Nessuno si aspettava Giovanni XXIII
10-10-2024, 20:08omofobie, pontefici, santiPermalink11 ottobre: Sant'Angelo Giuseppe Roncalli, che per soli cinque anni fu Giovanni XXIII e la Chiesa non è più stata la stessa
Forse stasera non ho così voglia di scrivere una vita di Giovanni XXIII, abbiate pazienza. Invece qualche settimana fa passavo da Brescia, il che c'entra assai poco perché Giovanni XXIII è nato in provincia di Bergamo. Ma io invece passavo da Brescia e dopo un po' mi sono accorto che c'era il gay pride, che a BS a quanto pare cade in settembre. Così, non avendo niente di speciale da fare, ci siamo fatti un pezzo di gay pride, che forse non ne avevo mai fatto uno (per pigrizia più che per omofobia, ma soprattutto perché di solito cadono in giugno e puzzo di sudore solo a pensarci). Mi è sembrata una festa tranquillissima, salvo che ogni tanto c'era della gente in tenuta sadomaso, i quali poi erano i più tranquilli di tutti. C'erano tutte le classiche cose del corteo generalista, compresi i radicali che non riescono a stare al loro posto, prendono le scorciatoie, cercano la rissa, ecc., tutto veramente regolare. Più in là c'era il classico soundsystem techno con le drag queen che sarebbe stata l'unica cosa che i giornalisti avrebbero ritenuto necessario fotografare, ma noi stavamo verso la coda, dietro un furgoncino che metteva musica più allegra e a un certo punto le ragazze che ballavano sul furgone si sono fermate e una ha detto: "questa la dobbiamo cantare tutteeeeeee!", e ha fatto partire, ha fatto partire
Ti ringrazio mio Signore e non ho più paura, perché
con la tua mano nella mano degli amici miei,
cammino con la gente della mia città
e non mi sento più solo.
E si sono messi a cantare tutte, tutti, tranne effettivamente me che non ci riuscivo per via di un rospo in gola e alcune lacrime.
Immagino di dover spiegare. Ti ringrazio mio Signore è un canto di chiesa, di quelli che si fanno con la chitarra. Io a dire il vero l'ho suonato anche con l'organo, a messa. Ma più spesso con la chitarra: l'ho fatta lenta e in Do alle messe dei vecchi, l'ho fatta veloce e in Re alle messe dei giovani. L'ho fatta ai matrimoni e (spero di non averla fatta ai) funerali, l'ho suonata e l'ho cantata e poi un giorno me la sono dimenticata e per ricordarmela dovevo capitare, di tutti i posti al mondo, al gay pride di Brescia. Cantavano tutti. Può darsi che si tratti del peculiare ecosistema di una città che ormai è tra le più progressiste in Italia (senza aver smesso un attimo di essere democristiana: è il resto d'Italia che ha fatto diversi passi indietro). Ma alla fine questo è il tipo di canzone che cantavo quando crescevo in una parrocchia, negli anni Ottanta. Magari mentre questionavo col parroco o polemizzavo con il nuovo catechismo di Wojtyla. Nel frattempo cantavamo
Amatevi l'un l'altro come Lui ho amato noi,
e siate per sempre suoi amici.
E quello che farete al più piccolo tra voi,
credete, l'avete fatto a Lui.
Ed era l'unica cosa su cui fosse necessario essere d'accordo. La Chiesa in cui credevo era questa cosa qui, e non era nuovissima, ma neanche tanto vecchia: aveva l'età delle Seicento che ancora si vedevano in giro. Le preghiere erano tutte nuove, belle traduzioni dal latino degli anni Sessanta, in un italiano semplice ed elegante. I discorsi erano ancora relativamente contemporanei. Era una Chiesa moderna e non si vergognava di esserlo. A farla uscire dal guscio, a dare perlomeno la prima martellata, era stato un certo Angelo Giuseppe Roncalli, che tutto sembrava tranne un rivoluzionario. Ma sono i migliori, col tempo l'ho capito.
Tra tanti aneddoti si racconta che Monsignor Roncalli, quand'era ancora patriarca di Venezia, visitò il palazzo vescovile di Lodi e vide un quadro che ritraeva un papa. Quando chiese che papa fosse, si sentì rispondere: Giovanni XXIII; al che obiettò, forse scherzosamente, che non si trattava di un papa ufficiale, bensì di un antipapa. Che però aveva avuto l'indubbio merito di indire il concilio di Costanza, un passo decisivo nella riconciliazione dello scisma avignonese: e però pur sempre un antipapa. O no? Forse la questione non era chiara, del resto tra tutti i nomi dei papi, "Giovanni" è il più utilizzato e anche il più problematico, tanto che tuttora non risulta un Giovanni XX omologato. Forse proprio per evitare l'imbarazzo di decidere se il XXIII era stato un papa o no, dal quindicesimo secolo in poi i papi avevano smesso di chiamarsi Giovanni. Fino al 1959, quando Pio XII morì e Roncalli arrivò per il conclave a Roma, in un'atmosfera di basso impero (un prelato aveva venduto ai giornali le foto del papa morto en déshabillé). Sapeva di avere qualche chance, per vari motivi, non ultimo la sua anzianità: già da qualche anno i cardinali mormoravano che dopo il lungo papato di Pio XII ne serviva uno più breve, di transizione. Però a ben vedere tra i cardinali ce n'erano tanti persino più anziani di lui.
Roncalli aveva il vantaggio di essere italiano (il suo principale competitor fu un patriarca armeno), e tra gli italiani, il più cosmopolita: è un dettaglio può sfuggire, ma prima di arrivare a Venezia Roncalli aveva avuto una carriera più diplomatica che pastorale, da nunzio apostolico in Bulgaria (dove era riuscito a impedire molte deportazioni verso i lager), in Turchia e in Francia (dov'era riuscito a salvare la cattedra a molti vescovi che avevano collaborato coi nazisti). Una virtù dei diplomatici è proprio quella di saper nascondere la propria personalità, così che nel conclave del 1959 Roncalli risultava uno dei candidati più interessanti proprio perché nessuno lo conosceva veramente: sembrava affidabile, e rassegnato a durare poco. Assumendo il nome di Giovanni e il numerale XXIII risolse un problema, irrisorio ma indicativo: proprio perché aveva poco tempo a disposizione, forse Giovanni voleva utilizzarlo per risolvere problemi, pendenze. E a proposito di pendenze, c'era un Concilio che aspettava di essere concluso ormai da novant'anni, quando gli italiani avevano conquistato Roma interrompendone definitivamente le sessioni.
Pio XII, che aveva avuto molto tempo per affrontare la pratica, aveva convocato una commissione che aveva lavorato per tre anni prima di giungere alla conclusione che Santità, il concilio era meglio non convocarlo, non chiuderlo, lasciare tutto così, aspettare, non si sapeva neanche più esattamente cosa, chi. Lo scoprimmo nel 1959: il mondo stava aspettando papa Giovanni, che invece di concludere il Concilio Vaticano I decise di indirne un secondo. La Chiesa che conosciamo oggi, quella in cui qualcuno di noi è cresciuto litigando e schitarrando, deve probabilmente a questa decisione la sua sopravvivenza nella società. Roncalli aveva poco tempo e lo usò, oltre che per stravolgere la Chiesa, per creare l'icona del papa contemporaneo, quello che si frappone tra i potenti della terra chiedendo pace, che scrive le encicliche rivolgendosi non ai cristiani ma a tutti gli uomini "di buona volontà" (anzi, le fa scrivere ai suoi collaboratori: Giovanni XXIII non credeva giusto nascondere il gioco di squadra e a volte lo rivendicava). Il papa buono che abbraccia i bambini, che fa un'improvvisata all'ospedale e lo scambiano per Babbo Natale, per via dell'ermellino rosso. Quello che tutti dopo di lui hanno cercato di reinterpretare, tranne Ratzinger, Ratzinger no, ermellino rosso a parte.
Giovanni XXIII è il patrono di tutte le persone che passano la vita a sopportare diplomaticamente il prossimo, ingoiando magoni e andando avanti, perché sognano di arrivare un giorno sul trono più alto e quel giorno faranno quello che vogliono, tirando giù il mondo se è necessario: questo non succede ovviamente quasi mai, ma quando succede è fantastico, gloria a Giovanni XXIII.
La barbuta crocifissa
19-02-2023, 23:31arti figurative, miti, omofobie, santiPermalink20 febbraio: Santa Paola la barbuta, leggenda di Avila
Crocefisso di Santa Wilgefortis Museo diocesano di Graz By Gugganij - Own work, CC BY-SA 3.0 |
Una donna con la barba, quindi, è considerata più forte di una donna senza, ancorché indesiderabile. Che i digiuni scombinati intrapresi da alcune mistiche nei conventi potessero causare squilibri ormonali con annesse complicazioni tricologiche non è del tutto implausibile, ma la leggenda non sembra alludere a questo, né agli ermafroditi degli antichi miti (nessuna vergine barbuta risale a prima del 1200). La vergine barbuta potrebbe invece essere una di quelle leggende che nascono da un equivoco iconografico, ovvero in quelle situazioni in cui a un certo punto alcuni fedeli si trovano davanti un'immagine sacra che non riescono bene a spiegarsi: in questo caso una donna barbuta e crocefissa. Ma chi avrebbe mai crocefisso una donna barbuta, e perché?
Il Volto Santo di Lucca Di Joanbanjo - Opera propria, CC BY-SA 3.0 |
In questo caso l'equivoco potrebbe essere stato generato dalla circolazione di souvenir – sì, anche nel medioevo li fabbricavano e vendevano, ma nella maggior parte dei casi si trattava di riproduzioni di immagini sacre molto famose. Ad esempio i pellegrini che transitavano da Lucca (ed erano molti) avrebbero molto facilmente riportato a casa una piccola copia del Volto Santo, il crocefisso che è il vero simbolo della città, dall'origine piuttosto misteriosa. Secondo i lucchesi risaliva ai tempi di Gesù, e non era stato scolpito da mano umana: si tratterebbe invece di un'immagine acheropita, una copia 3D del corpo di Cristo ritrovata da San Nicodemo e in seguito salpata dalla Palestina su una nave senza marinai, e ritrovata presso il porto di Luni dai lucchesi. Per molto tempo abbiamo pensato che la leggenda coprisse un'origine orientale del crocefisso, che però resta tutta da dimostrare: lo stile è meno bizantino di quanto vorrebbe sembrare, e faceva propendere i critici per un rifacimento medievale di un oggetto più antico andato perduto. Nel 2020 un esame col carbonio14 ha messo in crisi questa ricostruzione: a quanto pare il Volto Santo è davvero un oggetto molto antico, risalente più o meno all'800. Può darsi che a quei tempi e in quei luoghi fosse normale scolpire un crocefisso completamente vestito dalla testa ai piedi, con una tunica dalle maniche lunghe: non ci sono rimasti molti crocefissi dello stesso periodo, mentre alcune immagini posteriori abbastanza simili sembrano proprio basate sul Volto di Lucca, che già prima del 1000 era diventato un'immagine molto famosa e diffusa. Perlomeno da questa parte delle Alpi, dove una riproduzione del Volto sarebbe stata facilmente interpretata come un crocefisso 'alla lucchese'.
Nel resto d'Europa invece questa immagine, emersa dalle tasche di qualche pellegrino, lasciava perplessi: la tunica sembrava più adatta a un corpo femminile. Questo avrebbe stimolato il fiorire di leggende, tra cui si sarebbe imposta quella della figlia cristiana di un re pagano che non volendo sposare il suo promesso sposo (pagano) avrebbe pregato fino ad ottenere da Cristo quella barba necessaria a sventare il matrimonio – per essere poi crocefissa dal padre deluso e disgustato. Messa in questi termini, la storia ha avuto un discreto successo fino al Cinquecento, quando le forme più estrose della religiosità popolare sono state messe al bando sia dalla riforma protestante che dalla controriforma cattolica: anche se Vilgefortis (invocata anche contro i mariti violenti) ha resistito in qualche martirologio fino al Concilio Vaticano II, e ad Avila Santa Paola si venera ancora.
Il papa che non volle essere grande
07-01-2023, 13:34Chiesa, coccodrilli, omofobie, ponteficiPermalinkArrivando a tomba già chiusa, non credo di avere molto di originale da dire su Joseph Ratzinger. In questi giorni mi tengo in allenamento scrivendo piccole agiografie, ed è anche un modo per ricordarsi com'è vacua la gloria degli uomini: trovi un papa del secondo secolo, leggi che è famoso per aver contrastato quell'eresia o quell'eresiarca, poi controlli bene e scopri che l'eresia è del secolo successivo e l'eresiarca non è mai passato da Roma, insomma è difficile trovare qualcosa di interessante da dire per tutti i papi.
Forse tra qualche secolo chi parla di Benedetto XVI si troverà nella stessa difficoltà? Non credo, e però già in questi giorni ho visto molti agiografi improvvisati isolare due episodi particolarmente equivoci: il solito discorso di Ratisbona e la solita cacciata dalla Sapienza. Per questa gente insomma è il Papa che fu criticato per aver parlato male di Maometto (ma non è vero) e perché voleva fare un discorso all'università: e non è vero neanche questo. Sono già leggende, e proprio per questo funzionano; un comunicatore professionista le poteva già liquidare al tempo come mosse false, ma in seguito avrebbe dovuto ammettere che avevano funzionato meglio di tante mosse escogitate a tavolino. Non c'è un tratto che renda riconoscibile la nuova destra conservatrice meglio del vittimismo, e in entrambi i casi, senza volerlo e magari senza capirlo, Benedetto XVI riuscì ad accreditarsi come vittima di una modernità tritatrice di valori tradizionali.
Poco importa che lo stesso tradizionalismo di Ratzinger sia tutto sommato una cosa nuova (se non proprio posticcia): non solo Ratzinger nel suo periodo cosiddetto progressista fu uno dei teologi animatori del Concilio Vaticano II, ma anche la sua successiva virata a destra era possibile soltanto nello spazio aperto dalla Chiesa postconciliare – tutti questi nuovi tradizionalisti antigender non hanno letteralmente idea di quanto siano comunque moderni rispetto alle posizioni della Chiesa preconciliare, e di quanto poco ci avrebbe messo un Pio XII a scomunicarli tutti al minimo segno di dissidenza. Chi sta sulla frontiera disperato per l'arrivo dei barbari di solito ignora di essere barbaro di padre, di madre, a volte pure di nonna.
L'idea che Benedetto XVI volesse imprimere una sterzata conservatrice alla Chiesa la può concepire solo l'ingenuo che non ha letto abbastanza wikipedia da sapere che Ratzinger era stato il braccio destro di Giovanni Paolo II per gran parte del papato di quest'ultimo (era il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che neanche troppo tempo prima si chiamava ancora Santa Inquisizione); la sua elezione fu immediatamente interpretata dai vaticanisti competenti nel segno della continuità – prova ne è che Benedetto mantenne l'anticomunismo radicale del predecessore anche se nel frattempo il comunismo aveva smesso di costituire una minaccia: del resto non è che puoi cambiare idea a ottant'anni, non è per questo che ti nominano papa.
La svolta a destra fu soprattutto percepibile nei simboli: il ritorno dell'ermellino rosso, le famose scarpette di Prada (che non erano di Prada, neanche esse), perfino la scelta di un nome così tradizionale che nel 2005 era uno choc – per la maggior parte dei cristiani viventi era uno choc che potesse sussistere un papa diverso da Giovanni Paolo. La stessa apertura ai lefebvriani, che a mio irrilevante parere non la meritavano, ma che in effetti impediva loro di giocare lo stesso gioco vittimista che i vedovi di Ratzinger stanno giocando in questi giorni. La messa in latino, molto auspicata da gente che il latino non lo capisce ma tanto a messa non ci va (in linea di massima il vedovo ratzingeriano è uno che in una parrocchia media italiana non ci passa neanche a Pasqua e Natale). Tutte sciocchezze, viste da lontano: addobbi barocchi per chi non riesce a vedere la trama, ora qualche malizioso potrebbe far notare che stucchi e addobbi sono esattamente la specialità del Vaticano. Ma il Novecento ci aveva abituato a pontificati più interessanti e lo stesso Ratzinger, alla fine, non passerà alla storia per aver subito questa narrazione di pontefice conservatore perseguitato dalla modernità: il suo contributo più interessante è proprio quello più innovativo.
La cosa più importante che ha fatto Benedetto XVI è avere rinunciato a essere Benedetto XVI: è anche la maggior rottura rispetto al papa precedente, alla visione escatonica di Giovanni Paolo II, il papa che non voleva rinunciare al suo ruolo prima di morire e che fino a un certo punto non credeva di dover morire. Non tutti i papi possono essere grandi papi, ma immagino che ci voglia una certa umiltà e autoconsapevolezza per accettare che non è capitato a te: questa umiltà e autoconsapevolezza, Joseph Ratzinger è riuscito a conservarla sul soglio papale oltre gli ottant'anni. Per questo sarà ricordato, più che per il cappellone rosso e le babbucce.
Per il resto, il suo pontificato dimostra quanto è difficile riuscire a conservare la Chiesa cattolica nella modernità tanto quanto il pontificato successivo dimostra quant'è difficile innovarla. La modernità è un cambio di paradigma che rende normali cose prima impensabili, ma soprattutto considera scandalose cose prima praticabili e praticate. Da grande inquisitore, il cardinale Ratzinger aveva potuto osservare da un punto di vista privilegiato questo cambio di consapevolezza che dagli anni Ottanta in poi ha reso migliaia di ecclesiastici, prima irreprensibili, passibili colpevoli di abusi nei confronti di bambini e adolescenti. Cosa poteva fare?
Fino a un certo punto, credo finché gli è stato possibile, Ratzinger ha taciuto: perché concedere anche solo un caso significava ammettere indirettamente di averne insabbiate altre migliaia. A un certo punto questa strategia non era più praticabile: Ratzinger è stato probabilmente l'uomo che lo ha capito e che ha messo, nel frangente, la proverbiale "faccia". Non era ancora stato eletto, anzi l'ammissione di una certa "sporcizia" nella Chiesa può essere stato il momento in cui ha fatto capire ai cardinali di essere in grado di prestarsi, quasi ottantenne, a un ruolo di capro espiatorio che avrebbe fatto tremare i polsi a chiunque altro (compreso Bergoglio, che a quanto pare nel 2005 implorò i colleghi di non eleggerlo).
Ratzinger accettò questo fardello, lo portò su di sé per otto anni in cui furono scoperchiati diversi scandali, e per tutto questo tempo reagì in un modo che personalmente trovo molto discutibile, ma allo stesso tempo non credo che esistessero altri modi per un papa di reagire: scaricando la colpa sulla modernità. Ovvero, se preti e suore toccavano i ragazzini e le ragazzine loro affidati, la colpa era della modernità che aveva portato un vento di lussuria anche nei collegi e nei conventi. Quando? Più o meno a partire dagli anni Sessanta, e quindi dallo stesso Concilio Vaticano II. Prima, niente lussuria, niente abusi.
Chi in questi giorni voglia opporsi alla figura di Ratzinger come grande intellettuale può fermarsi su questo punto, perché per difendere l'idea che gli abusi del clero siano più un problema di modernità che di clero bisogna bendarsi più e più volte; ignorare tutti gli studi che dimostrano statisticamente quel che poi è abbastanza ovvio, cioè come i colpevoli di abusi svolgano professioni o attività a diretto contatto coi minori, ma anche mettere di nuovo a tacere voci che nella Chiesa denunciano il problema da un millennio, a partire almeno dal famoso Liber Gomorrhianus di San Pier Damiani. Il papa che ai tempi recepì le critiche di Pier Damiani con una certa moderazione fu accusato da talune malelingue di essere lui stesso un sodomita; il Ratzinger che di fronte a scandali sistemici continuava a mantenere l'idea che i collegi traboccassero di purezza e santità fino all'arrivo dei juke-box e delle minigonne, ecco lui stesso senza accorgersene non riusciva a non ispirare l'idea di essere il padrino di un'enorme confraternita millenaria di sodomiti in incognito, decisi a mantenere il segreto sul vero motivo per cui da secoli non vogliono cedere il controllo delle scuole. L'ermellino rosso, appunto, e le babbucce, e quello sguardo malizioso da cattivo del film...
E d'altro canto cosa avrebbe dovuto fare Ratzinger? Voi cosa avreste fatto al suo posto, sul suo Soglio? Annunciare urbi et orbi va bene, scusate, fino a trent'anni fa fustigare i cattivi studenti non era un reato, e anche abusarne un po' era considerato un peccato, sì, ma non così grave: tanto che chi sin da giovane sentiva questa inclinazione (magari dopo essere stato abusato a sua volta in un collegio) si orientava facilmente verso una carriera ecclesiastica? Come dire che ogni cultura è relativa, quel che era morboso oggi non lo è più, quello che ieri non lo era oggi invece lo è, ecco questo relativismo è difficile da accettare persino per i woke multicolore di oggi, immaginate quanto può esserlo per un papa.
Nemmeno Francesco, che è così tanto più simpatico, può uscire al balcone e dire va bene, ogni istituzione culturale preposta all'insegnamento dei giovani ha avuto nei millenni la sua percentuale di abusatori, è un problema noto sin dalla Grecia classica ma per molto tempo non è stato IL problema, è chiaro che se sovrapponete le categorie di adesso con quello che abbiamo fatto per secoli possiamo risultare un'istituzione internazionale che garantiva ai pedofili copertura e contatti, ma è un po' come paragonare Cortés a Hitler... ah ma voi volete anche paragonare anche Cortés a Hitler? Insomma così relativisti non siete neanche voi.
La modernità non è il superamento dei paradigmi; è essa stessa un paradigma e forse col tempo avrà anche la sua Chiesa: ma non può essere quella cattolica che lotta per restare rilevante in Europa (e soprattutto in America e Africa, dove il relativismo è un avversario molto relativo: quello prioritario non è nemmeno l'Islam, ma il protestantesimo e in generale il turbocalvinismo di gente come Bolsonaro).
(E contro il turbocapitalismo di gente come Bolsonaro, io se c'è da difendere i cattolici, con tutti i loro enormi difetti, non credo che mi tirerò indietro).
Un pezzo su Sanremo non me lo paga nessuno, comunque ecco gli appunti
06-02-2022, 12:51omofobie, SanremoPermalinkLa metto giù da cretino. Checco Zalone fa un numero di repertorio (a naso è fine anni '90) in cui recita la parte del viados. Probabilmente tra tante cose sue è stata scelta perché c'era l'orchestra, e far suonare all'orchestra la sigla delle fiabe su disco "A Mille ce n'è..." è un richiamo irresistibile per il pubblico di una certa età. Gli altri hanno anche il diritto di restare freddi.
Il bersaglio satirico primario, diciamo il livello 1, è il cittadino benestante (il re della fiaba) che esecra pubblicamente i viados ma poi approfitta dei loro servizi. È una satira contro l'ipocrisia.
Checco-Zalone, ricordo, è un personaggio, un cozzalone, anzi "Che cozzalone!": incarna lui per primo uno stereotipo: non è come Fiorello che te lo immagini in casa esattamente come in studio e ti viene l'ansia. La sua satira è sempre almeno su due livelli, e al livello 0 c'è lui che fa il viados con l'accento brasiliano: una cosa che fa ridere perché gli stereotipi fanno ridere (anche se non sono corretti), e perché l'uomo-donna fa ridere, la confusione sessuale, fa ridere (anche se secondo me è spesso un riso d'imbarazzo, ma forse proietto).
Dunque se ho ben capito la maggior parte di chi critica il numero di Checco Zalone al livello 1 non c'è neanche arrivato. Non ha capito che il vero zimbello della storia è il re che fa finta di trovare scandaloso il viados ma in realtà è un suo cliente. Non si può dire nemmeno che non abbiano capito un sottotesto, perché non è un sottotesto: è il testo, è quello che Zalone canta nella canzone. Non l'hanno ascoltata, si sono fermati all'intonazione brasileira. C'è questo problema, che l'indignazione facile ti risparmia la fatica di ascoltare letteralmente quel che ha da dire un attore, anche un attore popolare e popolaresco come Zalone.
La maggior parte di chi critica il numero di Checco Zalone gli rimprovera di usare uno stereotipo, e qui io temo di dover sostenere che non si dà comicità senza stereotipi, e mi dispiace molto perché a questo punto qualcuno proporrà di abolire la comicità e qualcuno sospirerà: ok, se per ogni numero comico dobbiamo sorbirci critiche del genere, chiudiamola qui e riapriamo tra una generazione quando tutto sembrerà completamente nuovo e un peto con le ascelle farà il tutto esaurito (a quel tempo noi saremo i vecchi noiosi che trovano tutto scandaloso).
Qualcuno sosterrà, e potrei anche dargli ragione, che tra tanti stereotipi che CZ poteva tirar fuori il viados non era né il più fresco (la frecciata a Lapo è un indizio della deperibilità del materiale), né il più adatto a un festival che come ogni festival canoro è sempre molto più genderfluido del pubblico che intrattiene. Giusto. Io magari potrei obiettare che tutti gli spettacoli in cui uomini si travestono da donna e viceversa sfruttano questo tipo di stereotipi e questo tipo di comicità, compreso cose che hanno il loro bel sigillo di approvazione Lgbtq. A questo punto dovreste spiegare al cretino perché una drag queen può lavorare su questi stereotipi e CZ no, e cercare di convincerlo che non è una banale battaglia di posizione: CZ no perché è cisgender. Poi è vero, il contesto è tutto, la stessa parola può essere becera se la dice un etero e autoironica se lo dice un non-etero. Ma questa è la fregatura: il pubblico etero continuerà a trovarla becera, continuerà a ridere di una drag perché è buffa, non perché è liberatrice. Oppure (come il re ipocrita) ne approfitterà per solleticare in sé istinti che non ha intenzione di socializzare.
4/2
5/2
C'è questo giornalista mi pare del Messaggero che ogni giorno in conferenza stampa a Sanremo fa delle domande e nessuno riesce a rispondergli: Amadeus, il direttore della Rai, quegli altri, nessuno, in compenso lo odiano e lo chiamano Mattia come se fosse il ragazzino che gli porta le bibite. Dopo due giorni che stressava per capire quanto avrebbe contato il voto della sala stampa in percentuale – due giorni in cui hanno continuato ad arrampicarsi sugli specchi declinando supercazzole e dimostrando di non avere la minima idea, probabilmente in monte a tutto c'è uno stronzo con un foglio excel blindato e non lo fa vedere a nessuno (c'è sempre uno stronzo così e senza di lui crolla tutto) – oggi ha fatto notare semplice semplice che Morandi, invitando Jovanotti oltre il termine prefissato dal regolamento (24 gennaio), ha perlappunto violato il regolamento. Non ha completato il ragionamento, ma posso provarci io: ieri Morandi ha vinto la serata, se putacaso oggi batte Mahmood e Blanco scoppia un casino. Di fronte a questa evidenza conclamata, la reazione di Amadeus è da antologia, anche se dubito la rivedremo mai nelle Teche Rai: gli casca completamente la maschera da amicone e dice: io sono una persona corretta, e se tu pensi che io non sia una persona corretta, beh ieri ho fatto il 60% "e me lo voglio godere", quindi la correttezza c'est lui. Il direttore di rete (credo sia lui) ha aggiunto che anche lui è una persona molto corretta e tranquilla, e ha fatto bene a dirlo perché in quel momento allo spettatore occasionale poteva sembrare una persona arrabbiata che aveva consentito ad Amadeus di falsare il concorso e di ammetterlo in conferenza stampa, più che teche rai potremmo vedere il filmato tra qualche ora nella sezione pornhub degli avvocati. A questo punto, considerato che la gara è falsata, che anche quel 60% viene estratto da cadaveri di gente morta addosso all'auditel dopo tre ore di cover, che Mahmood Sanremo l'ha già vinto e l'eurofestival non lo vince neanche stavolta, io propongo come vincitore morale di Sanremo duemila-duemilaventi Mattia del Messaggero, scusa Mattia ma a furia di sentirti chiamare Mattia del Messaggero anch'io mi sono scordato il cognome. (Scherzo, si chiama Marzi).
6/2
Scusate ma mi sto innerdando con l'età: era mai successo che sul podio ci fosse solo gente che aveva già vinto? E inoltre Mahmood ha già vinto il doppio di volte di Albano Carrisi (e di Gianni Morandi).
Sergio e Bacco: santi, sposi e gay?
07-10-2021, 02:36omofobie, santiPermalink7 ottobre: Santi Sergio e Bacco, martiri e patroni dei matrimoni gay
Robert Lentz, 1994 Icona per il gay pride di Chicago |
Si sa che le torture delle storie di martiri si assomigliano un po' tutte, per via che gli agiografi si leggevano tra loro e si copiavano spesso. Di santi frustati e bastonati ce n'è tanti, ma di santi costretti a vestirsi da donna ci sono solo questi due graduati dell'esercito, la cui amicizia fraterna è spesso sottolineata nelle icone da un altro elemento inusuale: le due aureole appaiono intrecciate. Del resto è lo stesso Bacco, apparendo a Sergio la notte prima del martirio, a dare l'impressione di non poter salire in cielo senza di lui, tradendo una certa fretta che il sacrificio si completi. Insomma Sergio e Bacco – che in Oriente diventarono santi molto popolari dopo il quarto secolo – sembrano comportarsi come una coppia. Prima qualcuno avrebbe avanzato l'ipotesi: e se fossero quel tipo di coppia? E se questa fosse stata la loro vera colpa, taciuta dagli agiografi ma rivelata indirettamente dal bizzarro castigo escogitato dall'imperatore: la parata in vesti femminili, una parodia del matrimonio?
Santo Sergio (basilica di San Demetrio a Tessalonica) |
L'ipotesi di Boswell è stata più volte smontata, anche da studiosi che riconoscono il valore pionieristico delle sue ricerche: e però non è difficile capire perché sia stata abbracciata da molti militanti LGBT. Per Foucault, semplificando brutalmente, l'omosessualità come la intendiamo oggi è un costrutto sociale: esiste finché esiste la nostra società, che è tutt'altro che una società ideale. Per Boswell l'omosessualità è qualcosa di più vicino a un dato di natura: ne sono esistiti in qualsiasi società, e hanno sempre variamente cercato di ottenere un riconoscimento della loro condizione e delle loro relazioni. Per quanto labili siano le prove, la teoria ha il pregio di venire incontro alle aspirazioni di tanti desiderosi di conciliare la propria omosessualità con la fede cristiana; magari è solo una leggenda, ma non più di qualsiasi altra leggenda di santi: esiste perché qualcuno ne ha sentito il bisogno. Nel 1996 un pittore frate francescano (e gay), Robert Lentz, dipinse per il gay pride di Chicago un'icona dei Santi Sergio e Bacco che divenne immediatamente il pezzo più riprodotto del suo catalogo. I due santi di Lentz sono trentenni di aspetto atletico, com'è lecito del resto immaginare due ufficiali dell'esercito, ma molto diversi da quelli tramandati dall'iconografia bizantina, che invece ne sottolineava gli aspetti quasi femminei.
Il Cameo "Rothschild": ritratto di Onorio e moglie e (in seguito) di Bacco e Sergio |
A un certo punto gli stessi bizantini potrebbero aver cambiato paradigma e avuto problemi a interpretare le loro vecchie icone (magari tra una crisi iconoclastica e l'altra): capita così che a Costantinopoli un cameo che in origine raffigurava probabilmente l'imperatore Onorio e sua moglie venga ridedicato a Bacco – la figura maschile – e a Sergio: a quest'ultimo tocca la figura in precedenza femminile, più piccola. Chi incise i nomi dei due santi sul cameo forse aveva ancora più difficoltà di noi a riconoscere la sessualità di un personaggio che, pur ornato di orecchini, sfoggiava capelli insolitamente corti: oppure non ebbe altra scelta, se voleva salvare il cameo doveva trasformarlo in un'immagine di santi, e una coppia di santi maschio e femmina non esisteva, non era prevista. E siccome molte storie di santi non nascono prima delle immagini, ma per spiegare le immagini (vedi San Nicola), non è escluso che l'episodio del mascheramento dei sue santi sia stato inventato da un agiografo proprio per spiegare come mai in un mosaico o in un affresco i due venivano raffigurati in uno stile che già nel V secolo poteva sembrare troppo femminile.
Marina e l'invidia del saio
17-06-2021, 23:38omofobie, repliche, santiPermalinkNon so di chi sia, è convenzionale ma è la rappresentazione più androgina che ho trovato. |
L'episodio un po’ boccaccesco fece il giro del mediterraneo e ci è arrivato in dozzine di versioni diverse. In sostanza, il giovane Marino/Marina, già stimato da tutti i confratelli per la rettitudine e le virtù eccetera, viene inviato da qualche parte insieme con una delegazione di monaci. Nella locanda dove pernottano, un soldato giunto nottetempo stupra la figlia dell’oste. Quando i genitori se ne accorgono è troppo tardi, il soldato è già tornato alla tenebra donde è venuto, e la fanciulla è disonorata per sempre. L’unica è incolpare qualcun altro; in questo sono fortunati, perché Marino, l’irreprensibile Marino, denunciato davanti al suo superiore, non osa difendersi. Anzi, a un certo punto confessa la sua impossibile colpa. In questo possiamo ravvedere il masochismo tipico del folle di Dio, che decide di caricarsi delle colpe degli altri, ma anche un atteggiamento più prosaico: Marino aveva ben altro da temere che un’accusa di violenza sessuale, robetta. Al risarcimento ci avrebbe pensato il monastero. Quello che rischiava veramente, Marino/a, era il rogo per travestitismo: indossare indumenti non confacenti al proprio sesso era peccato mortale, e mille anni dopo sarebbe stato ancora il cardine di tutto il processo-farsa a Giovanna d’Arco. Marina insomma è una peccatrice, che diventa santa proprio in quanto peccatrice: una contraddizione che si spiega soltanto se immaginiamo la sua storia all’incrocio tra due civiltà diverse.
Il Vangelo di Tommaso prometteva il Regno dei Cieli a “ogni donna che si farà uomo” – ma fu escluso abbastanza presto dai testi canonici. Quando la storia di Marina comincia a diffondersi nel Mediterraneo, il cristianesimo è già una cultura egemone che aspira prima d’ogni cosa all’ordine: donne e uomini se ne stiano al loro posto. Ma il nocciolo della storia contiene ancora l’anima del cristianesimo degli inizi, una setta di folli che in attesa di una fine imminente avevano abolito la proprietà e le differenze di ceto e di genere. Marina nel frattempo deve abbandonare il monastero, ma pazienza: basta trasferirsi lì nei pressi, vivere rettamente e aver pazienza, prima o poi l'avrebbero riaccolto/a – figurati se lo bandiscono a vita per uno stupro, uno stupro solo? figurati.
Nove mesi dopo, la sorpresa.
Marino/a si trova un fagotto davanti alla porta di casa. Non le resta che improvvisarsi padre. Con che latte? Qui le versioni divergono: chi s’immagina una miracolosa montata lattea nella vergine-monaco, chi suggerisce che il latte glielo portassero i pastori. Preferisco quest’ultima: mi lascia il sospetto che una storia del genere possa essere capitata davvero. Marina cresce il figlio non suo come un padre, avviandolo ovviamente alla carriera monacale; e ovviamente se lo porta con sé quando i confratelli decidono di riammetterlo, a tre anni dal fattaccio. Continuerà a mostrarsi un esempio di rettitudine e virtù per il resto della sua esistenza; il suo segreto sarà scoperto soltanto quando i monaci ne spoglieranno il cadavere per pulirlo. Questo aspetto della storia a un certo punto divenne un po’ scabroso (monaci scoprono vagina in un cadavere), sicché nacque la variante del biglietto: prima di morire Marina avrebbe lasciato scritto: “sono una donna, ciao, non fate troppi pettegolezzi”, o qualcosa del genere. Noi ovviamente preferiamo la scena in cui i monaci si trovano davanti alla vagina di un cadavere:
“Ehi, aspetta, ma l'affare dov'è?”
“Non capisco. Forse è molto piccolo”.
“Pure pare lo sapesse usare”.
“Zitto! Cerca bene, dev’esserci”.
“Ma succede così quando muori? Ti si ritira?”
“Miracolo!”
“Ma sta’ zitto! Questa è una vagina”.
“Che cosa?”
“È una vagina, ti dico”.
“Fratello, non può essere!”
“Invece è così”.
“Io non sarei così sicuro, fratello, di quel che hai visto da ragazzino in un bordello a Tessalonica”.
“Ehi, ritira quello che hai detto”.
Segue rissa. Per cercare di disbrigare il bandolo, i monaci tornano alla locanda fatale. L’oste cade dalle nuvole; la figlia invece confessa durante una crisi isterica, o come si diceva allora, esorcismo. San Marina è patrona delle gravidanze difficili, dei genitori non standard, e si invoca per far sgorgare l’acqua o il latte. Il nome l’ha resa molto popolare tra i marinai, i monaci del mare, anche loro spesso inclini a favoleggiare di fanciulle travestite, compresse in abiti da mozzo. Dopo il crollo dell’Impero Bizantino, Venezia ne volle a tutti i costi le spoglie e le trovò, ma non fu sempre un’ospite all’altezza.
Leopardi? Quale Leopardi?
10-11-2020, 00:33italianistica, omofobie, poesiaPermalink(Riassunto della puntata precedente: qualche mese fa è uscito Silvia è un anagramma, un saggio di Franco Buffoni che si propone come un atto di “doverosa giustizia biografica” nei confronti di alcuni poeti laureati che non avrebbero avuto la possibilità di esprimere la loro sessualità: “quasi certamente il caso di Leopardi, e forse anche quello di Pascoli e di Montale”. Ma quanto ha senso ampliare la categoria della letteratura LGBT anche ad autori vissuti in periodi in cui la comunità LGBT non esisteva? E nello specifico caso di Leopardi, rimestare nel biografico non significa in qualche modo 'recintare' le idee di un poeta e pensatore che ha sempre voluto dare alle sue riflessioni un respiro universale? Non si rischia di distogliere l'attenzione dal suo pensiero e rimettersi a pensare ai suoi problemi, alla sua salute, alla sua... gobba?)
La gobba di Leopardi, dicevamo.
Quando leggiamo i Canti, le Operette Morali, lo Zibaldone – quando crediamo di leggere Leopardi – ce la troviamo sempre in mezzo. Sì, avrei potuto essere più allusivo, parlare di una “vita strozzata” come Benedetto Croce, o nascondermi nell'impassibilità dei tecnicismi: Leopardi soffriva probabilmente del morbo di Pott, una sindrome debilitante che gli causò terribili sofferenze e di fatto lo isolò dalla società che pure cercò di frequentare. Chiedo scusa: sono il risultato di un'educazione per lo più audiovisiva, tendo a pensare per immagini e quando leggo a Leopardi non penso “vita strozzata” o “morbo di Pott”: vedo una gobba. Mi sbaglio? Se le indicazioni di un autore valgono qualcosa sì, mi sbaglio: quella gobba non dovrei vederla, o almeno dovrei accettare che non c'entra nulla con i risultati poetici e filosofici di Leopardi.Come affermò lui stesso, in una famosa lettera a Louis de Sinner: “È soltanto per effetto della viltà degli uomini che si è voluto considerare le mie opinioni filosofiche con il risultato delle mie sofferenze personali. […] Prima di morire, protesterò contro questa invenzione della debolezza e della volgarità e pregherò i miei lettori di dedicarsi a demolire le mie osservazioni e i miei ragionamenti piuttosto che accusare le mie malattie”. Discutete i miei argomenti, non i miei malanni (nel biopic di Martone, il personaggio interpretato da Elio Germano afferma qualcosa del genere in una gelateria napoletana: si tiene in piedi a malapena, anche impugnare il cucchiaino è un supplizio. Non c'è proprio verso che noi spettatori possiamo non vedere tutto questo, anzi, il motivo per cui siamo andati al cinema è proprio per assicurarci una volta per tutte che il grande poeta, il filosofo della vanità del tutto, era un povero gobbino infelice).
La gobba di Leopardi, che per lui fu fonte di vergogna e infelicità, per noi lettori è molto comoda. Soprattutto al liceo, che diciamocelo: è l'unico momento della vita in cui la maggior parte di noi ha sentito la necessità di leggere una manciata di poesie di Leopardi, due o tre dialoghi, qualche pensiero. Materiale limitato ma più che sufficiente a esporre il liceale al nudo sconforto di una visione dell'universo senza scampo per l'uomo – per fortuna che c'è la gobba, col suo rassicurante retropensiero: Leopardi la pensava così perché soffriva tanto. Leopardi non sarebbe stato affatto d'accordo, ma non c'è più.
All'inizio del secolo scorso per qualche tempo sembrò giungere in suo soccorso la cosiddetta critica idealista, che aveva il suo campione nel filosofo Benedetto Croce. Per Croce la Poesia, con la P maiuscola, era valida fuori dal tempo e dallo spazio – oggi noi diremmo dal contesto. Persino un poeta come Dante, così legato alla società del suo tempo e invischiato in un dibattito politico che oggi fatichiamo a ricostruire: persino lui andava considerato “poeta” per le pagine della Commedia che era riuscito miracolosamente a riscattare dal contesto storico, a rendere universali e comprensibili ai lettori di ogni civiltà.
Nel dopoguerra, al declinare dell'idealismo (che ha lasciato qualche strascico nei libri di testo) è subentrata una lettura più sottile e problematica. Sul mio manuale di liceo, trovo una sottolineatura e una nota: “Timpanaro piace al prof moderno”. Cosa diceva Sebastiano Timpanaro che probabilmente avrei dovuto riferire al “prof moderno” che avrei incontrato nella commissione di maturità? Che la sofferenza di Leopardi era stata un “formidabile strumento conoscitivo”. Proprio perché aveva sofferto più di tutti noi, Leopardi era riuscito a sintonizzarsi su questo specifico aspetto dell'esistenza e ce lo aveva generosamente offerto, anche a noi maturandi felicemente fidanzati con una lunga vita davanti. Non più un Leopardi Igor, ma un Leopardi agnello sacrificale. Non più una gobba-schermo, ma una gobba-antenna, collegata con tutto il dolore e la vanità del mondo. La definizione di Timpanaro era veramente felice: ci consentiva di recuperare la tragica biografia del poeta e di ritrovare l'ironia amara nascosta nemmeno così subdolamente tra le righe del Sabato o della Quiete dopo la tempesta. Ci consentiva di apprezzare quel poco di Leopardi che leggevamo, ma soprattutto di sopravvivere alla sua tetra filosofia.
Ora però arriva il movimento LGBT e pretende di smontare quella gobba, di interpretarla in un modo diverso, magari di piantarci un vessillo arcobaleno: tutto legittimo, ma destabilizzante. E comunque rischioso. Spulciando tra i carteggi leopardiani (testi già noti agli studiosi), Buffoni scopre che a Napoli Leopardi era uso intrattenersi “con gli scugnizzi in cambio di avarissime mance”. Anche in questo caso, non si tratta in senso stretto di una scoperta: ma fin qui i leopardisti l'avevano considerata una semplice debolezza umana, qualcosa di non interessante, che anzi avrebbe distratto i lettori e soprattutto gli studenti. Alcuni avranno anche pensato – a torto o a ragione – che nella Napoli di quegli anni gli scugnizzi erano semplicemente più abbordabili delle fanciulle, e che frequentarli non era sufficiente per determinare con precisione a quale gradino della scala Kinsey Leopardi dovesse essere assegnato. I tempi cambiano (o per dirla con Foucault, il dispositivo del Potere muta le sue forme) e all'improvviso nel 2020 la stessa circostanza diventa l'indizio probante di un'omosessualità socialmente repressa ma non del tutto nascosta. Va tutto bene, purché tra qualche anno non ci tocchi buttar vernice su qualche monumento a Leopardi – nel momento in cui qualcuno più militante farà presente che pagare gli scugnizzi non è politicamente corretto. E non c'è dubbio che non lo sia.
