La libera impresa è fichissima
23-07-2010, 11:52auto, economie, famiglie, fiatPermalinkLo Stato Liberale
Nel senso che ti cresce con molta libertà. Ma non ti fa mai mancare niente. Ti ho mai fatto mancare niente?
Tesoro, ti vedo un po' patito, ma mangi?
Dai, prendi ancora un po' di questi contributi alle rottamazioni. Senti, mi han detto che a Termini o Pomigliano ci sono sacche di manodopera a basso costo molto saporite, cosa ne pensi? Se vuoi ti pago il viaggio. Ma sì, anche un po' degli stabilimenti, sei uno di famiglia, non te lo devi dimenticare mai. Sì. Adesso però scusami che io Stato ho da fare, devo bombardare Belgrado per una serie di circostanze controverse.
Mi hanno detto che ti ha mollato la GM. Quella lì non ti meritava, sai, io l'ho sempre detto. Ti sei fatto dare una congrua buonuscita, almeno? Bravo. Adesso sai cosa facciamo? Torni a casa da mamma che ti prepara il tuo piatto preferito, una bella scofanata di incentivi, che lo so che ti piacciono tanto.
Manda giù, manda giù, bravo, bravo. Cocco di mamma.
Ah, senti, volevo dirti una cosa. Stacci un po' attento, con quelle polacche.
Non credere, non siamo mica bacchettoni noi, però... quelle sembra che non pretendano niente, all'inizio, ma poi...
E così è deciso, te ne vai a Belgrado. Eh, beh, è chiaro che lì ti danno tutto quel che vuoi per un pezzo di pane, hanno ancora gli stabilimenti bombardati... Ma no, figurati, è giusto così. E' solo che... sembra ieri che muovevi i primi passettini, mi ricordo il Lingotto, Mirafiori... e adesso te ne vai libero per il mondo. Ma è giusto così, largo ai giovani, benvenuti nel duemila e tutto il resto. Cosa dici?
Vuoi che ti compri la tua nuova macchinina?
Tesoro, ormai sei grande, pensavo che avessi capito.
Sei tanto bello e bravo, ma con le macchinine non ci hai mai saputo fare. Te le compravo perché mi facevi compassione, adesso cerca di farne ai polacchi e ai serbi, perché io qui ho già i miei problemi. Largo ai giovani, dai.
Adesso se non ti spiace, sto cambiando badante, devo fare un'audition a una giovane domenicana che mi pare molto... Ma mi vuoi mollare il braccio o no?
Nel senso che ti cresce con molta libertà. Ma non ti fa mai mancare niente. Ti ho mai fatto mancare niente?
Tesoro, ti vedo un po' patito, ma mangi?
Dai, prendi ancora un po' di questi contributi alle rottamazioni. Senti, mi han detto che a Termini o Pomigliano ci sono sacche di manodopera a basso costo molto saporite, cosa ne pensi? Se vuoi ti pago il viaggio. Ma sì, anche un po' degli stabilimenti, sei uno di famiglia, non te lo devi dimenticare mai. Sì. Adesso però scusami che io Stato ho da fare, devo bombardare Belgrado per una serie di circostanze controverse.
***
Mi hanno detto che ti ha mollato la GM. Quella lì non ti meritava, sai, io l'ho sempre detto. Ti sei fatto dare una congrua buonuscita, almeno? Bravo. Adesso sai cosa facciamo? Torni a casa da mamma che ti prepara il tuo piatto preferito, una bella scofanata di incentivi, che lo so che ti piacciono tanto.
Manda giù, manda giù, bravo, bravo. Cocco di mamma.
Ah, senti, volevo dirti una cosa. Stacci un po' attento, con quelle polacche.
Non credere, non siamo mica bacchettoni noi, però... quelle sembra che non pretendano niente, all'inizio, ma poi...
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E così è deciso, te ne vai a Belgrado. Eh, beh, è chiaro che lì ti danno tutto quel che vuoi per un pezzo di pane, hanno ancora gli stabilimenti bombardati... Ma no, figurati, è giusto così. E' solo che... sembra ieri che muovevi i primi passettini, mi ricordo il Lingotto, Mirafiori... e adesso te ne vai libero per il mondo. Ma è giusto così, largo ai giovani, benvenuti nel duemila e tutto il resto. Cosa dici?
Vuoi che ti compri la tua nuova macchinina?
Tesoro, ormai sei grande, pensavo che avessi capito.
Sei tanto bello e bravo, ma con le macchinine non ci hai mai saputo fare. Te le compravo perché mi facevi compassione, adesso cerca di farne ai polacchi e ai serbi, perché io qui ho già i miei problemi. Largo ai giovani, dai.
Adesso se non ti spiace, sto cambiando badante, devo fare un'audition a una giovane domenicana che mi pare molto... Ma mi vuoi mollare il braccio o no?
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Gli esami (non iniziano mai)
22-07-2010, 11:45scuolaPermalinkLa società dei praticoni
Avrete sentito dire che il Ministero vuole retribuire noi insegnanti in base al merito. Giusto, no? Mmm.
Siccome comunque soldi in più non ce ne sono, il sospetto è che si tratti di mascherare un taglio: invece di ammettere che ci hanno bloccato la paga, diranno che l'hanno aumentata ai più meritevoli, che ovviamente saranno pochi. Ma lasciamo stare. Fingiamo che a porsi il problema non sia questo ministro e questo governo. È giusto pensare di premiare il merito? Secondo me sì. Il problema è come capire quali siano gli insegnanti meritevoli.
Per molti anni si è voluto pensare che il merito c'entrasse con l'esperienza: quindi gli insegnanti maturavano (e maturano) scatti di anzianità. Più uno è anziano, più conosce il mestiere. In fondo è la naturale conseguenza di un certo modo di considerare la pedagogia in Italia. Ovvero, di non considerarla. All'università non si insegna. Poi ci si stupisce che i neolaureati non siano bravi insegnanti, per cui si organizzano corsi post-universitari propedeutici all'insegnamento in cui... non si insegna pedagogia. L'idea è che il neo-prof debba sbarcare nella classe come un alieno sulla terra, senza nulla sapere dei processi di apprendimento dei suoi studenti, e commettere nei primi anni una caterva impressionante di errori che faranno poi di lui, in seguito, con la pratica, un bravo insegnante. Se resiste. Selezione naturale. Di conseguenza, più uno resiste più uno è bravo. Il bravo maestro in Italia è il maestro praticone. Ha un senso.
Però è anche vero che l'esperienza non è tutto. Soprattutto quella che ti fai dai 55 anni in poi: per quanto l'accumuli, il tempo per metterla a frutto si assottiglia sempre più. E comunque c'è gente che arriva incompetente alla pensione, non è vero? Scommetto che ne conoscete tutti qualcuno. Quindi gli scatti di anzianità non vanno bene. Che fare? Il Ministero ci valuterà in base alle prove Invalsi.
Un test a crocette? Vabbe', meglio che niente – no, aspettate. Non somministreranno un questionario a noi. Lo somministreranno ai nostri studenti. All'inizio e alla fine dell'anno. E dalla differenza dei risultati il Ministero capirà se siamo stati bravi. Bravi a fare cosa? A truccare i risultati delle prove Invalsi, per esempio. Persino negli USA, se vincoli lo stipendio di un insegnante ai risultati dei suoi studenti, il risultato che ottieni è una quantità impressionante di insegnanti disonesti. Oddio, disonesti... voi non suggerireste una risposta a uno studente in difficoltà? Neanche se si mette a piangere? Complimenti, siete proprio tosti. Ma neanche se vi tolgono soldi dalla busta paga? Ecco, vedete.
Quindi trufferemo. Perché non dovremmo farlo? Perché siamo i buoni, gli onesti? Non sta scritto da nessuna parte. Oltre a non aver studiato pedagogia, non abbiamo nemmeno frequentato seminari di etica. Da nessuna parte prima di assumerci ci hanno chiesto se abbiamo un forte senso dello Stato e delle istituzioni. Alcuni lo avranno, altri no. Siamo insegnanti, teniamo alla pagnotta come tutti quanti. E in più c'è un altro problema.
Noi le odiamo, le prove Invalsi.
Questo odio, in parte, è giustificato. Qui ho cercato di spiegare il perché: distribuire test a pallini senza fornire le scuole di lettori ottici, significa pretendere che gli insegnanti italiani (età media 55) si trasformino per 12 ore in scanner umani. Ma ho il sospetto che ci sia di più.
Noi odiamo le prove Invalsi in quanto prove. Verifiche.
E a noi le verifiche non piacciono. Siamo convinti che non servano a nulla, con la loro finta oggettività. E infatti gli studenti bravi (quelli che noi abbiamo sempre considerato bravi) a volte le sbagliano. Allora diciamo che si sono emozionati. Invece quelli che non valgono un granché (abbiamo sempre pensato che non valessero un granché) magari le fanno bene. Avranno copiato. Da chi non si sa, visto che i più bravi han sbagliato tutto. Però è impossibile che abbiano capito qualcosa di più degli altri. Come facciamo a saperlo?
Beh, ma è ovvio, li conosciamo. È da anni che stiamo nella stessa aula, sappiamo come si vestono, con chi chiacchierano nel corridoio, cosa ci dicono dietro le spalle – tutto questo significa conoscerli bene.
E poi qualche volta li interroghiamo, e non rispondono come vogliamo. Su questo si basa la scuola italiana: sull'Interrogazione. Un insegnante “che ti conosce” ti fa certe domande e ti valuta per le risposte. È sempre andata così, e funziona bene, no?
No. Non funziona bene per niente. Ma se lo dici rischi di passare per un amico della Gelmini, uno scanner umano. Oltre a saper poco di pedagogia e di etica delle istituzioni, gli insegnanti italiani sono convinti che la valutazione sia un affare del tutto soggettivo. Solo l'insegnante “che ti conosce” può giudicarti. Test a crocette? Non funzioneranno mai. Commissario esterno? Vade retro. In realtà bisognerebbe abolirli proprio, gli esami, perché i ragazzi si emozionano e non danno il loro meglio.
Un mese fa Massimo Gramellini (via Ludik) raccontò la storia (che davvero, sembra inventata), del prof che falsificava la versione di latino agli esami, con tanto di errori commessi appositamente per gli studenti meno meritevoli. Ancor più impressionante della parabola è la reazione dei commentatori. Molti di loro esaltano il prof truffatore come esempio di buon insegnante, che premia i ragazzi perché li conosce davvero, e combatte la sua lotta segreta contro le meccaniche spietate del sistema educativo, i cosiddetti 'esami'. Sono tutti convinti che il prof distribuisse le soluzioni per combattere contro il fattore emotivo. A nessuno viene in mente un'altra semplicissima ipotesi: che quel prof avesse paura. Paura di cosa? Degli esami, anche lui.
Paura di non risultare davvero un buon maestro, malgrado l'esperienza e il rispetto che aveva accumulato. Paura di non esser riuscito a ottenere risultati concreti. E quindi costretto a falsificarli. C'è sempre un nobile motivo per farlo. L'emotività. Dobbiamo combattere l'emotività. E poi in estate fa caldo, come si può pretendere che i nostri studenti traducano Seneca col caldo? Ma io li conosco, li ho visti su Seneca in inverno, garantisco che eran bravi. Del resto gliel'ho spiegato io, che sono un bravo insegnante. Chi ha deciso che sono un bravo insegnante? Ma i miei studenti, i colleghi, i genitori, tutti ne sono convinti...
Il paradosso della scuola italiana è tutto qui: chi ci lavora non crede negli esami. Sono soltanto ostacoli. Se la Gelmini ce ne mette uno in più, faremo il possibile per aggirarlo.
Avrete sentito dire che il Ministero vuole retribuire noi insegnanti in base al merito. Giusto, no? Mmm.
Siccome comunque soldi in più non ce ne sono, il sospetto è che si tratti di mascherare un taglio: invece di ammettere che ci hanno bloccato la paga, diranno che l'hanno aumentata ai più meritevoli, che ovviamente saranno pochi. Ma lasciamo stare. Fingiamo che a porsi il problema non sia questo ministro e questo governo. È giusto pensare di premiare il merito? Secondo me sì. Il problema è come capire quali siano gli insegnanti meritevoli.
Per molti anni si è voluto pensare che il merito c'entrasse con l'esperienza: quindi gli insegnanti maturavano (e maturano) scatti di anzianità. Più uno è anziano, più conosce il mestiere. In fondo è la naturale conseguenza di un certo modo di considerare la pedagogia in Italia. Ovvero, di non considerarla. All'università non si insegna. Poi ci si stupisce che i neolaureati non siano bravi insegnanti, per cui si organizzano corsi post-universitari propedeutici all'insegnamento in cui... non si insegna pedagogia. L'idea è che il neo-prof debba sbarcare nella classe come un alieno sulla terra, senza nulla sapere dei processi di apprendimento dei suoi studenti, e commettere nei primi anni una caterva impressionante di errori che faranno poi di lui, in seguito, con la pratica, un bravo insegnante. Se resiste. Selezione naturale. Di conseguenza, più uno resiste più uno è bravo. Il bravo maestro in Italia è il maestro praticone. Ha un senso.
