La Francia è una cosa che esiste
29-10-2013, 13:09cinema, cultura, FranciaPermalink(Ancora sulla Vita di Adele, e contiene spoiler).
Distinto Asso, leggendo giusto iersera la sua gustosa doppia recensione, sono rimasto colpito da questo lungo passo, che mi perdonerà se cito nella sua interezza.
Ma in effetti nella Francia reale ci sono licei dove si legge Marivaux, e se ne discute, e non dovrebbe stranirci la cosa; anche noi al liceo leggevamo romanzi del Settecento - cioè no, perché non abbiamo romanzi del Settecento - insomma alla fine ci buttiamo sempre sull'Ottocento e persino Foscolo non ha lo stesso sex appeal dei libertini e delle cortigiane. Comunque se i nostri liceali, invece di continuare a tradurre versioncine di latino, si leggessero qualche mattone settecentesco per tre-quattro ore alla settimana, alla fine ci si affezionerebbero come si affeziona Adèle. Naturalmente serve anche la predisposizione - e infatti Adèle si innamora di un libro dove una ragazza semplice è fulminata dall'amore per un tizio di una classe sociale superiore; si mette insomma in chiaro da subito che la letteratura non risolve i tuoi problemi, al massimo te li anticipa. La letteratura ha un valore profetico, se da ragazzino ti piace Pascoli hai grosse possibilità di morir zitello, ecc.
Dopodiché in Francia, la Francia di adesso, quella che confina con la nostra disgraziata nazione, i teen-ager nascono probabilmente più o meno stupidi come i nostri, e senz'altro il più scemo non ce la fa a leggere le Relazioni pericolose; nel film infatti non l'ha letto da solo, e lo ammette: lo ha letto in classe. Gli è piaciuto perché un insegnante gliel'ha fatto piacere. In Francia ciò succede, fino a qualche tempo fa sono sicuro che succedesse anche in Italia, perché a me un'insegnante riuscì a farmi piacere cose incredibili, Tasso, Verga, ecc.
Il ragazzo in questione, poi, non è così scemo: ha tirato fuori Le relazioni pericolose perché ha capito che Adèle è il tipo intellettuale. E per Adèle farebbe qualsiasi cosa e anche di più, visto che promette di leggersi tutta la Vita di Marianna, un mattone settecentesco inaffrontabile. È fantascienza? no, è la vita in un normale liceo in Francia: c'è una ragazza a cui piace leggere, una scuola che riesce a orientarla verso prodotti letterari non banali, un ragazzo che per avere una chance si andrà a comprare un mattone settecentesco inaffrontabile di cui, siamo pronti a scommettere, sfoglierà soltanto le prime trenta pagine. Tutto questo nel fumetto originale non c'era: è una scelta del regista.
La famiglia di Adele tollera che lei mangi con la bocca aperta, perché... in quella casa mangiano tutti così. E mangiano spaghetti. Il cibo in Kechiche ha un simbolismo tutt'altro che raffinato: spaghetti a bocca aperta = proletariato; ostriche e champagne = borghesia. Altre cose che nel fumetto non c'erano, e ci fanno capire che Kechiche aveva altri fantasmi in testa mentre lo sfogliava. La lotta di classe, ma chiamiamola pure invidia di classe. In ogni caso, nel momento cruciale la ragazza borghese cita Sartre, e la ragazza prolet dice che è più o meno la stessa cosa di Bob Marley. Ora, io nei primi Novanta andavo a un liceo, e un dialogo del genere l'ho trovato assolutamente credibile. Parlavamo così, eravamo buffi, ma non ridicoli. Leggevamo roba importante per darci un tono (ma poi magari ci piaceva davvero e ci aiutava a capire cose di noi stessi che oggi non avremmo il coraggio di affrontare; abbiamo fatto bene a leggerla allora, quando insieme a tanta spocchia avevamo ancora qualche cellula attiva). E poi ascoltavamo le cose che ascoltavano tutti: Bob Marley. Infine mescolavamo tutto assieme, e quel mix apparentemente imbevibile era effettivamente la nostra vita. Col senno dei poi, Bob Marley non è assolutamente Jean-Paul Sartre, ma L'esistenzialismo e l'umanesimo non scava necessariamente più a fondo di Rastaman Vibration. Ed è assolutamente pacifico che nella civiltà liceale francese Sartre e Camus siano rimaste due rockstar culturali: se n'era accorto già Boris Vian, per cui vedi anche il film di Gondry tratto dalla Schiuma dei giorni. Ci può sembrare inverosimile, eppure io mi ricordo un ragazzino che si lesse tutto il Mito di Sisifo in quarta liceo perché la prof di francese - la più antipatica prof mai conosciuta - glielo aveva messo davanti al naso, invece di qualsiasi altra cazzata ci si possa leggere a 16 anni. E in effetti, guarda un po', non l'ho più riletto da allora e non credo mi piacerebbe, ma temo proprio che quel libro sia il mio destino. Comincia con un l'unico dilemma filosofico veramente importante (ci suicidiamo o no?) e non contiene una risposta proprio chiarissima.
