di una lunga lotta degli italiani contro la cultura, e in particolare contro la cultura scientifica. Lo hanno paragonato a tante cose in questi giorni - è uno sport popolare. Uomo Qualunque, Fascismo, Nazismo, ecc.. Qui vorrei proporre un parallelo un po' meno banale: nel suo tentativo di reagire a qualcosa di profondamente nuovo (internet) assorbendolo, mettendoselo sugli stendardi, e trasformandolo in qualcosa di vecchio (un pulpito semovente da predicatore '400), Grillo in fondo si ritrova sui solchi tracciati un secolo fa dai futuristi. Sarà che l'argomento è una mia antica ossessione, ma le analogie mi sembrano tante. Ne riparliamo magari un'altra volta.
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Bruce non si rottama facile

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Looper (Rian Johnson, 2012).

Il viaggio nel tempo non è stato ancora inventato, ma tra cinquant'anni lo sarà; e a quel punto la malavita organizzata lo utilizzerà per sbarazzarsi dei cadaveri scomodi spedendoli nel passato. Il giovane Joe (Joseph Gordon-Levitt), nel 2044, di mestiere fa il "looper" ("colui che gira in circolo"): ammazza sconosciuti incappucciati che gli arrivano dal futuro. Non se la passa male, ma sa che un giorno sotto uno di quei cappucci ci sarà lui: il contratto base dei looper prevede che il circolo si chiuda in questo modo. Bene. C'è solo un piccolo problema: Joe, da vecchio, è Bruce Willis. E nessuno vorrebbe avere contro Bruce Willis da vecchio, neanche lui da giovane. Questo per dire come i distributori italiani abbiano perso una meravigliosa occasione, facendolo uscire adesso e non nel novembre scorso, quando Matteo Renzi lottava per rottamare il Bersani che diventerà tra trent'anni. Bastavano un paio di pezzi sui quotidiani e avrebbero portato al cinema anche quelli che al giovedì guardano Santoro. Invece hanno deciso di programmarlo in questo pazzo, pazzo pazzo gennaio 2013.

Chissà se ce ne ricorderemo ancora tra qualche anno, di quel mese in cui nelle sale italiane sono arrivati quasi contemporaneamente i film di P.T. Anderson, dei fratelli Wachowski, di Tarantino, di Spielberg, di Zemeckis: un'offerta così generosa da farci diventare persino schizzinosi, quando ci siamo sorpresi a osservare che beh, sì, The Master non è il Petroliere, Cloud Atlas non è Matrix, persino Django è tanto bello ma non è Inglourious Basterds, quanto a Lincoln non è senz'altro Amistad, insomma, tutti i Grandi Nomi tirati fuori dai distributori dopo aver evacuato i cinepanettoni ci hanno mostrato film belli e interessanti, ma forse neanche un capolavoro, uno di quei film che ti sconvolge. E pensi che forse alla fine, sommando e sottraendo aspettative e soddisfazioni, può darsi che ti sia divertito di più con Looper, il terzo film di un regista americano che non conoscevi (continua su +eventi). È un piccolo film che puoi metterti a guardare senza l’ansia di dover applaudire al  capolavoro. Può sorprenderti come nemmeno Tarantino e i Wachowski riescono più a fare: per quanto originali li hai già visti all’opera. Ma questo Rian Johnson non hai la minima idea di dove vada a parare; il film procede in un modo tutto suo, disorientante, è come se, invece di innervarsi lungo il solito e rassicurante arco narrativo, accumulasse una serie di false partenze. La premessa del film è introdotta in pochi minuti; poi la storia prende una piega del tutto imprevista e si scontra in modo originale con uno dei Grandi Temi della filosofia dei viaggi nel tempo: è giusto fare la prima cosa che viene in mente a tutti di fare, ovvero ammazzare Hitler da bambino? (No, Hitler nel film non c’è, ma c’è qualcosa di analogo). Mi torna in mente un meraviglioso raccontino, in cui i viaggiatori del tempo sembrano volontari di wikipedia, che passano il tempo a correggere la Storia, rettificare qualche errore qua e là, e poi c’è sempre qualche scemo che vuole andare negli anni ’30 a Monaco per sparare al futuro Führer, e ogni volta devi spiegare loro l’arcano: niente Hitler, niente seconda guerra mondiale, niente guerra fredda, niente progresso tecnologico, niente macchina del tempo. 

Looper piacerà ai patiti di viaggi del tempo; non deluderà troppo quelli che vogliono vedere pistole molto grosse; però alla fine lascia la sensazione di essere qualcosa di nuovo, finalmente. È una sensazione sempre più rara ultimamente, per la quale sono disposto a passare sopra a tanti difetti. Forse è un problema anagrafico – invecchio, comincio a somigliare più a Bruce che a Gordon-Levitt e ovviamente tifo per l’anziano – ma temo che sia anche una tendenza generale, per cui una certa struttura del film d’azione che ha funzionato sin da quando eravamo bambini (’80) ormai mostra le corde, è stata sfruttata fino all’osso; già i Wachowski lamentavano quella sensazione per cui a tre quarti di un qualsiasi film sai già più o meno cosa succederà. Per non parlare di altri elementi, uno a caso: l’abbigliamento. All’inizio del film il boss di Joe gli dice: ma si può sapere perché porti il cravattino? Il boss di Joe viene dal futuro, una delle cose che ci porrebbe più problemi se viaggiassimo nel tempo è la moda, perché segue evoluzioni quasi totalmente arbitrarie e siamo abituati a subirla in gruppo, ad accettare le cose che piacciono a tutti intorno a noi. Ma se viaggiassimo nel tempo non sentiremmo questo istinto del gregge, e dovunque andremmo non capiremmo perché la gente veste in un modo arbitrario e stupido (è la reazione di un bambino di fronte a un film di vent’anni fa: perché sono tutti pettinati come dei matti?)

Dunque, dice il boss a Joe: ma lo sai cosa significa quel cravattino? Lo sai che lo hai preso da film che citano altri film che non hai mai visto? Joe sorride, non capisce, dice che è solo moda, ma la moda è la misura del tempo. Noi misuriamo l’antichità dei film dalle dimensioni dei telefoni dei personaggi (in Looper ce li hanno trasparenti). E poi continua, il boss: perché invece di un cravattino non provi un’altra cosa, invece degli stereotipi di stereotipi di cose che non hai nemmeno visto? Qualunque cosa, anche buffa, un collarino di plastica, perché non sperimenti un po’? Ecco, se anche solo il senso di Looper fosse tutto qui (il tentativo di sperimentare qualcosa di nuovo, anche sbagliato) varrebbe comunque la pena di una visione. Non ci si può aspettare che l’ultimo film di Tarantino o di Spielberg sia sempre il migliore film di Tarantino o di Spielberg (sarebbe anche molto ingiusto) ma da un regista giovane sì, deve giocarsi tutto e provare a mandare all’aria il vecchio action movie senza nostalgie. Altrimenti continueranno a servirci film con Schwarzenegger, non scherzo, questa settimana ne è uscito anche uno con Schwarzenegger che spara. A un certo punto con tanto affetto questi qui bisogna rottamarli, anche se sono noi stessi da vecchi.

Looper è al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:15, 22:45); al Multisala Impero di Bra (20:15, 22:30); al Cinecittà di Savigliano (20:20; 22:30). Buona visione. 
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Non sempre si può perdere

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Qualche notte fa, in un oscuro sotterraneo dalle parti di Arcore:

"...insomma, signori, i numeri sono questi".
"Ma non è possibile! Tutti gli altri sondaggi..."
"Tutti gli altri sondaggi, con rispetto parlando, sono specchietti per le allodole. Questi sono i numeri veri e... non hanno pietà".
"Ma com'è potuto succedere! Avevamo otto punti veri di distacco".
"Li abbiamo recuperati abbondantemente, come vede".
"È stato il Monte dei Paschi?"
"È stato un po' tutto l'insieme di cose. Bersani è stato bravo, bisogna ammetterlo".
"Sono stati tutti bravi. Impacciati e confusionari al punto giusto".
"Si capisce che hanno tanta voglia di vincere quanta ne abbiamo noi. E adesso siamo nella merda".
"Via, non precipitiamo...."
"Altro che precipitare. Qui c'è scritto che vinciamo le elezioni, vi rendete conto? Noi! Vincere le elezioni! È un maledetto incubo!"
"Non è ancora detta l'ultima parola..."
"Sentite, il Capo era stato molto chiaro. Aveva detto che voleva il venti per cento. Fine. Voleva divertirsi, fare un po' l'antieuropeista, dettare condizioni, eccetera. E tornare a casa presto. Una cosa tranquilla. Ve lo ricordate, sì? Venti per cento, aveva detto. Al massimo 25, non un decimo di più. Ci andate voi di sopra a dirgli che è già a Palazzo Chigi?"
"Io non so cosa dire, le abbiamo provate tutte. Pure Santoro".
"Lascia perdere Santoro che divento una belva".
"Ma chi poteva aspettarselo... gli avevo scritto apposta quella letterina noiosissima, come facevo a sapere che... sono stati quei due stronzi, veramente stronzi, chi se lo sarebbe aspettato. Gli hanno fatto fare un figurone. Ma senti..."
"Che c'è".
"Magari non gli dispiace poi così tanto vincere".
"No, guarda, proprio non ne vuole sapere. Solo di investimenti ci perde dei milioni con lo spread. E poi che fa una volta che è lì, litiga con la Merkel? Taglia l'Imu, esce dall'Euro? Rinegozia il fiscal compact? Ammesso che sappia cosa sia".
"Ecco, appunto, cos'è?"
"Senti, lascia perdere. Noi non siamo qui per far politica. Siamo qui per far perdere le elezioni a Silvio Berlusconi, che ci paga per questo. Possibile che sia così difficile? È un vecchio bavoso e avido, che altro possiamo aggiungere al pasticcino di merda per renderlo immangiabile? Controlla il calendario".
"Che c'è sul calendario?"
"Non lo so, controlla. Mi do una settimana. Voglio perdere quattro punti in una settimana, perdio, controlla se ci sono delle scadenze importanti, degli anniversari, roba così".
"Mah, è fine gennaio... c'è la Giornata della Memoria".
"Bingo! Lo facciamo andare in qualche luogo simbolico, cerca se ci sono luoghi simbolici in zona".
"A Milano c'è un memoriale della Shoah".
"Lo mandiamo lì e gli diciamo di dire due paroline antisemite".
"Ma sei sicuro?"
"È terrorizzato dall'idea di vincere, vedrai che farà tutto quello che gli diciamo".
"No, dico, sei sicuro che con l'antisemitismo perde punti? Potrebbe anche recuperarne".
"Dici?"
"Non so, forse dovremmo prima fare un focus, qualcosa..."
"Non c'è tempo. Senti, proviamo la carta del vecchietto patetico. Niente antisemitismo, una cosa tipo vecchio zio in braghette sotto la copertina, Mussolini ha fatto tante cose buone, eccetera. E vediamo come va. Cosa abbiamo da perdere?"
"Tutto"
"Mi basta un quattro per cento".


Due sere fa, da qualche altra parte:

"...insomma, signori, i numeri sono questi".
"Ma non è possibile! Tutti gli altri sondaggi..."
"Tutti gli altri sondaggi, con rispetto parlando, sono becchime per capponi. Questi sono i numeri veri e... sono devastanti".
"Ma com'è potuto succedere! Eravamo terzi una settimana fa, una settimana fa! E adesso saremmo in testa?"
"Sono stati tutti molto bravi, bisogna ammetterlo. Bersani che si mette a sbranare a vanvera, quell'altro che sbava su Mussolini... due siparietti da commedia dialettale. E d'altro canto son mica scemi, chi glielo fa fare di vincere?"
"Il senso di responsabilità, per esempio".
"Mi sa che dovremo tirarlo fuori noi".
"Ma neanche per sogno, siam già stati responsabili abbastanza. I patti erano chiari: noi dovevamo fare l'ago della bilancia, metterci il know how. Al consenso popolare dovevano pensarci loro, i cosiddetti partiti di massa. Questa è un tradimento da parte loro, è... diserzione. Molto scorretta".
"E che ci possiamo fare?"
"Tanto per iniziare cominciamo a perdere anche noi dei punti, subito".
"Con tutto il rispetto, abbiamo appena mandato il Capo dai terremotati a prendersi le uova marce, e non è servito a niente, continua a sbancare i sondaggi".
"Il terremoto è troppo settoriale, ci vuole un approccio più generalista".
"Ovvero..."
"Non possiamo più permetterci di fare schifo solo ad alcuni, dobbiamo cercare di fare schifo a più gente possibile nell'unità di tempo. Trovare qualcosa che dia fastidio a tutti. Coraggio, ditemi qualcosa che dà fastidio a tutti".
"Le tasse".
"Le abbiamo già alzate, qualcos'altro".
"Le banche".
"Siamo coperti anche lì".
"La sveglia alla mattina".
"Bello spunto, mi piace. Tutti odiano la sveglia alla mattina. Lavoriamoci sopra. Cos'altro odiano tutti? Il lunedì".
"E vabbe', mica possiamo aumentare i lunedì alla settimana".
"Non possiamo nemmeno allungare la settimana lavorativa, siamo liberisti".
"La settimana lavorativa no... ma quella scolastica sì. Le scuole sono ancora di Stato".
"Grazie al cielo, ma che vuoi fare? Se aumenti l'orario devi pagare di più gli insegnanti, hai voglia".
"No. Non è detto. In luglio non li paghi di più, perché le scuole sono praticamente chiuse, ma loro sono reperibili. Bingo! Un bell'intervento contro le vacanze estive!"
"Tutti amano le vacanze estive".
"Lanciamo un'agenzia, cominciamo a dire che d'ora in poi si frequenta per tutto luglio. Poi ovviamente rettificheremo, ma intanto la voce girerà. Mario Monti contro le vacanze estive. Boom!"
"Quattro punti li perdiamo come niente".
"Ma anche cinque o sei. E poi voglio vedere cosa fanno quei due, ah ah".

Un mese dopo
(ROMA) BERSANI: NON HO MAI "SBRANATO" BAMBINI. SOLO ASSAGGIATI UN PAIO MOLTO CATTIVI. Il segretario del PD ha smentito le affermazioni riportate ieri dai giornalisti, secondo le quali avrebbe ammesso di aver partecipato negli anni '60-'70 a qualche banchetto a base di bambino bianco crudo alla festa dell'Unità di Bettola. "Non siamo dei barbari, noi i bambini li abbiamo sempre cucinati con molta umanità, e se devo dirla tutta non è proprio il mio piatto preferito, ne avrò assaggiato solo un paio ed erano bambini che si erano comportati davvero molto male con le loro mamme e con Stalin".

(MILANO) BERLUSCONI: CULATTONI DI MERDA SONO STATO FRAINTESO, NON INTENDO AVVALERMI DELLO JUS PRIMAE NOCTIS A MENO CHE LE VOSTRE FIGLIE NON VALGANO VERAMENTE LA PENA. Il presidente Berlusconi durante la notte ha pubblicato su youporn un video girato con le sue fidanzate (in tenuta sadomaso-wehrmacht), in cui smentisce di volersi avvalere dello jus primae noctis in modo "universale", come ventilato due giorni fa durante la conferenza stampa a Palazzo Grazioli. "C'è che voi giornalisti siete veramente dei culattoni, non capite... lo vedete questo, sì? Ecco, non lo capite, ora reggimelo, grazie cara". Il presidente ha poi confermato che intende abolire l'IMU e sostituirla "con tua madre", ha detto proprio così, ma forse era sovrappensiero.

(BERLINO) MONTI: INGIUSTIFICATE LE POLEMICHE SUL GATTO A NOVE CODE NELLA SCUOLA ELEMENTARE, sarà esposto soltanto alla parete come deterrente, ma le maestre dovranno limitarsi a bacchettate sulle nocche e gusci di noce sotto le ginocchia.

Continua... (in realtà no).
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Orientarsi tra le nuvole

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Cloud Atlas (Andy e Lana Wachowski, Tom Tykwer, 2011).

Hugo Weaving, avete presente? No. L'agente Smith, il cattivo di Matrix, precisamente, ecco, non è stato formattato, ma ha infettato la memoria fissa di quattro secoli. È diventato un negriero sudista nell'Ottocento, ma anche un killer californiano negli anni Settanta, e una sadica infermiera in un ospizio scozzese nel 2012. Condanna a morte i cloni che a NeoSeul, nel 2144, non vogliono più servire ai tavoli

Siamo nei mari del sud. Ma anche a Edimburgo nel 1936. Halle Berry, nel 1973, sta lavorando a un'inchiesta su una centrale nucleare malfunzionante, e invece dell'ingegnere Jack Lemmon incontra l'ingegnere Tom Hanks che però muore in circostanze misteriose ma è in circolazione 40 anni dopo sotto forma di scrittore burino che lancia i critici dai grattacieli. Siamo a Neo Seul nel 2144, i cloni servono ai tavoli. Siamo alle Hawaii, in un futuro alla Mad Max ma sempre con Tom Hanks e Halle Berry, quanto mi mancavano quelle preistorie all'ombra di rottami tecnologici, perché non ne fanno più? Perché non ne fanno di più? Siamo di nuovo nel 2012, e prima di andare a vedere Cloud Atlas dobbiamo verificare di avere tre ore e di essere gli spettatori adatti. Altrimenti rischiamo di addormentarci o innervosirci molto, e scrivere recensioni che ci sarebbe da buttarci dai grattacieli. Amare i film di fantascienza o d'azione non è una garanzia: metà del film non è ambientato nel futuro, non ci sono sparatorie ma compositori omosessuali disperati, pensionati in fuga dall'ospizio, ciurme ubriache. Io credo comunque di aver messo a punto il test ideale per Capire Se Sei Lo Spettatore Adatto. Una sola domanda, semplicissima, di quattro lettere: Lost?

No, sul serio, se ti dico Lost, come reagisci? Non ti piaceva, non lo hai mai visto? Lascia perdere Cloud Atlas. Ti piaceva finché non è diventato una baracconata? Lascia perdere Cloud Atlas. Ti è piaciuto quasi fino alla fine, ti sei bevuto con piacere anche le puntate ambientate nel Seicento o in Mesopotamia, non hai cambiato canale neanche quando personaggi invisibili hanno ordinato di spostare l'isola di qua e di là nel tempo e nello spazio? e mentre lo guardavi imploravi dio, ma più spesso gli sceneggiatori, di dare un ordine, un filo, un senso a ogni cosa? Forse sei lo spettatore adatto a Cloud Atlas. Non dico che ti piacerà come Lost - è troppo breve per dare quella forma di dipendenza - ma non ti deluderà nemmeno come le ultimissime puntate di Lost, quelle in cui gli sceneggiatori gridano: "Guardate i personaggi!" e intanto scappano con la grana. Per quanto ambizioso, con la sua struttura a sei piani, e non sempre definito nei dettagli, L'Atlante delle Nuvole non lascia alla fine quel senso dolciastro di fregatura. Un senso ce l'ha, una direzione dove andare a parare era prevista.

In certi momenti guardare Cloud Atlas è come sfogliare in piedi un fumetto in libreria (continua su +eventi): se non vi è mai capitato, forse è meglio che giriate alla larga. Se invece siete di quelli che cominciano a sfogliare per vedere se la storia vale la pena; a cui capita di trovarsi nel giro di pochi secondi immersi in una mezza dozzina di mondi diversi, genealogie di eroi che si incontrano e scontrano, roba da perdersi, ma stranamente non vi perdete, anzi riuscite a seguire tutto e dopo un po' la storia è finita, e state già dando un'occhiata per vedere se c'è un secondo volume; se siete quel tipo di lettori, varrà la pena anche dare un'occhiata a Cloud Atlas. Ci vuole una certa abilità, per seguire trame che si snodano rapide e tutt'altro che lineari - ma anche una gran disponibilità a farsela raccontare da affabulatori non convenzionali. Vale la pena giusto per ottenere la conferma: i Wachowski sono fumettisti. È da lì che vengono, forse è lì che dovrebbero tornare, dove gli unici limiti alla fantasia sono le chine e gli inchiostri e il formato delle tavole. Fare cinema dev'essere frustrante, quando dare forma a una semplice idea può costare milioni di dollari e gli spettatori pretendono di capire tutto alla prima visione.  Mi ricordo un personaggio di Matrix 3 che a un certo punto lo dice proprio in faccia a Morpheus: "Mi dispiace che non ci sia una spiegazione semplice per questo". Un modo educato per dire Hollywood fottiti.

 

Cloud Atlas in effetti non è passato per Hollywood, lo chiamano "film indipendente" anche se c'è un cast un po' stagionato ma da grandi occasioni (Hugh Grant, Susan Sarandon, Jim Broadbent, Jim Sturgess, Zhou Xun nuda) ed è costato cento milioni di dollari. In realtà è un blockbuster - però tedesco: il primo kolossal della cinematografia federale tedesca. Tre episodi su sei non sono girati dai Wachowski (che avevano comprato i diritti del libro dopo che Natalia Portman lo aveva fatto leggere a Lana sul set di V per Vendetta) ma da Tom Tykwer, il regista di Lola corre e Profumo, che per non far notare troppo la differenza mette una pistola in mano a Hugo Weaving e poi gli fa inseguire i buoni per le strade di San Francisco e per un attimo sembra che Matrix abbia infettato Starsky e Hutch. Però non è un film pretenzioso. O meglio. Una volta accettata l'ambiziosissima pretesa iniziale - offrire in tre ore la versione cinematografica di un romanzo ambientato in sei luoghi e tempi diversi - Tykwer e i Wachowski non si fanno prendere da nessuna ansia esplicativa, riducono gli spiegoni al minimo necessario, e portano a casa un film che possiamo guardarci d'un fiato anche se per due ore non abbiamo la minima idea di dove andrà a parare. La differenza, come in Lost, la fanno i personaggi (e gli interpreti): per quanto poco li vediamo sulla scena, ci affezioniamo abbastanza presto e restiamo fino alla fine curiosi del loro destino. Un sacco di cose ovviamente sfuggono, tanti dettagli meriterebbero una seconda visione, o addirittura il recupero del libro: però bisogna ammettere che date le condizioni di partenza gli autori sono stati onesti, si capisce che hanno tagliato tante cose e hanno privilegiato l'azione sulla filosofia. Non era scontato.

 

I Wachowski, a ogni film che scrivono, fondano una religione. Con Matrix riuscirono a riportare in voga la gnosi, non accadeva da una ventina di secoli. V per vendetta ha fatto arrabbiare Alan Moore (autore del fumetto originale) ma ha fornito ad anonymous e grillini una specie di manifesto, ideologicamente ambiguo quanto basta per trovarci tutto e il contrario di tutto. Quando ho visto il trailer di Cloud Atlas mi sono detto: l'hanno fatto di nuovo, stavolta hanno scoperto la metempsicosi. Bisogna dire che avevo appena visto the Master, dove la reincarnazione è una favola per spillare denaro alle vecchie ereditiere: ma anche ai nerd - e Dianetics nacque nei circoli di appassionati di fantascienza, non scordiamocelo - ecco, i nerd che dieci anni fa si bevevano la filosofia gnostica di Matrix mi sembrano pronti per cominciare a immaginare le loro vite precedenti e future: sono a quello snodo esistenziale e anagrafico in cui l'insofferenza per il proprio destino, se coltivata, può trasformarsi in allucinazione. Se c'era qualcuno in grado di piazzare a milioni di gonzi un film mistico sulla reincarnazione, quelli erano i Wachowski. Ma non l'hanno fatto; gli interessava di più raccontare una bella storia, anzi sei. L'argomento metempsicosi è liquidato con qualche battuta (ogni tanto due personaggi si domandano se non si sono già visti), e soprattutto è delegato ai trucchi e ai parrucchi. Che sono l'aspetto più discutibile del film: non solo perché se nell'episodio coreano monti gli occhi a mandorla sul faccione di Weaving qualche associazione antirazzista protesta formalmente, ma perché nell'episodio dell'ospizio ce lo troviamo truccato da infermiera e mi dispiace tanto, ma non è credibile: come il Tom Hanks scrittore pugile o Zhou Xun fanciulla del west, precipitiamo a livelli filodrammatici ed è un peccato. Ma alla fine è un peccato veniale perché chi rimane a vedere Cloud Atlas ha sospeso gran parte della sua incredulità: ha la stessa voglia di immergersi nella storia del ragazzino che sfoglia fumetti in piedi, o dei bambini intorno al fuoco, che chiedono una storia al vecchio del villaggio. Con tutta la sua complessità stratificata, con la sua filosofia di fondo che si può sintetizzare in Volemose Bene, Cloud Atlas non smette neanche per un istante di essere una favola per bambini che hanno voglia di stare alzati e di viaggiare un po' tra i mondi. Se ne avete voglia; in caso contrario, tenetevi decisamente alla larga da Cloud Atlas.

 

Cloud Atlas a Cuneo non c'è, in compenso dilaga in provincia: Al Cityplex di Alba (ore 21), al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (ore 21 e 22, in quest'ultimo caso uscite all'una), al Vittoria di Bra (ore 21), al Bertola di Mondovì (ore 21), all'Italia di Saluzzo (ore 21) e al Cinecittà di Savigliano. Tenete conto che dura tre ore.

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Repubblica e l'internet che non c'è

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Scene da un futuro anteriore.

Ieri ho fatto una cosa che faccio sempre più di rado: ho comprato la Repubblica di carta. Ero in cerca di approcci provinciali al dibattito sull'accorpamento delle province, e so che in questo la Rep non mi delude mai; per esempio stavolta c'era una paginata dedicata a personaggi illustri a cui veniva chiesto di dire qualcosa di campanilistico, un pisano è riuscito a dire che i livornesi sono i migliori amici dell'uomo, roba così. Sullo sfondo c'è la più grande (e drastica) risistemazione delle entità amministrative locali in Italia, però a Repubblica hanno deciso che è solo una rissa a chi ha il campanile più lungo, e non c'è verso di uscirne. Ne parliamo un'altra volta.

Ieri ho comprato la Repubblica di carta. È una cosa che faccio sempre più di rado, perché - banalmente - su internet trovo quasi tutto quello che mi serve. Forse proprio perché non la compro più spesso riesco a notare le differenze, come con gli amici che smetti di vedere tutti i giorni. Ecco, rispetto a qualche mese fa, credo che a Repubblica stiano sviluppando un'ossessione per internet. Non siamo ancora al livello dell'ossessione televisiva che dilagò su tutti i quotidiani nazionali negli anni '90, quando si parlava per pagine e pagine di quello che era successo in tv la sera prima; però la direzione mi sembra quella. Per dire, la prima cosa che ieri si leggeva in alto a sinistra era: "YouTube" (no, in realtà si leggeva "La cultura", ma era un titoletto: e sotto il sottotitolo: "YouTube anni '70").

Dici: che c'è di male a parlare di internet? Non c'è niente di male, tanto più che effettivamente un sacco di cose ormai succede su internet. Il problema è l'ossessione. L'ossessione ti spinge a vedere anche cose che non succedono, su un internet che non c'è. Ieri su Repubblica, a pagina 3, si leggevano le seguenti, incredibili righe:

Il fortino di Casaleggio vanta il supporto di almeno dieci internauti capaci di un indice klout superiore a 75 (indice che valuta da 1 a 100 la capacità di influenza sui social network). Vuol dire che ciascuno di quei dieci "megafoni" è in grado di contattare, influenzare, condizionare almeno 100 mila persone, centomila elettori. Dunque un milione, giusto per capire di che numeri parliamo. E di quanto il virtuale stia acquisendo nel giro di poche settimane peso politico reale, si stia trasformando in consensi e in voti.

Non saprei neanche da dove iniziare. Ammetto di non essere andato a controllare chi siano i dieci internauti casaleggiani con un indice superiore a 75, dal momento che considero l'indice klout una simpatica scemenza, come tante su internet, che non misura certo il tuo grado di influenza - o meglio, qualche cosa la misurerà, per esempio se fai una grossa cazzata on line e tutti ne parlano, il tuo indice klut aumenta. Sarebbe interessante cercare di capire come funziona klout, che senso abbia klout, se valga la pena di misurare qualsiasi cosa con i parametri di klout, ma non ho tempo e vorrei che passasse un messaggio semplice: caro Carmelo Lopapa, chi ti ha detto che con 75 punti klout riesci a "contattare, influenzare, condizionare almeno 100mila persone" ti stava prendendo per il culo, ok? Ma di brutto. Non è che già che c'era ti ha venduto una certa fontana barocca a Roma, posizione centralissima, sei sicuro? In ogni caso, se ci fossero anche dieci persone in Italia in grado di influenzare 100mila persone scribacchiando cosine su internet, messe assieme non farebbero un milione. Non è così che funziona. È un po' come dire che siccome in Italia siamo 60 milioni, e abbiamo tutti avuto un papà e una mamma, allora i nostri genitori erano 120 milioni. Non si fanno queste moltiplicazioni nelle scienze sociali. Casaleggio avrà pure i suoi influencer, e loro avranno pure qualche decina di migliaia di utenti nel loro parco buoi: però non hanno dieci parchi buoi diversi, ne hanno uno solo. Vale un milione di voti? Non so, non credo, d'altro canto su scala nazionale un milione di voti non è nemmeno un granché. Ma se davvero il fortino di Casaleggio ha questa potenza di fuoco, mi spieghi perché Grillo, che ha un'età, continua a fare campagna con la cosa meno virtuale e internettiana che esista, il suo corpo? Che bisogno c'era di farsi lo stretto a nuoto, e di comiziare piazza per piazza, il tutto per tirar su nemmeno 300.000 voti? Non poteva mandare avanti i suoi dieci uomini d'oro?

Ma chi è che continua a spacciare la bufala di Casaleggio eminenza dell'internet, giusto perché gestisce il blog di Beppe Grillo? Lopapa, ma lo sai che in questo momento Casaleggio e Grillo sono il principale ostacolo all'evoluzione internettistica del Movimento 5 Stelle, dove c'è un sacco di gente che vorrebbe passare a una piattaforma digitale più decente? Dai, a noi puoi dircelo, chi è che ti ha evangelizzato su Klout? Ahimè, il pezzo prosegue così:

Il deputato Pd Mario Adinolfi - tra i più attenti osservatori e frequentatori del web -

Ahi.

Nell'inserto culturale poi c'è una paginata di Deaglio dedicata interamente a un tumblr (davvero bello e interessante). In effetti potrebbe anche essere una novità assoluta, un momento storico, la prima volta che un tumblr va su Repubblica. Conta poco che dalle nostre parti ormai Tumblr sia percepito una cosa simpatica ma un po' vecchiotta, diciamo, quasi modernariato. Su Repubblica ne parlano come di una nuova dimensione della fisica, qualcosa che non può nemmeno essere immaginato, per cui ogni espressione verbale deve rimanere nel vago, nell'approssimativo. "È una sorta di sito", dice l'occhiello: chissà poi perché, una sorta. Deaglio in realtà riesce a definirlo con una certa precisione: "per intenderci, è una specie di blog, però fatto solo di immagini e di un breve testo"; dovendo definire il 90% dei tumblr che conosco, non sarei altrettanto sintetico e preciso. Mi rimane il dubbio che molti lettori di Repubblica nemmeno sappiano cosa sia un blog, e forse lo stesso dubbio deve avere assalito Deaglio o il titolista, che a un certo punto hanno deciso di farla più semplice e paragonare il tumblr a youTube. Perché? Non è chiaro, salvo che youtube lo sanno più o meno tutti cos'è. La paginata si intitola infatti METTI YOUTUBE NEGLI ANNI '70, e forse è semplicemente un paraculissimo tentativo di attirare i lettori ventenni (youtube) e i cinquantenni (anni settanta!), un po' come in Notte prima degli esami qualcuno ha pensato di mettere Vaporidis con Venditti e ha fatto il botto.

Il problema semmai sono quelli come me, che di fronte a un titolo così vanno in confusione e restano per cinque minuti a pensare: ma in che senso? Youtube? Negli anni Settanta? Ma c'è un sacco di '70 su Youtube. O vuole dire un'altra cosa? Youtube+Settanta uguale a? Uguale a? Trovato! TecheTecheTe'! No, aspetta, parla di un tumblr. Ma ci sono dei video? No. E allora perché dice che è youtube se invece è un tumblr? Ecco, mentre un emisfero del cervello continua a farsi 'ste domande cretine, l'altro sta leggendo un pezzo di Deaglio che sembra costruito con avanzi di testi di Battiato:

Anche se è solo un piccolo esperimento (per ora), si tratta della distruzione di vecchie categorie interpretative, della loro frantumazione e della loro riproposizione, come tante palline di mercurio, in un movimento non organizzato. Un vecchio brodo culturale, che se ne stava dimenticato in un’ampolla, ma che però costituiva il Sacro Testo della nostra interpretazione degli eventi, viene agitato e versato sulla tovaglia. Sporca, certo, come un blog o un primordiale YouTube; ma, proprio per questo, ti obbliga ad intervenire. Crea un caos, che necessita di risposte. Decostruisce, frantuma, è acefalo come solo può esserlo la cronaca, ma ha un grande dono. È storia, non solo vera, ma soprattutto viva. E se questa è un’operazione a posteriori aiuta però ad immaginare come ora leggiamo il presente, immersi in un collage di immagini, testi, video dove cronologia e causalità sono scomparse.

Anche qui, boh. Deaglio, non so bene come dirtelo, è un tumblr. Un tumblr molto superiore alla media, ma comunque è un tumblr. La cosa più normale del mondo, ormai. E comunque l'abitudine a postare schizzi randomizzati di brodo culturale del nostro passato recente esisteva prima di tumblr, è uno dei motivi per cui certi mattoidi aprivano siti nei preistorici anni Novanta. Dopodiché, l'emozione di trovarsi davanti lacerti di un passato condiviso, e la sorpresa di trovarli molto diversi dal passato conservato nei ricordi, è una cosa che capisco benissimo. Ma con tutto il rispetto, internet è piena di posti così; la cosa veramente nuova è che ne hai finalmente trovato uno, e magari ci hai passato una notte intera: benvenuto! Sei uno di noi!

In un vecchissimo romanzo Urania, L'occhio del purgatorio, un pittore soffriva di una sindrome che non gli consentiva più di vedere gli oggetti nel loro presente, ma solo in un futuro che accelerava sempre più: dopo qualche tempo vedeva solo scheletri al posto delle persone, solo macerie al posto delle case, eccetera. L'unico sistema per vedere le cose intorno a sé era scattare fotografie: le vedeva già invecchiate, ingiallite, ma erano le uniche immagini del presente che riusciva a percepire. Ecco, se compro Repubblica ormai ci trovo qualcosa del genere: mi parlano del mondo in cui vivo, un mondo in cui ci sono i social network, c'è youtube, ci sono anche i tumblr, insomma ci sono anch'io... ma tutto è stranamente ingiallito, virato seppia, come se Wells fosse arrivato qui con la sua Macchina del Tempo vittoriana, avesse scattato una foto, e dopo un secolo io vedessi la foto su un tumblr. Un futuro anteriore.
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Il pianeta al bubblegum

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Oggi sarebbe il compleanno di Carlo Fruttero: per festeggiarlo, Barabba ha messo insieme un'opera megagalattica, l'Ennesimo libro della fantascienza, che si scarica a partire da oggi e si può leggere un racconto alla volta anche qui. La copertina, che a certe persone dà i brividi e io sono tra loro, è di Isola Virtuale. Questo è il mio contributo:


(Pandora 5.0, 16.27 GMT)

La notte era uno sfondo indaco che si screziava, all'orizzonte, nei toni di porpora del crepuscolo. Phil prese conoscenza acquattato sotto un cespuglio di fiorifunghi. Percepì una sensazione tattile estremamente precisa, il fresco solletico di una lucertola di palude che gli camminava sul lungo avambraccio. Non la disturbò, il panico l'avrebbe resa fosforescente. Voleva guardarsi attorno senza fare troppo scompiglio, visualizzare l'ambiente senza esserne il protagonista, ma era possibile? Tra i fiorifunghi qualcosa si mise a vibrare; era un messaggio pubblicitario. Lo escluse con un movimento di palpebra istintivo. Era sovrappensiero. Aveva sognato a lungo di essere lì, e ora che era arrivato si sentiva a disagio. Tutto come previsto, tutto simile ai sogni e alle proiezioni, ma qualcosa non quadrava. Si rese conto che non stava respirando, come le prede quando si nascondono. Ed era sbagliato, profondamente sbagliato, quello era il posto nell'universo più sicuro per lui. Fece un grosso respiro, inalò l'aria tersa di un'alba su Pandora, corretta dall'umidità dei fiorifunghi...
Sapeva di bubblegum alla fragola.