E se Leopardi fosse gay? (ce ne dovremmo interessare?)
29-10-2020, 01:25italianistica, omofobie, poesia, rifiutatiPermalinkMarcos Y Marcos |
Manifestanti, 2025: Toh, guarda, una statua di Leopardi! Pagava i ragazzini e pure poco! Buttiamola giù, maledetto efebofilo!
È già successo un'estate di quasi vent'anni fa. Il Centro Nazionale di Studi Leopardiani ventilò l'ipotesi di querelare chi metteva in dubbio la “forte attrazione per le donne” di Giacomo Leopardi, “documentata da poesie e lettere”. Questa presa di posizione seguiva la scoperta in una chiesa salentina di una lettera autografa in cui il poeta si riferiva all'amico-convivente Antonio Ranieri con espressioni come «Addio, anima mia» oppure «Ti stringo al mio cuore». Già ai tempi l'ipotesi dell'omosessualità di Leopardi era una non-notizia, per più di un motivo: non era dimostrabile (simili espressioni di affetto Leopardi le riservava anche a corrispondenti dell'altrui sesso) e non era nuova: di lettere in cui Leopardi si riferiva a Ranieri con epiteti molto teneri ce n'è ben più di una.
Gli studiosi di Leopardi non ignorano la questione, anche se per molto tempo l'hanno trattata come i proverbiali panni sporchi da non lavare in pubblico. In compenso già negli anni '90 la questione era stata scoperta dagli attivisti LGBT: fondamentale fu un articolo di Giovanni Dall'Orto comparso nel 1996 su Babilonia (poi ripreso e ampliato sul suo sito web). Magari se ne ritornerà a parlare in questi mesi dopo l'uscita di Silvia è un anagramma, un saggio di Franco Buffoni che si propone come un atto di “doverosa giustizia biografica” nei confronti di alcuni poeti laureati che non avrebbero avuto la possibilità di esprimere la loro sessualità: “quasi certamente il caso di Leopardi, e forse anche quello di Pascoli e di Montale”.
Buffoni è tutto meno che uno spulciatore di vecchie lettere a caccia di pettegolezzi. Poeta, traduttore specializzato in letteratura romantica inglese, romanziere, fondatore con Mario Mieli del primo nucleo del movimento LGBT italiano: se ha un'ipotesi sulla sessualità di Leopardi, vale la pena di esaminarla serenamente. Qui raduno alcune obiezioni preliminari, che più che smontare il discorso militante di Buffoni servono a raccapezzarmi su un fastidio, temo, che condivido con altri studiosi e lettori di Leopardi per lo più eterosessuali – cos'è che ci disturba tanto, in un eventuale outing del Conte? Siamo semplicemente omofobi o c'è qualcosa di più?
Ovviamente spero che ci sia qualcosa di più – ma non ne sono così sicuro.
L'operazione di Buffoni, e di Dall'Orto prima di lui, è manifesta: dimostrare che la comunità LGBT non nasce all'improvviso alla fine del XX secolo, ma ha antecedenti illustri e documentati, o meglio, documentabili – almeno finché il Potere eteronormativo non ci mette la mano. Il che è plausibile, ma può condurre a distorsioni non meno gravi di quelle prodotte dal Potere. “Ci sarà sempre qualcuno che […] continuerà imperterrito a ritenere che Aspasia fosse la Targioni-Tozzetti”, scrive, suggerendoci che faremmo meglio a identificare la protagonista dell'omonimo canto in Ranieri. Sarà: ma non è poi così facile vedere le fattezze del barbuto amico di Giacomo nella “dotta allettatrice” che “fervidi sonanti baci” scoccava nelle labbra dei suoi bambini, che “con la man leggiadrissima” stringeva “al seno ascoso e desiato”. Perché dovremmo escludere che Leopardi si sia sentito attratto da almeno una donna nell'atto assai poco efebico di accudire i figlioli (una MILF, diciamola tutta), e che la poesia non parli esattamente di questo? Un conto è ammettere che Leopardi possa avere avuto e manifestato pulsioni omosessuali: un altro è pretendere che queste pulsioni debbano necessariamente esaurire lo spettro della sua sessualità, come se sulla scala di Kinsey non ci fossero almeno cinque gradini intermedi.
È in casi come questi che un critico eterosessuale trova inevitabile affidarsi all'autorità di un Michel Foucault: “L'omosessualità è apparsa come una delle figure della sessualità quando è stata ricondotta dalla pratica della sodomia ad una specie di androginia interiore, un ermafroditismo dell'anima. Il sodomita era un recidivo, l'omosessuale ormai è una specie” (La volontà di sapere, 1976). La curiosità di Dall'Orto e Buffoni per le pulsioni del Conte non sarebbe che una delle forme più recenti della sempre mutevole foucaultiana Volontà di Sapere: e a tal proposito devo annotare che in questi mesi mi è capitato di sentire più di un interlocutore affermare che un Leopardi gay sarebbe una bella notizia per tanti studenti. All'inizio ero abbastanza incredulo che uno ragazzino potesse trarre qualche tipo di consolazione dall'esempio di un poeta dalla vita breve, dolorosa e infelice – che possa sentirsi ispirato a un approccio più ottimista dall'autore del Dialogo di Tristano (“Invidio i morti, e solamente con loro mi cambierei”!) Come se avessimo tolto Leopardi dalla polverosa teca degli Intoccabili Poeti Laureati soltanto per consegnarlo alla vetrina pop dei modelli aspirazionali: accanto al cosmologo paraplegico, alla pittrice invalida, all'inventore figlio di immigrati, e in generale a tutti i poeti-artisti-studiosi additati agli studenti non tanto per la qualità delle loro opere o scoperte, ma perché ce l'hanno fatta trionfando contro pregiudizi sociali o handicap fisici. Tutto un pantheon postmoderno basato peraltro sulla fallacia del sopravvissuto o survivorship bias. Non riesco a pensare a niente di meno intimamente leopardiano, ma forse sono solo un etero geloso. Pensavo che proclamando “l'infinita vanità del tutto”, il Conte avesse fatto della delusione per Aspasia una figura dell'infelicità umana, e che quindi stesse parlando anche di me, a me; quando sarò costretto ad accettare che la sua infelicità è quella di chi è costretto a “nascondere il proprio orientamento sessuale per timore della sanzione della società e della legge”, potrò ancora riconoscermi in A Se Stesso senza sentirmi rimproverare di appropriazione culturale?
Inoltre: se il vero motivo dell'infelicità di Leopardi fosse l'impossibilità di vivere la sessualità che più gli aggradava, il movimento di liberazione LGBT non solo conterrebbe la risposta alle sue angosce, ma in un qualche modo risolverebbe la sua poesia. I Tristani del futuro non dovranno più nascondere il loro orientamento, e non si sentiranno più tentati dal suicidio. Il pessimismo cosmico dei nostri appunti liceali si sgonfia in un più rassicurante pessimismo sentimentale: anche l'infelicità più radicale viene ricondotta a una più gestibile insoddisfazione sessuale.
Queste obiezioni, ora che le ho messe nero su bianco, non mi sembrano così probanti. Alla fine non sono che l'ennesimo episodio di un estenuante, plurisecolare dibattito intorno a uno degli oggetti più ingombranti della storia della letteratura italiana: la gobba di Leopardi (continua).
L'arcivescovo in guêpière
16-07-2019, 02:07omofobie, repliche, santiPermalinkChe patrono del cacchio |
Da donna come?
La leggenda non lo dice! e quindi siamo liberi di sfrenarci: reggicalze, guêpière, eccetera. Anche se più probabilmente era un semplice sottanone, neanche troppo diverso da quelli che veste un prete: ma siamo nel settimo secolo, quasi ottavo, qualsiasi indumento femminile in quella situazione sarebbe risultato piuttosto conturbante.
Bisogna anche dire che il mattutino si cantava molto presto: prima dell’alba. Con tutto questo, per arrivare vestiti da donna in cattedrale ci vuole una certa disattenzione. Vale la pena di ricordare ancora una volta che il travestitismo fu ritenuto per tutto il medioevo un peccato gravissimo (carnevale a parte), e che l'unica prova veramente trovata per bruciare Giovanna d’Arco come strega fu il fatto che si era messa in pantaloni. In seguito Vitaliano riuscì a dimostrare che si era vestito così a sua insaputa: alcuni suoi nemici, preti invidiosi che mal digerivano la sua popolarità presso i fedeli capuani, gli avrebbero sostituito nottetempo i paramenti sacri con abiti femminei; Vitaliano poi era uno di quelli che al mattino si vestono alla cieca, senza neanche accendere il lume, e così… in fondo sempre gonne sono, no? Devo dire che non è così implausibile. Meno di un vescovo col fetish degli indumenti femminili? Non saprei.
Fieni pure a noi, Fitaliano: noi capiamo le extrafakantze tegli uomini ti fede. |
Mi sto inventando.
È estate, dai.
Ma insomma rivolevano tutti ardentemente Vitaliano, e Vitaliano… non tornò. Cioè, sì, ma appena per un’ospitata di una sera – più che sufficiente a far piovere e ad allontanare il morbo. Ma non si fermò, si vede che non si sentiva più a suo agio; e forse presagiva la fine. Si ritirò in eremitaggio presso due o tre cime diverse – c’è sempre un po’ di concorrenza – nei pressi di Caserta o forse più verso Avellino, dove il Monte Virgiliano fu ribattezzato, in suo onore, Montevergine. E dove poteva anche infilare un paio di mutandine di pizzo sotto il cilicio senza che nessuno avesse niente da dire.
In occasione della sua festa, gli abitanti di Capua si vestono tutti da donne comprese le donne, e poi si abbracciano e si baciano fino al mattutino e anche oltre. No.
Mi sto inventando.
Ma sarebbe divertente, insolito, e credo che gioverebbe anche al turismo, insomma io se fossi nella pro loco ci farei un pensiero. Vitaliano è patrono di tutti gli uomini molto sbadati o che fanno finta, e che si vestono al buio e certe volte arrivano a lavorare con delle mises che ma ti sei visto? Eh, no, scusa, ancora no…. Mado’ che vergogna… San Vitaliano proteggimi.
Pelagio e il sultano malvagio
25-06-2019, 11:26miti, omofobie, santiPermalink[2013].
“Rodrigo!”
“Mio signore...”
“Come sta il prigioniero?”
“Neanche un graffio, mio signore”.
“Vorrei anche vedere, sai che ne risponderesti con la vita. Ma il morale?”
“Mi pare piuttosto spaventato”.
“Sì, eh?”
“Sta sempre nell'angolo della tenda, non vuole dare le spalle a nessuno”.
“Chissà per chi ci ha presi. Quanti anni avrà, secondo te?”
“Anche quattordici. Questi mori sono precoci”.
“Ma quale moro e moro, non l'hai visto? È biondo”.
"E adesso gli tagliate la gamba destra, grazie". |
“Gli occhi, già. Portalo qui, Rodrigo”.
“Chiamo il bardo?”
“Ma che bardo e bardo, servi una cena leggera piuttosto”.
“Subito, mio signore”.
***
[Entra il ragazzo moro (biondo)].
“Vieni avanti, vieni, non aver paura. Come hai detto che ti chiami?”
“Non ho detto niente, signore”.
“E dimmelo adesso”.
“Alì”.
“Figlio di?”
“Ibn Mohammed”.
“E ti pareva. E Mohammed tuo padre era figlio di...”
“Di un altro Alì”.
“Certo che voi infedeli, con rispetto, ma ci avete una fantasia coi nomi che non riesco a capire come possano le vostre madri riconoscervi...”
“Signore, abbiamo un solo Dio, e un profeta. Forse è per questo che abbiamo pochi nomi”.
“Ma senti il paggetto teologo, sentilo. Stai insinuando che noi cristiani abbiamo tanti nomi perché siamo idolatri?"
"No, io..."
"Anche noi abbiamo un Dio solo, sai”.
“Ma ha fatto almeno un figlio, a quanto mi risulta”.
“Ma senti che boccaccia. Lo sai che potrei farti frustare? Lo sai? Qua fuori ho tutti gli strumenti all'uopo, e i miei uomini non vedrebbero l'ora di sentire le urla di un infedele che...
[Bussa il servo].
“Che c'è?”
“Mio signore, la cena”.
“Ah già, porta qui. Cos'hai?”
“Melone e prosciutto”.
“Melone e... ma sei fuori di testa? Ma ti pare il caso?”
“Mio signore, è tutto quel che c'è in cambusa, io pensavo che...”
“Pensavi, tu pensavi, ma lo vedi il ragazzino? Ma secondo te lo mangia il prosciutto, uno così?”
“E perché no, signore?”.
“Imbecilli. Sono circondato da imbecilli. Perché è un saraceno, razza di capra di Mursia!”
“Mio signore, con rispetto, ma... è un prigioniero”.
“E allora?”
“Scusate...”
“Che c'è, ragazzino”.
“Se non è un problema, io mi contento del melone”.
“Vede signore? Si contenta del melone”.
“Non abbiamo altro?”
“In questo momento no, finché non arriviamo a Toledo...”
“Uff, Toledo. Sparisci”.
***
“Ti piace il melone?”
“Molto”.
“Devi scusare il mio servo. È un imbecille. Ce n'è parecchi, qui. Questo è il motivo per cui la Riconquista va per le lunghe, sai”.
“Perché ci sono troppi imbecilli?”
“Altrimenti avremmo già espugnato Cordova da cinquant'anni e rispedito tutti gli infedeli al di là del mare. Voglio dire, che ci vuole. Fosse per me la faccenda si sistemerebbe in una primavera. Assedi Cordova in febbraio, Granada in marzo, e... ma non voglio rivelarti i miei piani”.
“Non sarei comunque in grado di capirli, signore”.
“Hai la risposta pronta, tu. Mi piaci. Voglio dire, mi piace come rispondi”.
“Non mi frusterete?”
“Magari sì, ti frusterò, adesso vediamo, per ora mangia. Vedi Mohammed... posso chiamarti Mohammed?”
“Mi chiamo Alì”.
“Alì, già. Vedi, vorrei che tu sapessi che anche se adesso ti può sembrare tutto orribile, la prigionia, le torture eccetera... vorrei che capissi che ci siamo passati tutti – a chi non è capitato di essere dato in ostaggio, o di essere rapito in una scorreria...”
“Signore, avete impalato mio padre”.
“Tuo padre, lasciatelo dire, era un rompicoglioni che mi assillava dai tempi di Segovia. Aveva sgozzato mio cugino. Non che mio cugino non fosse anche lui un imbecille, anzi, avessi potuto scegliere tra i due non so chi avrei fatto fuori prima. Però adesso non cercare di impressionarmi con tuo papà impalato. Siamo in guerra, queste cose capitano”.
“Esiste solo la guerra?”
“Che io sappia sì”.
“Ma quando è cominciata?”
“Niente, qualche secolo fa gli infedeli sono arrivati per mare, han cacciato i Visigoti da tutta la Spagna tranne qualche castellaccio nelle Asturie, dopodiché...”
“Io avevo sentito dire che cominciò quando gli asturiani invasero il Califfato”.
“Eh, eh, certo, come no, siamo sempre noi quelli cattivi che cominciano”.
“Non è così?”
“No, avete iniziato voi. Non potevate starvene di là dal mare?”
“E prima che arrivassimo noi... non c'era la guerra?”
“Ce n'erano altre, contro i Bizantini, i Franchi... ma non è la stessa cosa. Io per dire contro un Franco non mi sarei mica messo a cavallo”.
“E perché?”
“Perché i Franchi sono tipi a posto. Oddio, puzzano di muffa di formaggio, ma a parte questo sono cristiani. Tra cristiani ci si può andar d'accordo. Ma gli infedeli sono come i corvi in un campo. O mangi tu o mangiano loro. E loro non coltivano niente”.
“Ma veramente, i giardini di Cordova...”
Da qualche parte qui dentro c'è pure una chiesa. |
“Signore, avete al collo l’oro di mio padre”.
“Ah sì? Scommetto che prima era di mio cugino. Noi, vedi, abbiamo un sistema che funziona. I contadini lavorano la terra, e i signori…”
“…mangiano?”
“Li difendono”.
“Li difendete da noi infedeli, quindi anche di noi c’è bisogno”.
"Sì, esatto. Però se la guerra la vinceste voi – cosa impossibile – ma sai che succederebbe? L’estinzione. Fareste piazza pulita della Spagna, vi mangereste tutto finché non crescerebbe più niente”.
“Ma è già successo che vincessimo, e la Spagna è ancora qua”.
“Certo, sì, conosco l’obiezione, ma l’ottavo secolo era una cosa diversa. I musulmani di allora non erano come voi. Cioè per certe cose erano peggio, erano barbari. Ma in fin dei conti non erano molto diversi dai barbari di prima. Gente rude che passa a cavallo, uccide chi gli si para davanti, e si prende la terra. Come prima di loro i Visigoti e prima di loro i Vandali. Ordinaria amministrazione”.
“Mentre adesso?”
“Adesso vi siete raffinati, vi siete inventati queste cose, le città… ma hai presente Cordova? Mi spieghi cos’è Cordova?”
“Non ci sono mai stato”.
“Ci sono stato io da bambino, sai che sono stato ostaggio di Mohammed Ibn Mustapha, magari lo conosci”.
“Conosco Mustapha Ibn Mohammed”.
“Magari è suo figlio”.
“Ha sessant’anni”.
“Allora no. Comunque Cordova è una città enorme, ventimila abitanti, te li immagini nello stesso recinto, ventimila cristiani…”
“Ventimila musulmani”.
“Che parlano, vendono, comprano, dalla mattina alla sera non fanno che vendere e comprare, e nessuno che coltivi un feudo come si deve…”
“Ma veramente i giardini…”
“E dagli coi giardini, è un'ossessione la vostra. Lo so, bellissimi i giardini, però non è una società quella lì, è un bordello. Non può andare avanti. Gente che urla anche di notte…”
“Il muezzin?”
“E poi il bordello, la rilassatezza dei costumi… tu sei giovane e queste cose ancora non le sai, ma se sapessi quel che fanno ai ragazzini…”
“Io sono un ragazzino”.
“Per l’appunto”.
“Nessuno mi ha mai fatto niente di male”.
“Forse eri ancora troppo giovane. In un certo senso sei fortunato, ti abbiamo strappato alle grinfie di una società pervertita, se solo potessi immaginare…”
“Signore, non credo di capire”.
“Beh, ti basti pensare a San Pelagio”.
“Non so di cosa state parlando”.
“Ma già, certo, da voi è vietato parlarne. Allora facciamo così: te lo racconto io, mentre finisci il tuo melone. Potresti anche innaffiarlo col moscato, che ne dici?”
“Non so cos’è, ma probabilmente non dovrei…”
“Assaggia, assaggia, non c’è niente di male. Pelagio, oh, Pelagio, se lo avessi visto, quando suo zio a dieci anni lo cedette come ostaggio al Califfo di Andalus! Pelagio era gentile, disponibile, paziente, il più immacolato dei figli di Dio; ma soprattutto, Pelagio era…”
“Devoto?”
“…bellissimo. Due labbra di ciliegia su un incarnato pallido, tanto più prezioso nel cuore torrido della Spagna – e gli occhi, due olive more, piccole, morbide, amare, che a momenti gliele avresti strappate e succhiate, oh quant’era bello Pelagio; e il Califfo, il perfido califfo, il vizioso califfo, se ne innamorò”.
“Mi sembra tutto, con rispetto, assai improbabile”.
“E invece non poteva andare diversamente, il Califfo essando vizioso, e ricco, ed esausto ormai di ogni piacere, senz’altra legge fuorché quella abominevole di voi infedeli…”
“Ma veramente da noi i sodomiti li bruciamo vivi. Oppure li lanciamo dai minareti a testa in giù, li lapidiamo, a volte le tre cose in sequenza ”.
“Lo vedi che siete dei selvaggi? Posso finire la storia? Dov’ero rimasto?”
“Dicevate che Pelagio era bellissimo”.
“Ah, sì, altroché. Un torso snello, atletico il giusto. Due polpacci non volgari, ma pronti a indurirsi, al minimo sforzo, come due mele renette, ché il perfido Califfo gliele avrebbe morsicate”.
“Essendo perfido”.
“Tre anni crebbe in lui questa demoniaca passione, finché un giorno, rimasto solo con lui, non cedette alla fiamma che lo divorava e Pelagio, urlò, Pelagio, convertiti e ti farò visir, ti farò emiro, sultano, quel che ti pare, ma baciami, Pelagio te ne supplico! Placa questo ardore, o sarai tu a bruciare”.
“E Pelagio?”
“Giammai, gridò, che io possa morire squartato piuttosto che rinnegare la mia fede! Tu perfido califfo, covo d’ogni sozzura, se vuoi il mio corpo dovrai prima farlo a pezzi”.
“E il califfo…”
“…Lo accontentò. Gli fece tagliare le braccia ben tornite, poi le superbe gambe, poi quel che restava ahinoi! Ma fino all’ultimo taglio non smise il bel giovine di rimproverare la lussuria del Califfo”.
“E poi?”
“E poi niente, quando i cristiani si resero conto di come i califfi trattavano i preadolescenti, ripresero la Conquista con rinnovato impeto. Perciò il sacrificio di Pelagio non è stato vano”.
“E voi come fate a sapere la storia? Ci sono testimoni oculari?”
“Ce n’è uno che conobbe personalmente Pelagio e riferì la storia a Rosvita di Gandersheim”.
“Perdonatemi, mai sentita”.
“È una monaca della Bassa Sassonia”.
“Una donna rinchiusa, insomma, in un posto molto lontano da qui”.
“Uff, quanto la fai lunga…”
“E questo testimone conobbe Pelagio in libertà o in prigionia?”
“Penso che ti farò frustare un poco, adesso”.
“Non vorrei sembrare scortese, ho molto gradito la storia…”
“Grazie! Rodrigo! Porta il frustino da sei millimetri, manette e…un paio di piume d’oca. Mi piacciono i preliminari lunghi”.
“… e mi domandavo se non potrei ricambiarvi il piacere raccontandovene una a mia volta, prima che disponiate della mia vita”.
“Vuoi raccontare una storia? Tu a me?”
“Il sole è tramontato ormai, è l’ora in cui con le mie sorelle ci sedevamo a raccontare e ascoltare storie, prima che arrivasse la guerra”.
“C’è sempre stata la guerra”.
“Non ci avevamo fatto caso. E lei non aveva fatto caso a noi”.
“Sei proprio un amore di ragazzino. Sentiamo la tua storia. Ti torturerò più tardi”.
“C’era nel tempo dei tempi e negli anni passati un re della stirpe dei Sassanidi, che regnava nelle isole dell’India e della Cina”.
“Magari ti ammazzo pure. Ti faccio tagliare la testa”.
“Il suo nome era Shahriyàr…”
Ma se invece fosse un asessuale
05-04-2019, 21:215Stelle, omofobie, sessoPermalinkOppure potrebbe essere un asessuale. Perché esistono anche loro, e sono tra noi: persone scarsamente o punto attratte da persone di qualsiasi sesso. Il che non significa che non ne facciano, ma insomma, non lo considerano una priorità. Il vicepresidente potrebbe essere uno di loro. E sarebbe un problema, perché l'asessualità, quella sì, è davvero un tabù. Piuttosto di confessare di non avere una vita sessuale, un politico oggi potrebbe sentirsi costretto a fingere di avere una relazione, in modo così smaccato da suggerire al pubblica una doppia torbida vita sessuale che ci allontani ancor più dal pensiero che invece al vicepresidente il sesso più di tanto non interessi – potremmo mai fidarci di un politico sulla trentina senza appetiti sessuali? Più facile fidarsi di Casalino, diabolico Casalino.
Pier Damiani e l'annoso problema della sodomia
21-02-2019, 08:41cristianesimo, omofobie, pedofilie, preti parlanti, santiPermalinkCosa fareste per recuperare quel documento?
Ma cos'è che avevo scritto quella volta |
Avete messo sottosopra gli scaffali, rivoltato i cassetti come calzini. Tutti i dischi rigidi, tutte le chiavette, avete portato dai cinesi quel laptop che si è spento per sempre cinque anni fa. E più cercavate, più quel documento diventava interessante, necessario, fondamentale, unico. Perché è l’unico che non si trova più. Il che non è possibile; voi non buttate mai nulla. Probabilmente è nel posto sbagliato, archiviato col nome sbagliato, dove lo ritroverete quando sarà troppo tardi. Oppure lo avete prestato a qualcuno, sì: qualcuno sembrava curioso e vi siete fidati senza tenervi una copia, pazzi! A nessuno bisogna prestare i propri documenti, di nessuno ci si può fidare. Neanche di un papa. Non è un modo di dire, per esempio San Pier Damiani si fidò di un papa, e lo sapete come andò a finire, no? In effetti forse no.
Pier Damiani il dottore della Chiesa, Pier Damiani l’inflessibile, l’incorruttibile, l’uomo che in teoria riusciva a vivere soltanto in un eremo appartato, circondato dall’algido affetto dei suoi confratelli, Pier Damiani che invece per un motivo o per un altro era sempre in giro per Sinodi o a Roma a lobbizzare con questo e quel pontefice; Pier Damiani un giorno scrisse una lettera stranissima a due cardinali, una lettera matta in cui si prendeva gioco del papa in carica, proprio lui! Pier Damiani, il riformatore: ce l’aveva con Alessandro II. Stia attento, scriveva: che un papa di nome Alessandro c’è già stato e fu frustato a sangue. Ma che aveva fatto il secondo Alessandro per meritare anche solo un vago riferimento al supplizio inflitto ai ladri? Cosa poteva aver mai fatto un pontefice per meritare un’accusa infamante e neanche tanto velata da parte di Pier Damiani? Indovinate: non gli restituiva un manoscritto.
Glielo aveva chiesto per farsene una copia: e doveva averglielo chiesto in termini piuttosto perentori, se Pier confessa che altrimenti non glielo avrebbe dato. Quando era tornato a riprenderlo, niente: il documento non c’era più. Ma che c’era mai scritto, in quell’unico fascicolo autografo tra mille che Pier non poteva più andarsi a rileggere? Magari niente d’importante. Lui stesso protesta che era poca roba, nulla per cui valesse la pena litigare o perdere il favore di un pontefice. E invece era proprio quello che stava facendo: aveva aperto un contenzioso col vicario di Pietro. Non riusciva a contenersi, Pier Damiani il continente. Ma perché Alessandro non rendeva il malloppo? L’ipotesi banale resta la più verosimile: magari aveva perso tutto. Basta appoggiare il quinterno sull’angolo sbagliato della tua Cattedra; magari qualcuno viene a mettere a posto, con le migliori intenzioni del mondo lo infila nello scaffale sbagliato delle biblioteche vaticane, e bye bye Inedito del Dottore della Chiesa, vallo a ritrovare se ci riesci. Possono passare anni. Secoli.
Mi era venuto così bene quella volta maledizione |
Beh, è una specie di pietra miliare. Mettiamola così: sapete che la Chiesa ha questo problema dei preti pedofili, no? Ogni tanto se ne parla. Ecco: da quand’è esattamente che se ne parla? Quando è cominciato lo scandalo, o almeno quando la Chiesa ha iniziato a percepirlo come scandalo? Sono stime difficili da fare per uno storico. Di solito. Ma in questo caso no, in questo caso si può mettere una data quasi precisa: il primo a denunciare il fenomeno, in un latino ecclesiastico semplice ed elegante, fu Pier Damiani, nel Liber Gomorrhianus, indirizzato a papa Leone IX più o meno nel 1051. Quando si dice che il tal problema è annoso, pensate che questo specifico problema sta per compiere mille anni.
E prima non esisteva? Pier ne parla già come di una malattia morale ben nidificata. Più che i peccatori gli preme denunciare chi li copre: tutta una spaventosa rete di complicità sulla quale intende fare luce. In effetti chi voglia affrontare il Liber come se si tratti davvero del primo trattato di sessualità del medioevo rischia di restare deluso. Pier parla pochissimo dei peccati che denuncia; si capisce che ne prova un ribrezzo genuino. La sua casistica è limitata all’essenziale: secondo Pier ci sono quattro tipi di atti esplicitamente denunciati dalla Bibbia come contro natura. In ordine crescente di gravità: masturbazione solitaria, masturbazione reciproca, coito interfemorale e rapporto anale. Sono comunque tutti peccati mortali: chi li commette, secondo Pier, deve essere sollevato dall’incarico ecclesiastico. E la pedofilia? Pier ci arriva per gradi, esprimendo una riprovazione particolare per i presuli che iniziano al peccato i giovani che sono loro affidati. Oltre alla sodomia, in questo caso Pier intravede l’incesto, dal momento che il maestro è un padre spirituale, e il vincolo spirituale è più importante di quello carnale. In ogni caso, la soluzione è la stessa: chi pecca contro la natura e contro il vincolo famigliare deve perdere il suo incarico; gli deve essere impedito di confessarsi e ricevere l’assoluzione da un complice nel peccato (Pier aveva la sensazione che la cosa succedesse spesso). Ne va della salute morale della Chiesa, il papa deve assolutamente recepire la gravità del fenomeno e intervenire con severità. Il papa ringraziò, recepì, e qualche anno dopo fece sparire il manoscritto del Liber. Il primo caso di dossier sugli abusi del clero insabbiato dal clero. Notevole. Fin troppo.
Ma dove l’ho scritto accidenti, qui non c’è |
Quanto a Leone, sappiamo che il Liber gli era sostanzialmente piaciuto: che aveva definito la foga inquisitoria di Pier come “santa indignazione”, benché non intendesse recepire al 100% le proposte di Pier. “Noi agiremo più umanamente”, aveva scritto (“nos humanius agentes“). Leone in effetti intendeva degradare soltanto gli ecclesiastici non coinvolti in attività sodomitiche “da lunga abitudine o con molti uomini”. Ma la disponibilità papale a chiudere un occhio sulle scappatelle occasionali o sugli errori di gioventù non sconfessava affatto l’impianto accusatorio di Pier Damiani – si trattava anche di un gioco delle parti, tra due intellettuali consapevoli: a Pier toccava la parte del poliziotto cattivo, del magistrato inquisitore che chiede una pena di vent’anni per ottenerne cinque con la condizionale. Era una parte che doveva riuscirgli particolarmente congeniale: siamo tutti particolarmente spietati con i vizi che non condividiamo, e a Pier, tra tanti vizi che possono capitare a un povero cristiano, questo proprio non lo aveva. È sempre difficile parlare di sesso senza tradire una minima curiosità, una minima partecipazione: Pier non si tradisce perché davvero l’argomento non lo appassiona. Che si tratti di una pratica solitaria o di un rapporto anale con un minore, per lui la questione è molto semplice: la Bibbia dice che è male, Onan morì sul colpo, Sodoma e Gomorra furono incenerite, amen. È vero che la Chiesa non prese il suo Liber alla lettera, ma cominciò a porsi un problema dove prima non c’era nemmeno il problema. Per trovare un documento che proibisse agli stupratores puerorum di ricevere la comunione in punto di morte, Pier nel 1050 era dovuto risalire a un concilio del 305. In mezzo, settecento anni di silenzio. Dopo Pier invece qualcosa si mise in moto, anche se con la tipica prudenza dell’istituzione ecclesiastica, che vista da vicino sembra immobilismo. I sodomiti sarebbero stati esplicitamente espulsi dal clero e scomunicati solo nel secolo seguente, col Concilio Laterano III. Quanto al problema della pedofilia, c’è voluto qualche altro secolo, ma adesso se ne parla. Diciamo.
Il cast di Spotlight, un film del 2016 sul problema denunciato nel 1051 da Pier Damiani. |
Un giorno – più facilmente una notte – avete perso un documento. All’inizio non vi sembrava una grande perdita, ma ora che non lo trovate più vi rendete conto che era perfetto. A dire il vero queste cose ormai succedono sempre meno, ora che tutto è sulla nuvola. Per dire, a me capita di ritrovare cose che credevo perdute e bellissime, articoli che avevo scritto per magazine on line che un giorno sono andati offline senza preavviso e figurati se l’Internet Archive si è fatta una copia: poi un bel giorno mi viene in mente una data o una stringa e bingo! Li trovo proprio sull’Internet Archive.
E fanno schifo.
Non riesco nemmeno a leggerli, buon dio, bisognerebbe chiedere all’Internet Archive di cancellarli. Chissà che schifezza aveva scritto Pier Damiani, che papa Alessandro non gli voleva restituire, e che gli sembrava un capolavoro soltanto perché non poteva più rileggerla. Io per dire qualche ora fa ho cancellato senza volere le dieci righe che servivano a finire questo pezzo e ora mi dispero, sono convinto che non troverò mai più un finale altrettanto bello e necessario, e intanto prendo tempo raccontando inezie al lettore. Era tutta una digressione finale sulla Chiesa Cattolica come prodigiosa macchina celibe, ma proprio per questo condannata ad avanzare nei secoli guidata da un’esplosiva miscela di uomini (selezionati e svezzati nei collegi): omosessuali e asessuali (ancora oggi secondo il New York Times i sacerdoti USA di inclinazione omosessuale potrebbero essere il 40% – qualche ecclesiastico col gay radar particolarmente sensibile parla del 70%). Con questa fondamentale controindicazione, che gli asessuali proprio non capiscono gli omo, e quindi questi ultimi devono in tutti i modi nascondersi ai primi attraverso tutta una serie di ipocrisie e codici di comportamento e regole che ti spiegano perché devi metterti le scarpine porpora anche se a te francamente basterebbero due sandali e via che si va. E che comunque la macchina, con qualche strappo e qualche panne ogni tanto sarebbe potuta andare avanti ancora per molto, non avessimo chiuso quasi tutti i collegi. Ecco, il pezzo diceva più o meno questo, ma lo diceva molto meglio di così. Magari se facessi control+Z per mezz’ora ritroverei quelle righe, ma quante altre ne perderei che immediatamente dopo troverei più necessarie. Quindi niente, stanotte il pezzo finisce così, chiedo scusa.
(Per scrivere un pezzo su Pier Damiani ho letto diverse cose, non tutte capendole e molte dimenticandone; in particolare lo spunto del manoscritto sottratto da papa Alessandro l'ho trovato in un articolo di Irene Zavattero, "Il Liber Gomorrhianus di Pier Damiani").
Le frecce di Sodoma
22-01-2019, 17:30arti figurative, omofobie, santiPermalink"So-do-ma!", "So-do-ma!", "So-do-ma!"
Questa storia ce la siamo già raccontata: comunque siamo a Firenze intorno al 1515, è un bel pomeriggio di giugno. Ma chi è che urla così? Sono i festeggiamenti per il palio di San Barnaba: i ragazzini stanno chiamando a gran voce il vincitore – che non è il fantino, ma il cavallo – anzi no, il proprietario del cavallo: Giovanni Antonio Bazzi, nato a Vercelli e residente perlopiù a Siena, soprannominato il Sodoma. Lui stesso ha detto alla folla festante di chiamarlo così!
Un San Sebastiano del Mantegna (1456), con un buffo nodo al perizoma. |
Che sfacciato, però. E infatti appena "certi vecchi da bene" se ne accorgono ("Che porca cosa, che ribalderia è questa, che si gridi per la nostra città così vituperoso nome?") anche i "fanciulli" cambiano atteggiamento. Da festosi diventano violenti e intolleranti. Basta un attimo. Di maniera, che mancò poco, levandosi il rumore, che non fu dai fanciulli e dalla plebe lapidato il povero Soddoma, et il cavallo e la bertuccia che avea in groppa con esso lui.
Forse la Storia ci piace perché ci fa sentire meno soli. In qualsiasi secolo ci capiti di dare un'occhiata, troviamo sempre persone che amano, odiano, combattono, si stancano, si ammalano: proprio come noi. Tutto quello che succede a noi, è già successo infinite volte e questo a volte ci dà la vertigine, ma più spesso ci è di conforto. Ci è tanto di conforto che conviene diffidare: non è vero, tutte queste persone non erano necessariamente così simili a noi. Leggiamo un aneddoto di Gian Battista Vasari su un collega che gli stava antipatico, e ci sembra di aver trovato un episodio di omofobia tale quale potremmo leggerlo domani sul giornale ("artista gay inseguito e malmenato"). Non solo, ma ci sembra anche di aver messo a fuoco il prototipo di artista queer del Cinquecento: il Sodoma è una pazza.
San Sebastiano in boxer attillati (Antonello Da Messina) |
Il Sebastiano del Sodoma guarda in alto, verso un angelo che sta per deporre la sua testa l'agognata corona del martirio. È un errore curioso che molti critici e storici dell'arte non notano, appunto perché sono critici e storici dell'arte e non sono obbligati a sapere che Sebastiano non fu martirizzato con le frecce. Ovvero, la versione ufficiale (che nel Cinquecento era ancora quella di Iacopo da Varazze) stabilisce che Sebastiano fu attaccato a una colonna e sagittato "come un porcospino": è senz'altro l'episodio più famoso della sua vita... ma non è il martirio. La corona deve ancora aspettare.
Alle frecce, infatti, Sebastiano sopravvive grazie alle cure di Santa Irene di Roma e della sua domestica, Lucina. Queste due pie donne, venute a seppellirlo, si accorgono che respira ancora: nottetempo lo trasportano nella ricca casa di Irene (patrizia romana) e gli estraggono le frecce a una a una: lunga fatica clandestina che a noi lettori moderni sembra già accanimento terapeutico. Perché prolungare la vita a chi si è votato al martirio? E infatti appena guarito, Sebastiano corre a riconsegnarsi all'imperatore che lo ri-condanna, stavolta a morire flagellato: ed è la volta buona. Ad altri santi servono quattro o cinque supplizi prima di ottenere corona e paradiso.
Luigi Miradori (XVII sec.): Sebastiano curato dalla vedova Irene. |
Ancora il Mantegna: una freccia è orientata diversamente dalle altre, ed è quella che più lo fa sanguinare. |
Il Savonarola di Fra Bartolomeo. Il suo San Sebastiano invece è talmente peccaminoso che hanno tolto anche le foto da Internet, giuro, non riesco a trovarne. Consolatevi col profilo di fra Girolamo. |
I pittori del Rinascimento sono anche anatomisti: la figura di Sebastiano consente loro di indagare su aspetti che altri soggetti non consentivano. È l'unico santo di cui è consentito abbozzare sulla tela il pene, anche se coperto (e a volte la copertura ha una consistenza fallica: vedi quel maliziosetto del Perugino). Un pene lo abbozza persino l'austero Piero della Francesca, nel polittico della Madonna della Consolazione; per notarlo dobbiamo confrontarlo con il Cristo dello stesso polittico, a cui il pittore non osa aggiungerlo. In più di un caso i pittori, non potendo aggiungerlo, vi alludono puntando una freccia proprio in quella direzione (ed è la ferita che produce più sangue). Il messaggio è ambiguo: la freccia è il peccato, o la punizione che Dio ci riserva per esso, o la sofferenza di amore che il soggetto (passivo) deve sopportare, oppure va' a sapere, spesso i pittori non sanno perché decidono di dipingere una cosa invece di un'altra. E dobbiamo presumere che anche i committenti non fossero tutti bacchettoni ipocriti come i frati o i benedettini: che ci fosse anche chi desiderava Sebastiani bellissimi e non troppo trafitti; non si spiega altrimenti la sopravvivenza del modello anche dopo la Controriforma, quando gli alti prelati già avevano messo nero su bianco che Sebastiano andava dipinto come nel medioevo, barbuto e magari vestito. Lo stesso Michelangelo nel Giudizio Universale non rinuncia a raffigurare un ragazzone aitante, che brandisce le frecce e sembra dire ai dannati sottostanti: io il Paradiso me lo sono sudato. Anche l'iconografia di Sant'Irene che cura il soldato ferito continua ad avere successo, e anche in questo caso Irene non è sempre una vedova in età avanzata.
All'Irene della Leggenda Aurea capita poi di scoprire in sogno che il cadavere di Sebastiano è stato gettato nella Cloaca Massima. Lo seppellisce lì nei pressi, in quelle che poi saranno chiamate Catacombe di Sebastiano.
L'ultimo romantico (spaccia crack ad Atlanta)
16-02-2017, 07:55cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, fb2020, omofobie, razzismi, sessoPermalinkDa Miami ad Atlanta (Georgia) sono mille chilometri; da Atlanta a Miami sono nove ore di autostrada, e non c'è nessuno al mondo per cui le faresti stasera, o no? Forse per quel ragazzo che al liceo ti ha messo al tappeto, non lo vedi da allora. Probabilmente è ormai un'altra persona, come te. Ti sei impegnato, hai mollato la scuola e hai trovato qualcuno che credesse in te (l'hai trovato in galera, ma sputaci sopra). Hai messo i muscoli dove avevi i lividi, ora non scappi più dai bulletti di quartiere; hai una bella macchina e un paradenti a 24 karati, la gente ti saluta non ti mette fretta. Li hai messi tutti in fila, non devi più niente a nessuno.
Ma se ti chiamasse quel ragazzo tu non ripartiresti in dieci minuti? Il cuore in gola come una scolaretta?
Se solo fosse uscito qualche giorno prima, Moonlight sarebbe stato il film più romantico nelle sale italiane per San Valentino. Altro che le 50 sfumature, col loro sadomasochismo omeopatico per coppie etero che non sanno più che sesso fare. Persino il Panavision di La La Land sbiadisce di fronte a un film di soli maschi afroamericani (le donne in scena fanno solo le madri, con risultati molto discutibili): qui c'è gente che si tocca una volta ogni dieci anni e poi vive nel ricordo. L'omosessualità è l'ultima frontiera del romanticismo, lo si era capito con Adele: certe situazioni, certi sentimenti sullo schermo grande e piccolo ormai li tolleriamo soltanto se riferiti a una minoranza da tutelare. Le uniche storie d'amore che riusciamo a guardare sono quelle insolite, per esempio qui ci sono due bambini / ragazzi / uomini che ogni dieci anni devono trovare una scusa per toccarsi. All'inizio si può giocare alla lotta, è cosa nota; ma poi diventa sempre più difficile, e purtroppo il film è quasi tutto lì: Chiron guarda Kevin, Kevin guarda Chiron, parlano del più e del meno col lessico molto impacciato di chi ha finito gli studi in galera (se inghiotti un popcorn ogni volta che nella versione originale dicono "man" ti ammazzi), cercano scuse per non salutarsi e andare via, e tu sei lì davanti, un po' il terzo incomodo - che è quello che succede in tutti i film d'amore, no? Ma qui non finisce mai. Parlano, si guardano, si guardano, parlano - in Adele succedevano anche altre cose, per dire.
