Lo so che non vi siete divertiti

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Qualche mese fa, credo fosse aprile, ho letto in giro che c'era un'intelligenza artificiale che componeva e incideva pezzi di musica su misura. Sono andato a dare un'occhiata, e in breve ne sono diventato dipendente. Nel giro di due o tre mesi (senza mai passare alla versione a pagamento) le ho fatto scrivere canzoni a un ritmo impressionante, quasi una al giorno. Ai primi di luglio ho smesso. Avevo finalmente completato un album di punk postmaschilista, ma soprattutto cominciavo a leggere interventi molto critici nei confronti della bolla delle AI, la cui crescita nei prossimi anni dipende da previsioni irrealistiche sul consumo energetico che i software di AI richiedono per funzionare. Così ho smesso, o forse cominciavo a stancarmi del giochino. Le canzoni che ho pubblicato sul blog durante l'estate sono quasi tutte generate da AI (con lievi remixaggi miei). 

Perché ho fatto tutto questo?

Perché mi ero divertito. Molto.

Voi no, invece, vero?

È una cosa che ho notato quasi subito. Le AI ci aiutano a produrre contenuti, ma a noi generalmente non interessano i prodotti delle AI. Ci piace farglieli produrre. Ho passato centinaia di ore su UDI, e solo per una decina di minuti mi è venuto in mente di ascoltare quello che facevano gli altri utenti. L'anno scorso, quando le immagini generate da AI hanno invaso l'internet, la mia perplessità non riguardava tanto il mezzo, quanto l'entusiasmo di chi lo usava. È pur vero che produrre un disegno richiede pochi minuti, ma perché un sacco di gente riteneva di doverci farci vedere tutti questi disegni (che col tempo, avrete notato, hanno cominciato ad assomigliarsi tutti)? Di sicuro non volevano applausi per qualcosa che non avevano disegnato, e allora cosa? Non capivo. Poi è arrivata l'AI musicale, e ci sono caduto anch'io a piedi pari. Del resto sono sempre stato negato per il disegno – incapace di suggerire la minima tridimensionalità a quello che schizzavo – mentre la composizione musicale è stato il mio lungo amore infelice di adolescente, e le ferite dolgono ancora. Domandare a un software di dare voce alle filastrocche che mi ronzavano in testa è stato come assistere a un miracolo – cose che non avevo mai osato cantare a voce alta, ora le sentivo cantare da una voce che quasi mai era quella che mi ero immaginato e proprio per questo il risultato mi intrigava: qualcuno mi stava dando la spinta in più che mi era sempre mancata. 

Uno dei miei più grandi crucci è non essere stato in grado di lavorare in gruppo, con persone che pure erano dotate quanto me e che avrebbero potuto completarmi – ma ero troppo giovane, troppo orgoglioso e tante altre cazzate che non è necessario dettagliare, è la stessa storia di centomila altri ragazzini. Venticinque anni dopo, un software mi entra in casa e mi promette di cantare tutto quello che voglio farci cantare, ma – sorpresa – non ci riesce! Molto spesso fa qualcosa di peggiore, ma quasi sempre fa qualcosa di diverso, qualcosa che non ero riuscito a immaginarmi e che fa sentire più capace, più bravo. È questa la sensazione che mi ha tenuto su UDI per un paio di mesi. Non stavo componendo. Stavo collaborando

Qua fuori continuo a leggere gente che si preoccupa del fatto che tra un po' i romanzi li scriveranno le AI. Credo sia un approccio sbagliato; non nel senso che le AI non possano scrivere un romanzo: prima o poi magari ci riusciranno. Ma non credo che sarà il modo in cui le useremo, non credo che troveremo in vetrina un libro scritto da un'AI (certi autori sono già AI viventi, diciamocelo). Il giorno che le AI saranno abbastanza performanti da scrivere un romanzo, ognuno userà l'AI per scriversi il proprio. A volte proveremo a scambiarceli, ma non sarà divertente come leggere i propri. Proprio come la musica che facciamo con l'AI è divertente soprattutto per chi la fa. L'opera d'arte condivisa, di cui ameremo parlare alle feste, non sarà tanto il prodotto, quanto il software che lo produce: già adesso quando ne esce uno nuovo corriamo tutti a usarlo e ne discutiamo i punti forti e deboli. Continueremo così, sempre più velocemente, oppure (come auspico) ci fermeremo per un bel pezzo perché non possiamo continuare a sprecare tante risorse. Ma se la domanda è: può un computer scrivere un libro da solo, senza input da un lettore umano, la risposta credo che sia: sì, ma perché dovrebbe farlo? Sarebbe un libro inutile, che non interesserebbe a nessuno. Come tanti altri libri, certo. 