Tornando al film: è vero, non si vede un cellulare, un computer o Facebook... perché la storia è ambientata negli anni Novanta, quando i device esistevano ma erano meno pervasivi; la cosa diventa evidente in uno dei momenti più toccanti del film, quando tornando a casa dal suo primo appuntamento Adèle si sente dire che "ha chiamato una tua amica, Emma si chiama": quel caratteristico tuffo al cuore negli anni Novanta lo abbiamo sentito tutti. Magari i ragazzi negli anni Zero ne hanno provati di simili leggendo nomi sui display. Ci si potrebbe anche lamentare di come Kechiche non abbia voluto o non sia riuscito a periodizzare la storia, assorbito com'era dalla necessità di stringere su Adele. Io, parlo per me, sono così stuccato dalla mania del vintage nei film, dalla precisione filologica con cui un film di metà anni Settanta conterrà sempre esattamente i costumi e i caroselli di quell'anno, che di sicuro non mi vado a lamentare per una volta che c'è un regista che se ne fotte. Comunque gli anni Novanta spiegano anche i capelli turchini: non era poi così raro trovare chiome azzurre o fuxia o giallo evidenziatore, specie nel parcheggio del liceo d'arte. È successo. Tutta colpa di Bilal, forse. È una delle poche cose che appena un po' mi manca.
Né Emma né Adèle sono bellissime. In particolare Emma potrebbe essere più bella di così. È l'occhio del regista che le trasfigura, secondo me. Da un certo punto in poi è evidente la presenza di un Dio dall'altra parte della macchina da presa, un Dio geloso (ed eterosessuale) che magnifica Adèle e s'ingegna a rendere Emma più antipatica di quanto non sia. Emma non diventa artista di grido: sta appena cominciando a esporre davvero quando finisce il film. Ma era necessario che facesse carriera, perché Kechiche la voleva borghese e questo è quello che i borghesi fanno: nascono ribelli, mordono il freno, poi trovano il passo giusto e hop! si sistemano. Mentre Adèle non ci riesce. Ed è il motivo in cui si mollano (secondo Kechiche): si piacciono tantissimo, ma sono di due caste diverse. Adèle capisce l'arte ma non capisce la carriera; per un po' prova a fare la donna di casa ma Emma in quel ruolo non la sopporta; vorrebbe che Adèle avesse la stessa ansia di autoaffermazione individuale, che tirasse fuori da qualche cassetto un diario geniale, e invece no. Adèle vuole cucinare per la sua donna e insegnare nella scuola dell'obbligo, perché sente che la scuola dell'obbligo le ha dato tanto e si ritiene obbligata a restituire qualcosa. È il senso di un altro bellissimo film di qualche anno fa, Stella: l'autobiografia di una ragazzina che vive letteralmente in un bistrot, un'osteria, circondata dall'affetto degli alcolisti del quartiere. Non scommetteremmo un eurocent sul suo destino, ma le capita una cosa curiosa: per sorteggio viene mandata in una bella scuola media di un altro quartiere. Lì scopre che studiare le piace - le piace anche giocare a biliardino con gli ubriaconi, però ci sono scuole in alcuni quartieri che funzionano: prendono gente che in casa ha fusti di birra al posto dei libri e la mettono davanti ai libri, ai film, alla musica. La ragazza cresce e appena può fa un film su quanto sia bella la scuola media francese. È il suo modo di restituire il favore.