Però è anche vero che l'esperienza non è tutto. Soprattutto quella che ti fai dai 55 anni in poi: per quanto l'accumuli, il tempo per metterla a frutto si assottiglia sempre più. E comunque c'è gente che arriva incompetente alla pensione, non è vero? Scommetto che ne conoscete tutti qualcuno. Quindi gli scatti di anzianità non vanno bene. Che fare? Il Ministero ci valuterà in base alle prove Invalsi.
Un test a crocette? Vabbe', meglio che niente – no, aspettate. Non somministreranno un questionario a noi. Lo somministreranno ai nostri studenti. All'inizio e alla fine dell'anno. E dalla differenza dei risultati il Ministero capirà se siamo stati bravi. Bravi a fare cosa? A truccare i risultati delle prove Invalsi, per esempio. Persino negli USA, se vincoli lo stipendio di un insegnante ai risultati dei suoi studenti, il risultato che ottieni è una quantità impressionante di insegnanti disonesti. Oddio, disonesti... voi non suggerireste una risposta a uno studente in difficoltà? Neanche se si mette a piangere? Complimenti, siete proprio tosti. Ma neanche se vi tolgono soldi dalla busta paga? Ecco, vedete.
Quindi trufferemo. Perché non dovremmo farlo? Perché siamo i buoni, gli onesti? Non sta scritto da nessuna parte. Oltre a non aver studiato pedagogia, non abbiamo nemmeno frequentato seminari di etica. Da nessuna parte prima di assumerci ci hanno chiesto se abbiamo un forte senso dello Stato e delle istituzioni. Alcuni lo avranno, altri no. Siamo insegnanti, teniamo alla pagnotta come tutti quanti. E in più c'è un altro problema.
Noi le odiamo, le prove Invalsi.
Questo odio, in parte, è giustificato. Qui ho cercato di spiegare il perché: distribuire test a pallini senza fornire le scuole di lettori ottici, significa pretendere che gli insegnanti italiani (età media 55) si trasformino per 12 ore in scanner umani. Ma ho il sospetto che ci sia di più.
Noi odiamo le prove Invalsi in quanto prove. Verifiche.
E a noi le verifiche non piacciono. Siamo convinti che non servano a nulla, con la loro finta oggettività. E infatti gli studenti bravi (quelli che noi abbiamo sempre considerato bravi) a volte le sbagliano. Allora diciamo che si sono emozionati. Invece quelli che non valgono un granché (abbiamo sempre pensato che non valessero un granché) magari le fanno bene. Avranno copiato. Da chi non si sa, visto che i più bravi han sbagliato tutto. Però è impossibile che abbiano capito qualcosa di più degli altri. Come facciamo a saperlo?
Beh, ma è ovvio, li conosciamo. È da anni che stiamo nella stessa aula, sappiamo come si vestono, con chi chiacchierano nel corridoio, cosa ci dicono dietro le spalle – tutto questo significa conoscerli bene.
E poi qualche volta li interroghiamo, e non rispondono come vogliamo. Su questo si basa la scuola italiana: sull'Interrogazione. Un insegnante “che ti conosce” ti fa certe domande e ti valuta per le risposte. È sempre andata così, e funziona bene, no?
No. Non funziona bene per niente. Ma se lo dici rischi di passare per un amico della Gelmini, uno scanner umano. Oltre a saper poco di pedagogia e di etica delle istituzioni, gli insegnanti italiani sono convinti che la valutazione sia un affare del tutto soggettivo. Solo l'insegnante “che ti conosce” può giudicarti. Test a crocette? Non funzioneranno mai. Commissario esterno? Vade retro. In realtà bisognerebbe abolirli proprio, gli esami, perché i ragazzi si emozionano e non danno il loro meglio.
Un mese fa Massimo Gramellini (via Ludik) raccontò la storia (che davvero, sembra inventata), del prof che falsificava la versione di latino agli esami, con tanto di errori commessi appositamente per gli studenti meno meritevoli. Ancor più impressionante della parabola è la reazione dei commentatori. Molti di loro esaltano il prof truffatore come esempio di buon insegnante, che premia i ragazzi perché li conosce davvero, e combatte la sua lotta segreta contro le meccaniche spietate del sistema educativo, i cosiddetti 'esami'. Sono tutti convinti che il prof distribuisse le soluzioni per combattere contro il fattore emotivo. A nessuno viene in mente un'altra semplicissima ipotesi: che quel prof avesse paura. Paura di cosa? Degli esami, anche lui.
Paura di non risultare davvero un buon maestro, malgrado l'esperienza e il rispetto che aveva accumulato. Paura di non esser riuscito a ottenere risultati concreti. E quindi costretto a falsificarli. C'è sempre un nobile motivo per farlo. L'emotività. Dobbiamo combattere l'emotività. E poi in estate fa caldo, come si può pretendere che i nostri studenti traducano Seneca col caldo? Ma io li conosco, li ho visti su Seneca in inverno, garantisco che eran bravi. Del resto gliel'ho spiegato io, che sono un bravo insegnante. Chi ha deciso che sono un bravo insegnante? Ma i miei studenti, i colleghi, i genitori, tutti ne sono convinti...
Il paradosso della scuola italiana è tutto qui: chi ci lavora non crede negli esami. Sono soltanto ostacoli. Se la Gelmini ce ne mette uno in più, faremo il possibile per aggirarlo.
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La Marescialla
20-07-2010, 00:04Il G8 di Genova 2001, manifestaiolismi, telefonatePermalinkUno a zero per te
Ho pensato spesso alla Marescialla in questi ultimi anni; molto più di quanto lei si meritasse.
Quando cominciai a mettere da parte le Dieci Intercettazioni Che Ci Hanno Fatto Sognare, la immaginavo sul podio, forse al primo posto: forse tutta la commedia della classifica era soltanto una morbosa strategia elaborata dalla mia mente per rimetterla sotto i riflettori, lei che c'era stata per così poco.
Poi il buon senso ha preso il sopravvento: in un qualche modo devo essermi reso conto che la Marescialla è un'ossessione soltanto mia; a un certo punto ho voluto accorgermi che in senso tecnico la sua telefonata non è un'intercettazione. Durante i fatti del g8 la questura di Genova stava registrando le comunicazioni tra agenti e centrale operativa. Immagino sia la prassi. Il fatto è che in quei giorni le forze dell'ordine distruggevano le documentazioni fotografiche e filmate; addirittura irruppero nella scuola Pertini e si portarono via i server del Genoa Social Forum. La volontà di riscrivere la storia di quei giorni sembrava evidente. E allora perché non hanno cancellato i nastri della centrale operativa? Perché hanno lasciato che gli avvocati delle vittime acquisissero le comunicazioni dove si attestavano le violenze della polizia, e soprattutto il caos in cui stava operando? Un sussulto di trasparenza, o un altro caso di disorganizzazione? O ancora il risultato di una lotta tra bande, per cui si erano lasciate filtrare soltanto certe comunicazioni, e altre no... non lo sapremo mai, accontentiamoci di quel che abbiamo. La Marescialla, intrappolata nella sua registrazione come un insetto nell'ambra. Un insetto che ride, scherza, esulta per la morte di un ragazzo (ma anche l'esultanza in fondo è parte dello scherzo).
Di lei non sappiamo nient'altro. A Genova ci abitava, il che le impediva di godersi appieno l'esperienza. Temeva (non a torto) che le sfasciassero la macchina. Non era una violenta, non sentiva l'odore della sfida che in quei giorni impregnava le strade. Era contentissima di trovare riparo dietro le "montagne enormi" del Reparto Mobile di Napoli, gente che per calpestare le zecche era venuta da lontano, magari aveva fatto domanda. Lei invece se le era semplicemente trovate sottocasa e sperava che morissero tutte: vasto programma, ma all'alba di sabato poteva trovare promettente il fatto che ne avessero ammazzata già una. Uno a zero per noi, yeh!
Uno a zero per noi, yeh.
Quand'è che l'ascolto di una conversazione più o meno privata, divulgata via internet o tv, si trasforma in compulsione morbosa? Nel mio caso ha a che fare col lettore mp3, con l'idea di infilare una telefonata in un lettore, e poi, a distanza di mesi e di anni, mentre si è in tutt'altre faccende affaccendati, in coda a un semaforo o in palestra, ritrovarsi a tu per tu con la Marescialla che ripete: Uno a zero per noi, yeh. Amica, amica. Speriamo che muoiano tutti. Maledette zecche del cazzo. È l'odio che mi ha lasciato un promemoria, perché mi conosce, sa che sono pigro in tutte le passioni, compreso il rancore: incapace di odiare tanto a lungo, e invece dovrei. A Genova avrei potuto perdere un occhio, o un dente, o un naso: ad altri è successo, che non erano molto più incoscienti di me. Poteva succedermi, e la Marescialla ne avrebbe riso.
Ciao Marescialla. Mi chiedo a volte dove sei in questo momento. Non che abbia la minima importanza. In questi nove anni sarai cresciuta anche tu, come tutti noi (meno uno). Avrai avuto le tue gioie e i tuoi dolori, facile che abbia messo su famiglia, magari proprio con Nicoula. Nel 2007, riascoltando la tua voce su internet, avrai probabilmente avuto pena di te stessa. Non ti sarai voluta riconoscere in quell'allegria, quel sorriso congelato nell'ambra, una smorfia che non ti rappresenta. Tu non sei più così, ormai è come se non lo fossi mai stata. Siamo tutti migliori di come ci intercettano. Ti sarai sentita presa di mira, esposta alla rabbia di milioni di zecche, non più coperta dall'ala protettiva del Repartomobbile, tu che in fondo stavi soltanto dicendo belinate a un collega, come se ne dicono in tutti gli ambienti di lavoro.
Ciao Marescialla, da una zecca del tempo che fu. Uno che non avrebbe mai sfasciato la macchina a nessuno - prima di averti ascoltato: dopo, due bottarelle al tuo cofano le avrebbe assestate volentieri. C'è stato un periodo in cui ti ascoltavo apposta, mi davi la carica. Quando mi sentivo troppo buono, caricavo il tuo nastro e poi ero pronto a dar calci contro il muro. Ma è passata anche quella fase. Alla fine, sai cos'è successo? Che mi sono affezionato. Lo so che c'è gente come te nelle centrali operative di tutti gli abusi di potere del mondo, che si fa quattro risate mentre passa le comunicazioni tra assassini. Però alla fine non ha senso prendersela con te. E poi mi sono accorto che t'invidio.
Non t'invidio l'allegria, né senz'altro il mestiere. T'invidio Genova, che è una città di cui mi sono preso in un modo difficile da spiegare. Forse perché nessun'altra mai mi aveva tenuto fuori, con tanto di transenne e un muro di container: e allora sai come sono i maschi, certe volte s'incapricciano. Ogni tanto mi capita di rivederla alla tv, e mi sembra mia, non so perché. È come certe storie che durano una notte o due, poi ognuno per la sua strada: c'è chi non se ne ricorda più, c'è chi se le tiene dentro per tutta la vita. Genova non si ricorda più di me, lo so, la capisco. Io invece continuo ad ascoltarti perché mi fai pensare a lei. Buona vita Marescialla, e scusa se mi sono preso la tua città per un paio di notti. Ti giuro che mi piaceva, mi piaceva sul serio.
Ho pensato spesso alla Marescialla in questi ultimi anni; molto più di quanto lei si meritasse.
Quando cominciai a mettere da parte le Dieci Intercettazioni Che Ci Hanno Fatto Sognare, la immaginavo sul podio, forse al primo posto: forse tutta la commedia della classifica era soltanto una morbosa strategia elaborata dalla mia mente per rimetterla sotto i riflettori, lei che c'era stata per così poco.
Poi il buon senso ha preso il sopravvento: in un qualche modo devo essermi reso conto che la Marescialla è un'ossessione soltanto mia; a un certo punto ho voluto accorgermi che in senso tecnico la sua telefonata non è un'intercettazione. Durante i fatti del g8 la questura di Genova stava registrando le comunicazioni tra agenti e centrale operativa. Immagino sia la prassi. Il fatto è che in quei giorni le forze dell'ordine distruggevano le documentazioni fotografiche e filmate; addirittura irruppero nella scuola Pertini e si portarono via i server del Genoa Social Forum. La volontà di riscrivere la storia di quei giorni sembrava evidente. E allora perché non hanno cancellato i nastri della centrale operativa? Perché hanno lasciato che gli avvocati delle vittime acquisissero le comunicazioni dove si attestavano le violenze della polizia, e soprattutto il caos in cui stava operando? Un sussulto di trasparenza, o un altro caso di disorganizzazione? O ancora il risultato di una lotta tra bande, per cui si erano lasciate filtrare soltanto certe comunicazioni, e altre no... non lo sapremo mai, accontentiamoci di quel che abbiamo. La Marescialla, intrappolata nella sua registrazione come un insetto nell'ambra. Un insetto che ride, scherza, esulta per la morte di un ragazzo (ma anche l'esultanza in fondo è parte dello scherzo).
Di lei non sappiamo nient'altro. A Genova ci abitava, il che le impediva di godersi appieno l'esperienza. Temeva (non a torto) che le sfasciassero la macchina. Non era una violenta, non sentiva l'odore della sfida che in quei giorni impregnava le strade. Era contentissima di trovare riparo dietro le "montagne enormi" del Reparto Mobile di Napoli, gente che per calpestare le zecche era venuta da lontano, magari aveva fatto domanda. Lei invece se le era semplicemente trovate sottocasa e sperava che morissero tutte: vasto programma, ma all'alba di sabato poteva trovare promettente il fatto che ne avessero ammazzata già una. Uno a zero per noi, yeh!
