Gomorra e non Gomorra

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Guarda avanti, Lot
Oggi vorrei parlarvi di due opere audiovisive prodotte in Italia negli ultimi anni: Gomorra di Matteo Garrone e Il Capo dei Capi di Enzo Monteleone e Alexis Sweet. Si vedrà che non hanno poi molte cose in comune.

Gomorra (2008) è un lungometraggio tratto dall'omonimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. Il Capo dei Capi (2007) è una miniserie tv di sei puntate, tratta da un libro-inchiesta di Giuseppe D'Avanzo e Attilio Bolzoni.

Gomorra dura due ore abbondanti; Il Capo dei Capi nove.

Il Capo dei Capi racconta la formidabile ascesa di Totò Riina, da umile contadinello a capo della più grande organizzazione malavitosa italiana. Gomorra racconta le vite “normali” di alcune persone in un territorio governato dalla camorra. Nessuno di loro ascende in nessun posto; alcuni si ammalano, un paio scappa, molti muoiono.

Gomorra è un film discusso, tratto da un libro altrettanto discusso. Fu il fim più visto in Italia nel week end in cui uscì (maggio 2008). Nel marzo del 2009 aveva già incassato 10.175.071 euro. Divisi per sette fanno più o meno un milione e mezzo di spettatori paganti. È una cifra impressionante, complimenti.

Però Il capo dei capi è stato visto, nell'autunno del 2007 da un numero di telespettatori praticamente mai inferiore ai sette milioni. Il trenta per cento dello share – più o meno un telespettatore su tre, in prima serata. Più o meno una famiglia su tre ha visto il capo dei capi. Molta di questa gente di Gomorra ha sentito solo vagamente parlare (da quanto mi risulta non è mai stato programmato sulla tv in chiaro).

Questo può in parte sorprendervi. Perché state leggendo un blog su internet. Non c'è niente di male, ma dovete sapere che fate parte di una certa nicchia statistica. Chi vive in questa nicchia può essere portato a pensare che Gomorra sia un prodotto più famoso del Capo dei Capi. Probabilmente ha visto il film, magari ha pure letto il libro. Difficilmente però avrà seguito una fiction su Canale5: le fiction italiane, si sa... Ripeto, niente di male: e non sentitevi soli, parliamo di più di un milione di persone.

Ma fuori c'è tutto un mondo. Ci sono sette milioni di persone che hanno visto Claudio Gioè interpretare l'indomito Riina, e di Gomorra hanno solo vagamente sentito parlare. Giusto per ristabilire le proporzioni. Gomorra ha vinto il Gran premio della Giuria a Cannes (ma la palma d'oro è andata a un filmetto scolastico su un prof demotivato) e ben sette David di Donatello, sì, vabbè. Il Capo dei Capi ha macinato milionate di euro di inserzioni: e quanto rimpiango di non averlo videoregistrato, di non potervi dire che prodotti ci fossero in televendita (una linea di coppole trendy?)

Nella prima puntata del Capo dei Capi, Totò è un tredicenne che perde il padre zappatore su una bomba rimasta nel sottosuolo dalla Seconda Guerra Mondiale. Divenuto così capofamiglia, con tante bocche da sfamare, Riina si mette a lavorare per i corleonesi, brillando subito per ferocia e capacità organizzativa.

Nella prima seqenza di Gomorra c'è un camorrista che si abbronza in un centro estetico. Un suo collega, dopo aver scherzato con lui, estrae una pistola e lo uccide a sangue freddo. Di lui non sapremo più niente. È come se l'eroe del film morisse subito, e il resto dei personaggi brancolasse per due ore senza trovare un senso. Una cosa molto spiazzante.

Il Capo dei Capi è una success story, una specie di versione sicula del sogno americano: tutti possono diventare Presidente, se studiano sodo... ehm, no: tutti possono diventare capiclan, se si liberano dagli scrupoli e imparano ad ammazzare i traditori prima che ammazzino loro. Anche Gomorra ci mostra un capoclan, ma per pochi minuti. È un poveretto cocainomane che vive nascosto in una brutta casa, ossessionato dalla necessità di ammazzare gli altri prima che ammazzino lui, Bum! Bum! Bum! (Dice proprio così: “Bum! Bum! Bum!” Non è carismatico proprio per niente).

Pare che a Totò Riina, che dal carcere di Opera non si perdeva una puntata, l'interpretazione di Claudio Gioè non sia dispiaciuta. Invece i camorristi ritratti da Saviano, si sa, hanno un po' brontolato, tanto che l'autore è sotto scorta.

Il Capo dei Capi è un figlio di contadino che diventa capoclan, ma cosa significhi essere capoclan da un punto di vista economico non è affatto chiaro. La mafia sembra semplicemente adeguarsi alla società in progresso: quando tutti si mettono a comprare le automobili, anche i mafiosi cominciano a usarle per ammazzarsi. Gomorra mostra cosa succede all'economia nei luoghi dell'indotto della malavita: il sarto Pasquale, artista di livello internazionale, non riesce a vivere del suo lavoro. Alla fine tradisce i segreti del suo mestiere ai cinesi e si mette a fare il camionista.

Dicevamo che all'inizio del Capo dei Capi Totò Riina è un tredicenne. Molti appassionati telespettatori del Capo dei Capi avevano più o meno quell'età. Nel novembre del 2007 il pm Antonio Ingroia andò a parlare di mafia in una scuola di Palermo. La maggioranza degli studenti di quella scuola, in un sondaggio, aveva scritto di non voler far parte della mafia. Alla domanda di Ingroia “qual è il personaggio più simpatico della fiction?” risposero tutti Totò Riina. È impossibile non notare che i modi del giovane Totò sono quelli del classico bulletto da corridoio.

Anche in Gomorra ci sono alcuni ragazzini. Uno di mestiere resta nascosto tutto il giorno, pronto a dare un segnale appena passa una macchina della polizia. È lavoro, come dice lui, è fatica. Sua madre verrà uccisa alle spalle dai camorristi del clan avverso. A tradirla sarà il suo migliore amico, un bambino pure lui. E poi ci sono Marco e Ciro, proprio due bulletti di quartiere: rubano droga di qua, armi di là, sparano all'aria, toccano le donne, sono convinti di poter fare quello che vogliono. Vengono ammazzati da una squadra di vecchi camorristi spazientiti. Anche loro in un agguato. Anche loro senza gloria.

Potrei andare avanti molto a lungo, ma direi che il senso è chiaro: il Capo dei Capi è una cosa, Gomorra è un'altra.

E dunque sabato il produttore del Capo dei Capi si è lamentato per la pubblicità che Gomorra ha fatto alla mafia.
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Elisir di eterna vecchiezza

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Il coccodrillo su Vianello che non avete ancora letto è sull'Unita.it: Raimondo, da Poggio Bersezio a Milano2 (si commenta qui).

È strano pensare che Raimondo Vianello non ci sia più. Per quelli della mia età, cresciuti mentre la Rai passava dal bianco e nero al colore, non è mai esistita una televisione senza che lui occupasse almeno un angolo del palinsesto. E anche quando non avevamo voglia di vederlo, era bello sapere che c'era: statuario senza essere ingombrante, stava lì e non dava noia a nessuno; era parte del paesaggio; ed era sempre anziano. Impossibile immaginarlo bambino negli anni Venti, ragazzo nei Trenta; pensare che tra Salò e Badoglio avesse scelto Salò, e condiviso la prigione con Ezra Pound. Lui era un uomo di mezza età che battibeccava con la moglie in tv; erano meno giovani dei nostri genitori, quindi erano vecchi. Ma di una vecchiezza eterna, immutabile, come quella dei nonni visti dagli occhi dei bambini; si dava per scontato che avrebbero battibeccato per sempre, e non ci avrebbero lasciato mai. 

C'è un vecchio sketch in bianco e nero in cui Vianello non recita ancora la parte dell'eterno marito-canaglia; è un autore televisivo con diverse idee da proporre, e si trova nello studio di un funzionario Rai (l'azienda, ricordiamolo, lo aveva già licenziato in tronco nel 1959, con l'amico Tognazzi, per aver mimato una caduta maldestra del Presidente Gronchi). E dunque questo funzionario, irremovibile e sorridente incarnazione bernabeiana, riempie Vianello di lodi e complimenti per i suoi testi... ma glieli boccia tutti. Guai però a parlare di censura: ad esempio, la tale scenetta di satira politica è spassosa... ma è troppo difficile per lo spettatore medio della Rai, “il contadino di Poggio Bersezio”; anche quella di satira di costume è intelligente e ben costruita... ma siamo sicuri che sarebbe compresa “dal contadino di Poggio Bersezio”? Alla fine, esasperato, Vianello prende congedo dal funzionario e si reca in macchina nel paesino di Poggio Bersezio; trova un contadino e lo prende per il bavero: “Si può sapere cosa vuoi?” Come è già stato notato, il contadino di Poggio Bersezio è il padre di tutte la “casalinghe di Voghera” o dei “pastori abruzzesi” che ciclicamente vengono tirati in ballo per giustificare una tv che vola basso, assecondando i gusti dei telespettatori invece di formarli. Nel caso di Vianello, il contadino di Poggio Bersezio evidentemente non chiedeva che battibecchi tra mogli e mariti; mogli un po' fanatiche e mariti un po' canaglia, ma anche amanti del quieto vivere, del divano e della Gazzetta dello Sport. Forse l'attore Vianello avrebbe meritato di impersonare personaggi più complessi, come quelli che il suo collega Tognazzi, abbandonata la televisione, cominciava in quegli anni a trovare al cinema. Ma tra piccolo e grande schermo, Vianello aveva ormai scelto il primo, e il successo clamoroso dei suoi show con Sandra Mondaini sembrava dargli ragione. 

E tuttavia c'era stato un momento in cui sembrava che Sandra e Raimondo
 non sarebbero stati per sempre “Sandra e Raimondo”. Il vecchio varietà a base di balletti e battibecchi mostrava la corda già all'inizio degli '80, quando ne uscì l'ultima versione Rai, dal titolo fin troppo autocritico: “Stasera niente di nuovo”. Qualcosa di nuovo in realtà c'era: una pimpantissima Heather Parisi, che toglieva alla Mondaini il ruolo di prima ballerina. Quanto a Raimondo, i suoi maldestri tentativi di corteggiamento risultavano persino malinconici: il personaggio cinico di qualche anno prima sembrava ridotto anzitempo a un vecchietto bavoso. Lo show raccontava, con tutta l'autoironia del caso, un passaggio generazionale: in quel momento nessuno avrebbe potuto credere che Raimondo e Sandra avrebbero continuato a battibeccare sullo schermo per un altro quarto di secolo. 

