Po Po Po Po Po
11-06-2008, 10:05calcio, dialoghi, fratelli d'I., migrantiPermalinkGelosia
“Sarai contento, eh, che abbiamo fatto una figura di merda”.
Ma tu come fai a saperlo, scusa.
“Perché credi che io non li capisco, i tipi come te? Credi che non ti vedo?”
In effetti cosa vuoi vedere, con quella montatura da deficiente? Davanti agli occhi hai più tartaruga che lenti.
“Credi che non lo so, che tu tifi per i Rifiuti, tifi per il Crack in Borsa, per il Caropetrolio, per il malore di Silvio, hai tifato per l'Olanda e domani persino Romania?”
Beh, sono simpatici, con quei nomi da vampiri.
“Credi che non lo so, che ti sto sul cazzo?”
Ma non farmi una scenata qui per questo, dai.
“Credi che non ci arrivo?”
Va bene, sì, hai visto giusto, mi stai sul cazzo.
“Aha!”
Ma scusa, non dovrei? Solo tu hai il diritto di odiare gli zingari e i lavavetri? Perché non dovrei odiare te per come ti vesti, per quello che sei? Sei meno qualificato di me e guadagni il doppio, la mia macchina potrebbe stare nel baule della tua, non l'hai comprata così grande apposta per starmi sul cazzo? E non dovrei godere, adesso, a ogni rincaro? Tu mi credi in possesso di chissà quale sensibilità raffinata ma non è così, io odio esattamente come odi tu, e se tu ne hai il diritto perché io no?
“È proprio qui, è proprio qui che ti volevo! Tu sei come me!”
In un certo senso sì, in un altro no, e adesso ti saluto.
“Aspetta, non ho finito. E poi sei un razzista, esattamente come me”.
Un razzista?
“Sì! Perché non importano gli occhiali, non importa la macchina, non importa niente. Io ti sto sul cazzo perché mi chiamo Mario e sono italiano. Dillo che è così”.
Ma no, non è così.
“Ah, non è così?”
No.
“E allora immaginami soltanto un po' più scuro, stessi occhiali e macchina, però mi chiamo Omar. Di colpo ti sto simpatico. Di' di no”.
...
“Aaaah, non riesci a dir di no! Lo vedi? Il contrario di un razzista è un razzista tale e quale!”
Dunque. Vediamo. Intanto, io sono una persona razionale, e non c'è nessun motivo per cui un Omar che lavora quanto te debba vivere peggio di te.
“Ma non c'è neanche nessun motivo per cui tu debba volergli bene, mentre io ti sto sul cazzo a priori! Ammetti che è così!”
Forse ho capito. Questa è una scenata di gelosia. L'Italiano Medio si è incarnato, è sceso al bar e mi sta facendo una crisi di gelosia. Perché voglio bene a Omar, e a lui no.
“E a Mariescu, e a Mariovich, e a Ma-Ru che l'anno scorso ancora stava sugli alberi, ma a me no! A me no! Scusa, eh, se ti ho ospitato e riverito per tutti questi anni...”
Mi hai trattato da coglione, per tutti questi anni. Quelli ancora no. Probabilmente lo faranno, appena annuseranno di che pasta sono, ma per ora gli do una possibilità.
“E questa sarebbe la tua spiegazione?”
Spiegazione razionale.
“No, non è razionale un bel niente. Io ti dico che c'è del morboso, nel tuo trescare col terzo mondo. Come quello scrittore, quello là come si chiama, che si faceva le vacanze in Africa”.
Sai benissimo come si chiama, lo vedi come sei? Ti riduci ad affettare un'ignoranza che non hai. E comunque quello che smignotta nei Caraibi sei tu. Io non me lo trombo, il Terzo Mondo, io ci lavoro.
“Tu dai voti migliori agli stranieri”.
Li incoraggio. Ne hanno bisogno.
“Anche mio figlio ne ha bisogno”.
Tuo figlio ha bisogno di ceffoni.
“Lo vedi! Due pesi due misure”.
Impacchetta tuo figlio e spediscilo nel Punjab, vediamo quanto ci mette a imparare l'Urdu.
“Ma c'è un motivo, lo vuoi capire che c'è un motivo storico per cui io non devo impacchettare mio figlio e Omar sì? Se siamo tutti uguali, perché Omar è dovuto venire a rompere me? Si vede che lui di me aveva bisogno. E allora deve comportarsi bene!”
Anche tu hai bisogno di lui, e lo sai.
“Ma ce ne sono tanti come lui, e io posso scegliere! Ne ho il diritto! Perché la mia nazione è più ricca e se Omar non si comporta bene, a casa! C'è la fila! E questa non è arroganza, queste sono le cose come stanno, va bene? E ti dirò di più”.