***
(Matrixhan, 18.11 GMT)

“Fragola?”
“No Arthur, non ho detto fragola. Bubblegum alla fragola. È diverso”.
“Diverso quanto?”
Nascosto dietro ampi occhiali neri, Phil si permise di alzare gli occhi al soffitto. La trama dei finti pannelli antirumore mostrava pattern regolari. Era evidentemente un solo pannello copincollato miliardi di volte, un'ingenuità che nessun progettista virtuale si permetteva più da decenni. Ma erano appunto questi piccoli difetti a rendere delizioso quel bar, quel grattacielo, quella città. “Hai mai assaggiato una fragola?”
“Penso di sì. È una specie di grappolo d'uva in miniatura, se non sbaglio...”
“Quello è il lampone”.
“Il lampone, giusto”.
Phil si aggiustò gli occhiali, e per un attimo fece filtrare uno sguardo di disapprovazione, più netto di quanto avrebbe desiderato – del resto portava la fisiognomica di Keanu Reeves che indossava non gli lasciava molto margine per le sfumature. Ursula approfittò di quel secondo di silenzio per mettersi in mezzo.
“Ne abbiamo discusso centinaia di volte. Un conto è l'effettivo sapore originale di un frutto, un conto è l'informazione condivisa, socializzata, sul sapore del frutto stesso, che si basa molto più spesso sugli estratti chimici che venivano utilizzati nel secolo scorso. La fragola è un classico esempio: la maggior parte di noi conosce il gusto del gelato, ma non saprebbe ricollegarlo al sapore del frutto originale”.
“Ok, ok. Continuo a non capire qual è il problema. Se nessuno sa di cosa sanno veramente le fragole, per quale motivo ci intestardiamo a voler riprodurre un sapore che...”
Phil sbuffò. “Non stiamo parlando di questo. Non ha nessuna importanza di che sapore sappiano le fragole vere. Non ci sono fragole su Pandora, e se decidiamo di metterle comunque saranno diverse da quelle sul piano Zero. Le faremo a forma di lampone, o grosse tre quintali, o volanti, o sessuate, decideremo. Non ha la minima importanza. Il problema...”
“Stai sudando, Phil”.
“Non sto sudando”.
Ursula aveva ovviamente ragione, benché il sudore non esistesse, a Matrixhan – come tutti ormai chiamavano la realtà virtuale Matrix 2.0. Il prodotto, ispirato come tutti da una saga cinematografica del secolo precedente, non era mai andata oltre la seconda release, un epico flop commerciale, che aveva conosciuto un bizzarro successo postumo una dozzina d'anni più tardi. Gli utenti non ci andavano per parare le pallottole col kung fu, e si disinteressavano totalmente all'Eletto e a Mr Smith che ogni tanto saltabeccavano tra un grattacielo e l'altro, dandosele di santa ragione – a parte quei due fanatici, Matrixhan era un posto comodo e pulito, facile da raggiungere, fuori dalle mappe dei ragazzini e dei tamarri di ogni età: divenne un ritrovo fuori orario per ingegneri e programmatori. L'atmosfera raggelante era in qualche modo congeniale – di Realtà ce n'erano tante, ma questa era l'unica dove tutti potevano indossare la stessa faccia senza stonare in nessun modo con l'ambiente. Perfetto per quel tipo di professionista che non vuole perder tempo nelle library a cercare l'avatar più originale, meglio intonato con l'umore, con il meme del giorno, con l'oroscopo – fanculo, ti metti il tuo Keanu Reeves di ordinanza e in cinque secondi sei già in un attico affacciato sul vuoto, a bere ipoalcolici insapori. Col tempo la gente cominciò a fissarci colazioni di lavoro. Phil sapeva che qualche start-up stava ragionando sull'idea di piazzare gli uffici direttamente lì – un'idea ridicola, veramente da startupper, però riusciva a capirla. Anche lui raramente si sentiva così a suo agio come in un bar qualunque di quella città di grattacieli, così dichiaratamente finta. Nessuno lo aveva capito ai suoi tempi, ma Matrix 2.0 era un capolavoro. Non per la storia, non per il realismo dei dettagli (già scadente all'epoca, ma 25 anni dopo era semplicemente retrò). Era semplicemente un posto comodo. Ortogonale, liscio, modulare, rassicurante. Il contrario di Pandora.

(Vi ho fregato, per sapere come va a finire dovete scaricarvi il libro)  



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Ma in quattro non avrebbe proprio senso

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(Vuoi perché è estate, tempo di repliche; vuoi perché i rudi panni del sensale di compromessi al ribasso mi stanno stretti, il fine settimana... insomma sono andato a riprendere un vecchio pezzo del 2005, cioè del 2025, insomma, la mia proposta utopica ma serissima per risolvere il problema non solo del matrimonio gay, ma anche del matrimonio etero, che è in crisi fissa da anni, al punto che io ho un po' paura che estenderlo ai gay sia rifilar loro una sòla che non si meritano; comunque il pezzo eccolo qui).

Il Trimonio spiegato a mia figlia

"Papà-Mac?"
"Sì?"
"Perché la mamma vuole bene a un altro uomo?"

Non era senz'altro ieri sera che mi sarei messo a spiegare il Trimonio alla mia piccola Leti.
Non mentre le cose sembravano filare lisce, tutto sommato. Assunta non si era presentata a cena con una scusa qualsiasi. Apparecchiando, Concetta aveva annunciato a monosillabi che non avrebbe mangiato, perché aveva mal di testa anzi sonno anzi nausea e si ritirava in camera, e i piatti li avrei lavati io. Leti si era subito offerta di aiutarmi, per il grande amore che porta al profumo del detersivo biologico al limone. Così avevamo stabilito che lei avrebbe risciacquato i piatti che le passavo, e intanto avremmo parlato di come vanno le cose a scuola.

Ma Leti non aveva voglia di parlare della sua scuola. Voleva invece parlare del nostro Trimonio.

"Papà-Mac?"
"Sì?"
"Perché la mamma vuole bene a un altro uomo?"

Anche questa doveva succedere prima o poi, ma proprio ieri sera?

"Tesoro, sono cose che capitano ai grandi. Anche tu, quando-sarai-grande…"
"Papà no, quella frase era vietata. Lo avevi promesso!"
"Hai ragione".
"Tu lo conosci, l'uomo che piace a mamma Sunta?"
"Sì, credo di sì".
"È il dottore, quello da cui siamo andati per il vaccino, te lo ricordi?"
"Certo"

(Assunta aveva deciso d'informarci della sua relazione un giorno d'autunno che pioveva, e Supernet ogni mezz'ora interrompeva le trasmissioni con paurosi bollettini sull'incredibile virulenza del bacillo influenzale in arrivo dalla Corea, mentre Concetta faceva e rifaceva i conti di casa senza trovare i denari per vaccinare la bambina.
"Conosco un uomo all'Ospedale Maggiore", aveva detto.
Un uomo).

"Certo che mi ricordo".
"A me sta simpatico, lo sai?"
"Bene".
"Papà, ma lui non può venire a stare con noi?"
La piccola, ecco dove voleva arrivare… "No, tesoro, no. Lui non può entrare nella nostra famiglia".
"Però la mia compagna di banco, l'Elisabetta, lei ce li ha due papà, e vivono tutti e due insieme con lei".
"E quante mamme ha l'Elisabetta?"
"Una".
"Lo vedi? Lei ha due papà e una mamma: totale, tre. Tu hai già due mamme e un papà: quanto fa?"
"Fa sempre tre".
"Certo, per questo si chiama Trimonio. Ognuno deve avere tre genitori, questa è la regola".
"Ma perché proprio tre?"
"Tesoro, tre è il numero perfetto. Vedi, una volta, quando il Trimonio non c'era, la gente era triste, le famiglie nascevano e morivano in un niente, i papà e le mamme si litigavano i bambini, tutta un'enorme confusione senza senso, mi segui?"
"Sì".
"Finché un giorno un gruppo di persone, che si riuniva in segreto per cercare di risolvere i problemi del mondo, decise di studiare con attenzione la faccenda e cercare di proporre delle soluzioni nuove. Qualcosa a cui nessuno avesse pensato prima".
"Chi c'era questo gruppo di persone?"
"Tesoro, nessuno lo sa. Si trovavano in segreto, appunto".
"Ma tu non c'eri?"
"No, beh, io… andavo e venivo, portavo il carrello con le paste. Ma è stato tanto tempo fa, sai. Insomma, questo gruppo di persone, che sono i fondatori del Teopop, decisero di consultare un uomo molto intelligente. Gli dissero: abbiamo grossi problemi coi rapporti di coppia. Gli uomini e le donne non fanno che litigare, e poi ci sono anche uomini che vogliono stare con altri uomini, e donne che vogliono stare con altre donne, e questi uomini e queste donne vogliono ugualmente crescere dei bambini, il che ci pone altri problemi di natura etica che non abbiamo più voglia di porci, perché sono irresolubili e in definitiva una gran perdita di tempo; potresti risolverci tutte queste complicazioni, e farlo in fretta, per favore? Perché noi tra una settimana facciamo un colpo di stato e andiamo al potere".
"Cosa vuol dire colpo di stato?"
"Scusami, non importa. L'importante è che questo uomo molto intelligente, che si chiamava Arci…"
"Quello che faceva gli esperimenti con te?"
"Proprio lui. Be', lui ci pensò su una mezz’oretta e poi disse: avete mai pensato che forse il problema è la coppia? Perché non proviamo a inventarci qualcos'altro, qualcosa di più stabile? La coppia è un concetto incerto, traballante, come la bicicletta, se non è in movimento cade. Non è molto più stabile il triciclo?"
"Cosa c'entra il triciclo, papà?"
"Era un esempio per spiegare la grande differenza che c'è tra una Coppia e un Trimonio. La Coppia deve sempre sorvegliare il suo equilibrio; il Trimonio invece è stabile, perché è sorretto da tre persone, come le ruote di un triciclo, e se una delle tre persone ha problemi, ce ne sono ancora due su cui si può contare. All'inizio però la gente non ne voleva sapere".
"Perché?"
"Sai, la gente non si fida delle cose nuove. Dicevano: da che mondo e mondo si è sempre fatto in due. E Arci rispondeva: ma guardatevi attorno, signori. Non vi è mai venuto in mente che da che mondo e mondo si è sempre fatto male, che sarebbe ora di provare a fare un po' meglio? Ma loro scuotevano la testa e dicevano: se aumentiamo le persone in una famiglia, aumenteranno anche i litigi".
"E lui cosa rispondeva?"
"Lui spiegava che i litigi di coppia sono i peggiori, perché si è sempre uno contro uno, e nella maggior parte dei casi uno deve cedere di sua spontanea volontà, e questo alla lunga lo avvelena. Mentre quando si è in tre o più, i litigi sono più facili da contenere, perché, per esempio, si può votare, e ci sarà sempre una maggioranza e una minoranza; oppure, molto spesso quando due litigano la terza persona cerca di rimetterli d'accordo".
"Come tu con le mamme?"
"Sì, vedi. Probabilm se avessi una sola mamma, e lei non fosse qui ora, io sarei molto arrabbiato con lei".
"Come mamma Cetta".
"Ma siccome mamma Cetta è già molto arrabbiata, io sono portato a sentirmi meno arrabbiato di lei, perché devo stare nel mezzo. Arci questo lo capiva, ma gli altri non gli credevano. Gli dicevano: non puoi generalizzare queste cose".
"E lui?"
"E lui rispondeva, perché no? Anche voi non fate che generalizzare i rapporti di coppia, perché io non posso generalizzare quelli in tre? Solo perché non si sono ancora visti? Ma appena si vedranno, sembreranno naturali e imperfetti come se fossero sempre esistiti. Altri gli dicevano: ma noi siamo cristiani e la Bibbia non lo permette".
"Davvero?"
"Macché, infatti lui rispondeva: la Bibbia è un libro molto grande, sfogliatelo bene e vedrete che vi permette qualsiasi cosa".

Ora siamo su divano, davanti a noi Supernet mostra il Pontefice che si sbraccia dal balcone di una clinica. Non ho mai capito se giornalisti e spettatori siano solo contenti della guarigione, o se non sperino di assistere di persona a una polmonite fulminante. Dev'essere un ambiguo misto di tutt'e due.
Dall'altra parte di una parete di cartone, so che Concetta mi ascolta. So che ha gli occhi sbarrati e non riesce a dormire.

"Non ho capito, papà. La Bibbia dice che ci si deve sposare in tre?"
"No, però non dice neanche il contrario. E molti personaggi importanti avevano due mogli, come Abramo o Giacobbe".
"E c'erano anche donne con due mariti?"
"No, questo in effetti è un'assoluta novità. Ma non ha creato particolari problemi. Per molti uomini anzi è stata una specie di liberazione, perché... come faccio a spiegarti... si dividevano le donne anche prima, ma dovevano farlo di nascosto".
"Quando sono grande, voglio avere due mariti".
"Hai ancora molto tempo, per fortuna".
"E poi voglio avere un bambino".
"Se ti sposi con due uomini, dovrai averne almeno due".
"Perché due?"
"Ogni Trimonio deve produr mettere alla luce due bambini, è la regola".
"Ma se uno non se la sente?"
"Tesoro, avere bambini è molto importante. Un altro dei motivi per cui fu istituito il Trimonio era il fatto che se ne facevano sempre meno. A un certo punto tutte le coppie facevano solo un bambino, e così nel giro di una generazione i cittadini rischiavano di diventare la metà, mi segui? E questo non andava bene".
"Ma non potevano farne due?"
"No, diventava sempre più faticoso, e sia la mamma che il papà dovevano lavorare".
"E se uno dei due stava a casa?"
"Non c'erano abbastanza denari per crescere i bambini. Ma Arci aveva pensato anche questo. Lui ragionava in questo modo: non c'è nulla di grave se caliamo un po', ma non dobbiamo dimezzarci. Allora possiamo fare così: invece di avere due genitori che produc che fanno un bambino, con un calo demografico del 50%, noi possiamo avere tre genitori che ne fanno due, riducendo il calo del 33%. Questo funziona anche per il lavoro: se chiederemmo a ogni madre di famiglia di stare in casa a badare ai bambini, noi ridurremmo la forza produttiva del Teopop al 50%. Ma col Trimonio, noi possiamo avere due coniugi che lavorano, e il terzo che sta a casa e bada ai due bambini. Risultato: 66% di forza produttiva esterna, 33% di autogestione familiare, e…"
"Papà, noi le percentuali a scuola non le abbiamo ancora fatte".
"Scusa, hai ragione. Ma insomma, il Trimonio risolveva un sacco di problemi".
"A me non sembra tanto".

Ora le cose si fanno difficili. Cerco di abbassare il volume di Supernet, invano. Ultimam il comando del volume non funziona più tanto bene. Spegnere non è il caso, darei una brutta immagine della famiglia, e poi magari la bambina si spaventa.

"Tesoro, non devi pensare soltanto a noi. Arci pensava alla situazione generale, non ai casi particolari".
"C'è una cosa che non ho capito".
"Lo so, ma te la spiego un'altra volta, è ora di lavarsi i denti".
"Però, papà, quando tu eri giovane il Trimonio non esisteva".
"No".
"E adesso ti sembra una cosa normale".
"Certo tesoro, la cosa più normale che c'è".
"E allora quando io sarò grande, ci si potrà sposare in quattro, sembrerà una cosa normale".
"Ancora con questa storia? No, tesoro, non ci si potrà mai sposare in quattro".
"E come fai a saperlo, papà? Conosci il futuro?"
"No, ma… insomma, in quattro non avrebbe proprio senso".
"Invece in tre ha senso".
"Sì, in tre ha senso. È molto meno divertente di quel che credevamo, ed è difficile, ma io sono tanto contento di essere sposato con le due mamme, e di essere tuo papà".
"Papà, io vorrei parlare con Arci".
"Tesoro, è impossibile, Arci è andato via".
"E nessuno sa dove?"
"No, nessuno sa dove. Buonanotte".
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Cretinetti 2022

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Il caro vecchio buon senso

Magari tra vent'anni nessuno ci penserà più, al TAV e alla Val di Susa. Sarà una zona depressa come tante, dissestata come tante; qualche pastore sarà andato a starci coi fondi dell'Unione. Non faremo nemmeno in tempo a vedere gli armenti, mentre sfrecciamo verso Parigi a fare chissàche. Avremo ricordi molto vaghi, di una cosa su cui avevamo preso una posizione, poi un'altra, quand'eravamo giovani; del fatto che non riuscissimo a trovarci a nostro agio mai, né quando votavamo un Ulivo che se ne fotteva dell'ambiente, né quando ci imbarazzavamo a trovarci dalla stessa parte dei pancabbestia. Magari andrà così.

Magari anche un po' peggio. Il traffico su gomma resisterà, perché più duttile; molta gente smetterà di viaggiare per riunioni di lavoro che si possono fare benissimo davanti a un video; e così ci ritroveremo per anni a pagare il costo di un enorme tunnel che alla fine ci sarà servito a poco. Qualche giornalista un po' più scrupoloso, o qualche ricercatore universitario senza un'idea migliore per una tesi di dottorato, riuscirà finalmente a mettere sui piattini della bilancia tutti i pro e tutti i contro (facile, col senno del poi), e scoprirà che il secondo piattino sarebbe effettivamente risultato di qualche oncia più pesante, se sull'altro non si fosse posata la fame di appalti, la brama di commesse, il keynesismo clientelare e cialtrone di questi vent'anni (che pure ha fatto respirare tante ditte che senza il TAV sarebbero a gambe all'aria da un pezzo).

Simili sorprendenti conclusioni avranno qualche eco nella stampa borghese, sempre piena di quel sano buon senso che ci fa prendere le decisioni più ponderate e meno avventurose; magari il Sallusti di turno, perché ci sarà sempre un Sallusti (anche se spero che a noi sia capitato il peggiore), leggerà il rapporto e sbotterà: ecco per cosa paghiamo le tasse, per i buchi inutili che i nostri papà facevano nelle montagne. Ma cosa avevano in testa, quei deficienti? Invece di fare le cose che andavano fatte. E titolerà: CI TOCCA PAGARE PER QUEI CRETINETTI.

Spero che quel giorno Luca Abbà possa farsi almeno una risata amara. Tieni duro.
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Potrebbe piovere

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A questo punto io sarei anche stanco di vivere sul promontorio delle catastrofi, sempre a scrutare l'orizzonte in attesa di barbari che arriveranno appena mi volto. Sono snervanti, le decadenze, non finiscono mai e coi posteri ci fai comunque brutta figura. Comunque già che sono qui, ecco le mie previsioni da Ezechiele presbite. I profeti in generale sono presbiti, non badano ai dettagli, stringono gli occhi finché non vedono soltanto chiazze di colore. Come fanno a indovinare? Hanno un trucco: scrivono tutte le ipotesi che vengono loro in mente, più sono meglio è. Una almeno l'azzeccheranno. Le altre nessuno se le ricorderà.

Chi vince nel 2013 vince "tutto"
La legislatura ha come termine naturale la primavera del 2013; l'Euro e l'Unione Europea potrebbero anche durare di meno. Per una coincidenza fortuita e rischiosa che dovrebbe capitare ogni vent'anni e invece si è verificata già cinque anni fa, nel 2013 scade anche il mandato di Napolitano. Non so esattamente (qualcuno lo sa?) cosa preveda la Costituzione, ma nel 2006 lo stesso Napolitano fu nominato da un parlamento appena insediato. È lecito quindi supporre che nel 2013 succeda la stessa cosa: prima si va alle urne, poi chi vince nomina il Presidente. Quindi chi vince nel 2013 vince tutto – ammesso che nel piatto sia rimasto un granché da vincere. In realtà, comunque vadano le cose, è improbabile che il futuro presidente possa provenire dall'area del PD: sono già riusciti a piazzare Napolitano, col senno del poi è stato un exploit fantastico (considerato che quelle elezioni le avevano praticamente pareggiate). Non solo, ma prima di Napolitano sul colle c'era un laico, Ciampi. A questo punto è chiaro che i cattolici reclameranno il posto, e considerata la loro centralità sarà molto difficile negarglielo. L'unico problema è trovarne uno abbastanza pulito (Pisanu?), cosa non semplice quando un monopolista dei ventilatori dispone del quantitativo necessario di merda: Casini è avvisato. Piuttosto è Monti ha buone carte da giocarsi, come il cursus honoris di Ciampi dimostra. Quanto ai piddini papabili, probabilmente loro si sono già segnati la primavera del 2020 su google calendar; per allora D'Alema avrà 70 anni, Veltroni pochi di meno... sarà l'ultima sfida, ma vien voglia di controllare se per caso non c'è un meteorite che impatta prima.

Restiamo al 2013: come ci arriviamo?
Fermo restando che un meteorite, una farfalla in Brasile, ma più probabilmente Angela Merkel in Germania possono fare e disfare in qualsiasi momento il nostro destino... proviamo a indovinare come andrà a finire il governo Monti. Il suo margine d'intervento è abbastanza ristretto: l'opinione condivisa è che profitterà della sua natura tecnica per chiedere sacrifici sia a destra e a sinistra; banalizzando (stringendo gli occhi): i berlusconiani dovranno mandare giù la patrimoniale, i bersaniani la fine dello stato sociale come lo conoscono (pensioni di anzianità, cassa integrazione, eccetera). Questo è il patto sottaciuto – non perché sia segreto, anzi è davanti agli occhi di tutti. La cosa interessante è capire chi lo rispetterà, o meglio: chi tradirà per primo.

Sulla base di nessun dato, ma semplicemente per il mio viscerale antiberlusconesimo, io dico Berlusconi. Lui ha il killer istinct, lui vuole e deve vincere (per la gloria, per salvare la famiglia) gli altri stanno sempre a pensare ad altro, come ad es. il bene del Paese. È anche vero che Berlusconi è una variabile indipendente, nel senso che è matto. Ma non è vero che i matti siano così imprevedibili, specie quando sono soggetti a fissazioni. Inoltre negli ultimi mesi lo abbiamo visto sotto stress, costretto in un ruolo istituzionale che non gli piace, sorvegliato a vista e probabilmente impossibilitato a sfogarsi come si deve. Ma chissà che una bella dormita, un beverone e un bunga-bunga fatto bene non ci restituiscano il combattente che conosciamo.

Berlusconi, dunque, con le corazzate mediaset, le teste di ponte in rai che a riallinearsi ci metterebbero comunque un po', e l'artiglieria in Senato puntata sul governo Monti, Berlusconi se ha ancora voglia di combattere cosa deve fare? Mantenere in vita il governo Monti fino all'esatto momento in cui avrà rimontato nei sondaggi. Nel frattempo, vai di microcriminalità al telegiornale (si è già registrata una certa recrudescenza delle rapine a mano armata). Ci saranno momenti anche paradossali, per esempio probabilmente Berlusconi farà votare ai suoi la patrimoniale e il giorno dopo farà cadere il governo e farà campagna elettorale contro la patrimoniale; è capacissimo di farlo, e lì il problema non è tanto la follia sua, quanto quella dei suoi elettori. Dopodiché chissà, magari perderà comunque, ma più per anzianità che per altro: Alfano come delfino non sembra quel mostro di carisma. Però a quel punto contro chi perderebbe? Contro un neo-CLN antiberlusconiano? Non credo che gli elettori sarebbero entusiasti, ma in quel caso il ticket più probabile sarebbe Bersani a palazzo Chigi e Casini al Quirinale, urge spolverare il lemma “cattocomunista”.

Un altro scenario è che i parlamentari berlusconiani, invece di far saltare il governo Monti in un momento qualsiasi da qui al 2013, riescano a sequestrarlo, imponendo un programma più destrorso che sinistrorso: una patrimoniale solo di nome e una riforma del lavoro che umili Bersani. A questo punto nel 2013 il “PDL” (che comunque non si chiamerà più così) potrebbe addirittura candidare Alfano al governo e Monti al Colle, con Berlusconi jolly che si tiene le sue aziende e scambia una sua uscita dalla scena politica con la sostanziale impunità per tutto quello che lui e i suoi hanno commesso. La sinistra a quel punto sarebbe probabilmente divisa tra massimalisti (Vendola più gli ex bersaniani delusi) e centristi (Renzi o un simil-Renzi che cerchi di rubare voti a Casini, o addirittura alleato con Casini: adesso sembra strano, ma tra un paio di anni chissà).

Dopodiché, ripeto, può succedere di tutto. Ad esempio: un processo qualsiasi di quelli che ancora coinvolgono B, e ai quali ora avrà molte meno ragioni di non presentarsi. Ad esempio: Beppe Grillo. Le cavallette. L'eruzione del Vesuvio. L'uscita dell'Italia dall'Euro, prospettiva che faccio fatica a visualizzare: l'unica cosa che mi viene in mente è una specie di Cuba con gli euro tedeschi al posto dei dollari americani e i puttanieri tedeschi al posto dei puttanieri italiani, e la pizzica al posto della salsa – e ditemi dov'è la nostra Miami che io sto già pensando a dove gonfiare il canotto.

(Poi ci sono anche le ipotesi ottimistiche, ma le tengo per me. Scaramanzie).
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Vacanze senza fine

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L'estate ormai è alle spalle. Non importa che l'abbiate trascorsa in una spiaggia gremita o chiusi in casa ad aggiornare i vostri social network: prima o poi sarà capitato anche a voi uno dei più strazianti fra i classici argomenti da ombrellone: le vacanze degli insegnanti. Pare proprio che ne facciano troppe, no? Non si potrebbero tagliare in qualche modo? Specie quest'anno, quando a un certo punto per saltarci fuori sembrava che si dovesse amputare un po' di tutto – le province, i seggi in parlamento, le tredicesime, tutto – possibile che nel frattempo torme di laureati vadano in giro da giugno a settembre a spese nostre?

Ma è vero che gli insegnanti fanno troppe vacanze?

Sì, cioè no, cioè... è complicato. Di solito chi tira fuori l'argomento “troppe vacanze” tende a non considerare alcune cose.

La prima banalissima cosa è che gli insegnanti lavorano in un'istituzione, la scuola, che non gira attorno alle loro esigenze. Non è per far piacere agli insegnanti che si è stabilito di chiudere le scuole in luglio e in agosto. Semplicemente viviamo in un Paese mediterraneo soggetto a estati torride, e non disporremo mai di abbastanza risorse per climatizzare tutte le scuole pubbliche della Repubblica, nemmeno se volessimo. È molto più conveniente, per la serenità delle famiglie e la cassa dello Stato, salutarsi a metà giugno e rivedersi a metà settembre. L'insegnante non fa che adattarsi, e non è detto che si adatti bene. Io ad esempio soffro un po', come spiegherò più sotto.

La seconda cosa è che le nostre scuole aprono i cancelli agli studenti per un numero netto di giorni più o meno in linea con la media europea, e in particolare con la media di quei Paesi civili che hanno uno spread rispettabile e un'istruzione decente. Anche se altrove non è difficile vedere studenti sui banchi fino al trenta giugno, e dal primo settembre in poi. Il trucco è che in altri Paesi le ferie sono spalmate con più uniformità sull'intero anno scolastico: i famosi quindici giorni di vacanze di primavera in Francia o in Germania, eccetera. Noi no, noi facciamo questo enorme blocco in estate che sembra fatto apposta per far incazzare i contribuenti sotto l'ombrellone, per poi tuffarci a capofitto in uno studio matto e disperatissimo tra ottobre e dicembre e tra gennaio e aprile (da lì in poi cominciano i famosi ponti, che a seconda dell'anno possono toglierci da due a dieci giorni di lezione, ma pare che non si possa razionalizzare la cosa sennò il comparto turistico crepa sul colpo, il che mi sembra demenziale, ma tant'è).

È meglio il nostro sistema o quello francese o tedesco? Senz'altro quello francese o tedesco, se vivessimo in quei Paesi (e in qualche regione contigua a Francia ed Europa centrale varrebbe la pena di ricalcarlo). Ma siamo più a sud, e – banalmente – fa più caldo. La scuola italiana si può certo riformare e migliorare in mille modi, ma non è che si possa trasferire a un'altra latitudine. Forse un passo avanti come nazione lo faremo quando accetteremo la nostra condizione mediterranea, come dire quasi tropicale, ormai. Se uno va a vedere le nazioni zavorra dell'Unione europea, i famigerati PIIGS, scopre che a parte l'Irlanda si tratta di Paesi fortemente soggetti a questo clima mediterraneo che forse duemila anni fa poteva incubare la civiltà occidentale, ma era il periodo in cui l'aratro era uno spunzone di ferro e l'olio d'oliva il prodotto d'igiene personale più cool, gli atleti se lo spalmavano su muscoli e capigliatura. Sono cambiate tante cose e adesso, oggettivamente, è più difficile mantenere determinati standard di efficienza e civiltà intorno al quarantesimo parallelo. I tedeschi dovrebbero accettare questa semplice evidenza, stampare i maledetti eurobond e non rompere ulteriormente, che a questo punto un minimo di servizi efficienti tra Monaco di Baviera e Taormina interessa più a loro che a noi.

Ora confesserò una cosa imbarazzante. C'è un momento, verso la seconda metà di agosto, in cui comincio a pensare alla scuola, e all'inizio faccio un po' di fatica a metterla a fuoco. A quel punto, per aiutarmi, cerco di fare l'appello mentale di una classe: mentre mi aggiro in moto browniano in un negozio senza sedie, o giaccio inerte su uno sdraio, provo a ricordare i nomi dei miei studenti in ordine alfabetico. Ecco, è imbarazzante, ma non riesco mai a chiamarne ventotto su ventotto – c'è sempre qualcuno che manca, qualcuno di cui non ricordo più né il nome né il volto. E dire che ho lavorato con lui per almeno nove mesi. Probabilmente è qualcuno che credevo di conoscere abbastanza bene, semplicemente perché vedevo il suo faccino tutti i giorni e ogni tanto gli correggevo qualcosa. E invece non so più chi sia. Lontano dai banchi, lontano dal cuore. Maledette vacanze lunghe.

A me il calendario scolastico italiano non piace. Le lezioni della mia scuola addirittura partono lunedì prossimo, e oltre il dieci giugno probabilmente non andranno. Secondo me allungando un po' la coperta ai bordi si potrebbero tranquillamente inserire quindici giorni di lezione in più, senza aumentare lo stress di studenti o insegnanti. Nel mio caso specifico poi parte dello stress è dovuto proprio al fatto che non ho mai abbastanza tempo per interrogarli tutti o finire il programma, insomma 10-15 giorni di lezione in più li farei senza obiezioni. Questo non andrebbe in nessuno modo a influire sulle cosiddette “vacanze” degli insegnanti, perché in giugno e in settembre gli insegnanti a scuola ci sono comunque. Per dire, io ormai è da due settimane che vado a scuola quasi tutti i giorni, anche se i ragazzi li ho visti soltanto in foto. Cosa faccio? Perlopiù riunioni. Non dico che siano più stancanti delle lezioni – non lo sono – ma secondo me non funzionano. È come riaccendere un motore dopo due mesi, lasciarlo in folle e cominciare a scaldarlo sgasando abbondantemente. Non è il modo adatto di partire, anzi, possiamo stare sicuri che nei primi giorni di lezione lasceremo un bel po' di pneumatico sull'asfalto.

In un libro che non ho qui con me, devo citare a memoria – un curioso scrittore di fantascienza crepuscolare immagina il mondo invaso da una razza di formiche dotate di una tecnologia avanzata. Come hanno fatto a diventare così intelligenti? Secondo l'autore lo erano già. Il loro unico handicap era il letargo in cui andavano per alcuni mesi all'anno: quando si svegliavano dovevano ripartire da zero. A volte ho la sensazione che il problema di noi insegnanti italiani – e dei nostri studenti – sia proprio il letargo. Siamo come le formiche di Simak: non ci manca l'intelligenza, né l'organizzazione; il problema è che per tre mesi all'anno stacchiamo la spina, e quando torniamo non ci ricordiamo niente. Non si ricordano niente i ragazzi, che già a metà luglio fanno fatica a rammentare quello che hanno portato all'esame. E non ci ricordiamo molto nemmeno noi insegnanti. Facciamo riunioni e ci mettiamo a discutere di sanzioni e regole, di un'idea di scuola astratta, che esiste solo in questi giorni di settembre in cui le aule sono vuote. Ogni tanto pensi che lunedì avrai lezione e ti chiedi come farai, come si fa una lezione? Poi finalmente un mattino la campana suona sul serio, l'aula si riempie, e all'improvviso tutti i nomi degli studenti ti rientrano in testa, fai giusto in tempo ad accogliere tutti e dare due avvisi e la lezione è già finita. Per me almeno funziona sempre così, è davvero come svegliarsi da un letargo. Vorrei svegliami migliore ogni anno, ma non so come si fa. Forse è davvero impossibile, a queste latitudini perlomeno.


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Non siamo malati

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Chi è tuo fratello

“Allora, come l'hai trovato tuo fratello?”
“Peloso”.

...

“Uh, sì, comincia a mettere qualche pelo sotto il naso, è l'età...”
“Verranno anche a me dei peli così?”
“Può darsi, ma non ti devi preoccupare”.
“Quando mi vengono me li posso togliere?”
“Certo”.

...

“E lui perché non se li toglie?”
“Credo che abbia scelto di tenerseli”.
“Ma è brutto”.
“Non è brutto. È tuo fratello. Sta crescendo e ci tiene molto a mostrarlo. Magari tra qualche mese non si piacerà più e se li taglierà”.
“Allora può fare quello che vuole?”
“Con i peli che ha sotto il naso? Certo. Sono suoi”.
“Ma se può fare quello che vuole, perché non torna a casa con noi?”
“Tesoro, ne abbiamo parlato già. Tuo fratello non può vivere con noi. Non avrebbe abbastanza posto”.
“Poteva stare nella mia camera, come quando io ero piccolo”.
“Ma adesso tu non sei più piccolo, hai bisogno di più spazio, e anche tuo fratello ne ha bisogno. Ne abbiamo già parlato. Le persone come tuo fratello non possono dormire nelle stanze con gli altri bambini”.
“Perché diventano cattivi?”
“Ma no... non diventano cattivi. Chi ti dice queste cose”.
“Salima97 dice che mio fratello quando vede la luna diventa un lupo e morde la gente, ma io non ci credo tanto”.
“Fai bene, perché non è vero. Tuo fratello non diventa un lupo”.
“E allora perché non può venire a casa con noi? È malato?”
“Non è ammalato. Tuo fratello sta benissimo. Ma è un maschio. Non c'è niente di male. Però non può stare con noi”.
“Ma cos'è un maschio, mamma?”
“Ti ricordi quando abbiamo preso l'aeromobile e siamo andati in campagna, a vedere la stalla?”
“Sì”.
“Ti ricordi gli animali?”
“C'erano le oche, le anatre, i maiali, le galline, un cane e poi tutti gli animali con le corna”.
“Ecco. Ti ricordi come si chiamano gli animali con le corna?”
“Quando sono piccoli sono tutti vitelli, e poi mettono le corna e diventano: mucche, buoi e tori”.
“E che differenza c'è?”
“Le mucche sono le femmine, fanno i vitelli e gli danno il latte”.
“E i buoi?”
“I buoi sono neutri, sono buoni da mangiare e abbastanza forti per trainare i carretti. Però adesso invece dei buoi si usano i trattori a idrogeno”.
“Invece i tori...”
“I tori sono i maschi, sono forti ma non trainano i carretti perché sono cattivi, e mettono incinte le femmine”.
“Ti ricordi quante mucche hai visto nella stalla?”
“Quindici”
“E quanti buoi?”
“Dieci”.
“E i tori?”
“C'era un solo toro ma ce l'hanno fatto vedere da lontano”.
“Ecco”.
“Perché il signore ci ha detto che il toro era cattivo, crede che le mucche siano solo sue e aveva paura che noi gliele portavano via”.
“Ed è la sua natura, capisci? Il toro non ci può far niente. È fatto così”.
“E anche mio fratello è fatto così?”
“Lo conosci tuo fratello. È sempre lui, anche se sta mettendo i baffi. È simpatico, ti vuole bene, ti fa fare le capriole, però è un maschio. Se lo metti in mezzo alle altre persone, diventa nervoso, capisci? Pensa al toro. Cosa succede se vede una femmina?”
“Se un toro vede una femmina, pensa che è sua”.
“E se vede un maschio?”
“Pensa che è venuto a rubargli le femmine”.
“Ecco”.
“Ma mio fratello non è mica stupido così”.
“Tesoro, non è una questione di intelligenza. È una questione di istinto, capisci”.
“Cos'è l'istinto?”
“L'istinto è... quello che tutte le creature sanno fare senza che nessuno glielo spieghi. Per esempio, io sono la tua mamma. Nessuno mi ha insegnato come si fa, anche se tanti mi hanno dato dei consigli. Io ti vorrò sempre bene e cercherò sempre di difenderti, perché me lo dice l'istinto. Tuo fratello, invece, sta cominciando a guardare le ragazze”.
“Le ragazze sono stupide”.
“È l'istinto che lo guida. Non sarà contento finché non avrà trovato una ragazza con cui stare, e quando ne avrà trovata una si stancherà e ne cercherà un'altra, e così via. A te può sembrare strano, ma per lui è normalissimo”.
“Ma allora è vero che è cattivo?”
“Sei stato con lui tutta la giornata: ti è sembrato cattivo?”
“No, a me sembra sempre mio fratello”.
“Ecco. E sarà sempre tuo fratello. E ti vorrà sempre bene. L'importante è tenerlo lontano dagli altri maschi”.
“Perché gli altri maschi gli fanno paura?”
“Non è paura. È un istinto di competizione. Quando stanno assieme, i maschi sempre la lotta per decidere chi è il più forte”.
“Ma che senso ha?”
“Non ha nessun senso per te, ma per i maschi serve a decidere chi va con le ragazze”.
“Ma non possono andare tutti con ragazze diverse?”
“Adesso sì, perché di maschi ce ne sono pochi”.
“Una volta non era così?”
“No, una volta c'erano tanti maschi quanti femmine, e i neutri come te non esistevano”.
“E come facevate con così tanti maschi?”
“Eh, come facevamo... evidentemente le cose non andavano tanto bene. I maschi iniziavano a farsi la lotta da ragazzini e poi continuavano per tutta la vita. E siccome erano tanti, comandavano loro e facevano fare la lotta anche a noi femmine”.
“Comandavano loro?”
“Facevano i presidenti, i giudici, i poliziotti, i soldati... tutti i lavori più pericolosi”.
“Ma dai mamma, scusa, come faceva un maschio a fare il presidente?”
“Te l'ho detto, era un grosso problema. Infatti scoppiavano continuamente delle guerre”.
“Cos'è una guerra?”
“Una guerra è quando tutti i maschi di una nazione attaccavano i maschi di un'altra nazione, con le armi”.
“E perché dovevano fare una cosa del genere?”
“Tesoro, per milioni di motivi... però col tempo ci siamo resi conto che il motivo principale era l'istinto, appunto. I maschi si fanno la lotta fra loro: sono fatti così. L'unico sistema era... farne molti di meno, e tenerli separati dal resto della società”.
“Ma anche le donne si fanno la lotta”.
“Sì, tesoro, non siamo mica delle sante. Ma noi di solito lottiamo per difendere la nostra tana, la casa, la famiglia. I maschi invece, quando comandavano, erano molto più violenti e distruttivi. Ed erano sempre insoddisfatti, capisci? Perfino quelli più importanti... i presidenti, i colonnelli, i direttori delle banche mondiali... persino all'apice del loro potere, continuavano a dare la caccia alle donne, come dei selvaggi. Noi donne per molto tempo abbiamo pensato che fossero malati. Poi abbiamo capito che non era una malattia: erano semplicemente troppi. E così abbiamo deciso di farne meno”.
“Cos'è una banca mondiale?”
“Adesso un maschio come tuo fratello vive in un collegio. L'anno prossimo sarà considerato maturo e gli sarà assegnata una circoscrizione che contiene più o meno un centinaio di femmine di ogni razza ed età. Tutto quello che gli serve per essere felice senza diventare cattivo e senza fare la guerra a nessuno”.
“Ma come avete fatto a fare meno maschi?”
“Ti ricordi due anni fa, quando sei stato all'ospedale?”
“Sì, che sono stato in vacanza per una settimana e siamo stati anche a disneyland”.
“Ecco. Ti ricordi cosa ti hanno tolto all'ospedale?”
“Le palline”.
“Ecco. Se te le avessimo lasciate saresti diventato un maschio, come tuo fratello, e tra qualche anno avresti messo i peli come lui”.
“Che schifo!”
“Ma no, non sta così male”.
“Però non mi sarebbero piaciute le femmine!”
“Probabilmente sì”.
“Ma solo per via di due palline? Se uno ce le ha corre dietro alle femmine e se non ce le ha non gli interessano? Non ha senso”.
“Non deve avere senso, tesoro. È la natura”.
“Ma perché invece a mio fratello gliele hai lasciate? Non lo volevi tenere?”
“Tesoro no, come puoi dire una cosa del genere! Non sono stata io a scegliere. Quando siete piccoli, in ospedale vi fanno tutta una serie di esami. In base a questi esami tuo fratello è risultato più adatto a fare il maschio. Io nei primi anni non ero tanto convinta, sai. Ma poi sono rimasta incinta di te e ho pensato che forse era un segno”.
“Mamma, scusa, ma chi ti ha messo incinta?”
“Non lo conosci. Era il maschio della nostra circoscrizione, è andato in pensione cinque anni fa. Hai il suo naso”.
“E questo signore quindi... è mio padre?”
“Dove hai sentito questa parola?”
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Alla fine scegliemmo il nero

