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Riassunto delle prime perdibili puntate: in Italia c'è una tradizione umanistica che forma molti, troppi sventurati letterati, il cui unico sblocco è l'insegnamento... un lavoro difficile, a cui nessuno li prepara! Ma per fortuna è stato trovato un rimedio, la SSIS...

Non ce l'ho con le Sissine

La SSIS è la Scuola di Specializzazione all’Insegnamento Secondario. È stata istituita pochi mesi prima del famoso Concorsone, quando si stabilì che non ce ne sarebbero stati altri. Io, in effetti, mi sono laureato nell’ultimo scaglione che aveva ancora il diritto di partecipare al Concorsone: dopo di me, per accedere all’insegnamento, occorreva iscriversi appunto alla SSIS. Faccio dunque parte di un’altra generazione rispetto alle sissine, anche se alcune di loro hanno praticamente la mia età.

(Ne parlo al femminile, perché il mondo della scuola è femmina. La lingua italiana – come tantissime altre – è incredibile: se in un’aula di cento maestre entra un maestro, di colpo nell’aula ci sono “101 maestri”. La sciocca rivalsa dei mille piccoli spermatozoi contro l’unico ovulo).

La SSIS, come dice il nome, è una scuola che ha il compito di formare gli insegnanti: di riuscire, cioè, laddove l’Università umanistica italiana ha fallito. Da questo punto di vista, la SSIS rappresenta la risposta al mio interrogativo esistenziale: perché nessuno mi aveva insegnato l’unico mestiere che il mio corso di laurea mi consentiva di fare? Perché nessuno aveva ancora pensato a istituire la SSIS. Perfetto. Peccato soltanto essermi laureato troppo presto.
D’altro canto, la SSIS dura altri due anni e – a differenza di gran parte delle università umanistiche italiane – costa. 1450 euro l’anno, se non sbaglio.

Questo è curioso. Non c’è nulla di male a pagare per imparare un mestiere – ma perché deve costare soltanto il biennio finale? Nei confronti degli studenti umanisti, lo Stato assume sempre di più gli atteggiamenti di un pusher. Il primo tiro è gratis – i primi quattro anni scorrono lisci, il livello generale d’insegnamento è buono, le lezioni sono affascinanti, gli esami sono relativamente pochi e non impossibili, persino il corso di studi è (o era) abbastanza libero. Come diceva un mio prof, ci sono corsi di laurea che sono impervi sentieri di montagna, ma Lettere è un autostrada. Già.
E come in ogni autostrada italiana che si rispetti, il pedaggio salato si paga alla fine. Dopo averti assuefatto alla cultura umanistica, dopo averti impedito di diventare nient’altro che un insegnante, il neolaureato scopre che per diventarlo davvero deve pagare. Ripeto, se c’è da pagare si paghi, ma perché soltanto nel tratto finale?

Il prezzo – in fondo non eccessivo – andava sommato agli altri due anni di probabile non occupazione. Sommati ai 4 anni di un corso di laurea in lettere, fanno 6: in realtà si arriva facilmente a 8, se non 9 o più. Questo ritardo assolve anche a una funzione economica: visto che comunque di insegnanti ce ne sono troppi, un modo per liberare dei posti è assumerli sempre più tardi. Si tratta di una pezza, naturalmente – specie se nel frattempo disincentiviamo i più anziani ad andare in pensione. Ma insomma, i due anni di SSIS funzionano anche come parcheggio. (Questa funzione di parcheggio si potrebbe estendere, a voler essere pessimisti, a tutto il sistema educativo umanistico italiano, dal liceo classico in su: siccome non sappiamo che lavoro insegnarvi, vi diamo una cultura di élite, così almeno sarete infelici con stile).

La SSIS, insomma, è una creatura insieme provvidenziale e diabolica. Riassumendo:
1. Insegna finalmente i laureati umanisti a insegnare.
2. Screma i candidati all’insegnamento meno motivati.
3. Parcheggia per altri due anni i candidati più motivati, in attesa che si liberi un posto.

La SSIS è un’invenzione di sinistra, che la Moratti non disdegnò. Ma non fu lei a permettere il sorpasso del 2003, quando io e molti altri reduci del Concorsone furono calpestati dalla prima ondata di sissine. Lei tra SSIS e Concorsone aveva cercato di barcamenarsi, in fondo eravamo tutti figli del buon Dio ed elettori. All’uscita delle prime sissine, cercò di tranquillizzarci regalandoci qualche punto in più. Fu il Terribile Tar del Lazio ad opporsi alla sua decisione, non so il perché. Il Terribile Tar è al di sopra del bene e del male.

Quella tra sissine e figlie del Concorsone è una guerra generazionale, ma soprattutto una guerra tra povere. Da una parte, trenta-quarantenni precari da una decade, eterni supplenti. Dall’altra giovani neo-laureate ferrate in pedagogia, ma senza trascorsi nelle aule. Naturalmente i primi tesseranno l’elogio dell’Esperienza, l’unica severa maestra di vita. Le seconde preferiranno far notare che hanno studiato didattica, loro, pagandola anche salata.

Io, che sto in mezzo, quasi quasi do torto a entrambi. Non mi fido così tanto dell’esperienza – ma mi fido poco anche della SSIS. Purtroppo, posso parlarne solo per sentito dire: chi l’ha fatta di solito non ne parla un granché bene, e più che porre l’accento sulla didattica e sulla pedagogia, tende a lamentarsi d’aver speso due anni e 3000 euro senza la certezza matematica di un impiego.

Io, ripeto, non trovo nulla di sbagliato nell’idea della SSIS. Preso atto che l’Università è incapace di formarti all’insegnamento, non restava che escogitare una formazione ulteriore. La mia domanda è: perché questa formazione ulteriore è stata affidata a chi aveva già dimostrato la propria incapacità strutturale – le Università? Se non sono state in grado di insegnarci a insegnare in 4 anni, perché dovrebbero riuscirci in altri due? Che credibilità hanno?

(Continua)
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