A operare il miracolo sarà, anche stavolta, Silvio Berlusconi
. I Vianello saranno tra i primi a seguire Mike Bongiorno alla corte di Cologno Monzese. Ma se per Mike la Mediaset è la realizzazione di un'idea perseguita per tutta la vita (quella di una televisione francamente e puramente 'commerciale', basata sugli introiti pubblicitari), per Raimondo e Sandra è una specie di capsula d'ibernazione. I meccanismi comici messi a punto in vent'anni di sketch vengono congelati, riprodotti in show fotocopia e poi diluiti all'infinito nella sit-com più ipnotica mai trasmessa in Italia, rilassante e tranquillizzante come l'infinita litania di “che barba, che noia” pronunciati dalla Mondaini a fine trasmissione. Anche stavolta l'autocritica era evidente, e Vianello non aveva nulla da aggiungervi: a quel punto della sua carriera gli bastava rimanere impassibile per conquistarci; persino le solite risate finte, per quanto lugubri, non erano del tutto fuori posto: se c'era qualcuno in grado di farci ridere con un'occhiata era Vianello. 

Certo, era molto invecchiato
. Ma il contadino di Poggio Bersezio è invecchiato con lui. Da molto tempo ha messo via la zappa e si è comprato una villetta; magari non proprio un superattico a Milano2, ma una residenza dignitosa. Da molti anni passa il tempo a beccarsi con la moglie, provarci con le badanti, e trascinare tutto il vicinato in equivoci incresciosi – in sottofondo, una musichetta implacabile. Ho una teoria: Berlusconi è uno di quegli Dei sbadati che ci promette l'eternità, ma si dimentica l'eterna giovinezza.
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Intervista su Jesus L.

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We're more popular than Jesus now. I don't know which will go first, rock and roll or Christianity.
John Lennon, 1965.
Attraverso la loro musica quei quattro ragazzi di Liverpool, splendidi e imperfetti, sono stati capaci di leggere e di esprimere i segni di un'epoca che a tratti hanno persino indirizzato, imprimendovi un marchio indelebile. Un marchio che segna lo spartiacque tra un prima e un dopo. E dopo, musicalmente, nulla è più stato come prima
L'Osservatore Romano, 10/4/2010.

Più Grandi di Lennon?

DAL NOSTRO INVIATO - SILVABUL, 10 APRILE 3754.
Gsaui Rradoc, il più famoso lennonologo 'laico' del nostro semisfero, autore del controverso Intervista su Jesus mi accoglie nella sua confortevole cella di rigenerazione. Quando gli racconto delle ultime dichiarazioni di Ganesh XXVI, le rughe intrecciate sul suo volto sussultano; è il suo modo di ridere.

“Cos'è che avrebbe detto, l'elefantino?”
“Ganesh XXVI, il Dio vivente del Punjab, ha dichiarato ai giornalisti di essere diventato più grande di Lennon. È stato il suo modo di festeggiare la quarantesima settimana in testa alla top 20 Divinità”.
“Ah, già, la top 20. Beh, io non m'intendo molto di queste cose...”
“Si calcola che in media GXXVI richiami venti milioni di fedeli alle sue celebrazioni settimanali. È in effetti un record con pochi precedenti nella Storia recente”.
“Beh, se la mettiamo su questo piano, sì, non credo che Lennon facesse numeri del genere, ma vede, è sulla distanza che si vedono queste cose... non so se si ricorda T-re§”
“Vagamente. Faceva uno show coi serpenti...”
“L'incantatore di rettili transessuale di Ganimede. Fece il botto quindici anni fa, milioni di fedeli in tutto il sistema solare, anche a lui a un certo punto scappò detto di essere più grande di Lennon. E poi che fine ha fatto?”
“Che fine ha fatto?”
“Pare abbia aperto una concessionaria di condizionatori su Plutone. Vede, Jesus Lennon resta il più grande predicatore della Storia, non per i milioni di contemporanei che ha portato dalla sua parte; ma per il solo fatto che a duemila anni di distanza stiamo ancora parlando di lui. Tra dieci, vent'anni, arriverà qualche nuovo fenomeno da baraccone – una donna con dodici mani, un dio-lucertola, che ne so – e di loro, scommetto, nessuno dirà che sono “più grandi di Ganesh XXVI”. Diranno che sono più grandi di Lennon”.
“Gli Dei passano, Jesus Lennon resta. Come mai?”
“Il tempo è dalla sua parte, come recita un suo inno (per la verità di incerta attribuzione). Essere vissuto due millenni fa, nell'oscuro medioevo prediluviano, lo mette al riparo dalla luce troppo invadente dei riflettori. Di lui in effetti non sappiamo poi molto”.
“Chi era veramente Jesus?”
“Dopo duemila anni di rielaborazione mitologica è difficile rispondere a una domanda come questa. Ma almeno viviamo nel semisfero dove possiamo porcela senza temere di essere crocifissi da qualche inquisitore troppo zelante”.
“Profeta o figlio di Dio?”
“Io preferisco pensare a lui laicamente, come a un grande musicista. Per molti secoli questo aspetto della sua biografia è stato tralasciato; ci si concentrava sui contenuti degli inni, senza riprodurre la musica (che comunque era molto lontana dalla nostra sensibilità). Ma io resto convinto che non sarebbe diventato il più grande predicatore della Storia se non avesse avuto l'idea geniale di musicare le parabole e trasformarle in canzoni. Penso a certi inni immortali, come Stairway to Heaven o God Save The Queen. Figlio di Dio... mah, senz'altro nei suoi inni il padre è visto come un'entità lontana; è possibile che Lennon fosse orfano di padre, o comunque avesse sperimentato l'abbandono durante l'infanzia”.
“Falegname o chitarrista?”
“Le due cose potrebbero andare assieme; abbiamo trovato in vari siti archeologici esemplari di chitarre interamente lignee; può darsi che il giovane Jesus abbia svolto un breve apprendistato musicale in una bottega di falegnameria”.
“Fino all'incontro, che gli sconvolge la vita, con Elvis il Battista”.
“Su questo i Vangeli concordano: la predicazione di Lennon ha inizio solo dopo che Elvis lo battezza nel Giordano. È un evidente passaggio di consegne; il Battista è nella fase calante della sua carriera; i seguaci gli hanno voltato le spalle, lui stesso si considera Vox Clamans in Las Vegas
“Eh?”
“È latino. Voce che chiama nel deserto”.
“Ah”.
“Nel frattempo in Galilea Jesus raccoglie i primi discepoli, gli Scarabei”.
“Questi li so, li so. Luca, Matteo, George e Ringo”.
“Così secondo i Vangeli, che sono attribuiti a loro. Ma gli storici tendono a escludere George, che nei documenti più antichi è visto indossare una chitarra lignea”.
“Ma non era lo strumento di Lennon?”
“Appunto. La tesi più accreditata è che gli Scarabei fossero quattro in tutto, e che Lennon fosse uno di loro; San George sarebbe stato aggiunto al racconto un millennio più tardi, durante le crociate, quando diventa il patrono dei crociati e poi dell'Inghilterra.; probabilmente un soldato inglese reduce dalla prima crociata in Terrasanta, che tornando nel Merseyside riscuote un incredibile successo spacciando per sue le canzoni di Lennon, e trasformandosi in una vera e propria reincarnazione di Lennon in una terra tanto lontana da quella che aveva assistito alle esibizioni del quartetto originale”.
“Quindi lei non ammette l'ipotesi che Jesus Lennon e gli Scarabei d'Argento abbiano vissuto gran parte della loro vita in Inghilterra”.
“È una deformazione medioevale, quando fioriva il mercato delle reliquie e ogni nazione si inventava luoghi santi in cui avevano vissuto... pensi che un culto di Lennon sopravvive anche nelle isole del Pacifico Orientale, dove rappresenta il Sole, contrapposto al Dio Luna Yoko...”
“Ma la Sindone mostra i lineamenti di un inglese biondo, capellone...”
“La Sindone è una reliquia medievale. Potrebbe essere effettivamente il sudario di un crociato, chissà, magari proprio George. Ma il Lennon storico deve avere avuto lineamenti molto diversi da quelli con cui viene raffigurato di solito. Tratti somatici mediorientali, carnagione olivastra...”
“Niente capelli biondi, quindi. E niente occhialini”.
“Nella Palestina romana? No”.
“Già, i Romani. Sono stati davvero loro a ucciderlo?”
“Anche questo ovviamente non è chiaro. Lennon viveva in un periodo turbolento, in cui molti predicatori sobillavano alla rivoluzione. All'inizio però la sua posizione è ambigua. C'è un inno, Revolution, di cui si conoscono due versioni. In una dice “You can count me in”, che in aramaico significa “Includetemi, anch'io voglio fare la vostra rivoluzione”. In un'altra dice l'esatto contrario: “You can count me out”, tenetemi fuori”.
“Probabilmente una delle due è apocrifa”.
“Sì, ma è praticamente impossibile determinare quale; entrambe le versioni sono antichissime, al punto che alcuni ipotizzano che lo stesso Lennon fosse indeciso sulla strada da prendere, e che abbia inciso la canzone in due versioni. In ogni caso all'inizio non si considerava un predicatore politico nel senso che diamo oggi all'espressione. La sua figura era più simile a quella che oggi chiameremmo artista”.
“Jesus Lennon, un artista?”
“Nei primi anni di predicazione con gli Scarabei, Lennon non sobilla nessuna rivoluzione. È soltanto un musicista ispirato che richiama folle ovunque si esibisca, in Galilea, Giudea, e nella misteriosa Bolla degli Olivi”.
“È il periodo dei miracoli: dà la vista ai ciechi, risuscita i morti...”
“La tradizione dei miracoli è probabilmente un equivoco linguistico. Quante volte ci capita di dire che la tal cosa “risuscita i morti”. È un'espressione enfatica che sottolinea la grande potenza espressiva delle parabole musicali di Jesus”.
“Quindi Lennon non risuscitava i morti”.
“Solo in senso figurato”.
“Non tramutava l'acqua in birra”.
“Probabilmente i birrai in sua presenza preferivano spillare birra vera e non la solita broda annacquata”.
“E il grande miracolo di Woodstock?”
“Su Woodstock ci sono diverse teorie. Tutti gli studiosi concordano che fu un disastro logistico, e che migliaia di persone rimasero in mezzo al fango senza nulla da mangiare”.
“Finche Lennon non moltiplicò i pani e i pesci”.
“È indimostrabile, ovviamente. Il vero miracolo di Woodstock sono le sue parole, il cosiddetto discorso della montagna, sul quale è fondato il lennonismo occidentale: "Beati i miti perché erediteranno la terra, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia..." peccato che di questa canzone si sia persa la musica. Comunque i Romani non avevano nulla da temere da un fenomeno musicale-religioso di questo tipo. Gran parte dei riferimenti delle sue canzoni (il divino Tricheco, la Lucia nel Cielo di Diamanti, i Perpetui Campi di Fragole) erano oscuri già allora”.
“E allora perché lo crocifiggono?”
“A un certo punto qualcosa cambia. Lennon è accusato di avere frequentazioni scandalose, pubblicani, prostitute, spacciatori, artisti concettuali. Gli Scarabei d'Argento si sbandano”.
“Forse il successo gli stava dando alla testa”.
“È la tesi forte del Vangelo di Ringo, che però è il più tardo dei quattro. In realtà i suoi inni del periodo post-Scarabei sono i più politicizzati. È possibile che a un certo punto Lennon si sia veramente trasformato in oppositore al regime di occupazione romana che, non dimentichiamocelo, era fondato sulla violenza e sulla prevaricazione. Anche nell'ultimo periodo Lennon rimane comunque un pacifista; non inneggia alla lotta armata, al contrario. Ma è possibile che il suo antimilitarismo desse ugualmente fastidio. Era il periodo in cui l'Impero reclutava legionari anche nelle province per difendersi dalle incursioni Sovietiche e Iraniane”.
“Tradito dal suo manager, Lennon viene arrestato e condannato alla morte sulla croce”.
“Il resto è leggenda”.
“Una leggenda comunque miracolosa, per aver resistito tutti questi secoli”.
“Chissà quanti altri cantanti e predicatori infiammarono i cuori per una breve stagione e poi furono dimenticati. Lennon ha potuto contare su uno dei più grandi PR della Storia”.
“Si riferisce a Paul McTarso?”.
“Il buffo è che probabilmente i due non si sono mai conosciuti di persona. Paul aveva ricevuto un'educazione musicale classica, e all'inizio non aveva assolutamente orecchio per le composizioni di Lennon. Anzi, con le sue prime ferocissime recensioni Paul dà inizio a una vera e propria campagna di persecuzione contro il lennonismo e i suoi seguaci”.
“Poi succede qualcosa... Un incidente, mi pare”.
“Sull'autostrada Damasco-Liverpool. Paul vede una luce abbagliante, sbanda ed esce di strada. Viene soccorso, ma rimane temporaneamente cieco, muto, e apparentemente sordo. Ma è evidentemente una sordità selettiva. Immerso nel silenzio, Paul sperimenta una vera e propria epifania. Può ascoltare le composizioni di Lennon senza pregiudizi culturali. La sua conversione fa scalpore e getta le basi per il successo del credo lennoniano in tutto il bacino del mediterraneo”.
“C'è anche chi dice che il vero Paul sia morto nell'incidente”.
“È una leggenda durissima a morire. Ma ce ne sono di più interessanti. Secondo alcuni è Paul il vero inventore del lennonismo moderno: molti ritornelli degli inni lennoniani sarebbero suoi. In effetti è difficile pensare che la stessa persona possa aver scritto composizioni musicalmente così diverse tra loro come Helter Skelter o Yesterday. Alcuni si spingono ad affermare che Lennon non sarebbe che una figura mitica, un musicista biondo e capellone studiato a tavolino per rendere più appetibili le composizioni dello stesso Paul. Come vede, c'è una teoria per tutti”.
“Non c'è proprio niente di cui possiamo essere sicuri?”
“Io sono ragionevolmente sicuro di un paio di cose. La prima è che tra un millennio o due ci sarà ancora qualcuno, come lei o come me, che ha voglia di discuterne. La grandezza di Lennon è questa”.
“E la seconda cosa è...”
“Anche l'invidia non cesserà mai. Ci sarà sempre qualche Messia o Avatar pronto a dichiarare di essere diventato Più Grande di Lui. Guardi questa, è la riproduzione di un antichissimo ritaglio giornalistico. Come sa, gran parte dei documenti originali dell'epoca lennoniana non ci sono arrivati, perché gli archivi erano stati digitalizzati nei decenni precedenti al diluvio, e non abbiamo mai capito come si leggono i loro supporti magnetici. Di loro ci è rimasta solo la carta stampata che si erano dimenticati di reciclare. Vede? Questo è un antichissimo ritratto fotostatico di Lennon, molto sbiadito. La scritta in basso è in aramaico. Sa cosa dice?”
“IGGER THAN JESUS LENNON CLAIMS. Ovviamente no”.
“La traduzione più accreditata è: Qualcuno afferma di essere più grande di Jesus Lennon. Evidentemente Lennon veniva attaccato dagli emuli già in vita. Eppure loro sono passati, lui no. La sua musica era semplicemente migliore”.
“Io in realtà non ne ho ascoltato molto”.
“Venga, le faccio sentire un pezzo rarissimo”.
“Ma veramente... non m'intendo molto di musica classica, sa...”
“Quando è buona musica, non è classica né moderna: è eterna. Sente?”
“Sento solo rumore”.
“Deve abituarsi un po'. Vede, in questo pezzo Lennon chiede all'ascoltatore di ascendere, di immaginare un luogo meraviglioso dove qualsiasi cosa è possibile”.
“Le parole dicono questo?”
“Le parole dicono: Portami laggiù, nella Città Paradisiaca, ove l'erba è verde e le fanciulle sono leggiadre”.
“Molto bello. Si è fatto tardi, devo andare”.
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Il network trema