Il regista Barry Jenkins e il drammaturgo Tarell McCraney hanno avuto fortuna, o colto l'attimo: l'anno scorso, in pieno movimento Black lives matter, i giurati dell'Academy non sono riusciti a candidare un solo attore afroamericano. Ne è ovviamente seguita una polemica. Poi è arrivato Trump, l'America razzista - o come si dice adesso, alt-right - ha perso il voto popolare ma ha messo il suo ometto nella Casa Bianca. Aggiungi che per Hollywood non è stato un anno esaltante, e il risultato è che Moonlight, un film d'autore che in altre stagioni non sarebbe uscito dal circuito dei festival, ha fatto man bassa di nomination, e qualche statuetta facilmente la porterà a casa: anche perché i rivali principali sono La La Land, già accusato di speculare sulla musica nera e sbiancarla, e Mel Gibson coi suoi trascorsi indifendibili, ubriachezza molesta e antisemitismo. E va bene così, abbiamo visto film anche meno meritevoli, e se è stato un colpo di fortuna è bello pensare che ogni tanto baci pure gente come Barry Jenkins, che aveva fatto un solo film nove anni fa (apprezzato dai critici) e poi si era messo a fare il carpentiere (continua su +eventi!)
C'è anche Janelle Monàe, di mestiere è una cantante matta, ma qui fa una particina quasi normale. |
Ma quindi, insomma, Renzi governa
12-05-2016, 00:55famiglie, omofobie, RenziPermalinkÈ un passo più corto di quello che molti si aspettavano - anche tra i renziani - ma indietro non si torna. Da qui in poi sarà anche più facile, per queste famiglie, ottenere quella stepchild adoption che i tribunali concedono sempre più spesso (come previsto), con buona pace degli ultras cattolici, alcuni dei quali questa legge l'hanno pure dovuta votare. Ieri è stata una splendida giornata, la dimostrazione che non tutti i governi sono uguali e non tutti i compromessi catastrofici. È un peccato che molti renziani non abbiano potuto godersela.
Stanno già pensando all'autunno, il referendum sulle riforme. Già difendono affannosamente l'assoluta necessità di un senato eletto dai consiglieri regionali, così come difesero l'ineluttabilità di quel bizzarro proporzionale con ballottaggio e premio elettorale - senza tutto ciò, ci spiegano, l'Italia è fottuta, ingovernabile, preda del trasformismo, dell'inciucio contronatura.
E ci potrebbe anche stare - però, scusate. I giorni pari il renziano dice che è impossibile governare l'Italia senza Italicum e riforma. I giorni dispari si sta spellando le mani per i prodigiosi risultati del governo Renzi. Ma quindi, insomma, Renzi sta governando. Con una maggioranza raccogliticcia, con la collaborazione di personaggi discutibili e indigesti a molti elettori del Pd, Renzi è in sella da due anni e più e ha fatto il Jobs Act, la Buona Scuola, le unioni civili, l'Italicum, le riforme costituzionali. Tutte queste cose con la complicità di Alfano, a volte anche di Verdini: e magari gli sono uscite male, ma siamo sinceri: non è che si possa dare la colpa ad Alfano, o a Verdini. Il Jobs Act non è un provvedimento di sinistra inquinato dai centristi: era proprio quella roba che i fan di Ichino sognavano ai tempi della Leopolda. La Buona Scuola di Renzi è proprio la Buona Scuola di Renzi, non di Alfano. L'Italicum, la riforma del senato, non sono pastrocchi a causa di compromessi o larghe intese. Addirittura a un certo punto Renzi ha chiuso con Berlusconi, ma poi le riforme gli sono venute brutte lo stesso: si vede che a lui garbano così. Lo stesso dl Cirinnà arriva al traguardo senza stepchild adoption non solo per l'opposizione di Alfano: sul tema era diviso anche il Pd. Non posso dimostrarlo, ma ho la sensazione che se due anni fa Renzi avesse vinto le elezioni e fosse arrivato a Palazzo Chigi sostenuto da una maggioranza monocolore del Pd, in capo a due anni avremmo più o meno lo stesso Jobs Act, la stessa Buona Scuola, lo stesso Italicum, lo stesso dl Cirinnà. Insomma, Renzi governa. È una buona notizia per i renziani. Già.
Non gli toccasse ripetere, nei giorni pari, che senza riforme questo Paese non si può governare.
Forse non è così vero che le istituzioni italiane condannino la nazione all'inerzia o all'immobilità. Se Berlusconi non ha fatto molto, forse era semplicemente un incapace. Certo, un centrosinistra a dieci partiti aveva un problema strutturale - ma con una coalizione di due o tre partiti anche l'Italia si governa. Il paradosso è che lo sta dimostrando proprio il leader che sostiene il contrario, che la costituzione vada cambiata. Il premio di maggioranza è una rarità nel mondo libero, con precedenti storici inquietanti - il premio assegnato con un ballottaggio nazionale, una specie di referendum, è proprio una novità assoluta. Secondo Renzi è necessario: eppure lo stesso Renzi ne sta brillantemente facendo a meno. Ci ha già fatto sapere che è un prendere-o-lasciare: che in autunno non voteremo per il futuro assetto costituzionale, ma per tenerlo in sella o mandarlo a casa. È un ricatto abbastanza puerile. Quando sarà ora di eleggere i miei rappresentanti in parlamento, esprimerò il mio giudizio su Renzi e il suo partito. Ma quando si parla di costituzione, occorre guardare un po' più in là. Un futuro monocolore Renzi non mi spaventa più di tanto, il tizio ha già dato del suo meglio e del suo peggio. Ma dopo? Qualcuno dovrà pur venire dopo.
Il principe della musica vinile
23-04-2016, 03:40coccodrilli, musica, omofobie, Ottanta, razzismi, scuolaPermalinkLe foto, se ricordo bene, erano repertorio del periodo di Purple Rain, moto e chitarroni. E basta, probabilmente in giro avevo già sentito qualche pezzo di Prince ma non potevo saperlo. Però quell'estate su videomusic ruotò ossessivamente Paisley Park, un pezzo di cui non mi sono più liberato, con un video che faceva venire il mal di testa. Devo aver pensato che era quella, la musica vinile, e che andava contro molte delle mie abitudini, ma tutto sommato non mi dispiaceva. Non pensiate che oggi i ragazzini imparino le cose più facilmente. A monte di tutti i vostri ricordi, di tutte le nozioni che vi fanno sentire individui con una storia personale, c'è un magico momento che avete dimenticato, la soglia tra il Non conoscere e il Venire a conoscenza, tra il Non-averne-mai-sentito-parlare e l'Ah-ecco-cos'era. È quell'onda molto particolare che cavalchi nella scuola media. Se dici: prima guerra mondiale, per qualcuno che risponde già: uff, lo sappiamo, Sarajevo e il Piave, ce ne sono due che chiedono: quante guerre mondiali ci sono state? Tu glielo dici, e loro se lo scordano. Oppure gli resta in mente, ecco: quello è un momento magico. Sono importanti i cartelloni, anche quelli fatti male che non riescono a inquadrare un concetto (peraltro Prince chi mai lo è riuscito a inquadrare). Sono importanti i fraintendimenti, le cose assurde di cui ci convinciamo e che si scioglieranno al sole dell'esperienza - e poi chissà se a metà degli anni Ottanta qualche critico musicale ubriaco non l'avesse pure codificato, il genere vinile. Una musica di plastica, appiccicosa, bianca come il Vinavil, o nera come un 33giri, con riflessi oleosi, iridescenti, in effetti Prince non poteva che essere il re del vinile. Poi quando andavo in terza uscì Parade e venne giù il mondo. Non devi essere bella per farmi andare su di giri. Nessuno lo aveva mai scritto, ma in terza media era una grandissima verità.
Ci voleva poco per ritrovarsi dalla parte di Prince - bastava odiare Michael Jackson, ai tempi ci si divideva in squadre per qualsiasi cazzata, e poi ci si picchiava davvero, nessun compromesso, nessun sincretismo. Questo non significava naturalmente capirci qualcosa, tanto più Prince, che sembrava cambiare genere musicale a ogni pezzo nuovo. Una cosa che credevo di aver capito è che dei due duellanti, Prince era quello Brutto: il santo protettore di noi brutti. Per dire che enormi fette di prosciutto avevo davanti, cioè, ora che lo rivedo in foto la cosa non mi torna assolutamente, cioè Prince non era affatto Brutto - ai tempi era prestante addirittura.
Si potrebbe dire che oltre a un deficit culturale (per cui non riuscivo a capire che in pezzi pur diversissimi come Kiss o When Doves Cry, erano pur sempre evoluzioni di un universo musicale a me sconosciuto) soffrivo di un deficit estetico. Ma non era un problema solo mio. Ancora sul crepuscolo degli anni '80, in un albo di Dylan Dog, Groucho per allontanare un mostro dalla casa appende alla porta un ritratto di Prince, l'entità pop più disgustosa che poteva venire in mente a uno sceneggiatore di fumetti italiano che, bisogna dirlo, non era Tiziano Sclavi. Per dire quanta strada avesse fatto, l'idea che Prince fosse un mostro. Se era l'89, in effetti, che album c'era nelle vetrine dei negozi? Lovesexy?
Potrebbe persino essere il mio disco di Prince preferito, ma non sarei mai riuscito a comprarlo, nel modo fisico e sociale in cui si compravano allora le cose. Sì che non ero un'educanda, e nello stesso periodo ricordo di non essermi fatto scrupolo a sfoggiare in stazione autocorriere album assai più morbosi, ad esempio un giorno un ragazzo che conoscevo mi chiese conto del fatto che avevo in mano The Madcap Laughs, con una ragazza nuda che potrebbe benissimo essere minorenne. Ma Lovesexy? Avrei potuto entrare al Discoclub, sollevare una copia di Lovesexy, mostrarla all'esercente, pagarla, uscire dal negozio e rientrare nella società con quella cosa? Non credo, no, la copertina di Lovesexy era troppo in là per me. L'androginia di Prince era molto più impegnativa di tutte le androginie che avevo recepito fino a quel momento (cioè, credo, David Bowie e poco più). Era un'androginia passiva. Bowie sembrava un viveur a cui non dispiaceva anche andare con gli uomini, ok, fin lì potevo arrivarci. Ma Prince dalla vetrina del Disco Club mi diceva: tu, anche tu potresti desiderarmi. E la reazione mia di adolescente credo sia stata: no, sei brutto. Sei un uomo. Peloso. E nero, quasi dimenticavo: nero. Ma era nero davvero? Era un uomo? Era brutto?
(Quando alzo la voce con qualcuno, mi chiedo se è il rumore dei cigni che piangono. Quando incontro una persona e le cose non vanno bene, penso: meet me in another world, space and joy. Se qualcuno mi chiedesse qual è il senso del nostro essere nel tempo, gli direi: sbrigatevi prima che sia tardi. Innamoratevi, sposatevi, fate un bambino, chiamatelo Nate (se è un maschio). Quando è lunedì mattina - c'è bisogno di ricordare che canzone uno ha in mente il lunedì mattina?)
Prince era sempre un po' più in là. Era nero, ma anche bianco; chitarrista, ma anche ballerino; era maschio, ma incideva canzoni da femmina accelerando la voce. Il falsetto a metà anni Ottanta era un relitto polveroso, i Bee Gees si erano nascosti in una crepaccio, Jimmy Sommerville era precipitato da brava meteora, anche Sting era sceso di un'ottava per cautelarsi. Nel bel mezzo di questa fase di latenza, Prince canta Kiss, e sul finale sembra volersi strappare i caratteri sessuali coi denti. E quella canzone l'ho sentita cantare negli spogliatoi da personaggi che conoscevano solo le parole di Kiss e Bella Bionda Beato Chi Ti Sfonda. Prince prendeva la nostra provinciale omofobia di adolescenti italiani, le dava un passaggio su una Corvette rossa e la faceva sparire in un parcheggio sotterraneo.
Poi per carità, non voglio far finta di aver capito Prince, non è vero. Non ho neanche fatto i compiti, certi dischi non ho avuto il coraggio di comprarli quand'era il momento, e adesso su internet è difficile. Certe cose col tempo le ho capite, ad es. le giacche con le spalline militari ho scoperto che se le mettevano tutti, sembra banale ma per me Prince - oltre al re del vinile - era quello che si vestiva come il commodoro di staminchia e non ne capivo il motivo. Ho scoperto, nell'ordine: i Beatles, Jimi Hendrix, Sly Stone, Joni Mitchell, quel tizio che cantava Superfreak, e buon ultimo ho scoperto anche Michael Jackson, un grandissimo musicista e performer che infatti adorava Prince e credo anche viceversa. Tanti pezzi li ho messi assieme e anche Paisley Park non mi fa venire più quel mal di testa dei bei tempi in cui non capivo niente. Però onestamente non posso dire di aver capito Prince. Interi dischi continuano a suonarmi misteriosi, e dopo Lovesexy c'è il buio. Tante cose che al tempo non capivo, e non me ne preoccupavo, mi dicevo che sarebbe venuto il momento - no, il momento non è venuto mai. La pioggia di porpora, per esempio, che cos'è. Cosa vuol dire che mi vuoi soltanto vedere nella pioggia di porpora. Ecco, credevo che a un certo punto mi sarebbe venuto naturale. Magari quando comincerò a far sesso, pensavo - perché un giorno comincerò, capirò. E invece no.
Tanto che a volte mi domando se ho mai cominciato davvero.
La lobby anticiccioni è furbissima
11-03-2016, 02:05delitti e cronaca, famiglie, omofobie, satiraPermalinkNext quotidiano |
O con Vendola o con Adinolfi
01-03-2016, 18:33coppie di fatto, famiglie, omofobie, preti parlantiPermalinkChiariamo subito la mia opinione: per me non si può e non si deve impedire a nessuna persona in possesso delle sue facoltà di avere un figlio, e quindi nemmeno a Vendola. Non lo chiamo esattamente diritto, non credo che la collettività debba adoperarsi perché chiunque possa avere un figlio; ma se qualcuno vuole averne uno, coi mezzi che la tecnologia oggi consente (maternità surrogata), non credo nemmeno che la collettività si debba mettere in mezzo.
Non ritengo peraltro che ne sia capace, nei tempi medio-lunghi: sul serio credete di poter impedire a chi porta un utero di disporne come vuole? Come intendete recintarli, esattamente, questi uteri? Non si era appena deciso che appartenevano alle portatrici? Io la penso così, e in seguito cercherò di difendere questa opinione senza insultare chi la pensa diversamente. Non sarà semplice, perché davvero, nulla mi infastidisce più di un prepotente: e quando arriva qualcuno a spiegarmi che la sua idea della genitorialità è l'unica giusta, e che gli altri dovrebbero essere genitori soltanto alle condizioni dettate da lui, ecco: a me questa sembra prepotenza. Io non vengo a dire a voi come dovreste essere genitori. Se non volete figli in provetta, non fateli.
Paradossalmente, mi arrabbio meno coi cattolici. Loro perlomeno sanno quello che vogliono e soprattutto quello che non vogliono. Le loro opinioni sono basate su assunti non dimostrabili, ma coerenti: per loro la libertà della donna di disporre del proprio corpo viene dopo il diritto del nascituro. Quest'ultimo, malgrado debba ancora nascere, secondo i cattolici ha idee molto chiare: desidera una famiglia naturale composta da almeno un padre e la madre. Loro la pensano così, e si comportano di conseguenza. Se vinceranno loro, l'utero sarà effettivamente recintato e riassegnato a un Ente morale che col pretesto di impedire "l'affitto" veglierà affinché nessuna portatrice ne disponga troppo liberamente. La stessa definizione di "utero in affitto" tradisce il disprezzo degli eredi degli antichi padroni, che possedendo tutto non avevano bisogno di affittare nulla. Ma insomma quella è la direzione in cui tirano la corda, e secondo me è quella sbagliata: quindi tiro dall'altra parte. A volte mi lamento perché barano (tutta l'offensiva sul "gender"), ma non li biasimo certo per il fatto che stiano tirando in direzione opposta alla mia. È lo scopo del gioco.
Nutro viceversa un'insofferenza crescente per chi ha deciso di stare dalla mia parte ma forse non ha capito dove stavamo tirando: e adesso sta lì, si guarda smarrita e impiccia i compagni di squadra. Davvero, se per voi il nascituro ha il diritto naturale di avere un padre e una madre, dovreste passare dall'altra parte. Non è niente di personale. Se appena scoprite che da qualche parte nel mondo una donna ha deciso di ospitare per nove mesi un nascituro dovete immaginare che ci sia stata una costrizione - se siete sicuri che Vendola e il suo partner abbiano pagato, e trovate che pagare in cambio del temporaneo e consensuale uso dell'utero equivalga alla mercificazione del corpo - evidentemente ritenete che esista nel corpo qualcosa di sacro che quel corpo non può gestire in autonomia.
E allora, scusate, cosa ci fate qui? Vi servirà un Ente morale che decida cosa si può vendere e cosa no, cosa si può affittare e cosa no: le braccia sì, altrimenti non avremmo agricoltura nemmeno nei nostri campi di pomodori; le corde vocali sì, altrimenti io non potrei sopportare di ricevere uno stipendio. I reni, forse? Ma perché non avete mai denunciato la mercificazione dei reni? non è un po' sospetta questa cosa? L'utero, sicuramente. L'utero per voi è sacro, l'utero non può essere gestito dall'individuo, davanti all'utero si deve sospendere qualsiasi forma di economia? Ok, allora scusate, avete sbagliato squadra.
Quelli che credono nelle cose sacre sono dall'altra parte: quelli che pensano che l'economia non sia semplicemente il modo in cui gli uomini gestiscono gli scambi tra loro, ma una degenerazione di quel bello stato di natura in cui al limite si barattava un pesce per un pomo, sono di là. Sono anche ben organizzati, hanno una gerarchia che si difende bene, e tuttavia non preoccupatevi: sono molto ospitali con le pecorelle smarrite. Sedicenti comunisti che rinnegano l'economia, sedicenti femministe favorevoli a recintare l'utero e a regolarne i comportamenti: cosa state facendo ancora qui? Scusate, ma noi saremmo quelli progressisti: magari ci poniamo qualche problema su come andare avanti, ciò non toglie che è avanti che vogliamo andare. Voi invece avete in mente l'eden del matriarcato, magari con un po' di baratto. Non ha neanche senso litigare. Diciamo che c'è stato un grosso equivoco, e ognuno proceda per i fatti suoi.
Davvero preferireste non esistere?
25-02-2016, 18:26cattiva politica, omofobiePermalinkChi in questi mesi ha seguito con crescente frustrazione l'iter del ddl Cirinnà ha tutti i motivi per dirsi insoddisfatto del risultato. È vero, oggi è stata riconosciuta l'esistenza di una categoria di cittadini di serie B, che può unirsi ma non può sposarsi; che può condividere i beni, ma non la genitorialità. Tutto questo è ingiusto e avvilente, anche perché è stato causato dall'imperizia dei legislatori e dai calcoli sbagliati di qualche avventuriero politico. Detto questo: preferivate davvero continuare a non esistere?
A questo punto della storia il dibattito sul disegno di legge lo possiamo dare per consumato: ognuno può aver arbitrato uno o più match pubblici tra grillini e renziani, e decretato il vincitore, il più convincente nel rimpallare le accuse, le controaccuse e le responsabilità. Archiviamo anche la manfrina sul regolamento, i canguri e i supercanguri, e tutti i ragguagli dei politici che hanno provato a spiegarci le cose per punti, o con la lavagnetta - tra cui brillano quei poveri renziani che per 48 ore hanno ripetuto che Renzi non poteva mettere la fiducia, no no, era tecnicamente impossibile - dopodiché Renzi ha annunciato che l'avrebbe messa, e vabbe'. Diamo per espressa la rabbia nei confronti del blocco trasversale cattolico-conservatore, l'ingenuità degli elettori del PD che scoprono un nido di reazionari nel loro partito, la frustrazione di chi anche stavolta resterà senza diritti fondamentali - perdonate la bruschezza, ma anche se mi fermassi a piangere e a indignarmi con voi non sposterei di un centimetro il problema.
A questo punto a mio parere l'unica discussione che abbia ancora un senso è quella che da sempre più mi preme: l'eterna lotta tra il male e il meno peggio. Ovvero: è davvero utile il compromesso? Per me sì. La Cirinnà mutilata della stepchild adoption potrà farvi senso, ma è comunque meglio di niente. In linea di massima qualcosa è sempre meglio di niente, quando si parla di estendere i diritti civili a minoranze non riconosciute. Grazie al cielo, anzi, a Montesquieu, non ci sono soltanto i legislatori: ci sono anche i giudici, che per forza di cose hanno le idee più chiare. Fino a oggi i gay, per la giustizia, non esistevano: un parlamento oggi li ha riconosciuti, ma allo stesso tempo li ha penalizzati; sulla Costituzione però c'è scritto che i cittadini sono tutti uguali e di questo prima o poi i giudici dovranno tener conto: non è che siano rapidissimi, eh? ma possono essere più veloci dei legislatori. Comprendo la rabbia di tutti quelli che credevano che fosse la volta buona (anche se i numeri non ci sono mai stati, e l'inaffidabilità del M5S non è una nozione così inedita). Però, davvero: se il vostro interesse è che le cose cambino, e non fargliela vedere a Giovanardi e Adinolfi, il compromesso al ribasso è sempre meglio di nessun compromesso.
O no? Io ho in mente almeno due o tre esempi in cui si è arrivati all'uguaglianza attraverso una lunga serie di successi parziali e compromissori (ad esempio la sentenza della Corte Suprema USA l'estate scorsa). Voi avete in mente almeno una situazione in cui dire di no a un compromesso abbia portato in tempi brevi a un miglioramento?
Se pensate che la Cirinnà mutilata sia una pessima legge, e che Renzi non merita di essere celebrato per una vittoria di Pirro, avete la vostra parte di ragione. Ha sbagliato a mandare avanti una legge senza avere una reale maggioranza? Son cose che a volte si fanno: chiedere trentuno per ottenere trenta (in questo caso facciamo anche venticinque). A questo punto, però, a parte i proclami di intransigenza che forse servono a farvi sentire meglio, si tratta come sempre di capire cosa succederà. Non credete più in Renzi? Si può lavorare a un partito che stia alla sua sinistra: lo spazio c'è - ce n'è di più da oggi, se ci riflettete. Credete ancora, malgrado tutto, che non ci sia speranza né vita fuori dal PD? Sta per arrivare la prova del nove. Quando si ricomincerà a parlare di elezioni, si potrà oggettivamente valutare quanto Renzi creda in questa battaglia. Basterà contare i teodem nelle liste. Se la percentuale risultasse invariata rispetto al '13, saprete di essere stati ingenui a contare su di lui. Ma la percentuale potrebbe anche calare. E potrebbe calare proprio perché il ritardo italiano sui diritti civili costringerà Renzi a scegliere da che parte stare. Faccio presente che, per quanto sia giustamente desiderato, il matrimonio gay non è la vittoria finale che schiuderà i cancelli dell'Eden laico: all'orizzonte c'è il testamento biologico, e poi bisognerà rendere di nuovo effettivo il diritto all'aborto, ecc.
A chi ha la sensazione di vivere in tempi bui, e in un Paese sempre meno moderno, spero di non apparire troppo antipatico facendo presente che ci sono stati tempi ancora più bui e Paesi ancora meno moderni, e che non sempre - anzi, quasi mai - l'alba arriva in un istante:
Questa stepchild non s'ha da fare? Né domani né mai?
17-02-2016, 12:00omofobie, RenziPermalinkRenzi forse sì, ma soprattutto Renzi vorrebbe dimostrare di essere un leader di centrosinistra, anche se non è col centrosinistra che governa. Per ottenere questo agognato successo di immagine ha individuato un campo di battaglia che gli sembrava promettente (la stepchild adoption), ha offerto qualche poltrona in più agli alfaniani e ha sperato nella coerenza dei grillini: soprattutto la seconda mossa svela una certa ingenuità, ma poteva fare altro? Cosa avreste fatto al suo posto?
Una cosa veramente c'era: minacciare i cattolici del suo partito. Signori, sulla stepchild adoption la maggioranza del Pd ha deciso. Vi chiamate fuori? Bene. Non chiederò la fiducia, è un salto nel buio che il Paese non si può permettere. Ma state pur sicuri che non vi ricandiderò mai più. Alle prossime elezioni il Pd sarà il mio partito, e voi in lista non ci sarete. Non credo che in molti noteranno la mancanza, o ne soffriranno. Ecco un'altra cosa che avrebbe potuto fare Matteo Renzi per vincere la battaglia - magari bluffando. L'ha fatta? Forse non siamo nella posizione per saperlo.
Ma a occhio no. Il che può significare che non vuole, o che non può: in entrambi i casi Renzi sta dimostrando che no, non è un leader di centrosinistra. Forse non può permetterselo, forse non vuole, ma soprattutto non lo sarà neanche dopodomani, quando grazie alla nuova legge elettorale e allo sfascio del Senato potrà contare su una maggioranza molto più solida. Anche allora, la stepchild adoption rischia di non passare, perché anche allora la vera opposizione non la faranno i grillini o i postfascisti o i leghisti, ma i cattolici di destra del Pd.
A questo punto forse non dovrei infierire sul povero Scalfarotto, che mesi fa domandava con una certa baldanza ai fuoriusciti di sinistra "che ci farete col vostro 15%, ammesso e non concesso che lo prendiate?" Caro Scalfarotto, arrivarci al 15. Un buon risultato sarebbe già la metà. Però se esisterà davvero un partito di sinistra con una posizione compatta sui diritti civili - e se arriverà con un po' di fortuna ad un sei, un sette per cento da offrire in parlamento a chi i diritti li vuole davvero... forse i cattolici di destra non potranno più fare i giochini di adesso. Certi valori non negoziabili, finalmente, si negozieranno. Non ci sarà più bisogno di pretendere coerenza dai grillini, poveretti. E anche i gay finalmente saranno liberi di discutere dei fatti loro, senza che lo spazio del dibattito sia colonizzato da leader o aspiranti tali, con le loro bandierine da puntare, le loro conquiste da vantare.
Aspettarsi corerenza da Beppe Grillo
06-02-2016, 20:051500 caratteri, Beppe Grillo, omofobiePermalink(L'hanno presa bene) |
...e dall'altra ci sono i suoi detrattori, che invece nel vincolo di mandato non ci hanno mai creduto - e più volte hanno difeso il principio per cui i senatori del M5S non sono i pigiatasti del privato cittadino Beppe Grillo - e adesso se la prendono con lui. Che ha fatto? Ha chiesto ai parlamentari del suo partito di votare secondo coscienza.
E dunque come funziona questa cosa di rinfacciarsi la coerenza? Ok, Grillo è incoerente, ma chi lo critica non lo è in eguale misura? Forse alla fine ci appassioniamo di politica proprio perché è un gioco di specchi. Le questioni di principio diventano questioni di metodo, i metodi materia di compromesso, i compromessi petizioni di principio, e così via, all'infinito.
Cosa vorresti domani? Un'Italia un po' più civile in cui gli omosessuali possono farsi una famiglia. Servirebbe una maggioranza di sinistra - non c'è. Possiamo offrire ai centristi un po' di sottosegretariati e confidare nella coerenza di Beppe Grillo. Sulla seconda cosa spero nessuno facesse davvero affidamento.
E se i gay fossero pessimi genitori? (Come gli etero, del resto)
29-01-2016, 18:38famiglie, omofobie, preti parlantiPermalinkForse ho capito cos'è che andato storto con me sin dall'inizio: poche mamme. |
Però.
Lo sapevate che c'era un però.
Quando qualcuno mi pone una domanda, non è che mi metto subito a questionare sulla buona fede di chi me la fa. Prima cerco di capire se ho una risposta. Non credo alla buona fede di chi antepone i diritti dei bambini ai diritti degli omosessuali, ma la domanda resta interessante: esiste il diritto a crescere con un padre o una madre? Se consentiamo a due genitori dello stesso sesso di sposarsi non stiamo in un qualche modo defraudando di qualcosa di fondamentale il bambino?
Di solito a questa domanda si risponde in due modi. I cattolici con una tautologia: la famiglia con due padri o due madri non è una famiglia perché la famiglia è quella con una madre e un padre. I più sottili aggiungono lo spettro del bullismo: il bambino sarà sicuramente preso in giro, in quanto si discosta dallo standard. (Come d'altronde gli orfani. E i figli dei separati. E degli stranieri. Ma anche se la loro esperienza di vita scolastica in sostanza si basa sullo standard di un collegio cattolico, rimane interessante il fatto che riconoscano ai bulli un prezioso ruolo sociale: i cagnolini da guardia dell'eterosessualità).
A tutto questo, i sostenitori della famiglia omo (me compreso) rispondono di solito con un argomento empirico: le statistiche ci dicono che i figli di gay e lesbiche crescono mediamente bene. In realtà di studi statistici se ne sono fatti diversi, alcuni più discussi di altri - però ormai i risultati sembrano andare nella nostra direzione. E così pare che i figli di genitori vadano relativamente bene a scuola, non soffrano di discriminazioni in modo più grave di altre minoranze, ecc.
A questo punto la battaglia sembra vinta. Tra la tautologia e le statistiche non c'è gara. Tu mi dici che crescere con due madri è sbagliato perché è sbagliato, io ti mostro che il loro benessere aumenta del 6%, fine del dibattito. Però.
(Lo sapevate che c'era un però).
Questo modo di argomentare mi ricorda i tempi in cui si discuteva della pena di morte. Per giustificare la mia contrarietà alla pena di morte io facevo sempre notare come la criminalità non fosse calata in diversi Stati che l'adottavano. Finché un giorno qualcuno non mi chiede: e se cambiasse la statistica?
E io gli risposi: "eh?"
"Se cambiasse la statistica?", mi ripeté. "Se a un certo punto da qualche parte la criminalità cominciasse a diminuire perché impiccano a nastro, tu smetteresti di essere contro la pena di morte?"
"Ma cosa stai dicendo? Questo è senz'altro un argomento fallace. È come chiedermi se mia nonna avesse le ruote. Mia nonna non ha le ruote e le esecuzioni capitali non fanno calare la criminalità. È statistica".
"Rispondi".
"Ma..."
"Rispondi".
"...No, non credo che cambierei idea".
"Allora non è una questione di statistica. La statistica è solo una stampella che ti porti per sorreggerti - e darla in testa a chi ti contraddice. Ma tu non sei contro la pena di morte perché non ne vedi i risultati".
"E allora perché sono contro la pena di morte?"
"Se non lo sai tu... forse, dico forse, potrebbe essere un elemento del tuo sistema di valori..."
"Ma se il mio sistema di valori non è basato su dati statistici, su cosa..."
"...della tua ideologia".
"Un'ideologia? Io? Ho... un'ideologia?"
"Non è per forza una brutta parola".
"Tienimi la mano".
Le statistiche sui figli dei gay e delle lesbiche sono molto belle e incoraggianti. Le statistiche sui figli dei gay e delle lesbiche soffrono probabilmente di un errore di prospettiva. I gay che oggi si sposano, e decidono di avere i figli, sono un sottoinsieme particolarmente motivato. Molti di loro hanno lottato contro l'inerzia sociale che fino a dieci anni fa li considerava inetti alla vita famigliare. È facile immaginare che ci tengano a essere buoni genitori (e anche a partecipare a indagini statistiche, com'è il caso dello studio dell'università di Melbourne).
È anche abbastanza scontato ipotizzare che appartengano a una fascia di reddito media o medio-alta. Sotto alla quale probabilmente non diminuiscono soltanto i matrimoni, ma anche i coming out. Non sto dicendo che è giusto, anzi è esattamente quello che si dovrebbe combattere con politiche sociali più avanzate - nonché con campagne antiomofobia, certo - fatto sta che quando confrontiamo le famiglie omo con le famiglie etero, rischiamo di confrontare famiglie di ceto medio e medio-alto con famiglie di tutti i ceti - compreso il medio-basso e il bassissimo. Se scopriamo che i bambini tutto sommato stanno bene, come facciamo a essere sicuri che il reddito non c'entri per nulla?
È come la storia del liceo classico che sforna gli studenti migliori - come facciamo a essere sicuri che non c'entri per niente il reddito, se le famiglie più benestanti iscrivono i loro figli lì? Lo sapremo solo quando cominceranno a mandarli all'istituto tecnico. Allo stesso modo come facciamo a essere sicuri che i figli delle famiglie omo si trovino bene perché hanno i due papà o due mamme, e non perché comunque vivono in un bel quartiere, vanno in buone scuole, i genitori ci tengono particolarmente e hanno i mezzi per garantire un determinato benessere. Lo sapremo soltanto quando anche gli omosessuali poveri si potranno sposare.
Quindi sono davvero uguali a tutti gli altri! |
Forse un giorno potremo davvero istituire un confronto statistico serio, e allora chissà cosa scopriremo. Magari salterà fuori che crescere con due genitori di un solo sesso non è effettivamente un handicap - del resto c'è chi cresce con tre fratelli maschi, chi cresce solo con la madre, ce n'è già di varietà a questo mondo, cosa vuoi che faccia differenza se in una casa nessuno fa la pipì in piedi.
Ma se scoprissimo il contrario? Che chi cresce in una casa dove nessuno lascia l'asse alzata ha poi difficoltà a interagire nella vita con gli individui di sesso maschile? Cambieremmo idea?
Potete rispondere di sì o di no, ma non potete spiegare il perché, temo. Non ci sono statistiche vere a cui appigliarsi. È ideologia, o se preferite una professione di fede. Voi non volete il matrimonio gay perché è stato dimostrato che non turba il minore. Voi lo volete perché in cuor vostro siete persuasi che sia giusto. E dall'altra parte c'è chi è ugualmente persuaso che sia sbagliato, e anche lui in teoria ha tutto un complesso sistema di credenze che lo portano a pensare così - ma è un'impalcatura fallace, un paravento. Come la nostra. Non siamo migliori di lui. Non possiamo convincerlo. Lo vogliamo battere e basta.
E non lo batteremo perché abbiamo ragione. Avremo ragione solo se lo batteremo.
Buon family day.
Il giorno che hanno fatto santo l'utero
28-01-2016, 14:37aborto, famiglie, omofobie, preti parlantiPermalinkD'accordo, la pratica è relativamente moderna; di sicuro non potevano parlarne i padri della Chiesa o i cardinali al concilio di Trento; e nessuno nega di poter trovare discutibile, l'offerta di una facoltà del proprio corpo in cambio di denaro - ma allora, chi di mestiere usa le mani, i piedi, la testa? Non le sta in sostanza "affittando" a un utente in cambio di denaro? E chi si vende un rene? Quello non è affitto, non ti torna più indietro, perché nessun cardinale sembra aver notato lo scandalo della cosa? Perché nessun cattolico alza la voce contro trasfusioni o trapianti? Perché sempre solo in quella zona del corpo? Sono domande interessanti, ma io non le farei a voce troppo alta. C'è il rischio che qualcuno si ponga il problema davvero, e magari domani oltre ai manifestanti contro il mercimonio dell'utero avremmo quelli contro la compravendita dei reni. Perché è così che funziona.
Chi accusa la Chiesa di rimanere attaccata alle proprie tradizioni, non si accorge che la Chiesa le tradizioni le stravolge continuamente: per San Tommaso la vita non cominciava dal concepimento, per papa Francesco sì. Non c'è stata nessuna precisazione dello Spirito Santo, nel frattempo. Ma a un certo punto la modernità è arrivata, ha notato un problema - i costi sociali e umani degli aborti clandestini - ha proposto di risolverli depenalizzando gli aborti, e la Chiesa ha detto di no. Perché?
- Perché la vita comincia dal concepimento.
- Ma chi l'ha detto?
- Noi adesso.
- Funziona così?
- Funziona così.
- Comodo però.
- Vero?
In modo analogo, a un certo punto la modernità ha deciso che l'omosessualità non era una malattia, una tara. Bisogna dire che è stata convincente, se oggi persino molti uomini di Chiesa hanno imbarazzo a trattare i gay da handicappati. Quindi come si fa a negare loro il diritto a sposarsi? Se sono persone come gli altri... ma no, guarda, è facile. Basta ricordare che il matrimonio è finalizzato alla procreazione, e quella Dio l'ha donata soltanto alle coppie etero. Lo dice il Catechismo.
- Veramente il Catechismo dice che "I coniugi ai quali Dio non ha concesso di avere figli, possono nondimeno avere una vita coniugale piena di senso, umanamente e cristianamente. Il loro matrimonio può risplendere di una fecondità di carità, di accoglienza e di sacrificio" (1654). Cioè in pratica se sposo una persona del mio stesso sesso potrei persino adottare, "risplendere di una fecondità di carità, di accoglienza e di sacrificio", c'è scritto così...
- No.
- Perché no?
- Perché se ti sposi con una persona del tuo sesso tu sai già benissimo che Dio non ti concederà di concepire figli.
- Quindi bisogna togliere il diritto di sposarsi a quelli che sanno già di essere sterili?
- Loro possono sperare in un miracolo.
- E un gay non può?
- No.
- Chi lo stabilisce?
- Io in questo momento.
- Non stai ponendo limiti alla misericordia di...
- Sii serio, su.
- Ma insomma, niente fecondazione niente matrimonio?
- Niente matrimonio.
- Senti, mettiamola su un altro piano. Se io fossi cieco, e volessi vedere, e la tecnologia mi consentisse di farlo, Dio si opporrebbe?
- In quel caso la tecnologia sarebbe un dono di Dio.
- Perfetto. Invece sono un gay che vuole avere bambini.
- Cioè smettere di essere gay.
- No. Sono un gay. Non c'è niente di male a essere gay. Ma Dio mi ha dato anche il desiderio di avere un bambino.
- Allora non è più un dono di Dio. È un capriccio.
- Ma la tecnologia mi consente di averlo.
- Allora la tecnologia è immorale.
- Cosa c'è di immorale nel desiderare di avere bambini?
- Ci devo pensare su, ma c'è senz'altro qualcosa... trovato. Devi usare un utero non tuo.
- Embè?
- Lo devi pagare.
- Non necessariamente, ma se anche fosse?
- È un orribile mercimonio.
- Lo hai deciso adesso, vero?
- Creerà un discrimine tra chi si può permettere un utero e chi no.
- Ma anche un sacco di opportunità di lavoro.
- Non è lavoro, è un orribile mercimonio.
- Perché metti a disposizione una parte del tuo corpo? E allora chi lavora con le mani? Con gli occhi? con le corde vocali?
- L'utero è su un altro piano.
- C'entra il sesso, vero?
- Che orribile gioco di parole.
- Alla fine è tutto lì. Non vi piace il controllo delle nascite, e vi inventate l'umanità dell'embrione - tra l'altro a quel punto vi tocca riempire l'inferno di embrioni non nati e quindi non battezzati.
- Abbiamo abolito il Limbo.
- Lo avete fatto l'altro ieri.
- È così che funziona.
- Poi ai gay vien voglia di avere una famiglia, e a quel punto scatta tutta una serie di proposizioni che ci conducono alla sacralità dell'utero. Non fate prima a dire che i gay sono orribili peccatori?
- Mi stai offendendo, io non discrimino nessuno. Ho a cuore gli uteri dei poveri e tutti gli embrioni del mondo. Che hanno il diritto di crescere con un padre e una madre.
- E gli orfani?
- Anche adottati. Ma da un padre e una madre.
- E i figli di separati?
- Eh, fosse stato per noi...
- Senti, non è scritto da nessuna parte che è un diritto.
- Lo scrivo io adesso.
- No. No. Non funziona così.
- E come funziona, sentiamo.
- Dovresti dimostrare che... senti, partiamo da un punto su cui siamo d'accordo. I bambini hanno diritto a crescere nel modo migliore.
- Cioè con una madre e un padre.
- Come fai a essere sicuro che sia il modo migliore?
- È quello naturale.
- Per favore, dai. La natura.
- La natura.
- Anche la peste bubbonica è naturale. I terremoti sono naturali. Non mi vorrai mica dire adori la natura. Che sotto lo zuccotto porti treccine da sciamano.
- Si è sempre fatto così.
- Lo dissero anche a Semmelweis quando si lamentava che le infermiere non si lavassero le mani tra obitorio e maternità. "Si è sempre fatto così", e le donne morivano di parto. Le cose cambiano.
- Certe cose no.
- La famiglia naturale è quella che ha cresciuto miliardi di psicotici. Il luogo dove tuttora avvengono più abusi.
- Chi lascia la vecchia via per la nuova...
- Eh?
- È un proverbio.
- Lo so che è un proverbio, mi hai preso per scemo? Questo è un dibattito tra la Modernità e la Chiesa su temi di bioetica, potremmo citare filosofi e teologi e tu mi citi un proverbio scemo?
- È che alla fine tutto si riduce a questo. Io la vecchia via la conosco. So che produce tot psicotici, tot abusi, tot risultati accettabili. E mi sta bene. Tu invece, la tua via, lo sai a cosa porta?
- ... (Continua) (Sul serio).
Ivan non mangiare tranquillo
07-07-2015, 13:26attivismo, omofobie, scioperiPermalinkQuesto pezzo era partito per intonare un affettuoso sfottò, "Ivan magna tranquillo", qualcosa del genere. Poi mi è successo qualcosa - forse il caldo - più ci penso e più mi rendo conto che Scalfarotto sta facendo la mossa giusta, delle poche che gli restano a disposizione. Un po' ridicola, e senz'altro la tempistica non lo aiuta, ma l'alternativa è buttarsi a terra e aspettare che l'arbitro conti fino a dieci. Scalfarotto ha già preso una botta abbastanza dura col ddl sull'aggravante omofoba, arenatosi in Senato; ma se lì non c'è la maggioranza per una cosa del genere, non c'è nemmeno per le unioni civili. Il resto - l'ostruzione, gli emendamenti fantasiosi, sono dettagli che Renzi potrebbe spazzar via in un mattino se dalla sua parte avesse i numeri sufficienti. Ce li aveva per la legge elettorale, ce li aveva per la Buona Scuola, ma per le unioni civili non le ha. Su questa cosa mi pare che Alfano e i suoi siano stati chiari sin dall'inizio, e della loro sincerità non c'è da dubitare; al loro elettorato di riferimento, che mal digerisce il loro sostegno a Renzi, cercheranno di rivendersi come i salvatori della famiglia tradizionale. Il ddl non soffre perché un gruppetto di bigotti va in piazza: il ddl soffre perché Renzi non ha una maggioranza senza NCD, e se cercasse la fiducia rischierebbe di perdere anche quella. Questo è tutto quel che importa: non le fiaccolate o le sentinelle, movimenti folkloristici organizzati da battitori liberi che cercano di parassitare la discussione per (ri)costruirsi una carriera politica.
Sull'altro versante è Scalfarotto a giocarsi la sua. Le possibilità di far passare il ddl sono appese a quella filiforme chimera che è il voto trasversale: da qualche parte tra i banchi di M5S e centrodestra dovrebbe trovarsi qualche senatore al passo coi tempi che invece di approfittare della situazione per mandare il governo sotto, dovrebbe vergognarsi perché non abbiamo "una legge all'altezza di quella degli altri paesi". Qualcuno che di fronte al digiuno di Scalfarotto dovrebbe farsi un esame di coscienza. Probabilmente questi senatori non ci sono - non abbastanza - e probabilmente Scalfarotto lo sa meglio di me, ma tanto vale provarci. È una mossa ingenua? Può darsi, ma a questo punto se fossi in lui non me ne verrebbero altre.