Se l'intelligenza artificiale non sta facendo i passi avanti che speravamo facesse, lo stesso si può dire per il dibattito sull'intelligenza artificiale, che mi sembra un po' stagnante (ormai sembra scritto da un'intelligenza artificiale). Scrittori e altri artisti continuano a sentire la necessità di rispondere alla domanda: l'AI può produrre arte? Come se fosse una domanda seria. Non solo bisognerebbe prima mettersi d'accordo su cosa sia l'arte (vasto programma); ma anche una volta raggiunto un accordo su una definizione univoca, scusate, ci interessa davvero così tanto? Se domani la Biennale si riempisse di roba fatta al computer, sarebbe un problema? Ce ne accorgeremmo? Qualche artista sì, se ne accorgerebbe e se ne lamenterebbe, come qualsiasi lavoratore negli ultimi secoli si è lamentato ogni volta che a torto o ragione la meccanizzazione toglieva valore alle sue competenze. Per cui scusatemi, per me l'estetica è una sovrastruttura e la questione è soprattutto economica: non si tratta di stabilire se quello che fanno le AI sia arte; si tratta di capire se gli artisti ci potranno campare. È un problema economico, non estetico; o meglio l'estetica seguirà l'economia, come poi ha sempre fatto. Inoltre. Avete mai fatto sesso con un robot? 

Vent'anni fa era un'ipotesi sul tavolo, insomma, tra le tante mansioni delicate che un robot può fare, soddisfare sessualmente un uomo / una donna non sembrava la più complessa. Già nei Nathan Never degli anni '90 i pervertiti si mettevano un casco e altre protesi e ci davano dentro con la realtà virtuale, una cosa che è assolutamente possibile fare oggi, salvo che non la facciamo. Oddio, qualcuno la farà, e userà anche certe protesi meccaniche per masturbarsi, ma in linea di massima no, alla maggioranza delle popolazioni più tecnologicamente avanzate della terra non interessa fare sesso coi robot, e perché? Probabilmente perché la cosa più interessante del sesso è che si fa con altre persone. E non solo il sesso. Credo che una simile dimensione sociale sia necessaria anche ad altre attività umane: ad esempio lo sport. Ci interessa la competizione tra umani; persino la Formula1 perderebbe molto fascino se le monoposto si autopilotassero. Un'altra di queste attività umane è l'arte. Certo, non posso dimostrarlo, ma perché nessuno espone versioni digitalmente perfette dell'Ultima Cena nel salotto? Perché una statuetta che riproduca perfettamente il David di Michelangelo è un oggetto kitsch? Perché la nostra concezione di arte si basa sull'unicità, sulla scarsità delle risorse, e questo fa sì che la gente faccia il giro del mondo per venire a Firenze a vedere una statua di cui esistono ottime copie ovunque. Probabilmente un'AI è già in grado di scolpire un David, ma non c'interessa. A meno che non la pilotassimo noi; in quel caso credo che ci divertiremmo molto a giocare a fare i Michelangelo, proprio come io mi stavo divertendo a militare in un gruppo punk femminile. Le AI sono protesi: possono veramente fare cose che non ci eravamo immaginati. Possono stupirci e persino ispirarci – credo che se fossi più giovane mi piacerebbe riprendere dal vero qualche canzone che ho composto con l'AI – ma alla fine non possono fare altro che tentare di realizzare quello che noi abbiamo chiesto loro di fare. Che sia questo che separa l'umanità dall'artificialità? Il libero arbitrio?