Uno a zero per noi, yeh.
Quand'è che l'ascolto di una conversazione più o meno privata, divulgata via internet o tv, si trasforma in compulsione morbosa? Nel mio caso ha a che fare col lettore mp3, con l'idea di infilare una telefonata in un lettore, e poi, a distanza di mesi e di anni, mentre si è in tutt'altre faccende affaccendati, in coda a un semaforo o in palestra, ritrovarsi a tu per tu con la Marescialla che ripete: Uno a zero per noi, yeh. Amica, amica. Speriamo che muoiano tutti. Maledette zecche del cazzo. È l'odio che mi ha lasciato un promemoria, perché mi conosce, sa che sono pigro in tutte le passioni, compreso il rancore: incapace di odiare tanto a lungo, e invece dovrei. A Genova avrei potuto perdere un occhio, o un dente, o un naso: ad altri è successo, che non erano molto più incoscienti di me. Poteva succedermi, e la Marescialla ne avrebbe riso.
Ciao Marescialla. Mi chiedo a volte dove sei in questo momento. Non che abbia la minima importanza. In questi nove anni sarai cresciuta anche tu, come tutti noi (meno uno). Avrai avuto le tue gioie e i tuoi dolori, facile che abbia messo su famiglia, magari proprio con Nicoula. Nel 2007, riascoltando la tua voce su internet, avrai probabilmente avuto pena di te stessa. Non ti sarai voluta riconoscere in quell'allegria, quel sorriso congelato nell'ambra, una smorfia che non ti rappresenta. Tu non sei più così, ormai è come se non lo fossi mai stata. Siamo tutti migliori di come ci intercettano. Ti sarai sentita presa di mira, esposta alla rabbia di milioni di zecche, non più coperta dall'ala protettiva del Repartomobbile, tu che in fondo stavi soltanto dicendo belinate a un collega, come se ne dicono in tutti gli ambienti di lavoro.
Ciao Marescialla, da una zecca del tempo che fu. Uno che non avrebbe mai sfasciato la macchina a nessuno - prima di averti ascoltato: dopo, due bottarelle al tuo cofano le avrebbe assestate volentieri. C'è stato un periodo in cui ti ascoltavo apposta, mi davi la carica. Quando mi sentivo troppo buono, caricavo il tuo nastro e poi ero pronto a dar calci contro il muro. Ma è passata anche quella fase. Alla fine, sai cos'è successo? Che mi sono affezionato. Lo so che c'è gente come te nelle centrali operative di tutti gli abusi di potere del mondo, che si fa quattro risate mentre passa le comunicazioni tra assassini. Però alla fine non ha senso prendersela con te. E poi mi sono accorto che t'invidio.
Non t'invidio l'allegria, né senz'altro il mestiere. T'invidio Genova, che è una città di cui mi sono preso in un modo difficile da spiegare. Forse perché nessun'altra mai mi aveva tenuto fuori, con tanto di transenne e un muro di container: e allora sai come sono i maschi, certe volte s'incapricciano. Ogni tanto mi capita di rivederla alla tv, e mi sembra mia, non so perché. È come certe storie che durano una notte o due, poi ognuno per la sua strada: c'è chi non se ne ricorda più, c'è chi se le tiene dentro per tutta la vita. Genova non si ricorda più di me, lo so, la capisco. Io invece continuo ad ascoltarti perché mi fai pensare a lei. Buona vita Marescialla, e scusa se mi sono preso la tua città per un paio di notti. Ti giuro che mi piaceva, mi piaceva sul serio.
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Il blog degli errori
19-07-2010, 11:11blog, ho una teoria, pedofiliePermalink
Sull'Unita.it si parla di abusi satanici rituali. Speriamo bene.
Nei commenti si potrebbero materializzare creature subdole. Le riconoscerete dai quattro puntini di sospensione.
(Nel frattempo Il giustiziere ha aperto un nuovo blog. In bocca al lupo!)
Non aveva idea del guaio in cui si stava cacciando. Quando Stefano Zanetti aprì un blog non poteva certo immaginare che tre anni dopo quella paginetta elettronica sarebbe diventata così importante da meritare un sequestro giudiziario. Aveva cominciato a scrivere on line come facciamo tutti: senza impegno, un po' per gioco, un po' per togliersi dalle scarpe quei sassolini raccolti sul luogo di lavoro. Nel suo caso i sassolini si erano accumulati nelle aule di tribunale: Zanetti, sociologo, lavora in una comunità terapeutica che si occupa di reinserimento dei detenuti.
I guai cominciano nell'estate del 2007, quando gli italiani apprendono sbalorditi che nella cittadina di Rignano Flaminio operava una setta pedofila costituita per lo più da maestre di scuola dell'infanzia, un benzinaio cingalese e un autore televisivo. In tv e sui giornali si parla di filmati e altre prove schiaccianti che inchioderebbero i sospettati: nel frattempo su blog e forum l'indignazione degli utenti prende le forme del linciaggio verbale. L'idea generale è che accuse così gravi non possono essere state inventate: soprattutto se sono basate su testimonianze di bambini, che "non mentono mai".
Zanetti ha un altro parere. Il caso di Rignano gli sembra curiosamente simile a quello scoppiato qualche anno prima in due scuole materne di Brescia, dove dopo un lungo iter giudiziario le maestre indagate erano state tutte prosciolte (l'assoluzione definitiva della Cassazione per tutti gli indagati della scuola Sorelli è arrivata soltanto due mesi fa). Una semplice ricerca su internet lo porta a scoprire il trait d'union tra i due casi: la presenza di un'associazione di “lotta alla pedofilia”, la Prometeo, che aveva offerto un servizio di consulenza ai genitori dei bambini sia a Brescia che a Rignano Flaminio. La Prometeo s'ispira esplicitamente alle teorie del controverso criminologo britannico Ray Wyre, fermamente persuaso dell'esistenza di una lobby pedofila internazionale dedita ad abusi satanici rituali. Per i suoi detrattori Wyre (scomparso nel 2008) ha importato in Gran Bretagna quella psicosi collettiva nota come “Satanic panic” o “satanic ritual abuse hoax” (“la bufala degli abusi satanici rituali”), che negli anni '80 divampò negli USA, provocando lunghissime inchieste che si conclusero sconfessando i teorici del satanismo pedofilo. Fuori dagli USA però la psicosi continua.
Zanetti scopre inoltre che il fondatore e presidente di Prometeo, Massimiliano Frassi, ha un blog, proprio come lui. Anche Frassi lo intende come un luogo di sfogo; salvo che la sua frustrazione è quella di un uomo impegnato in una lotta impari, accerchiato da una lobby mondiale di pedofili decisa a rendere vano ogni suo sforzo. E di conseguenza, nel blog, non va tanto per il sottile, anzi. Testi urlati in caratteri di scatola, spesso ironici (o, per diretta ammissione "cinici"), e immagini tratte dai film dell'orrore (vampiri, zombies, eccetera). Addirittura Frassi non si fa scrupolo a pubblicare le foto di indagati, senza nessuna preoccupazione per la loro privacy, e ad accostare arbitrariamente immagini choc di bambini feriti e abusati, che non sono esibite come prove (né a Brescia né a Rignano Flaminio sono mai state scattate foto del genere), ma sono funzionali a inorridire il lettore, a commuoverlo e infuriarlo. In tanti anni di assidua frequentazione di Internet non mi era mai capitato di vedere foto di bambini lividi e sanguinanti, prima di capitare in questo blog di “lotta alla pedofilia” che mira allo stomaco, più che al cervello del lettore.
Dal 2007 in poi siamo stati tanti ad occuparci del “caso” Frassi, che è anche un esempio di come si può usare il blog come cassa di risonanza: mentre il sito ufficiale dell'associazione Prometeo ha un approccio più diplomatico, il blog di Frassi è definito dal suo stesso autore un “bar”, dove tutto è consentito: immagini choc, l'attacco diretto e indiretto agli avversari, le minacce e gli sfottò, la presunzione di colpevolezza nei confronti di qualsiasi indagato (e anche di alcuni assolti). È il caso delle due suore Orsoline accusate di aver commesso abusi sessuali tra il 1999 e il 2000 in un asilo del bergamasco: anche in quel caso i genitori, prima di sporgere denuncia, si erano avvalsi della consulenza della Prometeo. Condannate in primo grado, le due religiose sono poi state assolte in Appello con formula piena: ma nel blog di Frassi i loro nomi e le loro foto sono ancora archiviate alla voce “Suore Pedofile Bergamo”. Eppure, malgrado i casi di Brescia e Bergamo si siano risolti, dopo molti anni e molte sofferenze, con assoluzioni, Frassi continua a essere invitato a trasmissioni tv in quanto esperto di pedofilia, e a procedere sul doppio binario di serio consulente e di agitatore telematico. Siamo stati in tanti a lanciare l'allarme, ma Zanetti sui blog è stato il primo. Senza di lui ci avremmo messo molto più tempo ad accorgercene. Nel frattempo però il suo blog non c'è più. Un GIP ha ottenuto dal gestore americano (Google) la rimozione (anzi, il “sequestro”) preventivo dell'intero sito, in attesa che sia dimostrato in sede processuale che alcuni suoi articoli offendono la reputazione di Frassi.
In questa storia, per ora, ci perdono tutti. Zanetti ha perso un luogo dove sfogarsi, e la reputazione di Frassi non ha ottenuto alcun miglioramento: i blog che lo criticano per i suoi modi e i suoi metodi sono tanti, e non si possono sequestrare tutti. Io poi ho una teoria: quello più offensivo nei confronti della sua reputazione, quello più urlato, più volgare, quello che contiene le immagini più violente e censurabili... è ancora il suo.
Ritorno del Coccodrillo à Pois
14-07-2010, 12:26coccodrilli, copywrong, giornalistiPermalinkCopiare è ok, ma
In margine al pezzo già lunghissimo di venerdì, alcune osservazioni:
1. Per chi non l'abbia letto (vi capisco): in sintesi, gli articoli 'in memoria' di Lelio Luttazzi pubblicati dai quotidiani all'indomani della sua scomparsa erano tutti troppo simili. Identiche le informazioni (e fin qui non ci sarebbe nulla di male), identiche le imprecisioni, i modi di dire, persino gli errori di ortografia. Si parla di dozzine di organi di informazione. Gran parte riceve dallo Stato i contributi per l'editoria. Gran parte etichetta le sue pagine con la dicitura © riproduzione riservata.
2. La fonte principale degli scopiazzamenti erano due agenzie di stampa. Nei commenti è stato fatto presente che è normale per i quotidiani attingere dalle agenzie; che pagano per farlo: insomma, la riproduzione è “riservata” a loro. Giustissimo. Purtroppo anche le due agenzie sembrano essersi scopiazzate a vicenda. Il problema è alla radice. Se è normale che i giornalisti peschino dalle agenzie, da dove pescano le agenzie?
Nel caso di Luttazzi è a questo livello che è successo un guaio, perché l'agenzia ha diffuso una frase che lasciava intendere che il personaggio non fosse stato completamente scagionato da una “vicenda di droga”. Luttazzi invece da quella vicenda è saltato fuori pulito, malgrado i venti giorni in galera abbiano contribuito ad allontanarlo dai palcoscenici tv. A poche ore dalla sua scomparsa, i quotidiani di tutt'Italia hanno scritto che la vicenda aveva dei contorni “mai chiariti” (???) e che le colpe “non erano tutte sue”. Perché lo avevano letto sull'agenzia. Ma l'agenzia da chi lo aveva saputo? Se n'è accorto DestraLab: la fonte della frase incriminata sarebbe un pezzo di Repubblica del 2003, dove si legge identica (e nello stesso pezzo, finalmente! c'è l'accento giusto su rentrée). Ricapitolando: un quotidiano scrive un'inesattezza, l'agenzia la ricopia, tutti i quotidiani copiano l'agenzia (e hanno il diritto di farlo), Luttazzi viene infamato per l'ennesima volta. Se succedesse a me non sarei contento.
3. Di chi è la colpa? Un'agenzia non è un'enciclopedia: il suo ruolo era quello di dare succintamente la notizia che Luttazzi era morto. Poi, per spiegare chi fosse questo signore, ha aggiunto un profilo biografico: ma siccome non è un'enciclopedia, ha messo insieme informazioni trovate on line alla bell'e meglio, tanto poi i quotidiani le avrebbero vagliate. Ma era già giovedì, e venerdì si scioperava; faceva caldo; di questo tal Luttazzi non si ricordava bene nessuno... insomma, è andata così. Magari di solito va meglio. Magari. Perché poi è inutile lamentarsi che nessuno compra i giornali. Per quale motivo l'utente medio dovrebbe voler spendere per leggere la copia non corretta di qualcosa che è già gratis on line? Qual è il valore aggiunto?