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A Napoli il mese scorso si sono autoconvinti che ci sarebbe stato un terremoto. Lo avevano letto su facebook, lo avevano visto su youtube... Beh, si sbagliavano. Non si possono prevedere, i terremoti.


Le eruzioni, quelle sì. Ho una teoria #18, sull'Unità! Si commenta laggiù.

Quanti terremoti ci sono stati in Italia negli ultimi dodici mesi? Almeno undici percepiti senza strumenti. Dopo quello spaventoso dell'Aquila di un anno fa, a settembre la terra ha tremato di nuovo in Abruzzo; nello stesso mese scosse di magnitudo 4 si sono verificate nel Mugello, al largo di Cefalù e nelle Marche, dove c'è stato un nuovo sisma in gennaio. In dicembre c'erano state scosse in provincia di Perugia e nella zona Etnea, interessata da un altro sisma a inizio di aprile. Fin qui siamo a nove terremoti. E gli altri due?

Gli altri due hanno qualcosa di particolare. Non sono stati percepiti da alcun sismografo, eppure qualche danno lo hanno fatto: nessuna vittima, per fortuna, ma costituiscono un pericolo da non sottostimare. Sono i terremoti-bufala, che non si propagano attraverso la crosta terrestre, ma grazie ad annunci anonimi diffusi via sms o su internet (ma anche attraverso le chiacchiere da bar). La prima scossa-bufala viene avvertita dalla Protezione Civile marchigiana nell'ottobre scorso, quando il centralino comincia a ricevere chiamate di cittadini spaventati (soprattutto giovani) che chiedono informazioni su un terremoto “devastante” che avrebbe colpito il Piceno il 27 ottobre.

La voce incontrollata speculava sulla paura sperimentata durante la scossa del mese precedente; benché palesemente falsa (non è possibile prevedere una scossa, addirittura con giorni di preavviso) era curata nei dettagli: si parlava di “una scossa di magnitudo 5.4 sulla scala Richter davanti a Porto San Giorgio, con effetti nelle province di Fermo e Ascoli Piceno”. A conferire un'aura di scientificità, veniva evocato Giampaolo Giuliani, il controverso tecnico abruzzese che ha più volte dichiarato di aver messo a punto un metodo scientifico per prevedere i terremoti. Giuliani smentì immediatamente di aver previsto e di poter prevedere scosse così lontane dal raggio dei suoi strumenti. Il terremoto in effetti non ci fu, e la bufala svaporò. Soltanto un brutto scherzo?

La scossa-bufala colpisce di nuovo un mese fa, stavolta all'ombra del Vesuvio, e fa parlare i cronisti di psicosi collettiva. Ancora una volta viene diffusa una data precisa (il 12 marzo), anche attraverso un video su Youtube. Ancora una volta viene tirato in ballo Giuliani, che smentirà prontamente. L'Osservatorio Vesuviano, tempestato di telefonate, si affretta a pubblicare un messaggio per rassicurare la popolazione: troppo tardi. A Torre del Greco il 12 marzo alcune scuole restano deserte; a Ercolano si fa incetta di beni di prima necessità nei supermarket. 

Cosa c'è dietro a simili scosse “del quarto grado bufala”? Per Giuliani si tratta di un tentativo di gettare discredito sul suo lavoro. Per Paolo Attivissimo, giornalista e storico cacciatore di bufale su internet, dietro simili fenomeni di psicosi collettiva c'è la cattiva educazione scientifica degli italiani, “la cultura dell'antiscienza”, di cui almeno in parte è responsabile la televisione (“la gente viene imbottita di scemenze da trasmissioni che spacciano gli oroscopi per fatti assodati, raccontano di rapimenti alieni come se fossero realtà conclamata, blaterano di scie tossiche lasciate dagli aeroplani”). In effetti oggi l'italiano medio dispone di tecnologie (sms, internet, video) che gli consentono di essere raggiunto dagli allarmi più strampalati, ma non del senso critico necessario per metterli in discussione. Pare che nelle scuole vesuviane siano stati gli stessi insegnanti a diffondere l'allarme: proprio coloro che per primi dovrebbero sapere e spiegare che non si può prevedere la data di un terremoto (nemmeno volendo dar credito alle teorie di Giuliani, tuttora in attesa del vaglio della comunità scientifica). Del resto, in materia di terremoti, qualsiasi rivoluzionaria teoria sulla previsione a breve termine non otterrà mai i risultati di una reale cultura della prevenzione del rischio: quella che in Cile ha permesso che un terremoto centinaia di volte più intenso di quello di Haiti facesse seicento morti e non duecentomila. 