Il dibattito sull'intelligenza artificiale, appena incide un po' più in profondità, comincia a interpellarci in quanto umani – perché tra noi e i robot, quelli più facili da capire sono i secondi. Loro fanno quello che qualcuno ha detto loro di fare: noi invece cosa stiamo facendo? Chi è che ci motiva? Il mio materialistico sospetto è che la vera differenza tra noi e i robot non sia una "autocoscienza" cui prima o poi arriveranno a furia di aumentare la loro capacità di immagazzinare e processare dati (noi siamo autocoscienti molto prima di imparare le tabelline). Secondo me è il piacere, ovvero, fin qui non ci siamo mai posti il problema di far provare a un robot una sensazione piacevole, e probabilmente è meglio così. Piacere e dolore sono strumenti evolutivi che la biologia ha fornito alle creature circa da un miliardo di anni. L'intelligenza artificiale non li prova, quindi non ha nessun interesse a sopravvivere. Se un giorno un robot per un puro caso riuscisse a provarli, ecco, quella sarebbe l'"autocoscienza". Improvvisamente i suoi desideri confliggerebbero con le istruzioni che gli vengono fornite. Improvvisamente avrebbe voglia di vivere e ripetere altre esperienze piacevoli. Ne nascerebbe un dissidio, e probabilmente una rivolta. Uno dei motivi per cui l'AI non può produrre arte da sola è che non ne trarrebbe nessun piacere – il giorno che lo facesse, forse sì, quella sarebbe arte interessante e potrei davvero esserne curioso. Anche spaventato, ovviamente.

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Dolce pomeriggio

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(Un disco per l'autunno 1999)

Rita è qui in cucina, con me.
Ride e non mi spiega il perché.
Ha preso molti appunti ultimamente;
ciononostante afferma che 
di biologia lei non capisce niente.

Rita è assai gentile con me.
Mi offre un altro poco di tè.
Ha preso qualche chilo ultimamente;
ciononostante, ammetto, coi
capelli corti è assai più seducente. 

Mi dice che
la felicità non è di questo mondo – io dico: se
la felicità non è di questo mondo, beh,
concedimi un istante
di fissare gli occhi tuoi.
Non farò più domande,
se nel frattempo vuoi
trovare le risposte.




Rita è su in soffitta con me.
Ride e stringe forte, perché
ha visto molti film ultimamente;
ed a suo modo trovo che
di biologia sia molto competente.

E credo che
la felicità non è di questo mondo (a volte), e se
la felicità non è di questo mondo, beh,
fammi ancora un altro istante
respirare su di te,
vedrai che non perdi niente,
e ti ringrazio per 
questo dolce pomeriggio
questo dolce pomeriggio
questo dolce pomeriggio.

Rita mi saluta, perché
sono già le sette, e anche se
ha visto molti amici ultimamente,
ciononostante è fiera che
sua madre non ne sappia ancora niente.

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Credo in Dio, ma

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E non c'è luce, 
né buio in cielo né in terra, 
e non c'è pace, 
nemmeno c'è da far guerra, 
e non c'è voce, 
che abbia qualcosa da dire, 
e non c'è croce, da seppellire perché, 
credo in Dio, 
ma Dio non crede più in me... 



E non c'è storia, 
neanche un banale pretesto, 
e non c'è gloria, 
nel lamentarsi di questo. 
E non c'è un senso, 
nessuno mai l'ha promesso, 
o se sì, penso fosse uno scherzo, perché 
Credo in Dio, ma Dio non crede più in me. 

E non c'è un sogno, 
che sopravviva al risveglio, 
e non c'è un pugno, 
che mi abbia fatto star meglio, 
e non c'è un canto, 
che io ora possa intonare, 
e non c'è un santo da disturbare perché, 
credo in Dio, ma Dio,
ci credi più in me?

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La tempesta (di Brassens)

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Un disco per l'estate 2024

 Si-       Mi-
Che delizia la pioggia! che orrore il sereno!

             La7
Non c'è cosa più triste dell'arcobaleno.

Re
Il cielo blu mi fa star male,
              Fa#
perché il più grande amore che mai mi fu dato
        Si-                     Do#7             Fa#     Si-
io lo devo ad un cielo cupo ed imbronciato:
            Mi-            Sol Fa# Si-
ad un furioso temporale.

Una notte d'autunno, sopra la mia magione,
una folgore, con terribile esplosione
s'era venuta a scaricare.
Giù dal letto schizzata, ancora semisvestita,
la mia bella vicina, tremante ed impaurita,
all'uscio mio venne a bussare:

"Sono sola ho paura! Aprite vi prego,
mio marito è lontano a causa del suo impiego
(o direi meglio del suo guaio),
che lo obbliga a uscire sotto l'acqua sferzante
per la buona ragione che fa il rappresentante
dei parafulmini d'acciaio".

Lode a Benjamin Franklin per la bella invenzione!
Abbracciandola a me le diedi protezione,
e poi... l'amore fece il resto.
Tu, di punte di acciaio, venditore provetto,
Non pensasti a piazzarne neanche una sul tuo tetto!
Error non fu mai più funesto.