4. Un giornalista che copia così, o ha molta fretta (troppa), oppure è convinto che nessuno se ne accorgerà. Si comporta come se il tasto “cerca” di Google fosse suo esclusivo privilegio, quando ormai sta nella homepage di vecchi e bambini. I giornalisti forse non hanno capito che con internet non cambia soltanto la paginazione, ma anche il rapporto coi lettori. Il lettore del cartaceo ha scelto proprio quel quotidiano, e difficilmente può sfogliarne un altro per accorgersi che i contenuti sono identici. Il lettore via internet ha un approccio diverso. Non necessariamente più intellettuale. Ma provate a pensare agli utenti di youtube. Come si comportano? Quando trovano un video interessante, ne cercano di simili. Se ne trovano uno identico, lo riconoscono subito e cliccano oltre. Non sono intellettuali, sono nonni o bambini, e a volte siamo noi. Su internet ci comportiamo così. Il lettore che trova un articolo interessante su Luttazzi può rimanere incuriosito dalla vicenda e cercarne altri che la illustrino meglio. Ci mette pochi secondi, e ancora meno ad accorgersi che i testi sono simili o identici. Un quotidiano su carta può permettersi di copiare, ma un quotidiano on line che copia così è spacciato.
5. Con un po' di tempo sui quotidiani sono arrivate anche i famosi contenuti di qualità: per esempio l'Unità di sabato aveva un bel ricordo di Fazio. Nel frattempo il Corriere pubblicava questo pezzo di Grasso, che ci dice una cosa interessante: Luttazzi ogni tanto querelava (vincendo) quelli che lo davano ancora per implicato nel famoso scandalo. Avrebbe quindi querelato anche il Corriere di due giorni prima? Ma dunque i quotidiani hanno le risorse per fare informazione di qualità: il problema è che non sono tempestivi, ovvero, non sono abbastanza “quotidiani”. Può anche darsi che lo sciopero di venerdì abbia complicato le cose: in ogni caso il mio quotidiano ideale è quello che a cadavere caldo ha già nel cassetto il pezzo di Grasso. Il caro vecchio coccodrillo, esatto.
6. Se la prendono in tanti col Post perché molti suoi articoli sono semplicemente citazioni da altri organi di stampa: ma al Post non fanno altro che rendere esplicito il meccanismo con cui tutti i quotidiani producono i loro “contenuti”.
7. Il problema non è che i quotidiani copiano. Continueranno a farlo, perché è troppo facile, e l'alternativa (produrre contenuti originali) troppo costosa. Il problema è che il sistema permette la diffusione di notizie incontrollate, come l'infamia su Luttazzi. Quello che vorrei dai quotidiani è il cosiddetto fact-checking: copiate pure le agenzie, ma verificate ogni singola affermazione che fanno (e già che ci siete, sì, anche un controllo all'ortografia). Quando un'informazione non si riesce a verificare (non era certo il caso della fedina penale di Luttazzi), è meglio fare come al Post: citare la fonte.
8. Venerdì citavo Wikipedia. In realtà l'articolo su Luttazzi di su Wikipedia Italia è ben lontano dall'essere perfetto. Non si tratta di allungare la polemica tra contenuti liberi amatoriali (wiki) e contenuti professionali coperti da copyright. Wikipedia per me è soprattutto un metodo. Nei primi anni ci rovesciavamo dentro tutto quello che sapevamo, senza preoccuparci troppo di spiegare perché lo sapevamo, chi ce l'aveva insegnato. Col tempo Wiki ci ha insegnato l'importanza delle fonti. In teoria (ed è una teoria ancora lontana dalla realtà, ma non importa) tutte le informazioni inserite su Wiki dovrebbero rimandare a una fonte. Questo rende a tutt'oggi Wiki una risorsa impagabile: non per i contenuti, che possono essere scarsini, ma per le fonti a cui punta. Per esempio, io non riuscivo a capire come si conciliava la “caduta in disgrazia” di Luttazzi dopo lo scandalo del 1970 col fatto che continuasse a lavorare in Rai fino al 1976. Nessun quotidiano me lo spiegava. Invece nella pagina di discussione su Wiki qualcuno ha spiegato che a partire dal 1970 Luttazzi smise di essere un personaggio tv: il varietà che aveva condotto fino all'anno prima cambiò conduttore. Ma quel che è importante, è che questa affermazione puntava a una fonte: una pagina della Rai con l'organigramma dei varietà dal 1954 al 2006. Ecco, questa è un'informazione verificata. Questa si può copiare.
9. Perché il problema non è copiare. Copiare è ok. Il problema è copiare le cose giuste. Sapere dove trovarle e sapere come verificarle. A quel punto copiare diventa così impegnativo che l'alternativa – produrre contenuti originali – diventa quasi preferibile.
In margine al pezzo già lunghissimo di venerdì, alcune osservazioni:
1. Per chi non l'abbia letto (vi capisco): in sintesi, gli articoli 'in memoria' di Lelio Luttazzi pubblicati dai quotidiani all'indomani della sua scomparsa erano tutti troppo simili. Identiche le informazioni (e fin qui non ci sarebbe nulla di male), identiche le imprecisioni, i modi di dire, persino gli errori di ortografia. Si parla di dozzine di organi di informazione. Gran parte riceve dallo Stato i contributi per l'editoria. Gran parte etichetta le sue pagine con la dicitura © riproduzione riservata.
2. La fonte principale degli scopiazzamenti erano due agenzie di stampa. Nei commenti è stato fatto presente che è normale per i quotidiani attingere dalle agenzie; che pagano per farlo: insomma, la riproduzione è “riservata” a loro. Giustissimo. Purtroppo anche le due agenzie sembrano essersi scopiazzate a vicenda. Il problema è alla radice. Se è normale che i giornalisti peschino dalle agenzie, da dove pescano le agenzie?
Nel caso di Luttazzi è a questo livello che è successo un guaio, perché l'agenzia ha diffuso una frase che lasciava intendere che il personaggio non fosse stato completamente scagionato da una “vicenda di droga”. Luttazzi invece da quella vicenda è saltato fuori pulito, malgrado i venti giorni in galera abbiano contribuito ad allontanarlo dai palcoscenici tv. A poche ore dalla sua scomparsa, i quotidiani di tutt'Italia hanno scritto che la vicenda aveva dei contorni “mai chiariti” (???) e che le colpe “non erano tutte sue”. Perché lo avevano letto sull'agenzia. Ma l'agenzia da chi lo aveva saputo? Se n'è accorto DestraLab: la fonte della frase incriminata sarebbe un pezzo di Repubblica del 2003, dove si legge identica (e nello stesso pezzo, finalmente! c'è l'accento giusto su rentrée). Ricapitolando: un quotidiano scrive un'inesattezza, l'agenzia la ricopia, tutti i quotidiani copiano l'agenzia (e hanno il diritto di farlo), Luttazzi viene infamato per l'ennesima volta. Se succedesse a me non sarei contento.
3. Di chi è la colpa? Un'agenzia non è un'enciclopedia: il suo ruolo era quello di dare succintamente la notizia che Luttazzi era morto. Poi, per spiegare chi fosse questo signore, ha aggiunto un profilo biografico: ma siccome non è un'enciclopedia, ha messo insieme informazioni trovate on line alla bell'e meglio, tanto poi i quotidiani le avrebbero vagliate. Ma era già giovedì, e venerdì si scioperava; faceva caldo; di questo tal Luttazzi non si ricordava bene nessuno... insomma, è andata così. Magari di solito va meglio. Magari. Perché poi è inutile lamentarsi che nessuno compra i giornali. Per quale motivo l'utente medio dovrebbe voler spendere per leggere la copia non corretta di qualcosa che è già gratis on line? Qual è il valore aggiunto?
4. Un giornalista che copia così, o ha molta fretta (troppa), oppure è convinto che nessuno se ne accorgerà. Si comporta come se il tasto “cerca” di Google fosse suo esclusivo privilegio, quando ormai sta nella homepage di vecchi e bambini. I giornalisti forse non hanno capito che con internet non cambia soltanto la paginazione, ma anche il rapporto coi lettori. Il lettore del cartaceo ha scelto proprio quel quotidiano, e difficilmente può sfogliarne un altro per accorgersi che i contenuti sono identici. Il lettore via internet ha un approccio diverso. Non necessariamente più intellettuale. Ma provate a pensare agli utenti di youtube. Come si comportano? Quando trovano un video interessante, ne cercano di simili. Se ne trovano uno identico, lo riconoscono subito e cliccano oltre. Non sono intellettuali, sono nonni o bambini, e a volte siamo noi. Su internet ci comportiamo così. Il lettore che trova un articolo interessante su Luttazzi può rimanere incuriosito dalla vicenda e cercarne altri che la illustrino meglio. Ci mette pochi secondi, e ancora meno ad accorgersi che i testi sono simili o identici. Un quotidiano su carta può permettersi di copiare, ma un quotidiano on line che copia così è spacciato.
5. Con un po' di tempo sui quotidiani sono arrivate anche i famosi contenuti di qualità: per esempio l'Unità di sabato aveva un bel ricordo di Fazio. Nel frattempo il Corriere pubblicava questo pezzo di Grasso, che ci dice una cosa interessante: Luttazzi ogni tanto querelava (vincendo) quelli che lo davano ancora per implicato nel famoso scandalo. Avrebbe quindi querelato anche il Corriere di due giorni prima? Ma dunque i quotidiani hanno le risorse per fare informazione di qualità: il problema è che non sono tempestivi, ovvero, non sono abbastanza “quotidiani”. Può anche darsi che lo sciopero di venerdì abbia complicato le cose: in ogni caso il mio quotidiano ideale è quello che a cadavere caldo ha già nel cassetto il pezzo di Grasso. Il caro vecchio coccodrillo, esatto.
6. Se la prendono in tanti col Post perché molti suoi articoli sono semplicemente citazioni da altri organi di stampa: ma al Post non fanno altro che rendere esplicito il meccanismo con cui tutti i quotidiani producono i loro “contenuti”.
7. Il problema non è che i quotidiani copiano. Continueranno a farlo, perché è troppo facile, e l'alternativa (produrre contenuti originali) troppo costosa. Il problema è che il sistema permette la diffusione di notizie incontrollate, come l'infamia su Luttazzi. Quello che vorrei dai quotidiani è il cosiddetto fact-checking: copiate pure le agenzie, ma verificate ogni singola affermazione che fanno (e già che ci siete, sì, anche un controllo all'ortografia). Quando un'informazione non si riesce a verificare (non era certo il caso della fedina penale di Luttazzi), è meglio fare come al Post: citare la fonte.
8. Venerdì citavo Wikipedia. In realtà l'articolo su Luttazzi di su Wikipedia Italia è ben lontano dall'essere perfetto. Non si tratta di allungare la polemica tra contenuti liberi amatoriali (wiki) e contenuti professionali coperti da copyright. Wikipedia per me è soprattutto un metodo. Nei primi anni ci rovesciavamo dentro tutto quello che sapevamo, senza preoccuparci troppo di spiegare perché lo sapevamo, chi ce l'aveva insegnato. Col tempo Wiki ci ha insegnato l'importanza delle fonti. In teoria (ed è una teoria ancora lontana dalla realtà, ma non importa) tutte le informazioni inserite su Wiki dovrebbero rimandare a una fonte. Questo rende a tutt'oggi Wiki una risorsa impagabile: non per i contenuti, che possono essere scarsini, ma per le fonti a cui punta. Per esempio, io non riuscivo a capire come si conciliava la “caduta in disgrazia” di Luttazzi dopo lo scandalo del 1970 col fatto che continuasse a lavorare in Rai fino al 1976. Nessun quotidiano me lo spiegava. Invece nella pagina di discussione su Wiki qualcuno ha spiegato che a partire dal 1970 Luttazzi smise di essere un personaggio tv: il varietà che aveva condotto fino all'anno prima cambiò conduttore. Ma quel che è importante, è che questa affermazione puntava a una fonte: una pagina della Rai con l'organigramma dei varietà dal 1954 al 2006. Ecco, questa è un'informazione verificata. Questa si può copiare.
9. Perché il problema non è copiare. Copiare è ok. Il problema è copiare le cose giuste. Sapere dove trovarle e sapere come verificarle. A quel punto copiare diventa così impegnativo che l'alternativa – produrre contenuti originali – diventa quasi preferibile.
Comments (15)
Dinasty
12-07-2010, 17:10Berlusconi, ho una teoriaPermalink
Non so voi, ma io mi sarei anche stancato di parlare sempre solo di Berlusconi.
E Berlusconi qui e Berlusconi là, e Berlusconi Berlusconi Berlusconi.
Come se in Italia ci fosse solo lui, come se ci fosse un solo Berlusconi.
Mentre invece
ce ne sono altri cinque.
Ho una teoria #31, è sull'Unità.it, e si commenta lì.
Ci sono cascato un'altra volta. Domenica scorsa mi ero inventato un Berlusconi rinunciatario, disposto a una ritirata strategica sul caso Brancher. La mia, più che un'analisi, era una fantasia proibita, destinata a infrangersi alle luci dell'alba di lunedì. Berlusconi non molla mai, al limite manda al macello i suoi uomini. E questo ci porta a un altro problema. Se Berlusconi non riesce a darsi un limite, nessun altro ormai è in grado di imporglielo. Con un po' di tempo, e un bombardamento mediatico adeguato, SB può venire a capo di qualsiasi avversario o arbitro. Salirà al Quirinale, riscriverà la Costituzione: non ha più limiti, se non quelli che sono imposti a ciascuno di noi dalla natura. In effetti, SB non è più nel fiore degli anni. Questo in teoria dovrebbe provocare convulsioni ai vertici del suo partito, là dove sarebbe più naturale immaginare una lotta tra aspiranti papabili.