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Libertà è schiavitù

“Buonasera a tutti, dunque, se vi è capitato nelle ultime ore di sentire che la vostra marca hi-tech preferita spia i movimenti dei suoi clienti, ebbene, spero che non siate corsi a gettar via il vostro laptop o a bruciare il vostro telefono, perché le cose non stanno proprio così, vero Paul?”
“No, non stanno proprio così”.
“Paul è un addetto stampa della vostra marca hi-tech preferita, ed è venuto a spiegarci di cosa si tratta”.
“Beh, è presto detto. Ogni volta che un nostro dispositivo accede a una rete di telefonia mobile, esso salva le sue coordinate geografiche su un file”.
“Questo file rimane nel dispositivo”.
“Beh, se sincronizzi il dispositivo a un computer... passa al computer”.
“Ma non è che ogni tanto questo file venga inviato in automatico ai vostri server...”
“Ma no, assolutamente, eheheh”.
“Prego”.
“Scusi, oddio che imbarazzo, è che... ihihih”.
“Le scappa da ridere?”
“Sì, e non capisco perché”.
“Può darsi che si tratti del caffè che le hanno offerto i ragazzi”.
“Un caffè? Ihih. Ma non capisco”.
“Ecco, è possibile che esso contenesse una trascurabile dose di pentothal”.
“Ohoh”.
“La cosa la preoccupa?”
“Beh, sì, molto”.
“Ora, la prego, ci dica la verità: la famosa marca hitech che tutti ammiriamo e veneriamo... ci spia?”
“Beh, è chiaro che lo fa, voglio dire, chi non ci proverebbe. Avete tutti in tasca un affare che si triangola con una rete di antenne disseminate sul territorio, in pratica vi mettete in tasca una cimice, potevate arrivarci da soli”.
“Quindi lei ritiene che anche i vostri concorrenti abbiano attivato dei sistemi analoghi per tracciare i loro clienti?”
“Sì, con la solita differenza”.
“E cioè?”
“Che il nostro sistema... funziona”.
“Ma perché lo fate? Qual è il fine ultimo di tutta la faccenda?”
“Il fine ultimo... beh, mi sembra ovvio”.
“Ce lo dica, allora”.
“La conquista del mondo, ahahah”.
“La vostra società vuole conquistare il mondo?”
“No, non... io non credo che la conquista del mondo sia un obiettivo previsto dal nostro amministratore delegato o dall'assemblea degli azionisti. Tanto più che il mondo è un luogo per lo più sporco e privo di eleganza, popolato da individui squallidi che usano dispositivi abominevoli”.
“Ma allora, ci scusi, perché...”
“E tuttavia è innegabile che la nostra tecnologia renda la conquista del mondo un po' più semplice, così nel momento in cui un individuo, o un governo, o un ente intergovernativo, fossero interessati al prodotto, ecco, noi lo stiamo mettendo sul mercato”.
“Capisco. E... c'è qualcuno interessato?”
“Io non sono stato messo al corrente delle trattative, comunque...”
“Ci conferma quanto meno che qualche trattativa c'è”.
“Beh, una trattativa c'è sempre”.
“Qualcuno che vuole conquistare il mondo”.
“Magari solo un pezzo, sì”.
“Bene, Paul, lei è consapevole che questa intervista le costerà il posto”.
“Maledizione, sì”.
“Però in cuor suo dovrebbe ringraziarci, l'abbiamo resa famosa e ora grazie a lei un diabolico piano di conquista del pianeta è stato sventato”.
“Sventato? E perché?”
“Ma perché dopo aver sentito questa intervista, milioni di utenti in tutto il mondo spegneranno i loro cellulari e i loro tablet e...”
“No, non credo che lo faranno”.
“Scusi, crede che a loro piaccia essere spiati?”
“Ma certo. Lo sa cosa fanno on line, per lo più? Aggiornano il loro profilo facebook, ecco quel che fanno. Il più delle volte sono su un social network a spiegare dove sono e cosa stanno facendo. Sono tutti alla disperata ricerca di qualcuno che si interessi di loro, di qualcuno che li tracci”.
“Senta, su facebook decido io cosa rivelare e cosa no”.
“Ahahah. Mi scusi. È il pentothal”.
“...sì, va bene, forse facebook è l'esempio sbagliato, forse non è il più trasparente dei social network, però... voi avete tracciato milioni di vostri clienti in tutto il mondo! Senza avvertirli! Non la passerete liscia”.
“Beh, può anche darsi che qualcuno getti via il suo dispositivo. Non è un grosso problema, sa perché?”
“Sentiamo”.
“Ecco, io in realtà ero venuto a dirle questo. In anteprima. Sta per uscire il nuovo modello! Con dieci giga in più e tre etti in meno!”
“E non traccia più i movimenti?”
“Certo che li traccia! Con molta più precisione, infatti ora usiamo il gps!”
“E allora nessuno lo vorrà”.
“Ho qui il prototipo nella valigetta”.
“Ah sì? Possiamo dare un'occhiata?”
“Beh, non so, a questo punto forse non vale la pena”.
“Ma così, per dovere di cronaca... o mio Dio”.
“Bello, eh?”
“Quanto è sottile. Quanto è sottile”.
“Le batterie durano una mezz'ora in più. Ora non mi dica che non lo desidera”.
“Con tutta l'anima... eh, no, aspetti, non ha senso. È un aggeggio diabolico, praticamente può dirvi in qualsiasi momento dove mi trovo sulla terra”.
“E non ha ancora visto il modello nero”.
“Ah, lo fate anche nero?”
“Sì, è più virile”.
“Ma insomma! Non ha senso! Ne ho comprato uno sei mesi fa!”
“Uno vecchio, intende”.
“Già”.
“Perché adesso è vecchio, capisce? Basta dare un'occhiata a questo per rendersene conto. Quello era tutto spigoli”.
“Sei mesi fa andavano gli spigoli”.
“Questo invece, guardi com'è liscio”.
“Uff, è proprio liscio liscio... però mi spia...”
“E che sarà mai...”
“Insomma, per chi m'ha preso? Crede che io sia un bambino? Crede che siamo tutti bambini, che sia sufficiente qualche variazione nel design per farci rinunciare alla nostra privacy? Non comprerò mai più un vostro prodotto”.
“Dimenticavo, ha il tracciamento oculare”.
“E cosa sarebbe il tracciamento...”
“Non c'è più bisogno di toccarlo. Può spostare il cursore col movimento delle sue pupille”.
“Non ci credo”.
“Guardi qui un attimo...”
“Ouch”.
“Ecco fatto. Adesso apra il browser”.
“Come diavolo faccio ad aprire il browser se ce l'ha in mano lei... O mio Dio”.
“Vede? Semplice e intuitivo”.
“Sto... sto navigando con la forza del pensiero!”
“Non proprio. Non ancora, perlomeno. Comunque con le ciglia può azionare un sistema di riconoscimento che identifica i dieci siti più visitati con dieci movimenti delle palpebre. È molto più difficile spiegarlo che usarlo, come sempre. In pratica lei fa l'occhiolino e apre la sua posta. Guarda in basso e scrolla la pagina. Eccetera”.
“Incredibile. Ahi!”
“Ha sentito una fitta alle tempie?”
“Sì”.
“Non si preoccupi, ci si fa l'abitudine, è il log cerebrale”.
“Eh?”
“In pratica il dispositivo sta scansionando le sue sinapsi, è una cosa che fa quando si connette, e poi di tanto in tanto”.
“Ma è legale?”
“Beh, sarà scritto un po' in piccolo nella pagina del contratto”.
“Anche questo è funzionale alla conquista del mondo, immagino”.
“In senso lato. Probabilmente dopo aver mappato un bel po' di reti neuronali avremo a disposizione un'enorme mole di informazioni sul cervello umano che potremo usare per realizzare dispositivi sempre più potenti”.
Ahi”.
“Sente? Lo ha rifatto. Inoltre riusciamo già da ora a condizionare i nostri utenti, mediante una serie di impulsi che vanno dal doloroso al piacevole”.
“Ahi”.
“Non pensi troppo veloce, è peggio”.
“Ma c'è un modo di spegnere... ahi!”
“Sì, c'è un modo, ma il solo pensarci diventa doloroso. Pensi a delle cose belle”.
“Ah”.
“Va già meglio, vede? Ha già deciso come lo vuole? Bianco o nero?”
“Io... non saprei. Bianco è più pulito”.
“Giusto”.
“Una volta facevate cose più bianche”.
“Il nero però è più virile”.
“Decisamente”.

(L'immagine è rubata da qui)
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Free Dolomizia Now!

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La prima volta che senti parlare di Guardie Regionali pensi: Ok, ci siamo, è ricominciata la stagione delle puttanate leghiste, così presto? Dobbiamo fare il cambio armadi...

La seconda volta che ne senti parlare ti dici: Beh, in effetti stanno semplicemente cercando di creare posti di lavoro - un po' come i forestali in Calabria - è il nuovo assistenzialismo settentrionale. Non se ne farà niente, ma non è mal pensata.

La terza volta ci rifletti bene. Ehi, questi comandano in Regione e vogliono l'esercito. Ma per farne cosa? Per difendersi da chi? Ma dall'autonomismo provinciale, ovvio.



La Prima Guerra delle Dolomiti (H1T#70) si combatte sull'Unita.it e si commenta laggiù.

Il processo di disgregazione della Repubblica Italiana entra nella fase finale con la prima guerra dolomitica (2029-30). Da decenni, del resto, le Dolomiti erano considerate la “polveriera del Triveneto”: si trattava soltanto di capire quando e come il conflitto sarebbe scoppiato. Le prime rivendicazioni di autonomia sono addirittura precedenti all'istituzione della Guardia Regionale Veneta (poi Guardia Serenissima). Sin dal 2007 alcuni comuni, tra i quali Cortina d'Ampezzo, avevano indetto referendum per l'annessione al Trentino Alto Adige: data al 2010 la prima raccolta firme per il passaggio dell'intera provincia alla ricca regione confinante. Negli anni successivi la questione dolomitica si estremizza, mentre cresce nel governo centrale di Venezia la consapevolezza che anche un minimo cedimento territoriale avrebbe segnato la fine dell'entità regionale (erano del resto gli anni della sanguinosa guerra di Secessione Emiliano-romagnola). D'altro canto la politica di chiusura doganale e autarchia, portata avanti da Venezia nel tentativo di salvare la farraginosa industria del Nordest, frustrava la vocazione turistica del bellunese, che guardava con invidia alle autonomie delle regioni confinanti.

Fu un'ordinanza del Governatore Ivan Abu Galan a ufficializzare, verso la metà degli anni Venti, l'occupazione militare dell'intera area dolomitica, nel tentativo di sopprimere una guerriglia endemica e il fiorente mercato del contrabbando sui valichi. Galan, volendo evitare che gli effettivi della Serenissima Guardia simpatizzassero con gli abitanti, dislocò sul territorio i reparti della Legione X Rovigotta, oltre ai famigerati Incursori del Polesine, che si erano fatti le ossa durante il lungo conflitto emiliano-romagnolo, ma che si sarebbero rivelati del tutto inadeguati a fronteggiare una resistenza alpina. La guerriglia assunse anche connotati etnici: una buona parte della Legione X era infatti costituita da volontari slavi e nordafricani, che in cambio di un fermo di cinque anni ottenevano l'ambita cittadinanza veneta. Come ebbe a verificare molti anni più tardi una commissione d'inchiesta interregionale, questi legionari non si abbandonarono a furti e violenze sulla popolazione locale in misura maggiore dei legionari autoctoni: ciononostante il Movimento Autonomista Dolomitico (MAD) ebbe buon gioco a lanciare l'insurrezione “contro i nuovi Mori de Venezia che stuprano e rubano”. Il catastrofico autunno del 2029 fu decisivo: i legionari dovettero accantonare le mitragliette e imbracciare il badile, per far fronte alle piene assolutamente imprevedibili del Bacchiglione e del Brenta. Nel frattempo (dicembre del '29) Cortina d'Ampezzo si autoproclamava capitale della Nuova Repubblica Dolomitica: un mese dopo il MAD liberava Belluno. La nuova Repubblica fu immediatamente riconosciuta da Friuli, Romagna, Gallura e Valtellina, mentre forte era l'imbarazzo del parlamento di Bolzano, che aveva a lungo auspicato un'annessione pacifica di Belluno alla federazione del Grande Tirolo.

A quel punto Abu Galan chiese aiuto a Roma: quella di Cortina era infatti una vera e propria dichiarazione d'indipendenza, un affronto inaudito all'antica Costituzione del 1948. Ma Roma non avrebbe potuto aiutare gli unionisti veneti, nemmeno se avesse voluto: quello che restava dell'Esercito italiano, ormai soppiantato sul territorio dalle più dinamiche Guardie Regionali, era quasi del tutto impiegato oltremare in operazioni di peace-keeping. E comunque per accedere al Veneto l'esercito italiano avrebbe dovuto passare dal crinale tosco-emiliano, devastato dalla guerriglia del Fronte di Liberazione della Garfagnana (FroLiGarf) nonché dall'infinito conflitto tra Emilia Estense ed Emilia Lunense.

Probabilmente Abu Galan non arrivò a chiedere – come tuttora sostengono alcuni storici imperiali – il bombardamento aereo delle Dolomiti. In ogni caso il presidente della Repubblica Omar Caltagirone si limitò a deprecare solennemente gli avvenimenti e auspicare un intervento alla Nato (che aveva chiuso le sue basi venete dieci anni prima, per trasferirsi sui nuovi fronti 'caldi' dell'Europa Orientale e dell'Africa centrale). Quando la Nato confermò il suo sostanziale disinteresse per gli affari interni italiani, Abu Galan si risolse a chiedere aiuto all'Unione Europea. Benché l'Italia fosse uscita dall'Unione ormai da vent'anni, la UE manteneva forti interessi commerciali, soprattutto nella Valle padana, dove molte multinazionali, attirate dalla lira debole e dall'enorme serbatoio di manodopera sottopagata, avevano trasferito gli impianti produttivi. Verso la fine degli anni Venti tuttavia questa fase stava per concludersi: lo stato di guerriglia permanente allontanava gli investitori e manteneva bassi i consumi.

E tuttavia Bruxelles non sembrava considerare così urgente la questione dolomitica. Il rischio era sempre quello di ritrovarsi una massa di profughi ai valichi con l'Austria o la Slovenia. Furono le immagini delle stragi di Lamone e di Lavaredo a cambiare la percezione dell'opinione pubblica europea nei confronti di Abu Galan e del suo luogotenente, il famigerato Sharif Gentilini, contro i quali furono persino spiccati mandati di cattura internazionali. Ma anche i governanti dell'UE non avrebbe mai consentito il bombardamento di un patrimonio Unesco. Mentre comunque tra Bruxelles e Strasburgo se ne discuteva, una primavera precoce aveva riportato la Guardia Serenissima in quota: il venti febbraio la giunta del MAD aveva dovuto abbandonare Belluno in direzione Ponte delle Alpi; il dieci marzo cadeva Longarone; due settimane più tardi capitolava anche Pieve di Cadore, aprendo la strada verso Cortina. Fu a quel punto che quello che restava del MAD si risolse a un gesto che avrebbe cambiato per sempre la Storia europea, votando un solenne atto di sottomissione a Damir Ibrahimovic von Habsburg, presidente della Croazia, nonché titolare di quattro alberghi e un impianto sciistico nel bellunese. Lontano parente di una delle più antiche famiglie dell'aristocrazia europea, Ibrahimovic non esitò a intervenire per salvare le sue proprietà. Mentre la piccola flotta croata bloccava indisturbata i porti veneti (la Serenissima non aveva nessun tipo di marina militare), un contingente di “osservatori” sbarcava il primo aprile a Jesolo, facendosi strada senza colpo ferire fino a Mestre. Fu probabilmente la generosità di Ibrahimovic il segreto del suo rapido successo: invece di arrestare Abu Galan e consegnarlo al Tribunale dell'Aja, il Presidente croato riconobbe al governatore serenissimo l'autonomia sulla laguna veneta e su parte del territorio di Padova e Treviso. Il resto del Veneto, martoriato dalle imprevedibili alluvioni e dalla guerriglia autonomista, fu occupato dai croati, ai quali subentrarono ben presto gli legionari dell'ex Guardia Serenissima, riconvertita da Ibrahimovic von Habsburg in esercito privato. Quest'ultimo in effetti non intendeva annettere i territori veneti alla Croazia, quanto piuttosto creare un suo feudo personale sull'altra sponda dell'Adriatico. La gente era abbastanza stanca di guerre per le autonomie ed era disposta ad appoggiare qualsiasi signorotto garantisse una relativa serenità. I veneti accolsero quindi con entusiasmo le liberali concessioni di Ibrahimovic, che in cambio dell'atto di sottomissione concesse ai comuni più popolati il diritto di battere moneta, riscuotere tasse e gabelle e stabilire i guidrigildi.

Il suo disegno avrebbe preso forma più compiuta una trentina d'anni più tardi. A quel punto il figlio di Ibrahimovic, Mustapha II Habsburg, aveva già unito al titolo di Margravio delle Dolomiti le corone di Croazia e Montenegro, riunitesi con un plebiscito in una monarchia ereditaria. Fu Papa Giovanni Mohammed III, scacciato da Roma durante i moti indipendentisti ciociari, a chiedere il suo intervento nell'Italia centrale. Sconfitti i ribelli nella battaglia di Zagarolo, Mustapha fu ricompensato dal pontefice con quel titolo di Sacro Romano Imperatore, che – dopo duecentottant'anni – tornava finalmente alla casata Asburgo. L'Impero era risorto: il medioevo era finito. http://leonardo.blogspot.com
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Chi se ne andrà per primo

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[Dieci anni fa, quando nacque, mai e poi mai questo blog si sarebbe immaginato di essere oggi ancora qui a pubblicare più o meno le stesse cose. Eppure è successo, bisogna accettarlo, aggrapparsi all'idea che tutta questa roba non è andata interamente sprecata, che qualcuno se ne ricorderà, certo non fino al 3754, ma alla fine poi cosa dovrebbe fregare a noialtri della gente del 3754, con le loro idee religiose un po' balzane e i loro gusti musicali discutibili. Questo era un pezzo dello scorso aprile]:

Più grandi di J.

DAL NOSTRO INVIATO - SILVABUL, 10 APRILE 3754.
Gsaui Rradoc, il più famoso lennonologo 'laico' del nostro semisfero, autore del controverso Intervista su Jesus mi accoglie nella sua confortevole cella di rigenerazione. Quando gli racconto delle ultime dichiarazioni di Ganesh XXVI, le rughe intrecciate sul suo volto sussultano; è il suo modo di ridere.

“Cos'è che avrebbe detto, l'elefantino?”
“Ganesh XXVI, il Dio vivente del Punjab, ha dichiarato ai giornalisti di essere diventato più grande di Lennon. È stato il suo modo di festeggiare la quarantesima settimana in testa alla top 20 Divinità”.
“Ah, già, la top 20. Beh, io non m'intendo molto di queste cose...”
“Si calcola che in media GXXVI richiami venti milioni di fedeli alle sue celebrazioni settimanali. È in effetti un record con pochi precedenti nella Storia recente”.
“Beh, se la mettiamo su questo piano, sì, non credo che Lennon facesse numeri del genere, ma vede, è sulla distanza che si vedono queste cose... non so se si ricorda T-re§”
“Vagamente. Faceva uno show coi serpenti...”
“L'incantatore di rettili transessuale di Ganimede. Fece il botto quindici anni fa, milioni di fedeli in tutto il sistema solare, anche a lui a un certo punto scappò detto di essere più grande di Lennon. E poi che fine ha fatto?”
“Che fine ha fatto?”
“Pare abbia aperto una concessionaria di condizionatori su Plutone. Vede, Jesus Lennon resta il più grande predicatore della Storia, non per i milioni di contemporanei che ha portato dalla sua parte; ma per il solo fatto che a duemila anni di distanza stiamo ancora parlando di lui. Tra dieci, vent'anni, arriverà qualche nuovo fenomeno da baraccone – una donna con dodici mani, un dio-lucertola, che ne so – e di loro, scommetto, nessuno dirà che sono “più grandi di Ganesh XXVI”. Diranno che sono più grandi di Lennon”.
“Gli Dei passano, Jesus Lennon resta. Come mai?”
“Il tempo è dalla sua parte, come recita un suo inno (per la verità di incerta attribuzione). Essere vissuto due millenni fa, nell'oscuro medioevo prediluviano, lo mette al riparo dalla luce troppo invadente dei riflettori. Di lui in effetti non sappiamo poi molto”.
“Chi era veramente Jesus?”
“Dopo duemila anni di rielaborazione mitologica è difficile rispondere a una domanda come questa. Ma almeno viviamo nel semisfero dove possiamo porcela senza temere di essere crocifissi da qualche inquisitore troppo zelante”.
“Profeta o figlio di Dio?”
“Io preferisco pensare a lui laicamente, come a un grande musicista. Per molti secoli questo aspetto della sua biografia è stato tralasciato; ci si concentrava sui contenuti degli inni, senza riprodurre la musica (che comunque era molto lontana dalla nostra sensibilità). Ma io resto convinto che non sarebbe diventato il più grande predicatore della Storia se non avesse avuto l'idea geniale di musicare le parabole e trasformarle in canzoni. Penso a certi inni immortali, come Stairway to Heaven o God Save The Queen. Figlio di Dio... mah, senz'altro nei suoi inni il padre è visto come un'entità lontana; è possibile che Lennon fosse orfano di padre, o comunque avesse sperimentato l'abbandono durante l'infanzia”.
“Falegname o chitarrista?”
“Le due cose potrebbero andare assieme; abbiamo trovato in vari siti archeologici esemplari di chitarre interamente lignee; può darsi che il giovane Jesus abbia svolto un breve apprendistato musicale in una bottega di falegnameria”.
“Fino all'incontro, che gli sconvolge la vita, con Elvis il Battista”.
“Su questo i Vangeli concordano: la predicazione di Lennon ha inizio solo dopo che Elvis lo battezza nel Giordano. È un evidente passaggio di consegne; il Battista è nella fase calante della sua carriera; i seguaci gli hanno voltato le spalle, lui stesso si considera Vox Clamans in Las Vegas
“Eh?”
“È latino. Voce che chiama nel deserto”.
“Ah”.
“Nel frattempo in Galilea Jesus raccoglie i primi discepoli, gli Scarabei”.
“Questi li so, li so. Luca, Matteo, George e Ringo”.
“Così secondo i Vangeli, che sono attribuiti a loro. Ma gli storici tendono a escludere George, che nei documenti più antichi è visto indossare una chitarra lignea”.
“Ma non era lo strumento di Lennon?”
“Appunto. La tesi più accreditata è che gli Scarabei fossero quattro in tutto, e che Lennon fosse uno di loro; San George sarebbe stato aggiunto al racconto un millennio più tardi, durante le crociate, quando diventa il patrono dei crociati e poi dell'Inghilterra.; probabilmente un soldato inglese reduce dalla prima crociata in Terrasanta, che tornando nel Merseyside riscuote un incredibile successo spacciando per sue le canzoni di Lennon, e trasformandosi in una vera e propria reincarnazione di Lennon in una terra tanto lontana da quella che aveva assistito alle esibizioni del quartetto originale”.
“Quindi lei non ammette l'ipotesi che Jesus Lennon e gli Scarabei d'Argento abbiano vissuto gran parte della loro vita in Inghilterra”.
“È una deformazione medioevale, quando fioriva il mercato delle reliquie e ogni nazione si inventava luoghi santi in cui avevano vissuto... pensi che un culto di Lennon sopravvive anche nelle isole del Pacifico Orientale, dove rappresenta il Sole, contrapposto al Dio Luna Yoko...”
“Ma la Sindone mostra i lineamenti di un inglese biondo, capellone...”
“La Sindone è una reliquia medievale. Potrebbe essere effettivamente il sudario di un crociato, chissà, magari proprio George. Ma il Lennon storico deve avere avuto lineamenti molto diversi da quelli con cui viene raffigurato di solito. Tratti somatici mediorientali, carnagione olivastra...”
“Niente capelli biondi, quindi. E niente occhialini”.
“Nella Palestina romana? No”.
“Già, i Romani. Sono stati davvero loro a ucciderlo?”
“Anche questo ovviamente non è chiaro. Lennon viveva in un periodo turbolento, in cui molti predicatori sobillavano alla rivoluzione. All'inizio però la sua posizione è ambigua. C'è un inno, Revolution, di cui si conoscono due versioni. In una dice “You can count me in”, che in aramaico significa “Includetemi, anch'io voglio fare la vostra rivoluzione”. In un'altra dice l'esatto contrario: “You can count me out”, tenetemi fuori”.
“Probabilmente una delle due è apocrifa”.
“Sì, ma è praticamente impossibile determinare quale; entrambe le versioni sono antichissime, al punto che alcuni ipotizzano che lo stesso Lennon fosse indeciso sulla strada da prendere, e che abbia inciso la canzone in due versioni. In ogni caso all'inizio non si considerava un predicatore politico nel senso che diamo oggi all'espressione. La sua figura era più simile a quella che oggi chiameremmo artista”.
“Jesus Lennon, un artista?”
“Nei primi anni di predicazione con gli Scarabei, Lennon non sobilla nessuna rivoluzione. È soltanto un musicista ispirato che richiama folle ovunque si esibisca, in Galilea, Giudea, e nella misteriosa Bolla degli Olivi”.
“È il periodo dei miracoli: dà la vista ai ciechi, risuscita i morti...”
“La tradizione dei miracoli è probabilmente un equivoco linguistico. Quante volte ci capita di dire che la tal cosa “risuscita i morti”. È un'espressione enfatica che sottolinea la grande potenza espressiva delle parabole musicali di Jesus”.
“Quindi Lennon non risuscitava i morti”.
“Solo in senso figurato”.
“Non tramutava l'acqua in birra”.
“Probabilmente i birrai in sua presenza preferivano spillare birra vera e non la solita broda annacquata”.
“E il grande miracolo di Woodstock?”
“Su Woodstock ci sono diverse teorie. Tutti gli studiosi concordano che fu un disastro logistico, e che migliaia di persone rimasero in mezzo al fango senza nulla da mangiare”.
“Finche Lennon non moltiplicò i pani e i pesci”.
“È indimostrabile, ovviamente. Il vero miracolo di Woodstock sono le sue parole, il cosiddetto discorso della montagna, sul quale è fondato il lennonismo occidentale: "Beati i miti perché erediteranno la terra, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia..." peccato che di questa canzone si sia persa la musica. Comunque i Romani non avevano nulla da temere da un fenomeno musicale-religioso di questo tipo. Gran parte dei riferimenti delle sue canzoni (il divino Tricheco, la Lucia nel Cielo di Diamanti, i Perpetui Campi di Fragole) erano oscuri già allora”.
“E allora perché lo crocifiggono?”
“A un certo punto qualcosa cambia. Lennon è accusato di avere frequentazioni scandalose: pubblicani, prostitute, spacciatori, artisti concettuali. Gli Scarabei d'Argento si sbandano”.
“Forse il successo gli stava dando alla testa”.
“È la tesi forte del Vangelo di Ringo, che però è il più tardo dei quattro. In realtà i suoi inni del periodo post-Scarabei sono i più politicizzati. È possibile che a un certo punto Lennon si sia veramente trasformato in oppositore al regime di occupazione romana che, non dimentichiamocelo, era fondato sulla violenza e sulla prevaricazione. Anche nell'ultimo periodo Lennon rimane comunque un pacifista; non inneggia alla lotta armata, al contrario. Ma è possibile che il suo antimilitarismo desse ugualmente fastidio. Era il periodo in cui l'Impero reclutava legionari anche nelle province per difendersi dalle incursioni Sovietiche e Persiane”.
“Tradito dal suo manager, Lennon viene arrestato e condannato alla morte sulla croce”.
“Il resto è leggenda”.
“Una leggenda comunque miracolosa, per aver resistito tutti questi secoli”.
“Chissà quanti altri cantanti e predicatori infiammarono i cuori per una breve stagione e poi furono dimenticati. Lennon ha potuto contare su uno dei più grandi PR della Storia”.
“Si riferisce a Paul McTarso?”.
“Il buffo è che probabilmente i due non si sono mai conosciuti di persona. Paul aveva ricevuto un'educazione musicale classica, e all'inizio non aveva assolutamente orecchio per le composizioni di Lennon. Anzi, con le sue prime ferocissime recensioni Paul dà inizio a una vera e propria campagna di persecuzione contro il lennonismo e i suoi seguaci”.
“Poi succede qualcosa... Un incidente, mi pare”.
“Sull'autostrada Damasco-Liverpool. Paul vede una luce abbagliante, sbanda ed esce di strada. Viene soccorso, ma rimane temporaneamente cieco, muto, e apparentemente sordo. Ma è evidentemente una sordità selettiva. Immerso nel silenzio, Paul sperimenta una vera e propria epifania. Può ascoltare le composizioni di Lennon senza pregiudizi culturali. La sua conversione fa scalpore e getta le basi per il successo del credo lennoniano in tutto il bacino del mediterraneo”.
“C'è anche chi dice che il vero Paul sia morto nell'incidente”.
“È una leggenda durissima a morire. Ma ce ne sono di più interessanti. Secondo alcuni è Paul il vero inventore del lennonismo moderno: molti ritornelli degli inni lennoniani sarebbero suoi. In effetti è difficile pensare che la stessa persona possa aver scritto composizioni musicalmente così diverse tra loro come Helter Skelter o Yesterday. Alcuni si spingono ad affermare che Lennon non sarebbe che una figura mitica, un musicista biondo e capellone studiato a tavolino per rendere più appetibili le composizioni dello stesso Paul. Come vede, c'è una teoria per tutti”.
“Non c'è proprio niente di cui possiamo essere sicuri?”
“Io sono ragionevolmente sicuro di un paio di cose. La prima è che tra un millennio o due ci sarà ancora qualcuno, come lei o come me, che ha voglia di discuterne. La grandezza di Lennon è questa”.
“E la seconda cosa è...”
“Anche l'invidia non cesserà mai. Ci sarà sempre qualche Messia o Avatar pronto a dichiarare di essere diventato Più Grande di Lui. Guardi questa, è la riproduzione di un antichissimo ritaglio giornalistico. Come sa, gran parte dei documenti originali dell'epoca lennoniana non ci sono arrivati, perché gli archivi erano stati digitalizzati nei decenni precedenti al diluvio, e non abbiamo mai capito come si leggono i loro supporti magnetici. Di loro ci è rimasta solo la carta stampata che si erano dimenticati di riciclare. Vede? Questo è un antichissimo ritratto fotostatico di Lennon, molto sbiadito. La scritta in basso è in aramaico. Sa cosa dice?”
“IGGER THAN JESUS LENNON CLAIMS. Ovviamente no”.
“La traduzione più accreditata è: Qualcuno afferma di essere più grande di Jesus Lennon. Evidentemente Lennon veniva attaccato dagli emuli già in vita. Eppure loro sono passati, lui no. La sua musica era semplicemente migliore”.
“Io in realtà non ne ho ascoltato molto”.
“Venga, le faccio sentire un pezzo rarissimo”.
“Ma veramente... non m'intendo molto di musica classica, sa...”
“Quando è buona musica, non è classica né moderna: è eterna. Sente?”
“Sento solo rumore”.
“Deve abituarsi un po'. Vede, in questo pezzo Lennon chiede all'ascoltatore di ascendere, di immaginare un luogo meraviglioso dove qualsiasi cosa è possibile”.
“Le parole dicono questo?”
“Le parole dicono: Portami laggiù, nella Città Paradisiaca, ove l'erba è verde e le fanciulle sono leggiadre”.
“Molto bello. Si è fatto tardi, devo andare”.

Attraverso la loro musica quei quattro ragazzi di Liverpool, splendidi e imperfetti, sono stati capaci di leggere e di esprimere i segni di un'epoca che a tratti hanno persino indirizzato, imprimendovi un marchio indelebile. Un marchio che segna lo spartiacque tra un prima e un dopo. E dopo, musicalmente, nulla è più stato come prima
L'Osservatore Romano, 10/4/2010.

Siamo più famosi di Gesù adesso. Non so chi se ne andrà per primo, se il rock'n'roll o il Cristianesimo
John Lennon, 1965.
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Il futuro è nel frigo

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[Tra un mese questo blog compie 10 anni, e li festeggia ripubblicando 10 pezzi del suo polveroso archivio. Questo è del febbraio 2001, e trae ispirazione da un tormentone di quegli anni: ogni volta che da qualche parte c'era una fiera dell'elettronica, SMAU e consimili, i giornalisti si precipitavano a scrivere l'imminente arrivo di un frigorifero che si sarebbe fatto la spesa da solo. 10 anni più tardi quel frigo lo devo ancora vedere, e sì che ne avrò cambiati tre. In compenso adesso ho l'ascensore. Ma non lo uso quasi mai].

Il futuro è fattorino

Di questi tempi, quando ho il frigo vuoto, difficilmente trovo il tempo per andarlo a riempire. Non penso che in futuro le cose andranno meglio, per quanto riguarda il tempo; in compenso credo che sarà la tecnologia ad aiutarmi.

Infatti tra un paio d’anni, recessione permettendo, stimo di poter iniziare a fare la spesa on line. Andrò sul sito della coop (o della conad, a seconda dei prezzi, della grafica, delle politiche ambientali) e selezionerò i prodotti, invierò una mail, e un fattorino verrà a recapitarmi le sporte a casa (non sarà più umiliante abitare al terzo piano senza ascensore). Avrò così più tempo da dedicare al mio lavoro.

Rimarrà la fatica di controllare cosa manca nel frigo.

Ma tra cinque-sei anni, penso che anche questa fatica mi sarà evitata da un frigorifero intelligente che mi avverta da solo sulle scadenze delle merci, sulle carenze (se manca il latte), sulle eccedenze (troppi pomodori, poi vanno a male), sui gusti dei famigliari (le sottilette non vanno mai via), ecc.. Il frigorifero mi manderà una mail e io farò l’ordine ai fattorini. Avrò così più tempo da dedicare al mio lavoro.

Infine, tra meno di dieci anni, se non si sovrappongono crisi, calamità, pestilenze, se insomma la civiltà occidentale resiste, la tecnologia mi doterà di un frigorifero non solo intelligente, ma anche affidabile, il quale manderà direttamente le mail ai fattorini, senza chiedermi il permesso. Al massimo sarò io a chiedergli di tanto in tanto più o meno gelati, a seconda di come me la passo. Ma col tempo il frigorifero imparerà a conoscere i miei cicli e stati d’animo, non dovrò più dirgli nulla, arriverò a casa la sera con la cena già bella e recapitata dai fattorini, e avrò più tempo da dedicare al mio lavoro.