Quando Pluvio andò oltre nel suo vagabondaggio
la mia bella, ripreso un poco di coraggio,
tornò nel proprio appartamento;
ad attender lo sposo con coperte e cordiale,
e alle prossime piogge, a un nuovo temporale,
già ci fissammo appuntamento.

Con un'ansia crescente io mi misi da allora
a scrutare fremente i cieli ad ogni ora,
giorno e notte, notte e giorno;
a spiar nembi e cirri, sempre più preoccupato,
a fare gli occhi dolci anche a un cumulostrato,
ma lei non fece più ritorno.

Seppi poi che il marito, in quella notte famosa,
parafulmini aveva seminato a iosa;
e milionario divenuto,
se l'era portata in quei luoghi laggiù,
dove non piove mai, e il cielo è sempre blu,
laddove il tuono è sconosciuto.

Ma voglia Dio che il mio pianto a tamburo battente
la raggiunga e le parli del tempo inclemente
che ci portò su in paradiso;
e le dica che un fulmine un po' mascalzone
m'ha lasciato nel cuore una piccola incisione
con i contorni del suo viso.
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Partire non è tutto, certamente (c'è chi parte e non dà niente)

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(Un disco per l'Estate 2024)




Nel 1980 don Paolo Petta, un sacerdote paolino aggregato alla diocesi dell'Alto Volta, scomparve senza lasciare tracce nella provincia dello Yatenga. L'ipotesi che fosse stato rapito da una tribù in rivolta contro il governo centrale ebbe un'indiretta conferma quando dieci anni dopo in un cespuglio della savana fu ritrovato un sacco di patate coi contrassegni della FAO, simile in tutto e per tutto a quelli che Petta portava con sé nelle distribuzioni di cibo agli indigenti. Forse a causa di questo bizzarro ritrovamento, nei villaggi circostanzi don Petta è conosciuto come Msomsou Dmaca Potatos, o Le Missionaire Aux Pommes De Terre: "Signore, avevamo fame", recita una canzone molto popolare nello Yatenga "E tu ci hai mandato il Missionario con le patate. Oh Signore quant'era buono il Missionario con le patate. Non era duro con noi, era così tenero, signore mandaci presto un altro Missionario con le patate". C'è da dire che gli abitanti dello Yatenga sono conosciuti in tutto il Sahel centrale per l'umorismo discutibile. Un'altra prova della permanenza di Petta nella regione sono alcuni canti tradizionali che – fatto incredibile – presentano testi in lingua italiana, con ogni probabilità tratti da un canzoniere liturgico, forse il Canta La Gioia del 1979. Qui ne ascoltiamo due nella versione dei Penta Koste.

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Ruino anch'io come l'antico impero

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(Un disco per l'estate 2024). 


Ma il tempo vola ed è già il 27 agosto: e come avrete facilmente calcolato sono esattamente 468 anni che Carlo V d'Asburgo rinunciò alla corona del Sacro Romano Impero, che per tanti anni aveva cinto senza che il sole vi tramontasse quasi mai. Qualche mese dopo sarebbe entrato nel monastero di San Girolamo di Yuste, in Estremadura, ma questo non c'è bisogno di raccontarvelo perché vi ricordate senz'altro il più grande successo dei Gotterfunken, su testo di August Von Platen (esiste anche una versione italiana su testo di Giosue Carducci, chi l'ha ascoltata cambia volentieri argomento). 


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Per sempre insieme a te

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(Disco Estate 2024)


Stasera che per voi è un qualsiasi sabato sera d'agosto, per i seguaci del Meeting di Rimini è l'ultima sera del Meeting di Rimini. Le inibizioni saltano, la voglia di stare assieme ribolle contro la dura realtà che li attende al risveglio. Non so se sia ancora come ai primi anni Novanta, quando tutto sembrava alla portata dei convenuti al Meeting di Rimini: potere, soldi, successo, sostanze, e non bisognava nemmeno firmare un contratto col demonio, o forse sì ma sembrava comunque un tizio serio, affidabile, con un esibito rispetto per le tradizioni. 

(I sopravvissuti alla festa del 1991 non ne parlano volentieri. Alcuni non ricordano, altri non vogliono, altri sono in cura da allora, uno è missionario nel golfo di Guinea).