Ma come ben sanno le farfalle Fini e Casini, chi si avvicina troppo al ruolo di probabile successore è destinato a bruciarsi le ali. Berlusconi dal canto suo sostiene che grazie ai prodigi di Scapagnini arriverà fino ai 120 anni, o giù di lì: un modo per tranquillizzare i seguaci, che se non fossero abbagliati dall'astro di Arcore non faticherebbero a rendersi conto che dopo di lui c'è il diluvio. Estromesso Fini, chi resta? Solo figure di terzo piano, splendenti di luce riflessa, senza un grano del carisma di SB. Tremonti può piacere a qualche padroncino del nord, ma tagli o tasse lo renderebbero subito impopolare. Al Vaticano piace Casini, ma si è già visto quanto poco valga senza i voti di Berlusconi. Insomma, a tutt'oggi il dopo-Berlusconi è un salto del vuoto. Eppure non si tratta di un'ipotesi così remota. Presto o tardi SB non ci sarà più. Chi ne prenderà il posto? Indovinate un po', ho una teoria (e c'è da sperare che sia sballata come al solito).
Per rispondere alla domanda dobbiamo allargare il quadro. Berlusconi non ci lascia soltanto un'Italia impoverita e ipnotizzata, in mano a una classe dirigente mediocre. Berlusconi ci lascia tutto questo, ma anche un'azienda fiorente, salvata più volte da debiti e processi: il gruppo Mediaset. Forse la chiave di tutto è lì. Perché se invece di guardare la Repubblica Italiana osserviamo Canale5, Mondadori, Publitalia, il Milan... ci rendiamo conto che l'invincibile SB, così restio a mettersi da parte quando si tratta degli interessi nazionali, in realtà dagli affari che più gli stanno a cuore si è ritirato da un pezzo: consapevole, forse, di non avere più la lucidità e la spinta dei suoi anni ruggenti. Quindi Berlusconi sa cedere il potere, quando vuole. E il più delle volte preferisce cederlo ai figli. Perché non dovrebbe succedere la stessa cosa anche in politica?
Berlusconi potrebbe essere ricordato, tra un secolo, come il fondatore di una dinastia. In effetti il culto della personalità su cui è fondato il suo partito ha una sola logica conseguenza: la stessa della Corea del Nord, della Siria o della Repubblica democratica del Congo. Le smentite dei figli contano poco: anche SB negava di voler entrare in politica fino al '94. Il fatto è che l'impero Mediaset non può prosperare senza legislatori e giudici benevolenti, e senza il controllo indiretto del concorrente di Stato. Mediaset cominciò a colonizzare la politica ben prima del '94. È un organismo che sopravviverà a Berlusconi, e lotterà per non cedere i privilegi che ha raggiunto e che sono necessari alla sua sopravvivenza. L'eventuale successore di Berlusconi, insomma, non va cercato nelle opache adunate dei notabili di partito, ma nei consigli d'amministrazione, dove siedono i suoi delfini. Sono giovani, competenti, di bell'aspetto. Ma soprattutto hanno quel cognome che fa tutta la differenza.
L'ipotesi dinastica porta alcune complicazioni. Silvio è uno solo, i figli sono tanti. Alcuni di loro non li conosciamo ancora bene, anche se la stampa ha cercato per quanto possibile di metterli sotto i riflettori, esagerando contrasti che forse non sono nemmeno esistiti. È possibile che essi abbiano piani diversi? In parole povere: potrebbe, all'indomani da un ritiro di SB dalle scene, scoppiare una lotta di successione? Come i soldati inglesi, reduci da cent'anni di guerra in Francia, una volta tornati nella loro isola non trovarono di meglio che organizzare quella faida intestina conosciuta come Guerra delle Due Rose, anche noi italiani, alla scomparsa di SB, dovremo trovare nuovi idoli da appoggiare o da sputacchiare. Gli eredi di Berlusconi appaiono piuttosto adatti alla bisogna. Ognuno di loro sembra incarnare un modello diverso di berlusconità. Non ci resta che scegliere il più adatto alle nostre esigenze. Vediamo.
Maria Elvira, detta Marina
Nata nel 1966, è già succeduta al padre alla presidenza di Fininvest. Se gli subentrasse anche a Palazzo Chigi, entrerebbe nella Storia come prima donna a capo di un governo in Italia (sarebbe anche ora). Si tratta tuttavia di una scelta che lascerebbe freddi molti berlusconiani, e non per una questione di genere. Il fatto è che Marina è il volto che la famiglia ha usato quando si trattava di annunciare notizie impopolari, in primis il ridimensionamento del parco giocatori del Milan. In realtà Marina non è responsabile della cessione di Kakà: ha solo osato dichiarare che “le societa' di calcio non si possono sottrarre alle regole della buona gestione, puntando all'equilibrio costi-ricavi”. Parole di buon senso che però suonano rivoluzionarie in Italia: la Storia del calcio italiano è fatta di squadre foraggiate dai capitani d'industria, incuranti di qualsiasi equilibrio costi-ricavi... compresa quella messa insieme da papà. Se a Silvio succedesse Marina, sarebbe come se alle favole sgargianti degli anni Ottanta subentrasse il principio di realtà, il pareggio del bilancio, l'austerità. Forse, più che Palazzo Chigi, il suo destino è il dicastero dell'Economia.
Pier Silvio
Nato nel 1969, Pier Silvio sembra il naturale successore del padre. A ben vedere già nell'opuscolo distribuito in occasione delle elezioni del 2001 la sua stringatissima biografia virava nella leggenda: (“dopo un terribile incidente stradale alle Bermuda si è ricostruito con lo sport uno straordinario fisico da atleta”). Varcata la soglia dei quarant'anni, PSB sembra incarnare tutto quello che SB non riesce più a essere: un imprenditore di successo, di bell'aspetto, felicemente accompagnato (ma non sposato – del resto i Berlusconi di seconda generazione sembrano allergici al matrimonio). Cosa gli manca per diventare il nuovo sposo mistico dell'Italia? Forse quei piccoli grandi difetti che umanizzano il padre. Certo, non gli si può chiedere di mettersi il cerone o di frequentare donnine allegre. Ma se ogni tanto si facesse scappare qualche barzelletta idiota, ecco, probabilmente l'Italia sarebbe sua. Anche se noi non lo voteremmo, certo. Più facilmente opteremmo per...
Barbara (1984)
Quello di una Barbara antiberlusconiana è un mito (un po' come quello di Veronica Lario che non votava per il marito). Però la politica si fa anche coi miti, specie qui da noi. L'unico indizio appurato è che Barbara non ha dato ai suoi figli i nomi che piacerebbero a Silvio: il che dimostrerebbe un certo anelito all'indipendenza. In fondo, crescendo in una scuola steineriana, deve aver guardato pochissima tv, il che la rende meno berlusconiana di tutti noi. Con un po' di buona volontà possiamo anche immaginare che il suo desiderio di lavorare in Mondadori sia un'implicita critica del modo in cui la sorellastra Marina gestisce il braccio culturale dell'impero. Ci vuole comunque un grande sforzo di fantasia per immaginare la giovane Barbara come una leader dell'opposizione. Ma noi di sinistra siamo capaci di qualsiasi sforzo: se a un certo punto Veltroni voleva arruolare sua madre... e in fondo, se abbiamo creduto in Veltroni...
Eleonora (1986)
Dei cinque eredi è finora quella rimasta meno sotto i riflettori. Quel poco che si sa di lei fa ben sperare: si è appena laureata negli USA, il che significa che (1) ha studiato; (2) ha viaggiato. Forse l'Italia non ha bisogno di un Berlusconi, ma dovendo conviverci, ha assolutamente bisogno di un Berlusconi che parli un inglese non ridicolo. In più, è opinione diffusa che sia impossibile restare berlusconiani dopo un soggiorno di appena qualche mese all'estero. Ma Eleonora potrebbe anche diventare una specie di ambasciatrice della berlusconità nel mondo civile, una Ranja di Giordania de noantri. Potrebbe tornarci molto utile.
Luigi (1988)
Il tratto distintivo dell'ultimogenito sembra essere una profonda religiosità: non si tratta di una novità in famiglia, ma potrebbe assumere una particolare importanza nel momento in cui il Vaticano rinunciasse a puntare su Casini e al miraggio di una nuova DC che non decolla mai. A quel punto non resterebbe ai porporati che appoggiare il più pio tra i delfini di Silvio, cercando di arruolarlo alle cause che più stanno a cuore alla curia (fondi alle scuole private, antiabortisti nei consultori, no a qualsiasi patto civile, blindatura dell'otto per mille, eccetera).
Ecco qui cinque delfini, cinque probabili protagonisti della politica italiana. Non resta che scegliere. Sono pochi? Sempre meglio di uno solo. E poi si tratta di semplicemente di aspettare la terza generazione: per ora i nipoti sono sei, ma aumenteranno... http://leonardo.blogspot.com
Coccodrillo à pois
09-07-2010, 18:28coccodrilli, copywrong, giornalisti, tvPermalinkE invece sei più cinico di me!
Salve, sono Leonardo, e per molti di voi sono un fenomeno. No, magari per te che stai leggendo in questo momento sono solo un poveretto, ma ti garantisco che qui passa gente convinta che io potrei subentrare a Eugenio Scalfari da un momento all'altro, e se non lo faccio è soltanto perché sono troppo timido io, oppure per via che in Italia non c'è la meritocrazia eccetera... Balle. Chi mi conosce veramente lo sa. Io non sarei un bravo editorialista, in effetti non lo sono. La verità è assai più prosaica.
Io ero nato per scrivere i coccodrilli.
Lo sapete cosa sono i coccodrilli, no? Quei pezzi che si scrivono in morte del tal personaggio famoso... quando però il personaggio è ancora in vita. Dove si finge tristezza, quando in realtà ci si sta soltanto portando avanti col lavoro. A dire il vero i miei non sono veri coccodrilli: mi è capitato soltanto una volta di mettermi avanti, e non ne vado fiero. Di solito scrivo a corpo già freddino.
Però non ne sbaglio uno. Personaggi di reality, poeti di neoavanguardia, presentatori senza scrupoli, attori decrepiti, musicisti dimenticati (forse giustamente), fumettisti oscuri, tenori strampalati, ciclisti tossicomani, io riesco a spremere una lacrimuccia per tutti. Sarà che più si diventa vecchi... Ma no, è proprio un dono di natura. Che comunque va esercitato.
Il problema è che di Lelio Luttazzi io so pochissimo, giusto qualche antica canzone e ricordi confusi di repliche in bianco e nero. Le poche cose che so, tra l'altro, non combaciano: da qualche parte ho letto che condusse Hit Parade in radio per tantissimi anni, fino a metà dei '70. Ma da qualche parte ho appreso che proprio nel 1970 fu coinvolto in uno scandalo di droga, e che la sua carriera s'interruppe bruscamente. Eppure non smette di condurre Hit Parade, com'è possibile? La verità è che non ne so niente. In quel periodo ero molto impegnato a venire al mondo.
Comunque non è un problema. Questione di mezza giornata, il tempo che serve alle redazioni per tirare fuori i loro veri coccodrilli, a stamparli e poi metterli on line. Nel giro di poche ore la rete sarà piena di informazioni sulla vita di Lelio Luttazzi, e saranno tutte notizie sicure, messe insieme da giornalisti seri, che hanno avuto il tempo di prepararsi e che possono accedere ad archivi importanti. Meno male che esistono, questi giornalisti. Altrimenti non saremmo mai sicuri di niente. Sarebbe tutto un enorme sentito dire. V'immaginate che caos?
Lascio passare dunque una mezza giornata, e poi consulto il Corriere (Luttazzi m'ispira Corriere, saranno i doppiopetti).
Lelio Luttazzi era nato a Trieste (la «sua» Trieste) il 27 aprile del 1923: aveva compiuto 87 anni. È stato uno dei personaggi di maggior successo della canzone italiana degli anni '50 e '60 ma soprattutto un protagonista della televisione, dell'epoca d'oro di Studio Uno, della radio e del cinema. Tra i primi ad inserire nella canzone italiana le strutture del jazz, un modo di comporre "swingato"...
Vabbè, fin qui ci siamo.
Probabilmente l'apice della popolarità lo ha toccato grazie ad «Hit Parade» uno dei più longevi programmi radiofonici, uno dei primi esempi italiani di trasmissione dedicata alle classifiche trattate con lo spirito del varietà. L'annuncio con il titolo dilatato ('Hiiiiiit Parade!!) come in uno spettacolo di Broadway è rimasto nella memoria del pubblico italiano che seguiva la radio negli anni '60-'70.
Ahimè, non nella mia. Ma quella storia dello scandalo?
...ha visto interrompersi bruscamente la sua parabola artistica quando è rimasto coinvolto in una vicenda di droga dai contorni mai chiariti della quale è risultato in un primo tempo responsabile di colpe che non erano tutte sue. Questo episodio, insieme all'atteggiamento di alcuni colleghi che gli erano più vicini e che certo non lo hanno aiutato in quel momento così difficile, hanno spinto Luttazzi ad una volontà di esilio da quale è uscito soltanto raramente per qualche piccolo spettacolo con alcuni musicisti amici.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Fine dell'articolo. Non dice molto. Notate quante ambiguità: “Contorni mai chiariti”, “colpe che non erano tutte sue” (quindi aveva alcune colpe? Quali?), “alcuni colleghi” (chi?) È il classico pezzo di qualcuno che non ha accesso a informazioni di prima mano e non vuole sbilanciarsi (me ne intendo). Insomma, non è un vero coccodrillo. Non è stato scritto mesi fa, e poi chiuso in un cassetto in attesa che venisse utile. È stato buttato giù in fretta da qualcuno che non aveva tempo per documentarsi.