Altri si accontentano di mettersi a insegnare. Hanno avuto buoni maestri e vorrebbero restituire quello che hanno ricevuto. Non è il mondo delle favole. Era la motivazione che ha portato a insegnare tanta gente anche noi, almeno fino a una generazione fa. Poi non è che sia successo chissaché: è solo che non è stato più immesso in ruolo quasi nessuno. Adele insegna ai bambini ed è felice della sua condizione di insegnante perché in effetti insegnare ai bambini, in scuole pulite e ben tenute, con colleghi giovani come lei, è una cosa stimolante. Faticosa, ma stimolante. Crescendo negli ultimi vent'anni in Italia siamo magari portati a pensare che l'insegnante medio sia una cinquantenne acciaccata, distrutta dalla fatica di far convivere famiglia e lezioni: basterebbe calare un po' la media, e prevedere soluzioni di praticantato come quelle della neodiplomata Adèle, per cambiare un po' il paesaggio e l'umore complessivo (anche la cinquantenne si sente meno acciaccata se trova più giovani in sala insegnanti, e magari invece di tumori e badanti si discutesse anche di dove andare a ballare tutti assieme).
È vero che sembra tutto straordinariamente civile e garbato, ma in realtà a ben pensarci non lo è: cacciare una ragazzina di casa di notte, a Lille, senza neanche chiamarle un taxi, è roba da galera, tanto più che Kechiche ci ha da un pezzo insufflato il sospetto che l'arrivista Emma stia soltanto aspettando un pretesto per sganciare la sua toy-girl di periferia. Se tutti ci sembrano civili e garbati è soltanto perché ci è inevitabile confrontarli con immaginari omologhi italiani, e purtroppo, non solo per colpa di Muccino, ci vengono in mente soltanto attori costretti a urlare come ossessi T'HO VISTO CHE LO BACIAVI T'AMMAZZZOOOOO!!!! T'AMMAZZOOOO!!! anche se poi alla fine la Mezzogiorno non solo non lo ammazzava, Accorsi, ma se lo riprendeva pure in casa (i francesi in effetti non è che siano meno stronzi di noi, anzi; sono soltanto più educati). Non manca la tragedia, anzi. Non mancano le lacrime. Non mancano le liti furibonde. Non manca nemmeno la rissa di comari nel parcheggio del liceo. L'unica cosa che manca è il melodramma. Le basi musicali strappalacrime e le urla scomposte. Si può raccontare la fine di un amore anche senza, e commuove lo stesso. Io addirittura mi commuovo di più, ma forse ho qualche gene normanno.
Parte della mia commozione deriva anche dal fatto che so che tutta questa non è una favola, ma un Paese che esiste a poche ore di treno da qui, la Francia. E che tutto questo sarebbe potuto succedere anche qui. Bastava un nonnulla, forse, una farfalla in Brasile, un vulcano indonesiano che non erutta proprio l'anno di Waterloo, offuscando parzialmente l'atmosfera e creando le premesse per un anno senza estate in cui i cannoni di Napoleone si infangarono e non poterono spedire al creatore quei diecimila fantaccini tedesco-russo-inglesi, il sacrificio necessario a vivere in un Paese con scuole decenti, e dove ci sono i bulli di periferia esattamente come da noi; però se li incontri sull'autobus ti dicono bonjour e se ti conoscono appena un po' ti stringono la mano, perché anche un bullo di periferia è comunque un essere umano e non un animale. Maledetto vulcano indonesiano. Ma non è vero. Non è colpa sua.
È colpa nostra. Dipende da noi. Non dico che basterebbe poco, ma se ci mettessimo tutti d'accordo potremmo fare di questo posto una Francia in una generazione. Servirebbe qualche soldo in più alle scuole, senz'altro. Cambiare qualche programma, pensionare qualche venerato maestro che ritiene che "il latino apra la mente" e balle del genere.