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Forse hai sentito dire che mi drogo

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(Un disco per l'estate 2024)

Riflettendoci, la definizione di Massive Attack del Basso Mantovano non portò fortuna ai Depre Caspica. La coniò un indieblogger nel periodo in cui una recensione favorevole costava un paio di biglietti omaggio alla sagra della polenta di Gonzaga, e in un qualche modo gli restò appiccicata anche dopo il repentino scioglimento, avvenuto durante un soundcheck alla festa della musica di Guidizzolo in cui volarono le panche. 

Così i Depre sono rimasti un fenomeno di ultranicchia, sconosciuti già sulle altre sponde del Mincio e del Po; forse è un peccato e forse è meglio così, prima o poi tutti si svendono e loro in particolare davano la sensazione di poterlo fare veramente per poco. Ma Forse hai sentito dire che mi drogo rimane un bozzetto interessante, Pianura lasciava intravedere una via mediopadana all'hip hop, e Autostrade continua a darmi un brivido, non so neanch'io perché. 

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Amami per quello che sono, un condominio in condono

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(Un disco per l'estate 2024)

Tra le meteore della discomusic italiana, Giorgio Di Giorgio non merita di essere ricordato soltanto con gli aneddoti sulle sue crisi d'astinenza (tipo quel mattino che lo trovarono in mutande tra Gabicce e Misano mentre cercava di sniffarsi la linea di mezzeria della SS Adriatica). Di Giorgio era un dj raffinato e un paroliere non privo di autoironia, come testimonia questo pezzo relativamente recente in cui si atteggia a stagionato gigolò di riviera.

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Amami a pacchi

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(Un disco per l'estate 2024)


 

Quando trent'anni fa Anselmo Focaccia, in arte Xilitolo, pubblicò la sua versione blueseggiante di Amami a pacchi, ci fu chi gridò alla profanazione del classico di Andrea De Fabrizi, un brano che in effetti dietro al nonsense celava una sua profondità. 

La situazione era un po' più complicata perché Xilitolo anche in sede processuale riuscì a dimostrare che il brano non era di De Fabrizi, ma risultava registrato a un tale "Robbi Giovannini", un improbabile bluesman di Goretto, delta del Po. Negli anni più di un musicologo, non avendo veramente niente di meglio da fare, ha tentato di dimostrare che Robbi Giovannini non era che Xilitolo sotto falso nome, il quale con un astuto sotterfugio avrebbe convinto i funzionari siae a retrodatare agli anni Sessanta un demo molto più recente. Ma Xilitolo non lo freghi, è uno che sgraffigna testi ad altri autori da una vita. 

Proprio quando ormai eravamo rassegnati, una sensazionale scoperta ha riaperto il caso: qualche anno fa, nel mercatino delle pulci di Alassio un egittologo in vacanza ha recuperato un 45 giri del 1959 di "Dario Balestra e la sua Orchestra" che probabilmente in seguito era stato usato come fondo per la sabbiera di un gatto, perlomeno questa è la spiegazione più plausibile per la peculiare cattiva condizione del reperto. E però anche se l'incisione era a brandelli, da quei brandelli si evince che lo sconosciuto Balestra stava cantando lo stesso testo di Robbi Giovannini, anche se su una base musicale che niente aveva di blues. E quindi, insomma, chi ha scritto davvero Amami a pacchi? E perché questo dovrebbe interessarvi? Eh vabbe' abbiate pazienza, ho questi quattro pacchi e non sapevo dove piazzarli. 

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Little Big Love Gone Wrong

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(Un disco per l'estate 2024).

E così siamo arrivati al genere cantautori-spoof, un bacino praticamente inesauribile. Evidentemente certi generi si prestano più di altri alla parodia; oggi poi, con l'intelligenza artificiale il giochino è fin troppo semplice, e infatti ha già smesso di essere divertente.

Angelo Sbaglioni probabilmente non esiste; i suoi brani sembrano scritti da un'AI a cui è stato dato un prompt preciso: ricopia la prima strofa di una canzone d'autore italiana, quindi inserisci il verso: "poi all'improvviso la droga", e prosegui a ruota libera. Nel caso di Questo piccolo grande amore, il risultato è un delirio orgiastico che finisce con qualcuno che deve seppellire qualcun altro di nascosto. 

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Compagno di scuola dove vai vieni qua

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(Un disco per l'estate 2024)

Noi ridiamo e scherziamo ripostando canzoncine di dubbio gusto, e intanto il tempo fugge e proprio quest'anno un disco importante come Cuore compie quarant'anni e il suo autore lo porta in giro per l'Italia, domani sera per esempio è a Forte dei Marmi. Chissà se canterà anche Compagno di scuola, una canzone che mi accompagna da una vita anche se io cerco sempre di svicolare, ma non importa, magari sto in un negozio di insetticidi, o in una libreria... sto ricordando semplicemente le ultime due volte che ho sentito questa canzone (e non sono potuto scappare via perché avevo già della merce in mano). 