Cosa pensare? I coccodrilli sono cinici, ma professionali. E se smettono di essere cinici i giornalisti, dove lo trovo io il materiale per fare un pezzo empatico e straziante? Mi sarebbe piaciuto leggere un bel pezzo documentato sulle traversie giudiziarie di Luttazzi, magari piagnucolare un po' sul modo ingiusto in cui si è interrotta la sua carriera. Ma in realtà non sono ancora sicuro che si sia interrotta bruscamente, o in modo ingiusto. Non ne so niente.
Vabbè, mi dico, il Corriere ha bucato. Proviamo la Stampa.
Il maestro e compositore Lelio Luttazzi è morto la scorsa notte nella sua casa, a Trieste. Lo si è appreso dal suo amico e agente, Roberto Podio, portavoce della famiglia. Aveva 87 anni e soffriva da tempo di una neuropatia. È stato uno dei personaggi di maggior successo della canzone italiana degli anni '50 e '60 ma soprattutto un protagonista della televisione, dell'epoca d'oro di Studio Uno, della radio e del cinema. Tra i primi ad inserire nella canzone italiana le strutture del jazz, un modo di comporre 'swingato'...
Ehi ehi, un momento. L'ho già letto, questo pezzo.
...ha visto interrompersi bruscamente la sua parabola artistica quando è rimasto coinvolto in una vicenda di droga dai contorni mai chiariti della quale è risultato in un primo tempo responsabile di colpe che non erano tutte sue. Questo episodio, insieme all' atteggiamento di alcuni colleghi che gli erano più vicini e che certo non lo hanno aiutato in quel momento così difficile, hanno spinto Luttazzi ad una volontà di esilio da quale è uscito soltanto raramente per qualche piccola rentreè con alcuni musicisti amici.
Oddio, qualche differenza c'è: per esempio, nella versione della Stampa al posto di “spettacolo” c'è “rentrée” (con un errore di ortografia, ma passi). Ma al Corriere lo sanno che la Stampa li scopiazza così? E se fosse la Stampa che scopiazza il Corriere? Tanto comunque ne sanno poco entrambi. Che fare?
Proviamo la stampa locale. Una cosa che ho capito è che Luttazzi è nato e morto a Trieste. (La "sua" Trieste). Figurati se al Piccolo non gli hanno preparato un coccodrillo decente...
Lelio Luttazzi era nato a Trieste (la "sua" Trieste)...
No. Anche il Piccolo no.
Ora, io lo so che scrivere profili biografici è molto meno facile di quanto sembri. Mi è capitato di farlo per lavoro, e il mio lavoro consisteva esattamente in questo: scopiazzare informazioni a destra e manca. Però mi hanno insegnato che oltre a copiarle devo cambiarle un po', lavorare di sinonimi, rimescolare la sbobba... sennò non sono più un pubblicista. Non sono neanche più un essere umano, sono un software semantico neanche troppo elaborato. È la seconda volta in due necrologi che leggo “la «sua» Trieste”. È un inciso ridondante, la prima cosa che un essere umano taglierebbe per dissimulare il furto di contenuto. Ma qui non c'è più nessuna umanità, a parte quella che serve a premere ctrl+c e ctrl+v.
L'annuncio con il titolo dilatato ('Hiiiiiit Parade!!) come in uno spettacolo di Broadway è rimasto nella memoria del pubblico italiano che seguiva la radio negli anni '60-'70.
Sì, e anche nella mia: è la terza volta che leggo lo stesso necrologio. Contro questa epidemia di contenuti scadenti non mi resta che usare l'arma finale: Google. Lo faccio anche coi ragazzini che mi portano tutti orgogliosi una ricerca stampata al pc: prendo una frase un po' strana, la virgoletto, la butto su google, e in 0,3 secondi trovo la fonte del copione. Vediamo un po' quanti giornalisti hanno scritto la stessa frase:
329 risultati.
No, aspetta, 329?
Vabbè, non sono tutti giornalisti: molti sono blogger che scopiazzano i contenuti professionali dei giornalisti senza nessun rispetto per la proprietà intellettuale, quei felloni. E tuttavia... Avvenire. Il Sole 24 Ore. Il Mattino. L'Unità, ahimè. Il Corriere Adriatico. Il Velino. Il Gazzettino. Il Giornale. Radio KissKiss. Tgcom. RaiNews24. Il Messaggero. La Gazzetta di Parma. È l'elenco di tutte le testate che non hanno ritenuto nemmeno necessario cambiare il numero di “i” della parola “Hiiiiiit”: si vede che Luttazzi ne pronunciava esattamente sei, né una di più né una di meno. E ancora: il Nuovo Quotidiano di Puglia. Leggo On Line. Agi. Alt! Ho scritto Agi? Forse ci sono, ho trovato la fonte. L'Agi è un'agenzia: fornisce le notizie di prima mano ai quotidiani. Il suo articolo mi pare di averlo già letto una mezza dozzina di volte, ma mancano due elementi che ormai mi sto allenando a riconoscere: la “sua” Trieste e la parola rentrée. A questo punto mi viene la curiosità di guardare la concorrenza, ovvero l'Ansa. Molto interessante:
Lelio Luttazzi era nato a Trieste (la ''sua" Trieste) il 27 aprile del 1923: aveva compiuto 87 anni.
© Copyright ANSA - Tutti i diritti riservati
Bingo!
Dunque forse ho capito: i quotidiani non fanno più i coccodrilli. Quando muore qualche personaggio importante prendono le schede delle agenzie e le pasticciano un po'... però, aspetta.
Tra i primi ad inserire nella canzone italiana le strutture del jazz, un modo di comporre 'swingato'
Questo c'era anche nella scheda dell'Agi, maledizione. Quindi anche le Agenzie si pasticciano le informazioni tra loro?
C'è un altro dettaglio interessante. Nella versione Ansa compare la parola rentrée Ma è scritta in un modo diverso. Comunque sbagliato, ma diverso. Controllo in giro: trovo tre versioni diverse (rentreé, rentree', rentreè). Tutte e tre sbagliate, dannazione – e va bene, il francese è ormai una lingua esotica. Però il dettaglio getta una luce inquietante su tutta la faccenda: questo è un errore di copiatura. Un errore che un ctrl+c e un ctrl+v non potrebbero mai commettere.
Dunque questi non sono pezzi copia-incollati all'ultimo momento. Sono stati scritti a mano. Sbagliare un accento è una prerogativa umana. Insomma: qualcuno ha perso ore e fatica, per ottenere alla fine dei pezzi che sono più o meno scopiazzature reciproche. E se ci sono degli errori, difficilmente li avrà corretti. Al massimo ne ha aggiunti. Questo mi ricorda qualcosa.
Una delle discipline più interessanti che ho studiato da giovane è l'ecdotica. È la scienza – forse è meglio considerarla un'arte – che si occupa di restaurare per quanto possibile le versioni originali dei testi. Specialmente quelli che ci sono stati tramandati lungo il medioevo, quando il software più elaborato era un monaco con pennino tra le mani e neanche un paio d'occhiali decentemente graduati. Questi monaci, non ci credereste, facevano tantissimi errori. Ma era proprio grazie agli errori che si poteva risalire in qualche modo al testo originale. L'idea è che ogni copiatura aumenti il numero di errori contenuti in un testo. Quindi la versione più vicina a quella originale è quella che contiene il minor numero di errori. Insomma, se ci fosse anche una sola versione del coccodrillo di Luttazzi con la parola rentrée scritta correttamente, forse avrei trovato l'originale. Poi ci sono le lectio facilior, le situazioni in cui il copista si trova davanti una parola che non riesce a capire e a copiare, e la sostituisce con una più semplice. È il caso del copista del Corriere, che si è trovato davanti a rentreé o rentreè, ha capito che il rischio di sbagliare accento era altissimo, e ha tagliato la testa al toro scrivendo “spettacolo”. Una lectio facilior che dimostra che il testo del Corriere non è quello originale.
Errori e banalizzazioni permettono di raggruppare le versioni in famiglie. Se cinque manoscritti contengono lo stesso errore, o la stessa lectio facilior, probabilmente derivano da un manoscritto solo, e così via. In questo modo i filologi riescono a costruire l'albero genealogico delle versioni manoscritte dello stesso testo, e a recuperare un'immagine il più possibile precisa di come doveva essere la versione originale.
Ecco, avendo una vita a disposizione mi piacerebbe diventare il filologo di questa roba. Sul serio, mi piacerebbe capire chi ha copiato chi e chi ha aggiunto cosa. L'idea che mi sono fatto è che esistano due coccodrilli originali, entrambi piuttosto reticenti sui trascorsi giudiziari di Luttazzi. Il primo contiene l'urlo di guerra “Hiiiiiit Parade”; l'altro insiste sulla “sua” Trieste e parla di una rentrée. I giornalisti li hanno smontati e rimontati a piacimento, quasi sempre senza usare il copia-incolla automatico. I più scrupolosi hanno aggiunto informazioni prese da altre fonti; alcuni hanno semplicemente giustapposto i due articoli, riscrivendo due volte le stesse informazioni.
A proposito, pare che Luttazzi sia stato incastrato da un'intercettazione telefonica: fu arrestato con Walter Chiari e Franco Califano per detenzione e spaccio. Si fece 27 giorni in prigione, durante i quali Hit Parade fu condotta da Giancarlo Guardabassi. Però poi tornò, completamente scagionato, e continuò a condurla per altri sei anni: insomma, di una carriera troncata di netto non si può parlare. È vero tuttavia che non condusse più “Ieri e oggi” in tv: fu sostituito da Arnoldo Foà. Sapete da dove ho preso queste informazioni, alla fine? Esatto. Wikipedia.
Il bello è che sono le uniche informazioni che avrei potuto copiare e incollare senza temere complicazioni.
Tutti gli altri brani che ho citato sono coperti da copyright.
(Ps: ma chi è il vero re dello swing? Luttazzi batte Arigliano 25.300 a 3.930!)
Salve, sono Leonardo, e per molti di voi sono un fenomeno. No, magari per te che stai leggendo in questo momento sono solo un poveretto, ma ti garantisco che qui passa gente convinta che io potrei subentrare a Eugenio Scalfari da un momento all'altro, e se non lo faccio è soltanto perché sono troppo timido io, oppure per via che in Italia non c'è la meritocrazia eccetera... Balle. Chi mi conosce veramente lo sa. Io non sarei un bravo editorialista, in effetti non lo sono. La verità è assai più prosaica.
Io ero nato per scrivere i coccodrilli.
Lo sapete cosa sono i coccodrilli, no? Quei pezzi che si scrivono in morte del tal personaggio famoso... quando però il personaggio è ancora in vita. Dove si finge tristezza, quando in realtà ci si sta soltanto portando avanti col lavoro. A dire il vero i miei non sono veri coccodrilli: mi è capitato soltanto una volta di mettermi avanti, e non ne vado fiero. Di solito scrivo a corpo già freddino.
Però non ne sbaglio uno. Personaggi di reality, poeti di neoavanguardia, presentatori senza scrupoli, attori decrepiti, musicisti dimenticati (forse giustamente), fumettisti oscuri, tenori strampalati, ciclisti tossicomani, io riesco a spremere una lacrimuccia per tutti. Sarà che più si diventa vecchi... Ma no, è proprio un dono di natura. Che comunque va esercitato.
Il problema è che di Lelio Luttazzi io so pochissimo, giusto qualche antica canzone e ricordi confusi di repliche in bianco e nero. Le poche cose che so, tra l'altro, non combaciano: da qualche parte ho letto che condusse Hit Parade in radio per tantissimi anni, fino a metà dei '70. Ma da qualche parte ho appreso che proprio nel 1970 fu coinvolto in uno scandalo di droga, e che la sua carriera s'interruppe bruscamente. Eppure non smette di condurre Hit Parade, com'è possibile? La verità è che non ne so niente. In quel periodo ero molto impegnato a venire al mondo.
Comunque non è un problema. Questione di mezza giornata, il tempo che serve alle redazioni per tirare fuori i loro veri coccodrilli, a stamparli e poi metterli on line. Nel giro di poche ore la rete sarà piena di informazioni sulla vita di Lelio Luttazzi, e saranno tutte notizie sicure, messe insieme da giornalisti seri, che hanno avuto il tempo di prepararsi e che possono accedere ad archivi importanti. Meno male che esistono, questi giornalisti. Altrimenti non saremmo mai sicuri di niente. Sarebbe tutto un enorme sentito dire. V'immaginate che caos?
Lascio passare dunque una mezza giornata, e poi consulto il Corriere (Luttazzi m'ispira Corriere, saranno i doppiopetti).
Lelio Luttazzi era nato a Trieste (la «sua» Trieste) il 27 aprile del 1923: aveva compiuto 87 anni. È stato uno dei personaggi di maggior successo della canzone italiana degli anni '50 e '60 ma soprattutto un protagonista della televisione, dell'epoca d'oro di Studio Uno, della radio e del cinema. Tra i primi ad inserire nella canzone italiana le strutture del jazz, un modo di comporre "swingato"...
Vabbè, fin qui ci siamo.