Il terremoto-bufala del 12 marzo però si può anche leggere come un inconsapevole, beffardo grido di allarme. Perché se è vero che i terremoti non si possono prevedere, a Napoli qualcosa di relativamente prevedibile c'è, ed è il Vesuvio, vulcano esplosivo attivo che gli esperti osservano con preoccupazione. Quando l'eruzione spettacolare del 1944 concluse una fase di attività tutto sommato regolare che datava dal Seicento, l'edilizia abusiva prese di mira il cono del vulcano. Ma nel sottosuolo il Vesuvio continua a covare i suoi vapori ardenti. Gli esperti non si azzardano a fornire date per una prossima eruzione, ma sono consapevoli di una cosa: evacuare i 550.000 abitanti della zona rossa sarà un incubo logistico senza precedenti. La statale 268, unica via di fuga per migliaia di residenti, è parzialmente ostruita dagli sversamenti di rifiuti delle discariche abusive. Di fronte a una così plateale negazione del pericolo, condivisa da cittadini e autorità (e cosche), la piccola scossa-bufala del 12 marzo è poca cosa. Ma potrebbe anche essere il primo sussulto di una coscienza collettiva: ancora pre-moderna, è vero, facilmente influenzabile e plagiabile, pronta all'isteria. Ma almeno adesso sappiamo che la terra trema: ce lo mostrano su youtube, ce lo ricordano via sms. Forse è preferibile l'allarmismo delle scosse-bufala all'ignavia di chi ha lasciato che i rifiuti si accumulassero sulla via di fuga. Passato il panico, forse nella coscienza di qualcuno resterà lo spazio per riflettere. Questa, almeno, è una teoria. 
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= 5 bicchieri pieni

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(Questo pezzo puzza un po'; in effetti doveva uscire lunedì. Mi scuso del disguido).

Elezioni: dieci motivi per essere contenti

È stata una settimana difficile. Migliaia di persone hanno riversato su blog e social network la rabbia e la rassegnazione per una sconfitta elettorale che stavolta non sembrava così scontata, e invece... Internet è anche questo: uno spazio dove sfogarsi. Ma prima o poi bisogna tirarsi su. Per questo motivo, invece delle solite teorie, vi offro qui sotto qualche motivo di essere contenti di come sono andate le elezioni. Avete letto bene: motivi per gioire, festeggiare, sperare. Quando ho cominciato a cercarle pensavo che ne avrei trovate soltanto due o tre... beh, ecco qui dieci bicchieri mezzi pieni per sbollire la rabbia. Insomma, poteva andare peggio.

1. Berlusconi crede di aver vinto: lasciamoglielo credere. In queste elezioni non rischiava molto: anche perdendo non avrebbe ceduto un grammo del suo potere; e gli sarebbero rimasti tre anni per prendere le misure e contrattaccare. Un Berlusconi ansioso, affamato di rivincita a tutti i costi, è l'avversario peggiore che ci si possa augurare. Non ci avrebbe risparmiato nessun colpo basso. Molto meglio un Berlusconi relativamente sereno, rilassato, sicuro di controllare ancora il gioco. Colpi bassi ne tirerà comunque: proibirà le intercettazioni, tratterà la Rai come un suo feudo, proverà a riscrivere la Costituzione. Ma se si illude per altri tre anni di avere il polso dell'italiano medio, forse è la volta che riesce a fregarsi con le sue mani.

2. Berlusconi non ha vinto. Il suo partito è in discesa libera ovunque, e questo provocherà degli scompensi nella maggioranza. Da padre-padrone del centrodestra, Berlusconi rischia di trasformarsi nell'ago di una bilancia precaria che deve reggere i leghisti al nord e i baroni del Pdl meridionale. Certo, un modo per continuare ad occupare le scena c'è: se lancia una grande riforma presidenziale, Fini e Bossi saranno costretti a portarlo ancora una volta sugli scudi. Ma poi si dovrebbe passare per il referendum, e la vittoria non è affatto scontata: l'astensione è sempre più alta, e anche tra quelli che sono andati alle urne, soltanto uno su quattro ha votato veramente per lui. A furia di trasformare ogni consultazione in un plebiscito su sé stesso, Berlusconi rischia di andare a sbattere contro un referendum vero.

3. La Lega dilaga in tutto il nord, penetra in Emilia, detta legge. Benissimo. Sarà sempre più difficile, per i leghisti, perpetuare la finzione del partito di lotta e di governo. Prima o poi i nodi vengono al pettine: il federalismo fiscale si farà o è solo uno slogan ripetuto all'infinito? Le città del nord sono diventate più sicure dopo l'istituzione del reato di clandestinità? Nove bambini stranieri per classe possono bastare, o i ghetti scolastici rimangono ghetti? Gli elettori della Lega erano stanchi dei vecchi partiti romani che promettevano e non mantenevano: ora a Roma il partito più vecchio è la Lega. In questi due anni ha riaperto le discariche del nord per i rifiuti di Napoli, e il portafogli per i debiti di Catania e Roma. La gente si fida ancora: si fiderà in eterno? Abbiamo tre anni di tempo per convincere i nostri vicini di casa leghisti che Bossi e compagnia sono una cricca di arruffapopoli ciarlieri e inconsistenti. Non sembra un'impresa così impossibile.

4. Il PD ha perso. Dispiace, ma davvero, forse è meglio così. Un risultato positivo avrebbe congelato l'apparato che resiste all'ombra di Bersani, suggerendo l'illusione che le cose stessero andando bene: ma non stanno andando bene, ed è bene che tutti al PD se ne rendano conto. Meglio una sconfitta di misura, che una vittoria di Pirro come nel 2005. Quella volta l'incredibile punteggio finale (12 regioni a 2 per il centrosinistra!) fece pensare a tutti che l'impero di Berlusconi stesse crollando sotto i colpi di una coalizione di dieci partiti. Questa sconfitta è più onesta: ci mostra dove sono i problemi e ci lascia tre anni per intervenire. Bersani ha trenta mesi per mostrare che il suo partito non vuole cambiar pagina solo a parole. Siccome altri test elettorali per lui non ci saranno, e questo è stato deludente, forse è il caso di pensare a un altro turno di primarie nel giro di due anni. Se avrà fatto un buon lavoro sarà riconfermato.

5. L'astensione è al massimo storico – sì, anche questo fa ben sperare. Significa che là fuori c'è tantissima gente che non crede né a Berlusconi né alla Lega. È quello il fronte da sfondare (non quell'ipotetico “centro” moderato che da anni ipnotizza tutti i leader). Gli astensionisti di oggi non daranno il loro voto di domani a un politico cauto e moderato: se qualcuno riuscirà a portarli nelle urne, saranno senz'altro volti nuovi, con una proposta forte. Abbiamo tre anni (facciamo due) per trovarli, e se non ci sono, inventarceli.

6. Qualcuno già c'è: per esempio, Vendola ha vinto di nuovo. Il candidato meno moderato in una delle regioni più a destra. Quella in Puglia è una vittoria più sua che del PD, ma a questo punto anche i più ottusi dei notabili democratici dovranno prendere atto che l'unico modello davvero vincente per adesso è il suo.

7. Ha perso Brunetta, Superuomo del Fare. Evidentemente anche il monopolio televisivo non è riuscito a vendere ai veneziani il quasi-premio-Nobel iperattivo, capace di combattere l'assenteismo statale durante la settimana e governare Venezia nel week end. Il ministro che più di tutti ha investito su un'immagine aggressiva, ringhiante, incassa una sconfitta che è prima di tutto mediatica. Con Brunetta potrebbe essere entrato in crisi un certo modo di farsi largo nella stampa e in tv, a furia di piccole riforme e grandi tagli annunciati come rivoluzioni epocali (sarà un caso che il ministro più votato, Mara Carfagna, è quello che parla di meno?)

8. Ah, e ha perso anche Castelli. Pur di tenerlo lontano, Lecco ha tradito la Lega per la prima volta in 17 anni. Forse a questo punto nella stanza dei bottoni si renderanno conto che non è questo gran comunicatore, e in tv manderanno qualcun altro, con immediate ricadute positive sul fegato di tanti telespettatori. Un altro piccolo grande motivo per stare allegri.

9. L'antiberlusconismo esiste, e tra IdV e Movimento 5 Stelle vale nove punti percentuali. Una fetta di elettorato importante, da non marginalizzare. Gli elettori antiberlusconiani non sono tutti giustizialisti manettari incantati dai proclami di Grillo. Molti di loro provengono da quel mondo di sinistra che non ha più rappresentanza parlamentare (postcomunisti e Verdi). Altri ancora arrivano dal mondo cattolico, altri sono ex astensionisti recuperati al gioco della democrazia. Per gran parte di loro il berlusconismo coincide con il malaffare e l'ingiustizia sociale, e faranno qualsiasi cosa per opporvisi. Se il PD non li emargina, e fa una scelta chiara di trasparenza, lo appoggeranno.

10. Invece una cosa che non esiste è l'UdC. Perlomeno, non esiste nessun motivo per stringere accordi con un partitino che ormai è un doppione. La Conferenza Episcopale ha fatto la sua scelta, appoggiando il PdL e chiedendo in cambio il blocco della Ru486. Ma i cattolici non sono quel blocco compatto che tanti credono. Ci sono quelli che pensano che la legge 194 vada bene così com'è; quelli sconvolti dalla copertura fornita dal Vaticano ai sacerdoti pedofili; quelli che pensano che il Vaticano debba prendersi le sue responsabilità, quelli favorevoli a un patto civile di solidarietà – in breve, ci sono ancora i cattolici progressisti, e il PD è il loro partito. Non c'è bisogno di ulteriori sbandate al centro per raccattare pittoreschi antiabortisti in cilicio. E questa è l'ultimo, ma non certo il più piccolo, dei dieci motivi che ho trovato per essere ottimisti. Coraggio. La situazione è eccellente.
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In bagno coi Maestri

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L'educazione sessuale di Don Tinto, 1

(è un racconto d'invenzione. Ogni riferimento a cose, persone, situazioni, è puramente casuale e assolutamente non intenzionale. Non ho la minima idea della vita sessuale dei preti).