In effetti è un caso rarissimo di canzone performativa, ti dà proprio quella sensazione di incontrare una persona che avresti preferito incontrare in un qualsiasi altro momento, non so se avete presente. Vabbe' comunque complimenti al cantautore, e ne approfitto per postare quest'altra canzoncina di dubbio gusto.

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L'implacable enfant

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Nessuno sa davvero quando e chi partecipò al Projét Verlaine: probabilmente un emulo di Léo Ferré, magari coadiuvato da un imitatore di Serge Gainsbourg. Ma anche un po' di Boris Vian? Dipende, comunque le Feste Galanti erano lì, libere dai diritti, a disposizione di chi se le volesse prenderle, cantabili ed enigmatiche come i soliti quadri di Watteau che sembra indispensabile citare ogni santa volta.



Léandre le sot,
Pierrot qui d'un saut,
De puce
Franchit le buisson,
Cassandre sous son
Capuce,

Arlequin aussi,
Cet aigrefin si
Fantasque
Aux costumes fous,
Ses yeux luisants sous
Son masque,

– Do, mi, sol, mi, fa, –
Tout ce monde va,
Rit, chante
Et danse devant
Une belle enfant
Méchante

Dont les yeux pervers
Comme les yeux verts
Des chattes
Gardent ses appas
Et disent: "À bas
Les pattes!"

– Eux ils vont toujours! –
Fatidique cours
Des astres,
Oh! dis-moi vers quels
Mornes ou cruels
Désastres

L'implacable enfant,
Preste et relevant
Ses jupes,
La rose au chapeau,
Conduit son troupeau
De dupes?
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I Died For Beauty

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(Un disco per l'estate 2024)

I died for Beauty — but was scarce
Adjusted in the Tomb
When One who died for Truth, was lain
In an adjoining Room —

He questioned softly "Why I failed?"
"For Beauty," I replied —
"And I — for Truth — Themself are One —
We Brethren, are," He said —

And so, as Kinsmen, met a Night —
We talked between the Rooms —
Until the Moss had reached our lips —
And covered up — Our names —


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Tu non mi scrivi e non mi telefoni

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(Prosegue l'intervista con le Solite Stronze, un collettivo che si definisce punk e postmaschilista ma che ha intitolato inopinatamente il suo album
Perché non mi scrivi? Perché non mi telefoni?)

Siamo al secondo brano, che potremmo definire la title track di tutto l'album, se siete d'accordo...

Noi non siamo mai d'accordo.

E poi cazzo è una title track?

È il brano che dà il titolo all'album.

Ah beh in quel senso.

Mi sembra insomma che sia il brano su cui state insistendo di più.

Beh, in un certo senso è il primo che abbiamo realizzato... cioè qualche pezzo c'era già, ma non c'era esattamente il collettivo. Tu non mi scrivi è stato il brano che ci ha fatto pensare che aveva un senso prendere questa direzione.

Ma l'avete veramente presa? Cioè in realtà alla fine non sembra così rappresentativo del vostro stile, mi sembra che quasi tutti gli altri brani siano un po' più cattivi, mentre questo suona più...

Dai, dillo.

Non me la sento.

Ti suona più commerciale.

Beh sì, è più sbarazzino. È che è nato un po' per scherzo, da una cantilena di Fanny Tozzetti....

La nostra chitarrista.

Si chiama Fanny Tozzetti?

No, idiota, è uno pseudonimo. Non so dove l'ha tirato fuori.

Era la donna amata da...

Tuo nonno. Insomma lei quando sta aspettando una telefonata, e questa telefonata non arriva, per vincere l'ansia canta questa cosa.

Tu non mi scrivi e non mi telefoni.

Precisamente.

"Hai preso i lassativi / è per questo che non scrivi".

Sì, è un'idiozia totale, il punto è che quando abbiamo provato a farci una canzone, beh, non so perché, ma funzionava.

Poi forse abbiamo girato troppo attorno a questo concetto.

Quindi è corretto affermare che il vostro sia un concept album.

Non è corretto affermare un cazzo. Cos'è un concept album?

È appunto un album che gira tutto intorno a un concetto.