Sentiamo.
“Che io posso essere uno stronzo, può darsi, un arrogante, è possibile, e può darsi che non abbia gusto in fatto di occhiali o di magliette, ma Omar non è meglio di me. In nulla è meglio di me. Sotto quella crosticina di terzo mondo è uno stronzo tale e quale me. Se l'Urdu fosse una grande nazione e l'Italia una piccola, lui tratterebbe me come io tratto lui. Tale e quale”.
E in quel caso io vorrei più bene a te.
“Ma tu queste cose devi capirle. Perché altrimenti, con tutti i libri che ti leggi, non riuscirai a capirla mai la gente”.
La gente. È una vita che mi dite che non capisco la gente. Tutti a farmi lezioni sulla gente. Inchiodano all'incrocio, mi fanno la lezione, ripartono sgommando. Gente che due anni fa si è presa il macchinone a benzina con gli incentivi, oggettivamente dei pazzi. Bastavano tre righe di giornale per sapere che il petrolio sarebbe andato su su su, però non è che puoi chiamarli tutti minchioni, perché anche se non sono esperti del prezzo degli idrocarburi, sono tutti esperti di gente, massimo rispetto. Ma vi volete anche mettere un po' nei panni miei? È una mezza vita che prendo lezioni di gente, e ancora non basta. Ancora non vi capisco, ancora non vi amo. Poi un bel giorno arriva Omar, anzi suo figlio. Magari ha appena finito di prendere a sberle il vostro. Però poi si fa avanti quatto con un foglio in mano e chiede: professore, per favore, che c'è scritto. È una lettera che gli è arrivata a casa. Lui capisce solo che vogliono dei soldi. Stai tranquillo, gli dico, è un rimborso del ticket. Hai fatto un esame, tre anni fa, ma hai pagato più del dovuto, devi andare in posta e te ne danno indietro. E lui mi dice grazie. E io per la prima volta in molti anni mi sento utile, ci voleva molto? Utile. Mi sento come doveva sentirsi un maestro nel suo paesino a metà Ottocento, una persona che si rispetta perché sa leggere e scrivere, e quindi è utile. Non ce la fate proprio a capire che il problema è tutto qui? Con tutte le vostre lezioni di vita non lo avete mai capito, che io volevo solo sentirmi utile.
“E io volevo solo sentirmi amato”.
Io non ti amo. Sei uno stronzo. Forza Romania.
“E tu sei un povero professorino inutile. Po po po po”.
“Sarai contento, eh, che abbiamo fatto una figura di merda”.
Ma tu come fai a saperlo, scusa.
“Perché credi che io non li capisco, i tipi come te? Credi che non ti vedo?”
In effetti cosa vuoi vedere, con quella montatura da deficiente? Davanti agli occhi hai più tartaruga che lenti.
“Credi che non lo so, che tu tifi per i Rifiuti, tifi per il Crack in Borsa, per il Caropetrolio, per il malore di Silvio, hai tifato per l'Olanda e domani persino Romania?”
Beh, sono simpatici, con quei nomi da vampiri.
“Credi che non lo so, che ti sto sul cazzo?”
Ma non farmi una scenata qui per questo, dai.
“Credi che non ci arrivo?”
Va bene, sì, hai visto giusto, mi stai sul cazzo.
“Aha!”
Ma scusa, non dovrei? Solo tu hai il diritto di odiare gli zingari e i lavavetri? Perché non dovrei odiare te per come ti vesti, per quello che sei? Sei meno qualificato di me e guadagni il doppio, la mia macchina potrebbe stare nel baule della tua, non l'hai comprata così grande apposta per starmi sul cazzo? E non dovrei godere, adesso, a ogni rincaro? Tu mi credi in possesso di chissà quale sensibilità raffinata ma non è così, io odio esattamente come odi tu, e se tu ne hai il diritto perché io no?
“È proprio qui, è proprio qui che ti volevo! Tu sei come me!”
In un certo senso sì, in un altro no, e adesso ti saluto.
“Aspetta, non ho finito. E poi sei un razzista, esattamente come me”.
Un razzista?
“Sì! Perché non importano gli occhiali, non importa la macchina, non importa niente. Io ti sto sul cazzo perché mi chiamo Mario e sono italiano. Dillo che è così”.
Ma no, non è così.
“Ah, non è così?”
No.
“E allora immaginami soltanto un po' più scuro, stessi occhiali e macchina, però mi chiamo Omar. Di colpo ti sto simpatico. Di' di no”.
...
“Aaaah, non riesci a dir di no! Lo vedi? Il contrario di un razzista è un razzista tale e quale!”
Dunque. Vediamo. Intanto, io sono una persona razionale, e non c'è nessun motivo per cui un Omar che lavora quanto te debba vivere peggio di te.