C'è da dire che la sessualità è un mistero – la nostra: figurati quella degli altri. Ognuno ha la sua storia e non ve la viene certo a dire. D'altro canto a chi interesserebbe. (A Kinsey interessava, ma gli sospesero i finanziamenti).
Del resto, giudicate voi. Per tutti i lunghi anni del seminario e dell'università, mai Don Tinto si era masturbato o ne aveva anche solo sentito l'urgenza. In questa che a voi lettori potrà sembrare una bizzarria statistica (ma quale statistica? ne esistono di attendibili?) e che i suoi coetanei avrebbero ritenuto una grave menomazione, sin dalla prima pubertà Don Tinto aveva creduto di scorgere un dono del Signore, un segno evidente della Sua chiamata. Pur sensibile alla bellezza dei corpi (anzi all'università aveva optato per l'indirizzo storico-artistico), Don Tinto sembrava riuscire a goderne a distanza, senza cadere nei turbamenti delle passioni carnali. Sporadicamente, è vero, in qualche sogno sperimentava un'estasi, una specie di trasporto – di cui al risveglio la biancheria recava tracce imbarazzanti. A sedici anni il confessore gli aveva spiegato di che si trattava, del retaggio dell'inevitabile debolezza della carne – ma non era peccato, tecnicamente. Non nella fase onirica. A meno che non avesse sognato... angeli? Vestiti? Maschi? Femmine? Proprio non riesci a rammentare, figliolo?
“Padre, non mi prenda in giro, ma...”
“Ci mancherebbe altro”.
“Mi sembrava di stare nell'assunzione del Correggio”.
“Un quadro, insomma”.
“Un affresco del Cinquecento. La basilica di Parma”.
“Ne so più o meno quanto prima. Mi dovresti spiegare se c'erano corpi o no, spogliati o no, e di che ses...”
“Angioletti, bambini, asessuati”.
“Ah. Mhm. Tre rosari alla Madonna della Neve”.
“Quindi ho peccato, Padre!”
“No. Però un rosario non può far male. Vai, figliolo, e non pec... non sognare troppo, eh?”

Centocinquantemilatrecentosettantadue rosari più tardi, Don Tinto (ora cappellano di buone speranze, in una grande parrocchia metropolitana) ebbe finalmente qualcosa di piccante da confessare al suo padre sprirituale.C'era una ragazza castana di dodici anni, nel coro, che non lo faceva dormire. Era forse il modo sfrontato e insieme dolcissimo con cui attaccava gli acuti. Don Tinto era stravolto. Non riusciva a pensare che a lei. Non che ci fosse molto da pensare; allora diciamo che non riusciva a pensare ad altro che non fosse il suo non riuscire a pensare che a lei, e chissà, forse in queste vertigini consiste l'amore? La pubertà, come si vede, stava arrivando in ritardo, tram sferragliante che rischiava di travolgerlo. Mai avrebbe toccato la fanciulla, mai, anche solo presa sottobraccio, o afferrata alle spalle per salvarla da uno strapiombo come gli era capitato una volta di sognare, ma quindi come avrebbe potuto accompagnarla nel pellegrinaggio a Roma con la classe dei cresimandi? Mentre ascoltava, il confessore censurò in sé stesso una certa torva soddisfazione. Il fatto è che se lo aspettava. Tutti quei sogni di apoteosi angeliche da qualche parte dovevano pure andare a parare, bastava aver letto Freud – e poi la carne è debole, Cristo Santo, anche quella dei vitelli da latte come Don Tinto. Fu brusco con lui, come si faceva ai vecchi tempi:
“Ti tocchi?”
“Eh?”
“Ti sto chiedendo se ti masturbi, figliolo”.
“Ma no, padre”.
“Allora forse è meglio cominciare”.
“Ma padre!”
“Che padre e padre. Senti un po'. Tu sei convinto di essere sul precipizio di chissà quale perdizione. E mi sta bene. Significa che dai ancora molto peso ai tuoi sentimenti”.
“Ma...”
“Io però ho sessant'anni ormai, confesso i seminaristi da trenta, e non hai idea di quante storie del genere ho già sentito. Per cui scusami se taglierò corto. Quanti anni hai?”
“Ventiquattro”.
“È tempo che cominci a masturbarti con regolarità”.
“Ma...”
“La sera dei giorni dispari, dopo compieta. Salta la domenica. Vedrai che la bimba ti sparirà dai sogni alla velocità della luce”.
“Ma io...”
“Non sai come si fa. Eh, beh, certo. Dio mio, tutto ti devo spiegare? Con la mano destra...”
“Padre, la meccanica più o meno la conosco”.
“Oh, meno male”.
“Ma non mi viene niente da pensare...”
“Hm. Dormi ancora in San Filippo, no? Hai accesso alla biblioteca di Don Bruno?”
“Padre, sì”.
“La pornografia è nel terzo stipetto a destra, la chiave è nel trofeo della corale del 1974. E adesso va'”.
“Padre, non mi assolve?”
“Peccati non ne hai fatti, per adesso. Adesso dovrai cominciare a farne di molto piccoli, con regolarità, in modo da evitare quelli grandi. Se tutto va bene arrivi alla mia età senza avere niente di veramente brutto di cui pentirti”.
“Speravo che non sarebbe mai successo”.
“Ma certo, perché avresti dovuto avere un corpo, come noialtri? Dei desideri? Un pisello, addirittura? Perché mai Nostro Signore avrebbe dovuto farti uomo come noi? Non avrebbe potuto farti angelo? Il peccato lo stai commettendo adesso. Ed è di superbia”.
“Ha ragione, Padre”.
“Ma che ragione e ragione. Ascolta. Per quanto ne so, tu sei un bravo ragazzo. Non toccheresti una bambina neppure se ti costringessero. Il solo fatto che tu sia venuto a raccontarmi questa storia... però potrei sbagliarmi. Mi sono sbagliato altre volte”.
“Sbagliato?”
“Su altre persone. Ma devi sapere una cosa. Mettiamo che un giorno ti succeda. Mettiamo che un giorno ti capiti veramente di toccare una bambina”.
“Dio non voglia...”
“Dio, sempre questo Dio. Dio ci lascia liberi. Tu verresti a dirmelo?”
“Penso di sì”.
“E io cosa dovrei fare?”
“Dovrebbe... non so, immagino che non mi assolverebbe”.
“Esatto”.
“E mi denuncerebbe alle autorità ecclesiastiche e... a quelle secolari”.
“Ai carabinieri, dici? No, questo no”.
“E perché no?”
“C'è una direttiva molto precisa a riguardo, figliolo. Se ti denuncio rischio la scomunica”.
“Dunque la Chiesa... mi proteggerebbe?”
“Ora pecchi di stupidità. La Chiesa non protegge te. La Chiesa protegge sé stessa. Se tu infangherai il tuo abito, la Chiesa si tiene il diritto di lavarlo in casa propria. Sappiamo lavare come chiunque altro, noi. Meglio di molti altri, devo dire. Ora sai che, se un giorno tu peccassi, puoi venire da noi, da me, sapendo che io non chiamerò i carabinieri. Ti prenderò a ceffoni, questo sì. Lungamente”.
“E giustamente”.
“Ti spezzerò tutta una serie di piccole ossicine tignose che conosco io. Farò quanto mi è possibile per farti trasferire nella parrocchia dell'Africa nera frequentata dai più sifilitici dei sodomiti, ma non ti denuncerò. È giusto che tu lo sappia. E adesso vai. Che giorno è oggi?”
“Mercoledì”.
“Giorno dispari, ottimo. Buona meditazione”.

Una tragicommedia, la prima 'meditazione' di Don Tinto. All'inizio l'impresa sembrava veramente disperata, i polverosi numeri di Le Ore ritrovati nello stipetto rivelandosi quanto mai inadatti alla bisogna. Queste signorine (così sconciamente lontane dall'oggetto dei miei desideri) sono ormai tutte nonne, pensava Don Tinto; tranne quelle che senz'altro sono già passate a miglior vita; ora io devo credere a un Dio misericordioso che avrà perdonato i loro vizi di gioventù e le avrà portate in cielo; dal quale cielo mi possono vedere mentre tento di eccitarmi con le immagini dei loro decrepiti peccati, ormai rimessi, eppure ancora in circolo. Preso da siffatti pensieri, Don Tinto era tanto lontano dall'erezione quanto lo siete voi, miei intristiti lettori, in questo esatto momento. E tuttavia il padre spirituale era stato molto chiaro; ed era uomo di provata saggezza, a cui Don Tinto avrebbe ciecamente obbidito anche se non glielo avesse imposto il voto, appunto, di obbedienza. Di fronte a Don Tinto si spalancava la voragine, non già del peccato (quello sembrava essersi stranamente ridimensionato) ma della conoscenza di sé: che uomo era, se non riusciva a peccare nemmeno volendo? È santo l'uomo che tra il bene e il male sceglie la prima strada; ma è santo proprio perché sceglie, non perché un qualche accidente di natura gli ha impedito l'accesso alla seconda. Quando alla fine il volume di Caravaggio dei Maestri del Colore riuscì dove le Ore avevano fallito, Don Tinto fu preso da uno disgusto di sé che mai nella sua vita aveva sperimentato. La sola idea di aver potuto nutrire pensieri per una ragazzina – lui? Era successo veramente? Erano solo fantasie, sogni, poi si sa com'è la vita nelle parrocchie, ci si annoia, si ingigantiscono le cose, ci si inventano peccati anche solo per avere qualcosa da confessare. Eppure, sotto tutto quel disgusto, covava una strana soddisfazione. Dunque anch'egli era un uomo, in grado di disperdere il suo seme come chiunque altro. Aveva potere sul suo corpo; un potere che non avrebbe mai esercitato, ma ora era suo. Non era più un ragazzo in balia dei sogni. Quarantotto ore dopo, la prima sensazione di disgusto era scemata; ma la soddisfazione per la conquista del suo corpo ruotava ancora lì, vorticosa intorno al suo cuore. Don Tinto non covava più nessun assurdo pensiero per la moretta del coro. Si era dimenticato del tutto di lei; ma non del solenne impegno preso col Padre. All'ora prestabilita di venerdì, detta compieta, rientrò in bagno coi Maestri del Colore. (Continua, con scene assai più esplicite).
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Intermezzo

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Il calcinculo dell'85

Ma chi l'ha poi detto che questo è un sito politico, che io debba scrivere le cose politiche, chi l'ha deciso. Musica. Adesso scrivo di musica.