Più in profondo, dovremmo smettere di pensare che è impossibile: che le ragazze di periferia non si possono affezionare a romanzi settecenteschi o saggi di filosofia; che non si possa diventare maestri perché dopotutto è un bel mestiere; che non ci si possa lasciare senza far piazzate. Non è affatto impossibile, visto che funziona appena a qualche centinaio di chilometri da qui. Funziona.
Ed è tutto fuorché un mondo perfetto. Senza tanto parlare di mafia o di camorra, si ammazza e si delinque più o meno come da noi. E un cuore spezzato a vent'anni fa comunque male: aver letto Sartre o Marivaux non previene la cosa. Io ho il sospetto che un po' la possa alleviare, ma non sono sicuro; del resto che ne so, mi piaceva Pascoli.
Distinto Asso, leggendo giusto iersera la sua gustosa doppia recensione, sono rimasto colpito da questo lungo passo, che mi perdonerà se cito nella sua interezza.
Le giornate della ragazza si dividono tra la scuola, dove Adele e i suoi compagni leggono con attenzione e analizzano complesse opere letterarie (e qui, sin da subito, il regista mette in chiaro che tutto il film non è nient'altro che una favola), la famiglia (dove genitori gentili sopportano una figlia che non riesce nemmeno a masticare con la bocca chiusa), le amiche e i ragazzi (dove anche il più scemo ha comunque letto Le Relazioni Pericolose ed è in grado di parlarne). Non si vede un cellulare, un computer o Facebook, proprio per rimarcare ancora di più il distacco tra il mondo fantastico di Adele e quello reale.Non so perché però mi è venuta voglia di intervenire, e precisare che c'è un altro luogo oltre a Topolinia o la Contea, dove si sarebbe potuto ambientare La vita di Adele; un luogo assai famoso e ben noto agli autori di fumetti, ovvero la Francia. E in effetti La vita di Adele è ambientata proprio là, in una Francia così Francia che è quasi Belgio; ed è una storia tutto sommato realistica, anche se è più divertente immaginare il contrario.
Ad un certo punto Adele incontra Emma, una ragazza lesbica. Ovviamente Emma non è una lesbica qualsiasi. Prima di tutto è bellissima pure lei, di una bellezza quasi aliena, poi - pure lei - è un pozzo di cultura (sciorina Sartre come fosse un amico suo) è molto sensibile, gentile, comprensiva e piena di talento.
A sottolineare ancora la natura favolistica di tutta la faccenda, Emma ha i capelli azzurri proprio come la Fata Turchina e, proprio come la creatura di Collodi, ha un ruolo determinante nell'educazione di Adele.
Le due, dopo un primo momento di titubanza, si mettono insieme.
Sono grandi baci, sesso ruvido ma patinato, e ancora ambienti e situazioni fantasiose: Emma diventa rapidamente un'artista di grido, Adele insegna ai bambini ed è felice della sua condizione di insegnante (va bene il contesto fantasy, qui però si esagera), ci sono salotti buoni dove tutti, ma proprio tutti, sono gentili e acculturati, famiglie aperte e comprensive, famiglie meno aperte ma comunque che non rompono i coglioni e poi le inevitabili tensioni di coppia, i tradimenti, le liti, la rottura e le frasi urlate come nei film. Poi ci sta lo stare male, il rivedersi, il non trovarsi e tutte cose tipiche di una coppia (etero o gay poco importa) più o meno in crisi, ma tutte rappresentate in maniera così straordinariamente civile e garbata e a modo che giusto a Topolinia o nella Contea.