Altrettanto ingenuo può sembrare il riferimento all'anomalia italiana - che poi anomalia non è: su questo argomento siamo più vicini ai russi e ai turchi che non ai francesi o agli irlandesi. Cambieremo? Ci evolveremo? È probabile, ma ora come ora siamo in spaventoso controtempo, nell'esatto momento in cui persino a sinistra si riscoprono le identità nazionali contro il moloch europeo. Pensare che l'Italia debba naturalmente seguire l'Irlanda è un'altra affettata ingenuità: là c'è stato un riconoscimento graduale dei diritti degli omosessuali - una gradualità che è ancora rifiutata da parte dell'associazionismo LGBT italiano (a costoro Scalfarotto ha poco da rimproverare: anche lui era molto più oltranzista prima di cominciare a scrivere disegni di legge). Ma soprattutto in Irlanda c'è stata una profonda crisi di credito dell'istituzione cattolica, anche a causa degli scandali enormi scoppiati negli ultimi 20 anni. Nel frattempo in Italia ci troviamo l'enciclica di papa Francesco a puntate sull'Unità - e stavolta non è nemmeno così colpa di Renzi, la fascinazione del centrosinistra per il Vaticano dura dai tempi di Veltroni se non da prima. In una situazione del genere, dopo aver promesso per anni una legge ai suoi, Scalfarotto che può fare? Per adesso digiuna. Ho molte riserve su di lui e soprattutto sul suo renzismo, ma se in politica credo che si debba sempre fare quel che si può con i mezzi a propria disposizione, mi pare che in questo caso Scalfarotto ci stia provando, e che si meriti il mio appoggio. Che purtroppo conta veramente pochissimo - ma anche in questo caso, è l'unica cosa che posso offrire.
Il gender non esiste; la scuola privata non dovrebbe
22-06-2015, 17:52omofobie, privatizzazioni, scuola, sessoPermalinkUn'enorme diffidenza per l'istituzione scolastica, senz'altro. Ma non è che una faccia della medaglia. Proviamo a voltarla. Dall'altra parte c'è una mostruosa fede nella scuola, nel suo potere di plasmare il fanciullo e il giovinetto, addirittura di farne un maschio o una femmina o altro. Se tu pensi che la scuola possa fare di tuo figlio un gay, la prima cosa che mi viene in mente è che sei pazzo - ma la metto da parte. La seconda cosa è che tu hai già paura che tuo figlio lo sia, e vabbe'. La terza è che stai riconoscendo a me insegnante un potere enorme. Posso creare omosessuali dal niente. Basta decidere che alla terza ora, invece del solito trattato di Campoformio, ci mettiamo a discutere di "amicizia e amore con il partner dello stesso sesso", ed ecco all'improvviso allignare la torbida perversione iridescente là dove fino a un momento prima c'era solo un po' di curiosità per le imprese di Bonaparte - e nessuna pulsione, naturalmente, i ragazzi non avrebbero pulsioni finché non premiamo noi i pulsanti. È chiaro che se davvero fossimo così potenti, saremmo già riusciti a farci pagare un po' di più, in fin dei conti abbiamo in ostaggio tutti i pre-puberi d'Italia cinque ore al giorno. Ecco, il punto è che ci credono. Migliaia, forse milioni di italiani ritengono che noi abbiamo in ostaggio i loro figli, e che possiamo in qualsiasi momento premere un pulsante e omosessualizzarli, transessualizzarli, trasformarli in consumatori seriali di contraccettivi e pillole abortive. Noi.
Che a pena riusciamo a insegnare l'italiano.
Questa per dire dirige un istituto comprensivo - scuole medie, elementari, d'infanzia - chi le impedirà di selezionare insegnanti anti-gender? Certo non Renzi. |
A questo punto basta rovesciare il mito per trovarne la ratio: chi crede (o vuol credere) che all'asilo si insegna masturbazione precoce, crede o vuol credere altresì che all'asilo queste cose si potrebbero reprimere. Si dovrebbero reprimere. Non all'asilo pubblico, naturalmente: occorrerà procurarsene uno con personale opportunamente specializzato. Chi paventa moduli educativi sulla "scoperta del proprio corpo e dei propri genitali" da quattro a sei anni, considererà necessario che una scuola come si deve crei una barriera tra il seienne e il suo corpo, e soprattutto i suoi genitali. Chi trova scandalo in una lezione sul "diritto all'aborto" riterrà opportuno che una scuola insegni ai figli il contrario, cioè che l'aborto non è un diritto: e così via. Ecco: chi chiede sgravi fiscali o buoni scuola allo Stato invocando la "libertà di educazione", la "libertà di scelta educativa delle famiglie", a volte ha in mente questo. Magari non tutti. Ma alcuni sì. Vorrebbero un asilo che mettesse delle barriere tra i loro candidi bambini e i loro incontrollabili genitali; preferirebbero una scuola che creasse veri Maschi e vere Femmine, ancor prima che buoni cittadini - cittadini di che, poi? Prima viene la famiglia, e la famiglia sa cos'è bene per i propri bambini. Lo sa per definizione.
Qui devo confessare una cosa. Mi è capitato spesso di affermare polemicamente che la scuola privata mi va bene, purché sia privata davvero, vale a dire pagata da chi ci vuole mandare i propri bambini. Si tratta di una manovra retorica che è un classico di questo blog: usare il liberismo contro i liberali, il cattolicesimo contro i cattolici, il marxismo contro i marxisti ecc. Funziona sempre, ma resta una mossa insincera. Cioè alla fine non è vero che le scuole private mi vanno bene. Prendi l'imam che ha parlato al Family Day, beccandosi gli applausi dei buoni cattolici. Io non voglio che lui, con la scusa della "libertà di scelta" iscriva le sue eventuali figlie a una madrasa. Preferirei che le iscrivesse a una buona scuola pubblica, dove sentiranno magari parlare di contraccettivi e aborto, ma anche di Mirandolina e Gertrude. La stessa cosa vale per i genitori cattolici che l'hanno applaudito. Perché ci tengono tanto che i loro figli/figlie vadano a una scuola privata? Per l'ampio parcheggio, o perché il preside può licenziare un insegnante se anche solo sospetta che sia omosessuale? eccetera. Non credo che né la scuola né la famiglia possano trasformare un eterosessuale in un gay o viceversa - ma credo che possano causare un bel po' di sofferenza, e rovinare un bel po' di vite se ci provano. Una scuola che ci provasse, finanziata anche interamente da un gruppo di famiglie che ci credesse, per me andrebbe chiusa d'ufficio. Anzi aperta, nel senso in cui Lutero e Robespierre aprivano i conventi. Fuori tutti - non è che fuori sia il paradiso, anzi. C'è una società mediamente violente e omofoba, ma è l'unica che abbiamo, e sta a tutti migliorarla. Chi cerca di difendersi alzando una siepe intorno al proprio giardino (e magari chiedendoti pure un obolo per innaffiarla) non ci è di aiuto. E poi chi lo sa cosa succede davvero oltre quelle siepi, in quei giardini.
L'Arcigay che si boicotta da sola
24-05-2015, 13:561500 caratteri, omofobiePermalinkLa Minaccia Omofoba. |
Nei libri si leggerà che in Italia il matrimonio gay arrivò in ritardo rispetto agli altri Paesi dell’Europa occidentale. Gli storici spiegheranno il fatto con l’influenza del Vaticano. Con un po’ di fortuna passerà inosservata l’insipienza dall’Arcigay, che mentre i gay irlandesi vincevano un referendum, se la prendeva coi commercianti di località turistiche assai più gay friendly della media, perdendo tempo in zuffe da cortile con quattro bigotti.
In Italia si chiacchiera, in Irlanda ci si sposa
24-05-2015, 08:001500 caratteri, omofobiePermalinkIn Italia che abbiamo fatto per tutto questo tempo? Ne abbiamo discusso. Neanche molto in verità, visto che favorevoli e contrari alle unioni gay sembrano refrattari a qualsiasi compromesso. Eppure tre anni prima degli irlandesi, nel 2007, si discuteva alla Camera dei DiCo: una proposta che non piacque nemmeno a diversi esponenti gay: troppo tiepido, bisognava ottenere di più. Magari tutto. O niente. Non si ottenne niente. Sono passati 8 anni e le coppie gay, in Italia, continuano a non godere di nessun riconoscimento. Ora, con calma, arriverà in parlamento il ddl Cirinnà: e chi non voleva farsi riconoscere qualche diritto da Rosy Bindi, cercherà di ottenerli da Giovanardi. Spero che malgrado tutto ci riesca: è già molto tardi.
Un'altra #croce, un altro #bluff
21-05-2015, 10:001500 caratteri, aborto, cristianesimo, giornalisti, omofobiePermalinkI grillini e il "baronetto"
20-03-2015, 23:12Beppe Grillo, famiglie, omofobiePermalinkStefano Dolce e Domenico Gabbana investono abbastanza denaro in inserzioni da poter dare per scontata la compiacenza dei gruppi editoriali italiani più importanti; tanto più interessante risulta l'appoggio totalmente gratuito e disinteressato dei parlamentari m5s, che per voce di Tiziana Ciprini accusano il "baronetto" Elton John di ricattare non solo D&G, ma l'Italia intera. (Elton John peraltro non è un baronetto, ma mica si può pretendere che i parlamentari controllino su google: e poi alla fine è tutta un'opinione, e chi siamo noi per non rispettare un'opinione?)
Ci mancava solo un multimilionario angloamericano annoiato a lanciare fatwe contro le nostre aziende.L'illustre baronetto è insomma il complice di un enorme complotto ai danno dell'Italia, ordito dagli americani coadiuvati dai tedeschi o viceversa. Deve pertanto chiedere scusa ai lavoratori, purché italiani, perché è l'Italia che si offende qui. Dove si capisce che alla fine D e G possono aver reagito un po' istericamente, ma hanno toccato corde sensibili, non solo in zona Forza Nuova. Forse tutto questo è davvero il frutto di un riposizionamento: da brand globale a epitome di un certo tipo di italianità retrograda, che poi magari piacerà a livello globale proprio perché puzza un po' di capra e di patriarcato. I nostri maschi in canottiera, le nostre donne col pancione, i nostri ragazzini discinti e disponibili, tutto molto pitoresco. Non giudicateci, amateci per quello che siamo, lasciateci mance cospicue e poi tornate a casa a fare le vostre cose moderne.
Ricordo all'inglesino che 9 milioni di italiani di tutte le età sono in sofferenza lavorativa secondo gli ultimi dati Eurostat e che siamo sempre più un Paese colono dei poteri finanziari centrali del Nord Europa e statunitenzi che ci stanno riducendo in un popolo di schiavi. Pertanto chiedo all'illustre baronetto di chiedere scusa in primis ai lavoratori italiani del gruppo D&G, grazie.
Anche al M5S insomma hanno deciso che devono essere gli altri a morire per le nostre opinioni. Noi no, noi abbiamo il diritto di manifestarle senza che nessuno osi offendersene. Chi si offende è un fascist, e se si attenta a non comprare più le nostre merci è un ricattatore e uno schiavista. Va bene, basta saperlo.
L'uomo che comprò la lotta libera
18-03-2015, 02:25cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, omofobie, sportPermalinkTutto quello che puoi vedere fino all'orizzonte è del signor Du Pont. Filantropo, filatelista, ornitologo. Al tempo in cui nostri antenati morivano per la loro libertà, i suoi antenati facevano affari coi cannoni, e ora tutto questa terra è sua, ed è suo tutto ciò che ci cammina sopra e che ci vola. Gli uccelli da catalogare, i cavalli della madre da detestare, i trenini giocattolo, i fucili automatici, i lottatori da allenare e le medaglie che vinceranno. Nessuno può dire di no al signor Du Pont. Finanzia la polizia di stato e il comitato olimpico. Ma quel che desidera davvero, nessuno lo ha ancora capito.
Foxcatcher arriva nelle sale qualche settimana dopo Whiplash. È difficile immaginare due film più diversi sugli stessi argomenti: eppure il Mark Schultz intepretato da Channing Tatum sembra animato dalla stessa ambizione divorante e fine a sé stessa del batterista di Chazelle. Anche sulla sua strada c'è il maestro sbagliato. Ma gli allievi e i maestri di Whiplash sono musicisti iperattivi e sopra le righe; i lottatori di Miller lottano per prima cosa contro un muro di impassibilità che li isola dal mondo. Mark guarda in basso, prende tempo, cerca la risposta giusta, ha sempre paura di sbagliare. Il suo sport consiste nell'afferrare a mani nude un altro uomo e tenerlo a terra finché un arbitro non fischia, eppure anche quegli avversari è come se Mark non li toccasse davvero. Non sono che un'estensione di sé stesso, la conseguenza tangibile dei suoi sforzi: se si è ben allenato vanno giù a comando, se ha sbagliato tutto lo afferrano e lo portano via con sé. Come il protagonista di Whipash, Mark non ha amici. Ha però un fratello lottatore e allenatore (Mark Ruffalo) dalla cui stretta non riesce a liberarsi, un mentore inquietante che pagherà la sua amicizia a peso d'oro, e un unico vero nemico, che prende a pugni allo specchio fino a infrangerlo.
Tra i ritmi sincopati di Chazelle e quelli rallentati di Miller ognuno sceglierà secondo il suo gusto... (continua su +eventi) Se il primo film mi ha tenuto, come si dice, inchiodato per un'ora e mezza, il secondo è stato una delle esperienze più angosciose degli ultimi anni, al punto da farmi desiderare più volte di alzarmi e prendere qualche minuto di pausa, non perché non fosse un bel film - ma per stemperare il senso di tragedia ineluttabile che grava sui personaggi senza abbandonarli per 120 minuti. Capote in confronto era una commedia: in quel caso l'istrionismo di Philip Seymour Hoffman ti faceva tirare il fiato. Stavolta non c'è requie: il lottatore frustrato e il milionario paranoico che cerca di adottarlo sono due corde tese che potrebbero spezzarsi in qualsiasi momento. Ci si sente a disagio come quando ti invitava a casa il compagno di classe ricco ma senza amici, vorresti trovarlo simpatico - ti converrebbe anche - ma c'è qualcosa che suona terribilmente stonato e tapparsi le orecchie non serve a niente.
Ai tre attori della sua tragedia, Miller chiede qualcosa di molto particolare: devono recitare male, o meglio interpretare personaggi che non riescono a reggere la parte. L'irriconoscibile Steve Carell è un milionario che non riesce a indossare gli abiti eroici che si è fabbricato. Ciondola per il set con l'aria di un'aquila smarrita, ti aspetti che si tolga la maschera da un momento all'altro. Channing Tatum sa di essere di fronte all'occasione della vita: film drammatici su atleti dal collo taurino non è che se ne producano tutti gli anni. E però il suo ruolo è proprio quello di un atleta che di fronte all'occasione della vita è terrorizzato dalla possibilità di fallire. Entrambi, per quanto notevoli, vengono surclassati da Mark Ruffalo. Il suo Dave Schultz, fratello e allenatore di Mark, è l'unico soffio d'aria fresca che tira per tutto il film. Qualsiasi cosa che fa tradisce dolcezza, compreso afferrarti da dietro la schiena e mandarti al tappeto. Ma anche a Dave tocca recitare una parte, a un certo punto - e proprio davanti alla cinepresa Dave si blocca, non ce la fa.
Come tutti i biopic degli ultimi anni, Foxcatcher pretende di raccontare una storia vera ma non riesce a raccontarla giusta. Tra le varie forzature, degna di nota è quella scena semibuia in cui si lascia intendere qualcosa di più di una tensione omoerotica tra Mark e il milionario suo ospite. Al Mark vero quella scena non è andata giù, tanto da ispirargli una serie di tweet molto ingiuriosi nei confronti del regista - poi cancellati. È in effetti una scena che sembra congegnata più per far discutere che per farci capire cosa sta succedendo tra i due.
Foxcatcher è al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo alle 20:00 e alle 22:45. Portatevi qualcosa di caldo.
Voltaire per D&G non muoverebbe un dito
16-03-2015, 18:31giornalisti, modi di dire, omofobiePermalinkPoi ho dovuto di nuovo spiegare ai ragazzi che quella frase Voltaire non l'ha mai scritta, e anzi, chiunque un po' lo conosca davvero sa che nel Trattato sulla tolleranza si lanciava contro i suoi avversari al grido "Schiacciate l'infame". Non proprio il tipo che avrebbe combattuto fino alla morte affinché gli infami potessero manifestare le loro opinioni.
Tre ore dopo, mentre esco da scuola, getto l'occhio nell'atrio su un bel cartellone prodotto da un'altra classe: c'è la stessa frase, attribuita a Voltaire. Come spalare l'acqua col forcone.
Perché insisto tanto su questa storia, sempre la solita? Perché ho la sensazione che la frasetta pseudovoltairiana ci abbia un po' fregato tutti quanti. Prendi uno a caso...
...Stefano Gabbana. Magari anche lui da qualche parte (a scuola?) ha appreso erroneamente che Voltaire avrebbe difeso fino alla morte i gesuiti che non la pensavano come lui. È un'ipotesi come un'altra. Oppure pesca parole a caso dal dizionario inglese-italiano. Elton John se l'è presa perché Gabbana ha definito suo figlio "sintetico" e ha deciso che lo boicotterà. Scelta che puoi discutere finché vuoi, ma in che senso uno che ha deciso di boicottarti per le tue opinioni è "fascista"? Che ragionamento c'è dietro, se proprio ce ne deve essere uno?
Una pista ce la offre Giorgio Mulè, direttore di Panorama, che qualche ora dopo sente la necessità di intervenire per richiamare Elton John, ci credereste?, alle più elementari norme di tolleranza: ma come, Gabbana ha definito tuo figlio "sintetico" e tu ti sei offeso? Si vede proprio che non riesci a "accettare le idee" altrui. Per fortuna non lo scrive in una lingua che Elton John possa comprendere.
Le immagini sono prese da http://twitter.com/lasoncini, che magari non la pensa come me (nel qual caso son pronto a morire, va da sé). |
Anche qui: di cosa parla Mulè quando parla di "democrazia"? Se Elton John smette di comprare prodotti Dolce & Gabbana diventa in qualche modo antidemocratico? In un'intervista Dolce e Gabbana hanno detto una stronzata, Elton John si è arrabbiato e ha annunciato che non comprerà più i loro prodotti. D&G hanno il diritto di scrivere stronzate (anche se il fatto di rappresentare un marchio che dà lavoro a così tante persone potrebbe suggerire maggiore prudenza), EJ ha diritto di boicottarli. Nessuna democrazia è stata violata fin qui. Nessuno sta impedendo a Elton John di avere figli, fuorché la legislazione italiana vigente. Nessuno sta impedendo a Gabbana di vendere vestiti, accessori, ecc.. Sembra così chiaro, eppure c'è qualcosa che non passa. Uno potrebbe anche pensare che Mulè in fin dei conti non si è ancora fatto le ossa nel mondo dell'opinionismo: che deve ancora farsi; che uno più esperto di lui non commetterebbe lo stesso errore.
#BoycottDolceGabbana is wrong. Ok, they have a different opinion So what? Freedom of expression just a candle in the wind, @eltonjohndotcom?
— beppe severgnini (@beppesevergnini) March 16, 2015
"Freedom of expression", dice. Cioè per Severgnini se ti arrabbi con Gabbana; se annunci che non comprerai più i loro prodotti, tu non stai rispettando la "libertà di espressione" di Gabbana. Per dire, io è da anni che non compro più il Corriere: trovo che scriva veramente troppe sciocchezze. Ebbene, pare proprio che mi stia sbagliando. Sto minando la libertà di espressione di Panebianco, di Ostellino, di Sartori, e chissà di quanti altri produttori di opinioni. Dovrei morire per la loro libertà di esprimerle! E invece non gliele compro, è o non è oscurantismo il mio? Che direbbe di me coso, Voltaire?
[Alla fine di tutto sorge il sospetto che Gabbana e il suo socio abbiano capito il mondo meglio di chiunque altro, e che l'immagine di un'Italia intollerante e culturalmente sottosviluppata, incapace di elaborare una discussione decente (e di elaborarla in inglese corretto) sia proprio quella su cui hanno imbastito anni di campagne. Un bel posto del Terzo Mondo dove passare le vacanze].
Perché Aldo Busi scrive così cane?
11-03-2015, 00:11italianistica, musica, omofobie, scrittura bene video male, sintassiPermalinkDice più o meno così.
Ma se la prende un po' più larga.
Questo diritto alla privacy sessuale però “il Fatto” non l’ha mai rispettato verso la sessualità di Silvio Berlusconi, seppure parimenti devastante su altri piani ma infinitamente meno immorale di quella di Dalla perché manifesta, esibita sia al pubblico ludibrio dei bacchettoni sia alla segreta invidia dei più italioti, e però oziosamente perseguita e perseguitata nei tribunali per una faccenda, massimamente, di un paio di mesi in meno rispetto a una età del consenso saltata ormai da almeno trent’anni nella vita sociale e civile e sessuale in ogni parte del mondo e che nelle prostitute schiavizzate sotto gli occhi di tutti ai cigli delle strade nostrane arriva a malapena ai sedici senza che nessuno muova istituzionalmente una falange (basti vedere di che cosa sono capaci le baby gang di quattordicenni organizzate probabilmente dai genitori stessi molto più vampiri pedofili sfruttatori dei loro eventuali estimatori da ricattare, anche se a costoro ben gli sta e malgrado dovrebbe essere un reato da depenalizzare almeno oltre i quattordici anni ovvero da aggiornare nei suoi ipocriti, obsoleti e patetici paletti anagrafici portatori di criminalità indotta poi soggetta alla discrezionalità di giudici più o meno ammanicati con la classe sociale o di potere degli accusati, che alla fine della sonata giuridica e mediatica mi sembra la facciano spudoratamente fin troppo franca).
Aldo Busi è un grande scrittore italiano (stavo per scrivere "del secolo scorso", che orribile gaffe). Quando vuole, i periodi li sa tornire con indiscutibile abilità. Se qui gli capita di scrivere cane, è perché ha deciso di suonare cane. Credo che sia l'equivalente letterario di alzare la voce in un talk show: le virgole sono pause e Busi non se le può permettere. Sarebbe come offrire al regista l'occasione per staccare, e invece lui vuole che la camera continui a girargli attorno. Anche il senso della frase gira su sé stesso: il Fatto non rispettava la sessualità di Berlusconi. Però la sessualità di B. era "parimenti devastante". Sì, ma "infinitamente meno immorale di quella di Dalla", per via che non era nascosta a tutti (beh, beh, fino a un certo punto; e anche Dalla non è che si nascondesse così tanto). Cioè ce l'hai con Dalla e lo paragoni a Berlusconi, però si deve capire che ce l'hai anche con Berlusconi, però con Dalla di più, ecc.
Dunque la sessualità di B. è "oziosamente perseguita" "per una faccenda, massimamente, di un paio di mesi". Busi finge di non sapere che B. non è stato indagato (e assolto) per aver trescato con una minorenne, ma perché sospettato di aver fatto pressioni su pubblici ufficiali per farla liberare; di aver lasciato che la Minetti la consegnasse a una signora che forse si prostituiva; insomma Berlusconi era a processo perché accusato di aver favorito l'eventuale prostituzione di una minorenne; qualcosa di un tantino più grave di aver passato qualche lieta ora con lei. Busi finge di non saperlo ma lo sa benissimo: e allora alza ancora di più la voce, dice che tanto per strada le prostitute sono tutte 16enni (sul serio?) e che comunque ci sono un sacco di baby gang di 14enni che fanno di peggio (quante?) e tenetevi forte: queste baby gang sono organizzate da genitori "vampiri pedofili sfruttatori dei loro estimatori". Qui Busi forse si accorge di essersi spinto un po' troppo in là, perché ci sono cose che ancora non passano nemmeno tra i lettori di Dagospia, e tra queste probabilmente la compassione per i poveri estimatori di gangster 14enni che li ricattano. Quindi si corregge immediatamente: "ben gli sta" (a questi estimatori ricattati). Da lì in poi va avanti per inerzia, non si sa nemmeno più cosa stia scrivendo: "dovrebbe essere un reato da depenalizzare": il ricatto? lo sfruttamento della prostituzione minorile? boh. Tanto poi decidono i giudici ammanicati coi politici è tutto un magnamagna. Aldo Busi, 2015.
Triste però.
C'è una cosa che succede ogni anno ai primi di marzo, di cui non vado tantissimo fiero. Tutti si ricordano Dalla, ascoltano pezzi di Dalla, e si mettono a cercare on line post che parlino di Lucio Dalla. E trovano il mio, che piano piano sta diventando uno dei contenuti più letti di sempre. Non è che sia un post particolarmente ispirato; però funziona, e ogni anno mi porta qualche contatto in più. Non è una questione di soldi. Non mi ci rifaccio nemmeno del caffè alla macchinetta. Però funziona: la gente cerca Dalla e trova qualcosa che ho scritto io.
Quest'anno Busi ha un romanzo da vendere, e così ai primi di marzo si mette a litigare su Dalla. "Uno zero come tanti, non isolato, però di panza, panza molto capiente in fatto di mercato e quindi di ogni specie di santi in paradiso, a destra, a sinistra, dove più fa comodo a entrambe le parti una e trina e, se occorre, doppia, sdoppiata, rasente e anche in absentia per accordi tra collusi al business del consenso". Potrebbe anche avere qualche argomento, non scrivesse così cane. Lo scandalo di Busi è che Dalla - di cui si dà per scontata l'omosessualità - non abbia mai difeso i diritti dei gay. Gli sarebbe bastato fare un coming out al momento giusto, e se n'è guardato bene. D'altro canto, è giusto pretendere da una persona una condotta pubblica coerente con la propria sessualità privata? Non è l'ultima frontiera del perbenismo? Chi lo sa.
Io so solo che Busi scrive da cane, e lo fa apposta. Come se fosse il primo a crederci poco, e a coprire i dubbi coi guaiti.
Il Dalla, abile facitore e propalatore di marcette populiste, omosessuale rinnegatore di se stesso non certo a letto ma dove conta affermarsi se si ha il talento della libertà da diffondere dando il buon esempio, cioè sulla pubblica piazza, e menefreghista doc, non ha fatto niente per i diritti civili, quindi remandovi scientemente contro, dei più deboli, tra cui quei cittadini cosiddetti gay e lesbiche che tuttora in Italia sono visti come degli appestati dalla clericalissima e corrottissima classe politica dominante che premia i “diversi” se si attengono al ruolo di macchietta o di “discreto” e “insospettabile”, che della macchietta è la ridicola esaltazione piccolo borghese ovunque, televisione, parlamento, spettacolo, Chiesa, imprenditoria, sport e, ovviamente, nel giornalismo anche più impegnato (anche se, per quanto a schiena dritta, si direbbe impegnato a raddrizzare le zampe ai cani tanta è la paura dell’omosessuale occulto di venire azzoppato lui: perché chi parla di politica e di etica civile senza esprimersi sul motore stesso dell’economia, cioè sulla propria inconfessabile sessualità e sui suoi fantasmi desideranti o rimossi o frustrati o vissuti di nascosto anche da se stesso, non ha ancora detto nulla in tema di politica e di riforme e di cambiamento che valga la pena di ascoltare, tesi centrale del mio ultimo e imminente romanzo). [...]
Spero almeno che tanta fatica sprecata serva a fare un bel po’ di pubblicità anche al mio romanzo: è proprio bello, divertente, sessuale, logico, compassionevole, avveniristico, anticlericale e di quella sana oscenità pagana di una volta, e non c’è niente di paragonabile in giro in libreria, figuriamoci sui giornali, uno si rifà proprio la bocca e i sensi tutti. Bella forza, m’ha detto uno che ha avuto il privilegio di leggerlo in anteprima, l’hai scritto tu.
La scuola dell'amore (non passerà!)
17-11-2014, 23:31dialoghi, omofobie, racconti, scuola, sessoPermalink(Notate prego la pubblicità progresso in cima). |
(Racconti del mese, novembre)
Cosa fare prima di scegliere la scuola per i vostri figli 1. Prima dell’iscrizione verificate con cura i piani dell’offerta formativa (POF) e gli eventuali progetti educativi (PEI) della scuola, accertandovi che non siano previsti contenuti mutuati dalla teoria del gender. Le parole chiave a cui prestare attenzione sono: educazione alla effettività, educazione sessuale, omofobia, superamento degli stereotipi, relazione tra i generi o cose simili, tutti nomi sotto i quali spesso si nasconde l’indottrinamento del gender. Ricordatevi che i genitori sono gli unici legittimati a concordare e condividere i contenuti di una seria e serena educazione alla affettività dei per i loro figli , rispettandone la sensibilità nel contesto del valore della persona umana
Non ho ben chiara cosa sia la "teoria del gender", ma l'educazione sessuale in scienze si fa alle medie; vorresti che la prof di scienze smettesse di parlare degli organi riproduttivi? Parlane con i genitori più islamici, potreste scoprire di avere molte cose in comune. Quanto all'educazione all'"effettività"... probabilmente intendevi "affettività"... mi spiace deluderti ma è praticamente in tutti i POF; se in qualche POF non c'è, è perché se la sono dimenticata o semplicemente la danno per scontata. Hai dato un'occhiata al libro di lettura di tuo/a figlio/a? C'è sempre una sezione sulle emozioni e l'affettività. In tutti i volumi. In tutti gli anni. La fanno anche nell'ora di religione cattolica (nella quale quasi sempre non si fa religione cattolica, il che è molto interessante). Secondo me la fanno persino nelle scuole cattoliche, anche se per farti piacere probabilmente si inventeranno un nome diverso. Ma sarà sempre affettività. L'unica tua chance è educare i vostri figli sanissimi in casa, probabilmente senza inutili lezioni sulle emozioni imparerà un sacco di cose in più.
2. Durante le elezioni dei rappresentati di classe esplicitate la problematica del gender e candidatevi ad essere rappresentanti oppure votate persone che condividano le vostre posizioni in materia . In ogni caso tenetevi informati con gli insegnanti, i rappresentanti di classe e di istituto per conoscere i n anticipo eventuali iniziative formative in materia di “gender”
Ti prego, fallo. Alla prima elezione dei rappresentanti di classe, quando sarete più o in meno in tre, prendi la parola e invece di fare domande e proposte sulla visita di istruzione, o sul calendario dei colloqui coi genitori, o sull'erogatore delle merendine o qualsiasi altro problema concreto, comincia a parlare di gender. Chiamalo proprio così: gender. "Se mi eleggete rappresentante prometto che mi preoccuperò di conoscere in anticipo eventuali iniziative formative in materia di gender".
Il trenta per cento non capirà quello che stai dicendo.
Un altro trenta per cento concluderà che sei gay e ti interessano tanto le loro problematiche.
L'altro trenta per cento sei tu.
È assai probabile che tu vinca le elezioni, semplicemente perché hanno capito che hai voglia di fare il rappresentante e loro no. Ché poi se sei gay son fatti tuoi, basta che fai il rappresentante.
3. Controllate ogni giorno quale è stato il contenuto delle lezioni e almeno una volta a settimana i quaderni e i diari scolastici, parlandone con i vostri figli. Non siate in alcun modo pressanti verso i figli ma siate coinvolgenti e attenti al loro punto di vista, pronti a render ragione della vostra attenzione.
Come ben sapete, se c'è una cosa che i vostri figli sanissimi non vedono l'ora di fare una volta tornati a casa dopo cinque ore di scuola, è subire l'interrogatorio da un sollecito genitore che vuole sapere Cosa hai fatto Di cosa hai parlato In cosa ti hanno interrogato. È sempre così coinvolgente. Soprattutto se gli "rendete ragione della vostra attenzione".
"Avete parlato di gender a scuola oggi?"
"No".
"La prof di scienze non vi ha parlato di gender?"
"No".
"Il prof di italiano non voleva discutere di gender?"
"No".
"E di cosa avete discusso?"
"No".
"Ma in cinque ore avrete ben..."
"Mamma NON ABBIAMO PARLATO DI GAY, OGGI, VA BENE?"
"Non parlarmi con quel tono".
"QUANDO PARLIAMO DI GAY TI AVVERTO IO, OK?"
"Io lo faccio per il tuo bene".
"CRISTO MAMMA DOMATTINA VADO DAL PROF E GLIELO CHIEDO. GLI CHIEDO SE CI PARLA DEI GAY. COSI' SEI CONTENTA".
"Non bestemmiare, non..."
"SE IL PROF NON NE SA UN CAZZO MI INFORMO IO, VADO ALL'ARCIGAY, CE L'AVRANNO BENE DEL MATERIALE INFORMATIVO. BASTA CHE LA PIANTI MAMMA".
"Ma perché ti comporti così? Sempre il contrario di quello che ti chiedo. Non capisco".
"PERCHE' SONO UN FOTTUTO ADOLESCENTE, MAMMA! Ci comportiamo così, non lo sapevi?"
"No".
"Ma non l'hai fatta educazione all'affettività alle medie?"
4. Visitate spesso il sito internet della scuola per verificare che il gender non passi attraverso ulteriori lezioni extracurricolari (es. Assemblee di istituto o altre attività straordinarie ).
"Beh, senti questa. Sai che gestisco il sito della scuola, no?"
"Dev'essere eccitante".
"Meglio della vernice che si asciuga. Beh, c'è un IP che tutti i giorni entra nel sito della scuola. Tutti i giorni".
"Un maniaco".
"Ma non è tutto. Tutti i giorni fa le stesse query. Le stesse".
"Ovvero?"
"GENDER".
"Uhm..."
"SESSUALITA'. ADOLESCENTI. GAY. LESBICHE".
"Sul sito della scuola".
"Sul sito della scuola".
"Hai l'IP?"
"Certo".
"Perché forse una segnalazione alla polizia postale, hai visto mai..."
"Già fatta".
"Bene".
COSA FARE SE LA SCUOLA ORGANIZZA LEZIONI O INTERVENTI SUL GENDER PER GLI STUDENTI
6. Date l’allarme! Sentite tutti i genitori degli studenti coinvolti e convocate immediatamente una riunione informale, aperta anche agli insegnanti
L'ideale sarebbe installare in tutte le case dei compagni dei vostri sanissimi figli un allarme di quelli assordanti, collegato alla vostra abitazione: appena scoprite che la scuola organizza lezioni, GONG! ALLARME GENDER! Fino a quel momento dovrete rassegnarvi a usare uno strumento un po' meno molesto (comunque il più invasivo a vostra disposizione): il telefono.
"Pronto".
"Sono Xyx, il rappresentante di classe..."
"Ah, è per la gita di istruzione?"
"No..."
"Perché io già gliel'ho detto alla prof di francese, che novanta euro mi sembrano troppi francamente".
"È che a scuola è successo un problema..."
"Già gli ho appena sborsato i venticinque del contributo volontario, che almeno la piantassero di chiamarlo volontario visto che non ti smollano finché te li han scuciti, e poi l'assicurazione per la palestra che è volontaria pure quella ma se non paghi tuo figlio non va in palestra.., ma voi rappresentanti ne avete parlato con il preside di questa roba?"
"Ma questa è un'altra cosa, un po' più grave".
"Sentiamo".
"Ecco, la scuola sta organizzando una lezione sul gender".
"Sul che?"
Come dar ragione alle Sentinelle
08-10-2014, 00:50aborto, attivismo, manifestaiolismi, omofobiePermalinkTrentino - Corriere delle Alpi, 5 ottobre |
HIV Texas Cowboy
04-02-2014, 03:35Americana, cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, fb2020, finché c'è salute, omofobiePermalinkDottore, te lo dico un'ultima volta: posa quella siringa e lasciami andare. Non sono una delle vostre cavie fottute. Non è ancora mutato il retrovirus che si porterà Ron Woodroof nella tomba. Forse avete sentito parlare di Dallas Buyers Club come del film in cui un bellone di Hollywood riscatta un passato di orribili commedie romantiche in serie, perde millanta chilogrammi e si sistema in uno dei ruoli preferiti dalla giuria degli Oscar: il sieropositivo macilento ma non domo. E a questo punto magari in voi sta già suonando un allarme: film ricattatorio, buoni sentimenti, moribondi che si abbracciano con soprani in sottofondo. Disattivate quell'allarme. Dallas Buyers Club è un western. E Matthew McConaughey (che è sempre stato un ottimo attore; purtroppo le commedie romantiche pagano di più) è un vero Texas cowboy a cui puoi togliere tutti i chili che vuoi - gliene restano abbastanza per mandarti al tappeto. Gli sguardi che ogni tanto gli riserva il transgender Rayon (Jared Leto, anche lui memorabile) sembrano tradire il punto di vista del regista: troppo facile commuoverci con sieropositivi gentili o raffinati, oggi soffrirete e piangerete per un puttaniere omofobo che puzza di rodeo e vive in una baracca.
Voglio però ricordarti com’eri (Uno studio comparato delle locandine dei suoi film, da Cracked.com) |
Prima di diventare un film, Dallas è stato un soggetto proposto e rifiutato per vent’anni. Affinché la “storia vera” diventasse una storia vendibile, è stato forse necessario rendere Ron molto più cowboy di quanto non fosse l’originale: metterlo in groppa a un toro (benché appassionato di rodeo non ne cavalcò mai uno), togliergli la figlia, affinché in una scena topica rimpiangesse di non averne mai avute; enfatizzarne l’omofobia, tema caro a Vallée; e soprattutto mettergli contro l’intero Dallas Mercy Hospital, il ranch dove i malvagi dottori sperimentano intrugli nocivi per arricchire le multinazionali.
Le cose sono ovviamente più sfumate di così; persino nei titoli di coda si ammette con una certa onestà che l’AZT, il veleno che secondo Ron stava facendo una strage, è ancora oggi uno degli ingredienti del cocktail di farmaci che tiene in vita milioni di sieropositivi. E d’altro canto la macchina farmaceutica, vista dall’individuo, è davvero un Moloch spaventoso contro cui ribellarsi: Ron ha la sfortuna di ammalarsi nel momento in cui i sieropositivi cadono come mosche, le multinazionali stanno cominciando a sperimentare farmaci su di loro, e il rischio di accelerarne la morte è calcolato. Di fronte a un destino tagliato così male, Ron si ribella e ha almeno la fortuna di trovare la persona giusta: in una clinica messicana, un medico radiato ma ancora abbonato a Lancet, che gli fa provare il peptide T, non ancora approvato negli USA. Pensa se invece incontrava un Vannoni.
“Matthew McConaughey… GHIGNA STUPIDAMENTE PER 90 MINUTI!” “Esatto, è tutto quello che succede” (NY Times). (Da Cracked.com). |
Dallas Buyers Club è al Vittoria di Bra alle 20:15 e alle 22:30 e al Fiamma di Cuneo alle 21:10; francamente non so se resisterà oltre giovedì (magari poi torna nelle sale dopo gli Oscar). È il tipico film di nicchia che molti preferirebbero guardare in lingua originale. Non abbastanza per farlo programmare in una sala della provincia di Cuneo, questo si sa. Ma abbastanza per rendere la versione sottotitolata in streaming un’alternativa interessante, ancorché illegale. Come può difendersi la distribuzione italiana da una concorrenza così sleale? Magari una settimana dopo il debutto nelle sale americane si potrebbe mettere in commercio una versione on line sottotitolata: qualche spilorcio continuerebbe a rubare, ma molti pagherebbero volentieri anche sei o sette euro, come al cinema. Oppure si può lasciare tutto com’è, doppiare l’accento texano di McConaughey, e terrorizzare i potenziali ladri di contenuto con qualche spot terrorizzante all’inizio dei dvd. Se hanno scelto questa seconda strada si vede che funziona.
L'impero del Kitsch
12-12-2013, 02:1421tw, cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, fb2020, omofobiePermalinkIn un universo parallelo, il giovane Silvio Berlusconi un giorno si è imbarcato per una crociata più lunga delle altre e non è tornato a casa. Costretto a sostituire il fido Confalonieri al piano, si è arrabattato trasformando ogni concertino in uno spettacolo, ogni difetto di esecuzione in una gag; perfezionando nel frattempo anche l'arte di stordire gli ascoltatori di barzellette e chiacchiere tra un numero e l'altro. Una volta sbarcato negli USA, lo aspettava altra gavetta nel circuito dei saloon e dei bordelli: poi gli è capitato di fare un po' di storia della televisione (è pur sempre Silvio Berlusconi), e alla fine si è fermato a Vegas: il primo grande artista a far sgorgare dollari dal deserto. L'oasi delle slot divenne la capitale del suo impero del kitsch: massaie di cinquanta Stati venivano a toccargli il parrucchino, e a constatare che a differenza di tutti gli ex divi della tv in bianco e nero, lui non invecchiava: aveva soltanto messo fuori i colori, e che colori. In un universo non troppo parallelo, Silvio Berlusconi ha un segreto che non è esattamente quello di Dorian Gray: si tiene giovane macinando carne giovane, attirando timidi ragazzini con regali e promesse di gloria, suggendo loro la linfa vitale, per risputarli poi sul marciapiede, involucri vuoti ma segnati per sempre nell'animo e nella plastica del viso. Nel nostro universo invece Silvio Berlusconi ha fatto l'imprenditore e noi ci siamo persi un artista, un entertainer, un personaggio favoloso. Consoliamoci con Liberace.
Perdonate il curziomaltesismo - e dire che quella lunga epoca in cui ogni film era uno spunto per parlare di B. sembrava esaurita: ma poi a due settimane dalla decadenza arriva anche in Italia il Liberace di Soderbergh, e di fronte all'incredibile consistenza bavosa del personaggio impersonato da Michael Douglas, qualsiasi sforzo di tenere lontano il pensiero di Berlusconi e delle sue ragazze di Casoria o Casablanca risulta vano... (continua su +eventi!)Forse proprio perché Soderbergh sembra voler rifuggere qualsiasi spunto politico per limitarsi a ritrarre un narcisista all’ultimo stadio, anche se filtrato dal punto di vista di una delle sue vittime (un tizio non proprio affidabile: ultimamente per esempio forse è in galera).
Forse Liberace, l’inventore del camp, meritava un racconto più lungo e disteso: la storia del concertista classico che per ingrossare il suo pubblico pagante comincia a inserire in repertorio canzonacce da music hall, passando nel giro di pochi anni da Liszt al boogie-woogie, conteneva spunti più interessanti della sua tarda vita sentimentale e delle sue chirurgie plastiche. Avremmo così scoperto che il Kitsch abbracciato dal pianista nasce dalle esigenze pratiche dell’entertainer: Liberace non vuol essere un punto scuro in giacca scura che suona un pianoforte scuro in fondo a un palco immenso. Vestiti, anelli, barzellette: tutto ciò che funziona per attirare l’attenzione del pubblico è una cosa buona, e con le cose buone non si esagera mai abbastanza (“too much of a good thing is wonderful”). Nello spazio di vent’anni, Liberace passa dal tuxedo scuro allo strascico di ermellino. Sempre più grosso, sempre più vistoso, il pianista è anche sempre più vuoto: la musica è diventata un accessorio per far prendere fiato al pubblico tra una gag e l’altra. Alla vacuità del personaggio poi corrisponde una vita sentimentale melodrammatica che lui volle tenere nascosta fino alla fine. Il film decide invece di scoperchiarla, illuminando solo una piccola porzione di quello che è stato Liberace: ma il cinema è fatto così, bisogna semplificare, e lui lo sapeva bene.