Il quale lavoro consisterà, se le mie previsioni non sono errate, nel fare il fattorino, sgobbando dodici ore al giorno per strada e su per le scale, a portare la spesa a un sacco di persone come me che non hanno il tempo di farla, perché anche loro fanno i fattorini.
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Di putridi e di puri

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Rifiuti berlusconi, fonte di ogni male?
(An english version)

Ma cos'è questa puzza?

Leonardo.

Eh? Chi mi chiama?

Leonardo, rispondi attentamente. Ricordi il tuo cognome?

È personale.

Che professione svolgevi?

Come sarebbe a dire “svolgevo”... scusate, però, risponderò volentieri a tutte le domande, ma aprite una finestra, perché questa puzza io...

Ricordi la tua data di nascita?

Certo. Ahem. Undici. Ventinove. Settantatredici... scusate, è strano, ho un'... un'amniocentesi...

Ricordi la tua data di morte?

No, quella proprio no, mi dispiace.

In che anno ritieni di essere?

Io... boh, dalle parti più o meno del Duemila e...

Mi spiace, ma non c'è un modo gentile per dirtelo: siamo nel 2273.

Peeerò.

Ora, rispondi con franchezza. Pensi di essere vivo o morto?

Uhm, se sono vivo dovrei essere molto, molto anziano. D'altronde, nel secondo caso... si spiegherebbe la puzza.

Leonardo, sei stato resuscitato.

No! Sul serio! Ma io lo sapevo, infatti, meno male che sono rimasto cattolico fino alla fine, lo sapevo che...

Non è la resurrazione cattolica.

Lo sapevo. Fregato anche stavolta. Siete musulmani?

Siamo antiberlusconiani.

State scherzando.

No. La nostra civiltà – che è sorta sulle ceneri della vostra – poggia su solidi pilastri morali, uno dei quali è il rifiuto di ogni berlusconi.

Ma no, anche quelli piccoli e biondi? Che vi hanno fatto di male?.

Già, è pur vero che ai tuoi tempi “Berlusconi” era ancora un nome proprio. No, per noi “berlusconi” è un nome comune e rappresenta tutto ciò che è malvagio, meschino, appariscente, tronfio, vaniloquente, egoista, fine a sé stesso, amorale e fiero d'esserlo, ignorante e fiero d'esserlo...

Va bene, ho capito.

...Maschera di plastica, fonte di ogni malizia, fonte d'ogni corruttela, torre eburnea nello sterco delle miserie umane...

Ho detto che ho capito.

Quando si cominciano le litanie berlusconiane non si possono interrompere, altrimenti bisogna ricominciarle da capo.

Ci credete parecchio, in questa cosa.

È il pilastro della nostra civiltà. Il rifiuto di ogni berlusconi.

Mi fa piacere, e mi sento onorato di poter partecipare in qualche modo partecipare, anche se... non mi si potrebbe deodorare in qualche modo?

Vai benissimo così.

Se lo dite voi.

Dici di sentirti onorato. Perché?

Beh, mi avete resuscitato... voglio dire, grazie.

Perché credi di essere stato resuscitato?

Non saprei... suppongo che non lo facciate con tutti, ecco.

No. C'è già fin troppa gente in giro.

Ecco. Magari resuscitate persone che in un qualche modo sono state importanti, che hanno lasciato cose interessanti...

Se tu ci avessi lasciato cose interessanti, perché resuscitarti? Ci terremmo le tue cose e ti porteremmo dei fiori ogni tanto.

Giusto.

Devi sapere che oggi, 29 settembre 2173, noi come ogni anno “festeggiamo” - si fa per dire - il Berlusconi originario.

E quindi mi avete resuscitato perché... sono un antico antiberlusconianiano, ecco, volete una testimonianza oculare, capisco.

Ma sentitelo, il serpente.
Non si rende nemmeno conto.
Silenzio, silenzio.

Leonardo, ogni 29 settembre noi resuscitiamo un berlusconiano del passato, un uomo che incarni la vergogna della nostra ex civiltà, per processarlo e per punirlo come merita.

Aaaaah, come quel Papa del medioevo, processato da cadavere, una cosa così. E io chi sarei, un testimone?

Tu sei l'imputato.

Eh?

Alzati in piedi.

Non ce li ho, e comunque, anche se li avessi.... ehi, mi sto alzando! Galleggio nell'aria! La vostra tecnologia è davvero straordinaria!

È la tecnologia dei pupi medievali, ti abbiamo attaccato dei fili e ti stiamo sollevando come una marionetta.

Molto scenografico comunque. Mi dispiace, capisco la vostra ritualità, però... c'è il problema che io non sono un berlusconiano.

Ti dichiari innocente, quindi.

Ma certo. Voglio dire, capisco che lorsignori non possano aver letto tutto quello che ho scritto a riguardo, però...

Sei uno degli autori più conosciuti e studiati del secolo XXI.

Ah sì? Questa poi.

Non vantarti! ciò è berlusconi.

Mi rendo conto, e tuttavia mettetevi in me, prima mi resuscitate e poi mi dite che sono letto e studiato...

Non per le tue qualità. Quindici anni fa è collassata internet, e tutte le opere del vostro secolo sono andate perdute.

E i libri di carta?

Li avevamo già bruciati come combustibile. Per far funzionare internet.

E quindi...

Tutto quello che ci resta del secolo XXI è metà di un libro di Bruno Vespa, i sessantatré vangeli di Marco Travaglio, e una chiavetta usb con alcuni tuoi post redatti tra il 2001 e il 2010.

Beh, credo che sia più che sufficiente per dimostrare che io non ero berlusconiano, anzi sono sempre stato un acceso...

Bestemmiatore!
Vipera!

Silenzio, fratelli, silenzio! Mondatevi d'ogni berlusconi. Leonardo, hai o non hai scritto, nel dicembre del 2010, che bisognava amare Berlusconi?

Sì, ma mica ero serio, io...

Hai o non hai scritto nell'aprile del 2009, che occorreva “educare le giovani generazioni a darla a B. per il gusto di farlo, senza pretendere contropartite televisive o parlamentari”?

Probabilmente sì, è il mio stile, ma...

Riconosci queste tue affermazioni del giugno 2010? “Io voglio Berlusconi per venti minuti tutte le sere, a reti unificate. Mi stanno bene Santoro e Floris, purché i loro ospiti parlino unicamente di Berlusconi, e ne parlino bene. Io voglio sanzioni pecuniarie, non per chi parla male di Berlusconi, ma per chi omette di parlarne bene in qualsiasi discorso. Voglio una lode a Berlusconi in calce a tutti i resoconti sportivi della Gazzetta, a tutti gli oroscopi, a tutte le recensioni del Mucchio.

Uh, il Mucchio, me n'ero dimenticato del Mucchio.

Oppure, dicembre 2009: “Io ho fatto tesoro degli insegnamenti di un politico geniale, che ha vinto molte elezioni e che prima di far politica faceva marketing, e che ai suoi esperti di comunicazione raccomandava sempre di pensare al cliente come a un bambino di 11 anni, neppure tanto intelligente”.

Sì, è mia anche questa, ma scusate, non è che al rogo con la carta ci avete mandato anche tutta l'ironia, eh?

Non prenderti gioco di noi! Non attentarti nemmeno! Ciò è...

...è Berlusconi.

Noi conosciamo benissimo l'ironia. Abbiamo Socrate e abbiamo Pirandello. Noi riconosciamo lo scetticismo filosofico e il sentimento del contrario.

Mi fa piacere, quindi avrete capito che...

Quindi non possiamo notare tutte le volte in cui per anni hai usato l'ironia per umanizzare Berlusconi, per dare forme umane al Male incarnato. In questo modo hai aiutato i tuoi lettori a convivere con la Bestia.

Ma non esageriamo, io...

Quando hai cercato di umanizzare lo scandaloso amante di Noemi Letizial'orribile gaffeur di Strasburgo, non eri dunque consapevole di quello che facevi?

Ma io semplicemente cercavo il risvolto umano...

E sbagliavi, perché nulla di umano v'era nel Maligno! L'amarissima pillola che gli italiani per più di vent'anni hanno dovuto inghiottire, tu pretendevi di zuccherarla con la tua ironia a buon mercato.

Va bene, ma c'ero anch'io in quei vent'anni, ho sofferto anch'io. A volte scrivere era solo un modo per sfogarsi...

Lo udite? Confessa! Confessa di aver trascorso quegli anni a scribacchiare raccontini in cui si umanizzava il Malvagio, invece di insorgere, come sarebbe stato suo preciso dovere, contro la Biscia fatta carne.

Sentite, io sono un uomo, un cadavere anzi, di un altro secolo, e quindi i vostri toni non li riesco a condividere, però ammetto che qualche ragione potreste avercela, voglio dire, riflettendoci, se avessi scritto meno e fossi insorto un po' di più, magari il berlusconismo finiva prima... perché è finito a un certo punto, no?

Certo che è finito!

Ecco, scusate, poi potete anche condannarmi se vi va, ma mi togliete la curiosità di spiegarmi com'è finito? Perché non riesco proprio a ricordarmelo, forse ero già sottoterra.

Siamo stati salvati dagli Uomini Puri. Quelli che non hanno collaborato col male, come hai fatto tu. Quelli che non hanno addolcito la perfidia con la finta ironia dei deboli, cioè la tua.

Uomini puri. Chi l'avrebbe detto.

Certo tu non li conoscevi.

Eh no. Ma da dove sono saltati fuori, scusate.

Erano in clandestinità. Fuori dal circuito mediatico, dove sarebbero stati intercettati e resi inoffensivi, come te.

Già, probabilmente era l'unica. Restare nascosti nelle grotte. Non sporcarsi le mani.

Alcuni erano al confino, altri in prigionia, ma non hanno mai smesso di lottare e sperare. Nomi scolpiti sui nostri templi, nomi che tu nemmeno conosci: Gianfranco Fini, Pierferdinando...

Eh?

Non interrompere il Sacro Appello dei Camerati che salvarono l'Italia dalla fetida serpe. Gianfranco Fini, colonna di rettitudine, che mai si piegò alle lusinghe di Arcore; Pierferdinando Casini, campione di castità, che con un solo sguardo convertì alla purezza centinaia di escort; Enrico Mentana...

Mentana?

Il più coraggioso e schivo dei reporter, che per vent'anni in clandestinità diffuse i samizdat che inchiodavano lo strapotere di Mediaset; Carlo Taormina....

CHI???

...faro della giustizia, intrepido magistrato che tra cento e mille perigli e attentati perseguì il Perfido fino a incriminarlo; e il più savio dei savi, colui che senza affettare alcuna ingiusta pietà lo consegnò stanco e tremante alla folla che brandiva i forconi...

Questo fammelo indovinare. Gianni Letta.

Bravo. Ma come puoi ricordare...

Non importa. Quindi voi siete stati salvati da Fini, Casini, Mentana, Taormina, Letta...

Non insozzare con la tua lingua putrida i nomi dei Puri che ci liberarono dal Male!

Già, giusto, ciò sarebbe berlusconi. Facciamola finita. Mi dichiaro colpevole. Chiedo la pena di morte.

Ma sei già morto.

Quindi che pena avevate in mente?

Getteremo le tue ossa nel Secchia, cancelleremo tutto quello che hai scritto, raschieremo il tuo nome da ogni documento, e lasceremo che ruggine e muffa devastino i luoghi che ti diedero la luce.

Il policlinico di Modena? capirai lo sforzo.

Ma infatti.

Minima spesa massima resa.

Eh, sai com'è, la crisi, i tagli al budget.

Giustamente, siamo nel ventitreesimo secolo, mica si possono buttar via i soldi nei processi ai morti.

Sarebbe troppo una cosa quasi...

Quasi berlusconi.

Ce l'avevo sulla punta della lingua.

Comincio a capirvi. Posso andare?

No, no, adesso entrano i bambini.

Ma che schifo, gli fate vedere un cadavere appeso?

Hanno tutti una freccetta in mano, chi ti becca in testa vince un Gianfranco di cioccolato.

Fico.
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Network of Love

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A distanza d'anni i giornalisti ne parlano ancora; i veterani lo raccontano agli stagisti nei lunghi turni insonni. Di quella notte d'ottobre che tutte le rotative d'Italia si fermarono; quella notte in cui tutti i direttori d'Italia tirarono giù dal letto i redattori d'Italia per rifare tutte le prime pagine d'Italia, perché c'era una notizia che davvero non si poteva non dare.

Il giorno dell'abbraccio

E pensare che molte ore erano passate senza nulla di veramente interessante.
Nel primo mattino era giunta notizia di un disastroso terremoto, da qualche parte nell'oceano Indiano; uno di quei posti, hai presente, dove tempo due ore arriva l'ondata assassina; che infatti puntuale due ore dopo si presentò, per la gioia svergognata del reporter tailandese che era riuscito ad affittare in tempo l'elicottero. Le sue foto apocalittiche fecero il giro del mondo, e alle tre del pomeriggio tutti i principali giornali italiani le avevano acquistate; a quel punto il body count delle autorità aveva già superato il migliaio, e quindi insomma la prima pagina era già fatta.

D'altro canto bisogna dire che questi terremoti e maremoti cominciavano a stuccare il pubblico, che la prima volta si era molto emozionato, ma a furia di repliche rischiava di disaffezionarsi, ché tanto poi si sa che in quei posti c'è tanta gente che non se la passa bene, e quindi alla fine queste catastrofi, (non si può dire ma tutti lo pensano) non è che siano tragiche come sarebbero qui da noi, perché laggiù la gente è come se morisse più volentieri, e se vi sembra un pensiero cinico avete perfettamente ragione, ma sapete di chi è la colpa? E' anche un po' dei giornali che continuano a sbatterci in faccia terremoti e tsunami come se potessimo farci qualcosa; ecco, la prima volta mandi un vaglia, la seconda mandi un sms, la terza ti sorprendi a domandarti: su tutti questi sms chi è che s'intasca la provvigione? La quarta volta ti senti preso per il culo e basta, e il giorno che arriva il nuovo tsunami tu neanche lo compri, il giornale. Per cui i direttori non erano affatto convinti. Poi alle cinque del pomeriggio era uscita una brevissima agenzia su una tale minorenne indagata per aver cercato di corrompere il premier. La tipa era già nota nell'ambiente e c'erano sue foto sgranate su un sito gossipparo registrato ad Acapulco.

E a quel punto apriti cielo. I quotidiani anti-premier avevano sbattuto le foto sgranate su cinque colonne, alcuni pixel erano più grossi dei caratteri di stampa, un capolavoro di razionalismo cubofuturista. I quotidiani filo-premier, dal canto loro, si erano precipitati a mettere le mani avanti per le prime dieci pagine, dimostrando con prove schiaccianti che si trattava di una congiura di giudici comunisti (alcuni di questi giudici erano stati in effetti fotografati seduti su una panchina in un quartiere dove trent'anni prima era stata chiusa una sede del Partito Di Unità Proletaria, sfoggiando calzini dalle inquietanti nuances). E però, anche mentre si prodigavano a produrre tutta questa roba, i giornalisti coinvolti da entrambe le parti delle barricate non riuscivano a reprimere uno sbadiglio, e pensavano: se ci annoiamo noi, figuratevi i lettori... La passione del premier per le ninfette era ormai un dato storicamente acquisito; festicciole di compleanno e di cresima ormai erano state paparazzate alla noia. Essere governati da un sessuomane compulsivo era indubbiamente eccitante, i primi sei mesi; il problema è che i compulsivi, per definizione, fanno sempre ma sempre le stesse cose, e dopo un po' ti uccidono di noia. Insomma, anche questa prima pagina non è che convincesse i più. E allora?

Più tardi nella serata ci si aspettava un memorabile scoop di wikileaks sulle battaglie della guerra segreta pakistana, in cui pareva fossero coinvolti anche effettivi italiani... sì, però che palle anche la guerra, la tortura, non siamo più nel duemilaetré. Un pentito accusava il premier di avere baciato un mafioso, anche qui, già visto, già sentito, peraltro il mafioso non era nemmeno un minorenne, quindi... Verso le nove qualche direttore aveva già optato per l'ennesima apertura sul delitto del mese, una certezza; soprattutto in certi giorni di autunno in cui succedono tante piccole cose, ma niente di veramente sensazionale, niente che ti faccia saltare dalla sedia e correre all'edicola più vicina, insomma niente di veramente... niente.

E poi accadde.

Voci si erano già sollevate nel tardo pomeriggio: ma erano troppo inverosimili e leggere, la maggior parte degli osservatori le aveva liquidate come uno scherzo di dubbio gusto. E invece la notizia c'era. Il diretto interessato la confermò con un lancio d'agenzia alle 11.47. Del 28 ottobre 2011, un giorno che rimase scolpito in tutti i nostri cuori. Non c'è chi non ricordi cosa stava facendo in quel momento.

Nel momento in cui Daniele Capezzone, portavoce di un partito(*), davanti alle telecamere, ammise di fronte al mondo intero che era successo.
Qualcuno, di cui non si seppe mai il sesso, né l'età, né la fede politica, lo aveva incrociato in un vicolo di Roma; e lo aveva abbracciato.
Baciato, anche? Capezzone non volle dirlo. Ma il filmato ripreso dalla telecamera a circuito chiuso di una gioielleria dimostrava se non altro che l'abbraccio era stato lungo, intenso, partecipato. Nel ricordarlo, Capezzone non poteva trattenere una lacrima. Era successo. No, non era una scena preparata. Né una candid camera. Qualcuno, non sapremo mai chi, gli voleva bene.
Qualcuno aveva deciso di dimostrarglielo, sfidando il mondo intero. Entro la mezzanotte il filmato era già stato ripreso, rimontato, moviolizzato in ogni singolo fotogramma, mentre gli opinionisti televisivi davano fondo al loro repertorio di finti retroscena: chi era il misterioso Abbracciatore? Quali le sue motivazioni? Era un folle isolato o l'esecutore di un piano più complesso? E in questo caso, chi erano i Misteriosi Mandanti che avevano voluto mandare un messaggio d'amore a Capezzone? C'era forse dietro un gruppo di ammiratori, riunitisi su internet, una specie di Network dell'Amore? E tutte le altre cazzate del caso.

Eccola, la notizia del giorno. Non ci fu un solo direttore di giornale che in quelle ore non lo pensò. Eccolo, il piccolo fatto vero che illumina una verità universale. Eccolo, l'uomo-che-morde-il-cane. Non importa quanto tu possa essere disprezzato e solo; c'è una persona da qualche parte che è disposta ad abbracciare persino te. No, peggio di te: è disposta ad abbracciare Daniele Capezzone. Fermate le rotative. Buttate giù dal letto i corsivisti. Oggi è successo davvero qualcosa. Terremotati ne avremo sempre; premier sessuomani comunque spesso; guerre e delitti non ci mancheranno mai, ma oggi era un giorno diverso. Oggi era il giorno in cui il sole splendeva a mezzanotte, e le foglie gialle rinverdivano sugli alberi. Il giorno in cui tutto ci sembrò possibile. Il giorno in cui qualcuno volle bene a Capezzone.

(*) Si è persa la memoria di che partito fosse (li cambiava spesso).
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Perché la tv succhia?

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Ma com'è bello andare in giro
col motocrono a tavoletta

> Scusi ti disturbo. Complimenti per il blog!!!

> Grazie.

> Letto che tu mente tra le migliori tua generazione.

> Eh? Ah, sì, che carino. Ma forse intendeva Da Vinci davvero.

> Da Vinci non conosco. Io avrei bisogno di fare domande, ma non parlo bene italiano (si vede).

> Se vuoi parliamo inglese.

> No, no, io devo praticare italiano.

> Da dove vieni?

> Afrapolis.

> Ah.
> Cioè?

> Capitale di Afrabia, non conosci? Confina a nord con Eurasia sud con Grande Congo. Secolo XXV.

> Aaaah, secolo XXV! Ma dovevi dirlo prima.

> Hai ragione.

> Eh, mica ho le carte geografiche di tutti i secoli in mente.

> Domando umilmente il tuo perdono?

> Accordato.

> Grazia. Mi presento. Sono studente di Dams specializzazione arte classica televisiva.

> No, dunque, fammi capire.
> Nel XXV secolo tu frequenti... il Dams?

> Sì.

> Come no, certo. E la sigla sta per... Dipartimento Astronautico Missione Saturno?

> No, no, acronimo italiano per Discipline Arte Musica Shows.

> Mio Dio.

> Italia dato questo a tutto il mondo.

> Chissà com'è contento tutto il mondo.

> Sì! In tutte le città statue in onore del grande U-Eco.

> Gloria a U-Eco, allora.
> Va bene, quindi sei uno studente del Dams che vive in Afrabia nel XXV secolo.

> No, io adesso qui in 2010 a Bologna.

> Ti sei trasferito qui da noi?

> No, solo sei mesi in Erasmus.

> Ah, già, ovvio.

> Mio professore fregòmmi.

> Perché?

> Convintomi scrivere tesi su arte televisiva italiana del primo decennio sec. XXI.

> Dunque sei qui per...

> Vedere televisione in chiaro.

> Ahi.


> Ho mansarda in via Petroni. Tutto il giorno e la notte io guardo tv, rai mediaset, la7, mtv...

> Ti ha proprio fregato.

> Infatti io non capisco. Volevo chiedere a esperto così ho cercato su internet, cercato su blog, ma blog televisivi non li capisco. Scritti troppo difficile.

> Sì, è gente molto competente.

> Poi finalmente letto su Wired che tu mente tra le migliori,
> allora venuto qui in chat per domandare te:
> perché tv italiana succhia?

> Beh... non si dice “succhia”.

> No?
> Io domando perdono?

> Diciamo che “fa schifo”.

> Ecco sì, perché fa schifo così?

> Mah, è un discorso lungo...

> Tu uomo dei discorsi lunghi.

> Già. Però, scusa, la cosa ti sorprende?
> Non ti aspettavi che succhiasse?
> Cioè, che facesse così schifo?

> No, io credevo età dell'oro.
> Noi studiamo che Italia fine XX secolo primo caso mondiale di videocrazia.

> In effetti.


> Già Mussolini tentava con radio e cinema, ma troppo presto.
> Invece con Berlusconi la tv va al potere.
> Noi studiamo che voi guardavate tv notte e giorno.
> E quindi io pensavo: doveva essere tv veramente buona, fatta con molto impegno.

> O poverino
> mi dispiace.

> Invece tutto succhia!
> Io non ho mai visto televisione così brutta!
> E ho fatto tesina al liceo su televendite di stoviglie peruviane nel sec. XXII!
> Ma è niente al confronto.
> Spero non offendoti.

> No, no, anzi.

> Ma perché succhia così?
> Cioè, perché così schifo?
> Non una sola idea!
> Io guardo Grande Fratello 10, Isola dei Famosi 6, Amici 9
> tra un po' tutto avrà numero a due cifre
> non una sola idea nuova negli ultimi 10 anni! 
> Decadenza.

> Beh, forse sei arrivato un po' tardi... Berlusconi è al potere da parecchio, ormai si è rilassato, ha il monopolio...
> Come l'Impero Romano alla massima espansione... non ci ha lasciato un granché, era più interessante ai tempi di Cesare... un secolo di guerre civili... Catullo, Cicerone, Sallustio... dovevi arrivare negli anni Ottanta.

> C'era Sallustio?

> No, però c'era il Drive In, la Gialappa, Arbore... insomma qualcuno qualche idea l'aveva...
> Poi anche loro le hanno finite.

> Io guardo rai2 non capisco.
> Quasi tutte le sere telefilm americano in replica.
> Sembra tv via cavo usa anni '90.

> Eh, magari.

> Nemmeno tanta pubblicità. Pochi inserzionisti.
> Io credevo che in anni Zero in Italia inserzione era potere.

> Ma sai, sono i canali di Stato... Berlusconi li sta affondando perché fanno concorrenza ai suoi.

> Ma anche canali Mediaset succhiano!
> Pardon significavo “fanno schifo”!
> Tu spiegami ti prego Maria De Filippi.

> Temo di essere un po' prevenuto.

> Io preparato esame su Maria De Filippi. Grande eroe del televisionismo italiano.
> Donna famosa in tutti i mondi.
> Io pensavo: di sicuro grande professionista.

> Eh.

> NON SA LEGGERE IL GOBBO
> E SI VANTA!

> Cosa ti posso dire


> Sua voce monotona addormenta.
> Sbaglia perfino il titolo trasmissione
> Una volta è entrata ad “Amici” dicendo “benvenuti a È posta per te”
> Io con mio italiano squallido ho presentato feste di laurea più eccitanti di sue trasmissioni.

> Non ne dubito, ma credo faccia parte anche un po' del personaggio.
> Cioè, lei ci tiene a sembrare svogliata, perché... non è proprio la presentatrice, è qualcosa di più.

> Cosa è lei?

> È la detentrice del Potere, del Microfono.
> Lei non presenta, è come se... regnasse. Non deve far fatica.

> Non è brava, non è carismatica, non è bella.

> Gli altri devono essere bravi o belli per piacere a lei. Devono essere scelti dal Potere.
> Ma il Potere non è bello né capace. Il Potere è intrinsecamente mediocre. Non so se riesco a spiegarmi.

> Io credevo lei Grande presentatrice che aveva portato in Italia il talent show.
> Suo talent show sembra imitazione parrocchiale di talent sudamericano.

> Credo che parrocchiale sia il termine giusto.
> È una piccola comunità in cui devi piacere ad alcune persone potenti ma mediocri.

> E caroselli. Siete tornati a caroselli.

> Le televendite, vuoi dire.

> Totale anacronismo. Perché?

> Ma in effetti mi spaventa.
> Su MTV in prima serata fanno i siparietti sugli assorbenti, non so se li hai visti.

> Vuol dire che le televendite sono mirate anche ai giovani. Non capisco.

> Anch'io pensavo che fossero una forma di comunicazione per vecchi, però...
> Può darsi che a furia di tarare il livello sugli anziani, anche i ragazzini si siano adeguati.
> Sono cresciuti guardando televendite, gli spot veloci magari non li capiscono.


> Non posso credere che stanno a vedere televendita di telefono cellulare per due minuti

> Perché no?

> Ma perché non cambiano canale.

> Per vedere cosa? Il livello più o meno è quello ovunque.
> Oppure ti stanchi e compri il decoder, che forse è l'obiettivo finale.
> Siamo in monopolio, e quindi la qualità è precipitata, tutto qui.

> Ma non capisco neanche questo. Tu dici: siamo in monopolio.
> Non è vero

> Ma praticamente sì.

> No, perché tu ragioni solo su televisione.
> Ma non c'è solo tv in Italia, soprattutto adesso
> C'è il sole, primavera, belle giornate
> Si può anche spegnere televisione e uscire

> Andare in Pratello e bersi un bicchiere

> Ecco, per esempio
> Oppure farsi un giro sui colli in motorino
> O un raid col motocrono.

> Il motocrono sarebbe?

> La moto per i viaggi nel tempo a breve percorrenza
> non la chiamate così in italiano?

> No
> Cioè, forse sì
> Quando la inventeremo.

> Oddio è vero che non avete ancora scoperto i cronoviaggi
> che idiota me nero dimenticato
> Ecco perché non sai dov'è l'Afrabia.

> Guarda, tu sei probabilmente un pazzo, ma nella tua pazzia c'è del genio

> Oddio sono un idiota devo aver messo troppa hash nel mio knerg
> Ho parlato di cronoviaggi con un nativo del XXI secolo

> Del XX, prego.

> Ho violato tipo 15 direttive. Domando il tuo perdono?

> Perdono accordato.

> Vabbeh, tanto anche se lo racconti in giro non ti crede nessuno.

> Sono solo un blogger.

> Appunto

> Cosa fai stasera, esci?

> No dovrei studiare. C'è Santoro, molto difficile.

> Dai, lo vedi, sei troppo stanco.
> Hai messo troppa hash nel tuo comesichiama
> Se vuoi un consiglio esci, almeno tu
> prendi una boccata d'aria

> Mi sa che hai ragione
> Mi ha fatto piacere sfogarmi con te

> Figurati
> Quando vuoi
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Intervista su Jesus L.

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We're more popular than Jesus now. I don't know which will go first, rock and roll or Christianity.
John Lennon, 1965.
Attraverso la loro musica quei quattro ragazzi di Liverpool, splendidi e imperfetti, sono stati capaci di leggere e di esprimere i segni di un'epoca che a tratti hanno persino indirizzato, imprimendovi un marchio indelebile. Un marchio che segna lo spartiacque tra un prima e un dopo. E dopo, musicalmente, nulla è più stato come prima
L'Osservatore Romano, 10/4/2010.

Più Grandi di Lennon?

DAL NOSTRO INVIATO - SILVABUL, 10 APRILE 3754.
Gsaui Rradoc, il più famoso lennonologo 'laico' del nostro semisfero, autore del controverso Intervista su Jesus mi accoglie nella sua confortevole cella di rigenerazione. Quando gli racconto delle ultime dichiarazioni di Ganesh XXVI, le rughe intrecciate sul suo volto sussultano; è il suo modo di ridere.

“Cos'è che avrebbe detto, l'elefantino?”
“Ganesh XXVI, il Dio vivente del Punjab, ha dichiarato ai giornalisti di essere diventato più grande di Lennon. È stato il suo modo di festeggiare la quarantesima settimana in testa alla top 20 Divinità”.
“Ah, già, la top 20. Beh, io non m'intendo molto di queste cose...”
“Si calcola che in media GXXVI richiami venti milioni di fedeli alle sue celebrazioni settimanali. È in effetti un record con pochi precedenti nella Storia recente”.
“Beh, se la mettiamo su questo piano, sì, non credo che Lennon facesse numeri del genere, ma vede, è sulla distanza che si vedono queste cose... non so se si ricorda T-re§”
“Vagamente. Faceva uno show coi serpenti...”
“L'incantatore di rettili transessuale di Ganimede. Fece il botto quindici anni fa, milioni di fedeli in tutto il sistema solare, anche a lui a un certo punto scappò detto di essere più grande di Lennon. E poi che fine ha fatto?”
“Che fine ha fatto?”
“Pare abbia aperto una concessionaria di condizionatori su Plutone. Vede, Jesus Lennon resta il più grande predicatore della Storia, non per i milioni di contemporanei che ha portato dalla sua parte; ma per il solo fatto che a duemila anni di distanza stiamo ancora parlando di lui. Tra dieci, vent'anni, arriverà qualche nuovo fenomeno da baraccone – una donna con dodici mani, un dio-lucertola, che ne so – e di loro, scommetto, nessuno dirà che sono “più grandi di Ganesh XXVI”. Diranno che sono più grandi di Lennon”.
“Gli Dei passano, Jesus Lennon resta. Come mai?”
“Il tempo è dalla sua parte, come recita un suo inno (per la verità di incerta attribuzione). Essere vissuto due millenni fa, nell'oscuro medioevo prediluviano, lo mette al riparo dalla luce troppo invadente dei riflettori. Di lui in effetti non sappiamo poi molto”.
“Chi era veramente Jesus?”
“Dopo duemila anni di rielaborazione mitologica è difficile rispondere a una domanda come questa. Ma almeno viviamo nel semisfero dove possiamo porcela senza temere di essere crocifissi da qualche inquisitore troppo zelante”.
“Profeta o figlio di Dio?”
“Io preferisco pensare a lui laicamente, come a un grande musicista. Per molti secoli questo aspetto della sua biografia è stato tralasciato; ci si concentrava sui contenuti degli inni, senza riprodurre la musica (che comunque era molto lontana dalla nostra sensibilità). Ma io resto convinto che non sarebbe diventato il più grande predicatore della Storia se non avesse avuto l'idea geniale di musicare le parabole e trasformarle in canzoni. Penso a certi inni immortali, come Stairway to Heaven o God Save The Queen. Figlio di Dio... mah, senz'altro nei suoi inni il padre è visto come un'entità lontana; è possibile che Lennon fosse orfano di padre, o comunque avesse sperimentato l'abbandono durante l'infanzia”.
“Falegname o chitarrista?”
“Le due cose potrebbero andare assieme; abbiamo trovato in vari siti archeologici esemplari di chitarre interamente lignee; può darsi che il giovane Jesus abbia svolto un breve apprendistato musicale in una bottega di falegnameria”.
“Fino all'incontro, che gli sconvolge la vita, con Elvis il Battista”.
“Su questo i Vangeli concordano: la predicazione di Lennon ha inizio solo dopo che Elvis lo battezza nel Giordano. È un evidente passaggio di consegne; il Battista è nella fase calante della sua carriera; i seguaci gli hanno voltato le spalle, lui stesso si considera Vox Clamans in Las Vegas
“Eh?”
“È latino. Voce che chiama nel deserto”.
“Ah”.
“Nel frattempo in Galilea Jesus raccoglie i primi discepoli, gli Scarabei”.
“Questi li so, li so. Luca, Matteo, George e Ringo”.
“Così secondo i Vangeli, che sono attribuiti a loro. Ma gli storici tendono a escludere George, che nei documenti più antichi è visto indossare una chitarra lignea”.
“Ma non era lo strumento di Lennon?”
“Appunto. La tesi più accreditata è che gli Scarabei fossero quattro in tutto, e che Lennon fosse uno di loro; San George sarebbe stato aggiunto al racconto un millennio più tardi, durante le crociate, quando diventa il patrono dei crociati e poi dell'Inghilterra.; probabilmente un soldato inglese reduce dalla prima crociata in Terrasanta, che tornando nel Merseyside riscuote un incredibile successo spacciando per sue le canzoni di Lennon, e trasformandosi in una vera e propria reincarnazione di Lennon in una terra tanto lontana da quella che aveva assistito alle esibizioni del quartetto originale”.
“Quindi lei non ammette l'ipotesi che Jesus Lennon e gli Scarabei d'Argento abbiano vissuto gran parte della loro vita in Inghilterra”.
“È una deformazione medioevale, quando fioriva il mercato delle reliquie e ogni nazione si inventava luoghi santi in cui avevano vissuto... pensi che un culto di Lennon sopravvive anche nelle isole del Pacifico Orientale, dove rappresenta il Sole, contrapposto al Dio Luna Yoko...”
“Ma la Sindone mostra i lineamenti di un inglese biondo, capellone...”
“La Sindone è una reliquia medievale. Potrebbe essere effettivamente il sudario di un crociato, chissà, magari proprio George. Ma il Lennon storico deve avere avuto lineamenti molto diversi da quelli con cui viene raffigurato di solito. Tratti somatici mediorientali, carnagione olivastra...”
“Niente capelli biondi, quindi. E niente occhialini”.
“Nella Palestina romana? No”.
“Già, i Romani. Sono stati davvero loro a ucciderlo?”
“Anche questo ovviamente non è chiaro. Lennon viveva in un periodo turbolento, in cui molti predicatori sobillavano alla rivoluzione. All'inizio però la sua posizione è ambigua. C'è un inno, Revolution, di cui si conoscono due versioni. In una dice “You can count me in”, che in aramaico significa “Includetemi, anch'io voglio fare la vostra rivoluzione”. In un'altra dice l'esatto contrario: “You can count me out”, tenetemi fuori”.
“Probabilmente una delle due è apocrifa”.
“Sì, ma è praticamente impossibile determinare quale; entrambe le versioni sono antichissime, al punto che alcuni ipotizzano che lo stesso Lennon fosse indeciso sulla strada da prendere, e che abbia inciso la canzone in due versioni. In ogni caso all'inizio non si considerava un predicatore politico nel senso che diamo oggi all'espressione. La sua figura era più simile a quella che oggi chiameremmo artista”.
“Jesus Lennon, un artista?”
“Nei primi anni di predicazione con gli Scarabei, Lennon non sobilla nessuna rivoluzione. È soltanto un musicista ispirato che richiama folle ovunque si esibisca, in Galilea, Giudea, e nella misteriosa Bolla degli Olivi”.
“È il periodo dei miracoli: dà la vista ai ciechi, risuscita i morti...”
“La tradizione dei miracoli è probabilmente un equivoco linguistico. Quante volte ci capita di dire che la tal cosa “risuscita i morti”. È un'espressione enfatica che sottolinea la grande potenza espressiva delle parabole musicali di Jesus”.
“Quindi Lennon non risuscitava i morti”.
“Solo in senso figurato”.
“Non tramutava l'acqua in birra”.
“Probabilmente i birrai in sua presenza preferivano spillare birra vera e non la solita broda annacquata”.
“E il grande miracolo di Woodstock?”
“Su Woodstock ci sono diverse teorie. Tutti gli studiosi concordano che fu un disastro logistico, e che migliaia di persone rimasero in mezzo al fango senza nulla da mangiare”.
“Finche Lennon non moltiplicò i pani e i pesci”.
“È indimostrabile, ovviamente. Il vero miracolo di Woodstock sono le sue parole, il cosiddetto discorso della montagna, sul quale è fondato il lennonismo occidentale: "Beati i miti perché erediteranno la terra, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia..." peccato che di questa canzone si sia persa la musica. Comunque i Romani non avevano nulla da temere da un fenomeno musicale-religioso di questo tipo. Gran parte dei riferimenti delle sue canzoni (il divino Tricheco, la Lucia nel Cielo di Diamanti, i Perpetui Campi di Fragole) erano oscuri già allora”.
“E allora perché lo crocifiggono?”
“A un certo punto qualcosa cambia. Lennon è accusato di avere frequentazioni scandalose, pubblicani, prostitute, spacciatori, artisti concettuali. Gli Scarabei d'Argento si sbandano”.
“Forse il successo gli stava dando alla testa”.
“È la tesi forte del Vangelo di Ringo, che però è il più tardo dei quattro. In realtà i suoi inni del periodo post-Scarabei sono i più politicizzati. È possibile che a un certo punto Lennon si sia veramente trasformato in oppositore al regime di occupazione romana che, non dimentichiamocelo, era fondato sulla violenza e sulla prevaricazione. Anche nell'ultimo periodo Lennon rimane comunque un pacifista; non inneggia alla lotta armata, al contrario. Ma è possibile che il suo antimilitarismo desse ugualmente fastidio. Era il periodo in cui l'Impero reclutava legionari anche nelle province per difendersi dalle incursioni Sovietiche e Iraniane”.
“Tradito dal suo manager, Lennon viene arrestato e condannato alla morte sulla croce”.
“Il resto è leggenda”.
“Una leggenda comunque miracolosa, per aver resistito tutti questi secoli”.
“Chissà quanti altri cantanti e predicatori infiammarono i cuori per una breve stagione e poi furono dimenticati. Lennon ha potuto contare su uno dei più grandi PR della Storia”.
“Si riferisce a Paul McTarso?”.
“Il buffo è che probabilmente i due non si sono mai conosciuti di persona. Paul aveva ricevuto un'educazione musicale classica, e all'inizio non aveva assolutamente orecchio per le composizioni di Lennon. Anzi, con le sue prime ferocissime recensioni Paul dà inizio a una vera e propria campagna di persecuzione contro il lennonismo e i suoi seguaci”.
“Poi succede qualcosa... Un incidente, mi pare”.
“Sull'autostrada Damasco-Liverpool. Paul vede una luce abbagliante, sbanda ed esce di strada. Viene soccorso, ma rimane temporaneamente cieco, muto, e apparentemente sordo. Ma è evidentemente una sordità selettiva. Immerso nel silenzio, Paul sperimenta una vera e propria epifania. Può ascoltare le composizioni di Lennon senza pregiudizi culturali. La sua conversione fa scalpore e getta le basi per il successo del credo lennoniano in tutto il bacino del mediterraneo”.
“C'è anche chi dice che il vero Paul sia morto nell'incidente”.
“È una leggenda durissima a morire. Ma ce ne sono di più interessanti. Secondo alcuni è Paul il vero inventore del lennonismo moderno: molti ritornelli degli inni lennoniani sarebbero suoi. In effetti è difficile pensare che la stessa persona possa aver scritto composizioni musicalmente così diverse tra loro come Helter Skelter o Yesterday. Alcuni si spingono ad affermare che Lennon non sarebbe che una figura mitica, un musicista biondo e capellone studiato a tavolino per rendere più appetibili le composizioni dello stesso Paul. Come vede, c'è una teoria per tutti”.
“Non c'è proprio niente di cui possiamo essere sicuri?”
“Io sono ragionevolmente sicuro di un paio di cose. La prima è che tra un millennio o due ci sarà ancora qualcuno, come lei o come me, che ha voglia di discuterne. La grandezza di Lennon è questa”.
“E la seconda cosa è...”
“Anche l'invidia non cesserà mai. Ci sarà sempre qualche Messia o Avatar pronto a dichiarare di essere diventato Più Grande di Lui. Guardi questa, è la riproduzione di un antichissimo ritaglio giornalistico. Come sa, gran parte dei documenti originali dell'epoca lennoniana non ci sono arrivati, perché gli archivi erano stati digitalizzati nei decenni precedenti al diluvio, e non abbiamo mai capito come si leggono i loro supporti magnetici. Di loro ci è rimasta solo la carta stampata che si erano dimenticati di reciclare. Vede? Questo è un antichissimo ritratto fotostatico di Lennon, molto sbiadito. La scritta in basso è in aramaico. Sa cosa dice?”
“IGGER THAN JESUS LENNON CLAIMS. Ovviamente no”.
“La traduzione più accreditata è: Qualcuno afferma di essere più grande di Jesus Lennon. Evidentemente Lennon veniva attaccato dagli emuli già in vita. Eppure loro sono passati, lui no. La sua musica era semplicemente migliore”.
“Io in realtà non ne ho ascoltato molto”.
“Venga, le faccio sentire un pezzo rarissimo”.
“Ma veramente... non m'intendo molto di musica classica, sa...”
“Quando è buona musica, non è classica né moderna: è eterna. Sente?”
“Sento solo rumore”.
“Deve abituarsi un po'. Vede, in questo pezzo Lennon chiede all'ascoltatore di ascendere, di immaginare un luogo meraviglioso dove qualsiasi cosa è possibile”.
“Le parole dicono questo?”
“Le parole dicono: Portami laggiù, nella Città Paradisiaca, ove l'erba è verde e le fanciulle sono leggiadre”.
“Molto bello. Si è fatto tardi, devo andare”.
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Il '900 è la nuova Bibbia

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Nella puntata precedente: a causa di una riforma a caso, nelle scuole italiane si studia parecchio la Storia contemporanea e poco o nulla quella antica. Rimane da stabilire se sia un male.

