Ieri notte un selezionatore umano di canzoni artificiali mi ha salvato la vita

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Da qualche parte leggo che un'Intelligenza Artificiale ha scritto un pezzo dei Beatles che fa piangere i fans. Ora io i fans li ho un po' bazzicati – avevo un libro da vendere – e pur trovandoci esperti dal gusto sopraffino come tu che stai leggendo, ho riscontrato una certa disponibilità alla lacrima. Comunque la curiosità ha facile gioco sulla voglia di lavorare: googlo il pezzo. Ne trovo uno che mi sembra familiare, il che avrebbe senso; le voci di McCartney e Lennon si alternano tra strofa e ritornello, come succedeva in Free as a Bird ma in pochissime altre canzoni del repertorio originale. Al netto delle voci, sembra un pezzo dei tardi XTC: ha un senso anche questo. Ho già in mente cosa scrivere: le AI non stanno facendo nulla che gli esseri umani non abbiano già realizzato dal 1970 in poi. Jeff Lynne, Andy Partridge, qualche Gallagher, che altro hanno ci hanno allestito per decenni se non falsi d'autore? E se tutti questi raffinati compositori non ci hanno soddisfatto, e neanche i Gallagher, che ci aspettiamo ora da un'AI? Una tale mancanza di personalità che le consentirebbe di non aggiungere assolutamente nulla di nuovo al blend degli unici ingredienti che desideriamo? È un desiderio che tradisce la natura maniacale di quello che ormai è un culto: la convinzione che ciò che hanno realizzato quattro, e solo loro, e solo tra il '62 e il '69 sia qualcosa di irripetibile e irripetuto. Un giudizio che è facile condividere se si ascolta solo il loro repertorio, magari ricomprandolo a ogni Natale reimpacchettato in un formato diverso. Il prezzo per alimentare il mito dei Beatles è ignorare quasi tutta la musica che sta attorno: quella che ascoltavano, che copiavano, e quella di chi li ascoltava e li copiava. Persino la musica che i Quattro hanno fatto poche settimane dopo essersi sciolti, ecco: abbiamo più voglia di ascoltare finta musica di un'AI che la musica vera che continua a fare, per dire Paul McCartney...

...E proprio mentre penso a questo, mi rendo conto che quella che sto ascoltando è, effettivamente, una canzone di McCartney, da uno di quei dischi degli ultimi anni che si ascoltano, si apprezzano e poi si dimenticano perché è uscito un altro cofanetto deluxe dei Beatles. L'AI in questo caso non c'entra un bel niente. L'unico aspetto artificiale è la contraffazione digitale della voce di Lennon, che lo sostituisce nel ritornello: insomma non si tratta di tecnologia AI ma di un ormai banale deepfake – ma il titolista che capitalizza sulla mia attenzione non può più scrivere "deepfake", nessuno clicca più i deepfake, adesso la parolina magica che tutti cliccano è "AI". Che è sempre meglio di quanto tutti dovevano dire metaverso. Sono stato vittima di un dirottatore di clic, la canzone 'alla Beatles' fatta da un'AI da qualche parte esiste davvero. 


Non è altrettanto orecchiabile. Somiglia un po' meno agli XTC, un po' più forse agli ELO; le voci di Lennon e McCartney non ripartiscono strofe e ritornelli perché davvero dal punto di vista statistico non avrebbe senso; una volta feci il conto, succede in cinque canzoni su duecento. Il che mi fa riflettere: se chiedi a un'AI di scrivere un pezzo di Lennon/McCartney, gli stai chiedendo di restare in un range di possibilità. L'AI si ascolta il repertorio e comincia a mettere in fila i suoni che si ascoltano più spesso; è chiaro che a cadere è la coda lunga dei suoni meno ricorrenti. Via il timpano, perché c'è solo in Every Little Thing; via probabilmente anche l'armonica dei primi singoli e l'hammond di Billy Preston; sono iconiche ma l'AI a questo livello ancora non lo sa. E l'accordo iniziale di A Hard Day's? Quello finale di A Day in the Life? Sono hapax, compaiono una volta sola in tutto il canone; se ragiona in banali termini di frequenza statistica, l'AI non li includerà. Così come certe progressioni bislacche che appaiono in una canzone sola di tutto il repertorio, per dire, Yesterday. È abbastanza facile obiettare che quello ci piaceva dei Beatles erano viceversa queste sorprese impreviste, e che quei singoli accordi e certi assoli completamente incongrui (In My Life! Penny Lane!) sono più importanti di dozzine di altre canzoni incise un po' a macchinetta – per dire è molto più probabile che l'AI indulga in sonorità country che non associamo così tanto ai Beatles, perché Beatles for Sale non lo ascoltiamo poi così spesso. Insomma alla fine anche da un'AI più competente, e un giorno lo sarà, non potremo che aspettarci un brano più banale dell'originale, mediocre nel senso più preciso del termine: e questo non perché l'automa non abbia un'"anima", ma perché la banalità, la mediocrità, era nelle istruzioni che gli abbiamo fornito. Il punto è che noi non vogliamo davvero che l'AI continui l'opera dei Beatles; noi vogliamo piuttosto che ci confermi che l'opera dei Beatles è insuperabile, anche dai computer con potenza di calcolo infinitamente superiore a quella che serviva per battere a scacchi Kasparov. 