Il grande schermo è sempre stato il suo cruccio: non importa quanto fosse già ricco e famoso, il suo sogno era diventare una stella del cinema, e non ci riuscì. Gli andò meglio in tv – memorabile la sua comparsata nel telefilm di Batman – ma il mezzo gli stava stretto. A un quarto di secolo dalla sua scomparsa, la maledizione continua: Soderbergh ha girato per anni gli studios cercando di piazzare il soggetto. Persino la disponibilità di Michael Douglas e Matt Damon non è riuscita a vincere la diffidenza per un film in cui i due avrebbero fatto un po’ di sesso assieme. Alla fine anche stavolta la tv ha vinto: il film è stato prodotto dal canale HBO, quello che produce le serie serie. In Italia è uscito nelle sale, tanto vale approfittarne. (Update: a Cuneo e provincia l’hanno già tolto. Però c’è ancora all’UCI Moncalieri, alle 14:35! Secondo me inizia un po’ più tardi).
L'amore non è mai stato così blu
26-10-2013, 03:58>1000, cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, fb2020, Francia, migranti, omofobie, sessoPermalinkLa vita di Adele (Abdellatif Kechiche, 2013; palma d'oro a Cannes).
Un giorno Zeus ed Era stavano litigando su chi traesse più piacere dall'atto sessuale, se l'uomo e la donna, quando ebbero un'idea: chiediamo a Tiresia, è l'unico che possa sapere come stanno le cose davvero, per via dei suoi trascorsi transessuali. Quando uccise una serpentella che copulava col suo partner, lo punimmo rinchiudendolo per sette anni in un corpo femminile: lui lo saprà chi dei due gode di più. E dicci quindi, Tiresia, quale orgasmo hai preferito?
Tiresia non usò mezzi termini: nove decimi dell'orgasmo spettano alla donna, punto. Maledetto Tiresia, hai svelato il nostro segreto! disse Era, e per punizione lo accecò. Così almeno non avrebbe fatto il regista. La vita di Adèle è il terzo film a tema lesbico che guardo in un mese (e non mi sto annoiando). Di tutti è il più sfacciato. Kechiche si è accomodato nell'esile storia a fumetti di Julie Maroh svuotandola dall'interno, suggendola come un'ostrica, senza fingere nessun rispetto per tematiche e personaggi. A capirlo bastano le primissime scene: siamo in un liceo, ragazzi e ragazze ripassano un romanzo di Marivaux che col fumetto non c'entra assolutamente nulla. Ma Kechiche ha già provato con la Schivata a sovrapporre la retorica fiorita del drammaturgo settecentesco francese ai silenzi impacciati dei liceali di banlieue. Marivaux ha scritto il Paesan rifatto, ha composto commedie in cui i servi fingono d'essere i padroni e viceversa; Marivaux racconta di oneste fanciulle di campagna che finiscono in città, abbandonate agli azzardi del caso e dell'amore. Kechiche è un cinquantenne etero il cui amore per la cultura francese è pari soltanto alla sua diffidenza per la spocchia degli ambienti culturali francesi. La fatica di crescere lesbiche nella Lille degli anni Novanta non è che gli interessi più di tanto, e non finge nemmeno d'interessarsene, questo è in fondo apprezzabile: Kechiche lo sa di essere un intruso in una storia che non lo riguarda, e gli piace. Per girare tre o quattro scene di sesso Kechiche reclude per settimane sul set due giovani attrici che all'inizio nemmeno si conoscono, e pretende che si masturbino a comando. La più grandicella è erede di due dinastie di produttori cinematografici francesi. Kechiche è un regista di origine tunisina che si è fatto da solo, e ora sul set ha il corpo di Léa Seydoux a sua disposizione. Se conosci tutti questi dettagli, quando vai a vedere la Vita di Adele hai paura che non riuscirai a seguire la storia, che vedrai il riflesso del rancoroso paesan rifatto Kechiche in ogni occhio lucido d'attrice. Poi si spengono le luci, e scopri che c'è ben altro.
E però se davvero si è letto tutta La vie de Marianne per te, a prescindere dalla scelta di genere, tu un po' gliela dovresti dare. |
Il film che ridefinisce il concetto di "ripetizioni di filosofia" |
Chi sono io per giudicarvi, depravati
01-08-2013, 17:42ho una teoria, omofobie, pontefici, preti parlantiPermalinkUn papa popolarissimo non è una novità; ne abbiamo già avuto uno per più di vent'anni, e sappiamo che lo status di superstar internazionale non ti rende necessariamente più progressista, anzi. Giovanni Paolo II ha organizzato tante adunate e concerti, e su contraccezione o divorzio o qualsiasi altro argomento non ha ceduto un'unghia. Non c'è dubbio che in giro ci sia tanta, tantissima voglia di un papa rivoluzionario, e di rivoluzione in generale. Che in un momento di crisi generale molti laici aprano un credito a un nuovo pontefice non sorprende, la speranza è merce rara. Che ci voglia credere pure qualche gay è comprensibile, non è che debbano essere tutti per forza militanti laici. Ma che abbocchino gli intellettuali, ecco, questo è triste. In fondo a cosa servono, se non a fare un po' di controcanto, a smontare la retorica che trasforma ogni gesto e parola banale in un'epifania?
Che un papa sappia girare intorno ai concetti fino a trasformare una condanna all'omosessualità in una parola buona sui gay, non sorprende (continua sull'Unità, H1t#191): è un vescovo, un prete, un professionista della comunicazione; possiamo persino ammirare il gesto tecnico, come i tifosi che applaudono quando un avversario fa un dribbling favoloso. Ma possibile che non ci sia stato un solo giornalista, un vaticanista, un filosofo, che di fronte alla domanda retorica “chi sono io per giudicare” non gli abbia risposto con l’unica risposta sensata? Chi sei tu per giudicare? Sei il papa, il vicario di Cristo, ciò che leghi resterà legato, ciò che sciogli resterà sciolto (Matteo 18,18), dietro di te c’è l’emblema del Vaticano con le chiavi del paradiso, che significano appunto che sta a te, all’organizzazione che presiedi, stabilire chi ci va e chi no; e di conseguenza chi va all’inferno e chi no. E siccome un tuo predecessore ha fatto scrivere sul Catechismo che le relazioni omosessuali sono “gravi depravazioni” (2357), “la Tradizione ha sempre dichiarato che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati», sono contrari alla legge naturale, precludono all’atto sessuale il dono della vita, non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale, in nessun caso possono essere approvati”, beh caro Francesco, non schermirti: se non li giudichi tu, allora chi?
Il vescovo in guêpière
15-07-2013, 21:26omofobie, santiPermalinkBrancati is not amused. |
A San Vitaliano capitò, verso la fine del settimo secolo, di svegliarsi molto presto, come tutti i giorni, per il servizio mattutino; di intonare i salmi in cattedrale con gli occhi probabilmente ancora incispati di sonno; e di cominciare a udire, negli intervalli tra inno e responsorio, qualche risolino sempre meno imbarazzato, finché non capì che stava succedendo qualcosa di veramente terribile; e solo in quel momento aprì gli occhi davvero; e solo in quel momento si accorse che era vestito da donna.
Da donna come?
La leggenda non lo dice! e quindi siamo liberi di sfrenarci: reggicalze, guêpière, eccetera. Anche se più probabilmente era un semplice sottanone: ma siamo nel settimo secolo, quasi ottavo, qualsiasi indumento femminile in quella situazione sarebbe risultato piuttosto conturbante. Bisogna anche dire che il mattutino si cantava molto presto: prima dell'alba. Con tutto questo, per arrivare vestiti da donna in cattedrale ci vuole una certa disattenzione. Vale la pena di ricordare ancora una volta che il travestitismo fu ritenuto per tutto il medioevo un peccato gravissimo (carnevale a parte), e che a Giovanna d'Arco alla fine bastò mettersi in pantaloni per farsi bruciare come eretica. In seguito Vitaliano riuscì a dimostrare che si era vestito così a sua insaputa: alcuni suoi nemici, preti invidiosi che mal digerivano la sua popolarità presso i fedeli capuani, gli avrebbero sostituito nottetempo i paramenti sacri con abiti femminei; Vitaliano poi era uno di quelli che al mattino si vestono alla cieca, senza neanche accendere il lume, e così... in fondo sempre gonne sono, no? Devo dire che non è così implausibile. Meno di un vescovo col fetish degli indumenti femminili? Non saprei.
La prima reazione di Vitaliano fu darsela a gambe in direzione Vaticano, dove il Papa lo avrebbe senz'altro capito e sostenuto... (continua sul Post).
Melón y jamón
26-06-2013, 02:13omofobie, santiPermalink26 giugno - San Pelagio martire, trofeo di guerra
“Rodrigo!”
“Mio signore...”
“Come sta il prigioniero?”
“Neanche un graffio, mio signore”.
“Vorrei anche vedere, sai che ne risponderesti con la vita. Ma il morale?”
“Mi pare piuttosto spaventato”.
“Sì, eh?”
“Sta sempre nell'angolo della tenda, non vuole dare le spalle a nessuno”.
“Chissà per chi ci ha presi. Quanti anni avrà, secondo te?”
“Anche quattordici. Questi mori sono precoci”.
“Ma quale moro e moro, non l'hai visto? È biondo”.
“Dicevo gli occhi”.
“Gli occhi, già. Portalo qui, Rodrigo”.
“Chiamo il bardo?”
“Ma che bardo e bardo, servi una cena leggera piuttosto”.
“Subito”.
***
“Vieni avanti, vieni, non aver paura. Come hai detto che ti chiami?”
“Non ho detto niente, signore”.
“E dimmelo adesso”.
“Alì”.
“Figlio di?”
“Ibn Mohammed”.
“E ti pareva. E Mohammed era figlio di?”
“Alì”.
“Certo che voi infedeli, con rispetto, ma ci avete una fantasia coi nomi che non riesco a capire come possano le vostre madri riconoscervi...”
“Signore, abbiamo un solo Dio, e un profeta. Forse è per questo che abbiamo pochi nomi”.
“Ma senti il paggetto teologo, sentilo. Stai insinuando che noi cristiani abbiamo tanti nomi perché siamo idolatri? Anche noi abbiamo un Dio solo”.
“Ma ha fatto un figlio, a quanto mi risulta”.
“Ma senti che boccaccia. Lo sai che potrei farti frustare? Lo sai? Qua fuori ho tutti gli strumenti all'uopo, e i miei uomini non vedrebbero l'ora di sentire le urla di un infedele che...
Toc toc.
“Che c'è?”
“Mio signore, la cena”.
“Ah già, porta qui. Cos'hai?”
“Melone e prosciutto”.
“Melone e... ma sei fuori di testa? Ma ti pare il caso?”
“Mio signore, è tutto quel che c'è in cambusa, io pensavo che...”
“Pensavi, tu pensavi, ma lo vedi il ragazzino? Ma secondo te lo mangia il prosciutto, uno così?”
“E perché no, signore?”.
“Imbecilli. Sono circondato da imbecilli. Perché è un saraceno, razza di capra di Mursia!”
“Mio signore, con rispetto, ma... è un prigioniero”.
“E allora?”
“Scusate...”
“Che c'è, ragazzino”.
“Se non è un problema, io mi contento del melone”.
“Vede signore? Si contenta del melone”.
“Non abbiamo altro?”
“In questo momento no, finché non arriviamo a Toledo...”
“Uff, Toledo. Sparisci”.
***
“Ti piace il melone?”
“Molto”.
“Devi scusare il mio servo. È un imbecille. Ce n'è parecchi, qui. Questo è il motivo per cui la Riconquista va per le lunghe, sai”.
“Perché ci sono troppi imbecilli?”
“Altrimenti avremmo già espugnato Cordova da cinquant'anni e rispedito tutti gli infedeli al di là del mare. Voglio dire, che ci vuole. Fosse per me la faccenda si sistemerebbe in una primavera. Assedi Cordova in febbraio, Granada in marzo, e... ma non voglio rivelarti i miei piani”.
“Non sarei comunque in grado di capirli, signore”.
“Hai la risposta pronta, tu. Mi piaci. Voglio dire, mi piace come rispondi”.
“Non mi frusterete?”
“Magari sì, ti frusterò, adesso vediamo, per ora mangia. Vedi Mohammed... posso chiamarti Mohammed?”
“Mi chiamo Alì”.
“Alì, già. Vedi, vorrei che tu sapessi che anche se adesso ti può sembrare tutto orribile, la prigionia, le torture eccetera... vorrei che capissi che ci siamo passati tutti – a chi non è capitato di essere dato in ostaggio, o di essere rapito in una scorreria...”
“Avete impalato mio padre”.
“Tuo padre, lasciatelo dire, era un rompicoglioni che mi assillava dai tempi di Segovia. Aveva sgozzato mio cugino. Non che mio cugino non fosse anche lui un imbecille, anzi, avessi potuto scegliere tra i due non so chi avrei fatto fuori prima. Però adesso non cercare di impressionarmi con tuo papà impalato. Siamo in guerra, queste cose capitano”.
“Esiste solo la guerra?”
“Che io sappia sì”.
“Ma quando è cominciata?”
“Niente, qualche secolo fa gli infedeli sono arrivati per mare, han cacciato i Visigoti da tutta la Spagna tranne qualche castellaccio nelle Asturie, dopodiché...”
“Io avevo sentito dire che cominciò quando gli asturiani invasero il Califfato”.
“Eh, eh, certo, come no, siamo sempre noi quelli cattivi che cominciano”.
“Non è così?”
“No, avete iniziato voi. Non potevate starvene di là dal mare?”
“E prima che arrivassimo noi... non c'era la guerra?”
“Ce n'erano altre, contro i Bizantini, i Franchi... ma non è la stessa cosa. Io per dire contro un Franco non mi sarei mica messo a cavallo”.
“E perché?”
“Perché i Franchi sono tipi a posto. Sono cristiani. Tra cristiani ci si può andar d'accordo. Ma gli infedeli sono come i corvi in un campo. O mangi tu o mangiano loro. E loro non coltivano niente”.
“Ma veramente, i giardini di Cordova...” (continua sul Post...)
Che v'ha fatto Rosy B.
19-03-2013, 01:03cristianesimo, omofobie, Pd, ponteficiPermalinkA questa character assassination, come dicono gli inglesi, ha collaborato certo l'allegro tesoriere Lusi, ma nell'ultimo anno ci ha messo del suo anche la Bindi, che messa sotto pressione non ha reagito sempre nel modo migliore. Nel momento in cui il dibattito interno nel PD è diventato la rottamazione, pardon, la questione generazionale, la Bindi (senza essere affatto anziana) con alcune sue reazioni non compostissime ha dato diversi argomenti ai rottamatori. Però il mobbing collettivo nei suoi confronti parte da prima. E prosegue.
Anche ieri stavo pensando alla Bindi, quando ancora ignoravo l'exploit della parlamentare m5s che si vantava su Facebook di averla trattata con maleducazione in parlamento. Stavo discutendo con un commentatore che mi invitava a considerare quanto bene abbiano già fatto i m5s: senza di loro invece di Grasso e della Boldrini a presiedere le camere avremmo gente come D'Alema o la Bindi, t'immagini? D'Alema o la Bindi. Quando uno vuole esprimere in sintesi quanto male abbia fatto il centrosinistra in Italia, cita D'Alema o la Bindi. Io ero a tanto così da mettermi a spiegare distesamente perché entrambi sarebbero stati ottimi nomi, magari non simpatici ma molto competenti; senz'altro più di Grasso, che è un'ottima scelta ma dovrà presiedere un Senato senza nessuna esperienza in Senato. Per fortuna avevo di meglio da fare che difendere una causa persa. Giusta, magari, ma persa.
Su D'Alema tagliamola corta. Non mi è mai stato simpatico, non ci ha neanche provato. Ma non avrebbe potuto mai essere candidato a Camera o Senato, siccome non è stato eletto (non si era nemmeno candidato). Altro discorso il Quirinale, da cui però lo allontanano le nomine di due presidenti di centrosinistra. E infatti Grillo sta già chiamando a raccolta ai suoi contro la spaventosa eventualità: così se non si verificherà (come è probabile) potrà cantare vittoria e dimostrare la coesione dei suoi. Del resto, per come stanno le cose MD'A potrebbe farsi monaco, anche Zen, spararsi nello spazio con o senza capsula, seppellirsi in un letto di calcestruzzo sotto la fossa delle Marianne, non ha nessuna importanza. Qualche giornalista o blogger con l'aria saputa continuerebbe a spiegarci che dietro qualsiasi strategia del PD c'è dietro lui, un diabolico piano per diventare sempre più potente, come Goku, e fare dispetti a Vegeta, pardon Veltroni. È il modo in cui hanno scelto di raccontarcela e non sarà mica la realtà a farli cambiare idea, ci mancherebbe. D'Alema in realtà è stato un bravo ministro degli Esteri, ma ha comunque fatto tanti errori nella sua carriera (veramente troppi, considerate la sua intelligenza e la sua competenza) e se a questo punto la gente lo detesta non val la pena di spezzar lance, è andata così. Ma Rosy Bindi?
(Via Giornalettismo) |
Non solo gli abitanti della grillosfera, che alla maleducazione istituzionale sono stati, per così dire, pazientemente rieducati. Perché una persona x che vuole additare un piddino biasimevole, una volta su due sceglie l'ex ministro che varò la riforma della sanità, la politica cattolica che, in splendido isolamento, parlava di diritti alle coppie di fatto nel 2006? Ichino è una vittima del terrorismo perché una volta due tizi in una conversazione intercettata fantasticavano di dargli fuoco; la Bindi giovanissima rischiò la vita nell'attentato a Vittorio Bachelet, e di ciò non frega nulla a nessuno. Ce l'hanno tutti con Rosy Bindi. Ma non da tantissimo tempo: è una cosa degli ultimi anni, prima il personaggio godeva anche di una certa simpatia. Allora io purtroppo ho una teoria - meno di una teoria, diciamo un pregiudizio. Nulla mi leva dalla testa l'idea che dietro a questa aggressività sempre meno latente (se ormai spunta anche a Montecitorio), dietro a questo bullismo trasversale, ci sia dietro il solito maschio Alfa: Silvio Berlusconi.
È lui che ha iniziato. I bulletti odierni ovviamente non lo sanno - sono appena arrivati, e poi "non guardano la tv" - però si sa come vanno le cose nei corridoi: se sputano a Rosy come a una vecchia insegnante stronza è perché hanno visto i più grandi prima di loro sputare alla maestra stronza. E i più grandi, qualche anno fa, erano più piccoli e seguivano il Capo. È come con Angela Merkel, la culona inchiavabile. Che risate quando saltò fuori il bigliettino. Che indignazione, anche. Però... che risate. E poi col tempo, e con l'aggravarsi dello spread, anche chi fingeva di prendersela ha cominciato a convenire, nei banchi di dietro, che la tizia tanto chiavabile non fosse. Ahah. Silvio è il Bullo Primo: ridono tutti di lui, però alla fine lo copiano. All'inizio è insopportabile, poi ti ci abitui, poi lo trovi divertente, poi fa tendenza, poi governa per un ventennio, poi ti ritrovi bombardato ed è tutta colpa sua, noi non è che ci credessimo, noi, stavamo soltanto scherzando, noi.
Angela |
Ma quello è un altro discorso - la guerra tra la Bindi e i LGBT. L'aggressività di quest'ultimi, censurata pure da Ivan Scalfarotto, si potrebbe in parte scusare - dopotutto quella dei diritti civili è una battaglia sacrosanta - se qui non prevalesse la vecchia abitudine a giudicare le azioni dai risultati, e per ora l'unico risultato concreto di costoro è avere offeso Rosy Bindi, fine. Offendendo Rosy Bindi non hanno conquistato alla causa nessun cattolico, il che potrebbe essere un problema in un Paese in cui un Papa, qualsiasi Papa, gode di una luna di miele almeno biennale qualsiasi cosa faccia o dica, compreso Buonasera e Buon Pranzo. Se poi tra un Buona Notte e un Arrivederci ci infila anche un Niente Adozione ai Gay che Comunque Vanno All'Inferno, nessuno se la prenderà troppo. Del resto ora che il PD ha perso le elezioni, del fondamentale dibattito sui diritti civili non frega più niente a nessuno, visto che dei gay in Italia non frega niente a nessuno: l'unico servizio che rendono è mettere in difficoltà il partito ex comunista ed ex democristiano ogni volta che rischia di vincere le elezioni. Se poi Bersani o qualcun altro riuscirà a mettere in piedi un governo, senz'altro l'argomento tornerà d'importanza vitale: ma soltanto finché serve a creare tensioni in un partito che malgrado la robusta componente cattolica ha cercato faticosamente di mettere in agenda il problema.
Rosy Bindi è stata, nel 2006, la cattolica più coraggiosa d'Italia: ha messo il suo nome su una proposta di legge che ben pochi cattolici si sarebbero sentiti di controfirmare. Se la proposta fosse passata nel 2007, oggi le coppie omosessuali sarebbero riconosciute per legge. Non sarebbe stato tutto, ma sarebbe stato già qualcosa, e sarebbe successo sei anni fa. Oggi un eventuale dibattito partirebbe da posizioni molto più avanzate. Quel che è successo invece è che Rosy Bindi è diventata la vittima designata di un tiro al piccione, promosso da attivisti e da leader che piuttosto di procedere faticosamente per gradi, un po' per calcolo un po' per istinto (bullistico istinto) hanno preferito arroccarsi nel Tutto o Nulla, sperando che prima o poi le conquiste ottenute altrove in Europa vengano estese all'Italia per contagio. Va bene, è un calcolo.
A volte, non so, mi sembra più intelligente che bella. |
C'è una frase in particolare che ha consegnato la Bindi alla riprovazione universale, che ovviamente è possibile ritrovare sulla pagina di Wiki a lei dedicata (dove non c'è traccia del lungo affaire Di Bella, per esempio):
Il desiderio di maternità e di paternità un omosessuale se lo deve scordare. [...] Non sarei mai favorevole al riconoscimento del matrimonio fra omosessuali: non si possono creare in laboratorio dei disadattati. È meglio che un bambino cresca in Africa [che in una famiglia di omosessuali].La maggior parte dei cattolici la pensa così. Il Papa la pensa così - però è un tizio simpatico, vuol bene ai poveri e tifa anche una squadra di calcio, mica te la puoi prendere con lui poverino. Rosy Bindi, unanimemente condannata per aver considerato gli omosessuali genitori peggiori degli africani, ha solo messo la sua faccia sotto questo pensiero così scandalosamente non-contemporaneo. E per questo pagherà, sta già pagando. Da quel che mi sembra di ricordare il paragone tra gay e africani era stato proposto dall'intervistatore: il razzismo della risposta riflette quello della domanda. Per noi contemporanei, che riteniamo i gay assolutamente normali proprio in quanto gay (e cioè determinati dalla loro identità di genere), non ci può essere dubbio: l'Africa è un brutto posto, l'Europa un luogo migliore (dove infatti i diritti dei gay sono riconosciuti), e quindi dire, o anche solo pensare che un bambino africano possa vivere meglio in Africa che in una famiglia gay, è blasfemo. La pensiamo così (anch'io tutto sommato la penso così), è la nostra religione.
Rosy Bindi non la condivide. Per lei si può vivere una vita piena in Europa come in Africa; la differenza non la fa il PIL pro capite, la speranza di vita media, né il rispetto di cui godono le minoranze. I cattolici credono in una vita eterna, e subiscono il mito sempre vivo delle missioni, dove si vivrebbe una fede più pura. Insomma hanno altri parametri, tra cui c'è l'avere un padre e una madre, anche poveri, anche africani; per la Bindi è meglio. La pensa così. E lo dice. Milioni di persone in Italia la pensano così. Se vogliamo ottenere qualcosa, dovremo chiederlo a quei milioni di persone, attivare un dialogo - o aspettare che invecchino, ma salta invece fuori che si riproducono di buona lena. A questo dialogo Rosy Bindi era disponibile. Non avrebbe mai concesso matrimonio e diritto di adozione, ma intanto riconosceva il problema, e ci mise la faccia. L'ha persa.
Alla fine non è così difficile capire perché ce l'hanno con lei. È sola. Rappresenta un progressismo cattolico ormai scomparso dalle parrocchie. Gli altri cattolici non la riconoscono quasi più tale. I non cattolici non capiscono che senso abbia discutere con lei. Probabilmente non ha davvero più senso, è rimasta isolata, in ostaggio di progressisti che a loro volta sono circondati da reazionari. La gente questa cosa non la capisce, la gente la fiuta. Sente l'odore della preda facile, si eccita e accorre in frotta. Siamo fatti così, nasciamo così e a quanto pare abbiamo il diritto di comportarci così.
Rosy Bindi ha anche fatto cose giuste e importanti, ma ormai non ha senso ricordarle. Non ha senso perder tempo a spezzar lance, se ci tieni alla carriera. È spacciata. Per intestardirsi a difenderla bisogna essere dei cagacazzo di bastian contrari senza arte né parte, che non hanno mai capito come si salta sul carro giusto. Presente.
Facciamo che invecchio un'altra volta
24-11-2012, 03:15Cgil, omofobie, scioperi, scuolaPermalinkIo insegno in una scuola media (in realtà adesso si chiamano secondarie di primo grado, ma nessuno riesce a chiamarle così). Quando un mese fa il mio massimo dirigente, il ministro Profumo, buttò lì in una bozza di decreto l'aumento di un terzo del mio orario settimanale (a parità di salario), ottenne due risultati.
Il primo risultato fu che nella bolgia che ne seguì, io scoprii un po' dappertutto e anche nei commenti di questo blog molte verità sulla mia categoria che ignoravo. Per esempio che siamo tutti una manica di assenteisti che scioperano continuamente, non vogliono essere giudicati per quello che valgono ma si accontentano di accumulare scatti di anzianità, scatti su scatti, come se invecchiare sulla cattedra fosse in qualche modo meritorio. Tutto questo sarà probabilmente vero, anche se intorno a me vedo una realtà ben diversa, ma forse sono troppo vicino per capire il quadro d'insieme. Io vedo colleghi che spesso, tra la salute e la continuità didattica, scelgono la seconda, col risultato di aggravare la prima. La storiella per cui non vogliamo essere valutati forse deriva dal fatto che i ministri ne parlano da più di dieci anni, di questa benedetta valutazione: ma non hanno mai presentato un progetto concreto. Ne chiacchierano soltanto, nei corridoi. Secondo me in fondo a quei corridoi lì c'è sempre il tesoriere, per cui dopo aver discusso un po' di quanto sarebbe bello pagare di più i professori meritevoli, quando arrivano in fondo il discorso si interrompe bruscamente, come diceva Leopardi, "all'apparir del vero": dove li troviamo i soldi con cui premiare i meritevoli? Non li troviamo, anzi dobbiamo tagliarne a tutti, quindi non ha senso perdere tempo a valutarli. Per inciso, fino a qualche giorno fa non c'erano i soldi nemmeno per gli scatti di anzianità, che risultavano bloccati da parecchio tempo.
Il secondo risultato della proposta indecente del ministro Profumo fu che la categoria, finalmente, s'incazzò: e vorrei anche vedere. Non so che lavoro facciate, ma pensate un attimo all'idea di dover lavorare un terzo in più per zero euro in più: ditemi se la cosa può passar liscia. E sì che ormai sembravamo rassegnati a qualsiasi vessazione: contrariamente a quello che credono tutti, non siamo quel tipo di categoria che si mobilita tutti gli anni per qualsiasi cosa. La maggior parte dei colleghi che conosco gli scioperi in linea di massima non li fa, perché non crede nello sciopero come mezzo efficace di lotta, e il peggio è che non sono nemmeno sicuro che abbiano tutti i torti. Lo so che è difficile da immaginare: abbiamo tutti fatto le scuole e gli scioperi li ricordiamo come vacanze inattese e graditissime: eppure per l'insegnante lo sciopero può costituire un grosso disagio. Non è un giornalista, che se chiude il giornale quel giorno lì non lavora. L'insegnante per certi versi è un lavoratore a cottimo, deve arrivare a giugno con tot programmi fatti e tot voti nel registro, e quel che salta nel giorno dello sciopero lo deve recuperare poi.
Comunque persino i più stacanovisti, un mese fa, tentennavano: ci furono assemblee piuttosto infuocate, e i sindacalisti presenti ne approfittarono per segnalare che i comparti scuola di Cisl e Uil (più altre sigle autonome di una certa importanza) si erano già mobilitate per il 24 novembre, cioè oggi. Era un vero peccato che quelli della Cgil non volessero aderire, sarebbe stato il primo sciopero unitario da un bel po' di tempo. La Cgil in effetti aveva già organizzato uno sciopero in ottobre, e in più aveva aderito a quello europeo di tutte le categorie del 14, per cui probabilmente esitava a domandare ai propri associati un terzo giorno di sciopero in un mese. Però la situazione ai primi di novembre era davvero particolare: si respirava una rabbia del tutto inedita, e l'occasione di riunire finalmente le sigle sindacali dopo anni di scazzi reciproci era imperdibile; insomma, alla fine aderì anche la Cgil. In questo modo finì prevedibilmente per danneggiare la sua stessa mobilitazione del 14, perché molti insegnanti a quel punto scelsero di fare uno sciopero solo e ovviamente scelsero quello di categoria, che tra l'altro cadeva anche di sabato.
Anche questa cosa del sabato merita di essere spiegata. Gli scioperi al sabato in linea di massima andrebbero evitati, sanno di corteo studentesco (con tutto il rispetto per i cortei, ma, insomma, siamo un'altra categoria, appunto). La sindacalista che spiegò la cosa a me disse che il sabato era stato scelto per evidenziare un aspetto importante, e cioè la mobilitazione degli insegnanti della scuola media, pardon secondaria (di primo e secondo grado): quelli minacciati dall'aumento a 24 ore, dal momento che maestri e maestre della primaria le 24 ore le fanno già. E va bene, messa in questi termini poteva avere anche un senso. Inoltre era il primo sciopero unitario da un sacco di tempo, mica vuoi metterti a sottilizzare, no?
Nei giorni successivi le 24 ore settimanali si sono rapidamente sgonfiate; però gli insegnanti ormai si erano svegliati e non si assopivano più. Del resto motivi per protestare ce ne sono infiniti: dico il primo che mi viene in mente, i tagli sul sostegno agli alunni con handicap. Certi ragazzini si ritrovano de-certificati da un anno all'altro: prima avevano un certificato che riconosceva loro un handicap (e un insegnante di sostegno), e all'improvviso non l'hanno più. La conclusione più ovvia a cui giungono molti di loro (famiglie incluse) è che sono guariti. Tocca agli insegnanti spiegare che no, non sono affatto guariti, è solo che la scuola non ha più risorse per loro. Perciò capite che anche a 18 ore settimanali un insegnante può avere buoni motivi, secondo me, per scioperare. Un altro motivo è che gli scatti sono bloccati da un pezzo, e nel frattempo il costo della vita aumenta, ecc. Insomma, lo sciopero è rimasto nell'agenda di molti miei colleghi. Fino a giovedì.
Avete capito bene. Giovedì è successo qualcosa. C'è stata una riunione nella notte, insomma, si è saputo che finalmente si erano sbloccati gli scatti. Una cosa incredibile, nessuno ci credeva davvero, cioè, avremo gli scatti. Per me è un piccolo choc, finalmente qualcuno riconosce che sto invecchiando. Ma psicologia a parte, a quel punto molti esponenti sindacali hanno deciso che erano contenti così. Dopotutto Profumo si era già rimangiato le 24 ore, poi Monti ci ha dato gli scatti, insomma, che altro pretendiamo? Contrordine, al sabato tutti a scuola. Cisl, Uil e le altre sigle autonome hanno revocato lo sciopero, giovedì sera. Aggiungendo disagio al disagio, perché in molti casi le famiglie erano già state avvisate, e magari qualche uscita fuoriporta era stata programmata ecc. ecc.
Ma la cosa più strana, se volete, è che la Cgil alla fine lo sciopero non lo ha revocato. È stata l'ultima organizzazione importante ad aderire, ed è l'unica importante che oggi sciopera. Aveva aderito per ottenere un fronte comune, e alla fine si trova da sola, esposta al tiro al piccione. Per dire, se uno va sul sito della Cisl scuola già da ieri c'è un tale che fa l'offeso perché "ancora una volta chi riesce a ottenere qualche risultato se lo vede contestare da chi, incapace di costruirne di migliori, offre in alternativa soltanto slogan sempre più frusti, privi di sostanza e di prospettiva", insomma la tregua è durata venti giorni, sono già ripartiti gli stracci.
Sul sito della Cgil invece ci sono un paio di conti. Per dare a tutti gli scatti promessi servirebbero 480 milioni di euro (!). Pare che il governo ne stanzi 86. E i restanti 394? Pare che abbiano deciso di attingere dai fondi d'istituto. Cioè dai soldi che vanno alle scuole. Non so se riesco a spiegarmi. Per aumentare lo stipendio a me, tolgono soldi alla mia scuola. Posso dire che non li voglio, a queste condizioni? Sul serio, ne faccio a meno, cosa mi serve avere in busta qualche euro in più se poi sul posto di lavoro mi tolgono... ma cosa mi possono ancora togliere, esattamente? Abbiamo smesso di fare progetti, ormai. Avrete senz'altro sentito di quel ragazzo che si è tolto la vita a Roma. Gli studenti del suo liceo hanno scritto una lettera in cui si afferma, tra l'altro, che "il Cavour non è mai stato un liceo omofobo in quanto fino a quando i fondi sono stati sufficienti, alcune classi hanno preso parte ad un progetto sulla sessualità organizzato dalla ASL e approvato dal collegio docenti". Corsivo mio. Ora, magari bastassero i progetti sulla sessualità organizzati dall'Asl, davvero, a eliminare l'omofobia. Però erano tutte occasioni di approfondimento, di discussione, che non si fanno più. Non ci sono più soldi. La famosa carta igienica, non vorrei sempre approfittare del luogo comune, però siamo a questo punto: siccome invecchio mi dai qualche soldo in più, e li prendi dai fondi per la carta igienica. Posso dire che è uno schifo, una presa per il culo, letteralmente, e che non ci sto? Sul serio, facciamo che invecchio un'altra volta, stavolta no, a queste condizioni io resto giovane e oggi sciopero, quasi quasi okkupo pure.
Ma in quattro non avrebbe proprio senso
22-07-2012, 00:17famiglie, futurismi, omofobie, replichePermalinkIl Trimonio spiegato a mia figlia
"Papà-Mac?"
"Sì?"
"Perché la mamma vuole bene a un altro uomo?"
Non era senz'altro ieri sera che mi sarei messo a spiegare il Trimonio alla mia piccola Leti.
Non mentre le cose sembravano filare lisce, tutto sommato. Assunta non si era presentata a cena con una scusa qualsiasi. Apparecchiando, Concetta aveva annunciato a monosillabi che non avrebbe mangiato, perché aveva mal di testa anzi sonno anzi nausea e si ritirava in camera, e i piatti li avrei lavati io. Leti si era subito offerta di aiutarmi, per il grande amore che porta al profumo del detersivo biologico al limone. Così avevamo stabilito che lei avrebbe risciacquato i piatti che le passavo, e intanto avremmo parlato di come vanno le cose a scuola.
Ma Leti non aveva voglia di parlare della sua scuola. Voleva invece parlare del nostro Trimonio.
"Papà-Mac?"
"Sì?"
"Perché la mamma vuole bene a un altro uomo?"
Anche questa doveva succedere prima o poi, ma proprio ieri sera?
"Tesoro, sono cose che capitano ai grandi. Anche tu, quando-sarai-grande…"
"Papà no, quella frase era vietata. Lo avevi promesso!"
"Hai ragione".
"Tu lo conosci, l'uomo che piace a mamma Sunta?"
"Sì, credo di sì".
"È il dottore, quello da cui siamo andati per il vaccino, te lo ricordi?"
"Certo"
(Assunta aveva deciso d'informarci della sua relazione un giorno d'autunno che pioveva, e Supernet ogni mezz'ora interrompeva le trasmissioni con paurosi bollettini sull'incredibile virulenza del bacillo influenzale in arrivo dalla Corea, mentre Concetta faceva e rifaceva i conti di casa senza trovare i denari per vaccinare la bambina.
"Conosco un uomo all'Ospedale Maggiore", aveva detto.
Un uomo).
"Certo che mi ricordo".
"A me sta simpatico, lo sai?"
"Bene".
"Papà, ma lui non può venire a stare con noi?"
La piccola, ecco dove voleva arrivare… "No, tesoro, no. Lui non può entrare nella nostra famiglia".
"Però la mia compagna di banco, l'Elisabetta, lei ce li ha due papà, e vivono tutti e due insieme con lei".
"E quante mamme ha l'Elisabetta?"
"Una".
"Lo vedi? Lei ha due papà e una mamma: totale, tre. Tu hai già due mamme e un papà: quanto fa?"
"Fa sempre tre".
"Certo, per questo si chiama Trimonio. Ognuno deve avere tre genitori, questa è la regola".
"Ma perché proprio tre?"
"Tesoro, tre è il numero perfetto. Vedi, una volta, quando il Trimonio non c'era, la gente era triste, le famiglie nascevano e morivano in un niente, i papà e le mamme si litigavano i bambini, tutta un'enorme confusione senza senso, mi segui?"
"Sì".
"Finché un giorno un gruppo di persone, che si riuniva in segreto per cercare di risolvere i problemi del mondo, decise di studiare con attenzione la faccenda e cercare di proporre delle soluzioni nuove. Qualcosa a cui nessuno avesse pensato prima".
"Chi c'era questo gruppo di persone?"
"Tesoro, nessuno lo sa. Si trovavano in segreto, appunto".
"Ma tu non c'eri?"
"No, beh, io… andavo e venivo, portavo il carrello con le paste. Ma è stato tanto tempo fa, sai. Insomma, questo gruppo di persone, che sono i fondatori del Teopop, decisero di consultare un uomo molto intelligente. Gli dissero: abbiamo grossi problemi coi rapporti di coppia. Gli uomini e le donne non fanno che litigare, e poi ci sono anche uomini che vogliono stare con altri uomini, e donne che vogliono stare con altre donne, e questi uomini e queste donne vogliono ugualmente crescere dei bambini, il che ci pone altri problemi di natura etica che non abbiamo più voglia di porci, perché sono irresolubili e in definitiva una gran perdita di tempo; potresti risolverci tutte queste complicazioni, e farlo in fretta, per favore? Perché noi tra una settimana facciamo un colpo di stato e andiamo al potere".
"Cosa vuol dire colpo di stato?"
"Scusami, non importa. L'importante è che questo uomo molto intelligente, che si chiamava Arci…"
"Quello che faceva gli esperimenti con te?"
"Proprio lui. Be', lui ci pensò su una mezz’oretta e poi disse: avete mai pensato che forse il problema è la coppia? Perché non proviamo a inventarci qualcos'altro, qualcosa di più stabile? La coppia è un concetto incerto, traballante, come la bicicletta, se non è in movimento cade. Non è molto più stabile il triciclo?"
"Cosa c'entra il triciclo, papà?"
"Era un esempio per spiegare la grande differenza che c'è tra una Coppia e un Trimonio. La Coppia deve sempre sorvegliare il suo equilibrio; il Trimonio invece è stabile, perché è sorretto da tre persone, come le ruote di un triciclo, e se una delle tre persone ha problemi, ce ne sono ancora due su cui si può contare. All'inizio però la gente non ne voleva sapere".
"Perché?"
"Sai, la gente non si fida delle cose nuove. Dicevano: da che mondo e mondo si è sempre fatto in due. E Arci rispondeva: ma guardatevi attorno, signori. Non vi è mai venuto in mente che da che mondo e mondo si è sempre fatto male, che sarebbe ora di provare a fare un po' meglio? Ma loro scuotevano la testa e dicevano: se aumentiamo le persone in una famiglia, aumenteranno anche i litigi".
"E lui cosa rispondeva?"
"Lui spiegava che i litigi di coppia sono i peggiori, perché si è sempre uno contro uno, e nella maggior parte dei casi uno deve cedere di sua spontanea volontà, e questo alla lunga lo avvelena. Mentre quando si è in tre o più, i litigi sono più facili da contenere, perché, per esempio, si può votare, e ci sarà sempre una maggioranza e una minoranza; oppure, molto spesso quando due litigano la terza persona cerca di rimetterli d'accordo".
"Come tu con le mamme?"
"Sì, vedi. Probabilm se avessi una sola mamma, e lei non fosse qui ora, io sarei molto arrabbiato con lei".
"Come mamma Cetta".
"Ma siccome mamma Cetta è già molto arrabbiata, io sono portato a sentirmi meno arrabbiato di lei, perché devo stare nel mezzo. Arci questo lo capiva, ma gli altri non gli credevano. Gli dicevano: non puoi generalizzare queste cose".
"E lui?"
"E lui rispondeva, perché no? Anche voi non fate che generalizzare i rapporti di coppia, perché io non posso generalizzare quelli in tre? Solo perché non si sono ancora visti? Ma appena si vedranno, sembreranno naturali e imperfetti come se fossero sempre esistiti. Altri gli dicevano: ma noi siamo cristiani e la Bibbia non lo permette".
"Davvero?"
"Macché, infatti lui rispondeva: la Bibbia è un libro molto grande, sfogliatelo bene e vedrete che vi permette qualsiasi cosa".
Ora siamo su divano, davanti a noi Supernet mostra il Pontefice che si sbraccia dal balcone di una clinica. Non ho mai capito se giornalisti e spettatori siano solo contenti della guarigione, o se non sperino di assistere di persona a una polmonite fulminante. Dev'essere un ambiguo misto di tutt'e due.
Dall'altra parte di una parete di cartone, so che Concetta mi ascolta. So che ha gli occhi sbarrati e non riesce a dormire.
"Non ho capito, papà. La Bibbia dice che ci si deve sposare in tre?"
"No, però non dice neanche il contrario. E molti personaggi importanti avevano due mogli, come Abramo o Giacobbe".
"E c'erano anche donne con due mariti?"
"No, questo in effetti è un'assoluta novità. Ma non ha creato particolari problemi. Per molti uomini anzi è stata una specie di liberazione, perché... come faccio a spiegarti... si dividevano le donne anche prima, ma dovevano farlo di nascosto".
"Quando sono grande, voglio avere due mariti".
"Hai ancora molto tempo, per fortuna".
"E poi voglio avere un bambino".
"Se ti sposi con due uomini, dovrai averne almeno due".
"Perché due?"
"Ogni Trimonio deve
"Ma se uno non se la sente?"
"Tesoro, avere bambini è molto importante. Un altro dei motivi per cui fu istituito il Trimonio era il fatto che se ne facevano sempre meno. A un certo punto tutte le coppie facevano solo un bambino, e così nel giro di una generazione i cittadini rischiavano di diventare la metà, mi segui? E questo non andava bene".
"Ma non potevano farne due?"
"No, diventava sempre più faticoso, e sia la mamma che il papà dovevano lavorare".
"E se uno dei due stava a casa?"
"Non c'erano abbastanza denari per crescere i bambini. Ma Arci aveva pensato anche questo. Lui ragionava in questo modo: non c'è nulla di grave se caliamo un po', ma non dobbiamo dimezzarci. Allora possiamo fare così: invece di avere due genitori che
"Papà, noi le percentuali a scuola non le abbiamo ancora fatte".
"Scusa, hai ragione. Ma insomma, il Trimonio risolveva un sacco di problemi".
"A me non sembra tanto".
Ora le cose si fanno difficili. Cerco di abbassare il volume di Supernet, invano. Ultimam il comando del volume non funziona più tanto bene. Spegnere non è il caso, darei una brutta immagine della famiglia, e poi magari la bambina si spaventa.