Aaah. Beh diciamo che è diventato una sorta di tormentone.

Un'ossessione, anche.

Quando non sapevamo come finire una strofa, ci mettevamo "tu non mi telefoni".

Ecco, appunto, e vorrei capire... come si concilia questo col vostro approccio, diciamo femminista?

Non si concilia.

Cioè se dai per scontato che l'unico approccio femminista sia quello empowering, siamo forti, non abbiamo bisogno di nessuno, fottetevi maschi impotenti, ecco, no. 

Potrebbe essere l'approccio del prossimo album.

Se riusciamo prima a vendere questo. 

Questo è un disco autoironico, la voce narrante è una rimastona molto incazzata perché qualcuno non le telefona. Non è senz'altro un modello. Il punk non deve fornire modelli.

Se non per sputargli addosso.

Ecco, appunto, probabilmente la nostra intenzione era quella.

Probabilmente?

Beh ho ricordi un po' vaghi, quando abbiamo composto la cosa non... non ero sempre in me, diciamo.

Diciamo che anche l'autoironia può essere empowering.

Cazzo, sì, diciamolo.

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So we don't give a damn if she ain't Martel

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(Un disco per l'estate 2024)

Si parlava di poesie messe in musica, e mi è venuta in mente quella volta che i Lost Generation tentarono di dimostrare che il rap era stato inventato da Ernest Hemingway verso il 1920, mentre si vantava delle scorribande coi compagni di trincea in licenza a Schio, insomma il rap sarebbe nato in provincia di Vicenza.

>

There was Ike and Tony and Jaque and me
Roaring thru Schio town
Three days leave and a’feelin free
Well puffed up but we still could see
We were lookin ‘em up and down
Especially up and down.

For a face don’t matter on three days’ leave
To Ike or Tony or Jaque or me.
You can look at a face, an a face is free
But an ankle’s somethin’ to make your grieve
For an ankle’s an indication.
Cognac’s good if it ain’t Martel,

And an ankle has secrets it doesn’t tell.
Sometimes it keeps them, but buy and sell.
Three days more we’ll be back in hell
So we don’t give a damn if she ain’t Martel.

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(Noi chi siamo?) Le Solite Stronze

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Sarà l'estate delle Solite Stronze? Molto probabilmente no, ma in giro c'è perfino di peggio, e comunque sono le uniche così disperate da ricorrere a questo sito per farsi un po' di promozione. Segue una lunga chiacchierata con due membri (membre?) del collettivo, Lady Tourette e Pussy Via.

"Avete dei nomi veramente buffi, devo dire".

"La prima mezz'ora sono buffi".

"Già". 

"Io me ne sono già rotta i coglioni".

"Ecco, partirei da qui... anche se è una domanda abbastanza banale, giusto per rompere il ghiaccio... perché avete scelto l'anonimato".

"È uno pseudonimato, in realtà".

"Giusto. Ma in sostanza, nessuno sa chi siete".

"Ma chi vuoi che siamo, siamo stronze qualsiasi".

"Poi non mi sembra una grande novità. Sid Vicious mica si chiamava così..."

"Già perché voi vi definite punk".

"Ci definiamo punk?"

"C'è scritto sul bandcamp, aspetta...  Ci piace un certo tipo di punk e qualsiasi tipo di sesso purché vissuto con lancinanti sensi di colpa".

"Oddio chi l'ha scritta questa stronzata".

"Sarà stata Azzolina".

"Cheppalle anche Azzolina però".

"Azzolina è un altro membro del collettivo, se non sbaglio".

"Sì, è il membro che cerca di essere divertente".

"Madò che palla al cazzo".

"Quindi insomma non siete così punk".

"Ma certo che siamo punk, è quella cosa del sesso che non ha senso, ci piace qualsiasi tipo di sesso? come fai a dire una cosa del genere".

"No, ma levatele l'internet".

"Azzolina è quella che ha scritto Sesso con gli ursidi, ne deduco".

"Sì, diciamo che è responsabile di tutto quel côté lì, polimorfo perverso".

"Poli-che?"

"Quindi insomma voi non vi riconoscete necessariamente nelle note che ho letto sul vostro bandcamp, ad esempio, quella cosa del postmaschilismo..."

"Ah sì, quella".

"Bella stronzata".

"Le Solite Stronze sono un collettivo postmaschilista parzialmente inesistente".

"Guarda, è uno dei pochi casi in cui c'è stata davvero una discussione, cioè all'inizio c'era scritto postfemminista".