Col tuo stile Novecento
In questa immagine ho accostato due personaggi che si sono rumorosamente fatti spazio nel nostro immaginario negli ultimi mesi: Emanuele Filiberto Savoia e l'avatar Na'vi di Jake Sully. Uno crede alla sua Cultura, alla sua Religione, l'altro rinnega tutto quanto e si proietta nel futuro. Apparentemente.

In realtà se smonti Jake Sully ci trovi una quantità impressionante di riferimenti storici alla contemporaneità (11/9, Vietnam) e alla Storia 'antica' (antica per gli americani: per noi europei Pocahontas è già “moderna”, ma ci siamo capiti). E se smonti Emanuele? Bella domanda, qualcuno dovrebbe provarci... no, seriamente: c'è davvero una Storia, un passato, dietro Emanuele Filiberto? Quando dice che crede nella sua “cultura”, di cosa sta parlando? Della Storia d'Italia, dei Savoia, della tradizione greco-latina, di quella giudaico-cristiana, del cattolicesimo post tridentino, di cosa?
Io ho il sospetto che non stia parlando di niente. Al limite di sé stesso, che è molto poco. Per Emanuele Filiberto, e per quelli come lui, “credere nella propria cultura” è pura tautologia, Racine est Racine. Si crede nella propria cultura perché? Perché è la nostra. E di cosa è fatta? Di noi. Ma noi chi siamo? Quelli che credono. In cosa? Nella nostra cultura. E ci si ferma qui. Se smonti Emanuele Filiberto ci trovi il vuoto che è condizione necessaria di ogni cassa di risonanza. Persino quegli aspetti potenzialmente storici (il cognome “Savoia”) vengono all'istante destoricizzati: fino a dicembre se pensavo “Savoia” immaginavo lo Statuto Albertino, Teano, Vittorio Veneto, l'Impero Etiope, l'otto settembre... adesso mi viene in mente Pupo.

Questi due ritratti però simboleggiano anche le mie idee sull'ora di Storia. Quello che mi ha fatto amare la Storia sin da bambino è lo stesso fascino che soggioga Jake Sully: la scoperta di un mondo diverso. La Storia è la scoperta dell'Altro da sé. E la più bella di tutte è la Storia Antica, perché gli Antichi erano veramente diversi da noi. Non extraterrestri, ma quasi. Diciamo che finché non si potranno studiare forme di vita extraterrestri a scuola, l'ora di Storia Antica sarà la cosa che si avvicina di più al concetto. Gli Antichi si comportavano in modi veramente strani. Non portavano pantaloni, il che a otto anni è già abbastanza sbalorditivo – si può fondare un Impero senza portare i pantaloni? Sacrificavano animali a Dei capricciosi. Non avevano l'alcol per disinfettare ma avevano già la metafisica. Costruivano piramidi e non avevano l'acqua corrente. Il passato è un pianeta stranissimo. La Storia secondo me dovrebbe insegnare soprattutto questo: a mettere da parte il buonsenso, a pensare che le cose sarebbero potute andare in modo molto diverso, a ragionare sull'Altro. A mettere del distacco tra noi e noi, perché questo distacco alla fine ci servirà anche quando vorremo riportare l'obiettivo su di noi - così come Avatar alla fine ci parla più di noi e dei nostri sogni di qualsiasi vacua canzoncina identitaria.

Invece ho paura che la nuova Storia sia un'esperienza culturale nel senso che ha la parola per Emanuele Filiberto: un ragionamento su Sé Stesso che si definisce Sé Stesso in quanto crede in Sé Stesso. La battaglia non è tanto tra Storia Contemporanea e Storia Antica, ma tra una riflessione su di Sé e una riflessione sull'Altro. Oggi vogliamo tutti le radici, siamo maniaci di radici. Però sotto sotto sappiamo quanto sia limitato questo radicamento. Può darsi che ci sia in noi ancora qualcosa di greco-romano, ma le radici più grosse e interessanti sono sempre quelle che affiorano a terra. E quindi siamo molto preoccupati che si studi il Novecento. Chi non conosce il Novecento non avrà futuro. Non se lo merita... Tra i nuovi testi di terza media a cui ho dato un'occhiata ce ne sono alcuni che si rifanno alla definizione hobsbawmiana di Secolo Breve, per cui non partono nemmeno dalla Belle Epoque – quella è roba da tredicenni – ma dal 1914. A questo punto, perché continuiamo a chiamarla ora di Storia? Chiamiamola ora di Novecento. Se a settembre cominci dall'attentato di Sarajevo, a febbraio più o meno sarai negli anni Quaranta, e da lì in poi è persino discutibile che sia ancora Storia.

In effetti potrebbe trattarsi di... geografia! Ed ecco che la bistrattata Cenerentola dell'istruzione media arriva al ballo su un cocchio dorato trainato dai nuovi programmi scolastici. In cosa consiste in fondo la geografia di seconda e terza media? Lo studio dell'Europa e poi dei continenti extraeuropei, e quindi? Per buona metà si tratterà della cara vecchia geografia umana: sarà quindi inevitabile una serie di excursus sui processi di formazione delle nazioni, che risalgano almeno al postcolonialismo e al dopoguerra... bingo! Metà del libro di geografia e di quello di Storia contengono le stesse nozioni. Roba che sui libri c'è sempre stata, ma prima si studiava sincronicamente e si snobbava in quanto “geografia”; ora diventa invece importantissima perché è “Storia del Novecento” - però rischia di finire tutta concentrata negli ultimi mesi, perché prima bisogna fare i lager (e i gulag! Solženicyn obbligatorio!)

Il Novecento è la nuova Bibbia. Perché vogliamo che la Storia non parli degli altri (dell'Impero Ching o Moghul, di Tamerlano o Eliogabalo o Gregorio Nazianzeno), ma soltanto di noi stessi; ed è più facile trovare tracce di noi stessi nel secolo che è appena passato. L'Ottocento ha un senso soltanto perché contiene qualche anticipazione di quello che verrà, Marx e Darwin e poco altro. Ma il Novecento è il romanzo che tutti devono conoscere a memoria per avere qualche straccio di speranza in società – i nuovi Promessi Sposi, il filmone con i titoli in eleganti glifi art-déco, che comincia con una fragorosa scena di guerra di massa, un nucleo centrale imperniato sulla nascita dei totalitarismi, un'altra grande scena bellica piena di imprevisti... e un secondo tempo ricco di suspense, dove si aspetta a occhi sbarrati una terza guerra che non arriva mai (arrivano invece abbracci e strette di mano un po' deludenti). Ma insomma tutto sembra finire bene... quando sui titoli di coda crollano le torri e tutto si riapre. Il Novecento è questo qui, e ognuno deve rispecchiarcisi, allo stesso modo in cui i Padri Pellegrini si rispecchiavano in Vangelo e Pentateuco, chiamando le figlie Rebecca ed Ester, e sforzandosi di trovare saggezza quotidiana in un libro di Proverbi scritto dall'altra parte del mondo tremila anni prima. Così noi continuiamo a discutere di Muri e Guerre Fredde, a paventare il '29 e sognare il '68, a ridurre tutto ad Hitlerum, a fiutare lo Spirito di Monaco ogni volta che non si bombarda con prontezza. Abbiamo la scusante che il Novecento è comunque più vicino a noi. Anche se in fondo, poi.

Se leggete queste righe probabilmente siete nati nel Novecento, anche se ne siete usciti vivi (congratulazioni). Ma ne siete usciti. Non è più il vostro secolo. I bambini che cominciano a studiare la Storia quest'anno (dal Big Bang o dai dinosauri) hanno otto anni. Vuole dire che sono nati nel Due. Il Muro di Berlino non lo hanno mai visto: persino il loro papà ne ha un ricordo molto vago. Ma per un qualche motivo siamo convinti che sia roba loro; che non possano arrivare a 14 anni senza saperne qualcosa; che tra il Muro e il Vallo di Adriano sia quest'ultimo a dover cadere. Chi lo sa. Forse la Guerra Fredda non è poi così importante. C'è stata: ha visto lo scontro di due superpotenze; ha segnato la nostra vita, ma appunto: era la nostra. Ogni anno che passa diventa sempre più difficile spiegare ai nuovi nati cosa fosse la cortina di ferro, perché i missili stessero sottoterra (ci stanno ancora), il senso della lotta tra il mondo libero e il mondo uguale. Si ha la sensazione di annoiare i cuccioli con le vecchie diatribe dei nonni. Tante recriminazioni di vecchi e nessun vero mistero: nessuna piramide, nessuna resurrezione, missili sottoterra e nessuno li tira fuori. Poco spazio da riempire con la fantasia.

Alcuni si rassegnano, e si affezionano ai sogni dei nonni: qualche anno più tardi li vediamo in piazza che hanno imparato a salutare a braccio teso, o pugno chiuso, missione compiuta: il cucciolo è stato novecentizzato.
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I portali oscuri

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Il mistero di Lost - beh, ma è presto detto. No, non è senz'altro una botola o una sequenza di cifre. Il vero mistero di Lost, ma non si è ancora capito? siamo noi. La nostra resistenza pluriennale di spettatori, vincitrice su ogni logica e verosimiglianza. Abbiamo visto isole che scompaiono, morti che tornano in vita, un fumo che afferra le persone e le uccide sbattendole contro gli alberi, e non abbiamo cambiato canale: se non è un mistero questo. Speravamo che trovassero una via per uscire dall’isola, e quelli hanno trovato un sistema per tornarci. È da un bel pezzo che non sappiamo più chi siano i buoni o i cattivi, probabilmente la cosa nemmeno ci interessa. Cosa ci aspettiamo, ancora? Mistero. Anche se forse io ho capito... (Fffffffroscccccccccc)

Il redesign dei Klingon

Dicevamo che ogni storia nasce come un mito: un personaggio esce dall’oscurità, combina qualcosa e scompare al momento giusto. Tanto basterebbe, se restassimo bambini. Ma cresciamo, sviluppando curiosità morbose e inutili (almeno finché continuiamo a esercitarle sulle fiabe dei bambini). Avrei centinaia di esempi, ma prendiamo Star Trek. La serie storica, intendo. Ogni puntata è un mito. Un’astronave arriva su un pianeta diverso. Ma da dove arriva? non è chiaro, non si sa (da dove viene Zeus? E Cappuccetto Rosso?) Da qualche parte c’è una Federazione, sull’Enterprise in effetti c’è scritto U.S.S. che qualcosa vorrà dire – ma in realtà l’Enteprise proviene dalle tenebre: atterra su un pianeta e fa partire la storia. Quando la storia finisce l’astronave bianca ritorna alle tenebre. I miti (le storie primigenie, autoconclusive), funzionano così.

Trent’anni dopo intorno all’Enterprise non c’è più un solo centimetro di ombra, ma un garbuglio inestricabile di informazioni che farebbe impallidire la ruota di Tiberio. Sappiamo tutto sulla Federazione, sui suoi alleati e sui suoi nemici – l’Universo non è più una frontiera, è un suk di popoli che litigano o fanno affari, e se abbiamo pazienza possiamo guardare le puntate che ci spiegano il perché. Possiamo prendere appunti, perché in vent’anni la storia si è complicata parecchio. Oppure possiamo crescere ulteriormente e mandare a quel paese l’intera franchise (come molti fecero al penultimo episodio). Ma non è colpa degli autori se l’universo misterioso e pieno di promesse della prima serie era diventato una struttura iperdefinita dove tutto era intrecciato in complicati rapporti di causa ed effetto. Siamo noi che lo abbiamo voluto così, crescendo con la Saga. A un certo punto le favole dei bambini non ci sono bastate più, abbiamo voluto sapere chi fossero i romulani e perché, i vulcaniani e perché, perché, perché, maledetti perché puberali. Non potevamo più berci le favolette del capitano Kirk, ma avevamo ancora paura a spegnere la televisione e farci una vita complicata nel mondo vero. Pretendevamo che la vita complicata se la facessero i discendenti del capitano Kirk.

Prendi i Klingon. La prima volta che appaiono, nella serie classica, sono una manciata di alieni brutti, cattivi e di colore. Un cerone bronzeo, vestiti e costumi medievali, barbette e tratti somatici orientali, perché i giapponesi erano ancora il Pericolo Giallo dell’insonscio collettivo americano. Le loro astronavi erano invisibili più per limiti di budget che per altro. È chiaro che la storia, a raccontarla così, non può reggere i limiti dell’infanzia. E quindi lentamente i Klingon si evolvono. Gli sceneggiatori si improvvisano etnologi e cominciano a spiegarci che dietro la loro presunta cattiveria ci sono nobili tradizioni… insomma è vero che mangiano animali vivi, ma vanno capiti, è la loro cultura… tutto un corso di relativismo culturale applicato a un popolo inesistente. Quando crolla il muro di Berlino se ne accorgono anche i Klingon, che diventano alleati della Federazione più o meno quando i polacchi chiedono di entrare nella Nato. Nel frattempo sono diventati un fenomeno di costume, sugli scaffali delle librerie trovi i dizionari klingon, qualcuno traduce Shakespeare in klingon, qualcun altro apre la wikipedia in klingoniano, eccetera. Siamo in piena fase mitologica: al nerd non basta la storia, vuole un mondo organizzato e coerente. Fino al punto di litigare con gli autori della storia, perché c’è sempre qualcosa che non torna.

Qui arriviamo all'annoso problema della cresta dei Klingon. Nella serie storica non c’era. I Klingon hanno cominciato a portare la cresta solo vent’anni dopo. Questa cosa inquieta il nerd, che vuole sapere il perché (According to the official Star Trek web site, the Klingons' varying appearance is "probably the single most popular topic of conversation among Star Trek fans). Il perché sarebbe presto detto: negli anni Sessanta il Klingon era il cattivo asiatico in un telefilm a basso costo; trent’anni dopo è un fenomeno culturale in una franchise miliardaria, il minimo che si potesse fare era truccarlo meglio, farlo meno umano e più alieno… questa spiegazione non può soddisfare il nerd, perché esce dall’universo chiuso e mitologico di Star Trek e si ricollega al mondo reale, a problemi prosaici come il budget. No, il nerd vuole una spiegazione mitologica che risolva la contraddizione per cui i cattivi del capitano Picard hanno la cresta e i loro nonni no. Vengono quindi elaborate numerose teorie: clonazioni? Mutazioni genetiche causate da incidenti nucleari? E perché non chirurgia estetica? Finché finalmente gli autori non acconsentono a spendere un paio di puntate per fornire ai nerd una spiegazione canonica. Quella discrepanza, quel segno di discontinuità, minacciava l’autocoerenza della mitologia di Star Trek. Era una fessura verso il mondo reale e le sue brutte incoerenze. Doveva essere risolta, spiegata, illuminata. La mitologia uccide il mito inondandolo di luce, e chiudendo i portali oscuri che lo riconducevano alla realtà. Una mitologia perfetta si racconta da sola: intricata, ma ormai slegata dal mondo, può interessare ancora soltanto chi è cresciuto sentendola raccontare. Chi viene da fuori si tiene istintivamente a distanza. Le ragazze specialmente (invece voi maschietti non perdetevi la prossima puntata, in cui sarà finalmente rivelato il mistero di Lost!)
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I tre futuri di Avatar

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Non importa avere l’esercito più potente della galassia, con le armi più distruttive dell’universo, se nella cabina di comando c’è ancora un uomo. Al culmine della tua potenza di fuoco, sarà proprio l’uomo a tradirti. Non importa avere l’industria dei sogni più ricca e pervasiva del mondo: alla fine tutta la tua potenza di fuoco ti si rivolgerà contro, se in cabina di regia avrai commesso l’imprudenza di lasciare un canadese affezionato ai sensi di colpa dei conquistatori del Nuovo Mondo. Così avrai speso miliardi di dollari per produrre un film che predica alle masse la bellezza di un impossibile ritorno alla natura e alla comunione con tutti gli esseri viventi. Avatar è una contraddizione in termini, lo hanno già scritto in tanti: un blockbuster industriale che sogna la fine (violenta) dell’industria, perfettamente incarnato nel marine Jack Sully che tradisce il suo colonnello. Qualcuno l’ha anche accusato di essere una mera rivisitazione digitale di storie già raccontate: la vicenda di Pocahontas, e in generale un ripasso delle pagine più buie della Storia americana, dallo sterminio dei nativi americani alla guerra del Vietnam. Ma faremmo un torto a Cameron se non gli volessimo riconoscere un talento visionario che non si è limitato a ricombinare frammenti di passato. In Avatar il futuro c’è, anzi (secondo una mia teoria) ce ne sono almeno tre.

Il primo futuro è quello prospettato all’inizio del film: una razza umana in fuga infinita dalla terra esaurita e intossicata. L’umanità è un parassita tecnologico che brucia e avvelena tutti i mondi su cui mette piede. Questo i Na’vi, le creature blu di Pandora, lo intuiscono: ma forse non ne trarrebbero le dovute conseguenze se non arrivasse tra loro il marine Jack, un vero e proprio anticorpo dell’umanità inoculato nel corpo di un indigeno: è proprio la sua irruenza, sconosciuta ai nativi, a guidare il popolo blu verso la lotta contro l’invasore. E c’è comunque qualcosa di potente in un film che ti spinge a stare dalla parte degli alieni contro gli umani. In un mondo sempre più ossessionato dall’identità, dalla cultura, dalle radici, un film popolare che ti propone di cambiare corpo e di passare dalla parte dell’altro-da-te è qualcosa da salvare.

Il secondo futuro è molto più vicino a noi. Che probabilmente non fuggiremo mai tra le stelle: resteremo su questo pianeta sempre più sporco, cercando di venire a patti coi suoi limiti e coi nostri. Saremo sempre di più e dovremo razionare le risorse. Di fronte a questa deprimente prospettiva, il film di Cameron ci suggerisce una valvola di sfogo: avremo sempre la possibilità di fuggire nei paradisi artificiali della fantasia digitalizzata. È stata sufficiente la riscoperta di una tecnologia tutto sommato ‘vecchia’ come il 3d, per trasformare un’antica abitudine come il cinema in un viaggio psichedelico: non c’è motivo di dubitare che i divertimentifici del futuro insisteranno sempre di più su questa immersione dello spettatore in un mondo nuovo. Dopo gli occhialini verranno i caschi, le tute, le capsule di sospensione. Saremo tutti, nel futuro, condannati come Jack Sully a una vita frustrante e immobile (la sedia a rotelle è una metafora tanto sfacciata quanto azzeccata): ma avremo tutti la possibilità di immergerci, di tanto in tanto, in un universo variopinto e tridimensionale, dove un popolo immaginario ci acclamerà come eroi. Pandora non è un pianeta lontano, Pandora è il futuro della settima arte. A Cameron è mancata l’onestà per girare il ‘vero finale’ del film: Jack Sully riapre gli occhi e si ritrova di nuovo in una capsula umana. Qualcuno apre il portello: è il bigliettaio che lo informa che il film è finito.

Il terzo futuro è una variante estrema del secondo. L’industria dei sogni non è che l’avanguardia dell’industria vera: se Cameron ha potuto immaginare Pandora, qualcuno prima o poi riuscirà a realizzarla. Perché no? Il pianeta pensante che trattiene i pensieri delle creature in fondo cos’è, se non una enorme rete di condivisione delle informazioni? Gli esseri viventi che lo popolano, umanoidi, equini, grifoni, non sono che pezzi di hardware, con tanto di presa di connessione universale. Pandora insomma ha tutta l’aria di essere l’internet 9.0. In fondo, prima o poi anche l’esperienza degli utenti diventerà tridimensionale. A quel punto il mondo virtuale che condividiamo con gli altri utenti prenderà una forma che sarà modellata sui nostri ricordi e sui nostri sogni. Conterrà i nostri sensi di colpa di ex conquistatori pentiti, ma anche il vago misticismo di cui non abbiamo saputo liberarci, la nostalgia per l’equilibrio della natura, e così via. Il risultato non dovrebbe essere molto diverso da Pandora. I Na’vi non vivono su un pianeta lontano, ma sono i nostri avatar del futuro. Un futuro in cui spenderemo qualsiasi cifra per proiettarci in un mondo variopinto e incontaminato (e se per realizzarlo occorrono risorse difficili da reperire, localizzate nei luoghi sacri di un popolo antico e sottosviluppato, chissà se ci faremo qualche scrupolo a mettere in atto le solite pratiche di sterminio. Si fa qualsiasi cosa per i sogni).

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Ho una teoria #4

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Abdulmutallab in the Matrix

Gli anni Zero cominciano e finiscono con la stessa storia. C'è un giovane che vive la sua vita in una città al centro del mondo civilizzato. Ha un buon posto, ma si annoia: prova la sensazione di vivere sulla superficie di un’illusione. È una cosa difficile da spiegare, i suoi amici non capiscono. L'unico che gli dà retta è un misterioso sconosciuto incontrato su Internet, che gli dà un appuntamento (continua sull'Unità online) (ho detto online, non cartacea).

È una sorta di profeta: nelle sue parole si sente un vago retroterra religioso, parole orecchiate nelle preghiere dell'infanzia. Al giovane spiega che il mondo in cui vive è pura apparenza, creazione di Satana che inganna gli uomini per succhiar loro l’energia. Per questo è indispensabile trascendere, chiudere gli occhi e ritrovare la realtà. La quale non è un nirvana, al contrario: la realtà è un mondo durissimo, dove gli Eletti combattono Satana e se necessario sacrificano la loro vita nel combattimento.

Ho una teoria: il film che ci ha portati negli anni Zero è The Matrix. Anche se è uscito nel ’99 – e non è certo il primo blockbuster in cui un novellino impara le arti marziali e sconfigge i cattivi – il film dei fratelli Wachowski aggiunge alla formula qualcosa di nuovo. Le scene d’azione sempre più coreografiche sono pervase da un senso di oppressione e mistero che marca la distanza dal fragore delle baracconate anni Novanta. Quello che ci tenne incollati allo schermo dieci anni fa – e che continua a sorprenderci ancora oggi, malgrado gli effetti speciali mostrino i segni del tempo – è il misticismo del film: i lunghi monologhi di Morpheus, che ipnotizzarono il pubblico scatenando sui forum on line una deriva di interpretazioni (Matrix e la gnosi, Matrix come la caverna di Platone, Matrix e le Upanishad…) Forse i Wachowski intuivano che sotto i deliri egotici dei giocatori compulsivi di consolle video si annidava un’inquietudine più profonda, metafisica addirittura. La sensazione di vivere immersi in una smagliante e perversa simulazione, che ci nasconde il mondo vero: la disponibilità a inghiottire qualsiasi pillola per ritrovarlo; un percorso di conversione e salvezza vissuto in una condizione di profonda solitudine (anche dopo la conversione l’eroe sarà sempre “the One”, l’Unico, il Solo).

L’ultimo antieroe degli anni Zero è Umar Farouk Abdulmutallab. Classe 1986, studente brillante, figlio di un ex direttore di banca, Abdulmutallab non si è mai veramente sentito a suo agio nel suo appartamento londinese da quattro milioni di sterline, nel suo quartiere, nel suo mondo. Probabilmente ha condiviso con milioni di coetanei la sensazione di vivere sulla superficie di un sogno non suo. Finché probabilmente qualcuno non ha risposto agli appelli lanciati su Internet, dove si lamentava per la sua solitudine di studente musulmano a Londra. In Yemen, dove si è recato con il pretesto di un corso di lingua araba, Abdulmutallab ha ricevuto la conferma a gran parte delle sue intuizioni: il mondo in cui ha vissuto tutta la sua esistenza è pura apparenza, creatura di Satana che inganna gli uomini per succhiar loro l’energia. La realtà, viceversa, è un mondo durissimo, dove gli Eletti ingaggiano con Satana una lotta senza quartiere. Una volta de-programmato e riconvertito, Abdulmutallab è stato rispedito nella realtà simulata del Grande Satana, con una fiala di esplosivo e una missione: provocare uno squarcio nella simulazione, fare irrompere la realtà rivelata su un volo per Detroit.

Spesso, quando parliamo di Al-Qaida, la consideriamo un movimento retrogrado, espressione del ritardo storico del Medio Oriente: come una 'sacca di medioevo' in un mondo che va avanti. Forse ci sbagliamo: Al-Qaida è moderna quanto noi. I suoi militanti più famosi sono uomini di origine islamica, ma di studi occidentali, come il plurilaureato Mohamed Atta (autore nel 1999 di una tesi in cui si lamentava l’impatto dei grattacieli moderni sulla skyline islamica di Aleppo). Se l’Islam è una via di fuga da una realtà in cui non si trovano a loro agio, l’immaginario da cui scaturiscono i loro piani sembra risentire più dei blockbuster globalizzati che delle sure del Corano. Atta e Abdulmutallab provengono dallo stesso nostro mondo civilizzato, e condividono le stesse ansietà, la stessa alienzione che dieci anni fa trovammo rispecchiate nel film dei Wachowski. Obama può bombardare lo Yemen, come Bush bombardò Afganistan e Iraq. Ma l’alienazione e la solitudine che hanno portato Abdulmutallab in Yemen sono in mezzo a noi, e presto o tardi porteranno un altro studente brillante e solitario a colloquio col Morpheus di turno.
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Da che parte è caduto?

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La vittoria della libertà

20 novembre 2009, BERLINO - La caduta del Muro di Berlino «segna non solo la fine del comunismo sovietico ma soprattutto la vittoria della libertà come bisogno insopprimibile dell'animo umano». Così il premier Silvio Berlusconi che partecipa oggi alle celebrazioni per il ventennale della caduta del muro. Per il Cavaliere «dobbiamo avere coscienza che la libertà non è sinonimo di egoismo, di individualismo, non significa libertà di fare ciò che più ci aggrada e ciò che è possibile fare grazie ai progressi della scienza e della tecnica. La libertà è vera libertà quando è relazione con gli altri, quando rivendica non solo i legittimi diritti, ma si fa carico dei doveri nei confronti dell'intera società».

30 novembre 2009, MINSK - il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, primo leader occidentale da almeno dodici anni a questa parte a mettere piede a Minsk, ha ringraziato il Capo di Stato bielorusso per anni isolato dalla comunità internazionale anche per il sospetto di brogli nelle elezioni. «Grazie anche alla sua gente, che so che la ama: e questo è dimostrato dai risultati delle elezioni che sono sotto gli occhi di tutti» ha detto il premier italiano rivolgendosi al leader bielorusso in conferenza stampa.

20 novembre 2014, ROMA – A un quarto di secolo dalla caduta del muro di Berlino, il Presidente della Repubblica Berlusconi ha voluto ricordare nel suo discorso alla nazione “la data che segna la vittoria della libertà, intesa non come simbolo di decadente individualismo, ma di responsabilità nei confronti della collettività, del popolo e dello Stato”. Nel pomeriggio ha ricevuto al Quirinale l'ambasciatore cinese, per un incontro “franco e cordiale” durante il quale “è stato confermato il forte vincolo di amicizia tra i nostri Paesi liberi”. Durante la conferenza stampa finale il Presidente ha anche voluto commentare le recenti epurazioni avvenute nel Partito del Popolo della Libertà “In tempi come questi la più importante conquista è un miglioramento all'interno del Paese, miglioramento che non colpisce, che non salta agli occhi, non si scorge a prima vista, un miglioramento del lavoro, della sua organizzazione, dei suoi risultati, un miglioramento nel senso che la lotta è diretta contro l'influenza dell'elemento piccolo-borghese e piccolo-borghese-anarchico che disgrega il popolo e il partito. Per ottenere questo miglioramento bisogna epurare il partito dagli elementi che si staccano dal popolo; per non parlare, s'intende, degli elementi che disonorano il partito agli occhi del popolo”.

25 novembre 2019, MOSCA - “Festeggiando la caduta del Muro di Berlino, noi celebriamo la vittoria in Europa della libertà: ricordando tuttavia che nessuna libertà è conquistata per sempre, ed è compito del popolo e del Partito salvaguardarla contro le tendenze individualiste, capitaliste e reazionarie che oggi come ieri lo minacciano”. Con queste parole il premier della Federazione delle Repubbliche Popolari Italiane, on. Bondi, ha ricordato il trentennale dell'evento che cambiò la faccia dell'Europa. L'occasione era il summit della Cooperazione Mercati Comuni Nazionali italo-russi (COMECON). “L'alleanza commerciale tra le Federazioni italiana e russa è più salda che mai”, ha confermato il Presidente russo Vladimir Putin; “la Russia guarda alle Italie come al suo naturale partner mediterraneo”. Putin ha anche garantito che la fornitura di gas alle repubbliche italiane in deficit energetico non sarà sospesa. “Potete passare un inverno tranquillo”, ha aggiunto.

22 novembre 2039, PYONGYANG, “La caduta del muro di Berlino, di cui ricorre il cinquantenario, segna non solo la fine del capitalismo occidentale, ma la vittoria della libertà come bisogno insopprimibile dell'animo umano”. Con queste parole il segretario del Partito Unico Popolarista Piersilvio Berlusconi ha voluto ricordare la fausta ricorrenza, durante un summit della Quinta Internazionale. Una festosa sorpresa ha rallegrato la giornata del Segretario: durante una parata nella via centrale della capitale nordcoreana, egli ha inaugurato di persona una statua di dieci metri di altezza dedicata all'Amato Leader Silvio Berlusconi, fondatore del popolarismo italiano. “Vedere il monumento di mio padre a poche centinaia di metri da quello dell'Eterno Leader Kim Il Sung mi riempie gli occhi di commozione”, ha ammesso il Segretario.

22 novembre 3989 – Nuova Shangai. A distanza di duemila anni la leggenda del cosiddetto “Muro Diberlino” continua a turbare gli storici. La maggioranza resta convinta che un muro del genere – malgrado le numerose testimonianze, per lo più letterarie – non sia mai esistito. “Opere simili di solito resistono per millenni”, sostiene l'archeologo Pier Ya Sen. “Basti pensare alla grande muraglia cinese... ma anche una fortificazione lignea come il Vallo d'Adriano ha lasciato qualche traccia. Invece un muro del genere, che avrebbe dovuto tagliare l'Europa in due, sarebbe scomparso nel giro di una notte: impossibile. Si tratta senza dubbio di una leggenda”. “Dietro ogni leggenda si nasconde sempre un briciolo di verità”, afferma dal canto suo lo studioso Yung Dangela XXV. “Quella del muro Diberlino ci parla di un'Europa che alla fine del secondo millennio cristiano scivola in uno stato di decadenza e di divisione, al termine del quale le deboli democrazie occidentali vengono soppiantate da un nuovo ordine mondiale, modellato sulle autocrazie orientali, come Russia e Cina”. In questo quadro il Muro Diberlino rappresenterebbe “il confine, cristallizzatosi per almeno mezzo secolo, tra le decadenti nazioni democratiche dell'occidente e le potenze emergenti dell'est: due economie radicalmente diverse e inconciliabili, che nel corso dei decenni conobbero uno sviluppo assai diseguale. Finché probabilmente i regimi democratici occidentali non furono costretti a innalzare uno sbarramento, forse un vero e proprio muro di cemento, onde proibire ai propri cittadini di raggiungere i Paesi dell'Est dove le condizioni di vita dovevano essere diventate incomparabilmente migliori. Ma come accade sempre in questi casi, il muro finì con lo sbriciolarsi, e il modello autocratico orientale tracimò in occidente, con esiti talvolta imprevisti: vedi ad esempio il caso italiano, dove la dinastia dei berlusconidi impose la sua autocrazia mediatica proprio negli anni immediatamente successivi alla caduta del cosiddetto 'Muro'”.

[Un saluto a chi va a Roma domani - io faccio quel che posso e stavolta non ce la faccio, ma grazie].
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Ho scritto un libro

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Giovedì 19, presso la biblioteca del Teatro India a Roma, la collana Sguardomobile presenterà i suoi nuovi libri. Ci saranno Valerio Magrelli, Andrea Cortellessa, Antonio Prete. E cercherò di esserci anch'io, visto che ho scritto uno dei libri.

La mia lunga e assai tormentata storia di non-amore con l'università italiana è finita in un burrascoso giorno di primavera del 2008, con il conseguimento di un dottorato di ricerca. Vi risparmio le frustrazioni, i dubbi, le avventure, i concorsi persi male e vinti per caso, i grandi viaggi inutili ma divertenti, le lunghe notti vegliate al lume di qualcosa che all'inizio era ancora un 486 e alla fine un laptop. Tanto ormai è tutto finito.

Fu sulla soglia della fine che, compilando un modulo qualsiasi, diedi quasi inavvertitamente il consenso a pubblicare la mia tesi su internet. Mi sembrava una formalità: in generale mi piaceva l'idea di poter consultare on line le tesi di tutti e quindi anche la mia. Ero un po' scettico sul fatto che la mia facoltà avrebbe realizzato davvero una cosa del genere – finora tesi on line non ne avevo mai viste. Scoprii qualche mese più tardi, con disappunto, che finora non ne avevo mai viste perché pochi avevano avuto il fegato di dare il consenso; e che di fegato si trattava, perché grazie ai potenti ragnetti di google il mio nome-e-cognome sarebbe stato per sempre legato alla versione grezzissima della mia tesi, consegnata via cd un mese prima, ricca di refusi e ripetizioni e tutto quel che serve a far vergognare uno studioso da qui all'eternità. Più vari inserti erotici, per la gioia di vecchi e bambini (dove “bambini” sono i miei studenti che sanno guglare e “vecchi” i loro genitori).