A questo punto un ingegnere (che non amasse particolarmente i Beatles) potrebbe suggerirci una soluzione: la mediocrità sta nel fatto che avete infilato duecentocinquanta canzoni in un computer e gli avete chiesto di comporne una sola: è chiaro che l'abbia pescata nel mezzo. Ma fategliene scrivere un migliaio: a quel punto cosa succederebbe? La maggior parte sarebbero senz'altro mediocri; ma da qualche parte magari c'è una variazione di Blackbird col campanaccio di Drive My Car che supera gli originali. A questa soluzione obietto che... niente, non mi viene niente di sensato da obiettare. Potrebbe davvero funzionare, un sacco di capolavori non sono che variazioni di altre opere a cui aggiungono un imprevisto non-so-che. In effetti non so perché non abbiano già iniziato a produrre variazioni Goldberg a manetta. Ascoltandole, è chiaro che non le troverei superiori a quelle di Bach, ma semplicemente perché le ho già ascoltate e mi ci sono affezionato: è quel senso di familiarità che l'ascoltatore troppo spesso confonde col senso estetico. Qualcun altro potrebbe far notare che comunque, essendo finito il numero di informazioni che abbiamo fornito all'AI, non si potrebbe fare niente di veramente nuovo, ma questo non è vero per tutti i compositori in carne e ossa? Non partivano tutti da una cultura relativamente limitata, eppure in qualche modo non sono riusciti quasi tutti ad aggiungervi qualcosa? E questo 'qualcosa' quante volte non è stato un frutto del caso, un glitch, uno scherzo che il compositore non prendeva sul serio? Questi glitch, siamo sicuri che non potrebbe farli anche un'AI? Se gli diamo tutto Bach e aggiungiamo, che so, un pezzo di Afrika Bambaataa e una sirena dei pompieri, siamo sicuri che il risultato sarà al 100% derivativo, e che non troveremo almeno un 5% innovativo? Il problema forse in futuro sarà filtrare quel 5%.