"Tesoro, non devi pensare soltanto a noi. Arci pensava alla situazione generale, non ai casi particolari".
"C'è una cosa che non ho capito".
"Lo so, ma te la spiego un'altra volta, è ora di lavarsi i denti".
"Però, papà, quando tu eri giovane il Trimonio non esisteva".
"No".
"E adesso ti sembra una cosa normale".
"Certo tesoro, la cosa più normale che c'è".
"E allora quando io sarò grande, ci si potrà sposare in quattro, sembrerà una cosa normale".
"Ancora con questa storia? No, tesoro, non ci si potrà mai sposare in quattro".
"E come fai a saperlo, papà? Conosci il futuro?"
"No, ma… insomma, in quattro non avrebbe proprio senso".
"Invece in tre ha senso".
"Sì, in tre ha senso. È molto meno divertente di quel che credevamo, ed è difficile, ma io sono tanto contento di essere sposato con le due mamme, e di essere tuo papà".
"Papà, io vorrei parlare con Arci".
"Tesoro, è impossibile, Arci è andato via".
"E nessuno sa dove?"
"No, nessuno sa dove. Buonanotte".
Il supermarket dei diritti
19-07-2012, 17:42cattiva politica, omofobiePermalinkAlla fine non stiamo parlando di omosessualità, non stiamo parlando nemmeno di diritti civili. Tutta questa discussione non sarebbe che la solita, annosa polemica pragmatisti vs massimalisti, durante la quale è di rigore evocare Bertinotti almeno una volta. Lui nel '98, per ottenere una cosa che nessuno si ricorda più cosa fosse (le 36 ore? No, nemmeno) fece cadere il governo Prodi e così ottenne... nulla. Una lezione per tutti i massimalisti del mondo. Il paragone mi sembra infelice, per vari motivi.
Il banale primo motivo è che alcuni partecipanti a questa discussione, secondo me, nel '98, erano ancora molto giovani e forse nemmeno non nati, perlomeno a me piace pensare così. Le analogie si fanno per vivacizzare una discussione, non per virarla al bianco e nero. Si ritorna a Bertinotti '98 come si torna al Mundial '82 o a Italia Germania 4-3, per mancanza di fantasia e di pudore. Primo motivo.
Il secondo motivo è che, se mi pongo dal punto di vista di un rifondarolo (faccio un po' fatica, ma ci provo), Bertinotti '98 non è stata la cosa più brutta che è successa. Lo stesso Bertinotti fece tesoro dell'esperienza, e otto anni dopo portò Rifondazione a sostenere un Prodi II, in una coalizione (l'Unione) dove i rifondaroli furono tra i più disciplinati - giusto qualche mal di pancia quando si trattava di rifinanziare l'Afganistan, e mi pare il minimo. Il risultato di tanto pragmatismo quale fu? Parlo da rifondarolo: il governo rimase in minoranza grazie a uno dei soliti transfughi dell'IdV; lo fece cadere Mastella; si tornò a votare e Rinfondazione sparì dal parlamento. Dopo una storia del genere, una delle più paradossali della pur bizantina politica italiana, io non vado più in giro a lamentarmi coi rifondaroli del loro massimalismo. Ognuno lotta innanzitutto per la propria sopravvivenza, e finché furono massimalisti i rifondaroli sopravvissero alla grande. Fu il pragmatismo a stroncarli: spiace per primo a me, ma andò così.
Il terzo motivo è che, per quanto massimalisti, i bertinottiani avevano un'idea abbastanza coerente - anche se un po' virata seppia - del massimalismo: per loro c'era il governo e c'era la lotta. A un certo punto decisero di uscire da un governo (per meglio dire di non appoggiarlo più) per tornare alla lotta. Avrebbero lottato, manifestato, scioperato, fatto tutto quello che compete fare a un movimento politico di base per conquistare consensi e tornare in parlamento più forti di prima. C'era poi probabilmente in alcuni movimentisti quell'idea del "tanto meglio tanto peggio" che tanti danni ha fatto a questo sventurato Paese: riportare Berlusconi al governo poteva essere il modo più spiccio perché i contrasti sociali diventassero più forti, avvantaggiando i movimenti politici più radicali, eccetera. Tutto ciò non è mai successo, ma è facile notarlo col senno del poi (no, era facile anche nel 1998, ma facciamo finta). Era una strategia fuori dal tempo, fuori dal mondo, ma era ancora una strategia.
A me - spero di sbagliare - ma non sembra che il movimento LGBT italiano ne abbia una. Si ritiene umiliante un compromesso: va bene, molti compromessi sono umilianti. Ma poi? Cosa resta da fare? Lo chiedo senza retorica e con molta curiosità.
Ribadisco che qui non si parla di diritti civili, ma di qualcosa di comunque importante. Del modo in cui ci si arriva, ai diritti; che è poi la concezione che ognuno ha della politica. Per me la politica è il proseguimento della lotta di classe con altri mezzi: ci sono classi sociali, ognuna lotta per ottenere una serie di risultati che chiama "diritti", e che quasi sempre vanno a scapito dei privilegi o dei diritti di altre classi sociali. È una concezione un po' veteronovecentesca, non c'è dubbio, ma è la mia. La vostra qual è?
Posso sbagliarmi. Mi sbaglio senz'altro. Ma voi mi sembrate clienti di un supermercato. Il vostro modo di chiedere dei diritti non implica una lotta, lunga o breve che sia: no, voi entrate in un supermercato, vi aspettate che ci sia l'aria condizionata, non c'è, voi allibite. Come non c'è. C'è in tutti gli altri supermercati della zona. C'è in "Germania" e c'è in "Spagna", da qualche tempo in qua c'è persino in un negozietto fuori mano che si chiama "Portogallo", cosa significa che da noi non c'è? È uno scandalo. Non avete tutti i torti. Peraltro senza aria condizionata la merce si guasta molto prima, insomma, sarebbe anche una questione igienica, e di dignità personale. Ma non c'è.
E quindi? Intendete organizzare un movimento di protesta? Incatenarvi ai carrelli? Boicottare la catena? Alcuni queste cose le fanno. Ma mica tanti, e mica molto spesso. Una marcia dimostrativa in estate, va bene. Fine. Nel frattempo, chi ha la possibilità, cambia semplicemente supermercato. Giusto, ma nel frattempo chi vive e lavora in "Italia" continua a sudare tra puzza di carne guasta. Vi siete scandalizzati, va bene, la cosa vi fa onore; però non sta cambiando nulla.
Mi sbaglierò, spero di sbagliarmi, ma dietro c'è un'idea di cittadinanza che a me non piace (omofobo!) Il cittadino-cliente, che fa i confronti tra i volantini dei vari supermercati. Si sveglia una mattina, scopre che non gli sono riconosciuti tot diritti, si lamenta, cambia Paese. È scandaloso anche solo pensare che il riconoscimento dei diritti sia il risultato di una lotta, che può passare attraverso sconfitte e compromessi. No, in California nel 2012 fanno così, perché in Italia no? È uno scandalo. Non ci si preoccupa di studiare come mai in California nel 2012 si è arrivati a fare così: attraverso lotte, sconfitte, compromessi, vittorie. No, hanno già combattuto in California, a noi interessano soltanto i risultati, che devono immediatamente essere estesi a noi. Sennò andiamo in California. E chi può naturalmente lo farà. Ma gli altri?
Poi citate Mandela. Il leader di una lotta armata, arrestato per incitamento allo sciopero e detenuto per 27 anni. Avete intenzione di passare alla lotta armata? Non sopportate un ritardo di 12 anni rispetto alla situazione tedesca e vi riferite a uno che ha aspettato per 27 anni in galera? Citate Martin Luther King: con tutto l'affetto di questo mondo, vi pare che i gay pride italiani abbiano il respiro, le dimensioni, la forza simbolica della marcia su Washington? E poi qualcuno insulta. Sono veramente molto pochi, però è interessante anche questo. Io sono per il matrimonio gay, e l'ho scritto: devo comunque prendermi la mia dose di insulti perché nel 2012 oso proporre quello che in Francia ha funzionato nel 1999 e in Germania nel 2001. Rispetto a Rifondazione - un partito di minoranza che però arrivò quasi al 10%, e che magari si augurava di sfondare le linee e diventare un movimento di massa, il movimento LGBT ha un problema ineludibile: lotta per ottenere i diritti di un gruppo di persone che stanno tra il 5 e il 10% della popolazione. Più di così (e sono numeri ancora fantascientifici in Italia) difficilmente potrà mai ottenere, né col massimalismo né in qualsiasi altro modo - a meno che non si riesce a portare dalla propria parte un bel po' di eterosessuali convinti che ci sia un problema.
Ecco, parlo da eterosessuale: se mi insultate in linea di massima non mi portate dalla vostra parte. Ma magari è un problema solo mio.
Per sposarsi ci vuole pazienza
17-07-2012, 01:56cattiva politica, ho una teoria, omofobie, PdPermalinkCe ne lamentiamo a ragione: sui diritti delle coppie omosessuali siamo molto indietro rispetto ai Paesi più avanzati. Quanto indietro? La sentenza della Corte federale tedesca, abbiamo visto, è del 2009. Le "convivenze registrate" esistevano già, dal 2001, ma non riconoscevano il diritto di adozione congiunta. Una notevole differenza. Che a un certo punto è sembrata insopportabile ai tedeschi, e alla loro Corte federale. Però non ci si è arrivati in un giorno. C'è stato un processo graduale: prima si è ammessa una forma di convivenza per partner omosessuali che non dava gli stessi diritti del matrimonio (ed era già il 2001); poi ci si è accorti che questa convivenza di serie B era una discriminazione, e si è rimediato alla cosa (intanto si era fatto il 2009); ancora ci si trattiene dal chiamare il "matrimonio" col suo nome, ma a questo punto è ormai un dettaglio. Raccontata in tre righe sembra senz'altro più semplice di quanto dev'essere stata per i gay tedeschi che hanno convissuto in questi anni: ma almeno la storia ha un lieto fine, oggi hanno gli stessi diritti degli etero. Possiamo fare la stessa cosa in Italia?
Sembra di no. Da una parte chi di coppie gay non vuole sentir parlare (ma sono sempre meno); dall'altra chi vuole il matrimonio subito, la parità subito, e considera tutto il resto un compromesso inaccettabile. In mezzo, ovviamente, il PD... (continua sull'Unità, H1t#136).
Il Cristo gay e il Grande Inquisitore
10-06-2012, 05:00cristianesimo, Cristo, dialoghi, omofobie, preti parlanti, raccontiPermalinkVoi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa...
“Dunque, la scena comincia così: immaginati una processione, in una città medievale, oscurantista... facciamo Bologna”.
“Bologna, via, così oscurantista poi...”
“Bologna è perfetta, ci stanno i domenicani, quindi l'Inquisizione. Immaginati una di quelle processioni medievali coi flagellanti, no? E proprio durante questa processione, chi ti compare?”
“Chi mi compare?”
“Un Cristo gay”.
“Un Cristo gay”.
“È quel che ho detto”.
“Non so, Ivan, abbiamo già diverse polemiche in corso, se magari riusciamo a evitare di offendere cristiani e gay in un botto solo io preferirei...”
“Nonò fidati, un Cristo gay che appena compare, tutti all'improvviso capiscono che è lui, la folla si apre per lasciarlo passare, tutti lo seguono in silenzio, senza osanna, senza alleluja, tanto ovvio è che lui è Cristo”.
“E che è gay”.
“È un Cristo gay”.
“Ivan questa cosa però spiegamela meglio, perché io posso anche capire un Cristo a Bologna nel medioevo, cioè se sono in Strada Maggiore e all'improvviso vedo un ebreo con la corona di spine più o meno ci arrivo che è Cristo, ma spiegami come faccio a capire che è pure gay”.
“In effetti anch'io mi sono posto il problema”.
“Cioè non gli possiamo mica mettere l'aureola arcobaleno”.
“Perché no”.
“Perché è il medioevo a Bologna, cosa vuoi che ne sapessero dei colori del movimento LGBT”.
“Va bene, ci pensiamo dopo. L'importante è che sia evidentemente gay”.
“E tutti lo seguono”.
“Per forza, è un Cristo gay. Tu non lo seguiresti? Anche solo per curiosità?”
“E poi che succede?”
“Succede che a un trivio si devono fermare per dare la precedenza al cocchio, e il cocchio è ovviamente una cosa kitschissima, tutti intarsi e intagli e lacche in oro zecchino”.
“Nel medioevo? Non è un po' presto?”
“Il cocchio però invece di sfilare inchioda, e dalla finestrella spunta il volto arcigno di un vecchio Inquisitore, sormontato da un tricorno fucsia molto chic”.
“Questa cosa finisce malissimo, vero?”
“Non abbiamo neanche iniziato. Anche l'Inquisitore ovviamente capisce subito chi ha davanti, ovvero...”
“...un Cristo gay”.
“Un Cristo gay, e gli basta un cenno perché gli uomini della sua scorta lo prendano in consegna. Ovviamente gli uomini della sua scorta sono maschiacci nerboruti e sudaticci, muniti di alabarde un po' falliche”.
“Questi particolari sono tutti necessari?”
“No, però sono divertenti. Dunque l'Inquisitore si fa portare il Cristo gay nel suo palazzo, e dopo una sobria cena e un sobrio intrattenimento, decide di scendere nelle segrete per interrogarlo. Senza testimoni”.
“Ci mancherebbe”.
“La scena vera comincia adesso. Dunque l'Inquisitore entra nella cella, squadra il suo uomo a lume di candela e gli dice: taci”.
“Come taci, scusa, ma che interrogatorio è”.
“È un interrogatorio molto interessante. Gli dice, taci, non c'è bisogno che tu mi dica chi sei, e non c'è nulla che tu possa aggiungere per modificare la tua posizione. Non so cosa sei venuto a fare sulla terra una seconda volta”.
“Ma come non lo sa, scusa...”
“...ma non m'interessa, hai avuto una vita per parlare e adesso ti tocca ascoltare. Lo sai in che guaio ci hai messo? No che non lo sai. Ci hai dato la libertà, come credi che l'avremmo usata, se non per mangiarci a vicenda? Lo sai in che disastro ci hai mollati? E sai quanto ci abbiamo messo a pulire? Mille anni ci abbiamo messo. C'è toccato persino allearci col tuo nemico, sai, Satana. Abbiamo una joint-venture, adesso. Non lo sapevi? Vedi che in questo interrogatorio hai qualcosa da imparare. Non è che ne andiamo fieri, ma cos'altro potevamo fare? Siamo gay, perdio, quanti credi che siamo in tutto? Il dieci per cento della popolazione mondiale? Il quindici?”
“No, dai, il quindici no”.
“Che male ci sarebbe?”
“Mi sembra esagerato, via, il quindici”.
“Ma fosse anche il venti, è pur sempre una minoranza, lo sai cosa vuol dire?”
“Vuol dire che dovranno lottare affinché alle minoranze siano riconosciuti i loro diritti”.
“Ecco, lo vedi? Il classico ragionamento da Cristo gay. Ma non funziona così”.
“E perché non funziona così?”
“Perché l'umanità è una cosa un po' meno nobile di come la raccontava lui, perché homo homini lupus e tutto il resto, e insomma non importa che sia una razza o un'identità di genere o una preferenza sessuale o il colore dei capelli: la minoranza sarà sempre angariata dalla maggioranza. Sempre”.
“Ma no dai, sempre no”.
“Sempre, te lo dico io. Cioè no, te lo dice il Grande Inquisitore Gay”.
“Ah, perché anche il Grande Inquisitore è...”
“Lo aveva appena detto. Quindi mettiti nei nostri panni, continua il Grande Inquisitore Gay, infilati nei nostri soffici ermellini. Se almeno fossimo stati una minoranza, che so, etnica. Potevamo sempre sperare di diventare una maggioranza da qualche parte, con guerre o complotti. Ma siamo gay. Non possiamo diventare una maggioranza, per definizione”.
“E perché no?”
“Perché siamo gay, stupido. Non siamo prolifici”.
“Ah già dimenticavo. Ma potevate adottare”.
“In effetti pensammo subito a questo. Ma come potevamo riuscirci? Tu che avresti fatto? Una bella campagna per il diritto della coppia gay all'adozione durante l'impero romano?”
“Beh, forse i tempi sarebbero stati un po' prematuri”.
“Ah, perché invece nell'Alto Medioevo...”
“Quindi insomma niente da fare”.
“Al contrario. Ci siamo riusciti alla grandissima, spiega il Grande Inquisitore Gay (da qui in poi GIG). Siamo in assoluto la comunità che adotta di più. Abbiamo uomini in tutti gli orfanotrofi, anzi gli orfanotrofi li costruiamo direttamente noi. Non è stato difficile. Sai come abbiamo fatto?”
“Come avete fatto”.
“Abbiamo fatto coming in”.
“Coming in... cosa?”
“È un neologismo che ho inventato io, spiega compiaciuto il GIG. Ci siamo nascosti. Certo tu avresti preferito che noi vivessimo in mezzo alla gente fieri dei nostri costumi. Certo tu, caro Cristo gay, avresti preferito che il sale della terra rimanesse nella terra, e che la lucerna non restasse occultata sotto il moggio... ma ne abbiamo parlato con Satana e lui è stato molto più convincente. Ci siamo nascosti perché era l'unico modo per sopravvivere nei secoli, capisci. Noi non siam come te, che vieni, predichi tre anni e poi ciao ciao, fate i bravi, ci vediamo alla fine dei tempi. Noi abbiamo da pensare a sopravvivere per millenni, non possiamo accontentarci di qualche oasi di tolleranza qua e là, noi sappiamo che gli olocausti sono sempre dietro l'angolo e dobbiamo corazzarci”.
“Così insomma i gay ci sono sempre stati, ma si sono nascosti per sopravvivere”.
“Certo, continua il GIG, e lo sai dove ci siamo nascosti?”
“Non so, in qualche confraternita immagino”.
“Nella confraternita più esclusiva e allo stesso tempo più universale e più potente e allo stesso tempo più capillare dell'universo, sai qual è? La domanda la faccio a te, col Cristo gay non ce n'è bisogno, lui la sa già”.
“E quindi insomma...”
“Ma non hai capito? Hai davanti un Grande Inquisitore Gay, con lo zuccotto fucsia, l'ermellino, le scarpette di Gucci, eddai... dove vuoi che si siano nascosti”.
“No dai Ivan per favore”.
“Nella Chiesa cattolica! Siamo tutti qui, continua il GIG. Da secoli siamo qui, e ce la spassiamo! Prolifici quanto mai, abbiamo in mano gli orfanotrofi, le scuole, i precettori nelle case private, se da qualche parte nasce un ragazzino o una fanciulla tendente all'omoerotico, fidati che lo troviamo all'istante, e ci preoccupiamo di lui per tutta la vita! Questo facciamo”.
“La Spectre gay”.
“Abbiamo inventato la Confessione, ti rendi conto? Non c'è mai stata in tutta la storia dell'uomo un età così fortunata per i gay”.
“Ivan, sei sicuro?”
“Altro che lottare per i diritti civili e la tolleranza e tutte queste menate. Noi non vogliamo la tua patetica tolleranza, dice il GIG a Cristo. Noi vogliamo il potere, e lo abbiamo. Siamo o non siamo stati bravi. Da secoli una congregazione di gay regna sull'Europa, così ben organizzata che gli etero ancora non se ne sono accorti, ed è meglio così, no? Per il loro bene”.
“Perché voi non ce l'avete con gli etero”.
“Ci sono indispensabili, poveretti. Lavorano, ci pagano le decime. E soprattutto sono prolifici, loro”.
“Qualcuno lo deve pur essere”.
“Finché non inventeremo l'inseminazione artificiale, l'utero artificiale, magari la clonazione, ecco, ma la scienza è ancora indietro, indietro...”
“Potreste provare a bruciare meno scienziati”.
“Comunque ci vorrebbero secoli, il nostro sistema è molto più efficiente. Ora capisci perché la tua libertà è solo una scemenza? Capisci perché non hai diritto di parlare con me, che sono l'esponente di un sapienza millenaria, veramente incarnata nel sangue vivo e putrescente dell'uomo? Tu sei solo il figlio di Dio, che ne sai? Uno si fa una passeggiata sulla terra, due o tre prediche e una morte in croce, e poi è convinto di aver capito, ma cosa hai capito, cosa? Non esiste la libertà, se non per piccoli periodi. Non esiste la tolleranza. Nel medio-lungo termine esiste solo il potere, esiste solo la sopraffazione, e noi gay perché dovremmo essere meglio degli altri? Perché? Perché non dovremmo anche noi tentare di prendere il potere e usarlo per abusare dei deboli e degli indifesi? Perché ce lo chiedi tu con quegli occhioni azzurri incongrui in un mediorientale? Adesso sai che faccio? Ti processo e poi ti brucio come pederasta. Gli stessi che ti hanno osannato stamattina, saranno lì a raccontare di quando molestavi i loro figli nel cortile. Io queste cose le so, io lo so come è fatto l'uomo. Adesso parla pure se ti va. Ma il Cristo gay non parla”.
“Lo sospettavo”.
“Non dice niente. Solo fa un passo avanti verso il GIG, e per miracolo le catene si sciolgono, le manette sadomaso si aprono con un clac. Il GIG spaventato si ritrae, ma il Cristo Gay lo abbraccia”.
“E lo bacia”.
“Ovviamente”.
“Avremo i troll cattolici e quelli LGBT per sei mesi, Ivan...”
“Sarà divertente”.
“Si baciano a lungo?”
“Quanto basta. Poi il GIG, sconvolto, apre la porta della cella e dice Vai Via! Vai Via e non tornare mai più”.
“E poi? Fa coming out? Denuncia la sporcizia annidata nella Chiesa?”
“No, macché. Torna nel castello in tempo per la finale del torneo canoro dei castrati Ma quel bacio, quel bacio continua a bruciargli nel cuore”.
Perché sono omofobo
17-05-2012, 02:3321tw, autoreferenziali, contro l'identità, omofobie, sessoPermalinkOggi è la giornata mondiale contro l'omofobia, dicono, e pensavo di celebrarla con un piccolo autodafé. Siccome ogni tanto mi viene rivolta l'accusa di essere io stesso omofobo, vorrei cercare di spiegare e spiegarmi il perché questo è successo, succede e succederà. Non è un pezzo polemico, in teoria; in pratica qualcuno con cui litigare lo trovi sempre; ma questo pezzo è da intendersi più come la fine di un litigio, quella parte noiosa che alcuni chiamano "spiegazioni", e che molti giustamente saltano: potete anche saltare questo, al massimo la prossima volta che mi date dell'omofobo ve lo linco e ci date un'occhiata. È anche parecchio autoreferenziale.
L'accusa di omofobia è meno scontata di quella di antisemitismo, socialmente meno pericolosa di quella di pedofilia; in ogni caso dà un po' fastidio. Io poi sono convinto, da molto tempo, che un gay dovrebbe avere gli stessi diritti che ho io, compreso quello di sposarsi e crescere figli; per quel poco che posso fare cerco di contrastare l'omofobia nel mio ambiente di lavoro; ho conosciuto e voluto bene a persone omosessuali, cosa un po' banale da dire ma pure è successo; ero cautamente favorevole a un testo di legge che riconoscesse l'aggravante per omofobia; e il video di Small Town Boy mi fa venire i lacrimoni. Per cui quando mi ritrovo iscritto tra gli omofobi mi sembra sempre un po' un'ingiustizia. All'inizio pensavo che si trattasse del mio attendismo, che è un tratto della mia personalità che ha sempre fatto arrabbiare molte persone, buoni ultimi i gay. In sostanza io ho sempre amato i compromessi e diffidato dei duri e dei puri, ce l'avevo con Bertinotti nel '98 e tutto quanto, e sono tuttora convinto che se nel 2007 fossero passati i Dico, oggi la qualità di vita di molte famiglie gay italiane sarebbe lievemente superiore - il solo fatto di aver uno status riconosciuto da una legge italiana accelererebbe anche il processo verso il definitivo riconoscimento della parità e del diritto al matrimonio, perlomeno io la penso così, e non credevo di essere omofobo per questo. E infatti questo in realtà c'entra in modo molto relativo. Ci ho messo un po' di tempo a capirlo: il mio attendismo è oggettivamente snervante per molti che mi leggono, ma non è il motivo per cui alcune conversazioni terminano con qualcuno che mi dà dell'omofobo. C'è qualcosa di più profondo.
"Omofobo" è un curioso portmanteau. Generalmente lo usiamo per intendere una "persona che odia gli omosessuali": però il suo significato letterale sarebbe: colui che ha paura di sé stesso. In questo senso io potrei essere effettivamente un po' omofobo, e mi domando chi non lo sia mai stato. Il nostro corpo è una fonte inesauribile di ansie e paure, molte delle quali coinvolgono la sfera sessuale e l'identità di genere. È un argomento fin banale: chi ha paura degli omosessuali teme soprattutto l'omosessuale che è in sé. Se vi soffermate sulle dichiarazioni omofobe di questo o quel politico o attivista vi accorgerete che implicano l'idea (folle) che tutti possiamo diventare omosessuali, se non stiamo attenti. C'è chi paventa l'estinzione del genere umano, e non dice una battuta: ci crede. L'omosessualità per costoro non è soltanto una malattia, ma è anche altamente contagiosa. Nel loro fanatismo, questi signori hanno capito una cosa che altri gay temo non afferrino: siamo tutti omosessuali. Potenzialmente. No, non è vero. Cioè, in realtà ne sappiamo poco, molto meno di quanto crediamo di saperne.
Tra l'altro fu uno scout ad alto livello. |
Mi capita molto spesso di pensare alle stime di Kinsey, quando discuto di omosessualità, e questo mi frega, perché davvero Kinsey è un altro mondo: persino il modo in cui usa le parole è diverso da quello con cui si usano oggi, e questo fa sì che non ci capiamo. Per esempio, io tendo a concepire l'omosessualità come una possibilità, mentre per molti interlocutori l'omosessualità è una comunità precisa. La comunità LGBT non è unita soltanto dagli orientamenti sessuali (che tra l'altro sono diversi, lo dice la sigla stessa), ma da un'ideologia. Ora magari qualcuno protesterà che non è vero. Capiamoci: ideologia non è una brutta parola. Non credo possano esistere comunità senza un'ideologia condivisa che le tiene insieme. Non sta a me definire quale sia l'ideologia gay-lesbica-bisessuale-transgender. Nel corso degli anni e dei litigi ho solo fatto caso a un paio di cose. Per esempio, l'innatismo. Non so quanto sia diffuso, ma mi capita sempre più spesso di discutere con gente convinta che gay si nasce. Non mi è difficile immaginare che molti gay o lesbiche si sentano tali "dalla nascita", però resto persuaso che tutt'intorno ci sia un'enorme fascia grigia di gente che nasce e cresce, come dire, confusa. Affermare questa cosa (con un po' di statistiche alle spalle) non implica che queste persone vadano rieducate o mandate dallo psicologo o quant'altro: non sto parlando di persone "confuse" perché sono nate gay e le voglio rieducare: sto dicendo che sono confuse perché stanno sul 2 o sul 3 o sul 4 della scala Kinsey, e se non fosse per le rigidità della società (di qualsiasi società), resterebbero lì: e invece a un certo punto devono scegliere una cosa e rinunciare all'altra. È quello che fanno. Milioni di persone in Italia, non saprei proprio dire quanti, scelgono la loro identità di genere, e non sempre scelgono la cosa giusta, e a volte hanno paura di essersi sbagliati, e questa paura possiamo anche chiamarla omofobia. (Mi accorgo che ho già scritto tantissimo ed è tardi, continuo un'altra volta)
Tre bicchieri mezzi pieni
15-05-2012, 02:35aborto, cristianesimo, ho una teoria, omofobie, Pd, scoutismoPermalinkÈ il solito discorso del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: se davvero c'interessa che le cose cambino, un po' di ottimismo aiuta. Ne abbiamo bisogno molto più noi che i connazionali di Obama. Prendiamo il caso dell'onorevole Mariapia Garavaglia (PD), che all'alba di venerdì risultava ancora nell'elenco degli aderenti alla Marcia per la vita di Roma. Guardiamo al bicchiere mezzo pieno: domenica, nello stesso elenco, non c'era più. Non che abbia cambiato idea: probabilmente è ancora convinta che l'aborto sia un omicidio, anzi un genocidio. (Continua sull'Unita.it, H1t#127, ma lascio i commenti aperti anche qui).
Scouting for Gays
07-05-2012, 12:00omofobie, preti parlanti, provincia, scoutismoPermalink"Statevi parati" |
Come non sciogliere i nodi
La scorsa settimana, proprio mentre mi stavo domandando se esiste ancora in Italia qualcuno che si possa definire cattolico e progressista, è scoppiato un vespaio sugli atti di un convegno degli scout cattolici in cui si parlava di omosessualità: e non se ne parlava in modo molto progressista, diciamo. Quello dell'omosessualità nello scoutismo italiano (cattolico) è un nodo che prima o poi sarebbe venuto al pettine: mi dispiace che sia successo in questo modo. Per esempio vorrei manifestare tutta la mia solidarietà per
Ma probabilmente a voi non frega nulla dei paesini di meno di 4000 abitanti, o perlomeno ritenete che sconfiggere l'omofobia sia una priorità di fronte alla quale gli adolescenti di Jerzu (etero e omo) possono anche temporaneamente andare a farsi fottere. Qui devo fare coming out: io sono nato in un paesino di meno di 4000 abitanti e il mio giudizio sulla faccenda ne è probabilmente influenzato. Già che ci sono faccio un ulteriore coming out: sono stato uno scout cattolico per tantissimo tempo, perché nel mio paesino era di gran lunga la cosa più fica che ci fosse. Per la verità c'era anche suonare chitarre distorte in un garage, e ho fatto entrambe le cose, ma sulla distanza lo scoutismo mi ha dato di più. Per dire, il mestiere che faccio adesso, se so farlo (sottolineo se) è grazie alla formazione Agesci, certo non grazie alla non-formazione professionale che non ho mai ricevuto. Più in generale, è stato negli scout che ho imparato a conoscere le persone, a viverci insieme. Tra queste persone c'erano anche dei gay, com'era statisticamente necessario. Almeno uno ha fatto coming out diversi anni dopo, altri non lo hanno mai fatto e infatti è una mia idea che loro siano gay, magari loro non sono d'accordo, non lo so, non sto parlando di te, va bene? Sto parlando di un altro, dai, hai capito benissimo. Ecco. Nel mio gruppo scout nessuno ha mai fatto coming out. Secondo voi ciò è successo perché dall'alto qualcuno ci imponeva di non vivere la nostra sessualità? O perché recepivamo linee guida da chicchessia, preti o cardinalesse? No. Nessuno ha mai fatto coming out perché il nostro era un paesino di provincia di meno 4000 abitanti negli anni Ottanta, e nessuno era pronto. Non eravamo nemmeno omofobi, secondo me, magari eravamo peggio: del tutto omoignari, omoinconsapevoli. Non sapevamo quasi nulla del mondo, ma di buono c'era che ci guardavamo intorno. A farci guardare intorno sono stati gli scout. Se un assessore ci avesse chiuso i locali, non saremmo diventati improvvisamente più tolleranti. Ci saremmo incarogniti e basta. Questa è la mia piccola e locale esperienza; magari i paesini sardi brulicano di vita e iniziative ed esperienze, non lo so.
Questo lo scrivo anche per gli ex scout o tuttora-scout che in questi giorni hanno difeso l'Associazione dicendo: Ma guardate che l'Agesci non è mica così, i miei migliori compagni di tenda sono gay, io sono gay e me ne vanto in Comunità Capi, facciamo più educazione sessuale di tutti e la facciamo sul campo, abbiamo il distributore di preservativi nella sede associativa eccetera: piano. Dipende. I gruppi scout sono fatti da persone, e le persone vivono in ambienti diversi. Ci sono scout smaliziati di periferia, scout fighetti di centro, scout ingenui di campagna (presente!) Le "linee guida" su questo argomento non le fa nessun convegno, per il semplice motivo che le "linee guida" in un gruppo scout le fanno le persone, compreso il prete, che però tra gli scout non ha spesso l'ultima parola. Io posso anche immaginare che la maggior parte dei gruppi scout italiani siano intolleranti nei confronti di educatori o adolescenti omosessuali, non in base a un documento leggiucchiato in rete, ma semplicemente perché la maggior parte della popolazione italiana è tuttora intollerante nei confronti dell'omosessualità: omofoba o, più spesso, omoignara.
Poi ci saranno realtà molto più avanzate, e lo spero: il più delle volte saranno realtà urbane. Però a me le città interessano fino a un certo punto. Mi interessano di più i paesini, perché, sbaglierò, ma è nei paesini che lo scoutismo ti salva la vita. A me capita a volte di accompagnare preadolescenti in montagna - mica tutti poveri, eh - e scoprire con raccapriccio che non ne hanno mai vista una: a 12 anni non sanno com'è fatta una montagna. Io a otto anni lo sapevo. Senza gli scout probabilmente sarei diventato un bambino grassoccio e incapace di relazionarmi con gli altri e le altre. Non è andata esattamente così, grazie al cielo - no, grazie a persone che spesso non avevano neanche dieci anni più di me e mi hanno portato dappertutto, e mi hanno insegnato a fare i nodi, a cantare e a parlare in pubblico, e a voler bene alla gente prima di giudicarla. Non è solo una questione di montagne: c'è un modo di mettersi in gioco, di imparare a lavorare a contatto con persone più giovani, coetanei e anziani, che lo scoutismo ti insegna a diciott'anni. Non ci sono molti ambiti in Italia dove a 18 ti investono già di tanta responsabilità. Fuori danno tutti per scontato che tu sia inutile, decorativo, e che debba spendere molti soldi tentando o fingendo di divertirti. Negli scout a 18 sei già un adulto, anche nel senso che puoi commettere guai enormi.
Io non sono più scout da un pezzo e probabilmente, viste le mie posizioni, non sono nemmeno più definibile come cattolico; resto convinto che l'Agesci sia l'associazione cattolica più progressista in Italia. Non lo dico in base alle mie limitate esperienze, ma sulla base di un fatto semplice: l'Agesci è l'unica associazione laica che pur lavorando nelle parrocchie, a stretto contatto con i preti, non fa capo alla gerarchia ecclesiastica, ma ha una sua struttura, ramificata dal paesino al vertice nazionale, totalmente democratica. Dove i preti, se contano, contano un voto, come tutti gli altri. Gli associati potranno anche decidere che gli educatori omosessuali non devono fare coming out (non lo hanno ancora deciso, checché ne scriva un giornalista su Repubblica), ma lo faranno democraticamente: spero che non lo facciano, spero che i membri della più importante associazione cattolica presente sul territorio abbiano nel complesso una posizione più avanzata di quella della CEI (ci vuol poco) e di quella espressa nei famigerati atti del convegno. Spero insomma che in Italia ci sia ancora un cattolicesimo laico più progressista di quello che la CEI pretenderebbe. Spero.
Però alla fine non mi posso sempre aspettare che lo scout del paesino, e lo scout del quartiere, e lo scout del centro, abbiano mediamente idee più avanzate dell'abitante del paesino, dell'abitante del quartiere, dell'abitante del centro. Se l'Italia è ancora omofoba, mi sembra abbastanza sciocco prendersela con gli scout, che sono educatori non professionisti (e non remunerati). Come se nel paesino, ma anche nel quartiere, ma anche nel centro, la maggioranza dei genitori non vedesse l'ora di affidare i propri frugoletti a educatori non professionisti omosessuali. L'Agesci ha fatto molto per cambiare la società italiana, anche se molti non lo sanno: è stata la prima associazione scoutistica al mondo ad aprire gruppi misti, maschi con femmine, nel lontano 1974. Però non è che possa fare tutto: una cosa per esempio che non può fare è cambiare la testa dei genitori, degli adulti. Nei paesini, soprattutto.
Un altro motivo per cui insisto sui paesini è che secondo il censimento 50 milioni di persone vivono in centri con meno di 100.000 abitanti. L'Italia non è fatta di metropoli, ma di paesini e paesoni: di solito chi non lo capisce ha difficoltà a capire Berlusconi, difficoltà a capire la Lega, difficoltà a capire cosa siano le province, e di solito è nato o si è trasferito in una di quelle città dal mezzo milione in su. Sbaglierò, ma ho la sensazione che facciano parte della stessa categoria coloro che qualche giorno fa si sono svegliati e hanno scoperto che un'associazione cattolica basata nelle parrocchie dei paesini non consiglia ai propri educatori di fare coming out. Come se invece negli stessi paesini un sacco di gente facesse coming out, specie tra gli educatori dei bambini e degli adolescenti. Ecco, questo improvviso indignarsi perché in posti come Jerzu, Ogliastra, i gay non sono rispettati come a Londra o in alcuni quartieri non periferici di Milano, mi chiedo che senso abbia. Forse è una cosa da social network, l'esigenza di indignarsi a intervalli regolari, che dopo un po' partorisce dei mostri. Ma lo sapete che per la Chiesa cattolica un omosessuale non casto è in peccato mortale? No, perché secondo me un buon 80% degli italiani lo sa, senza essere andato all'università. Sono cose che nei paesini si sanno. Per l'80% dei paesini italiani gli atti di quel convegno sono un'apertura persino dirompente - per me no, ma sono convinto che se c'è una strada che può portare all'accettazione dell'omosessualità tra i cattolici, quella strada passa dall'Agesci, che è un'associazione democratica: perché è la democrazia che ti obbliga a recepire le spinte della società. E dei paesini.
Io non biasimo chi se ne va dai paesini - me ne sono andato anch'io - però se ve ne andate da un contesto omofobo, il contesto non diventa meno omofobo. Ve ne siete andati, pace: non prendetevela con chi resta, non date per scontato che siano in grado di combattere le battaglie che voi, quand'eravate lì, non avete vinto. Molto spesso in questi casi si cita Rosa Parks. Mi sembra un esempio sbagliato per molti versi - un'altra volta magari tenterò di spiegare perché - tra l'altro tutte queste Rose Parks, in Italia, non le vedo (magari non guardo dalla parte giusta, non lo so). In particolare, inneggiare a Rosa Parks su un social network non crea nessuna Rosa Parks. Chiudere un locale a un'associazione giovanile non crea molte Rose Parks. Un educatore cattolico che in un paesino facesse coming out e ne sopportasse le conseguenze sarebbe per certi versi assimilabile a Rosa Parks (e per altri no: ad esempio, non andrebbe in galera perché il coming out non è vietato in Italia, come lo era per un afroamericana sedersi su certi seggiolini in Alabama). Quell'educatore farebbe un passo importante, e avrebbe senz'altro il mio sostegno, e spero anche il vostro. Ma non è che nel frattempo si possano insultare sui social network tutti gli educatori cattolici che non se la sentono. Cioè, si può fare, ma questo non sposta di un millimetro il fronte della battaglia per il riconoscimento dei diritti GLBT. Non è che Martin Luther King andasse in giro a insultare le afroamericane che non avevano il fegato di sedersi sui seggiolini per bianchi.
Quando è uscito il pezzo su Repubblica, molta gente che lo scoutismo non lo conosce si è sentita in dovere di commentare, attingendo al repertorio dei luoghi comuni: bambini vestiti da cretini eccetera. Si è sentita un'intolleranza, una voglia di arrivare subito alle conclusioni, che secondo me non fanno bene a nessuna causa. Insultare persone che non si conoscono, chiudere locali pubblici, sono azioni che non contrastano nessun tipo di omofobia: procurano soltanto una soddisfazione immediata a chi si sente in guerra, a chi si diverte a starci, perché in guerra tutto è concesso, anche sputare a nemici che non si conoscono. Di solito a comportarsi così sono quelli che la guerra non la vogliono nemmeno veramente finire, neanche a costo di vincerla.
"Né domani né mai"
12-03-2012, 17:56ho una teoria, omofobie, Pd, ScalfarottoPermalinkNon è un caso. Lo si era già capito ai tempi del disegno di legge sui DiCo: c'è una questione che più di ogni altra riesce a mostrare in controluce i punti di massima fragilità del Partito Democratico, ed è precisamente la questione del matrimonio gay. Niente riesce a polarizzare altrettanto bene laici e cattolici di centro-sinistra, che su tanti altri argomenti hanno opinioni assolutamente sovrapponibili. Alfano poteva dire tante cose e forse le ha dette, ma la piaga su cui poteva mettere il dito è una sola: tutto il resto è indolore e ce lo siamo già scordati. Le nozze gay invece fanno male: mettono contro i cattolici e i loro "valori non negoziabili" e i gay a cui è negato un diritto civile. In mezzo, una buona percentuale di elettori che forse sull'argomento non hanno una posizione chiara ma che legittimamente si aspettano che il loro partito ne formuli una, invece di trovarsi a leggere di battibecchi tra presidenti e vice.
Chi scrive è abbastanza convinto che al matrimonio omosessuale ci si arriverà... (continua sull'Unità, H1t#116) Se l’Italia riuscirà a restare agganciata alle economie e alle società più avanzate, non c’è motivo perché quello che è successo in Spagna non avvenga anche da noi. Non è tanto un problema di “se”, quanto un problema di “quando”. A tal proposito non ho motivo di dubitare della fermezza della Bindi: finché lei conterà qualcosa (e conta ancora molto) di matrimoni gay non si parlerà. Ovvero, se ne parlerà, ma soltanto per litigare, e gli ultimi ad approfittare di questi litigi saranno le coppie gay. Bisogna sempre tener conto che la Bindi non è su quella sedia di Presidente per caso: che alle primarie del 2007 fu l’unica seria avversaria di Veltroni, con una piattaforma che per certi versi era più progressista di quella del vincitore. Non è mai stata una baciapile alla Binetti, però è cattolica e i cattolici, di matrimonio gay, non intendono sentir parlare: non è un mistero, lo dicono apertamente da anni.
5 cose che nessuno sa di Dalla, forse
04-03-2012, 16:18Bologna, cantautori, coccodrilli, musica, omofobie, SanremoPermalink1. Come ha fatto a diventare il più grande cantautore italiano nel giro di pochi mesi?
I termini della vicenda sono noti. Fino ai tardi anni Settanta Lucio Dalla ha scritto diverse musiche e almeno il testo, molto curioso, di una canzone (La capra Elisabetta), sepolta in un vecchio LP che non si è comprato nessuno (Terra di Gaibola). Ai più è noto come musicista e interprete; un ruolo simile a quello del diversissimo Lucio Battisti, salvo che quest'ultimo ha un sodalizio ormai stabile con il demenziale Mogol, mentre Dalla le sta provando tutte per rendere cantabili le strofe del poeta Roberto Roversi, in tre dischi che sono forse l'ultimo posto in cui la Musica italiana e la Poesia italiana sono state viste assieme. A un certo punto il sodalizio con Roversi si interrompe e Dalla si improvvisa cantautore, una cosa che praticamente non aveva mai fatto. Il problema, che credo abbia turbato molti suoi colleghi e persino me, è che il modo in cui si improvvisa cantautore è Com'è profondo il mare, cioè l'eccellenza assoluta nella categoria, sin dalla prima strofa che descrive l'insonnia e tante altre cose ma è anche come se dicesse: cari amici cantautori, fin qui abbiamo scherzato, ma se volete venire a prender lezioni io ne ho qui per tutti quanti, prendi questa Francesco, prendi questa Fabrizio, porta a casa Antonello eccetera.