D'altro canto, se non avessi sventatamente consentito a liberare la mia tesi nell'internet, essa non sarebbe mai piaciuta a Giulio Braccini, Marco Federici Solari e Lorenzo Flabbi, i magnifici redattori del progetto Sguardomobile, che qualche mese più tardi mi chiesero se volevo  rilavorarci sopra e pubblicarla. Non potevo non accettare un'offerta così, se non altro per riparare allo sgorbio che era stato messo on line (e ahimè, c'è ancora).

Si trattava insomma di riprendere in mano Marinetti. L'uomo che con le sue provocazioni sgrammaticate mi ha segnato la vita, dalla gita di seconda media del 1986 (mostra del Futurismo a Palazzo Grassi), attraverso la tesi di laurea, fino allo stramaledetto dottorato. Detta così, sembra che io abbia passato almeno vent'anni a studiarlo, e in un certo senso è vero; l'ho studiato nei ritagli di vent'anni, mentre facevo qualsiasi altra cosa. Sempre nella speranza di trovare qualcosa di interessante, di originale, ma soprattutto di, come dire... unificante: una formula, un trauma infantile, la soluzione di un mistero. Probabilmente avrei sofferto molto meno se mi fossi rassegnato subito: non c'è nessun mistero, i comportamenti di F. T. Marinetti sono stravaganti ma perfettamente spiegabili, e molti sono stati già spiegati da gente più acuta di te, quindi molla l'osso. Sì, ma dopo dieci anni è dura da ammettere. Comunque alla fine, da centinaia di abbozzi e piste perdute e ritrovate, è sorto il mio lavoro. Un buon lavoro, tutto sommato. E ci sono anche i siparietti erotici.


I tre redattori, dalla encomiabile pazienza, mi dissero che la tesi era piaciuta proprio perché poco accademica: nessuna sorpresa, io l'accademia non sono mai riuscito a capirla fino in fondo. Lo dico con amarezza, perché sul serio, mi sarebbe piaciuto, ma sto fuori Bologna e ho sempre altro per la testa (di solito lavorare), e anche se sembro in grado di scrivere qualsiasi cosa ve lo dico, cercare di produrre roba anche solo vagamente accademica mi è costato la fatica di tre traslochi. A un certo punto avrei donato una parte del corpo a caso per farla finita, anche la cistifellea. Sono inoltre un solitario, che ha sempre fatto fatica a rapportarsi al giudizio altrui: fortunato di aver trovato un maestro a cui piacevo così, bello ruspante. Io ero sempre sospettoso di quello che gli portavo, ma funzionerà dal punto di vista accademico? Lei cosa dice? Lui mi correggeva l'ortografia. Ho sempre avuto il sospetto di piacergli più per come scrivevo le cose: più come scrittore che come studioso. Ma nel frattempo come scrittore 'puro' non riuscivo a combinare un granché, giusto un blog dove poi si finisce sempre per parlare di politica e litigare, e quindi ho fatto il possibile per essere almeno uno studioso decente. E insomma, è andata com'è andata, il libro adesso è lì.

Non è, bisogna dirlo, quella biografia romanzata di F.T. Marinetti che ogni tanto sogno di fare (poi il sogno diventa un incubo di 500 pagine con cui soffoco G.B. Guerri e Mughini, e mi sveglio tutto sudato). È materiale un po' più specifico, scritto in un tono assai più impacciato di quello che riesco a usare qui. Un'indagine sulle follie forse meno note di FTM, come ad esempio finanziare una manciata di poeti nel 1909 e litigare con tutti loro nel 1912; andare in cerca di emozioni e tornare a casa con una sintassi fratturata come una spina dorsale sotto una bomba a mano; pensare furiosamente alla guerra in tempo di pace e poi, quando la guerra finalmente scoppia, pensare furiosamente al sesso; e a proposito di sesso, farsi teorico e propagandista di quella che oggi è l'unica abiezione imperdonabile, l'eiaculatio praecox: sì, anche in questo campo lui si vantava della sua futuristica rapidità, la elevava a sistema: e come non scrivere una tesi su qualcosa del genere? E poi la sua cultura pseudoscientifica, che lo faceva abboccare a qualsiasi leggenda urbana degli Anni Dieci: le avventure sessuali di Rasputin, “ehi, avete sentito di quella cosa che hanno scoperto i Curie, il radio? Beh, pare sia un afrodisiaco”. Oggi non si perderebbe una puntata di Voyager, FTM. In controluce la nascita del fascismo, una miscela fortuita ottenuta in laboratorio: mescoli l'amore per una patria sconosciuta e sottosviluppata con il motore a scoppio, la rotativa, qualche pizzico di Nietzsche Bergson e Sorel, e Patatrac! Cos'è successo? Forte, ci riproviamo? La spettrale coincidenza di macchina e di morte, il paradosso di un futurista che ogni volta che si arrischia a scrutare davvero il futuro ci vede solo guerre catastrofiche e regressioni alla preistoria: uno che insomma fa il gradasso letterario perché in realtà del nuovo ha una paura fottuta. Ma detto con più diplomazia, e i siparietti erotici.

Studiare Marinetti, frugarci dentro, è stato faticoso ai limiti dello strazio, ma anche molto divertente. Non so se un po' di questo divertimento traspaia dalle pagine di questo libro. Volevo cercare di essere serio, parlando di cose molto buffe. In questo in fondo simile al mio oggetto di studio, che viaggiava per i teatri del mondo, declamando i suoi tatatatatà marziale e imperturbabile sotto una pioggia di ortaggi, ogni tanto afferrandone qualcuno e morsicandolo gloriosamente. Consapevole, come il migliore Buster Keaton, che anche il comico è un ruolo da recitare con la massima serietà.
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Estrazioni del Presidente

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La democrazia a premi

ROMA – dal nostro inviato

Confesso, la prima riga di questo pezzo l'avevo in mente quando ero ancora in fila per il check-in, diceva: ROMA – file interminabili davanti alle ricevitorie, una cosa cosi'. Poi arrivo a Roma, mi infilo in un taxi, « Mi porti davanti a una ricevitoria affollata » dico al tassista, lui mi scorrazza per tutta la città eterna senza trovare una sola coda. Insomma, la maledizione dei luoghi comuni ha colpito ancora. La gente gioca, non dico di no, ma ho visto molta più furia davanti a certe slot di Las Vegas.

«La storia degli assalti alle ricevitorie è in gran parte un mito», ammette Giacinto Mariotti, dirigente del movimento Lottomatica Per La Democrazia davanti a un caffè con la schiuma. «Era un sistema per reclamizzare il gioco, nell'epoca pre-istituzionale, quando i cittadini avevano la facoltà di giocare tutte le schedine che volevano. Già allora il Superenalotto era un affare d'oro per le casse dello Stato, e quindi la tv di Stato faceva tutto il possibile per pompare il fenomeno: si inventava le code, intervistava i turisti che giocavano e titolava Vengono in Italia apposta per giocare, roba del genere... che c'è, il suo caffè è troppo caldo? »
«No, mi è andato di traverso»
« Si', ma perché, forse ho detto qualcosa che non... ah, già, dimenticavo. Lo choc culturale».

Sfido io a non farsi andare di traverso anche il migliore espresso di Via Veneto, mentre vi fate raccontare la storia di uno Stato che incita i suoi cittadini al gioco d'azzardo, attraverso la televisione pagata dai cittadini stessi. «L'Italia è cosi'», si stringe le spalle Mariotti, «Io sono tra quelli che credono che si possa migliorare, ma solo a patto di ammettere che è cosi', che il punto di partenza è questo... dopo la fine del Berlusconismo si trattava di trovare una via alla democrazia, alla partecipazione, senza pero' fingere che non fosse successo niente. Non si poteva tornare alla Democrazia Cristiana e al Partito Comunista, semplicemente perché i militanti di quei grandi partiti erano ormai tutti morti o quasi. Bisognava ripartire dalla tabula rasa... che poi cosi' rasa non era: la strutture, a cercarle, c'erano...»
«Il Superenalotto, per esempio».
«Puo' suonare eretico, ma è proprio cosi'. Lo si poteva vedere come un sistema per fare cassa, lucrando sulle illusioni della gente... ma anche come un grande momento di comunione popolare, gente di ogni ceto e razza unite dall'abitudine di giocarsi dei numeri. Per molti anni noi abbiamo cercato un minimo comune denominatore per tutti gli italiani, e non riuscivamo a trovarlo, finché...»
«...non siete entrati in ricevitoria».
«Già. E pensare che era appena dall'altra parte della strada».
Prima di fondare LottomaticaXLD, Giacinto militava in un piccolo partito di cui si vergogna persino a fare il nome. «Eravamo quattro gatti », scherza, «senza grosse possibilità di entrare in parlamento. Ma credevamo di possedere l'Arma segreta». L'arma segreta era il Referendum abrogativo, uno strumento previsto dalla Costituzione italiana, che teoricamente consentiva anche ai piccoli partiti di influire sulla vita politica. Bastava (si fa per dire) raccogliere 150mila firme per indire un referendum che permettesse di cambiare un testo di legge. Il primo storico referendum abrogativo fu indetto nel 1974, promosso dai cattolici che volevano revocare la legge sul divorzio appena emanata: la maggioranza degli italiani, contro ogni pronostico, voto' per mantenere il divorzio. Da allora il referendum divenne una delle forme di partecipazione democratica più apprezzate dagli italiani, che nei vent'anni successivi votarono per decine di quesiti referendari: in quegli anni i raccoglitori di firme esercitavano un vero e proprio contropotere rispetto al Parlamento. Ancora a metà degli anni Novanta un referendum poteva troncare la carriera di un politico, o viceversa farla decollare. Col tempo, tuttavia, subentro' una certa stanchezza, aggravata dal fatto che i referendum abrogativi italiani (a differenza di quelli svizzeri) per essere validi dovevano portare almeno la maggioranza degli italiani nelle urne. Un risultato sempre più difficile da ottenere, nei lunghi anni dell'ipnosi berlusconiana (non è un caso che uno degli ultimi referndum validi fosse quello che consentiva ai canali di Berlusconi di interrompere i programmi con gli spot).

Nel frattempo, « dall'altra parte della strada », il Superenalotto diventava un fenomeno di costume. Un concorso a premi gestito dallo Stato, basato sui concorsi locali pre-esistenti (le ruote del Lotto), a cui si aggiungeva un'intuizione venuta da lontano: il jackpot. Nel giro di un decennio il superenalotto era diventato il concorso più lucroso del mondo. Oppure, per dirla con Mariotti, un grande momento di comunione popolare. «Senza dubbio il fatto che il concorso fosse gestito dallo Stato fu determinante, quando nel 2014 avanzammo la prima proposta di abbinare un quesito referendario alla schedina. Ci prendevano per matti, ma nessuno riusciva a spiegare esattamente cosa ci fosse di sbagliato nell'idea».

Già, cosa c'è di male? La Costituzione certo non proibisce espressamente di abbinare la scheda elettorale alla schedina del superenalotto. Chi non avrebbe voluto spendere una manciata di euro per esercitare un sacrosanto diritto avrebbe potuto giocare, pardon, usare la scheda semplice, non abbinata al concorso: ma sin dall'inizio fu chiaro che sarebbero stati una minoranza. La prima Estrazione Referendaria ebbe luogo nel 2017: l'argomento era il Nucleare (un vecchio cavallo di battaglia dei referendari). Fu un successo clamoroso. L'argomento non era molto popolare, e il dibattito era stato snobbato dai media: eppure il quorum (che in quegli anni oscillava intorno al 20%) schizzo' all'80. «Molta gente scopri' che c'era un referendum direttamente in ricevitoria: mentre giocava voltava la scheda e trovava il quesito: volete i reattori nucleari nelle zone a rischio sismico si' o no? Naturalmente fummo sommersi dalle critiche, si diceva che in questo modo banalizzavamo l'istituto referendario, lo trasformavamo in una specie di sondaggio... in parte avevano ragione. Pero' banalizzando lo avevamo rimesso in funzione: la gente si poneva i problemi, anche solo per qualche secondo in tabaccheria, pero' se li poneva... imparava a valutare i pro e i contro delle sue scelte, ne discuteva...»
«E qualcuno ci vinceva anche qualcosa».
«Non c'è niente di male in questo».
«Ma è sicuro che l'abbinamento al referendum non abbia in qualche modo incentivato il gioco d'azzardo?»
«Credo il contrario».
«Addirittura».
«Il gioco d'azzardo esisteva già, non lo abbiamo certo inventato noi. Prima dell'abbinamento referendario esisteva la possibilità per il singolo di giocare più schede. Capitava ogni tanto che un vecchietto si giocasse la pensione. Questa possibilità è teoricamente svanita da quando il superenalotto è diventato un voto (prima solo referendario, poi anche legislativo e amministrativo). Oggi per giocare occorre fornire il proprio codice fiscale, e nessuno puo' giocare più di una schedina. Certo, ci si puo' ancora indebitare coi 'sistemoni' [schedine speciali che consentono di giocare piu' combinazioni], ma è una possibilità che esisteva già prima».
«E il traffico di voti? C'è chi dice...»
L'ennesima scrollata di spalle. «Certo, c'è gente che vende i propri dati, il proprio codice fiscale. Gli stessi che prima vendevano il loro voto. Questi sono difetti della democrazia in generale, non dell'Estrazione democratica in particolare. Esisteranno sempre, forse. O forse troveremo un modo per risolverli, un giorno. Nel frattempo abbiamo risolto altri problemi: abbiamo riportato un popolo nelle urne, non mi sembra un risultato da poco».

La Democrazia a Premi. Un'idea cosi' semplice: eppure non era venuta in mente a nessuno, da Solone in poi. Forse ci potevano arrivare solo gli italiani, e solo dopo vent'anni di mediacrazia berlusconiana.
A Roma sono le sei del pomeriggio: l'estrazione è precvista tra un'ora. Giacinto mi saluta, si scusa ma deve tornare alla sede del suo partito, dove fervono i preparativi per i festeggiamenti. Oggi si vota per legalizzare l'etaunasia, sancire il diritto all'autodeterminazione dei feti e l'impiccagione per i clandestini in possesso di schedine del superenalotto. «Ho votato rispettivamente si', no e no», confessa Giacinto, «seguiro' l'Estrazione sul maxischermo coi miei compagni di partito».
«Ma... siete sicuri che festeggerete?»
«Festeggeremo comunque. Per un sincero democratico ogni voto è una festa».
«Ma mettiamo che vincesse».
«Be', meglio ancora».
«No, intendo dire: mettiamo che vincesse il Jackpot, col Premio speciale: la Presidenza...»
«...della Repubblica. Mah, so che le leggi della probabilità non sono dalla mia parte. Pero' non è elettrizzante sapere che stanotte uno qualsiasi di noi, uno su sessanta milioni, potrebbe diventare Presidente? Potrebbe essere una donna di mezz'età, uno spazzino di vent' anni, una colf regolarizzata...»
«Ma statisticamente sarà un pensionato bianco».
«La statistica non è che ci azzecchi sempre. E comunque, se i pensionati gioc... votano di piu', è giusto che abbiano piu' possibilità».
«E pensa che sarà un bravo presidente?»
«Non sarà difficile comportarsi meglio di altri che non sono stati estratti a sorte».
«Ehm, era una frecciata?»
«Ma no, è che non è cosi' difficile fare il Presidente della nostra Repubblica, dopotutto. Si tratta di farsi bendare, pescare cinque palline, aprirle... un bambino sarebbe capace».
«In effetti, perché non fate giocare anche i bambini?»
«E' un'ingiustizia, lo so. Ci stiamo lavorando».
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Impiastro del '900

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(Quella che segue era la scaletta di un libro che si sarebbe potuto fare nel 2009, centenario del Manifesto del Futurismo blablablà: una vita di Marinetti diversa dalle solite vite di Marinetti alla GBGuerri, per capirci, ma mi dicono che ormai è tardi. Mi era restata una mezza voglia di trasformare la vita di Filippo Tommaso Marinetti in un romanzo d'appendice sul presente sito, ma ormai si è capito che che sui blog le storie a puntate non funzionano, a parte quando ci si mette lei. Comunque non dispero, c'è un pubblico per tutto).


1. Premessa: Marinetti, impiastro del Novecento
È da 40 anni che si sente dire “bisogna rivalutare il Futurismo”. In realtà lo stiamo rivalutando da un pezzo. La compenetrazione di Boccioni sta sulla moneta da venti centesimi, il dinamismo di Balla ispira gli stilisti... eppure in mezzo a tanta incessante rivalutazione nessuno riesce a rileggere le opere di Marinetti. Come mai? Un complotto? Non sarà che era proprio uno scrittore mediocre? In effetti sì, ma pieno di sorprese.

2. Prologo: Simultaneità
Sovrapposizione di alcuni episodi decisivi della vita di Marinetti (un incidente automobilistico nei Navigli, l'ultima battaglia a palle di neve col fratello, il ferimento all'inguine durante la guerra, l'agonia sul lago di Como). Oggi li chiamiamo flashback, Marinetti le chiamava simultaneità. Si potrebbe anche attribuirgliene l'invenzione, in anticipo sui qualche cineasta. Ma sì, attribuiamogliela. Tanto non ci costa niente.

3. Il bullo del collegio
Di come il piccolo Filippo Tommaso (che in realtà si chiamava Emilio Angelo Carlo), nato ad Alessandria d'Egitto, cercando un pretesto per scazzottare i suoi compagni di collegio, scoprì l'amore per una Patria che aveva visto soltanto in cartolina. Paralleli coi trascorsi bullistici di Benito Mussolini alle elementari di Predappio (cfr. De Felice).

4. Viva Zola!
Per inventarsi la sua Patria su misura, il piccolo Filippo ha bisogno di un pantheon di Grandi Scrittori: ma ahimè, in quegli anni il panorama italiano era piuttosto deludente. Però in Francia c'è Zola, che è di origini italiane e scrive cose violente e proibite: FTM ne fa la sua bandiera, fino a farsi espellere dal collegio (dice lui: in realtà non riuscì a passare un esame).

5. Fuorisede a Parigi
Spedito dai genitori a diplomarsi a Parigi, FTM si rende conto di essere un figlio di papà e si scatena: festini, duelli, pessimi esami.

6. Senza famiglia
Trasferitosi finalmente in Italia, nel giro di non molti anni FTM perde il fratello maggiore (il prediletto) e i genitori. Resta solo e miliardario, in una casa piena di cimeli africani, incerto se darsi alla poesia o alla rivoluzione. Socialisteggia anche un po', va ai cortei degli operai che lo prendono per uno sbirro, lui gli risponde in dialetto no, guardate che sono un poeta.

7. Un francese a Milano / un italiano a Parigi
Uno dei problemi di FTM è che non scrive bene in italiano: appunto, con gli operai parla in dialetto; quando si tratta di poesia, scrive in francese. Tanto che quando in Italia ancora nessuno lo conosce, a Parigi è una mezza celebrità.

8. Gli dei se ne vanno, D'Annunzio non schioda
Nella ville lumière il giovane FTM viene considerato, in quanto “italiano” il rivale di D'Annunzio; lui avalla questa definizione diventando addirittura un cronista mondano specializzato in stravaganze dannunziane, e sviluppando un'ossessione: D'Annunzio come spettro del fratello maggiore, sempre più bravo e più apprezzato, mentre lui deve accontentarsi delle briciole di celebrità...

9. Versolibristi vs alessandrini
Alfiere del verso libero, contro la tirannia del verso alessandrino francese, FTM finisce per arruolare anche un gruppetto di poeti italiani intorno a una rivista (ovviamente pagata da lui).

10. Dal grembo melmoso del Naviglio
Il primo Futurismo nasce durante un incidente stradale. FTM si è comprato una delle prime automobili circolanti a Milano ma non ha ancora la padronanza del mezzo, e per schivare due ciclisti sprofonda nel Naviglio. Viene ripescato mentre inneggia alla Velocità... solo trent'anni dopo confesserà di essersi preso un autentico spavento. (Tesi forte: il futurismo come sindrome post traumatica).

11. Nascita di un altro -ismoAl di là della leggenda, comprare uno spazio su un quotidiano per reclamizzare l'ennesimo nuovo movimento poetico dotato del suffisso -ismo era a quei tempi prassi piuttosto comune. La nascita del movimento fu comunque tormentata: a un certo punto ci si mise di mezzo anche il terremoto di Messina.

12. Un fiasco colossale
La prima uscita pubblica del nuovo movimento poetico è la messa in scena di un testo teatrale scritto in gioventù, confusionario e irrappresentabile: una miscuglio tra Ubu Roi e Shakespeare, con principi e re che si mangiano e vomitano a vicenda. Marinetti non bada a spese, prenota l'Opera di Parigi e la stessa compagnia teatrale che aveva portato sulle scene l'Ubu Roi; il risultato è un fiasco talmente smisurato che lo stesso FTM decide di farsi vedere dal palco mentre fischia i suoi attori. Nasce così la “voluttà d'esser fischiati”: da qui in poi i futuristi saranno quelli che vanno in scena a prendersi gli ortaggi. Ma qui bisogna ripristinare la verità storica: all'inizio FTM avrebbe voluto prendersi abbracci e baci, imparare ad afferrare pomodori e arance al volo fu un modo di fare buon viso al cattivo gioco.

13. Attento a quel revolver
Frattanto in Italia i poeti arruolati da FTM dimostrano di non aver capito molto bene quello che il loro caposcuola ha in testa, e di preferire gli ozi della villeggiatura al rombo della macchina da corsa. L'unico un po' violento è un certo Lucini, autore delle Revolverate, che però ha il torto di voler guadagnare qualcosa con le sue poesie e non capisce il marketing aggressivo di FTM, che regalando il suo volume a destra e manca non ha molte percentuali da corrispondergli a fine mese. Lucini sarà il primo transfuga dal movimento: ce ne saranno molti altri.

14. Mafarka, il pornofuturista
Il secondo tentativo futurista di FTM è un romanzo africano, un fumettone fantascientifico (con inserti pornografici) dove l'autore finisce per uccidere il fratello, giacere con la madre e partorire un uccello dalle ali metalliche (Jodorowsky, nasconditi): il tutto proprio mentre a Vienna Sigmund Freud sta riflettendo sul mito di Edipo. In Francia è un altro flop, ma in Italia offre a FTM un primo quarto d'ora di popolarità grazie a un processo per oltraggio al pudore.

15. In aereo col PapaC'è un altro problema: mentre FTM insisteva con le sue macchine rombanti, in Francia e negli USA hanno inventato l'aeroplano. D'Annunzio l'ha già provato, ma lui no, e la cosa lo tormenta. Per consolarsi scrive L'aeroplano del Papa, dove s'immagina di pilotare un monoplano dall'Etna fino a Trieste, con una tappa al Vaticano, dove con un gancio rapisce il Papa e va a gettarlo contro l'esercito austriaco. È il primo bombardamento aereo della storia della letteratura.

16. Arrivano i pittori
Fino al 1911 il Futurismo non era quell'esplosione di colori che siete abituati a vedere sui cataloghi; si trattava soltanto di un gruppetto di poeti che scriveva volumi di versi liberi. Sono Boccioni, Balla e Carrà ad avvicinare Marinetti, proponendogli di estendere il futurismo alla pittura. FTM accetta, e viene travolto da una rivoluzione che lui stesso fino a quel momento non si era sognato. Di fronte alle sperimentazioni dei pittori, i suoi versi liberi improvvisamente gli sembrano piatti e banali.

17. Il mecenate volante
Per qualche tempo FTM si trasforma nell'agente di Boccioni & co.; percorre tutta l'Europa cercando di imporre i suoi protetti a un pubblico meno provinciale di quello italiano; si misura con cubisti francesi e cubofuturisti russi. Nel frattempo, in Italia, i vecchi poeti versoliberisti si sentono snobbati.

18. L'odore della guerra
Scoppia la guerra di Libia, e mentre Mussolini il pacifista cerca di bloccare i treni, FTM decide di partecipare come reporter. La guerra vera si rivela tutt'altra cosa rispetto a quella immaginata nei poemi; FTM capisce che bisogna cambiare tutto. Il futurismo, almeno quello letterario, va abbattuto e rifatto da capo.

19. Botte a Firenze
Una stroncatura dei quadri futuristi, firmata dal cubista fiorentino Soffici, offre alla nuova gang futurista l'occasione di organizzare la sua prima spedizione punitiva. Grazie alla soffiata del perfido Palazzeschi, Soffici viene bastonato, ma reagisce. Alla fine si metteranno d'accordo, e Marinetti si offrirà perfino di aiutare economicamente una rivistina di Soffici e Papini, Lacerba. Diventerà la più importante rivista d'avanguardia italiana, apprezzata da Gramsci e Mussolini.

20. Nel fondo della polveriera
L'esperienza libica ha lasciato a FTM una gran voglia di emozioni forti; lo ritroviamo di nuovo reporter di guerra nei Balcani. Mentre cerca di tradurre i suoi appunti francesi in quella sintassi italiana che maneggia con fatica, FTM ha un'intuizione: perché darsi tanta pena? Nascono così le Parole in Libertà, slegate da ogni regola sintattica e ortografica. Il suo nuovo libro si chiama Zang Tumb Tumb, ed è uno sputo d'inchiostro contro qualsiasi estetica, anche quella degli amici futuristi. I critici hanno paura a leggerlo, e da cent'anni continuano a parlane più o meno bene citando sempre solo la stessa pagina: sempre più sbiadita, come certe fotocopie che hanno fatto il giro di tutta la scuola.

21. Paroliberi vs versolibristi
In effetti la nuova invenzione marinettiana entusiasma i compagni pittori, ma lascia piuttosto freddi i vecchi futuristi versolibristi. Mentre Palazzeschi esce dal movimento e comincia a tramare contro l'ex amico, Lacerba si riempie di rutilanti parole in libertà, che però affondano la tiratura. Andrà a finire che Soffici e Marinetti litigheranno di nuovo, e quest'ultimo dovrà pagarsi un altro gruppo di futuristi fiorentini.

22. La guerra in bicicletta
Le polemiche tra fiorentini e milanesi si spengono all'improvviso con l'entrata in guerra: FTM anima da subito il movimento interventista, con parole d'ordine sinistramente simili a quelle usate dai neocon un secolo dopo. Nel mirino, la vecchia sinistra socialista e pacifisteggiante della generazione precedente. (Nel frattempo, nella redazione dell'Avanti, il direttore di belle speranze si strugge: restare coi vecchi arnesi o passare al nuovo che avanza?) Quando la guerra finalmente scoppia, FTM si arruola nel corpo dei volontari ciclisti con Boccioni, che muore quasi subito. Viene ferito, decorato e congedato. Si arruola di nuovo.

23. Futurista e gentiluomo

Durante una degenza in un ospedale da campo, detta un librettino dal titolo Come si seducono le donne che costituisce l'ennesima svolta futurista: dalle parole in libertà ai manualetti di seduzione. Il fatto è che l'ufficiale Marinetti non pensa più a un pubblico di artisti d'avanguardia, ma ai fantaccini delle trincee che tra un'offensiva e l'altra vorrebbero leggere qualcosa di piccante. Il futurismo esce dalla storia della letteratura ed entra nella storia del costume: a Napoli i giovinastri scapestrati si fanno chiamare “futuristi”, sono i paninari del 1916.

24. La guerra dei cannoni
Diventa un provetto artigliere e partecipa a qualche offensiva sull'Isonzo, ma c'è qualcosa che non va. Scrive appunti deliranti sul pene di Rasputin e sulle proprietà afrodisiache della radioattività. Durante le licenze ha un'attività sessuale parossistica, con veri e propri casi di esibizionismo dai palchi dei teatri. Nello zaino tiene un enorme fallo di legno che un amico ha rubato per lui in un bordello. La rotta di Caporetto lo ferisce come una mutilazione. Mentre i suoi appunti si riempiono di fantasie di tortura, a Vienna il solito Freud sta riflettendo su coazione a ripetere e principio di morte.

25. La guerra in autoblindo
Dopo Caporetto diventa pilota. Nella notte di Vittorio Veneto sogna di giacere con l'Italia unita nell'alcova d'acciaio della sua autoblindo. Nel frattempo nei porti le chiglie delle navi vengono decorate da linee mimetiche di gusto futurista, mentre gli studiosi austriaci, analizzando le lettere dei prigionieri italiani, vi trovano gran copia di errori di sintassi ed espressioni futuriste. Che la guerra abbia davvero trasformato futuristicamente l'Italia?

26. Marinetti il picchiatore
Nel dubbio, FTM pensa di poter fare la rivoluzione. Trasforma il futurismo in partito e scrive un trattato politico rivoluzionario, Democrazia futurista. In attesa di una svolta futuristica punta nei tempi brevi su Benito Mussolini, l'ex socialista del Popolo d'Italia con una malcelata invidia per gli eleganti cappotti di FTM. Per tutto il 1919 si dedica a disturbare le manifestazioni socialiste e popolari. Partecipando al rogo della sede dell'Avanti, inventa nientemeno che lo squadrismo! Arriva a Fiume pochi giorni dopo D'Annunzio (cappottando ancora una volta in macchina), ma se ne va, dice lui, per non mettere in ombra il Comandante (che non sapeva cosa fargli fare). In piazza San Sepolcro il minuscolo Partito Futurista si fonde coi Fasci di Combattimento; FTM si candida con Mussolini e Toscanini nella prima lista fascista milanese, prendendosi una solenne trombata.

27. “Politica un c.”
La notte delle elezioni vengono ad arrestare lui e Mussolini per possesso di armi da fuoco. Mussolini viene scarcerato in 24 ore; FTM resta in cella e comincia a temere che vogliano fargli la pelle. Lo liberano dopo tre settimane e lui decide di mollare la politica e rimettersi a scriver libri e organizzare mostre. Costringe i redattori del quotidiano romano pagato da lui a sospendere "il monotono e abbruttente rubinetto di articoli politici". "Nello stesso periodo comincia a uscire con una ragazza, Benedetta. La sposa in tempi brevi.

28. L'assemblea tumultuosa
Nel 1919 esce il suo ultimo grande volume di Parole in libertà, ritenuto da molti critici incomprensibili un capolavoro. Si tratta per lo più di macchie d'inchiostro, un test di Rorschach nel quale varie generazioni di critici hanno voluto riconoscere quello che stavano cercando in quel momento. È abbastanza divertente per esempio andarsi a rileggere le analisi che strutturalisti e post si facevano negli anni Settanta sulle suddette macchie: FTM diventava un anticipatore dell'informale, della pop art, di qualunque cosa tirasse in quel momento. In realtà, a guardarli con occhi di bambino, le macchie non sono così enigmatiche: per esempio, L'assemblea tumultuosa, una pagina piena di zeri in coda davanti a qualche grande “IO”, è un'istantanea tipografica di quello che stava succedendo nelle piazze italiane.

29. Benedetta e la stagione della bontà
Quando da Mosca Trotsky chiede a Gramsci un rapporto dettagliato sui futuristi italiani, lui risponde che è ormai è roba vecchia, e che FTM si è rincitrullito e preferisce passare il tempo con la moglie. C'è del vero: proprio negli anni in cui tutti i vecchi compagni reduci dalla guerra riscoprivano la famiglia e i valori (e si davano al neogotico o riscoprivano i lirici greci) Benedetta porta una relativa serenità nella vita impetuosa del marito. Insieme i due sposini inventano l'ennesima svolta improvvisa del futurismo: il tattilismo, una nuova dimensione artistica che privilegia il senso del tatto, ed esprime sentimenti fino a quel momento poco condivisi dai futuristi, come la “bontà”.

30. All'ombra delle bandiere rosse
Il fatto è che dopo la sconfitta del 1919 FTM sembra persuaso che i bolscevichi vinceranno anche in Italia; questo sembrano suggerire le bandiere rosse che incombono nel manifesto del Tattilismo e nel romanzo Gli indomabili (dove Marinetti si sfoga delle sue frustrazioni politiche sgozzando un personaggio sinistramente simile a Mussolini). Di conseguenza cerca di coprirsi a sinistra; al secondo congresso dei Fasci presenta una mozione 'suicida', contro la monarchia e il Vaticano, e appena viene sconfitto abbandona il partito. Nei taccuini ne parla in modo sprezzante. (Mussolini dal canto suo lo considera un “buffone”). La marcia su Roma lo coglie piuttosto impreparato.

31. L'ultimo fiasco a Parigi
Non importa, tanto ormai la politica non lo interessa più, lui è un grande artista di respiro europeo, l'inventore del Tattilismo. Prova a esportarlo in Francia, ma rischia che un controllore gli getti le tavole tattili dal treno. A Parigi poi il futurismo è roba vecchia, non si porta più: la nuova parola d'ordine è Dada... ma del resto, quando non aveva rimediato figuracce, a Parigi, Marinetti? Divenuto ambasciatore ufficioso della cultura fascista all'estero, Marinetti continuerà a rimediare fiaschi e gaffes in Europa per tutti gli anni Venti, prima di chiudersi in una sdegnosa autarchia.

32. Incompreso
Altro che rivalutare Marinetti nel 2009: negli anni Venti il poeta era molto meno stimato di oggi, non solo all'estero. Anche a Roma, dove si è trasferito, FTM non incassa il premio del suo frettoloso riallineamento al fascismo. In Italia ora è di moda il “Novecentismo”, una corrente di artisti e architetti d'interni promossa dall'attuale amante di Mussolini, la Sarfatti, FTM (molto meno sdegnoso del ritratto che ne fanno) ci prova anche, a fare del novecentismo, ma come al solito non ci riesce; alla fine gli “zang tumb” sono l'unica cosa che gli viene bene.

33. Il Duce di latta
Non gli resta che riorganizzare il movimento futurista accanto ai pochi discepoli rimasti: accanto ad alcuni geni (Depero), un'accozzaglia di terze file, hobbisti, avventurieri, tutti uniti nel culto del loro piccolo duce Marinetti, a cui a un certo punto (ed è solo una tra le varie, buffissime iniziative del periodo), erigono un monumento... in latta. Nella nuova lega finto-metallica viene anche pubblicata un'antologia degli immortali “aeropoemi” di Marinetti: qualcosa che sarebbe durato nei secoli, ben più dei polverosi libri di carta. Quel che è successo, è che le “lito-latte” futuriste si sono sbiadite e arrugginite molto prima dei volumi dell'eterno nemico, Benedetto Croce.

34. Un tram chiamato Marinetti
L'unica vera soddisfazione di quegli anni gliela dà l'America: non il Nordamerica industriale, da cui si tiene sempre a rispettosa distanza, ma il Sudamerica arretrato in cui durante una missione culturale viene finalmente salutato come il messia della modernità: assalti agli alberghi dove pernotta, calche nei teatri, e daranno il suo nome ai tram. Il segreto del futurismo del resto è tutto qui: è una scimmiottatura del futuro prodotta e apprezzata nei Paesi in via di sviluppo.

35. Accademico d'Italia
Proprio mentre FTM è ormai rassegnato a sopravvivere al suo mito (e anche al suo patrimonio, che comincia a esaurirsi), verso l'inizio degli anni Trenta accade qualcosa d'imprevisto: Mussolini si ricorda di lui. Negli anni romani il pragmatico ex socialista in bombetta si è trasformato: ora sogna di riplasmare il popolo italiano attraverso la guerra, trasformare Roma in una metropoli moderna e geometrica... man mano che si allontana dal contatto con gli italiani, comincia a ragionare sempre più da artista futurista; e quando si tratta di fondare l'Accademia d'Italia, ha in mente un solo nome: FTM.

36. Leopardi futurista (e maestro d'ottimismo)
Felice di poter finalmente essere utile a qualcuno, FTM dimentica in un istante le vecchie ruggini, indossa la feluca di Accademico e decide di rivisitare futuristicamente tutto la tradizione letteraria e artistica italiana: una contraddizione in termini, ma chi se frega? Ariosto diventa maestro di futurismo, Leopardi maestro d'ottimismo, e poi Leonardo, Piero della Francesca, Dante... ma FTM si rivolge anche ai suoi contemporanei, lanciando un'iniziativa che di recente è stata riscoperta: Lo Zar non è morto, un romanzo collettivo, scritto da dieci grandi scrittori (un capitolo ciascuno, e un concorso a premi per chi riusciva ad azzeccare gli autori di ogni capitolo). Di recente Mozzi lo ha trovato su una bancarella e lo ha fatto ristampare: pare che sia un precursore dei Wu Ming. Beh, perché no, se Leopardi è un maestro d'ottimismo.

37. Il richiamo della Savana
Quando Mussolini dichiara guerra al Negus, FTM ha sessant'anni, ma si offre volontario: è l'occasione per ricongiungersi al continente madre, e violentarlo. Cercano di metterlo nelle retrovie, ma si ritrova ugualmente assediato a passo Uarieu. La vittoria gli toglie vent'anni di vita: torna in Italia ringalluzzito e annuncia che Joyce e Proust, coi loro monologhi indiretti liberi, hanno soltanto copiato i suoi vecchi manifesti. Si fa dare un programma radiofonico, e diventa la barzelletta dell'Eiar. Si crea dei nemici: Starace lo fa silurare.

38. La lista di Marinetti
Le leggi razziali sono l'ultima occasione per dimostrarsi un gentiluomo. FTM le avversa apertamente, dando voce a un dissenso che solo personaggi nella sua posizione potevano permettersi. Più tardi, dopo l'otto settembre, farà qualche suo tentativo di imboscare oppositori ed ebrei.

39. Disperso in Russia
Sempre più fascista e mussoliniano (proprio quando gli italiani si stanno rapidamente stancando), riesce a partire volontario anche per la Russia. Stavolta però non vede il fronte: smarrito nelle retrovie, si aggrega a un ospedale da campo, non racconta più di esplosioni ma di paesaggi e crocerossine. Sta diventando umano, fuori tempo massimo.