Ma in effetti nella Francia reale ci sono licei dove si legge Marivaux, e se ne discute, e non dovrebbe stranirci la cosa; anche noi al liceo leggevamo romanzi del Settecento - cioè no, perché non abbiamo romanzi del Settecento - insomma alla fine ci buttiamo sempre sull'Ottocento e persino Foscolo non ha lo stesso sex appeal dei libertini e delle cortigiane. Comunque se i nostri liceali, invece di continuare a tradurre versioncine di latino, si leggessero qualche mattone settecentesco per tre-quattro ore alla settimana, alla fine ci si affezionerebbero come si affeziona Adèle. Naturalmente serve anche la predisposizione - e infatti Adèle si innamora di un libro dove una ragazza semplice è fulminata dall'amore per un tizio di una classe sociale superiore; si mette insomma in chiaro da subito che la letteratura non risolve i tuoi problemi, al massimo te li anticipa. La letteratura ha un valore profetico, se da ragazzino ti piace Pascoli hai grosse possibilità di morir zitello, ecc.
Dopodiché in Francia, la Francia di adesso, quella che confina con la nostra disgraziata nazione, i teen-ager nascono probabilmente più o meno stupidi come i nostri, e senz'altro il più scemo non ce la fa a leggere le Relazioni pericolose; nel film infatti non l'ha letto da solo, e lo ammette: lo ha letto in classe. Gli è piaciuto perché un insegnante gliel'ha fatto piacere. In Francia ciò succede, fino a qualche tempo fa sono sicuro che succedesse anche in Italia, perché a me un'insegnante riuscì a farmi piacere cose incredibili, Tasso, Verga, ecc.
Il ragazzo in questione, poi, non è così scemo: ha tirato fuori Le relazioni pericolose perché ha capito che Adèle è il tipo intellettuale. E per Adèle farebbe qualsiasi cosa e anche di più, visto che promette di leggersi tutta la Vita di Marianna, un mattone settecentesco inaffrontabile. È fantascienza? no, è la vita in un normale liceo in Francia: c'è una ragazza a cui piace leggere, una scuola che riesce a orientarla verso prodotti letterari non banali, un ragazzo che per avere una chance si andrà a comprare un mattone settecentesco inaffrontabile di cui, siamo pronti a scommettere, sfoglierà soltanto le prime trenta pagine. Tutto questo nel fumetto originale non c'era: è una scelta del regista.
La famiglia di Adele tollera che lei mangi con la bocca aperta, perché... in quella casa mangiano tutti così. E mangiano spaghetti. Il cibo in Kechiche ha un simbolismo tutt'altro che raffinato: spaghetti a bocca aperta = proletariato; ostriche e champagne = borghesia. Altre cose che nel fumetto non c'erano, e ci fanno capire che Kechiche aveva altri fantasmi in testa mentre lo sfogliava. La lotta di classe, ma chiamiamola pure invidia di classe. In ogni caso, nel momento cruciale la ragazza borghese cita Sartre, e la ragazza prolet dice che è più o meno la stessa cosa di Bob Marley. Ora, io nei primi Novanta andavo a un liceo, e un dialogo del genere l'ho trovato assolutamente credibile. Parlavamo così, eravamo buffi, ma non ridicoli. Leggevamo roba importante per darci un tono (ma poi magari ci piaceva davvero e ci aiutava a capire cose di noi stessi che oggi non avremmo il coraggio di affrontare; abbiamo fatto bene a leggerla allora, quando insieme a tanta spocchia avevamo ancora qualche cellula attiva). E poi ascoltavamo le cose che ascoltavano tutti: Bob Marley. Infine mescolavamo tutto assieme, e quel mix apparentemente imbevibile era effettivamente la nostra vita. Col senno dei poi, Bob Marley non è assolutamente Jean-Paul Sartre, ma L'esistenzialismo e l'umanesimo non scava necessariamente più a fondo di Rastaman Vibration. Ed è assolutamente pacifico che nella civiltà liceale francese Sartre e Camus siano rimaste due rockstar culturali: se n'era accorto già Boris Vian, per cui vedi anche il film di Gondry tratto dalla Schiuma dei giorni. Ci può sembrare inverosimile, eppure io mi ricordo un ragazzino che si lesse tutto il Mito di Sisifo in quarta liceo perché la prof di francese - la più antipatica prof mai conosciuta - glielo aveva messo davanti al naso, invece di qualsiasi altra cazzata ci si possa leggere a 16 anni. E in effetti, guarda un po', non l'ho più riletto da allora e non credo mi piacerebbe, ma temo proprio che quel libro sia il mio destino. Comincia con un l'unico dilemma filosofico veramente importante (ci suicidiamo o no?) e non contiene una risposta proprio chiarissima.