Ho sentito l'ultimo pezzo dei Baustelle, l'album non ancora. Il pezzo mi entrerà in testa come tutti gli altri, persino Irene Grandi c'è riuscita, ma quella sensazione claustrofobica che mi fanno provare da qualche anno in qua le canzoni di Bianconi merita un'analisi. Mi sembra che stia giocando con la mia educazione musicale. Mi sveglio nella mia cameretta del 1996, con qualche oggetto fuori posto. C'è sempre qualche elemento diverso, questa volta il trombone, che è appena arrivato e sembra che sia sempre stato lì, con un po' di sforzo posso anche risalire alla fonte originale, ma il punto è, perché debbo fare questo sforzo? Sono prigioniero nella testa del compositore Bianconi? Bianconi è prigioniero nella mia? Non potremmo entrambi aprire le finestre, farci un giro, ascoltare musica diversa, i dervisci, la dodecafonia... quando ascolti Bianconi ti tornano in mente gli incubi degli ingegneri, quelli che dicono che essendo le note solo sette (una più una meno) tutte le canzoni saranno prima o poi scritte, e questo infallibilmente succederà, anzi è già successo, probabilmente nel 1966 (per questo le avanguardie erano ochei). Poi sarebbe ingiusto non notare come lo stesso Bianconi provi ogni volta a metterci qualcosa di diverso; però la sensazione, è quella degli stilisti che sfogliano vecchie riviste alla ricerca affannosa di qualcosa di 'nuovo', nel senso di qualcosa che nessuno si è ricordato di copiare da almeno dieci anni. Il video ribadisce l'idea: stavolta ci mette barattoli Campbell e telefoni rossi, l'altra volta erano poltrone di plastica, la prossima (tiro a indovinare) avremo fiat Centoventisette e tinelli marron. Il catalogo però ha i fogli sempre più sgualciti.

Detto questo non voglio cimentarmi nel tiro al Bianconi, sport fin troppo popolare. In fondo è uno dei pochi a cui il mestiere sta andando bene. Tira un disco ogni due anni, media notevole per i tempi, e alla gente piace; piace senza bisogno di andare in tv a fare la rivoluzione culturale o vantare le proprietà antidepressive di qualche droga pesante; è anche riuscito a trovare un'interprete popolare, ha già scritto un paio di canzoni degne entrambe di figurare a Sanremo senza essere brutte canzoni. Si deve chiedere qualcosa di più a un compositore di musica leggera? Perché Bianconi questo è, anche se forse a noi piace ricordarcelo giovane virgulto indie, ma è stato una vita fa. La musica, almeno questo tipo di musica, è una disciplina intuitiva, in cui le tue cartucce migliori le spari da giovane. In seguito, la fine va da sé (è inevitabilè). Se hai fatto abbastanza soldi campi di rendita; sennò amen, ti trovi un altro mestiere. Questo pone un grosso problema agli artisti italiani, che per arrivare al mainstream devono farsi gavette decennali. Come i Baustelle: sono in giro già da sedici anni. Tanto per il gusto del paragone assurdo: i Beatles sono durati la metà. I Rolling Stones il doppio, ma dopo sedici anni erano già all'autoparodia. Persino Bacharach ha scritto tutto quel che doveva scrivere in dieci anni. È un fuoco accecante ed effimero, la musica leggera. D'altro canto, con un po' d'impegno e molta fortuna, si può rimanere aggrappati a quei due o tre bei dischi che hai fatto quando non ti conoscevano in molti, e trasformare le tue intuizioni giovanili in mestiere. Si tratta di ricombinare le idee che hai già avuto, magari rendendole più dirette, più appetibili, ora che hai capito più i gusti del grande pubblico e hai bisogno di soldi per il mutuo. Io non ce l'ho coi mestieranti. Mi fanno una grandissima malinconia gli artisti che dopo dieci, quindici anni di tentativi (spesso ottimi) appendono gli strumenti al chiodo e si rassegnano alla vita. Per esempio, ho sentito che si sarebbero sciolti i Settlefish: mi dispiace. Me li ricordo mentre salgono sulla torre degli asinelli cantando, e quando arrivano in cima i turisti non applaudono: ecco, l'arte è questa qui, regalar canzoni senza avere in cambio nemmeno un grazie. Ma quanto si può vivere così? Dieci anni, quindici probabilmente sono il massimo. Poi, se decidi di restare in circolazione, la tua arte devi trasformarla in mestiere. E non c'è niente di male, sul serio, è inevitabile rifriggere la stessa canzone ogni due anni; le note sono sette, fuori c'è un pubblico che paga esattamente per quel tipo di cose, aggiungi il mutuo, la famiglia... sentite come sto invecchiando mentre faccio queste considerazioni? Mi cadono i capelli, tutti, tra le fessure della tastiera.

Perché in tutto questo rischio di dimenticarmi che comunque stiamo parlando di musica leggera, roba da ragazzini, e quindi al massimo il problema sono io, che tutte le melodie di Bianconi le ho già sentite ricombinate in un modo lievemente diverso per il semplice motivo che ho passato troppa vita a orecchiare melodie; per il solito motivo che alla mia età ormai dovrei dedicarmi a cose più serie, la dodecafonia appunto, o risolvere l'enigma finale dell'Arte della Fuga; ma là fuori ci sono i ragazzini, che il trombone suonato in quel certo modo non l'hanno mai sentito e d'ora in poi lo considereranno una cosa da Baustelle, mentre invece le parole tristi al pianoforte sono cosa da Morgan. E ne hanno il diritto. Di trovare originale Lady Gaga, che, discorso immagine a parte, non tira fuori niente che non si potesse già sentire su un calcinculo nel 1985, ma vuoi negare a qualcuno il diritto di salire sul turbinante calcinculo del 1985? O di farsi stantuffare dallo stallone negro Jimi Hendrix? No, aspettate, spiego.

È successo la scorsa settimana che mi sono arrabbiato molto, probabilmente troppo, per una copertina di Rolling Stone che prendeva uno dei chitarristi più innovativi e geniali del secolo scorso, James Marshall Hendrix detto Jimi, e lo sbatteva in faccia al lettore così: altro che chitarra, la sua vera arma l'aveva tra le gambe. Un'immagine che, analizzata, rivela un 43% di sessismo, un 29% di razzismo, un 26% di trasgrescio cazzara, tracce sparse di necrofilia, passione per la musica non pervenuta. Qualche anno fa sarei divampato direttamente qui, fortuna che adesso ci sono i social network per sbollire. E allora i seguaci su friendfeed mi hanno detto tante cose, per esempio che non devo giudicare una rivista dalla copertina (la rivista no, ma la copertina da cosa dovrei giudicarla se non dalla copertina?) Oppure: cosa vuoi, in fondo è Rolling Stone, mica una rivista di musica... e parlando di lifestyle, in fondo Jimi Hendrix era anche quello: un pisello nero in libertà in un mondo ancora in mano ai bianchi. Può darsi, ma questa storia del lifestyle non mi convince.

Continuiamo a sfogliare il passato come una rivista da cui rubare idee, di solito immagini – in effetti ce ne sono di fantastiche, ma poi le mettiamo indosso ai nostri fantasmi. Il sesso interrazziale è un argomento attuale, adesso, qui, che giustamente fa vendere copie: (il numero contiene servizi sul turismo sessuale al femminile, esperienze interraziali ecc.), però bisogna per forza nobilitarle schiaffandoci sopra un nume tutelare del passato, un pisello della Storia del rock. Non facciamo che deformare la Storia, adeguandola alle nostre ansie 2010 (prestazioni, dimensioni, mercato, tutte cose che quarant'anni fa erano per forza diverse). A quel punto il passato ti si sgualcisce in mano, la famosa Storia del famoso Rock diventa una galleria di vip strafatti o sessuomani, più o meno il canone di metà anni Settanta che in teoria il punk avrebbe spazzato via. Ma probabilmente a RS sono convinti che il punk sia soltanto un'altra generazione di vip strafatti; che il “Rock” in genere consista in una genealogia di vip strafatti per l'invidia dei discepoli, e a quel punto, davvero, si arriva a Berlusconi rockstar: chi più vip strafatto e puttaniere di lui? Se ci alleniamo a invidiare Bowie o Jagger, come facciamo a non invidiare anche lui? Ma a pensarci bene anche Leonida Breznev, quando faceva chiudere al traffico la Prospettiva di Leningrado per cercare di ammazzarsi guidando auto occidentali ad altissima velocità, era molto rock'n'roll, fateci una copertina. Detto questo, insomma, perché prendersela tanto, hanno ragione, non è mica musica, è Rolling Stone. Ma infatti. Non sapevo neanch'io perché me la stavo prendendo tanto. Poi domenica c'era il sole, ho fatto un giro a Bologna, e ho capito.

Ecco, è molto semplice: in un pacco costipato nei jeans voi ci vedete la leggenda del rock, io ci vedo Beppe Maniglia. Questo chiude ogni discussione.
(Si paga a duro prezzo, l'educazione bolognese, è un mutuo a vita).
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Astenersi perditempo

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I tre astensionismi

A poche ore dalla chiusura dei seggi non è sempre facile capire chi abbia vinto e chi no. Stavolta però c'è qualcuno che la sua vittoria la sta reclamando già da un giorno intero: l'Astensionista. Benché ancora lontano dalla conquista del 50% degli Aventi Diritto, l'astensionismo ha raggiunto in queste consultazioni un ragguardevole 33: un elettore su tre non ha votato. L'astensione, insomma, è il primo partito del Paese, una forza con la quale volenti o nolenti dobbiamo fare i conti. Il problema è che, come in tutti i partiti di massa, anche nell'Astensione ci sono diverse identità. Anche tu, che mi leggi e magari non sei andato a votare, che astensionista sei? In quale di queste categorie ti riconosci? (mi preme saperlo, perché alcuni astensionisti mi stanno sulle scatole, altri no).