Siamo noi
Siamo in tanti
Ci nascondiamo di notte
Per paura degli automobilisti
Dei linotipisti
Siamo i gatti neri
Siamo i pessimisti
Siamo i cattivi pensieri
E non abbiamo da mangiare
Com'è profondo il mare
Com'è profondo il mare
Non so se avete presente quella scena nei film americani in cui una ragazzina che fino a quel momento non aveva mai provato i pattini / la ginnastica acrobatica / la danza moderna / il softball fa un tentativo e bum! diventa campionessa assoluta del mondo mondiale, queste cose capitano appunto soltanto nei film americani per teenager e nella vita di Lucio Dalla, che ha cominciato a scrivere testi, immaginate, a 35 anni, e ha cominciato direttamente dai capolavori (tutto quel disco sembra scritto da un signore che abbia la lingua italiana a sua immediata e completa disposizione). Non lo so, avete delle ipotesi? Vuoi dire che se le scrivesse già da prima intestandole a dei prestanome perché era timido? O che sono davvero tutti buoni a fare i parolieri, che ci vuole? Non lo sapremo mai. Qualcuno di voi ha 35 anni e non ha mai scritto una canzone in vita sua? Controlli se per caso non è il più grande paroliere degli anni Dieci, magari ci fa un favore a tutti.
2. Chi amava Lucio Dalla?
I soliti Omofobi
20-02-2012, 22:40fb2020, omofobie, Sanremo, tvPermalinkChiedo scusa se parlo ancora di Sanremo, immagino che non se ne possa più, ma la scorsa settimana tra le altre cose è successo che Scalfarotto ha visto, probabilmente per la prima volta, uno sketch di Fabio & Fabio, e ora minaccia di non tornare più in Italia, visto che è a Londra, una città dove non sarei mai definito “una donna senza ciclo mestruale” davanti a 15 milioni di telespettatori imbesuiti, ha detto così. Probabilmente ha ragione.
E tuttavia chi ha ragione non dovrebbe tenersela per sé, potrebbe fare il minimo sforzo di condividerla con gli altri; in questo caso, invece di mettere in scena la propria indignazione facendo il favore di spiegare a noi imbesuiti cosa c'era di così intollerabile nella battuta, che sì, non era una gran battuta, neanche una battuta media: funziona soltanto per far rima in una canzone, e forse non funziona nemmeno lì. Comunque, visto che siamo tutti d'accordo sul fatto che scherzare sui gay in Italia è delicato, e che sarebbe ancora più grave non scherzare affatto sui gay (sarebbe come trasformarli in un tabù, estrometterli definitivamente da quella normalità a cui giustamente aspirano), quello che ci serve è proprio un paio di indicazioni da un esperto sul campo su cosa offende i gay e cosa no: quindi, insomma, donne-senza-ciclo no. Per me va benissimo, e lo ripeto, non è mai stata una gran battuta, non vi rinuncio certo a malincuore. Ma perché no? Giusto per capire come funziona, così non rischio di farne altre ugualmente offensive. È intollerabile il paragone con le donne, una gay non può assolutamente soffrire l'accostamento? O è la menzione del mestruo?
Nel frattempo Rita De Santis, di Agedo (associazione di genitori di omosessuali), mi informa che quella battuta "contiene due offese in una: verso i gay, considerati dal pregiudizio “maschi mancati”, e verso le donne in menopausa, viste come ormai fuori uso". Giuro che una simile stratificazione di significati, tutti offensivi nei confronti di minoranze, non l'avrei mai intuita. Mandelli dice solo "è com'esser donna senza ciclo mestruale", e in un colpo solo i gay devono sentirsi "maschi mancati" e le donne in menopausa "fuori uso"? A me sembra incredibile che si possa offendere così tanta gente in una frase sola, ma è anche vero che di mestiere non vado in giro a cercare espressioni offensive nei confronti di minoranze, può darsi insomma che la De Santis abbia l'occhio più allenato. Certo che a quel punto se Biggio metteva un naso camuso faceva l'en plein - no vabbe' lasciamo stare.
Io non sono venuto qui a difendere i Soliti Idioti, che non ne hanno bisogno: a parte qualche passo falso (e Sanremo magari è stato uno di questi), in generale hanno vinto. Tra vent'anni, se la baracca tiene, i nonpiugiovani li ricorderanno come il primo programma in cui si sono riconosciuti, quello che li faceva lollare (probabilmente non si dirà più cosi, ma per farsi un'idea) ma soprattutto li identificava rispetto al mondo esterno che non li capiva e li esecrava. Da questo punto di vista farsi compatire a Sanremo ha persino un senso: che disastro se gli sketch avessero funzionato, se gli accigliati critici à la De Gregorio li avessero rivalutati, se di fronte a Fabio&Fabio i 'vecchi' come Scalfarotto si fossero fatti una risata. Forse infilare in uno show dal vivo la gag del ventilatore, che non ha nessuna consequenzialità logica e puoi capire soltanto se conosci già la serie, ha proprio questo senso: ribadire l'alienità dei Soliti Idioti all'Ariston, l'idea che a Sanremo possono andarci ma non possono essere capiti, un po' come Mark Hollis che smette di cantare in playback nell'Ottantasei. Oppure semplicemente sono due idioti, cioè, la gag del ventilatore in uno sketch dal vivo, ma come cazzo v'è venuto in mente.
Io sono qui solo per dire che secondo me Scalfarotto non ha capito Fabio&Fabio, ma non è colpa sua, non è che uno sia tenuto a studiare gli sketch precedenti per capire l'ironia di secondo e terzo livello: uno accende la tv, vede due idioti che fanno le checche e se la prende. Giustamente. Anche se poi uno potrebbe anche domandarsi cosa ci vada a fare Scalfarotto a GDay, che è un bellissimo programma per carità in cui però c'è Fullin che fa la checca senza nessun secondo o terzo livello: fa la checca e basta, e da Londra questo dovrebbe risultare altrettanto intollerabile. Oppure Fullin può scheccazzare come meglio crede perché è un gay? Perché da qualche parte ho letto anche questa cosa: che Little Britain coi gay ha il diritto di andarci giù pesante perché uno dei due autori è gay dichiarato, quindi lui può. E quindi insomma se dopodomani a Biggio e Mandelli scappasse di dire che ogni tanto vanno a letto assieme, improvvisamente la comunità LGBT smette di scandalizzarsi e si fa una risata; e allora io a questo punto se fossi uno dei soliti idioti lo farei davvero un bel coming out, tanto chi controlla. Io continuo a pensare che una scenetta sia divertente o no, omofoba o no, a prescindere dalle scelte di genere di chi la inventa e chi la recita: probabilmente Little Britain è fatta meglio, ma non è che i gay abbiano più diritti degli altri a ridere dei gay: di solito sono più bravi, tutto qui.
Io non sto dicendo nemmeno che Fabio&Fabio non siano due personaggi omofobi, però non lo sono nel senso in cui li intende Scalfarotto. Lui parla di "cliché della checca da avanspettacolo anni '50": non ci siamo. Che sia un cliché al lavoro non c'è dubbio, semplicemente non è quello. F&F, chi li conosce lo sa, sono due ragazzi che vivono insieme (e già questo ci proietta fuori dai '50), che lavorano insieme in un contesto 'creativo' dove non sono gli unici gay, e che vivono in una città contemporanea che accoglie il loro ménage con assoluta indifferenza (anzi, è proprio l'indifferenza con cui i concittadini reagiscono alle sue provocazioni che manda costantemente Fabio-Biggio in corto circuito). Di città così in Italia non ce ne sono ancora molte. Parliamo di qualche quartiere di Milano e Torino, qualche altro distretto in qualche altra città, ma poca roba. Chi abita in queste zone però dei Fabio&Fabio li ha conosciuti - meno caricaturizzati, ovviamente - e in tv li riconosce. Era già molto più difficile riconoscerli a Sanremo, che neanche nei giorni del festival diventa uno di quei distretti in questione, dove si può anche ammettere che due gay si baciano, ma devono essere due ragazze, possibilmente belle, e comunque due in mezzo a cinquanta, alla faccia di Kinsey, e comunque il regista non riesce a inquadrarle.
Nella sua immaginaria città moderna, dove essere gay non sorprende più nessuno, Fabio-Biggio passa il tempo a immaginarsi vittima di discriminazioni immaginarie. Di solito il perno dello sketch è questo, e ripeto, lo si può criticare finché si vuole, e a ragione: perché in Italia essere gay sorprende ancora fin troppa gente, e il più delle discriminazioni non sono affatto immaginarie. Insomma Fabio&Fabio pretendono di fare satira di costume ma falsificano il quadro, fingendo che quello che succede in un distretto di Milano sia la media nazionale. A un certo punto fanno anche qualcosa di peggio, quando gli sketch cominciano a ruotare intorno alla gravidanza isterica di Fabio-Biggio. Si comincia dai sintomi, si passa per il test di gravidanza (che Biggio trucca con un pennarello), si arriva in ospedale e a un certo punto lo vediamo anche con una carrozzina e un bambino dentro, anche se le cose non stanno ovviamente come le presenta lui. Tutte le gag nascono dalla stessa idea: nessuno può permettersi di dire a Fabio che non può fisicamente avere un bambino, perché sarebbe omofobia: e appena percepisce un po' di omofobia Fabio va in loop. Insomma, dietro a tutto c'è un'idea reazionaria: Fabio vorrebbe essere sia gay che madre, ebbene, la natura non glielo consente, ed è inutile che si lamenti e strepiti, la natura è così: lo potrebbe dire tranquillamente Giovanardi. Tutto questo mentre in Italia non sono ancora riconosciute non dico le adozioni, ma nemmeno le coppie di fatto. Biggio e Mandelli prima fanno un salto del futuro, satirizzando i costumi di un'Italia per lo più molto in là da venire; e poi nel passato, ricordando a chi vuole fare una famiglia che comunque l'utero serve, ed è ridicolo pensare, come Fabio, di poterne fare a meno.
Quindi sono omofobi? Sì, molto più di quanto non credano di esserlo; ma non perché fanno le checche anni '50. Anzi, almeno hanno il merito di mostrare personaggi che esistono adesso, e in certi casi nemmeno adesso, ma tra un po'. Fabio non è il classico diverso che vorrebbe essere considerato come gli altri: Fabio è già considerato come gli altri, e la cosa lo fa impazzire: lui deve gridare al mondo che comunque è diverso. È reazionario nelle premesse e nelle conclusioni, ma in mezzo ha il notevole merito di mostrarci la caricatura di una figura fin troppo ricorrente nella nostra contemporaneità: l'esponente della minoranza che si trasforma in un professionista dell'indignazione, allenandosi a trovarla ovunque, anche dove semplicemente non c'è. Lui solo ha il diritto di spiegare cosa lo offende, quando come e perché. Anzi di solito al perché non si arriva mai, di solito è sufficiente strepitare e pretendere le scuse. Sono cose noiose, i "perché", roba da blog di retroguardia.
Da porcospino a icona gay
21-01-2012, 13:03arti figurative, omofobie, santiPermalink...A parte offrire il torso a frecce tutt'altro che metaforiche. Comunque se avete notizie più precise, potete commentare sul Post. Alla prossima.
Era oltre ciò uomo allegro, licenzioso, e teneva altrui in piacere e spasso, con vivere poco onestamente; nel che fare, però che aveva sempre attorno fanciulli e giovani sbarbati, i quali amava fuor di modo, si acquistò il sopranome di Soddoma, del quale, non che si prendesse noia o sdegno, se ne gloriava, facendo sopra esso stanze e capitoli e cantandogli in sul liuto assai commodamente. (continua…)
Onde, avendo i fanciulli a gridare come si costuma dietro al palio et alle trombe il nome o cognome del padrone del cavallo che ha vinto, fu dimandato Giovan Antonio che nome si aveva gridare, et avendo egli risposto Soddoma, Soddoma, i fanciulli così gridavano. Ma avendo udito così sporco nome certi vecchi da bene, cominciarono a farne rumore et a dire: “Che porca cosa, che ribalderia è questa, che si gridi per la nostra città così vituperoso nome?”. Di maniera, che mancò poco, levandosi il rumore, che non fu dai fanciulli e dalla plebe lapidato il povero Soddoma, et il cavallo e la bertuccia che avea in groppa con esso lui.
(Contiene un coming out)
23-09-2011, 19:08dialoghi, internet, omofobiePermalink"Quindi se ho capito bene voi siete un gruppo di omofobi anonimi".
"Assolutamente no".
"Non siete anonimi?"
"Sì, siamo anonimi. Ma non siamo omofobi".
"Come no, scusa".
"Anzi, stiamo lottando contro l'omofobia".
"Voi?"
"Sì".
"Contro l'omofobia?"
"Certo".
"E il vostro modo di lottare contro l'omofobia è aprire un blog e..."
"Pubblicare una lista di parlamentari omosessuali".
"A me sembra una cosa omofoba".
"Assolutamente no".
"Scusa, eh, io non è che me ne intenda, voglio dire, alcuni dei miei migliori amici sono omofobi, ma non bazzico tantissimo l'ambiente".
"Meglio per te".
"Però lavoro in una scuola e mi hanno insegnato questa cosa: che se un mio alunno A dà del gay a un suo compagno B, l'alunno A è omofobo".
"Esatto".
"Ed essere omofobi è sbagliato".
"Giusto".
"Essere omofobi è giusto?"
"No, intendevo sbagliato".
"Insomma dare del gay a un bambino è omofobia".
"Esatto".
"Ma anche dare del gay a un adulto è omofobia".
"Se quell'adulto non è d'accordo".
"Se quell'adulto non è d'accordo".
"Sì, è omofobia".
"Allora vedi che ho ragione. Voi avete dato del gay a dieci adulti che non vorrebbero essere chiamati gay. Quindi siete omofobi".
"Ma no, noi non siamo omofobi".
"E perché no, scusa?"
"Perché siamo gay anche noi".
"E questo cosa cambia".
"Cambia tutto. Se lo facciamo noi non è omofobia".
"Cioè, un gay non può essere omofobo".
"No".
"E i dieci parlamentari della lista?"
"Loro sì, sono omofobi".
"Ma li avete messi in una lista di gay! Hai appena detto che i gay non possono essere omofobi".
"Loro sono omofobi perché sono gay che si nascondono".
"I criptogay".
"Esatto".
"Loro possono essere omofobi, mentre voi invece no".
"Guarda che è molto semplice. Quelli sono gay che vanno in parlamento e votano leggi che penalizzano i gay. Quindi sì, loro sono omofobi. Noi invece lottiamo per i diritti della comunità gay. Non possiamo essere definiti omofobi".
"Anche se in concreto state inchiodando dieci persone alle loro preferenze sessuali private, che di solito è una cosa da omofobi".
"Può darsi che sia una cosa da omofobi, in generale".
"Ah, ecco".
"Guarda, te lo concedo. A volte ci sono medicine che assomigliano molto alle malattie che curano".
"I vaccini, insomma".
"I vaccini, giusto".
"Voi inoculate un po' di omofobia per combattere contro l'omofobia".
"Sì, potremmo dire così".
"Ma cos'è che hanno fatto di così omofobico questi dieci criptogay? Scusa, non è una domanda retorica, è proprio che ne sono successe così tante negli ultimi mesi che non ricordo più..."
"Per esempio hanno votato contro la proposta di legge che proponeva di istituire l'aggravante di omofobia".
"Ah, mi ricordo! Cioè, se picchio un gay scatta l'aggravante perché è gay".
"Non proprio. Se picchi un gay perché è gay, scatta l'aggravante".
"Giusto. Io poi in questura direi che l'ho picchiato non perché gay, ma perché era interista, così non scatta l'aggravante, almeno finché una lobby di parlamentari interisti..."
"Non è detto che il giudice ti creda".
"Sì, va bene, però era una legge un po' discutibile, no?"
"Mi sembri un po' omofobo nelle tue argomentazioni. Non è che per caso sei uno di quelli che..."
"No, guarda, in realtà io ero d'accordo"
"Sì?"
"Cioè, mi sembrava una legge che istituiva una specie di steccato intorno ai gay, insomma, un gruppo di persone che unicamente per la loro scelta di genere diventavano meno picchiabili degli altri, nel senso che se li picchiavi rischiavi di più, però..."
"Però?"
"Però d'altro canto riconosco che ci troviamo in una situazione di emergenza, cioè in questo Paese picchiare i gay è una specie di atto dovuto, a momenti c'è gente che chiede la pensione d'invalidità perché picchiando i gay si è lussato una spalla, credo che la situazione richieda una legislazione emergenziale".
"Esatto, bravo, vedo che hai colto il fulcro del problema. C'è un'emergenza e noi siamo esasperati, non vediamo riconosciuti i nostri diritti".
"E quindi ne chiedete di più".
"Siamo una minoranza che ha bisogno di essere riconosciuta e rispettata".
"E quindi mettete alla gogna dieci parlamentari che sono gay".
"Non fare il furbo".
"Tra l'altro non è nemmeno sicuro che siano gay, cioè, nessuna fonte, è la classica letterina anonima, tanto valeva usare indymedia roma".
"Il problema non è che siano gay. Ma sono persone incoerenti".
"Siete incoerentofobi, insomma?"
"Hanno una doppia morale: in casa loro sono gay, in parlamento sono omofobi. Questo non va".
"Perché parli di doppia morale, magari hanno una morale sola che è omofoba, mentre invece la loro estetica è gay. Succede".
"Non è giusto. Vorremmo che fossero coerenti".
"Magari sono coerenti, nel senso che hanno smesso di essere gay e sono passati del tutto dalla sponda omofoba. Una scelta come un'altra. Oppure se uno è stato gay dieci anni fa non può cambiare idea mai più?"
"Certo che può cambiare idea, ma quei dieci lì..."
"Potrebbero anche averla cambiata la scorsa settimana. Sarebbero fatti loro".
"Stai ragionando per assurdo. Quello che risulta a noi è che quei dieci sono gay. Omofobi".
"E quindi incoerenti".
"Giusto".
"Ed essere incoerenti è sbagliato".
"Sì".
"Ho una brutta notizia".
"Sentiamo".
"L'incoerenza non è un reato".
"E questo che c'entra".
"C'entra tantissimo. Non c'è una sola legge dello Stato che chieda al cittadino di avere comportamenti privati coerenti con le idee prefissate in pubblico. Non una sola riga di Costituzione. Neanche un comma di codice penale. Niente. L'incoerenza è un diritto".
"E' comunque un comportamento esecrabile".
"Secondo chi?"
"Secondo la nostra cultura".
"Cattolica".
"No, non cattolica".
"Altroché. Farisei, sepolcri imbiancati. Dite una cosa e ne fate un'altra. Tutto Vangelo. L'incoerentofobia è una malattia senile del cattolicesimo".
"No, senti, scusa, non ci sto. E' una cosa normalissima, moderna, pretendere da un uomo politico un comportamento coerente con le proprie idee".
"Quindi, siccome questi dieci erano gay, è normalissimo e moderno che chiedano un'aggravante per omofobia".
"Sì".
"E se non la chiedono vanno alla gogna. Ma se semplicemente non erano d'accordo? Un gay può anche pensare che l'aggravante per omofobia sia un provvedimento esagerato o controproducente, che rischia di alzare uno steccato irreale tra i gay e il resto del mondo".
"Ma tu non la pensi così".
"No, io penso che tutto sommato uno steccatino nell'emergenza ci possa anche stare".
"Ecco, vedi".
"Ma uno può anche non pensarla così, no? Se uno non la pensa così diventa subito un omofobo? Uno può anche pensare che i gay devono fottersene dell'emergenza, stringere i denti e chiedere esattamente gli stessi diritti degli altri. Un gay potrebbe pensarla in questi termini?"
"Sì, in effetti alcuni gay la pensano così".
"E non sono omofobi".
"No, non necessariamente".
"Tranne quei dieci. Quei dieci lo sono necessariamente".
"Senti, lo abbiamo già detto prima. Può darsi che sia una porcata, in generale, ma in questo momento difficile è tutto quello che potevamo fare".
"Una letterina anonima".
"Credi che sia facile?"
"No. In effetti no. Comunque senti. Vorrei dirti una cosa. Io e te siamo amici. Siamo amici, vero?"
"Certo".
"Senti, devo dirtelo. Penso di essere gay".
"Ma dai! Complimenti".
"Beh, mica tanto, vista la situazione".
"Sì, sì, va bene, è difficile, però è anche bellissimo, sai..."
"Però vorrei che tu non lo dicessi a nessuno".
"Ma naturalmente, scherzi?"
"Eh, appunto, su queste cose non si scherza mica".
"Infatti, no".
"Quindi non lo dirai a nessuno, perché sarebbe come tradirmi".
"Assolutamente no".
"Neanche se volessi scendere in politica, per dire..."
"Che c'entra? No".
"Non mi tradiresti neanche se per assurdo finissi in parlamento".
"Dove vuoi arrivare".
"E neanche se una volta in parlamento mi chiedessero di votare per l'aggravante di omofobia e io dopo una lunga riflessione votassi contro, neanche in quel caso mi tradiresti?"
"Sei sleale se la metti giù così".
"Sì, vabbe', fa lo stesso, tanto ho già cambiato idea".
"Non sei gay?"
"No, non sono tuo amico".
Storia di Mària
21-08-2011, 00:04le 21 notti, omofobie, repliche, sessoPermalink“Perché non parli come un maschio?”
Mària non crede nei traumi infantili, via! un ceffone è un ceffone. Di sicuro non è diventato così per una sberla, tra mille che ne avrà prese. Ma da quel giorno cominciò pure qualcosa. Col ceffone il padre gli propose la questione fondamentale: chi sono i maschi? Cosa vogliono? Come parlano? A dieci anni Mària non ne aveva la minima idea. Sempre in casa stava, appiccicato alla sottana di mamma. Era ora di dare un'occhiata al mondo.
La curiosità lo spinse a vivere la ricreazione in un modo diverso. Di colpo in bianco smise di giocare alla settimana con le compagne, che pure teneva carissime, e si avventurò nell’angolo di cortile dove spallonavano i maschi di quinta. Qui trovò una conferma ai sospetti del padre: la sua voce non andava. Il tono non era così diverso da quello degli altri bambini, ma c’era qualcosa di stridulo, che paragonato al rozzo bofonchiare di Flavio Dusacchi lo faceva suonare affettato. Lo stesso soprannome, abbreviazione del banalissimo cognome “Mariani”, sillabato da quei monelli assumeva una sfumatura equivoca. Né Mario né Maria: Mària. Un nome qualunque, eppure unico al mondo. Mària non lo avrebbe mai più abbandonato.
Per il resto non erano così cattivi, gli ometti di quinta. Mària se li ingraziava con merende supplementari e pacchetti di figurine. Ripensandoci da adulta, un poco la imbarazza questa totale mancanza di dignità. Ma stare coi maschi era troppo importante. Era fiera dei lividi che si portava a casa – i maschi avevano sviluppato un’arte marziale che consisteva in una sequenza infinita di ganci destri alle spalle. Mària era un punchball simpatico e disponibile, e lo sarebbe rimasto per anni. Da Bordon Diego imparò anche a bestemmiare Dio e i Santi: ma quelle sillabe magiche, ripetute da Mària, tornavano a suonare troppo simili a preghiere, e insomma, dopo qualche tentativo Mària lasciò perdere: la sua non era una voce da maschi. Anche il padre si rassegnò.
Alle medie il vocabolario maschile s’allargò all’improvviso, e Mària scoprì d’essere un finocchio, un ricchione, una checca, un busone: tutto questo senza ancora mai avere desiderato nessuno, né maschio né femmina: e poi dicono che il genere si sceglie. Mària si era rimesso a chiacchierare con le compagne, ora che i maschiacci evitavano anche solo di toccarlo, per via del contagio: fermamente convinti che lo sfioramento del busone comportasse un rischio per la loro virilità, passavano intere ricreazioni a inseguirsi urlando “sfiga-di-Mària-immune!” E altre cose simili che gli insegnanti, innocenti non notavano. Erano tempi diversi, parole come bullismo e omofobia non stavano nemmeno nel dizionario.
Poi venne la fase degli odori.
Si ricorda molto bene, Mària, che molto prima di decidersi a guardarli, i maschietti cominciò ad annusarli.
Non ci poteva fare niente. Gli odori stanno nell’aria. Gesù ha detto di cavarti un occhio, se ti dà scandalo, ma non ha aggiunto di turarti il naso. Il sudore di D’Angelo era muschiato e dolcissimo. Germini Patrizio aveva una pelle spugnosa che tratteneva l’odore di qualsiasi bagnoschiuma, anche se quasi sempre era pino silvestre. Nel frattempo le sue compagne cominciavano timidamente a truccarsi: Mària aveva potuto contare fino a quel momento sulla loro complicità, ora qualcosa stava cambiando; iniziava a odiarle. I loro profumini le impedivano di concentrarsi sull’afrore ascellare di Verozzi. E c’era il problema delle tette, che iniziavano a catalizzare gli sguardi. In questo gioco di rimandi incrociati, Mària restava totalmente indisturbata, e aveva modo di osservare gli altri. I maschi la indispettivano, non riusciva più a capirli. Fino a qualche settimana prima non alzavano gli occhi dalle figurine, ora avrebbero dato il rarissimo Pietro Vierchowod per uno sfioro di tetta.
E i peli. Fu Dusacchi il primo uomo a porre il problema, nello spogliatoio maschile. “Mària, oh! Ma ti radi?”
Se avesse avuto il tempo, in mezzo alle risate dei compagni, Mària avrebbe risposto di sì: si radeva, perché cominciava ad averne tanto, e folto, e la imbarazzava in particolare quel ciuffetto che tendeva a salire in direzione ombelico; ma Dusacchi, biondo com’era, poteva capirlo? D’altronde, cosa stava succedendo? Da quando in qua nello spogliatoio ci si guardava in basso? Mària non aveva mai osato. Pensava che ai maschi non piacesse. E Mària stava facendo il possibile per capirli, i maschi.
Gli piacevano. Gli piaceva l’insolenza metropolitana di Dusacchi, la timidezza irsuta di Verozzi, l’accento nordico di Bordon quando con una presa al collo lo stringeva tra le braccia per un momento, sussurrando “busone di merda”. Tutto sembrava pronto per un’esplosione ormonale, che invece il liceo congelò: al riparo dai maschi, in una classe a stragrande maggioranza femminile, Mària si dimentico degli odori e riprese a cicalare con le amiche. Divenne il migliore confidente di tutte, perché effettivamente conosceva i maschi meglio di loro, e la frase “Tutti stronzi” in bocca a Mària sapeva più di vero. In compenso le ragazze gli insegnarono a vestirsi con stile, a camminare nei corridoi come sotto i portici del centro, e viceversa.
Il quinto anno fu meraviglioso, Mària era diventata una sintesi di due sessi che gli piacevano molto, e cominciava ad aggiungerci qualcosa di originale, di suo. Un pomeriggio d’aprile, mentre ufficialmente aiutava Barazzi Clelia a ripassare chimica (in realtà provando vestiti vintage eredità di una zia), si ritrovò abbracciata su di lei, nel letto di lei, e pensò che quello che la situazione le richiedeva era un bacio. Ma forse sbagliò i tempi, o i modi: non aveva mai baciato una ragazza – non aveva mai baciato nessuno! Clelia si irrigidì di scatto, se lo aveva desiderato era stato un attimo, un giorno, un anno, un millennio prima: Mària si ritrasse, avrebbe voluto scomparire, e in un certo senso davvero scomparì qualcosa in lui, per sempre.
Un mese dopo, in gita scolastica, Clelia venne a bussare alla sua camera. “Ti devo dire un segreto. Sono omosessuale”.
“Eh?”
“Si dice anche delle donne, non lo sai? Perché deriva dal greco…”
“Clelia, ehi, lo so da cosa deriva. Maccosa… come fai a saperlo”.
“Ho fatto sesso con Nadia”.
“Quella zoccola? Ma non vuol dire, è ubriaca da ieri, e poi… e perché vieni qui a dirmelo adesso…”
“Volevo ringraziarti. Perché è stato grazie a te che l’ho capito… quel pomeriggio che tu... che io...”
“Clelia, senti, sei fatta anche tu. Perché non ti stendi un po’, ti riposi e poi magari domani ne riparliamo”.
Clelia russò tutta la notte, come a ribadire il suo omoerotismo conquistato e trionfale, lasciando Mària sveglia a scalciare i dubbi: ha capito che è lesbica perché l’ho baciata, o ha capito che è lesbica perché l’ho baciata da schifo? Le piaccio o no? Le piaccio come uomo o come donna? O le piaccio perché non sono né l’uno né l’altro? Oppure tutto sommato non le piaccio, visto che alla fine si scopa la zoccola dall’altra parte del corridoio? Oppure avevano ragione i maschi alle medie, l’omosessualità è un virus e io gliel’ho passato… sfiga-di-Mària-immune… che casino… ma sai che c’è? Io non ne voglio un cazzo… a me piacciono i maschi… l’odore dei maschi… queste ragazze con tutti i loro problemi mi stressano la minchia e basta… fammi prendere la maturità e poi non mi trovano mai più”.
All'università, in una città diversa, la bomba ormonale, pazientemente custodita negli anni di frustrante apprendistato, esplose con la forza di cento cavalli vapore. Da vergine a idolo delle feste nel giro di pochi mesi, finché – sorpresa – non si stancò. Piuttosto presto. La promiscuità lo attirava, e insieme lo lasciava insoddisfatto. Provò a farsi una storia seria: ci provò con tutte le forze. Andò persino a vivere con lui, un damsino di Matera con la fissa per il cinema tedesco. Durò due anni. Finché Mària non si accorse che stava soffocando. Andavano nei locali dei gay, alle feste gay. Conosceva tutti, e non gli piaceva più nessuno. Avrebbe voluto entrare nel bar di una polisportiva, e guardare le partite della Fortitudo coi ragazzetti del quartiere, e invece doveva sgugnarsi la retrospettiva di Almodovar. E non provare ad allungare quelle mani.
“Vabbe', senti, ti lascio”.
“SSsssst, è iniziato il film”.
“Ed è colpa mia, eh. Tu sei gentilissimo e bravissimo e assolutamente a posto. Il problema è che sei gay”.
“Anche tu”.
“Lo so. Io però i gay non li sopporto”.
“E cosa ti piace, allora?”
“Mi piacciono i maschi”.
“E cosa pensi di fare?”
“Non lo so”.
“Prova con le tette”.
Il consiglio, totalmente gratuito, schiacciò Mària come l’uovo di Colombo. Ma per abituarsi all’idea ci vollero comunque un annetto o due. Cominciò con un push-up, giusto per vedere l’effetto. Non male! Aveva la sensazione di portarsi un pezzo di mamma con sé, le dava un senso come di confidenza. Infine iniziò con gli ormoni. Vedersi cambiare fu spaventoso e fantastico: l’adolescenza, finalmente, a ventott'anni. Il risultato finale fu discretamente spettacolare. Ora Mària sarebbe piaciuta agli uomini.
Il risultato andava ovviamente monetizzato: dei soldi aveva bisogno, e inoltre non conosceva molti altri modi d’incontrare persone interessate alla sua nuova identità sessuale. Prese in affitto una mansarda e pagò un paio di annunci sul giornale adatto: era nata una stella. I primi utili furono utilizzati in un paio di altri ritocchi che Mària riteneva necessari. Perché aveva voglia di tornare a casa, e voleva tornarci perfetta, e magari irriconoscibile. Come una seconda nascita.
“Torno a spaccarvi il culo”.
Letteralmente. Nei primi sei mesi di attività, Mària si ritrovò a sodomizzare D’Angelo, che ogni tanto ne aveva voglia ma non si considerava un ricchione; Verozzi, che voleva provare “una volta l’effetto che fa”; Germini che sosteneva d’essere ubriaco e di avere litigato con la fidanzata, e che dopo mezz’ora ebbe una specie di orgasmo multiplo mai attestato nella letteratura scientifica; e Bordon, il rude Bordon, che lo incitava pure: “Dai! E dai! E spingi, busone di merda!”
“Ma allora ti ricordi di me?”
“Perché ti sei fermato? E spingi!”
Fu Dusacchi a riconoscerlo, invece, dalle misure.
“Ma certo che lo so chi sei, eri quello che ce l’aveva più lungo di tutta la scuola”.
“Io?”
“E che pelo avevi. Ne avevi tanto che ti radevi. E due gioielli, grossi così, solo tu. Ci ho pensato per anni”.
“Ai miei gioielli”.
“Sì”.
“E non potevi dirmelo prima? Dovevi aspettare che mi facessi crescere le tette?”
“Mi piacciono le tue tette”.
“Ma non le stai nemmeno guardando. È un pretesto. Non ti piacciono così tanto”.
“Certo che mi piacciono. Non sono mica un busone”.
“Sicuro?”
“O, vaffanculo”.
Il che, detto da Dusacchi, nella posizione in cui si trovava in quel preciso momento, suonava decisamente ironico.
“Non darmi mai più del busone. Mai più”.
“Va bene, ora sssst”.
Ricapitolando: Mària cercava l’uomo vero, si è montata un par di tette da sogno, e adesso il suo mestiere consiste nel sodomizzare una manica di maschi repressi che hanno paura di chiederlo a un gay. Non vi girerebbero le palle? A Mària in effetti girano. Ma questi maschi chi sono? Cosa vogliono? Lei si aspettava protezione, energia, magari anche ceffoni. E questi giù, in ginocchio o a pecora, a implorare, spingi spingi, che roba è? Mària è molto delusa. Cambierebbe anche sesso, se gliene fosse rimasto uno da provare.
L’altro giorno, per incanaglirsi, sbirciava la diretta del family day, quando in uno scorcio rapido li vide: nell’orgia cattolica di Piazza San Giovanni – milioni di persone convenute da tutt’Italia perché ce l’avevano con lei – Barazzi Clelia e Dusacchi Flavio mano nella mano, quest’ultimo con un bambino biondo calcato sulle spalle. E a momenti sveniva, sul serio, perché un bambino coi capelli di Dusacchi e il labbro di Clelia era ciò che più si avvicinava alla sua idea di perfezione.
Eh, quanto è piccolo il paese. Dunque è Clelia l’oca-moglie a cui Flavio ama sputare ingiurie postcoitali. Ma non era lesbica? Si vede che s’era sbagliata – chi è Mària per giudicare. Ma chi sono Flavio o Clelia, d’altro canto, per dare lezioni di normalità sessuale? E perché ce l’hanno tanto con Mària, che in tutta la sua vita non ha mai tolto niente a nessuno? Dio probabilmente ha inventato la famiglia solo per vedere il sorriso dei bambini, e si dimentica alla svelta tutte le ipocrisie, le promesse e le minchiate che vengono prima o dopo. Gli uomini e le donne e gli altri però quaggiù hanno da vivere, raccontandosi bugie e tirando avanti – e finché funziona che male c’è? Ma funzionerebbe, la Sacra Famiglia Dusacchi, senza la mansarda di Mària che fa da camera di compensazione? Sul serio non c’è posto nel presepe per lei? Potrebbe fare il bue, un'altra creatura di sessualità incerta; ma senza di lui si moriva dal freddo, quella notte.
FINE
La banda dei Luca
10-09-2009, 23:22cantautori, deliri, omofobie, scuola, sogniPermalink(Delirio)
Che strano. Mi trovo nel corridoio della scuola, ma è notte. Mi domando chi mi avrà fatto entrare.
“Buongiorno prof. Esso”.
Toh, ma chi si vede. Rossi Luca! Ma che ci fai tu qui, le lezioni cominciano martedì, e inoltre...
“Buongiorno prof. Esso”.
“Verdi Luca, che sorpresa! Ma tu ti sei diplomato tre anni fa, se non mi sbaglio, oppure...”
“Buongiorno prof. Esso”.
“E tu chi accidenti saresti... aspetta, ce l'ho sulla punta della lingua... mi rigasti una fiancata nel duemilaetré se non sbaglio...”
“Bianchi”.
“Bianchi, certo, e di nome...”
“Luca”.
“Luca, ma quella volta, scusa, perché non me la rigasti fino in fondo! L'assicurazione non me la rimborsò perché non superava la franchigia, insomma, se volete fare le cose almeno fatele bene, dico sempre io...”
“Ma non tace mai?”
“Prova ad alzare la mano, a volte funziona”.
“Professore, si starà domandando perché la evochiamo”.
“Come sarebbe a dire che mi state evocando? Al massimo sono io che sto evocando voi”.
“È un punto di vista. In ogni caso si tratta di questo: lei è uno dei pochi esponenti del mondo adulto di cui ci fidiamo...”
“Oh, grazie, questo è molto commovente, ecco uno di quei momenti che mi ripagano delle frustrazioni di una...”
“E quindi ci dovrebbe aiutare a occultare un cadavere”.
“Eh?”
“Naturalmente non è che glielo chiediamo a gratis, insomma, se lei ci fa questa cosa per noi, noi poi ci sdebitiamo, abbiamo già trovato un modo...”
“Ma come sarebbe a dire un cadavere, scusate? Intendo dire, non è per caso che fino a qualche ora fa fosse ancora vivo e poi qualcuno di voi si sia adoperato in tal senso...”
“Lei è molto perspicace".
"In effetti ci siamo adoperati concretamente in tal senso tutti e tre”.
“Molto concretamente”.
“O mio Dio”.
“Tuttavia un conto è trasformare una persona in cadavere – questo era alla portata delle nostre capacità di teenager coglioni – un altro paio di maniche è farlo sparire, per queste cose serve come minimo il baule di una macchina e quindi, in definitiva, un adulto facilmente manipolab...”
“Ma perché, perché? Tutte queste cose brutte, l'odio, la violenza, il bullismo...”
“Ecco, ha detto bene, il bullismo”.
“È diventata una vera piaga negli ultimi anni, prof, lo ha notato?”
“Dico, uno fa tutto il possibile per restare calmo, non rispondere alle provocazioni... ma non serve a niente”.
“Si attaccano a tutto per prenderti in giro. Se sei biondo ti danno del biondo, se sei scuro ti danno dello scuro...”
“Non dico poi se i tuoi genitori ti hanno dato un nome appena appena stravagante... è la fine”.
“Ma i vostri genitori non vi hanno lasciato nomi stravaganti”.
“Certo che no”.
“Ci volevano bene, i nostri genitori”.
“Hanno fatto tutto il possibile per non farci spuntare dal mucchio”.
“Sin da piccoli ci hanno sempre infilato in tutte le code possibili... ci hanno sempre raccomandato di guardarsi intorno e poi fare quello che fa la maggioranza... i nostri genitori non hanno nessuna colpa”.
“Pensi solo a come ci hanno chiamato: Luca”.
“Capirei “Filippo”. Capirei “Giuseppe”. Ma come si fa a prendere in giro un Luca? È il nome più neutro che c'è. Fino all'anno scorso nessuno ti prendeva in giro se ti chiamavi Luca”.
“Fino all'anno scorso? E poi?”
“E poi è successo quello che è successo”.
“Il disastro”.
“La catastrofe”.
“L'armagheddon”.
“Complimenti per i sinonimi, si vede che avete avuto un buon insegnante, ma insomma, stringendo...”
“Luca, credo sia venuto il momento di mostrarglielo”.
“Va bene Luca, apro l'armadietto”.
“Che buffo, nella scuole dei sogni ci sono gli armadietti. Si vede proprio che il nostro immaginario è americano, e inoltre... O. Mio. Dio. Ma quello è...”
“Proprio lui”.
“...il celebre cantante Povia!”
“Si riconosce ancora molto bene, maledizione”.
“Abbiamo provato anche a staccargli la testa, ma col coltellino non è mica facile”.
“Ma poverino, cosa vi aveva fatto di male?”
“Cosa ci aveva fatto? Ci sta veramente chiedendo cosa ci ha fatto di male?”
“Ci ha distrutto!”
“Ma lo sa che ci sono ragazzi che non escono di casa da mesi, per colpa sua?”
“Per colpa sua? Non capisco”.
“Sua e della sua maledetta canzone! Quella dei gay”.
“No, aspettate. Capisco che il testo potesse essere discutibile e anche un pelo omofobico, ma da qui a ritenere Povia responsabile dell'ondata di omofobia degli ultimi mesi...”
“Ma che sta dicendo?”
“Crede che noi ce l'abbiamo con Povia perché siamo gay”.
“Anche lui? Ma allora non c'è speranza”.
“Professore, ma con rispetto parlando, chi se ne frega dei gay. Noi non ce l'abbiamo con Povia perché siamo gay”.
“E allora perché, non capisco...”
“Ma perché ci chiamiamo Luca, ecco perché! Da quando ha portato a Sanremo quella maledetta canzone, tutti i nostri compagni ci prendono in giro”.
“Aaaah, ora mi è chiaro. Luca era gay”.
“Tutti a dire: Ti chiami Luca? Ihihih! Allora eri gay”.
“Ma noi non siamo gay”.
“Non vogliamo che la gente dice che siamo gay”.
“O anche che lo eravamo”.
“Uno passa i migliori anni della sua vita a disegnare piselli nei bagni della scuola per costruirsi un'immagine di macho, e poi arriva 'sto cantante col suo ritornello del c...”
“Abbiamo cercato di spiegarglielo a tutti, ma più glielo spieghiamo più loro insistono, più loro insistono più noi ci arrabbiamo, è un vero fenomeno a livello nazionale”.
“Così ci siamo organizzati. Abbiamo fondato un'associazione”.
“Un'associazione per i diritti dei Luca?”
“No, un'associazione per spaccare la faccia a Povia. Poi però forse abbiamo trasceso”.
“È colpa di Luca, glielo avevo detto di lasciare a casa il tirapugni chiodato”.
“Luca, Luca, Luca, sentite, tutto questo non può essere vero. Voglio dire, era solo una canzone che parlava di uno che a un certo punto della vita era gay. Sono cose che succedono”.
“Sì, ma perché l'ha chiamato proprio Luca?”
“Perché, mah, perché è un nome semplice, molto comune, perché sta in metrica... ma non sarebbe stata la stessa cosa se avesse usato, che ne so, Giovanni?”
“Ah, perché Giovanni era gay?”
“Ma certo che era gay, l'ho sempre detto io”.
“Ma no... Sentite, non so come spiegarvelo... quello che avete fatto è molto sbagliato. Molto molto molto sbagliato. Forse vi sentivate presi di mira, ma questo non vi autorizzava a... l'odio non è mai la risposta, la violenza è brutta, e inoltre...”
“Luca, questo è capace di andare avanti tutta notte così”.
“Lo so, Luca, è meglio che apriamo subito il secondo armadietto”.
“Oh, e va bene. Prof, senta, noi lo sapevamo che lei non avrebbe preso la cosa molto bene, e quindi abbiamo pensato di addolcire la pillola un po'”.
“In che modo?”
“Già che siamo in tema di ammazzare cantanti, ci siamo chiesti se non c'era un cantante che le avrebbe fatto piacere trovare legato e incaprettato nel suo armadietto...”
“A disposizione della sua troppo giusta ira”.
“Ma siete veramente folli. Io ammazzare un cantante? E perché mai? Io non ce l'ho con nessuno, e in particolare con nessun cantante”.
“Neanche uno?”
“Ma ci mancherebbe, al massimo se sono in coda in autostrada e Isoradio mette su Gianni Togni o Sandro Giacobbe mi adonto un po', ma so che non è colpa loro e quindi...”
“Va bene, Luca, apri l'armadietto”.