40. L'ultimo quarto d'ora
Torna in Italia in fin di vita, e ha il tempo di assistere al crollo dell'Italia a cui aveva creduto, e di preoccuparsi per la sorte di moglie e tre figlie. Non abbandona Mussolini a Salò (anzi lo assilla), e muore affaticato una mattina dopo aver dettato la sua ultima poesia, il Quarto d'ora di poesia per la X Mas: giusto per ribadire, con l'ultimo fiato, da che parte stava. Dopo la liberazione qualcuno scrive sull'Unità che era stato 'il più simpatico dei gerarchi': potremmo ricordarlo anche così. Ma alla fine su tutte le immagini prevale quella del buffone: un buffone serissimo, alla Buster Keaton, smarrito tra ingranaggi e impalcature moderne che lo attirano, ma di cui non è che capisse poi molto.
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Portate i pomodori

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Ci gettino pure nel cestino, come i manoscritti inutili. Noi lo desideriamo!

Tutto era ampiamente prevedibile; non per questo meno fastidioso.

Dopo tre mesi di celebrazioni del Futurismo, in occasione del centenario del primo manifesto del futurismo, durante i quali abbiamo fatto il possibile per partecipare a iniziative mostre happening pubblicazioni futuriste, il futurismo comincia un po' a uscirci dagli occhi. Per usare un eufemismo. Marinetti però non era un eufemista. Lui avrebbe detto semplicemente che il futurismo ha rotto i coglioni.

Sì, lui l'avrebbe fatto. Sarebbe salito sul palco, avrebbe annunciato: "Il futurismo ha rotto i coglioni! Gettateci nel cestino come i manoscritti inutili! Lo desideriamo!", e giù ortaggi e pomodori. Questa è la profonda differenza tra lui e i gerarchetti che giocano all'eterna riscoperta e rivalutazione del futurismo (60 anni di ininterrotta rivalutazione, e ancora non si trova qualcuno in grado di leggersi Zang Tumb Tumb).

Vien voglia, un giorno di questi, di andare a un convegno sul futurismo e dire: Ehi, sapete una cosa? Marinetti non era un gran futurista, dopotutto. Non capiva la scienza moderna, confondeva l'elettromagnetica col magnetismo animale, era convinto che la radioattività fosse un afrodisiaco. Non capiva la fantascienza. In fin dei conti era un luddista, con la scusa di onorarla schiantava la macchina tipografica e pubblicava le macchie d'inchiostro. Sapete che c'è?

C'è che Marinetti v'ha fregato tutti quanti. Non era neanche un italiano. Era un africano d'Alessandria d'Egitto, un infiltrato del Terzo Mondo, un emissario del Cuore di tenebra venuto a minare il razionalismo scientifico europeo coi suoi tatatata bong bong. E' stato il primo bonghista milanese, Marinetti; viveva in via Senato coi tappeti di leopardo alle pareti, e feticci dappertutto. Sì, mi verrebbe voglia di andare un convegno e dire cose del genere, e vedere che faccia fanno.

Anzi, sapete cosa faccio? Ci vado. Venerdì son qui. Se venite portate gli ortaggi.
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Mediocrazia

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George Abnego Rules
Sbolliti i primi entusiasmi per le foto in costume (quasi tutti fotomontaggi), negli ultimi giorni l'immagine pubblica di Sarah Palin si è spostata: da personaggio eccezionale a simbolo della normalità americana, contro la spocchia delle élites, ben rappresentate da Obama. 
E questo riapre l'eterno dibattito: un buon Presidente deve esprimere le volontà e il buon senso della gente comune, o le idee delle élites? E se la gente comune dimostrasse di non aver affatto buon senso? Davvero bisogna preferire una persona mediocre perché "rappresenta meglio la gente"? Ma il rischio di portare la mediocrità al potere non è un vizio congenito della democrazia rappresentativa? E quanto alle élites: chi ci garantisce che ciò che è buono per loro lo debba essere anche per noi? Ultimamente ne ha scritto qualcosa Luca Sofri. Io sull'argomento non avrei molto da aggiungere a quello che scrisse Comesichiama, un autore di fantascienza anni '50 di quelli arguti e geniali, in quel folgorante racconto, dai... quello in cui i cani addestrano gli uomini a... Non mi ricordo più, l'ho letto parecchi anni fa in una di quelle raccolte Bompiani... Beh, mi aspettavo che prima o poi qualcuno lo avrebbe citato.
Passano i giorni, e non lo cita nessuno. Alla fine ho provato su google. Figurati se negli USA non lo citano tutti, quel famoso racconto di...
Dopo un po' mi rendo conto che il "famoso racconto" me lo ricordo solo io, e anche poco. Su google si trova soltanto qualche vago riferimento. Sono costretto a rovistare nella poderosa biblioteca di fantascienza della mia cara mamma. Ci metto anche un po', ma alla fine lo trovo: si chiama Null-P, Null-P di William Tenn. Si trova nel 13mo volume della meravigliosa raccolta Le grandi storie della fantascienza che la copertina attribuisce tutti ad Asimov (negli anni '80 la parola "Asimov" in libreria vendeva di più che "fantascienza"). La stessa copertina esibisce dei coleotteri giganti che sparano raggi laser su una corazzata. E poi uno dice che in Italia manca la cultura scientifica.
Il volume, naturalmente, non contiene storie di coleotteri giganti, bensì una manciata di capolavori pubblicati nel 1951, come il celeberrimo Gli idioti in marcia di Kornbluth.
Insomma, è un libro che vale la pena di comprarsi, appena lo ristampano. (Magari con una copertina migliore. Magari lo stanno già facendo). 
Nel frattempo ho pensato di fare cosa utile e gradita (ancorché parzialmente illegale) riproducendolo integralmente qui. Si legge in cinque minuti, e si risolve per sempre la questione dell'elitarismo. O almeno ci si rende conto che questa sensazione di imminente avvento della stupidità al potere era già perfettamente avvertita nel 1951.  
Dai, su, cinque minuti. Se vi dico che ne vale la pena...
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don't know much about The Rise And Fall

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Soffrire per uno scopo

Se fossi più furbo, il coccodrillo di Prodi l'avrei scritto e liofilizzato già 18 mesi fa. Invece oggi come oggi non ho molto da aggiungere a quello che ho scritto in novembre, per esempio, o un anno fa, o tante altre volte che neppure mi ricordo. Prodi ha avuto il torto voler mandare avanti un governo di minoranza: qualcosa che in molti Paesi un po' più civili si può fare senza patemi e isterie. In Italia no. Lo si sapeva. Ma si tifava lo stesso.

Di lui cosa resterà? Beh, poco. Probabilmente tra un secolo si parlerà del ventennio a cavallo dei due secoli come dell'“era di Berlusconi”, e solo pochi occhialuti studenti di un corso opzionale scopriranno, un po' perplessi, che a differenza di altri tiranni Berlusconi non rimaneva sempre al potere. Ogni tanto era costretto a cederlo a un'opposizione che aveva il compito di riordinare i conti dello Stato, spaventare il popolo bue con lo spettro delle Tasse, e in questo modo preparare la trionfale campagna elettorale di B., che era poi la cosa che gli riusciva meglio. Questo perché in effetti B. non era un tiranno, ma un semplice tribuno (qui gli studenti strabuzzeranno gli occhi perplessi), e più che a esercitare il potere ambiva a rappresentarlo; più che un governante, uno Sposo Mistico, come gli antichi Dogi che ogni anno sposavano il mare. Lui invece sposava l'Italia di nuovo, ogni due, tre, cinque anni: e ogni volta erano nozze bianche, nozze di vergini.

“Che roba, deh”.
“Ma perché ci siamo ridotti a studiare 'ste stronzate?”
“A me piaceva l'assistente, la moretta, hai presente? Il primo mese manco sapevo il nome della materia. E tu?”
“Io stavo lavorando a una tesi di laurea sulla fine dell'Impero Azteco come suicidio di una civiltà, quando a un certo punto il prof mi ha detto basta, se cominciassimo a impilare le tesi di laurea sul suicidio dell'Impero Azteco potremmo edificare una piramide a gradoni che supererebbe in altezza quella di Palenque, mi ha detto proprio così, perché non ti trovi un'altra civiltà che si è autodistrutta? A me sul momento non me ne venivano in mente altre, così lui ha fatto un sorrisino stronzo e mi ha allungato un antico volume incomprensibile, come si chiama, la Costa...”
“La Casta”.
“Non ci ho capito niente”.
“Devi provare con l'Anthologia Blogorum”.
“Che roba è?”
“Una raccolta di diari adolescenziali del periodo, fa un certo effetto. Si assiste a tutta la crisi in presa diretta, giorno dopo giorno, per anni e anni e anni”.
“Dev'essere struggente”.
“Per quel che ci ho capito, sì, abbastanza struggente”.
“Ma voglio dire – non potevano andarsene semplicemente via? Ce li avevano gli aeroplani, no?”
“Mah, non è chiaro, non sono mai riusciti a localizzare le piste di decollo. Sai, sotto tutti quegli strati di monnezza”.
“Forse non se ne andavano semplicemente perché amavano il loro Paese”.
“Buona questa. Secondo me amavano ancora di più il resto del mondo, e non volevano contaminarlo coi loro vizi congeniti: litigiosità, volgarità, superficialità, approssimazione...”
“Ah, ecco, sono andati in malora per salvare il mondo. Romantico”.
“Se la pensi così”.
“A proposito, e la brunetta poi che fine ha fatto?”
“Nessuna fine, è ancora lì”.
“Ci hai provato?”
“Ma no, per carità”.
“Ma hai detto che ti piaceva”.
“Ma sì, all'inizio mi piaceva, ma poi...”
“Poi cosa?”
“...”
“C'è qualcosa che non va? I tuoi pseudopodi oscillano in modo innaturale”.
“E poi un giorno tu ti sei sedutadifiancoame edicolponelmiocuore noncèstatospazio pernessunabrunetta almondo aproposito”.
“Come?”
“A proposito: se domani diamo l'esame, dopo ti va di festeggiare? Mi hanno detto che c'è un rito di fertilità al rettilario, è da un sacco che non ne vedo uno, e poi...”
“Mi stai chiedendo di uscire con te?”
“Sì, direi di sì, sì”.
“Rispondimi con franchezza. Hai frequentato sei mesi di Lingua e Cultura Italiana del Tramonto solo perché volevi uscire con me?”
“Potremmo dire di sì, sì”.
“Compreso il mesemmezzo che avevo un'inflorescenza al sonaglio destro e sono stata a casa e tu mi hai portato gli appunti di tutte le lezioni, tu che fino a quel momento non avevi scritto una singola riga, una?”
“Uh, te n'eri accorta? Buffo”.
“E quindi insomma valeva la pena che una civiltà di sessanta milioni di umani tramontasse e decadesse in un turbine di ignoranza e pattume, affinché secoli dopo su un altro pianeta ci facessero un corso universitario che tu potessi frequentare per incontrare me?”
“Se la metti su questo piano”.
“Ma non capisci l'orribile ironia di tutto ciò? Quegli esseri senzienti che vivevano sotto Berlusconi, e ne soffrivano, e pensavano che forse tutte quelle sofferenze avessero un misterioso Scopo... e alla fine di tutto si scopre che il misterioso Scopo apparecchiato dal destino era che tu m'invitassi fuori?”
“Ho capito, scusa, fa finta che non ti ho detto n-”.
“Baciami”.
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ritorno al futurismo

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Dialogo sull'arte contemporanea, II
(meno divertente del primo)

A me la Fontana di Trevi rossa è piaciuta!


Anche a me. Però quel tale bisogna metterlo in galera.

Ma non ha fatto niente. Anzi, è stato un gesto artistico.


Precisamente. Guarda, fosse per me istituirei tutta una categoria di Reati Artistici, a cui riserverei la parte più soleggiata delle galere.

L’Arte, un reato? Ma non ti vergogni?

Un po’ sì, mi vergogno. Ma vedi, è per il loro bene e dell’arte. Gli artisti che violano la legge hanno assolutamente bisogno di leggi da violare. Macchiare di rosso l’acqua della fontana diventa artistico soltanto se è un reato. Se lo derubrichiamo, tutti cominceranno ad andare alla Fontana con i secchielli di tutti i colori, e fidati, smetterà di essere bello dopo poche ore. Sarà diventata una cosa banale, istituzionale, verrà anche Veltroni a tinger l’acqua d’arcobaleno nel Giorno delle Minoranze,vogliamo ridurci così? Se invece desideriamo che l’acqua rossa resti un vero gesto artistico, dobbiamo ribadire che esiste una legge che la impedisce: e se la legge non c’è, ci toccherà scriverla. È un po’ lo stesso discorso dei writers. I writers sono artisti-contro. Se smettono di essere contro, smettono di essere artisti, per cui la società è costretta a dargli contro. Dalle mie parti a volte un assessore concede un muro ai writers: il risultato è sempre deludente. Il writer ha bisogno di avere fretta, freddo, paura dei poliziotti col manganello. Altrimenti diventa solo un decoratore di camion con aerografo, un madonnaro, e neanche dei migliori.

Scusa, ma in pratica stai dicendo che le pratiche artistiche fuorilegge ottengono il risultato opposto a quello che si prefissavano: rafforzare il controllo, inasprire le leggi…

Mi sembra una cosa abbastanza ovvia. Da quando nella mia città ci sono i writers, sono nati i comitati cittadini che ricoprono le scritte dei writers. Io penso che l’artista moderno (non l’artista classico, che era un grande artigiano al servizio di una committenza)... dicevo, penso che l’artista moderno sia quasi sempre un grande bambinone, e il contenuto ultimo delle sue opere sia, nel 50% dei casi: “Ehi, papà guardami, esisto”. Mi sembra di averne già parlato. Questo è un tipo di arte che, prima ancora di soldi, ha bisogno di un Papà. È un’arte che trasforma gli spettatori in padri, in borghesi da épater. Se la apprezziamo, dobbiamo fare esattamente quello che l’artista chiede: dargli tanti scapaccioni.

E allora Sgarbi…

Sgarbi è un critico d’arte. Se gli artisti dobbiamo mandarli tutti in galera, a Sgarbi propongo il ruolo di secondino. Lo trovo molto appropriato: gli altri dopo un po’ escono, lui resta lì.

Il tizio si è qualificato come futurista. Io ci avrei visto più certo situazionismo, oppure Christo, o un happening…

Guarda, è una questione di riferimenti culturali. Una fontana rossa è una provocazione. Durante il Novecento molti artisti hanno praticato la provocazione come arte, e ogni 5-6 anni cambiavano etichetta. Se poi nel tuo percorso personale hai studiato più gli anni ’70, magari lo chiamerai Happening. Il tizio è un fanatico di estrema destra, per cui ci vede il Futurismo. Ognuno alla fine è libero di sfoggiare l’etichetta in cui si riconosce.

Ma i futuristi macchiavano l’acqua delle fontane?

Che io sappia, no. Però non gli sarebbe dispiaciuto, anzi. Del resto il rosso era il colore preferito di Filippo Tommaso Marinetti, che proponeva di aumentare a dismisura la banda rossa sulla bandiera italiana. Il bianco e il verde dovevano rimanere due striscioline sul bordo. Lui però probabilmente avrebbe usato una vernice corrosiva.

Un criminale!

Ecco, hai centrato il punto. L’artista moderno è un criminale vero o un criminale per finta? Non lo so. Posso dire che molta neoavanguardia, dai Cinquanta-Sessanta in poi, ha trasformato in gesti teatrali quelli che all’inizio del secolo erano atti criminali veri e propri. I futuristi non andavano così per il sottile. Quel Guido Keller che sorvolò Montecitorio con un biplano, non credo che urlasse: “Scostatevi, sto per tirare un pitale”. Probabilmente non escludeva di ammazzare qualcuno mentre effettuava il suo gesto artistico.

Sì, ma Marinetti è vissuto per anni a Roma e non ha mai danneggiato in alcun modo la Fontana di Trevi.

Per un motivo molto preciso: voleva venderla ai turisti.

Prima di Totò?

Forse Totò si è ispirato in qualche modo a un manifesto composto tra il 1913 e il 1919, in cui Marinetti proponeva al Governo di vendere il patrimonio artistico italiano.

Dato che soltanto le Gallerie degli Uffizi e Pitti furono valutate più di un miliardo, l’Italia sarà in pochi anni abbastanza ricca per: 1. avere la prima marina mercantile del mondo; 2. avere una grande navigazione fluviale; 3. intensificare decisamente tutte le industrie esistenti, e creare immediatamente le mancanti; 4 sviluppare fino al rendimento massimo l’agricoltura e sanare tutte le zone malariche; 5. vincere completamente l’analfabetismo; 6. abolire totalmente ogni imposta per venti anni almeno; 7. dare un utile compenso ai combattenti.
Prevediamo tutte le obbiezioni e le distruggiamo: La vendita del nostro patrimonio artistico, ben lungi dal diminuire il nostro prestigio, dimostrerà al mondo che un popolo giovane e sicuro del proprio avvenire ne sa affrontare tutti i problemi, trasformando in forze vive le sue ricchezze morte, come un aristocratico intelligente rinuncia ad ogni fasto vano e lancia il proprio oro nell’industria.[…]*

Ma il turismo…

Aspetta, aspetta:

Si obietterà anche che questa vendita allontanerà dall’Italia il fiume rimunerativo dei visitatori stranieri. Non vogliamo discutere qui sull’utilità dell’industria dei forestieri, che pur regalando all’Italia molti milioni, è tanto aleatoria da poter cessare per un caso isolato di colera o per una scossa di terremoto, ed è sempre dannosa poiché snazionalizza e umilia il nostro paese, lo riempie di spie e trasforma un terzo degl’italiani in albergatori, in ciceroni e in boys d’hôtel.
Dichiariamo soltanto che i forestieri verranno sempre, purtroppo, in gran numero, poiché la nostra penisola fa il clima più dolce, il cielo più bello [ecc. ecc.]*

Aspetta. Marinetti non era lo stesso che proponeva di asfaltare Venezia?

Proprio lui. Se fosse andato al potere avrebbe trasformato l'Italia in un un’enorme Porto Marghera. Anche se probabilmente il risultato sarebbe stato più simile a un enorme Agro Pontino.

Mi sfugge l’apparentamento dei futuristi coi fascisti, con il loro culto della tradizione, dell’antichità…

È un discorso molto lungo.

Allora lasciamo perdere, non mi interessa più.

Ti dico solo questo: il fascismo nel 1919 non è il fascismo del 1930. Il Mussolini di fine anni Dieci, che vive a Milano e scrive vibranti editoriali sul suo giornale finanziato dall’Ansaldo, è un appassionato di motori, di automobili e aeroplani. Per lui esistono ormai soltanto due classi sociali, i “produttori” (operai, industriali, ecc.) che fanno la ricchezza del Paese, e quelli che vivono alle spalle dei produttori (i politici corrotti di Roma ladrona).

Stai dicendo che Mussolini è nato leghista!

No. È nato socialista. Poi è stato anarcosindacalista, socialista-interventista, nazionalista… nella fase del flirt con Marinetti aveva idee molto simili a quelle dei padroncini di oggi. Quando è andato a Roma la musica è cambiata. Sai, il cupolone, il fontanone… è roba che alla lunga ti rammollisce.

Aveva ragione Marinetti? Dovevamo vendere tutto?

Non lo so. Però è da duemila anni che facciamo la figura di quelli che pisciano sui monumenti eterni. I monumenti restano abbastanza eterni, e il nostro piscio dopo un po’ se ne va via. I futuristi ormai son roba più vecchia del Colosseo. Personalmente preferisco non coltivare nostalgie per il passato, figurati se metto a nutrirle per un futuro andato male.

(*)F. T. Marinetti, Teoria e invenzione futurista, Milano, Mondadori, 1983, pagg. 432-434.
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- 2025

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Gran turismo

Caro Leonardo, e Taddei?

Potrebbe stare meglio. Continua a nascondersi nel Cimitero di Guerra, dice che si trova al posto suo. Non so bene, non voglio sapere come si nutre: spero che le razzie nei pollai di San Lazzaro siano terminate. Oh, beh, frugherà nei cestini da pic-nic dei bagnanti, fatti suoi. Io posso offrirgli un panino ogni tanto, ma mica posso fargli la spesa.
Nei giorni convenuti passa a trovarmi in facoltà, dove l'apparizione di un trentenne imbacuccato in una felpa col cappuccio ante-guerra non è del tutto incongrua. Sto cercando di imparargli la consolle Supernet, ma è un caso disperato.
"Accelera adesso".
"Cosa?"
"Accelera, dai gas!"
"Ma con cosa?"
"Il triangolino a destra, oppure la leva a sinistra".
"Questa?"
"Sì, ma in avanti, altrimenti è in retromarcia".
"Ma vaf…"

A volte penso che sia come insegnare la motocicletta a un paraplegico. Che però non abbia nemmeno mai visto una motocicletta in vita sua. Un aborigeno. Un paraplegico aborigeno.
Poi rifletto meglio. Anch'io all'inizio ero un paraplegico del genere. Ho solo avuto più tempo a disposizione (continuo a essere una schiappa, del resto. Media oraria 120 km/h).
"Senti, devi rilassarti. In fondo è una simulazione di guida, no? Non avevi la patente?"
"Ma se è una fottuta simulazione di guida, perché non usare un fottuto volante con marcia e pendali, no? Invece di questo fottutissimo giochino per decerebrati giapponesi…"
"Te l'ho già detto. Esistono anche interfacce utenti a forma di volante e pedali. Ma costano troppo, e ormai la gente si è abituata a riutilizzare le vecchie consolle da videogiochi che aveva in casa. Costano meno e funzionano uguale, quindi…"
"E porcaputtana, il mouse e la tastiera? Costavano troppo anche quelli?"
"La tastiera (te l'ho già detto) è quasi del tutto inutile sul Supernet, visto che i testi scritti sono pochissimi, e quasi tutto il contenuto è sotto forma di files multimediali. Quanto al mouse, ti rendi conto? È come se nel bel mezzo di una guerra termonucleare tu chiedessi in dotazione una pistola. Quando entri nel Supernet devi inviare migliaia di impulsi diversi al minuto, e non puoi farlo semplicemente con un affarino con un tasto o due. Non esiste. Ti servono una dozzina di tasti e un paio di leve. Visto che non abbiamo i caschi".
"Non riesco a capire".
"Cosa non riesci a capire, adesso?"
"Io pensavo che la tecnologia andasse verso la semplificazione. Ai tempi miei ogni anno uscivano prodotti sempre più facili da usare".
"La consolle è facilissima da usare, Taddei. La gente che ha trent'anni nel 2025 ha imparato a usarla prima di imparare a leggere e scrivere. Tu eri bravo a usare il mouse perché eri cresciuto con Space Invaders o Pacman. Non so in quanti modi posso ancora spiegartelo".
"È una fregatura. Qsta roba non è paragonabile a Internet. Non importa se gira a tot giga al secondo. Non c'è nessuna condivisione dei saperi. È solo un fottutissimo videogioco".
"E allora te lo ripeto di nuovo: tu non sei sul Supernet. Lo stai solo caricando. Per accedere al Supernet dobbiamo fare una specie di anticamera – dovuta al fatto che i server stanno a Bisanzio, e noi siamo solo attaccati con una connessione di fortuna che passa sotto l'Adriatico, e i molti giga al secondo diventano mega".
"Ma se è solo un fottuto programma di caricamento, perché devo guidare una macchinina? Non basterebbe la scritta loading e un fottuto orologio, o una clessidra? Perché devo dare gas e sentirmi vibrare le mani quando esco dalla fottutissima strada?"
"Per tanti motivi. Primo: ci si abitua all'interno di Supernet, dove dovrai guidare in mezzo ai contenuti. Secondo: serve a scremare gli utenti, visto che la banda che passa sotto l'Adriatico non è poi molta: così quelli che sono troppo lenti nel caricamento non possono accedere. Terzo: la simulazione di guida è divertente. Visto che la gran parte di noi non guida più, abbiamo trasferito questa passione nazionale nella nostra interfaccia Supernet. So che ci sono posti dove la gente usa le cloche e fa simulazioni di volo. Ma il caricamento più diffuso è quello della simulazione di guida, così se impari a guidare abbastanza velocem riesci a connetterti dove vuoi".
"E i caschi?"
"Quelli scordateli. Ce li hanno soltanto gli Usastri".
"E cosa fanno? Guidano? Volano?"
"No. Non hanno bisogno di visualizzare immagini, hanno tutta la banda che vogliono. Fluttuano in mezzo ai concetti. Tutto qui".
"Che significa?"
"Non ne ho idea, è una cosa che non nemmeno immaginare finché non ci sei dentro. Si mettono i caschi e lasciano che lavori il cervello. Mandano milioni di impulsi cerebrali al secondo, senza nessuna fatica. Non hanno bisogno di spingere tasti. Pensano e trovano quello che cercano".
"Ma è possibile comunicare con loro?"
"In teoria. In pratica in un secondo tu puoi spingere tre tasti – se sei bravo – mentre loro possono pensare centomila pensieri. È come se una tartaruga tentasse di comunicare con Einstein".
"E la tartaruga siamo noi".
"Decisam, sì".
"È terribile".
"Una volta tutto il mondo usava le stesse interfacce, ma quando le Civiltà si differenziano è sempre più difficile trovare una base comune di comunicazione. È qllo che noi abbiamo chiamato Divario Digitale".
"Sì chiamava così anche vent'anni fa".
"Ah sì?"

Me n'ero dimenticato.
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Elaborato di: Aureliana, anno I. (Ah, ecco, la Biondina).

"Buongiorno.
Fahrenheit 451 esce nel 1964. È la prima grande produzione internazionale di François Truffault, e il suo primo film a colori. Ma il potere contrattuale del giovane autore di Jules et Jim gli consente di gestire il soggetto – un romanzo di fantascienza di Ray Bradbury di dieci anni prima – con una certa libertà. Così, in luogo del regime totalitario e spersonalizzante prefigurato da Bradbury, il libro diventa un dichiarato pretesto per esibire la grande passione del regista: la lettura".

(Ha fatto una ricerca. Ha evidentem accesso alla Banda Larga e può fare tutte le ricerche che vuole. Potrebbe anche mettersi a scaricare film più interessanti di qlli che proietto io).

"Sennonché per una serie di motivi, forse contingenti – la difficoltà di maneggiare dialoghi e attori in lingua inglese, di cimentarsi con un genere particolare come la fantascienza – il film rimane irrisolto. Montag, il protagonista che si pretenderebbe risvegliato alla 'vera vita' dal contatto coi libri, non cessa per un istante di apparire un automa. La conversione da pompiere a lettore è meccanica, e i suoi compagni lettori non sono meno meccanici di lui. Meccanico è il modo in cui arrivano a uccidere sé stessi e gli altri per salvare un volume o una biblioteca. Come abbiamo avuto la possibilità di vedere durante il dibattito seguito alla proiezione, lo spettatore di oggi non riesce a trovare nessun moto di simpatia per qsti personaggi. Gli "uomini-libri" dell'ultima scena del film vivono di convenzioni meccaniche né più né meno che i teledipendenti della città. Tutto qsto è ben visualizzato da quel che io definisco un lapsus cinematografico: l'attrice Julie Christie interpreta sia la maestrina lettrice ribelle che la casalinga teledipedente.

(Ah, sì, ma mi pare che fu per motivi di budget…)

"Sappiamo che qsta scelta fu dettata da motivi di budget: l'attrice aveva appena vinto l'Oscar e doveva risultare protagonista del film, anche se nessun ruolo femminile era abbastanza importante – così le furono affidati entrambi i ruoli. Ma non basta cambiare un acconciatura per ottenere un personaggio diverso. Dai due lati della barricata, la Christie interpreta lo stesso ruolo: una donna inquieta che cerca conforto in supporti culturali ormai inadeguati. E viene da chiedersi perché l'uomo-automa, Montag, debba per forza sceglierla nella versione 'maestrina' piuttosto che in qlla 'casalinga'.

In qsto il film di fantascienza svela i legami con le convenzioni del presente in cui è stato girato. Ed è come scoprire la quinta di un fondale. Non si tenta nemmeno di dimostrare l'idea che la lettura sia in sé un'azione più positiva di qualsiasi altro atto di ricezione culturale, come assistere a una proiezione o ascoltare un file audio o qnt'altro. Qsta idea non ha bisogno di essere dimostrata perché in quel periodo storico è condivisa universalm, fa parte della natura: il cielo è azzurro, i prati verdi, i libri fanno bene, i videoschermi fanno male. Ed è per me fonte di continua sorpresa che questa idea sia condivisa con tanta convinzione da uno dei grandi pionieri del linguaggio audiovisivo, François Truffault.

Per qsto dico che il vertice del film è costituito dai formidabili titoli di testa, in cui le didascalie vengono abolite e sostituite da una voce narrante. Per un attimo il regista si accorge che l'abolizione e la ghettizzazione della letteratura non dipendono dai pompieri neri e cattivi, ma da lui, e si spinge sull'abisso di una comunicazione totalmente non scritta: «guardate», sembra dire allo spettatore: «qsto è qllo che potrei fare coi mezzi a mia disposizione, se solo volessi». Su uno sfondo di tetti e antenne televisive, il regista minaccia e blandisce lo spettatore: spegni e mettiti a leggere, finché sei in tempo. L'ambiguità del messaggio è patente".

(È cosa? Rewind).

"…è patente".


Ma quant'è intelligente qsta

Avrà copiato, con la Banda Larga si può fare

Ha copiato molto bene, però, per la sua età

Neanche un accenno all'incidente del suo amico

Qlche ingenuità, certo

Be' ci mancherebbe altro

Il messaggio è patente

Qsta cosa dei titoli di testa, interessante

Mi piacerebbe riparlane con lei per

No.

Neanche un accenno all'incidente del… come si chiamava?

È ricca. È facile per i ricchi essere intelligenti.

Teresino (ih ih ih)

Leggi, guardi, ascolti, hai un sacco di stimoli

Il messaggio è patente

Non è un bel lavoro

Che fine avrà fatto Teresino?

Ricca, intelligente, defargista

Mi piacerebbe riparlarne per…

Stanne fuori

Stai diventando paranoico, vedi defargisti dappertutto

Sei ridicolo

È senz'altro l'allieva più brillante ed è

Alla tua età

Carina

Ma certo, figurati, adesso ci mettiamo a flirtare con le studentesse, infatti qui non c'è un cazzo da fare, abbiamo due mogli tre lavori e dobbiamo anche inseguire un supereroe in pigiama a righe che si aggira per la città, così, guarda, al di là di ogni valutazione morale che io non sono solito fare e lo sai, di tutto puoi accusarmi fuorché di essere un bacchettone, però guarda, mi sento di dirtelo:

F'nql

Ecco.

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DA: Immacolato, via del Beato Giussani 12 – San Petronio Nord
A: – Ospedale Maggiore – alla cortese attenzione del primario dott. Damaso
OGGETTO: DIECI RISPOSTE PER IL CAP TADDEI
(Messaggio a spese del destinatario)


"Si è già sentito il bip?
Oh, beh, comincio.
Buongiorno dottor Damaso, buongiorno sig. Taddei. Chiedo scusa per la pessima qualità dell'immagine, anzi, direi che non vi arriverà nessuna immagine dal mio lettore, giusto un fotogramma fisso. È un aggeggio un po' antico, ma tanto quel che conta è l'audio, giusto?
Spero che stiate bene, e che in particolare il sig. Taddei si sia ormai rimesso dal, ehm, trauma post-ibernazione. Approfitto della comunicazione per scusarmi della mia lunga assenza, dovuta a un malessere influenzale. E veniamo alle sue domande". (rumore di pergamena spiegazzata)

Uno. Chi ha vinto le elezioni americane del 2004?

"Caro sig. Taddei,
per prima cosa, un appunto linguistico: cerchi di evitare espressioni come "elezioni americane". Esse non sono consentite considerate corrette. Oggi noi usiamo l'aggettivo "americano" solo nel suo uso linguisticam corretto, vale a dire riferito all'intero continente americano, compreso tra Alaska, Groenlandia e Terra del Fuoco.
Per indicare invece il Paese noto come Stati Uniti d'America, noi utilizziamo l'aggettivo "usastro", che ha ormai perso la sua iniziale sfumatura negativa.

Quanto alla sua domanda:
mi dispiace non essere in grado di rispondere. I dati in mio possesso non mi consentono di rispondere con esattezza. So bene quanto la cosa la turbi, ma la prego di credere che non è il caso di spaventarsi più di tanto. In effetti, anche ai suoi tempi, non erano molte le persone che ricordavano con esattezza i Presidenti usastri eletti vent'anni prima. E anche qste poche persone, difficilm avrebbero potuto tenere a mente una nozione del genere senza l'aiuto costante di supporti informativi: tv, stampa, eccetera. Una sorta di archivio omnisciente che fino a vent'anni fa si tendeva a dare per scontato.
Ora, si dà il caso che negli ultimi vent'anni, a causa di una serie di contingenze, l'accesso a questo archivio sia stato molto meno condiviso che in passato. Alcuni media, come tv e internet, sono stati dismessi in quanto formati desueti; anche i quotidiani del passato non sono stati raccolti, ma riciclati per… per stamparne altri. Qsto fa sì che anche persone dotate di buona memoria, come me, abbiano grosse difficoltà a ricordare eventi importanti che non li hanno riguardati di persona. Per capirci, negli ultimi vent'anni ci è mancato il ripasso. E gli studi più recenti sulla memoria ci confermano l'importanza cruciale del ripasso, per la conservazione delle nozioni.

In ogni caso ho una vaga idea di quel che fece il vincitore di quelle elezioni: cercò di mettere una toppa nel paio di guerre che il suo predecessore aveva cominciato, chiedendo l'aiuto degli europei che erano rimasti un po' scettici, e senza troppo urtare cinesi e russi. Insomma, quel che tutti si aspettavano facesse".

Due. Osama Bin Laden è stato catturato?

Se, come credo, per "Osama Bin Laden", lei intende il cugino di terzo grado dell'attuale Califfa del Levante, Lady Kadija Bin Laden, la risposta è: no.
Osama Bin Laden, per molti anni è stato sospettato di essere il Numero Due della potente organizzazione terroristica diretta da Al Zarqawi, Al Zahari e Muhammad Omar, nota al mondo come Al Qaeda. In realtà è stato dimostrato che per tutto questo tempo si trovava in coma profondo in un ospedale di Dubai. Posso capire la sua incredulità, ma ci sono tre anni di registrazioni di lui immobile su un letto.
In seguito si è risvegliato, e ora conduce un programma molto seguito e controverso su un'emittente pan-araba. Una volta lo trasmettevano anche da noi, poi hanno smesso. Se le interessa possiamo cercare di sintonizzarci all'ospedale.

Tre. Qual è la situazione attuale del Medio Oriente? L'Iraq è una repubblica democratica?

In parte ho già risposto. Gran parte della regione nota come "Medio Oriente" – incluso quasi tutto l'Iraq – è oggi parte del Califfato del Levante, una media potenza del sistema petrolifero. Il Califfato non è una "repubblica democratica" nel senso che davate a questa espressione… ehm… nel 2005. Ci sono elezioni e candidati, tuttavia su una base di censo, com'è inevitabile in una nazione dove le disparità economiche restano fortissime e le classi sociali hanno la compattezza di caste. La stessa Califfa, pur avendo ricevuto un'investitura popolare mediante un plebiscito, è l'espressione di un'oligarchia petrolifera. Qui da noi accadde una cosa simile con Montezemolo… no, aspetti, lei era già ibernato quando Montezemolo…

Cinque. Nel nostro unico colloquio, a un certo punto lei accennava al fatto che gli Stati-Nazione non esisterebbero più. Si riferiva per caso all'Unione Europea? Qual è l'attuale assetto politico europeo? La Turchia ne fa parte?

Anche in questo caso, devo farle presente che l'espressione Unione Europea è fortem sconsigliata in società.
Oggi noi preferiamo dire "Unione Bizantina", e ci riferiamo agli abitanti dell'Unione come Bizantini. Questo vezzo linguistico data per l'appunto dal momento in cui la Turchia, vincendo le titubanze interne, accettò definitivam di entrare nell'Unione, a patto che ne uscissimo noi. Ne seguì un breve conflitto, al termine del quale un ramo del Parlamento Europeo fu trasferito da Strasburgo a Istanbul, che dell'Unione è la vera capitale politica e commerciale.
Attualm l'Unione è una media potenza del sistema tecno-consumistico. Il paragone con l'età di Giustiniano è in parte autorizzato dall'attenzione maniacale per leggi e regolamenti e dalle frustrate ambizioni imperiali: tuttora i Bizantini mantengono avamposti in Romagna e nelle Puglie".

(continua)
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Il regime vintage

Caro Leonardo,
Tempo di merda (neve). E poi dicono: la terra si surriscalda. E più si surriscalda più a San Petronio nevica in gennaio. Una gran presa in giro. Io odio la neve, per strada mi si bagnano i piedi e non mi si asciugano più. E l'obbligo di staccare il frigo – che anche se non lo rispetti, dopo un po' la luce si stacca ugualm, quindi… le risse coi vicini di casa perché dal loro davanzale è sparito un pezzo di carne. Lo sanno tutti che è il cane del portiere. Adora succhiare le braciole congelate. O le seppellisce in qualche aiuola e le recupera frolle in primavera. I cani di San Petronio sono i più astuti del mondo, erediteranno la città.
Sono molto teso per via che stasera ho il mio primo colloquio con il Cap (scongelano anche lui). Sempre ammesso che smetta di nevicare e un filobus riesca a portarmi in Ospedale. A piedi rischio di prendermi un accidente. Beh, magari Damaso ha un'aspirina. In un ospedale dovrebbe averne. È bello avere amici dottori (come Assunta ben sa).