L'astensionista mistico
Non sei un semplice non votante, tu sei un attivista dell'astensionismo. C'è gente che manco si è accorta che hanno aperto i seggi, tu al contrario sei stato tra i più attenti all'evolversi di una campagna elettorale che comunque ti faceva schifo sin dal primo giorno. Perché tu, alla politica, ci tieni da matti: è proprio per questo che non vai a votare. Così i politici lo capiranno, che lo spettacolo che stanno dando non è all'altezza del pubblico più evoluto. Tra tutte le schede che non sono entrate nell'urna, troveranno la tua non-scheda, astensionista mistico, e ne capiranno al volo il messaggio profondo: profondo ma abbastanza semplice da poter essere contenuto in un silenzio, qualcosa del tipo Adesso Basta, Andatevene Via Tutti. È facile riconoscere gli astensionisti mistici: in queste ore state festeggiando. Gli editoriali che escono stamattina su tutti i quotidiani, sulla Disaffezione della Gente per la Politica, sono dedicati a voi. Mentre aspettate che diventino gratuiti on line, vagolate sui social network festeggiando e teorizzando: quando saremo il 50% più uno, cosa accadrà? Già, cosa accadrà? Ve lo possiamo anche spiegare, visto che in altre nazioni già succede: un bel niente. Ci sarà qualche editoriale in più sulla Disaffezione della Gente, e dal giorno seguente chi ha vinto le elezioni governerà – sì, anche se è stato votato da una maggioranza della minoranza. Incredibile, vero? È che a voi vi han fatto male i referendum, vi han viziato. Vi siete convinti che qualsiasi baraccone democratico si può fermare nel modo più facile: stando a casa. No, non è così. Anche se ve ne andate, la partita continua. Mica potete portarvi via il pallone.

L'astensionista borghese
La vera novità di queste consultazioni. Forse il caos delle liste e la Santoriade hanno distolto l'attenzione da un fatto piuttosto inconsueto: su Corriere e sul Sole si sono levate voci favorevoli all'astensione. Un nome su tutti si è speso: Montezemolo. Ecco, questi non sono i soliti astensionisti da bar. Questa è gente seria o che almeno ci prova: manda messaggi precisi, sta poi a noi cercare di capirli. Io, lo ammetto, non sono così bravo a capire i borghesi, non è il mio mondo; in ogni caso la mia teoria è che Berlusconi abbia veramente disgustato i più. È un personaggio imbarazzante, va alle feste a Napoli, sorride alle minorenni e si fa fotografare con i villici, De Bortoli non può assolutamente consentire. Costoro, pur osteggiando ormai apertamente il berlusconismo, non possono appoggiare Bersani. Non funzionerebbe, anche se Bersani si spostasse ancora più al centro. Il Corriere non poteva far campagna per Bersani: avrebbe perso copie, senza che Bersani guadagnasse un solo voto. Bersani doveva far bene il suo mestiere, motivando un po' il suo bacino di elettori; nel frattempo Montezemolo e De Bortoli quel che potevano fare per demotivare il bacino berlusconiano lo avrebbero fatto. Purtroppo è stato poco. Ovvero: secondo me questi astensionisti borghesi non hanno vinto, non hanno convinto. Non sono stati decisivi al nord. Ora che è stato dimostrato che la quantità di elettori che il Corriere o Montezemolo sono capaci di alienare a Berlusconi è risibile, quest'ultimo potrà continuare a governare sudamericanamente, fregandosene dei richiami alla moderazione e alla sobrietà che vengono dalle cariatidi di via Solferino: del resto, insomma, chi se ne frega del Corriere quando possiedi Chi, Sorrisi e Panorama? La vera partita era quella, e secondo me l'ha vinta Berlusconi. Tanto per cambiare.

L'astensionista insicuro
Gli astensionisti mistici e gli astensionisti borghesi nei prossimi giorni canteranno vittoria, ma bluffano. Per essere rilevanti, hanno bisogno di fare massa col grosso dell'astensionismo italiano, rappresentato dagli insicuri. Quelli che a votare non ci vanno per dire “no”, ma per ribadire un più umile (ma anche più dignitoso) “non so”. Non sanno per chi votare, ma sul serio. Non si interessano di politica, è un reato? Non lo è. Non sanno chi c'è nelle liste; alcuni probabilmente non sanno nemmeno dove stanno le urne e gli orari di apertura. Oppure sanno tutte queste cose, ma non si fidano ugualmente del proprio giudizio: e allora cosa fanno? Lo affidano a noi, i votanti. Chi si astiene, da sempre, di rimette alle decisioni di chi non lo fa. La democrazia funziona più o meno così. Per questo non esiste, nella nostra Costituzione (e in nessuna altra, che io sappia) un quorum per le elezioni rappresentative. L'insicuro ha diritto a restare tale, ma la sua insicurezza non può pesare sul governo di una nazione.

Da quando è approdata al Suffragio Universale, l'Italia si vanta di avere una delle più alte affluenze alle urne al mondo, e quindi una delle più basse percentuali di astensionisti insicuri. Ognuno si vanta di quel che ha, ma bisogna riconoscere che il basso numero di insicuri non ha mai reso l'Italia una democrazia stabile e matura. È semplicemente successo che l'Italia del nord si trovasse sulla frontiera di un conflitto ideologico e geopolitico, Rossi contro Bianchi; due partiti massa che mobilitavano chierichetti e pionieri, pensionati e malati terminali. È semplicemente successo che l'Italia del centro-sud la compravendita di voti diventasse una delle poche risorse presenti sul territorio. Non siamo mai stati insicuri perché non ce lo potevamo permettere: dovevamo salvare il mondo, o trovare un posto fisso. L'insicurezza era un lusso del mondo libero: roba da americani. Poi un bel giorno gli americani si trovano in crisi e si rimettono a votare: ed ecco che Obama trionfa penetrando nella massa burrosa degli elettori indecisi con una lama retorica neanche troppo affilata. Noi invece arranchiamo, stiamo ancora scoprendo i brividi dell'incertezza.

Io me la prenderò sempre con gli astensionisti mistici e il loro preteso idealismo che si tiene lontano da qualsiasi attrito sulla realtà (un attrito diverso da quello del bambino che pesta i piedi); sfotterò garbatamente gli astensionisti borghesi – ammesso che esistano. Ma per gli astensionisti insicuri ho un grande rispetto. Quando voto, io voto anche per loro. Penso alle mie priorità, ma non dimentico le loro. E siccome vorrei che il mio voto fosse un po' più importante, sotto sotto preferirei che di astensionisti del genere ce ne fossero di più. Tanta gente che di politica non si cura, gente che preferisce le pagine dello sport o del gossip, ecco, se anche volessero disertare le urne un po' più spesso, io non ci troverei niente da dire. Ci vado io per voi, sul serio, vi potete fidare. Poi magari dopo dieci, vent'anni, trovate qualcuno che vi convince sul serio, e vi rifate vedere nei seggi: e a quel punto il baraccone democratico fa un salto di qualità, proprio come è successo con Obama. Ma in questa fase di berlusconismo crepuscolare, con la Lega che nel momento del trionfo non sa bene cosa promettere (il federalismo fiscale, sai che novità), col PD che deve ancora prender forma... sul serio, astenetevi, lasciate fare chi a questa robaccia si appassiona.
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Il nostro carissimo Elmo

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Ma voi ve lo immaginate, se questi leghisti... andassero al governo? Prima in qualche comune, poi nelle province e nelle regioni del Nord, e alla fine... a Roma? Impossibile? Ne siete così sicuri?
Ho una teoria#16, sull'Unita.it (si commenta di là).

Mio carissimo ELMO, (Elettore Medio Leghista Operaio), come stai?
In queste ore di incertezza elettorale non posso che pensare a te. Sono arrivati i primi dati sull'affluenza alle urne, e pare sia molto bassa. Questo potrebbe voler dire molte cose. Per esempio, che molti berlusconiani non credono più in Berlusconi. O che i Bersaniani (ma esistono?) non credono più in Bersani. Impossibile saperlo per ora.

Quello che invece è abbastanza certo è che tu, carissimo Elmo, stai per festeggiare. L'astensionismo di solito punisce i grandi partiti di governo che non riescono a mantenere le promesse (leggi PdL) o i grandi partiti di opposizione che non riescono ad attirare gli scontenti con alternative coerenti e convincenti (leggi PD). Ma se i due giganti crollano, a festeggiare sarai tu.

A meno che anche tu non abbia deciso di astenerti... ma via, questo è impossibile. Tu non sei davvero il tipo. Non sei uno di quelli che abboccano al primo venditore di fumo. Tu hai cose concrete per cui lottare. Il federalismo fiscale, per esempio. Quando finalmente sarete al potere, lo farete. Caccerete il milionario populista che ha vinto le elezioni promettendo di abolire la tassa più federale di tutte, l'ICI sulla prima casa e, maledizione, ha pure mantenuto la promessa. E quei treni che due anni fa portarono a nord i rifiuti di Napoli, quei treni non partiranno più. Chi fu a lasciarli passare? Stavolta la pagherà.

Caro Elmo, non credo che tu abbia bisogno di sollecitazioni per fare il tuo bravo dovere civico. Sono sicuro che tu sei stato tra i primi ad entrare nel seggio, per dare un messaggio chiaro, preciso, sicuro, da parte dei lavoratori del nord, contro tutti gli sprechi assurdi che macchinano a Roma. Il Po va in malora e quelli ancora pensano al Ponte sullo Stretto. Milano perde i suoi voli internazionali, e quelli ci tolgono i soldi dalle tasche per pagare i debiti di Alitalia e regalarla ai loro amici. I treni dei pendolari cascano a pezzi, e quelli pensano ad aumentare gli Eurostar, i Milano-Roma... ma la vedranno. 

