"son pieni di energia gli uomini"

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Alzati, Bordone

Anche noi, venerdì, invece di uscire e recarci in qualche covo di snobisti, siamo rimasti sul divano davanti alle Invasioni Barbariche. Così effettivamente non ci è sfuggito lo scoop più controverso dell’anno (il servizio di Matteo Bordone, travestito da Matteo Bordone, che passa un pomeriggio intero in un ipermercato e poi va a non-ballare la salsa).

E non ci è piaciuto. Forse per snobismo antisnobista di ritorno, boh. Ma sicuramente non per antipatia preconcetta nei confronti di Bordone, tutt’altro. Di tutto si potrebbe accusare la mia coinquilina, salvo di antipatia preconcetta nei suoi confronti. E tuttavia avreste dovuto vedere la tristezza nei suoi occhi.

Allora: ci sarà in giro chi odia Bordone per motivi suoi e ha voglia di parlarne male: ma forse c’è anche chi c’è rimasto male perché Bordone in radio e altrove sembra molto, molto più simpatico di quello andato in onda venerdì. Una simpatia che nel servizio non c’era più: annullata. La tv ha masticato Bordone e ha risputato l’ennesimo snob-demofobo alla Zecchi. Non doveva finire così.

Poi, per un colmo di snobismo, ha iniziato a pioverci in casa. Quando ho riattaccato il PC, ho visto che ne avevano già parlato tutti. A questo punto che faccio? Sono più snob se mi attacco anch’io, o se faccio finta di niente?


Ho finto di essere un laureando di scienze della comunincazzone e mi sono brevemente rivisto il servizio (via macchia), cercando di capire cos’è che rendeva Bordone così irritante. Il montaggio? Le luci? La fotografia? No, direi che è tutto ok. Ma sin dalle prime riprese è chiaro un fatto: non c’aveva voglia. Certo, sempre meglio che simulare finti entusiasmi. Ma per tre minuti il personaggio barbuto non fa che spostarsi da una poltrona a una panchina, sembra invecchiato di 30 anni. A un certo punto prova anche un divano automassaggiante e dice che sembra di stare sull’intercity (un treno da snob: ma anche i regionali non vibrano mica male). “A fine serata sono stravolto” dirà alla fine. Guarda, senza acrimonia ti giuro: sembravi stravolto da subito. Il servizio funziona male soprattutto perché non c’è trama: il personaggio nasce stanco e stanco muore. Ma la gente in tv vuole colpi di scena.

E poi vuole che tu faccia il primo passo. Cioè, lo sappiamo tutti benissimo che 6 ore in un centro commerciale sono da ricovero, ma almeno la prima mezz’ora ci devi provare. Devi prendere in mano un oggetto che ti piace. Solidarizzare col vecchietto o la commessa. E se ti chiedono un ballo, porco cane, devi ballare. Nella sua replica, Bordone cita il Battiato di E ti vengo a cercare,
e attraverso Battiato (non so quanto consciamente), Nanni Moretti: l’archetipo dello snob barbuto italiano. Moretti è molto, molto più irritante di quanto Bordone potrà mai essere; eppure Moretti non si è mai negato il primo passo. Ci prova sempre. Se c’è da ballare, Moretti balla. In un campo da calcio si gioca a pallone. In un caffè si chiacchiera. Sulla spiaggia, ci si bacia. Poi finisce sempre male, ma Moretti ci prova. Prima d’esser buttato fuori.

Gratta gratta, il meccanismo è lo stesso dei grandi film di Chaplin: nel labirinto disumano della città moderna il Vagabondo prova qualunque mestiere, qualunque esperienza di vita. Non è mai a suo agio, ma riesce sempre a regalare all’ambiente qualcosa di originale. E tutto, per un attimo, funziona: finché non arriva qualcuno a dire che non si può stare lì. Ai tempi di Chaplin era un poliziotto-con-sfollagente. Moretti di solito si fa cacciar via da qualche "persona normale". La banalità della prepotenza.

Io credo che la modernità debba essere esplorata con un po’ più di energia, di coraggio, al modo in cui lo faceva il Vagabondo: è un centro commerciale disumano in cui scavarti la tua nicchia, consapevole che l’estraneo, il poliziotto, la pioggia dai tegoli, può portarti via tutto in poche ore. Puoi lavorarci, ma puoi anche nasconderti, pattinarci, giocarci. Dopodiché capita anche a me di addormentarmi in piedi, se accompagno qualcuno lungo certe rotte dello shopping. E allora metto su una musichetta interna, uno di quei pezzi da pianoforte che accompagnavano i film muti. E guardo in camera e tiro avanti. Qualcuno, da qualche parte, ride di me: è una cosa che a volte consola.

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