L'altro giorno in facoltà è successo un incidente curioso. Come promesso, ho visto Fahrenheit 451 coi miei studenti. Dev'essersi sparsa la voce che si proiettava roba bizantina in facoltà, così c'era quasi una dozzina di studenti, un successo. "Dopo una mezz'ora usciranno tutti", pensavo. E invece no, si sono bevuti tutto il noiosissimo film che è un piacere. La nouvelle vague torna di moda. Pazzesco. Vent'anni fa i film così te li tiravano dietro. Adesso più sono lenti e noiosi meglio è. L'anno prossimo provo con un muto in bianco e nero. La Corrazzata Potiemkin, perché no. Magari si commuovono e piangono. Ma forse è un film scoraggiato dal Teopop (il Teopop non proibisce, il Teopop scoraggia).

Per quasi tutto il film la biondina ha tenuto l'ipodo puntato sul video. Ha ripreso il film con quell'affare. Oltre a essere probabilmente proibito fortem scoraggiato, è anche dispendiosissimo. Continuo a pensare che un informatore userebbe mezzi più discreti.
Finito il film c'è pure stata un po' di discussione. Io non ero molto ispirato, volevo sparare il solito paio di palle e andarmene. Il trito argomento: perché i film fantascientifici del passato trattavano così spesso di regimi totalitari?

"C'è un motivo politico: la paura per il regime bolscevico, che in quel periodo controllava metà del Continente. Il ricordo ormai cristallizzato del nazismo. Ma ci sono anche ragioni più banali e contingenti. Per esempio, le scenografie.
Un film ambientato in un futuro, come questo, ha bisogno di scenografie avveniristiche molto costose. In questo caso la produzione se la cava con poco, come vedete. Una monorotaia nella campagna, un quartiere all'avanguardia ripreso dall'alto, qualche elettrodomestico 'strano', e il gioco è fatto".
"Ma prof, i telefoni…"
"Bravo, ma non chiamarmi prof. I telefoni, come hai notato, sono pezzi d'antiquariato. È un trucco molto semplice: invece di perdere tempo a immaginare il design di un telefono del futuro, si ottiene lo stesso effetto di spiazzamento temporale con un telefono del passato, che si immagina tornato di moda. Con un notevole risparmio di tempo, denaro e fantasia, perché l'oggetto del passato non va immaginato: basta recuperarlo da un trovarobe.
Tutto il film è giocato su questa specie di effetto vintage, anche se a distanza di 60 anni è difficile rendersene conto. Prendete l'autocisterna dei pompieri: le linee della carrozzeria rimandano alla prima metà del Novecento. Così le tute dei pompieri, che ricordano vagam le uniformi nazifasciste, ma anche le tute da operai. Tutto il futuro del film è ricostruito con scarti del passato. Possiamo interpretare questa scelta come un'ossessione per i regimi totalitari degli anni '30-'50, ma anche come una semplice scelta economica. Il passato è molto più facile da rendere, specie se è un passato vicino a noi e facilmente riconoscibile. Per spiegare allo spettatore che i pompieri sono 'i cattivi', non c'è bisogno di molte parole. Basta vestirli di nero.
Questo espediente economico finisce però per segnare il nostro modo di vedere il futuro. Negli anni '50 e '60 molti film di fantascienza ci mostrano il futuro come un incubo totalitario. Per motivi politici, ma anche perché l'incubo totalitario è l'opzione cinematografica più semplice ed economica. Per evitare di dovermi inventare scenografie fantasiose (e costose), io invento un regime totalitario che non solo è privo di qualsiasi fantasia, ma che la reprime: come i pompieri di questo film, che bruciano i libri. Siccome poi i regimi totalitari sono spesso in recessione economica, non ho nessuna necessità di inventare troppi accessori futuribili. Ci saranno ancora vecchie case in stile normanno, la gente si sposterà in treni non molto simili dai nostri. Addirittura, le scenette familiari non saranno molto diverse dalle nostre. In questo senso, dietro lo schermo del futuro, il film ruota su un dramma che più "anni '50" non si può: il marito rincasa stanco e vorrebbe mettersi a leggere in santa pace, ma la moglie casalinga e alienata insiste per guardare qualche stupido programma in tv.

A questo punto la biondina alza la mano.

"Sì?"
"Mi scusi, prof…"
"Niente prof".
"Non importa. Se ho capito bene lei sta dicendo che gli autori del film, come si chiamano…"
"François Truffault e Ray Bradbury".
"Quelli. Lei li sta accusando di essere i dittatori del loro mondo del futuro. Il loro piccolo mondo del futuro è piatto noioso e repressivo perché loro non avevano i mezzi e la fantasia per immaginarne uno meno piatto noioso e repressivo".
"Ma no, no, non sto dicendo questo".
"A me sembrava così".
"Ma no, è che… è che… È chiaro che, una volta immaginato questo mondo piatto noioso e repressivo, l'avventura dell'eroe del film consiste proprio nella rivolta, nello scardinamento del regime, nella conquista della libertà".
"Ecco, questa è un'altra cosa che non ho capito. Chi è l'eroe del film?"
"Ma… è Montag, il pompiere ribelle, no? Mi sembra chiaro".

In quel momento mi accorgo di avere addosso almeno 24 occhi perplessi. La biondina sta per riprendere, ma il quattrocchi davanti a lei la interrompe.
"Professore, io non sono tanto d'accordo. Quel pompiere uccide un uomo".
"Un uomo?"
"Il suo capo".
"Ah già, certo, sì".
"Lo uccide con lanciafiamme! Davanti a tutti! Nessun altro nel film compie un'azione talm crudele".
E la biondina, dietro: "È un uomo che si è fidato ciecam di lui. È quasi un padre per lui".
"E Montag lo uccide. A sangue freddo! Preferisce bruciarlo vivo piuttosto che dare alle fiamme qualche libro".
Cerco di riprendere la parola. "Ma non capite. I libri simboleggiano la fantasia, la capacità di scambiare le nostre vite con quelle dei nostri simili. Per Montag dietro ogni libro c'è un uomo".
Mi interrompe la biondina. "No, professore".
"Come sarebbe a dire no?"
"È esattam l'inverso. Per lui dietro ogni uomo c'è un libro. Gli uomini non gli interessano. Sua moglie non gli interessa. La fa piangere, fa piangere le sue amiche. Suo padre non gli interessa: lo brucia vivo. Lo ha detto lei: la sua ansia di libertà è quella del padre di famiglia che torna a casa e vuole soltanto leggere in santa pace. Immergersi nei libri. Dimenticare i suoi prossimi".
"È un maledetto feticista. Necrofilo, anche. Gli uomini gli interessano purché morti da un pezzo, e riconvertiti in carta".
"Su, ragazzi, calma adesso".
"Alla fine va a vivere nei boschi, in mezzo a un gruppo di gente alienata come lui, che non ha più veri rapporti umani".
"Ma non capite. Quelle sono le persone libere".
"Non sono d'accordo. Quelli sono ancora più alienati degli abitanti della città".
"Non comunicano più. Citano. Il citazionismo è la fine della comunicazione".
"Il citazionismo non è un bel lavoro".

A questo punto, siccome sono vecchio ma non ancora del tutto scemo, capisco qual è il problema.
Il problema è che c'è un defargista in sala. Probabilm è il quattrocchi. Si è fatto sfuggire un defargismo tipico. "Il citazionismo non è un bel lavoro". Non credo che Defarge lo abbia detto, ma avrebbe benissimo potuto.
E forse c'è di più. Forse anche la biondina al suo fianco è una defargista. Forse, anzi, la vera defargista è lei, e il compagno sta defargizzando solo per darsi un tono. Tipico dell'età.
Ma questo significa anche che, essendo di gran lunga la biondina la persona più avvenente del corso, tutta la mia classe diventerà in tempi brevi un covo di defargisti scatenati. E io faccio in tempo a tornare in Rieducazione entro la fine del semestre. La cosa più saggia sarebbe allontanare la biondina, subito.

Apro il registro alla pagina delle foto segnaletiche. Il Quattrocchi si chiama… Teresino. Nato decisam nel giorno e nell'anno sbagliato.
"Teresino-del-Bambin-Gesù".
"Sono io, sì".
I compagni, è ovvio, ridacchiano.
"Teresino, non mi è piaciuto il tuo atteggiamento durante la lezione".
"Ma sono solo intervenuto con…"
"Sei intervenuto a sproposito e con una foga che non si addice al tempo e al luogo. Per questo motivo passerai la prossima lezione nell'aula 68".
Teresino sbianca. Anche il resto della classe ammutolisce. Si vede che non ho fama di duro. La biondina guarda in basso. È meglio battere sul ferro, ora.
"La settimana prossima mi consegnerete un elaborato. Un riassunto del film e le vostre opinioni in merito. Soprattutto le vostre opinioni saranno esaminate con estrema attenzione. Sono stato abbastanza chiaro?"
Altroché se lo sono stato. Defluiscono rapidam; molti non torneranno più. Ecco come ti stronco l'idra a nove teste del defargismo. Per ultimi escono Teresino e la biondina. Si bisbigliano qualcosa.
Lei mi fa un gestaccio.
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L'ora di vertigine

[Questa è la lezione con cui ho inaugurato il nuovo seminario di narrativa ucronica, davanti a sei studenti che probabilm avevano sbagliato corridoio. Un ciccio in ultima fila, con tutta l'aria di un informatore; due tizi anonimi; tre ragazze abbastanza carine, due brunette e una bionda coi tacchi. I tacchi non sono molto in linea col Teopop, specialm se ostentati in prima fila. Forse si tratta di uno scambio culturale. Oppure una studentessa della classe alta: pare siano sempre più sfacciate.
Io non sono molto concentrato. Voglio fare in fretta, stasera ho un appuntamento con l'amante della mia seconda moglie. La prima cosa che dovrò chiedergli è un anticipo per un lavoro che ancora non so che sia. A questi racconto le solite due palle sulla vertigine, e via].

"Sia lodato Gesù Cristo, inauguriamo questo seminario di narrativa ucronica. Io mi chiamo Immacolato e la mia qualifica è di docente aggiunto, quindi vi esorto a non chiamarmi professore, qualche mio collega potrebbe prendersela a male e mandarvi... nell'aula 68, ah-ah".

[Non ride mai nessuno. Ma intanto ho fatto caso ai due registratori che sono posati sulla mia cattedra. Uno è un normalissimo walkman sony di 25 anni fa, tenuto assieme col nastro adesivo: complimenti a chi proverà a riascoltarmi con quell'affare.
L'altro è, se non mi sbaglio, un ipodo, di quelli che registrano su chip. Devo averne visti un paio in tutta la mia vita. Perché mai uno che possiede un affare del genere dovrebbe perdere tempo ad ascoltare le mie lezioni?]

"Chiamatemi docente. Il corso di questo semestre è dedicato alle proiezioni del futuro, un argomento che volevo trattare da un po' [un argomento che forse non vi farà scappare dopo tre lezioni]. Voi sapete già come la nostra concezione del tempo storico sia radicalm cambiata nel corso degli ultimi anni. Fino a qualche tempo fa amavamo raffigurare il nostro cammino nel tempo come una marcia fiduciosa verso il futuro, in cui il passato veniva lasciato alle spalle, senza essere mai veramente perduto. In sostanza, l'uomo era un conquistatore, che progressivam annette a sé nuove porzioni di futuro.
Questa concezione trionfale è stata messa in crisi, negli ultimi anni, da una serie di studi, alcuni portati coraggiosam avanti da gloriosi pionieri del Teopop".

[Una volta si usava far l'inchino, a questo punto. La facoltà è scaduta di molto da quando sono state reintrodotte le sedie].

"Non mi dilungo su questi argomenti che dovreste già conoscere bene. Per farla breve, ci siamo resi conto che il passato…

[S'ode un bisbiglio collettivo, gli ultimi resti di una lunga coazione a ripetere:
"…è perduto".]

…per sempre. Quello che noi consideriamo "ricordi" sono, nella maggior parte dei casi, interazioni della nostra fantasia con alcuni oggetti grezzi, come foto, vecchi documenti eccetera, gusti, odori, che suscitano quella particolare sensazione a cui è stato dato il nome scientifico di… qualcuno lo rammenta? Un nome francese…"

"Maddalena, Prof?"
"Che in francese si dice…"
"Non lo so prof".

"Madeleine. E io non sono un Prof. Se la nostra presa sugli eventi del passato si è in gran parte rivelata illusoria, il futuro continua a essere in gran parte imponderabile. Abbiamo smesso di vedere nel tempo una marcia trionfale, una guerra di conquista: oggi più facilm immaginiamo il nostro percorso nel tempo come una caduta libera. È una visione antica, in realtà, che secondo alcuni risalirebbe ai Greci.
Noi non marciamo, dunque, bensì precipitiamo nel futuro come da una rupe. Precipitiamo a testa in su: intorno a noi scorrono immagini dei luoghi dove siamo appena stati, del nostro cosiddetto passato. Paradossalm, più le immagini sono vicine a noi, più ci sembrano mosse e indecifrabili. Molto più nitido appare il cielo sopra di noi, la cima da cui siamo caduti, il cosiddetto passato remoto. Abbiamo anche calcolato dopo quanto tempo un evento passato raggiunge questo orizzonte nitido in primo piano: il Muro di Cristallo. Qualcuno si ricorda?"

[Il ciccio in fondo sta russando]

"Vent'anni?"
"E quarantasette giorni, signorina, esatto.
Quanto al futuro – anche il più immediato – esso continua a essere un assoluto mistero. Possiamo fare congetture, ma esse sono miseram fallaci. La più diffusa è riassunta nella frase "Fin qui tutto bene". Che significa: "dal fatto che finora non c'è stato nessun impatto, io deduco che ancora per molto non ce ne sarà". Congettura che ha ben poco di logico, come vedete".

[Dalle facce direi che non vedono un bel nulla, ma andiamo avanti].

"Per la verità, accanto ai cantori del "fin qui tutto bene", vi sono sempre stati intellettuali che hanno cercato di capovolgersi e fissare il futuro, con le tecniche concesse dalla scienza e dalla fantasia dei loro tempi. Le immagini che ci hanno restituito, le loro pre-visioni, non sono naturalm meno fallaci dei nostri ricordi. Ma è interessante la sensazione che ci fanno provare. Non più il caldo conforto di una madeleine, bensì, quel brivido particolare che forse già conoscete…"

[Macché, 'sti qua manco il loro indirizzo, conoscono].

"…la vertigine. Se le immagini che ci arrivano addosso possono essere del tutto fuori fuoco e illusorie, quel brivido è reale, ed è il senso ultimo della nostra indagine. Noi non vogliamo veram sapere su cosa sbatteremo tra dieci, venti, cento anni: peraltro, non c'è nessun modo di saperlo davvero. Ma vogliamo sapere che stiamo cadendo, in questo preciso momento. Anche il futuro, come il passato, non esiste. Quel che esiste è la nostra angoscia per esso, la nostra vertigine. Ed è la vertigine che studieremo assieme nel corso di questo semestre".

[Ora stanno pensando che fanno ancora in tempo a disiscriversi e provare con Tecniche Domestiche… È ora di indorare la pillola].

"Stavolta ho pensato di privilegiare la narrativa audiovisiva, così sono riuscito a corrompere il custode e a scaricare alcuni lungometraggi del secolo scorso. Cose che Supernet non ha mai messo in onda, direi…"

[Il ciccio in ultima fila si è svegliato di botto. I filmini! Il prof ci fa vedere i filmini!]

"La prossima settimana cominciamo con un lungometraggio bizantino di metà Novecento. Per oggi direi che è tutto, sia lodato Gesucrì".
"Sempre sia".
"Ah, stavo per dimenticarmi che giorno è oggi. Ricordatevi che siete cenere".
"... e cenere torneremo, Amen".

[Vorrei scappare, invece aspetto. Magari qualcuno ha delle domande… nessuno. In realtà volevo solo vedere chi passa a prelevare l'ipodo. La biondina, naturalm.
Mi ha sorriso].
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Cantico del 25 aprile -- terza e ultima parte

Il melodramma volge al termine. Vale la pena di ribadire che ogni riferimento a persone, cose, ecc., è puramente casuale.

I 25 aprili futuri

Passerà il tempo che deve passare, cambieremo lavoro e famiglia, governo e alleanze, cambieremo perfino idea, ogni tanto; ma io non sono mai stato un ottimista, sai, mi riterrò soddisfatto se il futuro mi consente di venirti ancora a trovare da qui a dieci anni, e a litigare, perché no, sarebbe già un discreto risultato.
“Passavo di qui, mi son detto: magari è in casa”.
“Hai fatto bene. Sali”.
Una fitta sparatoria eccheggia dal salotto. “Piero, saluta lo zio Davide. Piero!”.
Piero è distratto, comprensibilmente: sta attaccando da solo un commando di terroristi palestinesi. A Natale suo padre gli ha portato la Playstation V. “Ciao, zio”.
“Vieni di là, ti faccio un caffè”.
“Grazie”.

In cucina c’è una pila di fogli protocollo a quadretti, sfregiati ovunque di rosso. Verifiche di matematica.
“Siamo in fase correzione intensiva, eh?”
“Oddio, che vergogna, sono così indietro…”
“Anche a me piaceva correggerli in cucina. Poi li restituivo con le macchie di sugo. Ero veramente un gran cazzone”.
“Non ti manca un po’ la scuola?”
Alzo le spalle. “Era troppo alto il rischio di diventare un tuo collega”.
“Stronzo. Ma il nuovo lavoro come va?”
“Non mi lamento”.
“Il 25 lavori? O vai da qualche parte?”
“Il 25? Sai che non ho preso impegni? Penso che starò a letto fino a mezzogiorno”.
“Senti… vorrei chiederti un favore. Un favore grosso”.
“Spara”.
“Mi… mi hanno invitato in montagna per il ponte”.
“Ottimo. Un po’ d’aria buona farà bene anche a Piero”.
“Ecco, in realtà non… Piero non è stato invitato”.
“Ah”.
“Cioè, magari… però io ho pensato che… insomma, era meglio non portarlo”.
“Ho capito”.
Il caffè gorgoglia, si mescola al gemito dei terroristi che sale dal salotto. Piero è passato all’arma bianca.
“Ma è una cosa importante, sai, lui… è un tipo serio”.
“Ti ho detto che ho capito”.
“Quello stronzo di suo padre è sempre in Germania e i miei genitori… mi vergogno a chiederglielo”
“Non ti devi vergognare”.
“E poi andate d’accordo, voi due”.
“Ci lasci il frigo pieno?”
“Però non farlo giocare alla playstation tutto il giorno. A volte mi spaventa”.
“Se il tempo è bello potremmo andare al corteo”.
“Ecco, bell’idea. Quanto zucchero?”
“Niente zucchero, grazie”.
“Aspetta un momento. Di che corteo stai parlando?”
“Il corteo dell’Anpi, hai presente? Danno anche lo gnocco fritto. Magari lui non c’è mai stato”.
“Stai scherzando, spero”.
“No, perché?”
“Non posso credere che facciano ancora il corteo, sono dei matti”.
“È pur sempre il venticinque aprile, sai”.
“Il venticinque aprile! E ti sembra una cosa da ricordare con un corteo? L’anniversario della sconfitta?”
“Non è proprio una sconfitta. Si chiama liberazione”.
“Ma lo sai meglio di me che è col 25 aprile che è cominciato tutto! Lo strapotere americano in Europa! La spartizione di Yalta! Quei porci ci hanno succhiato il sangue per sessant’anni!”
“Dai, Costanza…”
“Ci hanno sfilato il Medio Oriente da sotto il naso! Ti sembra giusto pagare il petrolio al prezzo che ci fanno loro? Il petrolio che abbiamo scoperto noi europei?
“Costanza…”
“E adesso hanno cominciato a rincarare anche i cereali! E l’acqua. Ormai controllano anche l’acqua. Hai visto quello che è successo al Kashmir, no? E lo Zimbabwe?”
“Cosa vuoi mai, c’era una dittatura…”
“Li hanno bombardati al tappeto per due settimane! Migliaia di morti! E tu festeggi con loro?”
“Io ho sempre festeggiato, Costanza”.
“Sei un incoerente. Te l’ho sempre detto. Se ti vedesse tuo zio”.
“Cosa c’entra mio zio, adesso”.
“Tuo zio era uno dei pochi che aveva capito tutto. Voleva un’Europa continentale libera, orgogliosa, gelosa delle sue risorse. Ed è morto per questa idea”
“Mio zio è morto perché si filava tua nonna”.
“Ma è possibile che a quarant’anni tu non riesca a capire…”
“Costanza….
“Sei ancora il solito patetico pacifista col mito dei partigiani che…”
“Stavo scherzando. Non lo fanno più il corteo”.
“Non lo fanno più?”
“No, l’Anpi ormai non c’è più”.
“Perché mi hai detto che volevi portarlo al corteo?”
“Per farti arrabbiare. Mi piace farti arrabbiare”.
“Sei uno stronzo, sai”.
“Sei carina quando ti arrabbi”.
“Ma vaffanculo”.

Il 25 aprile 2013 io e Piero lo passiamo così:
ci svegliamo a mezzogiorno, facciamo colazione e massacriamo un centinaio di hezbollah per ora di pranzo. Pranziamo verso le tre, poi, siccome è una bella giornata, ci vien voglia di tirar fuori le biciclette e salire sull’argine.
“Facciamo una gara?”
“Ma tu hai la bici nuova, non vale”.
“Tu e i tuoi amici venivate qui da ragazzi?”
“Qualche volta venivamo a farci le canne a pescare. Non ho mai preso niente”.
“E mia mamma veniva?”
“No, non era il tipo”.
“Mamma dice che da ragazzo tu le andavi dietro”.
“Non crederai mica a tutto quello che ti dice tua madre”.
“Dice che sei uno stupido, perché per tanti anni le sei andato dietro e non gliel’hai mai detto”.
“Anche se gliel’avessi detto non sarebbe cambiato niente”.
“Dice che da ragazzo, se m’innamoro di una ragazza, non devo essere stupido come te, devo dirglielo subito”.
“Seh… parla l’esperta, parla”.
“Ma perché non glielo hai detto?”
“Sai che fai un sacco di domande?”
“Scusa”.

“Non potevo mica dirglielo in mezzo a tutta la gente, mi vergognavo”.
“Perché non hai telefonato?”
“Non si dicono queste cose per telefono”.
“Perché?”
“Volevo portarla in un posto tranquillo, dove non ci fosse nessuno, e dirglielo”.
“Aaaaaaah!”
“Levati quel sorrisino dalla faccia, cosa credi? Io ero un ragazzo serio”.
“Perché non l’hai invitata in montagna?”
“Tante volte l’ho invitata in montagna, ma lei non è mai voluta venire”.
“Perché?”
“Non so, ogni volta ci mettevamo a parlare di politica e litigavamo. Poi lei si è messa con tuo padre”.
“Tu e papà eravate amici?”
“Non ci conoscevamo tanto bene”.
“Mamma dice che tu non lo potevi sopportare”.
“E vabbè, che dovevo fare? Mica potevo ammazzarlo”.
Che cos’ho detto?
“Che cos’hai detto?”
“Niente”.

L’argine attraversa il paese e lo abbandona in un minuto. Si snoda in una campagna piatta, dove nessuno ha ancora trovato conveniente edificare. Scarta a destra, poi a sinistra, aggirando una vecchia corte, un agriturismo.
Quello era il podere della mia famiglia. E mio zio è sepolto lì, da qualche parte. Non può essere altrove. Non si può fare molta più strada, a piedi, tallonato da una carabina, magari con una vanga in mano.
È molto difficile riuscire a immaginare i pensieri di un uomo che sta scavando la propria fossa. È chiaro che fino all’ultimo deve aver sperato di salvarsi. Forse ha pensato a uno scherzo. Erano due ragazzi, dopotutto. Ma è vero che avevano alle spalle anni di orrori.
Avrà supplicato. O era troppo fiero per farlo? O sapeva che era inutile?
Insomma, non lo so. Ho provato tante volte a pensarci. Ma devo arrendermi: tra me e mio zio e il suo assassino c’è troppa distanza. Io non posso immaginare quel che hanno provato. Erano diversi da me. Erano un’altra razza. Erano in guerra. Io non so cos’è la guerra.
E non me ne devo vergognare. Anzi. Forse dovrei esserne fiero.

“A cosa pensi?”
“Alla guerra”.
“Allo Zimbabwe?”
“No, alla guerra che c’è stata qui”.
“Perché, qui c’è stata una guerra?”
“Sessant’anni fa. A scuola non vi hanno detto niente?”
“Non mi ricordo”.
“Sai che festa è oggi?”
“Certo che lo so. San Marco Evangelista”.
“Che cosa?”
“È il patrono di Venezia. Sai che la sua tomba ce l’avevano i turchi e non la volevano dare ai veneziani, allora i veneziani lo hanno rubato e lo hanno nascosto in mezzo a della carne di maiale”.
“E te le raccontano a scuola queste puttanate cose?”.
“Sai che i musulmani non sopportano la carne di maiale, così al confine non hanno fatto l’ispezione, e sono riusciti a portare il corpo a Venezia. Per questo lui è un simbolo dell’orgoglio europeo, e…”
“Aeeetchm!”
“Hai il raffreddore?”
“No, sono i fiori”.
La primavera è precoce, quest’anno. “Piero, hai presente quella canzone… l’avrai sentita senz’altro… quella che fa
E questo è il fiore / del partigiano / O bella ciao, etc.”
“Beh?”
“Sai chi erano i partigiani?”
“Erano dei soldati”.
“Ma non erano soldati regolari. Sai, l’Italia era stata invasa dai tedeschi, e…”
“Ma i tedeschi non sono nostri amici?”
“Erano nostri amici, ma poi…”
“Che confusione”.
“Hai ragione. Ma una volta se ti va ti racconto la storia. Sai che tuo bisnonno era un partigiano?”
“Ha ucciso molti nemici?”
“Sì… no… non so. Torniamo a casa?”
“Facciamo a chi arriva prima”.
“Ma tu hai la bici nuova, non vale”.

Sessantotto anni prima, a quell’ora, la gente scendeva in piazza a festeggiare. Chi aveva ucciso festeggiava di non dover più uccidere; chi si era nascosto festeggiava di non doversi più nascondere. E poi, certo, c’era chi anche quel giorno covava i suoi rancori, e approfittava della confusione: e non dobbiamo scordarcene. Ma era una bella giornata, e la guerra era finita: e se abbiamo 364 giorni all’anno per litigare su tutto, pure la gioia di quel giorno dovremmo essere capaci di festeggiarla. Per chi ha combattuto, per chi è morto, per chi ha sofferto, per chi era stanco di sparare in montagna, e aveva voglia di portarsi su la morosa. O dobbiamo litigarci anche questa gioia? Che senso ha?
Chiedete a chi ha combattuto: loro sanno quant’è bella la pace, il primo giorno. Con un po’ di fantasia dovremmo essere capaci di capirlo anche noi. Buona Liberazione.
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Maestri di vita (6) – Giovanni Papini: Amiamo la guerra

Finalmente è arrivato il giorno dell’ira dopo i lunghi crepuscoli della paura. Finalmente stanno pagando la decima dell’anime per la ripulitura della terra.

Non è solo per fare il bastan contrario – o forse sì – ma il fatto è che ultimamente sono un po’ stanco di sentire gente che odia la guerra. Specie quelli molto più idealisti, realisti, intelligenti e informati di me, che odiano la guerra più di me ma sono convinti che a questo punto sia necessaria, per poter arrivare più rapidi alla pace.
Ecco, dopo mesi e mesi di discorsi su quanto sia brutta e ineluttabile la guerra, mi vien voglia di andare a cercare quel pezzo in cui un giornalista italiano dichiarava francamente e senza vergogna di amarla, questa benedetta guerra. Ma chi era? E dove scriveva? E quand’è che l’abbiamo letto? Come facciamo a ricordarcelo così bene?

Ci voleva, alla fine, un caldo bagno di sudore nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne. Ci voleva una bella innaffiatura di sangue per l’arsura dell’agosto; e una rossa svinatura per le vendemmie di settembre. […]
È finita la siesta della vigliaccheria, della diplomazia, dell’ipocrisia e della pacioseria. I fratelli son sempre buoni ad ammazzare i fratelli! I civili son pronti a tornar selvaggi, gli uomini non rinnegano le madri belve.


Il giornalista si chiama Giovanni Papini (Firenze 1881-1957). Scriveva su una piccola rivista fiorentina, “Lacerba”, da lui fondata nel 1913 e sotterrata nel 1915, che ebbe un certo successo. A volte viene considerato un futurista: in realtà Papini e Marinetti non sono mai andati molto d’accordo, ma pescavano nello stesso bacino di malumori che sarebbe poi fermentato nelle trincee della Grande Guerra, dando luogo a quel singolare fenomeno politico italiano, il fascismo.
Però Marinetti, che di solito viene ricordato per aver scritto “Guerra, sola igiene del mondo”, non sarebbe mai stato capace di scrivere righe asciutte e feroci come queste:

C’è un di troppo di qua e un di troppo di là che si premono. La guerra rimette in pari le partite. Fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla stessa tavola. E leva di torno un’infinità di uomini che vivevano perché erano nati; che mangiavano per vivere, che lavoravano per mangiare e maledicevano il lavoro senza il coraggio di rifiutare la vita.

Non è un caso che in quasi tutte le antologie di letteratura italiana per la scuola superiore ci sia una foto di Marinetti, ma questa pagina di Papini. Volendo dare un esempio di letteratura francamente, schiettamente bellicista, i compilatori delle nostre antologie scolastiche (tutti comunisti, com’è noto) finiscono invariabilmente per ritagliare questo editoriale di Lacerba, datato primo ottobre 1914. E questo il motivo per cui ce la ricordiamo bene: in mezzo a tante letture soporifere, Papini ha uno stile che ti dà la sveglia. Senti qui:

Non si rinfaccino […] le lacrime delle mamme. A cosa possono servire le madri, dopo una certa età, se non a piangere. E quando furono ingravidate non piansero: bisogna pagare anche il piacere.

Ah, se sentisse il Ministro Martino…

E chissà che qualcuna di quelle madri lacrimose non abbia maltrattato e maledetto il figliolo prima che i manifesti lo chiamassero al campo. Lasciamole piangere: dopo pianto si sta meglio.

Papini di recente è finito anche al cinema, in una brevissima scena di Un viaggio chiamato amore: è in un caffè di Firenze con dei sottufficiali di passaggio, che declama un suo articolo. Indovinate quale.

C’è una linea fiorentina che forse non risale fino a Dante Alighieri, ma sicuramente a Machiavelli: una scia brillante di scrittori che non sempre (anzi, quasi mai) diventano classici della letteratura, ma conoscono un buon successo presso i loro contemporanei. Perché? Per due motivi. Primo: cercano di scrivere come parlano, un lusso che fino a poco tempo fa solo un fiorentino poteva permettersi. Secondo: dicono cose enormi, micidiali. Machiavelli scriveva saggi su come ammazzare gli avversari politici, con tanto di esempi documentati. Papini spiega che la guerra ha tutta una serie di ricadute positive in vari settori, l’agricoltura, per esempio:

I campi di battaglia rendono, per molti anni, assai più di prima senz’altra spesa di concio. Che bei cavoli mangeranno i francesi dove s’ammucchiano i fanti tedeschi e che grosse patate si caveranno in Galizia quest’altro anno!

Nel Novecento Papini è il primo interprete di questa scia. Dopo di lui la fiaccola passa a Maccari e a qualche altro strapaesano, ma c’è meno gusto a fare i gradassi quando il gradasso in capo è a Palazzo Chigi. Finché, dopo la seconda guerra la fiaccola viene afferrata da Montanelli, che la impugna con sicurezza, ma la normalizza, la imborghesisce. Ed essa languisce con lui.
Quando Montanelli muore (nell’estate del 2001), l’Italia resta senza il suo grillo parlante toscano, per alcuni mesi. Finché l’undici settembre, in un attico di New York un’anziana signora di Firenze perde la testa, scrivendo torrenti di insulti. Il Corriere della Sera glieli pubblica, senza cambiare una virgola. E gli italiani impazziscono, si rubano il Corriere dalle mani, corrono in copisteria per fotocopiarlo. Gli italiani hanno un bisogno disperato di toscanacci maldicenti.

E il fuoco degli scorridori e il dirutamento dei mortai fanno piazza pulita fra le vecchie case e le vecchie cose. Quei villaggi sudici che i soldatacci incendiarono saranno rifatti più belli e più igienici.

È fin troppo evidente quanto abbiamo perso nel passaggio da Papini alla Fallaci. Senza bisogno di scrivere Cazzo e Fottiti, come il peggio scrittore pulp, Papini resta oggi molto più osceno di quanto non sia mai riuscita a essere la povera signora. A proposito, io della Rabbia e dell’Orgoglio già non ricordo più niente. Mentre questo Amiamo la guerra, veramente, non me lo levo dalla testa.

È scritto bene, diciamolo. Papini è uno dei pochi scrittori italiani che sia veramente riuscito a campare con quello che scriveva. Ma ogni settimana doveva inventarsene una più grossa. Noi ricordiamo solo “Amiamo la guerra”, ma da un numero all’altro Papini doveva consigliare di chiudere le scuole, abolire il senato, picchiare le donne, i bambini e i cani. E quando i futuristi vennero da Milano a fargli i complimenti, lui per un po’ se li tenne cari, poi non ci fu niente da fare: si mise a insultare anche i futuristi. Doveva farlo: era il suo mestiere. Aveva moglie e figlie, tante figlie da mantenere.
Era un polemista, ma non uno qualsiasi: era l’inventore della moderna polemica giornalistica: stringata, ma linguacciuta, razionale ma vendicativa. Oggi ne abbiamo fin sopra i capelli, ma negli anni Dieci c’era solo lui; i suoi colleghi erano rimasti alla retorica dell’Ottocento. E ogni settimana lui li tirava giù, metodicamente, a colpi di temperino. I suoi lazzi e insulti a quel tempo erano un nuovo stile di giornalismo: oggi li chiameremmo satira. Perché, in fin dei conti, avete creduto che Papini parlasse sul serio?

E rimarrano anche troppe cattedrali gotiche e troppe chiese e troppe biblioteche e troppi castelli per gli abbrutimenti e i rapimenti e i rompimenti dei professori. Dopo il passo dei barbari nasce un’arte nuova fra le rovine e ogni guerra di sterminio mette capo a una moda diversa.

Può darsi che Papini si sentisse un po’ barbaro. Della sua famiglia era stato il primo a studiare, e l’ultimo a patire la fame. Aveva la foga rabbiosa tipica degli autodidatti: il suo libro di critica filosofica (una specie di Simulator, appena un po’ più serio) si chiamava Stroncature.
Ma non era uno stupido. Ce n’erano tanti, come lui, che scrivevano o dipingevano roboanti odi alla guerra: Marinetti, Boccioni, Soffici, Carrà… Finirono tutti al fronte, e dal fronte all’ospedale, e chi tornò a casa (Boccioni non tornò) scrisse poi cose molto più tranquille.
Papini – che probabilmente vedeva un po’ più lontano – preferì saltare un passaggio, e a guerra appena scoppiata si convertì al cattolicesimo, senza passare dal fronte. Evitando così un inutile perdita di tempo (e di sangue).

Ora che lo sappiamo, proviamo a rileggere “Amiamo la guerra”. Curioso: a differenza di tutti i suoi colleghi interventisti, Papini non s’immagina mai di dover combattere la sua amata guerra. Il suo è il più smaccato “armiamoci e partite”. Che la facciano gli altri, la guerra igenica: che si tolgano pure di mezzo.

Chi odia l’umanità – e come non si può non odiarla anche compiangendola? – si trova in questi giorni nel suo centro di felicità. La guerra, colla sua ferocia, nello stesso tempo giustifica l’odio e lo consola. “Avevo ragione di non stimare gli uomini, e perciò sono contento che ne spariscano parecchi”.

E veniamo a noi. Dicevo che ultimamente sono un po’ stanco di sentire persone molto più idealiste, realiste, intelligenti e informate di me, che odiano la guerra più di me, ma sono convinti che sia necessaria. E mi viene da dire: signori, se proprio ne siete convinti, andateci. E levatevi un po’ dai coglioni.
Ma credo che loro scuoterebbero la testa, scettici: “non siamo noi che dobbiamo andarci, sciocco, noi saremmo d’intralcio. Lasciamo lavorare chi conosce il mestiere”.
Senza dubbio. Però, permettete: io non m’intendo di geopolitica, ma non volendo combattere, e non essendo tagliato per farlo, non oserei chiamare qualcun altro a far la guerra in vece mia. Non si fa. Non è fine. Chi è in grado di combattere combatta, chi non ne è capace stia zitto e attento. Tutti questi applausi d’incoraggiamento sono indecenti.Tanto si sa che voi resterete a casa, davanti alle vostre confortevoli finestre sul mondo. Sempre pronti a convertirvi al dio di turno, a seconda della convenienza.

E allora ditelo, che sotto sotto la guerra vi piace (purché la facciano gli altri): fa un sacco di spazio, e concima i terreni. E l’economia riparte. Coraggio. Ditelo. Non mi farete più schifo di quanto non mi facciate già. Non mi piace la retorica dei buoni sentimenti, preferisco la schiettezza di chi scrive come parla e parlando dice quello che pensa. La schiettezza di Giovanni Papini:

Amiamo la guerra ed assaporiamola da buongustai finché dura. La guerrà e spaventosa – e appunto perché spaventosa e tremenda e terribile e distruggitrice dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore di maschi.
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