Probabilmente l'apice della popolarità lo ha toccato grazie ad «Hit Parade» uno dei più longevi programmi radiofonici, uno dei primi esempi italiani di trasmissione dedicata alle classifiche trattate con lo spirito del varietà. L'annuncio con il titolo dilatato ('Hiiiiiit Parade!!) come in uno spettacolo di Broadway è rimasto nella memoria del pubblico italiano che seguiva la radio negli anni '60-'70.
Ahimè, non nella mia. Ma quella storia dello scandalo?
...ha visto interrompersi bruscamente la sua parabola artistica quando è rimasto coinvolto in una vicenda di droga dai contorni mai chiariti della quale è risultato in un primo tempo responsabile di colpe che non erano tutte sue. Questo episodio, insieme all'atteggiamento di alcuni colleghi che gli erano più vicini e che certo non lo hanno aiutato in quel momento così difficile, hanno spinto Luttazzi ad una volontà di esilio da quale è uscito soltanto raramente per qualche piccolo spettacolo con alcuni musicisti amici.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Fine dell'articolo. Non dice molto. Notate quante ambiguità: “Contorni mai chiariti”, “colpe che non erano tutte sue” (quindi aveva alcune colpe? Quali?), “alcuni colleghi” (chi?) È il classico pezzo di qualcuno che non ha accesso a informazioni di prima mano e non vuole sbilanciarsi (me ne intendo). Insomma, non è un vero coccodrillo. Non è stato scritto mesi fa, e poi chiuso in un cassetto in attesa che venisse utile. È stato buttato giù in fretta da qualcuno che non aveva tempo per documentarsi.
Cosa pensare? I coccodrilli sono cinici, ma professionali. E se smettono di essere cinici i giornalisti, dove lo trovo io il materiale per fare un pezzo empatico e straziante? Mi sarebbe piaciuto leggere un bel pezzo documentato sulle traversie giudiziarie di Luttazzi, magari piagnucolare un po' sul modo ingiusto in cui si è interrotta la sua carriera. Ma in realtà non sono ancora sicuro che si sia interrotta bruscamente, o in modo ingiusto. Non ne so niente.
Vabbè, mi dico, il Corriere ha bucato. Proviamo la Stampa.
Il maestro e compositore Lelio Luttazzi è morto la scorsa notte nella sua casa, a Trieste. Lo si è appreso dal suo amico e agente, Roberto Podio, portavoce della famiglia. Aveva 87 anni e soffriva da tempo di una neuropatia. È stato uno dei personaggi di maggior successo della canzone italiana degli anni '50 e '60 ma soprattutto un protagonista della televisione, dell'epoca d'oro di Studio Uno, della radio e del cinema. Tra i primi ad inserire nella canzone italiana le strutture del jazz, un modo di comporre 'swingato'...
Ehi ehi, un momento. L'ho già letto, questo pezzo.
...ha visto interrompersi bruscamente la sua parabola artistica quando è rimasto coinvolto in una vicenda di droga dai contorni mai chiariti della quale è risultato in un primo tempo responsabile di colpe che non erano tutte sue. Questo episodio, insieme all' atteggiamento di alcuni colleghi che gli erano più vicini e che certo non lo hanno aiutato in quel momento così difficile, hanno spinto Luttazzi ad una volontà di esilio da quale è uscito soltanto raramente per qualche piccola rentreè con alcuni musicisti amici.
Oddio, qualche differenza c'è: per esempio, nella versione della Stampa al posto di “spettacolo” c'è “rentrée” (con un errore di ortografia, ma passi). Ma al Corriere lo sanno che la Stampa li scopiazza così? E se fosse la Stampa che scopiazza il Corriere? Tanto comunque ne sanno poco entrambi. Che fare?
Proviamo la stampa locale. Una cosa che ho capito è che Luttazzi è nato e morto a Trieste. (La "sua" Trieste). Figurati se al Piccolo non gli hanno preparato un coccodrillo decente...
Lelio Luttazzi era nato a Trieste (la "sua" Trieste)...
No. Anche il Piccolo no.
Ora, io lo so che scrivere profili biografici è molto meno facile di quanto sembri. Mi è capitato di farlo per lavoro, e il mio lavoro consisteva esattamente in questo: scopiazzare informazioni a destra e manca. Però mi hanno insegnato che oltre a copiarle devo cambiarle un po', lavorare di sinonimi, rimescolare la sbobba... sennò non sono più un pubblicista. Non sono neanche più un essere umano, sono un software semantico neanche troppo elaborato. È la seconda volta in due necrologi che leggo “la «sua» Trieste”. È un inciso ridondante, la prima cosa che un essere umano taglierebbe per dissimulare il furto di contenuto. Ma qui non c'è più nessuna umanità, a parte quella che serve a premere ctrl+c e ctrl+v.
L'annuncio con il titolo dilatato ('Hiiiiiit Parade!!) come in uno spettacolo di Broadway è rimasto nella memoria del pubblico italiano che seguiva la radio negli anni '60-'70.
Sì, e anche nella mia: è la terza volta che leggo lo stesso necrologio. Contro questa epidemia di contenuti scadenti non mi resta che usare l'arma finale: Google. Lo faccio anche coi ragazzini che mi portano tutti orgogliosi una ricerca stampata al pc: prendo una frase un po' strana, la virgoletto, la butto su google, e in 0,3 secondi trovo la fonte del copione. Vediamo un po' quanti giornalisti hanno scritto la stessa frase:
329 risultati.
No, aspetta, 329?
Vabbè, non sono tutti giornalisti: molti sono blogger che scopiazzano i contenuti professionali dei giornalisti senza nessun rispetto per la proprietà intellettuale, quei felloni. E tuttavia... Avvenire. Il Sole 24 Ore. Il Mattino. L'Unità, ahimè. Il Corriere Adriatico. Il Velino. Il Gazzettino. Il Giornale. Radio KissKiss. Tgcom. RaiNews24. Il Messaggero. La Gazzetta di Parma. È l'elenco di tutte le testate che non hanno ritenuto nemmeno necessario cambiare il numero di “i” della parola “Hiiiiiit”: si vede che Luttazzi ne pronunciava esattamente sei, né una di più né una di meno. E ancora: il Nuovo Quotidiano di Puglia. Leggo On Line. Agi. Alt! Ho scritto Agi? Forse ci sono, ho trovato la fonte. L'Agi è un'agenzia: fornisce le notizie di prima mano ai quotidiani. Il suo articolo mi pare di averlo già letto una mezza dozzina di volte, ma mancano due elementi che ormai mi sto allenando a riconoscere: la “sua” Trieste e la parola rentrée. A questo punto mi viene la curiosità di guardare la concorrenza, ovvero l'Ansa. Molto interessante:
Lelio Luttazzi era nato a Trieste (la ''sua" Trieste) il 27 aprile del 1923: aveva compiuto 87 anni.
© Copyright ANSA - Tutti i diritti riservati
Bingo!
Dunque forse ho capito: i quotidiani non fanno più i coccodrilli. Quando muore qualche personaggio importante prendono le schede delle agenzie e le pasticciano un po'... però, aspetta.
Tra i primi ad inserire nella canzone italiana le strutture del jazz, un modo di comporre 'swingato'
Questo c'era anche nella scheda dell'Agi, maledizione. Quindi anche le Agenzie si pasticciano le informazioni tra loro?
C'è un altro dettaglio interessante. Nella versione Ansa compare la parola rentrée Ma è scritta in un modo diverso. Comunque sbagliato, ma diverso. Controllo in giro: trovo tre versioni diverse (rentreé, rentree', rentreè). Tutte e tre sbagliate, dannazione – e va bene, il francese è ormai una lingua esotica. Però il dettaglio getta una luce inquietante su tutta la faccenda: questo è un errore di copiatura. Un errore che un ctrl+c e un ctrl+v non potrebbero mai commettere.
Dunque questi non sono pezzi copia-incollati all'ultimo momento. Sono stati scritti a mano. Sbagliare un accento è una prerogativa umana. Insomma: qualcuno ha perso ore e fatica, per ottenere alla fine dei pezzi che sono più o meno scopiazzature reciproche. E se ci sono degli errori, difficilmente li avrà corretti. Al massimo ne ha aggiunti. Questo mi ricorda qualcosa.
Una delle discipline più interessanti che ho studiato da giovane è l'ecdotica. È la scienza – forse è meglio considerarla un'arte – che si occupa di restaurare per quanto possibile le versioni originali dei testi. Specialmente quelli che ci sono stati tramandati lungo il medioevo, quando il software più elaborato era un monaco con pennino tra le mani e neanche un paio d'occhiali decentemente graduati. Questi monaci, non ci credereste, facevano tantissimi errori. Ma era proprio grazie agli errori che si poteva risalire in qualche modo al testo originale. L'idea è che ogni copiatura aumenti il numero di errori contenuti in un testo. Quindi la versione più vicina a quella originale è quella che contiene il minor numero di errori. Insomma, se ci fosse anche una sola versione del coccodrillo di Luttazzi con la parola rentrée scritta correttamente, forse avrei trovato l'originale. Poi ci sono le lectio facilior, le situazioni in cui il copista si trova davanti una parola che non riesce a capire e a copiare, e la sostituisce con una più semplice. È il caso del copista del Corriere, che si è trovato davanti a rentreé o rentreè, ha capito che il rischio di sbagliare accento era altissimo, e ha tagliato la testa al toro scrivendo “spettacolo”. Una lectio facilior che dimostra che il testo del Corriere non è quello originale.
Errori e banalizzazioni permettono di raggruppare le versioni in famiglie. Se cinque manoscritti contengono lo stesso errore, o la stessa lectio facilior, probabilmente derivano da un manoscritto solo, e così via. In questo modo i filologi riescono a costruire l'albero genealogico delle versioni manoscritte dello stesso testo, e a recuperare un'immagine il più possibile precisa di come doveva essere la versione originale.
Ecco, avendo una vita a disposizione mi piacerebbe diventare il filologo di questa roba. Sul serio, mi piacerebbe capire chi ha copiato chi e chi ha aggiunto cosa. L'idea che mi sono fatto è che esistano due coccodrilli originali, entrambi piuttosto reticenti sui trascorsi giudiziari di Luttazzi. Il primo contiene l'urlo di guerra “Hiiiiiit Parade”; l'altro insiste sulla “sua” Trieste e parla di una rentrée. I giornalisti li hanno smontati e rimontati a piacimento, quasi sempre senza usare il copia-incolla automatico. I più scrupolosi hanno aggiunto informazioni prese da altre fonti; alcuni hanno semplicemente giustapposto i due articoli, riscrivendo due volte le stesse informazioni.
A proposito, pare che Luttazzi sia stato incastrato da un'intercettazione telefonica: fu arrestato con Walter Chiari e Franco Califano per detenzione e spaccio. Si fece 27 giorni in prigione, durante i quali Hit Parade fu condotta da Giancarlo Guardabassi. Però poi tornò, completamente scagionato, e continuò a condurla per altri sei anni: insomma, di una carriera troncata di netto non si può parlare. È vero tuttavia che non condusse più “Ieri e oggi” in tv: fu sostituito da Arnoldo Foà. Sapete da dove ho preso queste informazioni, alla fine? Esatto. Wikipedia.
Il bello è che sono le uniche informazioni che avrei potuto copiare e incollare senza temere complicazioni.
Tutti gli altri brani che ho citato sono coperti da copyright.
(Ps: ma chi è il vero re dello swing? Luttazzi batte Arigliano 25.300 a 3.930!)
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Sequestraci questo
08-07-2010, 09:18blog, giustizia, pedofiliePermalinkLa settimana scorsa un giudice ha sequestrato un blog. Sì, un sito come questo, ospitato da blogspot, proprio come questo. Non voglio entrare nel merito della questione, non è il tempo né il luogo. Era un bel blog (lo è ancora, da qualche parte nei server di blogger), amatoriale nel senso migliore del termine, con punti di vista interessanti e informazioni difficilmente reperibili altrove. Mi era capitato già di saccheggiarlo tre anni fa, e ora continuo.
Il pezzo che incollo qui è una delle cose più leggibili e serie che si possono trovare on line su un argomento spinoso come la bufala degli abusi rituali satanici. Era apprezzato e linkato da molti altri siti. Adesso quei link finiscono nel nulla. Non lo trovo giusto.
La svolta satanica della Prometeo: RAY WYRE
Dal sito dell'associazione anti-pedofilia Prometeo è possibile leggere l'elenco delle personalità che ne compongono il Comitato Scientifico".
Ad una prima occhiata superficiale, l'elenco può impressionare per l'altisonanza di alcuni titoli che vengono indicati. Bastano tuttavia pochi click su Google per scoprire che "non è tutto oro ciò che luccica".
Concentriamoci ad esempio sul seguente personaggio: RAY WYRE (descritto come "massimo esperto inglese di pedofilia"). Si tratta effettivamente di un conosciuto criminologo britannico che ad oggi offre i propri servizi attraverso la "Ray Wyre Associates" (http://www.raywyre.uk.com/) ed ha in curriculum diverse collaborazioni anche con le istituzioni britanniche.