Tornando al film: è vero, non si vede un cellulare, un computer o Facebook... perché la storia è ambientata negli anni Novanta, quando i device esistevano ma erano meno pervasivi; la cosa diventa evidente in uno dei momenti più toccanti del film, quando tornando a casa dal suo primo appuntamento Adèle si sente dire che "ha chiamato una tua amica, Emma si chiama": quel caratteristico tuffo al cuore negli anni Novanta lo abbiamo sentito tutti. Magari i ragazzi negli anni Zero ne hanno provati di simili leggendo nomi sui display. Ci si potrebbe anche lamentare di come Kechiche non abbia voluto o non sia riuscito a periodizzare la storia, assorbito com'era dalla necessità di stringere su Adele. Io, parlo per me, sono così stuccato dalla mania del vintage nei film, dalla precisione filologica con cui un film di metà anni Settanta conterrà sempre esattamente i costumi e i caroselli di quell'anno, che di sicuro non mi vado a lamentare per una volta che c'è un regista che se ne fotte. Comunque gli anni Novanta spiegano anche i capelli turchini: non era poi così raro trovare chiome azzurre o fuxia o giallo evidenziatore, specie nel parcheggio del liceo d'arte. È successo. Tutta colpa di Bilal, forse. È una delle poche cose che appena un po' mi manca.
Né Emma né Adèle sono bellissime. In particolare Emma potrebbe essere più bella di così. È l'occhio del regista che le trasfigura, secondo me. Da un certo punto in poi è evidente la presenza di un Dio dall'altra parte della macchina da presa, un Dio geloso (ed eterosessuale) che magnifica Adèle e s'ingegna a rendere Emma più antipatica di quanto non sia. Emma non diventa artista di grido: sta appena cominciando a esporre davvero quando finisce il film. Ma era necessario che facesse carriera, perché Kechiche la voleva borghese e questo è quello che i borghesi fanno: nascono ribelli, mordono il freno, poi trovano il passo giusto e hop! si sistemano. Mentre Adèle non ci riesce. Ed è il motivo in cui si mollano (secondo Kechiche): si piacciono tantissimo, ma sono di due caste diverse. Adèle capisce l'arte ma non capisce la carriera; per un po' prova a fare la donna di casa ma Emma in quel ruolo non la sopporta; vorrebbe che Adèle avesse la stessa ansia di autoaffermazione individuale, che tirasse fuori da qualche cassetto un diario geniale, e invece no. Adèle vuole cucinare per la sua donna e insegnare nella scuola dell'obbligo, perché sente che la scuola dell'obbligo le ha dato tanto e si ritiene obbligata a restituire qualcosa. È il senso di un altro bellissimo film di qualche anno fa, Stella: l'autobiografia di una ragazzina che vive letteralmente in un bistrot, un'osteria, circondata dall'affetto degli alcolisti del quartiere. Non scommetteremmo un eurocent sul suo destino, ma le capita una cosa curiosa: per sorteggio viene mandata in una bella scuola media di un altro quartiere. Lì scopre che studiare le piace - le piace anche giocare a biliardino con gli ubriaconi, però ci sono scuole in alcuni quartieri che funzionano: prendono gente che in casa ha fusti di birra al posto dei libri e la mettono davanti ai libri, ai film, alla musica. La ragazza cresce e appena può fa un film su quanto sia bella la scuola media francese. È il suo modo di restituire il favore.