“Ma non c'è neanche nessun motivo per cui tu debba volergli bene, mentre io ti sto sul cazzo a priori! Ammetti che è così!”
Forse ho capito. Questa è una scenata di gelosia. L'Italiano Medio si è incarnato, è sceso al bar e mi sta facendo una crisi di gelosia. Perché voglio bene a Omar, e a lui no.
“E a Mariescu, e a Mariovich, e a Ma-Ru che l'anno scorso ancora stava sugli alberi, ma a me no! A me no! Scusa, eh, se ti ho ospitato e riverito per tutti questi anni...”
Mi hai trattato da coglione, per tutti questi anni. Quelli ancora no. Probabilmente lo faranno, appena annuseranno di che pasta sono, ma per ora gli do una possibilità.
“E questa sarebbe la tua spiegazione?”
Spiegazione razionale.
“No, non è razionale un bel niente. Io ti dico che c'è del morboso, nel tuo trescare col terzo mondo. Come quello scrittore, quello là come si chiama, che si faceva le vacanze in Africa”.
Sai benissimo come si chiama, lo vedi come sei? Ti riduci ad affettare un'ignoranza che non hai. E comunque quello che smignotta nei Caraibi sei tu. Io non me lo trombo, il Terzo Mondo, io ci lavoro.
“Tu dai voti migliori agli stranieri”.
Li incoraggio. Ne hanno bisogno.
“Anche mio figlio ne ha bisogno”.
Tuo figlio ha bisogno di ceffoni.
“Lo vedi! Due pesi due misure”.
Impacchetta tuo figlio e spediscilo nel Punjab, vediamo quanto ci mette a imparare l'Urdu.
“Ma c'è un motivo, lo vuoi capire che c'è un motivo storico per cui io non devo impacchettare mio figlio e Omar sì? Se siamo tutti uguali, perché Omar è dovuto venire a rompere me? Si vede che lui di me aveva bisogno. E allora deve comportarsi bene!”
Anche tu hai bisogno di lui, e lo sai.
“Ma ce ne sono tanti come lui, e io posso scegliere! Ne ho il diritto! Perché la mia nazione è più ricca e se Omar non si comporta bene, a casa! C'è la fila! E questa non è arroganza, queste sono le cose come stanno, va bene? E ti dirò di più”.
Sentiamo.
“Che io posso essere uno stronzo, può darsi, un arrogante, è possibile, e può darsi che non abbia gusto in fatto di occhiali o di magliette, ma Omar non è meglio di me. In nulla è meglio di me. Sotto quella crosticina di terzo mondo è uno stronzo tale e quale me. Se l'Urdu fosse una grande nazione e l'Italia una piccola, lui tratterebbe me come io tratto lui. Tale e quale”.
E in quel caso io vorrei più bene a te.
“Ma tu queste cose devi capirle. Perché altrimenti, con tutti i libri che ti leggi, non riuscirai a capirla mai la gente”.
La gente. È una vita che mi dite che non capisco la gente. Tutti a farmi lezioni sulla gente. Inchiodano all'incrocio, mi fanno la lezione, ripartono sgommando. Gente che due anni fa si è presa il macchinone a benzina con gli incentivi, oggettivamente dei pazzi. Bastavano tre righe di giornale per sapere che il petrolio sarebbe andato su su su, però non è che puoi chiamarli tutti minchioni, perché anche se non sono esperti del prezzo degli idrocarburi, sono tutti esperti di gente, massimo rispetto. Ma vi volete anche mettere un po' nei panni miei? È una mezza vita che prendo lezioni di gente, e ancora non basta. Ancora non vi capisco, ancora non vi amo. Poi un bel giorno arriva Omar, anzi suo figlio. Magari ha appena finito di prendere a sberle il vostro. Però poi si fa avanti quatto con un foglio in mano e chiede: professore, per favore, che c'è scritto. È una lettera che gli è arrivata a casa. Lui capisce solo che vogliono dei soldi. Stai tranquillo, gli dico, è un rimborso del ticket. Hai fatto un esame, tre anni fa, ma hai pagato più del dovuto, devi andare in posta e te ne danno indietro. E lui mi dice grazie. E io per la prima volta in molti anni mi sento utile, ci voleva molto? Utile. Mi sento come doveva sentirsi un maestro nel suo paesino a metà Ottocento, una persona che si rispetta perché sa leggere e scrivere, e quindi è utile. Non ce la fate proprio a capire che il problema è tutto qui? Con tutte le vostre lezioni di vita non lo avete mai capito, che io volevo solo sentirmi utile.
“E io volevo solo sentirmi amato”.
Io non ti amo. Sei uno stronzo. Forza Romania.
“E tu sei un povero professorino inutile. Po po po po”.
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