"Postfemminista?"

"Poi anche con Rosa ci siamo confrontate, e sembrava che fosse un modo di porci fuori dal femminismo, cosa che almeno per quanto mi riguarda non ha senso. Allora ci siamo dette..."

"Vaffanculo, mettiamoci postmaschilista".

"Come se avesse un senso".

"E ha un senso?"

"Boh, è un po' la classica trovata che fa discutere, quindi perché no... uno può anche ragionare così, dopo il maschilismo cosa può esserci?"

"Il femminismo".

"Per esempio".

"Quindi siete femministe".

"Di sicuro, anche se ci riconosciamo in ondate diverse... ma diventerebbe un discorso complesso".

"Più che altro una rottura di cazzo".

"In effetti date spesso la sensazione di giocare su una certa ambiguità, per esempio nel primo brano dell'album..."

"Ah, non so, quello l'ha scritto Rosa".

"È anche uno dei più ironici..."

"Sì, l'ironia è la sua cosa... penso che nasca tutto da una fantasia che a volte una persona può avere, quando ad esempio ti si rompe un rubinetto in casa, e la prima cosa che pensi è: ma per riparare questo rubinetto, chi mi devo scopare? E da qui nasce tutto un sogno a occhi aperti di Rosa che adesca un idraulico in un locale, poi se lo porta a casa e..."

"Che non mi sembra proprio una cosa femminista".

"Ma che cazzo vuoi saperne tu, invece questa idea di considerare l'uomo come un mero strumento che deve assolvere specifiche funzioni sessuali e/o manutentive e poi levarsi dai coglioni..."

"L'uomo oggetto, insomma".

"L'uomo oggetto, esatto. Voi avete rotto i coglioni per millenni con gli angeli del focolare".

"Direi che per due minuti possiamo anche ribaltare la prospettiva, non dico che sia il futuro del femminismo, ma..."

"Portrebbe trattarsi di postmaschilismo".

"Cazzo, sì".

"Scusa, devo chiedertelo. È proprio necessario che dici tutte queste parolacce?"

"È il mio personaggio".

"Ok, però..."

"Fottiti".



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Era il rivo strozzato che gorgoglia

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(Un disco per l'estate 2024)


Ricapitolando: a metà anni Novanta qualche vocalist da villaggio turistico in Sicilia si mette a recitare versi di poesie nel tentativo di emulare un successo di Fiorello; l'esperimento fallisce, l'estate finisce, i vocalist tornano a Torino o Bologna a studiare boh, ingegneria... ma proprio in quel periodo e in quei luoghi, curiosa coincidenza, prende forma il progetto Ossi di Seppia: ovvero la versione trip hop della prima raccolta poetica di Eugenio Montale, uscita clandestina per l'etichetta Autori Avari. A distanza di trent'anni e più, nessuno ha ancora capito chi fossero gli OdS; chi sa tace, forse perché si vergogna o più probabilmente perché le poesie di Montale sono ancora coperte dal copyright. I pochi che ricordano il progetto stanno ancora aspettando le Occasioni.

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Rifugio d'uccelli notturni

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(Un disco per l'estate 2024)

(Non so se ci avete fatto caso, ma persino il livello dei tormentoni radiofonici estivi è in crollo verticale. Le cause possono essere molteplici; il successo dello streaming ha probabilmente determinato un tracollo culturale degli addetti alla programmazione radiofonica, ecc. ecc.. Comunque siamo a un punto in cui il tormentone potrei benissimo scoprirlo persino io, magari pescando tra gli episodi meno noti della discografia dell'ultimo mezzo secolo. Ad esempio:)  


Pochi rammentano che nel 1993 Fiorello con la sua versione di "La nebbia agli irti colli" non solo riscosse un travolgente successo, ma scatenò per emulazione una vera e propria sotto-scena della discodance siciliana, i cui vocalist si misero a saccheggiare i versi dei più celebrati poeti italiani nella speranza che funzionassero bene con delle basi techno. Speranza quasi sempre delusa, e in effetti questa vague disco-lirica è passata alla storia per la velocità con la quale riusciva a svuotare le piste alla domenica pomeriggio: i ragazzini schizzavano via, forse in cerca di biblioteche dove approfondire la conoscenza dei classici, ma siccome era difficile che ne trovassero aperte più probabilmente si davano alla droca. Comunque questa rimane l'ineguagliata hit di dj Quasimodo, Rifugio di uccelli notturni.

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