Altri si accontentano di mettersi a insegnare. Hanno avuto buoni maestri e vorrebbero restituire quello che hanno ricevuto. Non è il mondo delle favole. Era la motivazione che ha portato a insegnare tanta gente anche noi, almeno fino a una generazione fa. Poi non è che sia successo chissaché: è solo che non è stato più immesso in ruolo quasi nessuno. Adele insegna ai bambini ed è felice della sua condizione di insegnante perché in effetti insegnare ai bambini, in scuole pulite e ben tenute, con colleghi giovani come lei, è una cosa stimolante. Faticosa, ma stimolante. Crescendo negli ultimi vent'anni in Italia siamo magari portati a pensare che l'insegnante medio sia una cinquantenne acciaccata, distrutta dalla fatica di far convivere famiglia e lezioni: basterebbe calare un po' la media, e prevedere soluzioni di praticantato come quelle della neodiplomata Adèle, per cambiare un po' il paesaggio e l'umore complessivo (anche la cinquantenne si sente meno acciaccata se trova più giovani in sala insegnanti, e magari invece di tumori e badanti si discutesse anche di dove andare a ballare tutti assieme).
È vero che sembra tutto straordinariamente civile e garbato, ma in realtà a ben pensarci non lo è: cacciare una ragazzina di casa di notte, a Lille, senza neanche chiamarle un taxi, è roba da galera, tanto più che Kechiche ci ha da un pezzo insufflato il sospetto che l'arrivista Emma stia soltanto aspettando un pretesto per sganciare la sua toy-girl di periferia. Se tutti ci sembrano civili e garbati è soltanto perché ci è inevitabile confrontarli con immaginari omologhi italiani, e purtroppo, non solo per colpa di Muccino, ci vengono in mente soltanto attori costretti a urlare come ossessi T'HO VISTO CHE LO BACIAVI T'AMMAZZZOOOOO!!!! T'AMMAZZOOOO!!! anche se poi alla fine la Mezzogiorno non solo non lo ammazzava, Accorsi, ma se lo riprendeva pure in casa (i francesi in effetti non è che siano meno stronzi di noi, anzi; sono soltanto più educati). Non manca la tragedia, anzi. Non mancano le lacrime. Non mancano le liti furibonde. Non manca nemmeno la rissa di comari nel parcheggio del liceo. L'unica cosa che manca è il melodramma. Le basi musicali strappalacrime e le urla scomposte. Si può raccontare la fine di un amore anche senza, e commuove lo stesso. Io addirittura mi commuovo di più, ma forse ho qualche gene normanno.
Parte della mia commozione deriva anche dal fatto che so che tutta questa non è una favola, ma un Paese che esiste a poche ore di treno da qui, la Francia. E che tutto questo sarebbe potuto succedere anche qui. Bastava un nonnulla, forse, una farfalla in Brasile, un vulcano indonesiano che non erutta proprio l'anno di Waterloo, offuscando parzialmente l'atmosfera e creando le premesse per un anno senza estate in cui i cannoni di Napoleone si infangarono e non poterono spedire al creatore quei diecimila fantaccini tedesco-russo-inglesi, il sacrificio necessario a vivere in un Paese con scuole decenti, e dove ci sono i bulli di periferia esattamente come da noi; però se li incontri sull'autobus ti dicono bonjour e se ti conoscono appena un po' ti stringono la mano, perché anche un bullo di periferia è comunque un essere umano e non un animale. Maledetto vulcano indonesiano. Ma non è vero. Non è colpa sua.
È colpa nostra. Dipende da noi. Non dico che basterebbe poco, ma se ci mettessimo tutti d'accordo potremmo fare di questo posto una Francia in una generazione. Servirebbe qualche soldo in più alle scuole, senz'altro. Cambiare qualche programma, pensionare qualche venerato maestro che ritiene che "il latino apra la mente" e balle del genere.
Più in profondo, dovremmo smettere di pensare che è impossibile: che le ragazze di periferia non si possono affezionare a romanzi settecenteschi o saggi di filosofia; che non si possa diventare maestri perché dopotutto è un bel mestiere; che non ci si possa lasciare senza far piazzate. Non è affatto impossibile, visto che funziona appena a qualche centinaio di chilometri da qui. Funziona.
Ed è tutto fuorché un mondo perfetto. Senza tanto parlare di mafia o di camorra, si ammazza e si delinque più o meno come da noi. E un cuore spezzato a vent'anni fa comunque male: aver letto Sartre o Marivaux non previene la cosa. Io ho il sospetto che un po' la possa alleviare, ma non sono sicuro; del resto che ne so, mi piaceva Pascoli.
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