Insomma il creativo del futuro me lo immagino molto meno operativo – ma è una tendenza che è cominciata secoli fa, una volta dovevi saper tenere pennello e scalpello in mano, oggi c'è gente che non sa dove si accende il computer con cui pure lavora. Suonerà sempre meno, di scolpire e dipingere ha già smesso. Quel che farà è guardare, ascoltare, filtrare. Il creativo del futuro sarà un critico: gli dai diecimila canzoni in stile Beatles+IntiIllimani e gli dici: hai un mese per trovare la prossima hit per il mercato peruviano. Ehi, potrebbe persino funzionare, voglio dire, ascoltare tutti i giorni canzoni su canzoni (perlopiù brutte) sembra davvero un mestiere. Noioso, ripetitivo, faticoso, relativamente remunerativo. Non è un mestiere che farei (ci metto anni per capire se una canzone mi piace), mi sembra quasi l'inferno in terra perché, tra le altre cose, mentre fai un lavoro del genere non puoi neanche metter su un disco decente; però potrebbe consentire a una contenuta classe di persone un reddito ed è quello che ci interessa, ne siete consapevoli? Che quando ci domandiamo se la tale cosa è Arte, la vera domanda che ci stiamo facendo è: riusciremo a farne un prodotto sostenibile, senza far crollare la domanda con un'esplosione dell'offerta? Che dietro a una questione estetica abbastanza oziosa c'è una ben più pressante questione economica? Perché se si trattasse semplicemente di valutare se il prodotto X è bello o no, la questione dell'autorialità sarebbe secondaria come lo era nel Medioevo. Un quadro è bello sia che lo dipinga un essere umano, sia che lo dipinga un'AI, no? In teoria sì, ma così come non vogliamo davvero altre canzoni dei Beatles, probabilmente non vogliamo nemmeno altri Caravaggio; e la prova è che chi è bravo come Caravaggio oggi si ritrova a disegnare sui marciapiedi coi pastelli. Può darsi che i motivi per cui adoriamo i Beatles e/o Caravaggio non siano prettamente estetici, ma abbiano più a che vedere con le narrazioni che abbiamo costruito intorno a determinati manufatti – il motivo per cui i brani incisi da Lennon e McCartney nel 1969 ci sembrano geniali, e quelli incisi dalle stesse persone nel 1971 quasi trascurabili. Così oltre ad ascoltare un sacco di robaccia tutta uguale per trovare il brano tra mille che ha quel quid imponderabile, l'artista del futuro probabilmente dovrà preoccuparsi di costruirci sopra una narrazione. All'inizio saranno storie simili a quelle che già ci raccontiamo – avremo qualche boyband che in teoria si scrive le canzoni da sola, può darsi che in Corea ci siano arrivati dieci anni fa. E poi pian piano accetteremo che l'artista ormai è diventato un filtro, e qualcuno ci racconterà che stava guidando a fari spenti nella notte quando bang! la centoventireesima variazione di God Only Knows ibridata con la Quinta di Mahler lo ha dissuaso dal suicidio.


Qualcuno potrebbe ulteriormente obiettare che anche questo mestiere di filtro lo saprebbe fare un'AI: probabilmente alla lunga sì, probabilmente qualsiasi cosa noi facciamo lo può fare una macchina, e meglio. Del resto non stiamo già usando algoritmi che ci suggeriscono le canzoni nuove da ascoltare, in base ai nostri gusti? Quindi sì, in linea di massima puoi prima dire a una macchina: scrivimi ottocento canzoni dei Beatles, e poi a un'altra macchina (ma magari alla stessa): ascoltale e seleziona quella che piacerà la prossima settimana ai boomer della Cornovaglia in base al meteo e all'andamento della borsa. In prospettiva, non vedo perché non dovrebbe andare a finire così. Potrei obiettare (ma quante obiezioni ci sono in questo pezzo) che la macchina tenderà sempre a scegliere il risultato mediocre, mentre quello che davvero vogliamo è la sorpresa, il glitch, la progressione di Happiness is a Warm Gun, l'accordo di A Hard Day's Night. Cioè che per quanto le macchine potranno diventare brave a capire cosa ci piace, noi riusciremo sempre a deluderle e a cambiare gusti all'improvviso, come i gatti con le crocchette, forse ci evolveremo nei gatti dei nostri appartamenti iperaccessoriati, i maggiordomi digitali passeranno il tempo a chiederci se vogliamo entrare o uscire e noi li faremo impazzire. La nostra spinta a costruire macchine che ci sostituiscano è pari alla nostra necessità di sentirci diversi da loro, originali, imprevedibili, indecifrabili. 

Nel 1956 su un giornaletto di fantascienza uscì un racconto di James Blish, A Work of Art. Racconta la seconda vita di Richard Strauss, che (spoiler alert) un giorno si sveglia in una clinica, in un corpo che non è il suo. Gli spiegano rapidamente che non è lo Strauss che crede di essere, ma una copia il più fedele possibile all'originale, realizzata da due "scultori della mente" nel 2161. Il nuovo Strauss trova naturale rimettersi a scrivere musica, e viene incoraggiato in tal senso. In capo a pochi mesi realizza un'opera che gli sembra la naturale evoluzione del suo stile. Ma la sera della prima, riascoltandosi, si rende conto che in quello che ha scritto non c'è nulla davvero di nuovo: sono solo vecchie soluzioni di Richard Strauss, rimescolate in una forma diversa. Però la gente applaude. Guardando meglio, Strauss si accorge che non applaudono lui, ma i due scultori della mente: l'opera che stanno apprezzando non è la musica, è lui. Quanto alla musica, non hanno il senso estetico necessario per capire quanto sia derivativa e deludente: è l'ultimo consolante pensiero dell'AI di Strauss, prima di essere spenta. 

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