“In senso stretto forse no...”
“Questo è...”
“Tricarico. Quello schifoso pezzo di...”
“Immaginavamo che avesse, come dire, una certa animosità nei suoi confronti”.
“Animosità? Questo, come definirlo, questo tra virgolette uomo, che ha fatto successo vendendo ai bambini un disco che diceva Puttana la maestra. Che se mi fossi capitato tra le mani, io...”
“Prof, guardi che è così. Le è capitato tra le mani”.
“Già”.
“Luca, passami il tirapugni chiodato”.
“Prof, ma è sicuro? In fondo era solo una canzone”.
“Una canzone? Ma mia mamma faceva la maestra! E la mamma, la mamma non si tocca”.
“Ma non parlava della sua mamma, era una maestra in generale”
“Non importa! Ricordo quell'anno, i bambini ai giardinetti che cantavano Puttana Puttana, e tutto questo per arricchire un cantante-sacco-di...”
“Ma se rammento bene, la canzone descriveva un trauma vissuto nell'età evolutiva”.
“Dammi qua, glielo do io il trauma a Tricarico. Toh!”
“E toh! Cioè, questi arrivano a scuola orfani ed è sempre colpa delle maestre, sempre colpa del servizio pubblico, toh! ma non ti vergogni a speculare sui traumi infantili anche tuoi, ma sai che ti dico, il tema su tuo padre morto te lo doveva far scrivere in ginocchio sui ceci! E prendi questa! E questa!”
“Be', ma guarda che roba”.
“Abbiamo liberato una belva, mi sa”
“E questa! e questa! e...”
“Professore, basta così, è morto già da cinque minuti”.
“Ah sì? Strano, non mi sento per niente in colpa”.
“Adesso però deve liberarsi del corpo”.
“Ah, già, mi servono dei sacchi di nylon... una paletta... e devo andare a prendere la macchina”.
“Allora già che c'è può sbarazzarsi anche del nostro, cosa dice?”
“Beh, se insistete”.
“Grazie prof, sa che le dico? Io credo che stanotte noi non abbiamo solamente sfogato i nostri istinti bestiali”.
“Ah no?”
“No, noi stanotte abbiamo fatto qualcosa d'importante per la musica italiana”.
“Di solito a questo punto però mi sveglio sudato”.
“E perché prof? Non è mica un incubo questo”.
“Ah no?”
“Ma no, è un sogno come un altro. Più piacevole di altri”.
....
“Dormito bene stanotte?”
“Fatto un sogno strano... c'erano Qui Quo Qua che però erano tre miei studenti un po' bulli che ammazzavano Povia... e allora io per non essere da meno dovevo far fuori Tricarico, e poi...”
“Quand'è che ricominci a lavorare?”
“Dici che ne ho bisogno?”
sei nato paperino, che cosa ci vuoi far
28-10-2007, 18:33omofobie, pubblicitàPermalinkNon lo ha scelto lui. È una questione del DNA: hai presente il DNA? A scuola te l’avranno mostrata: è una proteina intrecciata con tante letterine scritte dentro. Se c’è scritto “gay”, Gabriellino nasce gay, e non può farci niente. Lui. Ma noi possiamo.
Aiutaci a curarlo.
Il bambino e l'acqua sporca
Forse è vero quel che cordialmente mi ha scritto Paolo Colonna qualche giorno fa: io sui gay non ne azzecco una. Ecco, più che omofobia potrebbe trattarsi di omoignoranza: qualcosa che col tempo è possibile curare. Nel frattempo, con tanti argomenti che ci sono al mondo, potrei evitare di scrivere di una cosa che evidentemente non conosco.
Però questo manifesto non è rivolto ai gay. È un messaggio rivolto a tutti. Ed è un messaggio profondamente ambiguo, secondo me. Di cosa si voleva parlare? Di uguaglianza, di tolleranza, di diritti? E invece ci ritroviamo a parlare di genetica. Come minimo, il manifesto svia la discussione: non dice che l’omosessualità sia una cosa normale o positiva; dice che non è una scelta. Se per questo, nemmeno la sindrome di Down. E io, sarò strano, ma appena ho visto il manifesto ho subito pensato alla sindrome di Down. Neonato + braccialetto inquietante = mongoloide. Che volete farci? L’inconscio non si processa.
Anche lo slogan mi lascia parecchio perplesso. “L’orientamento sessuale non è una scelta”. Sono d’accordo: non è una scelta. Ma allo stesso tempo non sono d’accordo: lo dovrebbe diventare. Per farvi un esempio: se sopra la foto di una donna ci scrivo “ha meno diritti dell’uomo”, ottengo un manifesto femminista o maschilista? Sto facendo una denuncia o sto enunciando una verità? Probabilmente ognuno preferirà leggerci quello che pensa già. Ma io non volevo questo. Volevo che i passanti capissero il mio messaggio.
Accostando la frase “non è una scelta” a un neonato, il poster sembra non lasciare adito a dubbi: l’omosessualità è un fattore genetico. Questo però non solo non è ancora stato dimostrato scientificamente (e scusate se è poco!) ma è anche irrilevante. Il problema non è nascere gay o diventarlo, ma essere liberi di poterlo diventare. Io penso che oggi il nostro orientamento sessuale sia il risultato di un condizionamento ambientale e (forse) di fattori genetici. E mi piacerebbe vivere in un mondo dove tutti fossimo liberi seguire o disattendere i nostri destini genetici senza condizionamenti. Il poster senz’altro non mi dice questo. Il poster mi dice: “non puoi discriminare i gay, poverini. Non è colpa loro se sono nati così”.
È quello che più o meno mi è capitato di affermare su Macchianera, un sito che ormai rappresenta per la mia generazione quello che nell’Ottocento era l’androne dei bordelli: mentre ci si tira su le braghe nascono le discussioni più disinibite e interessanti. Infatti mentre vengo più o meno redarguito, e addirittura associato a un editoriale del Foglio (e mentre Paolo mi spiega che non ne capisco niente), mi capita di imparare un paio di cose. Per esempio: a insistere molto sul concetto di “Scelta sessuale” sarebbe la stampa cattolica. Ecco, non lo sapevo. Ma me ne faccio subito una ragione: se sei tu a scegliere, e scegli male, sei un peccatore, e la Chiesa può assolverti. Invece se sei nato gay, allo stesso modo in cui altri nascono biondi o mongoloidi, alla Chiesa resta solo l’imbarazzo di spiegare perché Dio Padre Onnipotente ti ha voluto proprio far nascere così.
Ho capito. Il neonato col braccialetto serviva a smentire i preti. È il classico caso di neonato buttato via con l’acqua sporca: pur di liquidare il concetto di “peccato”, ci liberiamo pure del concetto di libera scelta. Ma poi cosa ci resta? Una proteina attorcigliata che nessuno peraltro riesce a leggere bene?
Paolo scrive che non ha scelto di essere gay, proprio come non ha scelto di essere mancino. Lo capisco. Probabilmente nemmeno io ho scelto di essere eterosessuale, automobilista o autore di blog. È la società che ha dei buchi da riempire e ci sbatte come pongo negli stampini. Tutto questo è assolutamente vero, ma non è giusto. Peraltro, dopo tante manifestazioni di orgoglio gay mi ero convinto che molti attivisti lgbt preferissero rivendicare il loro destino, riconvertendolo in una scelta. Va bene, probabilmente non ho capito nulla. Imparerò.
Però, nel frattempo, fidatevi di un etero un po' ignorante: se io vedo un manifesto così per strada, io ci leggo che gli omosessuali sono una minoranza di sfigati da curare. E secondo me non era questo il messaggio giusto.
(Poscritto: in realtà io non sopporto lo sfruttamento dell’immagine dei neonati nella pubblicità, in qualsiasi pubblicità, dai pannolini a quel cartello sulla nazionale goitese in cui un paciughino ti vende infissi in pvc. Secondo me le pubblicità tv a base di neonati hanno allevato tutta una generazione di pedofili che poi crescendo si sono messi a cercare su internet dosi sempre più pesanti. Ma è solo un’altra di quelle mie idee).
"da poveri eravate più allegri"
19-06-2007, 02:40cattiva politica, la sinistra perde anche per questo motivo, manifestaiolismi, omofobie, OttantaPermalinkIo sono convinto che per gli omosessuali italiani, negli anni Ottanta, ci fosse poco da stare allegri. Una buona parte di provincia, tanto per cominciare, non era ancora ben uscita dal medioevo. I brutti scherzi erano più brutti, le violenze più violente, i silenzi erano veramente silenzi. E poi c’era ancora il servizio di leva – oppure venti mesi di civile. Non solo, ma a un certo punto i tuoi amici cominciavano a morire come mosche, e i preti a suggerire che te l’eri meritato. A pensarci, dieci anni d’inferno.
Eppure sono stati gli anni in cui abbiamo davvero cominciato a chiamarli gay. Che in italiano voleva proprio dire gai, felici, spensierati. Cosa avessero da ridere, in effetti non si sa. Però me li ricordo così.
Mi ricordo la musica, che per molti anni è stato l’unico mio approccio alla cultura gay. Quella di metà anni 80 sembrava in mano a un cartello di gay – per carità non tutta, soltanto quella divertente. Quel pop di plastica che sembrava non dover durare e invece oggi riempie le piste di gente nata in seguito, quei pezzi sciocchi e irriverenti che adeguavano il punk alla festa delle medie. E poi la moda. Anche quella a suo modo irriverente, innovativa – gay.
È un luogo comune, anzi un sistema di luoghi comuni. I gay e gli anni Ottanta – gli spensierati anni Ottanta – la spensieratezza dei gay. Mi rendo conto che tutto questo è illusorio, che molti omosessuali nello stesso periodo non ballavano Baltimora né indossavano Versace, ma stavano nascosti e soffrivano molto. Ma da qualche parte nel mio cervello si è annodato questo concetto: Gay=Felice. Tom Robinson ai concerti cantava Sing, if you’re glad to be gay. Sing if you’re happy that way. Sembrava allegro e sardonico. A rileggerla, la canzone è una sequela di violenze, censure, repressioni poliziesche. Ma Tom sembrava ancora allegro di ballare sulle rovine.
Oggi le cose vanno un po’ meglio. Non tanto, lo so: appena un po’ meglio. C’è persino una quota di personaggi gay nelle fiction Rai. A scuola si fanno ancora brutti scherzi; la differenza è che se ne parla, che esistono le parole per parlarne. Non c’è più il sevizio di leva. E non si muore più così tanto. E i gay non sono più così gai. Sono tristi. Musoni e incazzati.
A loro discolpa, non sono i soli. Se gli 80 sono stati gli ultimi anni della Maggioranza Silenziosa, che aveva bisogno di minoranze strane come un’enorme massa di pastasciutta insipida che implora almeno una spezia piccante, gli anni Zero sono quelli delle Minoranze Petulanti. Apparteniamo tutti almeno a una di queste minoranze oppresse, senza diritti, senza futuro. Abbiamo tutti un motivo per marciare su Roma. Ci sono i padani e gli stranieri. I giovani precari e i giovani industriali – poveri giovani industriali! I no-tav, i no-nato, i no-monnezza, e hanno tutti la loro parte di ragione. Ci sono i cattolici, fino all’altro ieri zoccolo duro della Maggioranza Silenziosa, oggi felicemente riciclati in minoranza ringhiosa pro-famiglia e anti-aborto. Perché non dovrebbero fare lo stesso i gay? Peraltro, loro sono davvero discriminati: le loro battaglie sono sacrosante.
A volte mi chiedo dove ho vissuto tutti questi anni. Per buona parte della mia vita non mi sono nemmeno reso conto che i gay lottassero per i loro diritti civili. Il gay pride del Giubileo mi era sembrata soprattutto una grande festa identitaria. Probabilmente non capisco nulla. Ma ho una sensazione.
C’è stato un momento, ed è stato recente, in cui i gay hanno definitivamente smesso i panni allegri e festaioli e la questione dei diritti civili è diventata prioritaria.
Secondo me il processo è andato di pari passo con la formazione del Partito Democratico. Lento, per molti anni sotterraneo, proprio come il PD. Voi dite: ma che c’entrano esattamente i diritti degli omosessuali con il PD? Nulla, appunto. Di tante questioni sul tavolo, quella dei diritti civili dei gay sembra fatta apposta per rendere impossibile la nascita del PD. Basta prendere due elettori-tipo della Margherita e dei DS, e fargli un po’ di domande: che ne pensi del mercato? Che ne pensi della guerra al terrore? Che ne pensi dei migranti? Le risposte saranno indistinguibili. C’è solo una domanda che permette di discriminare: pensi che i gay abbiano diritto a crescere dei figli?
Non voglio entrare nel merito della questione, che è spinosa. Voglio solo chiedere: chi l’ha detto che questa domanda sia prioritaria? Che debba venire prima delle domande sull’economia, sulla guerra, sui migranti? Davvero due persone che sono d’accordo su tutto tranne che su questo non possono militare nello stesso partito? Io posso anche sostenere che i gay siano discriminati: ma i migranti lo sono anche di più. Oggi si discute di voto agli stranieri un decimo di quanto non si chiacchieri di DiCo e laicità. A chi conviene? Chi è che continua a riaprire la questione? A chi giova continuare a parlarne?
Giova ai vescovi. Giova alle sinistre. Giova, in pratica, a tutti quelli che non hanno interesse alla nascita del PD. E agli omosessuali giova? Direi di no. La soluzione al problema non è in calendario. In calendari si sono soltanto estenuanti discussioni pro e contro, proposte di legge soffertissime destinate all’impallinamento parlamentare, cortei e controcortei, piazze e contropiazze. La questione “gay vs famiglia naturale” è semplicemente il punto scelto dai nemici del PD per farlo a pezzi. Perché proprio quel punto? Perché era il più fragile.
Dopodiché pazienza: io non so nemmeno se l’avrei votato, questo PD. Ma mi spiace vedere tante persone scegliere (in buona fede) il fronte sbagliato per combattere. Se vi dico che la battaglia per il riconoscimento di alcuni diritti elementari va spostata ancora di una generazione, non prendetemela con me. Non dipende certo da me. Io scrivo solo quel che vedo: e vedo che nessuno è in grado di risolvere la questione. La questione è sul tavolo soltanto perché serve a far saltare il tavolo. E allora?
Per una volta che riesco a non cambiare idea per qualche mese, permettetemi di citarmi addosso: “io non credo che i DiCo siano una priorità. La priorità è la cultura. In Italia non ce n’è ancora abbastanza per tutti. Ce ne deve essere di più […] D’accordo che bisogna tutelare le minoranze, ma ricordiamoci che sotto il pelo dell’acqua c’è una quantità enorme di persone che potrebbe essere gay ma non lo sa, o non lo dice, o non lo ammette, perché non ha avuto a disposizione gli strumenti per capirlo, o per accettarlo. Questi strumenti sono culturali”.
I gay della scorsa generazione avevano una vita più difficile. Ma scrivevano, disegnavano, cantavano, offrivano cultura a tutti. È stato grazie a loro che milioni di italiani hanno imparato che gli omosessuali non erano maniaci pederasti, ma persone normali, dotate e sensibili. Ed erano anni difficili. Peggiori di questi. Io credo che il loro esempio vada seguito – non solo dalla minoranza dei gay. Mi sembra una buona lezione per tutte le minoranze. Cantare, stare allegri, invitare tutti alla propria festa. Per quanti problemi noi possiamo avere, siamo ancora al mondo e siamo felici così. Non orgogliosi: felici. Com'è che si diceva una volta? Gay.
un posto nel presepe
22-05-2007, 16:24famiglie, omofobie, racconti, ragazzini, sessoPermalink[È una storia, appunto, ogni riferimento a persone o cose è casuale].
Il primo a porre il problema fu il padre, che una sera – Mària aveva dieci anni – rincasando fetente di bar, le appioppò un ceffone. Senza un motivo al mondo. O meglio: Mària stava correndo verso di lui nel corridoio, blaterando di un compito di scuola o di qualche altra sciocchezza, mentre il padre aveva i suoi problemi, i suoi debiti di gioco, i suoi pensieri, e insomma S-ciaf!
“Perché non parli come un maschio?”
Mària non crede nei traumi infantili, via! un ceffone è un ceffone. Di sicuro non è diventato così per una sberla, tra mille che ne avrà prese. Ma da quel giorno cominciò pure qualcosa. Col ceffone il padre gli propose la questione fondamentale: chi sono i maschi? Cosa vogliono? Come parlano? A dieci anni Mària non ne aveva la minima idea. Sempre in casa stava, appiccicato alla sottana di mamma. Era ora di dare un'occhiata al mondo.
La curiosità lo spinse a vivere la ricreazione in un modo diverso. Di colpo in bianco smise di giocare alla settimana con le compagne, che pure teneva carissime, e si avventurò nell’angolo di cortile dove spallonavano i maschi di quinta. Qui trovò una conferma ai sospetti del padre: la sua voce non andava. Il timbro era lo stesso degli altri bambini, ma c’era qualcosa di stridulo, che paragonato al tenorile bofonchiare di Flavio Dusacchi lo faceva suonare affettato. Lo stesso soprannome, abbreviazione del comunissimo cognome “Mariani”, sillabato da quei monellacci assumeva una sfumatura equivoca. Né Mario né Maria: Mària. Un nome qualunque, eppure unico al mondo. Mària non lo avrebbe mai più abbandonato.
Per il resto non erano così cattivi, gli ometti di quinta. Mària se li ingraziava con merende supplementari e pacchetti di figurine. Ripensandoci da adulta, un poco la imbarazza questa totale mancanza di dignità. Ma stare coi maschi era troppo importante. Era fiera dei lividi che si portava a casa – i maschi avevano sviluppato un’arte marziale che consisteva in una sequenza infinita di ganci destri alle spalle. Mària era un punchball simpatico e disponibile, e lo sarebbe rimasto per anni. Da Bordon Diego imparò anche a bestemmiare Dio e i Santi: ma quelle sillabe magiche, ripetute da Mària, tornavano a suonare troppo simili a preghiere, e insomma, dopo qualche tentativo Mària lasciò perdere: la sua non era una voce da maschi. Anche il padre si rassegnò.
Alle medie il vocabolario maschile s’allargò all’improvviso, e Mària scoprì d’essere un finocchio, un ricchione, una checca, un busone: tutto questo senza ancora mai avere desiderato nessuno, né maschio né femmina: e poi dicono che il genere si sceglie. Mària si era rimesso a chiacchierare con le compagne, ora che i maschiacci evitavano anche solo di toccarlo, per via del contagio: fermamente convinti che lo sfioramento del busone comportasse un rischio per la loro virilità, passavano intere ricreazioni a inseguirsi urlando “sfiga-di-Mària-immune!” E altre cose simili che, in assenza di ricerche serie sul bullismo, gli insegnanti non notavano. Poi venne la fase degli odori.
Si ricorda molto bene, Mària, che molto prima di decidersi a guardarli, i maschietti cominciò ad annusarli.
Non ci poteva fare niente. Gli odori stanno nell’aria. Gesù ha detto di cavarti un occhio, se ti dà scandalo, ma non ha aggiunto di turarti il naso. Il sudore di D’Angelo era muschiato e dolcissimo. Germini Patrizio aveva una pelle spugnosa che tratteneva l’odore di qualsiasi bagnoschiuma, anche se quasi sempre era pino silvestre. Nel frattempo le sue compagne cominciavano timidamente a truccarsi: Mària aveva potuto contare fino a quel momento sulla loro complicità, ora qualcosa stava cambiando; iniziava a odiarle. I loro profumini le impedivano di concentrarsi sull’afrore ascellare di Verozzi. E c’era il problema delle tette, che iniziavano a catalizzare gli sguardi. In questo gioco di rimandi incrociati, Mària restava totalmente indisturbata, e aveva modo di osservare gli altri. I maschi la indispettivano, non riusciva più a capirli. Fino a qualche settimana prima non alzavano gli occhi dalle figurine, ora avrebbero dato il rarissimo Pietro Vierchowod per uno sfioro di tetta.
E i peli. Fu Dusacchi il primo uomo a porre il problema, nello spogliatoio maschile. “Mària, oh! Ma ti radi?”
Se avesse avuto il tempo, in mezzo alle risate dei compagni, Mària avrebbe risposto di sì: si radeva, perché cominciava ad averne tanto, e folto, e la imbarazzava in particolare quel ciuffetto che tendeva a salire in direzione ombelico; ma Dusacchi, biondo com’era, poteva capirlo? D’altronde, cosa stava succedendo? Da quando in qua nello spogliatoio ci si guardava in basso? Mària non aveva mai osato. Pensava che ai maschi non piacesse. E Mària stava facendo il possibile per capirli, i maschi.
Perché gli piacevano. Gli piaceva l’insolenza metropolitana di Dusacchi, la timidezza irsuta di Verozzi, l’accento nordico di Bordon quando con una presa al collo lo stringeva tra le braccia per un momento, sussurrando “busone di merda”. Tutto sembrava pronto per un’esplosione ormonale, che invece il liceo congelò: al riparo dai maschi, in una classe a stragrande maggioranza femminile, Mària si dimentico degli odori e riprese a cicalare con le amiche. Divenne il migliore confidente di tutte, perché effettivamente conosceva i maschi meglio di loro, e la frase “Tutti stronzi” in bocca a Mària sapeva più di vero. In compenso le ragazze le insegnarono a vestirsi con stile, a camminare nei corridoi come sotto i portici del centro, e viceversa.
Il quinto anno fu meraviglioso, Mària era diventata una sintesi di due sessi che le piacevano molto, e cominciava ad aggiungerci qualcosa di originale, di suo. Un pomeriggio d’aprile, mentre ufficialmente aiutava Barazzi Clelia a ripassare chimica (in realtà provando vestiti vintage eredità di una zia), si ritrovò abbracciata su di lei, nel letto di lei, e pensò che quello che la situazione le richiedeva era un bacio. Ma forse sbagliò i tempi, o i modi: non aveva mai baciato una ragazza – non aveva mai baciato nessuno! Clelia si irrigidì di scatto, se lo aveva desiderato era stato un attimo, un giorno, un anno, un millennio prima: Mària si ritrasse, avrebbe voluto scomparire, e in un certo senso davvero scomparì qualcosa in lei, per sempre.
Un mese dopo, in gita scolastica, Clelia venne a bussare alla sua camera. “Ti devo dire un segreto. Sono omosessuale”.
“Eh?”
“Si dice anche delle donne, non lo sai? Perché deriva dal greco…”
“Clelia, Clelia, lo so da cosa deriva. Ma cosa… come fai a saperlo”.
“Ho fatto sesso con Nadia”.
“Quella zoccola? Ma non vuol dire, è ubriaca da ieri, e poi… e perché vieni qui a dirmi questa cosa…”
“Volevo ringraziarti. Perché è stato grazie a te che l’ho capito… quel pomeriggio che tu hai cercato di baciarmi!”
“Clelia, senti, sei fatta anche tu. Perché non ti stendi un po’, ti riposi e poi magari domani ne parliamo con calma”.
Clelia russò tutta la notte, come a ribadire il suo omoerotismo conquistato e trionfante, lasciando Mària sveglia a scalciare i dubbi: ha capito che è lesbica perché l’ho baciata, o ha capito che è lesbica perché l’ho baciata da schifo? Le piaccio o no? Le piaccio come uomo o come donna? O le piaccio perché non sono né l’uno né l’altro? Oppure tutto sommato non le piaccio, visto che alla fine si scopa la zoccola dall’altra parte del corridoio? Oppure avevano ragione i maschi delle medie, l’omosessualità è un virus e io gliel’ho passato… sfiga-di-Mària-immune… che casino… ma sai che c’è? Io non ne voglio un cazzo… a me piacciono i maschi… l’odore dei maschi… queste ragazze con tutti i loro problemi mi stressano la minchia e basta… fammi prendere la maturità e poi non mi trovano mai più”.
All'università, in una città diversa, la bomba ormonale, pazientemente custodita negli anni di frustrante apprendistato, esplose con la forza di cento cavalli vapore. Da vergine a idolo delle feste nel giro di pochi mesi, finché – sorpresa – non si stancò. Piuttosto presto. La promiscuità lo attirava, e insieme lo lasciava insoddisfatto. Provò a farsi una storia seria: ci provò con tutte le forze. Andò persino a vivere con lui, un damsino di Matera con la fissa per il cinema tedesco. Durò due anni. Andavano nei locali dei gay, alle feste gay; a un certo punto a Mària sembrò di soffocare. Conosceva tutti, e non gli piaceva più nessuno. Avrebbe voluto entrare nel bar di una polisportiva, e guardare le partite della Fortitudo coi ragazzetti del quartiere, e invece doveva sgugnarsi la retrospettiva di Fassbinder. E non provare ad allungare quelle mani.
“Senti, io ti lascio”.
“SSsssst, è iniziato il film”.
“E non ce l’ho con te. Tu sei gentilissimo e bravissimo e assolutamente a posto. Il problema è che sei gay”.
“Anche tu sei gay”
“Lo so. Io però i gay non li sopporto”.
“E cosa ti piace, allora?”
“Mi piacciono i maschi”.
“E cosa pensi di fare?”
“Non lo so”.
“Prova con le tette”.
Il consiglio, totalmente gratuito, spiazzò Mària come l’uovo di Colombo. Ma per abituarsi all’idea ci vollero comunque un paio d’anni. Cominciò con un push-up, giusto per vedere l’effetto. Non male! Aveva la sensazione di portarsi un pezzo di mamma con sé, le dava un senso come di confidenza. Infine iniziò con gli ormoni. Vedersi cambiare fu spaventoso e fantastico: l’adolescenza, finalmente, a venticinque anni. E il risultato finale fu discretamente spettacolare. Ora Mària sarebbe piaciuta agli uomini.
Pensò subito di monetizzare il risultato: dei soldi aveva bisogno, e inoltre non conosceva molti altri modi d’incontrare persone sensibili alla sua nuova identità sessuale. Prese in affitto una mansarda e pagò un paio di annunci sul giornale adatto: era nata una stella. I primi utili furono utilizzati in un paio di altri ritocchi che Mària riteneva necessari. Perché aveva voglia di tornare a casa, e voleva tornarci perfetta, e magari irriconoscibile. Come una seconda nascita.
“Torno a spaccarvi il culo”.
Letteralmente. Nei primi sei mesi di attività, Mària si ritrovò a sodomizzare D’Angelo, che ogni tanto ne aveva voglia ma non si considerava un ricchione; Verozzi, che voleva provare “una volta l’effetto che fa”; Germini che sosteneva d’essere ubriaco e di avere litigato con la fidanzata, e che dopo mezz’ora ebbe una specie di orgasmo multiplo mai attestato nella letteratura scientifica; e Bordon, il rude Bordon, che lo incitava pure: “Dai! E dai! E spingi, busone di merda!”
“Ma allora ti ricordi di me?”
“Perché ti sei fermato? E spingi!”
Fu Dusacchi a riconoscerlo invece, dalle misure.
“Ma certo che lo so chi sei, eri quello che ce l’aveva più lungo di tutta la scuola”.
“Io?”
“E che pelo avevi. Ne avevi tanto che ti radevi. E due gioielli, grossi così, solo tu. Ci ho pensato per anni”.
“Ai miei gioielli”.
“Sì”.
“E non potevi dirmelo prima? Dovevi aspettare che mi facessi crescere le tette?”
“Mi piacciono le tue tette”.
“Ma non le stai nemmeno guardando! È un pretesto! La verità è che non ti piacciono le tette”.
“Certo che mi piacciono. Non sono mica un busone”.
“Sicuro?”
“O, vaffanculo”.
Il che, detto da Dusacchi, nella posizione in cui si trovava in quel preciso momento, suonava come il più enorme controsenso al mondo.
“Non darmi mai più del busone. Mai più”.
“Va bene, ora sssst”.
Ricapitolando: Mària cercava l’uomo vero, si è montata un par di tette da sogno, e adesso il suo mestiere consiste nel sodomizzare una manica di maschi repressi che hanno paura di chiederlo a un gay. Non vi girerebbero le palle? A Mària in effetti girano. Ma questi maschi chi sono? Cosa vogliono? Lei si aspettava protezione, energia, magari anche ceffoni. E questi giù, in ginocchio o a pecora, a implorare, spingi spingi, che roba è? Mària è molto delusa. Cambierebbe anche sesso, se gliene fosse rimasto uno da provare.
L’altro giorno, per incanaglirsi, sbirciava la diretta del family day, quando in uno scorcio rapido li vide: nell’orgia cattolica di Piazza San Giovanni – milioni di persone convenute da tutt’Italia perché ce l’avevano con lei – Barazzi Clelia e Dusacchi Flavio mano nella mano, quest’ultimo con un bambino biondo calcato sulle spalle. E a momenti sveniva, sul serio, perché un bambino coi capelli di Dusacchi e il labbro di Clelia era ciò che più si avvicinava alla sua idea di perfezione.
Eh, quanto è piccolo il paese. Dunque è Clelia l’oca-moglie a cui Flavio ama sputare ingiurie postcoitali. Ma non era lesbica? Si vede che s’era sbagliata – chi è Mària per giudicare. Ma chi sono Flavio o Clelia, d’altro canto, per dare lezioni di normalità sessuale? E perché ce l’hanno tanto con Mària, che in tutta la sua vita non ha mai tolto niente a nessuno? Dio probabilmente ha inventato la famiglia solo per vedere il sorriso dei bambini, e si dimentica alla svelta tutte le ipocrisie, le promesse e le minchiate che vengono prima o dopo. Gli uomini e le donne e gli altri però quaggiù hanno da vivere, raccontandosi bugie e tirando avanti – e finché funziona che male c’è? Ma funzionerebbe, la Sacra Famiglia Dusacchi, senza la mansarda di Mària che fa da camera di compensazione? Sul serio non c’è posto nel presepe per lei? Potrebbe fare il bue, un'altra creatura di sessualità incerta; ma senza di lui si moriva dal freddo, quella notte.
c'era tanto tempo fa un'antica civiltà
13-03-2007, 01:53cinema, cultura, famiglie, film italiani bruttini, omofobiePermalinkUna storia originale e bellissima di amore e amicizia, che si svolge in una famiglia allargata, in cui convivono coppie etero e omosessuali, ex amanti e futuri amanti. (Onemoreblog)
Il peggio del cinema italiano. E non lo si dice esagerando: Saturno Contro ha tutti i difetti possibili immaginabili, tutte le mancanze che tengono ancorato il nostro cinema ad un livello bassissimo, incapace di raccontare altro che "crisi tra quarantenni" e tutte quello che ne consegue. (Secondavisione)
Sono in mezzo a noi. Sono come noi. Soltanto un po’ più ricchi.
Siccome sono un po’ più ricchi, colti e raffinati, gli Ozpetechi non hanno così tanto bisogno di Pacs o DiCo o QuelCheSia. Già c’è l’amore; poi c’è qualche soldino da parte; se ti muore il partner vedrai che suo padre, legittimo erede, sarà sensibile e recettivo. Anche se era omofobo fino a un istante prima. “Volevo seppellirlo con sua madre, ma lei dice che preferiva essere cremato …” Massì, volemose bbene, no? Tra gente d’un certo livello, vuoi che non ci si metta d’accordo?
(Ma chi l’ha poi detto, che ogni film italiano debba riflettere per forza il dibattito contemporaneo. Uno va al cinema a Una va al cinema a svagarsi con le amiche, per il dibattito contemporaneo c’è Vespa, e Mentana in sovrappiù. Non è che se tutti parlano di DiCo Ozpetek debba per forza dire la sua. E se avesse voluto soltanto fare un film sugli amici suoi? Qualcosa in contrario? In fondo ci sono due attori maschi che si baciano, per il pubblico italiano è già abbastanza forte).
La coppia di gay benestanti. Uno stereotipo oppure no? Esistono in Italia coppie di gay non benestanti? Se ci penso bene, altroché. Per esempio, gli studenti. Esiste gente che a venti, trent’anni convive, e non è benestante per forza. Insomma, questa idea che si possa essere gay consapevoli solo a partire da un certo scalino di reddito, è uno stereotipo e anche pericoloso. Lo scalino c’è, ma non è economico.
Probabilmente è culturale. Dati in mano non ne ho, ma potrei scommetterci qualcosa: si è gay consapevoli solo a partire da un certo titolo di studio. I soldi insomma c’entrano, ma indirettamente. In fondo anche gli Ozpetechi, per quanto benestanti, sono abbastanza sobri nei gusti e nei consumi. Non voglio dire che bisogna essere colti per essere gay. Ma senz’altro la cultura aiuta a capire che si è gay, e che si può esserlo in modo relativamente sereno.
Il problema è che in Italia – solo in Italia? – la cultura è un lusso. Di conseguenza è un lusso anche la possibilità di farsi una serena esistenza gay. E qui arriviamo al punto: per quanto possa essere irritante la campagna anti-DiCo dei cattolici, io non credo che i DiCo siano una priorità. La priorità è la cultura. In Italia non ce n’è ancora abbastanza per tutti. Ce ne deve essere di più.
In Italia non esistono solo rodate coppie di ozpetechi che leggono buoni libri e si guardano un film tutte le sere. Oso dire che gli ozpetechi non sono che la punta di un iceberg. D’accordo che bisogna tutelare le minoranze, ma ricordiamoci che sotto il pelo dell’acqua c’è una quantità enorme di persone che potrebbe essere gay ma non lo sa, o non lo dice, o non lo ammette, perché non ha avuto a disposizione gli strumenti per capirlo, o per accettarlo. Questi strumenti sono culturali.
Io non so se l’orientamento sessuale sia un destino o una scelta, ma sono abbastanza convinto che la cultura sia lo sbarramento fondamentale, e non solo in materia di sesso. Da una parte c’è chi ha i mezzi per capire gli altri e capire sé stesso: dall’altra c’è chi deve attenersi a una serie di moduli stereotipati di comportamento: maschio vs culattone, in questo caso. Detto questo, siete liberi di combattere per i propri diritti di qua o di là. Io continuo a pensare che vada abbattuto lo sbarramento. Tutti dobbiamo avere libero accesso alla cultura; tutti dobbiamo essere liberi di indirizzare la nostra preferenza sessuale, o almeno di riconoscerla. Un’Italia un po’ più democratica, un po’ più scolarizzata, un po’ più colta, sarebbe anche un po’ più gay. E un Italia un po’ più gay non avrebbe bisogno di tanti cortei e chiacchiere per vedere riconosciuti i propri diritti in Parlamento, Vaticano o non Vaticano.
Viceversa in questa Italia, con la scuola e l’università un po’ allo sfascio, sembra che il governo debba cadere perché non riconosce qualche diritto in più a una minoranza di fighetti con appartamento di proprietà in centro. Sul serio, questo è il messaggio che rischia di passare. Attenzione. Con tutte le minoranze da tutelare che ci sono in giro, a me non va di morire proprio per gli Ozpetechi. C’è gente che sta peggio (anch’io, forse, per esempio).
roba da Amintore
11-02-2007, 03:39coppie di fatto, famiglie, memoria del 900, omofobiePermalinkCon il Dico, vostro marito potrà lasciarvi e fuggire col maggiordomo: e qualora l'insano connubio resistesse alla crisi dei 9 anni, al maggiordomo spetterebbe anche una fetta d'eredità. Sodoma e Gomorra.
Treccani omofoba?
05-01-2007, 10:33enciclopedismi, in edicola, l'era dell'ottimismo, omofobie, pedofiliePermalinkÈ stato più di una settimana fa.
“Buon giorno, esce ancora Repubblica?”
“A volte”.
“Oddio, e questo pacco cos’è, la Bibbia a fumetti?”
“Mi ha chiesto Repubblica, le ho dato Repubblica”.
“Accetta il bancomat?”
“Ma no, l’enciclopedia è in omaggio”.
Ah, gli omaggi... Vabbè, è pur sempre una Treccani. Biografica. Ultimamente vanno le biografiche, avete notato?
Avete anche notato che io sono la vittima designata delle enciclopedie? Ci sono i tipi da romanzo e i tipi da cronaca nera. Io m’incanto più facilmente davanti a un’enciclopedia – ci trovi sempre qualcosa d’interessante. Quando non c’era Internet, l’unico modo di perdersi nello scibile umano era consultare la voce Pragmatismo per attardarsi sulle foto di Praga, le statue di Prassitele e la Prammatica Sanzione. Per cui ci do subito un’occhiata, all’enciclopedia biografica Treccani. In fondo c’è un sacco di gente interessante che comincia con la lettera A.
Dopo neanche due minuti, maturo una convinzione: è una ciofeca, questa Treccani. V’eravate affezionati, volevate finirla? Lasciate perdere, piuttosto le garzatine. L’operazione ha tutta l’aria di una rivendita di fondi di magazzino. Anzitutto è scritta in grosso: diffidare sempre dei libri scritti in grosso, soprattutto se dizionari o enciclopedie. E poi è materiale vecchio. Si vede a occhio.
Prendiamo uno degli uomini più grandi e fortunati della Storia del mondo: l’imperatore Adriano. La sua è una voce scritta negli anni Cinquanta. Al massimo Sessanta (ma potrebbe anche essere Trenta). Certo, non è che nel frattempo abbia fatto molto di nuovo, l’imperatore Adriano. Ma non c’entra. Le enciclopedie si aggiornano sempre, perché anche se gli imperatori restano fermi, noi ci muoviamo. E si vede. La voce Adriano avrà cinquanta, sessant’anni, ma sembra più vecchia dell’imperatore stesso. Adriano, come tanti principi del tempo, era bisessuale. Regolarmente sposato, aveva una relazione con uno schiavo. La relazione la possiamo chiamare tranquillamente pederastia: anche se la parola pare brutta, essa designa per l’appunto i rapporti tra maschi adulti e maschi adolescenti.
Ma la Biografica Universale Treccani non parla di pederastia, né di omo o bisessualità, bensì di “turpi e palesi trasporti”. Proprio così.
Non aveva infatti figliuoli, né aveva saputo conservarsi l’affetto della bella Sabina, che aveva così gravemente offesa con i turpi e palesi trasporti per Antinoo.
Ora, non bisogna essere alfieri del politically correct o delle tematiche LBGT per affermare che qualcosa non va.
E non in Adriano. Lui, quando morì Antinoo, fece innalzare statue e templi in tutto l’impero. Gli dedicò persino una città (Antinoupolis), per cui evidentemente sì, il trasporto era palese. Ma non si può leggere “turpe” in un’enciclopedia comprata nel 2006. È una parola che dice più cose su di noi che sull’imperatore Adriano.
E poi uno dice non fidatevi di wikipedia. Quanto resisterebbe, una frase come quella, in una voce di wikipedia? Una mezza giornata, due ore? Sulla Treccani c’è da mezzo secolo. E potrebbe passarne un altro mezzo. Se la civiltà occidentale si mantiene, naturalmente.
Basic Culture Simulator 1.9
Mai più nozioni superflue!
Proust, Marcel
Gay della prima metà del Novecento. Viveva in una stanza foderata di sughero per attutire i rumori. Grandissimo scrittore, mica come certi blog prolissi ed egocentrici.
Intingendo un giorno un pasticcino nel the, Proust trova l’ispirazione per scrivere un’autobiografia in otto volumi, dopodiché muore.
Preferiva le canzonette alla musica classica, come chiunque, ma aveva la faccia tosta di dirlo, per cui quando in società tutti parlano di Brahms e a voi scappa un commento sugli Strokes, potete sempre difendervi tirando fuori Marcel Proust. Forse è per questo che è lo scrittore più amato dai deejay di un certo spessore.
Musil, Robert
Scrittore austriaco della prima metà del Novecento. Nel primo libro parla delle sue esperienze gay in un collegio. In seguito decide di scrivere un colossale romanzo sulla decadenza dell’Impero Asburgico, ma arrivato a metà (più o meno a pagina mille, cioè) si blocca. Nel frattempo (nel 1919) l’Impero Asburgico crolla davvero, di colpo, lasciando esterrefatti centinaia di scrittori che contavano di sfornare romanzi sulla decadenza asburgica ancora per qualche secolo.
Anche Musil si fa prendere dallo sconforto, pubblica i suoi articoli come “scritti postumi di un autore in vita”, è tentato di archiviare il poderoso romanzo, ma i suoi lettori non lo lasciano in pace: si sono sciroppati un migliaio di pagine intense e hanno il diritto di sapere come va a finire. Musil cincischia, tenta la carta del morboso inventandosi una sorella gemella del protagonista, ma anche dopo l’incesto il romanzo non vuole saperne di finire. Almeno credo, perché a pagina duemila mi sono fermato pure io.
In realtà ho tirato fuori Musil soltanto perché non riesco a dimenticarmi la sua definizione di snobismo, letta su un’antologia della quinta liceo che non riesco più a trovare: lo snobismo consiste nell’infilare in una lista di pittori famosi il nome di un pittore sconosciuto ai più. (Funziona benissimo anche con gli scrittori e coi cantanti).
Mi è venuta in mente qualche giorno fa, leggendo il canone occidentale di Scarpa: Catullo, Agostino, Montaigne, Proust, Céline, Henry Miller, Anais Nin, Paul Léautaud… mi chiedevo, per l’appunto: ma chi diavolo è Paul Léautaud? Beh, ecco qui. Bastava un link…
E per oggi con la letteratura abbiamo finito. Che ne dite di un po’ di Storia?
Termopili, Battaglia delle
Strage greca del quinto secolo avanti Cristo: per rallentare le armate persiane, trecento spartani guidati da Leonida (più altri 700 tespiesi di cui nessuno parla mai) si fecero massacrare eroicamente. Se avessero lasciato passare i persiani, probabilmente il re Serse si sarebbe fatto un giro, avrebbe sottomesso formalmente una ventina di villaggi costieri e se ne sarebbe tornato soddisfatto dall’altra parte del mondo.
Invece, mandando al macello sé e mille compagni, Leonida (luogotenente di uno stato fascista basato sulla schiavitù e sulla segregazione razziale) ha ottenuto l’indubbio onore di figurare in tutti i libri di scuola della quarta ginnasio come il salvatore della cultura occidentale. Che nel cinquecento avanti Cristo consisteva già in questo: considerarsi radicalmente superiori agli stranieri, tenere democraticamente gli schiavi lontano dall’acropoli e mandare i cittadini a morire in battaglie sanguinose e inutili.
(Sulle Termopili c’è un bel libro a fumetti, scritto dal più geniale e fascistoide fumettista americano: Frank Miller).
Le battaglie famose sono sempre quelle che finiscono male, ci avete fatto caso? Di solito le Termopili vengono citate dai leader politici che s’imbarcano in imprese disastrose. Per esempio:
Ma lo rifaresti? Bertinotti risponde citando la poesia di Costantino Kavafkis “in onore di coloro che hanno difeso le loro Termopili ben sapendo che i Medi sarebbero comunque passati”. «Se non avessimo fatto il referendum avremmo lasciato libero il campo al rullo compressore di Berlusconi e non si sarebbero accesi i riflettori sull’invisibilità del lavoro dipendente...».
Invece, grazie all’eroica figuraccia del referendum, il rullo compressore di Berlusconi è passato sopra lavoratori e sindacato, e i riflettori sul lavoro dipendente si sono spenti subito. Che dire: Bertinotti è ancora vivo e orgoglioso, pronto a imbarcarci in una nuova gloriosa battaglia.
Almeno Leonida alle Termopili ci lasciò le penne, e la smise, una buona volta, di mandare allo sbaraglio la sua gente.