Prima o poi lo eleggerai, un Senatore o un Deputato, qualcuno che quell'Eurostar non lo prenderà per andare a far la bella vita. Salirà dritto a Montecitorio, e farà un mazzo a tutti quanti. Basta con gli sprechi! Chi ha regalato più di cento milioni di euro per ripianare il debito al Comune di Catania? E chi è questo Alemanno che per mantenere Roma ne chiede ogni anno cinquecento? Ogni volta che sei stanco e disilluso, carissimo Elmo, ricordati di loro. Ricordati che è per farla finita con gente come loro che tu hai cominciato a votare Lega, e che non smetterai, finché... finché non manderai a Roma, finalmente, un tuo Uomo. 

Un Senatore Leghista, te lo immagini? Certo, i tempi non sembrano ancora maturi, eppure... come si fa a non sognarlo già, questo rude nordista che atterra su Roma Ladrona e la riduce a più miti consigli? A me soprattutto piace immaginarmelo mentre assalta il carrozzone che è la Rai, come un Dio del tuono, un muscoloso Thor che cala il suo martello sulle fiction in costume. Quanti denari buttati via, per ricostruzioni storiche idiote e propagandistiche! Basta! Se vogliono giocare alle principessine e ai cavalieri, che lo facciano coi soldi loro.

Caro Elmo, lo so, tu mi dai del sognatore – ma non sono il solo, e inoltre ho una teoria: ogni rivoluzione è stata un sogno, da piccola. Non resta che sognarla più forte, finché non si avveri. Sarà una questione di anni, forse di decenni, ma un giorno so che ce la farete. La Lega andrà al governo. E l'Italia (pardon, la Federazione Italiana) non sarà più la stessa.
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Il rassegnatore

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Salve, sono l'Insegnante Statale Rassegnato.

Può effettivamente darsi che in un passato più o meno remoto io abbia ricevuto una formazione ideologica, e che la ostenti ancora con gli amici al bar, o in qualche blog che fa tanto alternativo, ma in classe no. Non si fa politica in classe. Neanche in cortile. Neanche nel parcheggio. Neanche a cento metri dal parcheggio. Una volta magari volevo cambiare il mondo, poi a un certo punto è come se il mondo mi abbia detto: Lascia Faccio Io! e abbia cominciato a restringersi, restringersi, al centro di tutto un bilocale più servizi, un unico posto fisso in tutto l'universo: la Cattedra. Ma è una sola! Aggrappati, aggrappati, tutto intorno è caos...
Scusate, non è niente.
Un po' di panico, poi passa.
Salve, sono l'Insegnante Statale Rassegnato e non vorrei fare politica a scuola. Specie in tempo di elezioni, eh no. Io sono un pubblico ufficiale, credo nelle regole, insegno il rispetto per la Costituzione, finché si può, e se da domani si riparte con lo Statuto io insegnerò il rispetto per lo Statuto Albertino. E se dopodomani volete le XII tavole, perché no, viva i classici, ristudiamoci queste XII tavole. Sul serio, non è un problema. Volete che metta gli studenti non ariani in un banco a parte? Basta avvertire, mi mandate una circolare, io lo faccio. Salve, sono l'Insegnante Statale Rassegnato. Sono tuttavia un po' preoccupato per questa cosa dei libri.

È successo che ieri non sono riuscito a entrare in Segreteria perché era ostruita da tre cataste di libri odorosi di tipografia (ah, l'odore della pressa). Si chiamano “Guida alla nuova scuola secondaria superiore”, e sono stati stampati dal Ministero dell'Istruzione. Sono da distribuire a tutti gli studenti di terza media, che l'anno prossimo vanno alle superiori. Dentro è spiegata per filo e per segno tutta la riforma Gelmini. Fantastico, no? Il Ministero che spiega la riforma ai ragazzi con un libro. Che è un regalo. Con dentro tanti schemi e disegnini. In quadricromia – certo, costa un po' di più, ma si tratta di informare sulle nuove scuole, vuoi fare economia su una cosa del genere? Salve, sono l'insegnante Statale Rassegnato.

Quando sono riprese le lezioni in settembre ho spiegato ai miei studenti di terza che era un momento importante per loro, che dovevano scegliere la loro scuola, il loro futuro, era la prima volta che erano chiamati a una scelta del genere.
E loro: “Sì, vabbè. Quali sono le opzioni?”
E io: “Ehm... ancora non si sanno bene, anche perché c'è una riforma in corso, e quindi... può darsi che qualcosa cambi... comunque tra un po' arriverà un bel libretto che stampa tutti gli anni la Provincia, con tutte le scuole e tutti gli orari delle scuole, vedrete...”

A dicembre è arrivata una lettera della Provincia: Caro insegnante, si ricorda quel bel libretto che facevamo tutti gli anni per orientare gli studenti di terza? Ci hanno tagliato i fondi, non lo faremo più. Organizzavamo anche degli incontri. Non li organizzeremo più. In sostanza: si arrangi.

Nel frattempo in tv il mio ministro diceva che la Riforma era pronta. Gli studenti mi chiedevano: Allora, come saranno le scuole il prossimo anno? Io non lo sapevo. Bisogna aspettare che pubblichino la riforma, spiegavo. E loro: ma la Gelmini ha detto che è pronta. E io: sì, ma sul sito non c'è ancora niente, bisogna avere un po' di pazienza, comunque ho una buona notizia: il termine per presentare la domanda è posposto di un mese. Wow. Ma il mese passò in un soffio e la riforma non era ancora pronta. Però sui giornali la Gelmini diceva che era pronta. Ma sul sito non c'era niente. Solo un bel pdf colorato con dei quadri orari che forse erano definitivi e forse no. E il termine fu posposto a un altro mese.

E fu dicembre, e fu gennaio. Vennero i genitori a ritirare le pagelle, ci chiesero insomma, a che scuola superiore devono iscriverci i nostri figli? Perché non ce lo dite? Volete mantenere la suspense fino all'ultimo? “Eppure in tv hanno detto che”... noi non sapevamo cosa dire: non ci era ancora arrivato niente di definitivo. La riforma era sempre in discussione, sospesa da qualche parte tra Camera Senato Consiglio di Stato e quant'altro. Ma la faccia davanti a questo ritardo non ce la mettevano i deputati o i senatori o i consiglieri. Ce la mettevo io.

Alla fine recuperai il vecchio consiglio della Provincia e spiegai a genitori e ragazzi che era il caso di arrangiarsi: dare un'occhiata ai siti delle scuole, chiedere ad amici e conoscenti, fidarsi un po'. Non è proprio il migliore consiglio da dare a chi sta scegliendo il proprio futuro, ma si sa, un insegnante, quando si rassegna, diventa un insegnante di rassegnazione. E gli studenti imparano: all'inizio mordono il freno, fanno i ribelli, ma se il loro adulto di riferimento china la testa, dopo un po' la chinano anche loro, è una questione d'imprintig. Alla fine l'ultima scadenza arrivò, e quasi tutti avevano scelto. Un po' alla cieca, ma chi non è un po' cieco nella vita. Pensate alle case editrici, che hanno stampato centinaia di migliaia di libri di testo per milioni di euro senza sapere quali saranno i programmi dell'anno prossimo. Salve, sono l'insegnante Statale Rassegnato.

Potrei dare la colpa a questo o quello, ma diciamoci la verità: questa è una crisi seria. Una così non l'hanno vista i nostri genitori. I nostri nonni forse, e strinsero la cinghia. Dobbiamo stringerla pure noi. Bisogna tagliare. Anche la scuola? Magari sì, anche la scuola. Troppi insegnanti, troppi bidelli, troppi libri... a proposito di libri.

Proprio il giorno in cui è scaduto il termine, e gli studenti mi hanno consegnato i moduli firmati, le affrettate ipoteche sul loro futuro in un mondo che ogni giorno sembra un poco più difficile; proprio il giorno in cui sono andato a portare i moduli in segreteria, non sono riuscito a passare, perché la porta era ostruita da queste cataste di libri nuovi, odorosi e fragaranti, e mi sono chiesto, cosa sono? Libri nuovi gratis, per chi? Studenti in difficoltà? “Prenda pure, professore, sono da distribuire in terza”. In terza... Costituzioni gratis? Opuscoli sull'Aids, sulla droga, sull'alcolismo? Tante cose ci servirebbero.

Guardo di sfuggita il titolo: Guida alla nuova scuola second... Guida alla nuova scuola secondaria? A fine marzo? Ne apro uno. Lo riconosco dai disegnini: è lo stesso pdf che stava sul sito del Ministero tre mesi fa. Ho pure provato a proiettarlo in classe. Certo, adesso che è stampato potranno tutti sfogliarlo... per la verità internet ce l'hanno tutti ormai, l'indirizzo del sito glielo avevo dato. Però, si sa, l'odore della carta... Salve, sono l'insegnante Statale Rassegnato.

Non insegno matematica, così non ho proprio le idee chiare. Il libro ha 128 pagine in quadricromia. Distribuito gratis a tutti gli studenti di terza media di tutta Italia, quanti sono? Mezzo milione? Quanto hanno speso al Ministero? Per un libro che a settembre magari sarebbe servito, ma ormai... quante cattedre si potevano salvare? Quanti insegnanti precari si potevano salvare? Eh, però non è giusto pensare solo agli insegnanti e mai ai tipografi. Salve. Sono l'insegnante rassegnato.

Domani entrerò in classe e distribuirò ai miei studenti un libro che ho promesso in settembre, che sarebbe servito fino alla settimana scorsa, e che adesso è solo un pacchettino di carta odorosa e inutile. Loro non mi ringrazieranno, i pacchettini di carta negli zainetti pesano.
Forse mi chiederanno: ma perché è arrivato adesso? Ma non è uguale al pdf? Ma a cosa serve ormai? Ma non è un bello spreco? Chi è che butta via i soldi dei nostri genitori così? E io non potrò dir loro niente, perché non mi viene una sola risposta che non sia politica, e la politica no, siamo anche sotto elezioni, la politica no.

Mi piace pensare che in realtà non mi chiederanno niente. Incasseranno il pacchettino, cercheranno se c'è qualche disegno carino da copiare sulla Smemo, saggeranno la carta per capire se ci viene un filtro, ma non mi chiederanno niente. Perché ormai hanno imparato – magari è la sola cosa quest'anno, ma hanno imparato – a rassegnarsi. E l'hanno imparato da me. Salve.
Sono l'insegnante
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