Orbene, se usciamo per un attimo dal sito ufficiale di Ray (promozionale ed autocelebrativo) e dai molti link che riportano ad occasioni in cui egli ha collaborato con Prometeo ed è intervenuto ai congressi da questa organizzati, e ci avventuriamo invece nel web indipendente, scopriamo qualcosa di molto interessante: Ray Wyre è stato protagonista (negativo) dei celebri "Broxtowe cases", un caso di falsa ritualità satanica avvenuto a Nottingham, e soprattutto egli sembra avere anche il triste ruolo fondamentale di traghettatore nel percorso che ha portato la bufala (o isteria collettiva) degli abusi satanici rituali (Satanic Ritual Abuse hoax, SRA) prima dagli USA in Gran Bretagna, e poi probabilmente dalla Gran Bretagna in Italia, attraverso Massimiliano Frassi e l'Associazione Prometeo.
Offro una sintetica traduzione riassuntiva della vicenda, come tratta direttamente dalle fonti citate in fondo:
PREMESSA - la credenza popolarmente diffusa nell'esistenza degli abusi satanici ritualizzati (SRA) affonda radici in tutta la storia umana, ma esplode nella sua forma attuale nel 1980 negli USA, allorchè subito dopo la pubblicazione del libro "Michelle Remembers" (dimostrato un falso) iniziano a manifestarsi denunce e testimonianze di simili fenomeni, prima mai riferiti. Nasce così il concetto dell'esistenza di estese reti segrete ed intergenerazionali di gruppi di persone dedite all'abuso sessuale, alla tortura ed all'uccisione ritualizzata di bambini. La psicosi si allarga rapidamente negli anni successivi negli USA e porterà ai notissimi casi di Bakersfield nel 1983 e della scuola McMartin a Manhattan Beach nel 1984;
1) nell'ottobre 1987, in Inghilterra a Nottingham 7 bambini provenienti tutti da una estesa famiglia (caratterizzata da gravi problematiche socio-psichiatriche) vengono presi in carico dai servizi sociali per una serie grave di abusi sessuali intrafamiliari (in questo caso adeguatamente provati e confermati dalle indagini mediche, che porteranno poi a condanna dei genitori e degli altri familiari responsabili). Sono i "Broxtowe cases";
2) I 7 bambini vengono assegnati a famiglie affidatarie. Su consiglio degli assistenti sociali, i genitori affidatari iniziano a tenere dei diari delle reminiscenze dei bambini;
3) nel febbraio 1988, RAY WYRE era stato chiamato dal servizio sociale di Nottingham a fornire la propria consulenza sul caso, in particolare ad effettuare una presentazione agli assistenti sociali del servizio ed ai genitori affidatari di quali fossero gli "indicatori" da ricercare con la tecnica del diario;
4) nel frattempo, il giornalista televisivo Tim Tate aveva prodotto un report per la televisione. Tate era un convinto sostenitore dell'esistenza degli SRA e dei network dei satanisti, ed aveva ottenuto da un collega statunitense una lista di "indicatori satanici", che aveva passato a RAY WYRE. Non ci sono dubbi sul fatto che questi fossero gli stessi indicatori che il presunto esperto WYRE presenta ad assistenti sociali e genitori affidatari;
5) poco dopo la trasmissione televisiva del report di Tate e l'intervento di WYRE sugli assistenti sociali e sui genitori affidatari, iniziano a comparire progressivamente nei diari dei bambini dei ricordi di episodi di satanismo, stregoneria, sacrifici umani ed animali, cannibalismo, sangue offerto da bere. Non mancano elementi di manifesta bizzarria, con trasformazione di bambini in rospi, madri che volano su scope, Superman etc. e non mancano neppure le descrizioni degli immancabili tunnel e case in cui avvenivano i rituali.
6) la Polizia locale sembra dare poco credito a questi elementi e a seguito di una breve indagine (Gollom Enquiry) si affermava di non ritenere che alcun rituale satanico fosse esistito nel caso in questione. In tale inchiesta si sottolineava come bambini e genitori si influenzassero a vicenda e come i genitori scambiassero le informazioni durante riunioni bisettimanali. Si crea però una spaccatura con gli operatori del servizio sociale, che presero invece per buona l'ipotesi della presenza di SRA e diedero pieno credito ai ricordi dei bambini, nonostante la loro palese assurdità. Lo stesso ritennero gli esperti WYRE e WEIR ed anche il giudice inquirente.
7) nel giugno 1988 si era ad una situazione di completa spaccatura tra Polizia (che rifiutava di investigare su qualsiasi nuovo fatto emergente dai diari) ed operatori del servizio sociale (che presentavano sempre nuove testimonianze di nuovi abusi che coinvolgevano anche altre persone e altri luoghi). Le amministrazioni locali si accordarono allora per affidare la soluzione della questione ad una nuova task force (Joint Enquiry Team, JET), composta da 2 membri di polizia e 2 operatori sociali, che non avevano avuto fino a quel momento nessun ruolo nel caso e partivano da una posizione neutrale;
8) al termine del 1989, venne consegnato il "Joint Enquiry Report", che escluse categoricamente che fosse mai avvenuta ritualità satanista nel caso Broxtowe. Il report indicava esplicitamente che solo dopo l'intervento di RAY WYRE compaiono nei resoconti dei bambini dei ricordi di altre persone coinvolte nei rituali e di abusi avvenuti in posti diversi dalla casa della famiglia dei bambini. Tra le indicazioni finali del report si leggeva anche che "L'uso delle correnti informazioni sui SRA nei servizi sociali dovrebbe essere fermato immediatamente, in assenza di qualsiasi evidenza empirica a suo sostegno. Le presentazioni che utilizzano questo materiale, che secondo noi non ha validità, dovrebbero anche cessare immediatamente, poichè esso è contagioso". Il report affermava anche che le tecniche di intervista insegnate da WYRE erano fallaci e che le risultanti testimonianze riflettevano in realtà le ossessioni degli assistenti sociali. Questo è ciò che la task force JET concluse a riguardo delle fonti e dei metodi "scientifici" che furono usati dal presunto esperto RAY WYRE.
E DOPO BROXTOWE?
9) I timori del JET si dimostrarono fondati, i loro appelli inascoltati ed il contagio si diffuse, dando luogo a diversi successivi casi di SRA in Gran Bretagna. In particolare, si segnala che breve tempo dopo che RAY WYRE tenne un corso di training di tre giorni per operatori di polizia e dei servizi sociali della città di Pembroke, West Wales, in questa comunità scoppiò il più esteso caso di abuso rituale Multi-victim Multi-offender (MVMO) della storia britannica. Grazie, WYRE.
10) Lo scandalo non sembra aver colpito la carriera dei presunti esperti in esso coinvolti e sia Tate sia WYRE sono comparsi in diversi altri programmi televisivi in cui hanno propagandato idee sulla presenza di cospirazioni sataniste (Tate in seguito ebbe anche guai giustiziari e fu costretto a pagare grossi riscarcimenti per alcune sue dichiarazioni in merito). WYRE prosegue la sua carriera di consulente.
11) Sabato 19 ottobre 2002 l'Associazione Prometeo invita RAY WYRE a Bergamo per una conferenza sulla pedofilia. Mi risulta che sia questa la prima volta che WYRE giunge in Italia (col suo bagaglio di conoscenza sugli "indicatori satanici"), ma su questo punto non è possibile trovare informazioni certe sul web. Non è neanche possibile risalire con esattezza a quando siano avvenuti i primi contatti tra WYRE e Massimiliano Frassi, presidente di Prometeo.
Dal 2002 è comunque ininterrotta la collaborazione scientifica tra Prometeo e WYRE, definito un "maestro" da Frassi, che mi risulta esserne l'unico sponsor in Italia e che ne ha anche curato per primo la traduzione dei libri in italiano.
12) Nei primi mesi del 2003, il processo per i presunti abusi presso le scuole materne di Brescia subisce una improvvisa svolta, con l'estensione alla scuola Sorelli, la moltiplicazione delle accuse raccolte dalle madri attraverso interrogatori improvvisati e utilizzo di diari (!!). Questa fase vede la presenza attiva di una psicologa afferente all'Associazione Prometeo, che opera dalla parte delle famiglie accusanti. In questa fase nasce anche esplicitamente una "pista satanista" per la spiegazione dei presunti abusi di Brescia.
CONCLUSIONI
Tutti gli elementi tipici emersi nei recenti casi di RSA italiani (Brescia, Rignano Flaminio, Vallo della Lucania etc) erano presenti già nel caso Broxtowe (si consiglia la lettura integrale delle fonti sotto citate, poichè le corrispondenze sono davvero impressionanti).
Questi elementi invarianti sono stati importati in Europa da RAY WYRE attraverso la lista statunitense di "indicatori satanici" fornitagli dal giornalista Tate. RAY WYRE e Tate sono considerati responsabili di aver importato e diffuso in Gran Bretagna l'isteria collettiva sulla presenza di abusi rituali satanici.
Fin qui i fatti già documentati sul web e ampiamente indicativi della reputazione del sig. RAY WYRE. A questi fatti, possiamo aggiungere una nuova ipotesi suggerita dai fatti: Massimiliano Frassi e l'Associazione Prometeo potrebbero risultare essere responsabili di aver introdotto in Italia il contagio dell'isteria collettiva sugli abusi satanici rituali, attraverso il tramite della consulenza di RAY WYRE.
RACCOMANDAZIONI
Si conclude ricordando che in molti dei paesi in cui il fenomeno dell'isteria degli abusi rituali satanisti è dilagata a partire dai primi anni '80 (ad es. Stati Uniti ed Inghilterra), attualmente il fenomeno si è del tutto estinto. Purtroppo nel decennio di durata di questo fenomeno (tempo medio approssimativo, prima che la società civile metta in atto opportune risposte all'isteria) tali paesi hanno dovuto marcare un enorme ed assolutamente inutile costo in termini di sofferenza umana (degli onesti ingiustamente accusati, dei bambini irrevocabilmente plagiati, delle famiglie sconvolte, delle comunità spaccate), in termini di vite umane (innocenti suicidati, morti di crepacuore o erroneamente giustiziati) ed anche in termini economici, con costi a carico del sistema giudiziario e sanitario pubblico valutabili nell'ordine dei milioni di euro.
Negli stessi paesi, gli esperti attivi nella diffusione dell'isteria (psicologi, criminologi, operatori di agenzie antipedofilia etc), che hanno prodotto consulenze pubbliche o private a sostegno dell'ipotesi dell'abuso ritualistico pur in mancanza di vere prove, hanno ottenuto invece grande visibilità e realizzato notevoli guadagni economici sotto forma di contributi pubblici e di parcelle professionali.
In molte situazioni estere, il dilagare del fenomeno è stato arrestato non solo mediante l'approvazione di nuove leggi ad hoc, ma anche mediante la messa in stato di accusa e la condanna (penale o professionale) di quegli psicologi, operatori sociali, magistrati che avevano contribuito al dilagare del fenomeno con la propria inadeguatezza tecnica e deontologica.
Si ritiene opportuno e urgente un intervento del Governo Italiano e dell'Autorità Giudiziaria.
Fonti
-----
SITI GENERICI SUL SRA:
http://www.ags.uci.edu/~dehill/witchhunt/
http://www.religioustolerance.org/sra.htm
SUL CASO BROXTOWE-NOTTINGHAM:
http://www.users.globalnet.co.uk/~dlheb/introduc.htm (il report del JET)
Dominique Nephtys
http://www.clogo.org/Archives/ASGL-L/03/0349_1997-06-23.html (articolo del 'Private Eye' magazine(articolo del 'Private Eye' magazine)
SUL CASO PEMBROKE:
http://www.religioustolerance.org/ra_pembr.htm
Il pezzo che incollo qui è una delle cose più leggibili e serie che si possono trovare on line su un argomento spinoso come la bufala degli abusi rituali satanici. Era apprezzato e linkato da molti altri siti. Adesso quei link finiscono nel nulla. Non lo trovo giusto.
La svolta satanica della Prometeo: RAY WYRE
Dal sito dell'associazione anti-pedofilia Prometeo è possibile leggere l'elenco delle personalità che ne compongono il Comitato Scientifico".
Ad una prima occhiata superficiale, l'elenco può impressionare per l'altisonanza di alcuni titoli che vengono indicati. Bastano tuttavia pochi click su Google per scoprire che "non è tutto oro ciò che luccica".
Concentriamoci ad esempio sul seguente personaggio: RAY WYRE (descritto come "massimo esperto inglese di pedofilia"). Si tratta effettivamente di un conosciuto criminologo britannico che ad oggi offre i propri servizi attraverso la "Ray Wyre Associates" (http://www.raywyre.uk.com/) ed ha in curriculum diverse collaborazioni anche con le istituzioni britanniche.
Orbene, se usciamo per un attimo dal sito ufficiale di Ray (promozionale ed autocelebrativo) e dai molti link che riportano ad occasioni in cui egli ha collaborato con Prometeo ed è intervenuto ai congressi da questa organizzati, e ci avventuriamo invece nel web indipendente, scopriamo qualcosa di molto interessante: Ray Wyre è stato protagonista (negativo) dei celebri "Broxtowe cases", un caso di falsa ritualità satanica avvenuto a Nottingham, e soprattutto egli sembra avere anche il triste ruolo fondamentale di traghettatore nel percorso che ha portato la bufala (o isteria collettiva) degli abusi satanici rituali (Satanic Ritual Abuse hoax, SRA) prima dagli USA in Gran Bretagna, e poi probabilmente dalla Gran Bretagna in Italia, attraverso Massimiliano Frassi e l'Associazione Prometeo.
Offro una sintetica traduzione riassuntiva della vicenda, come tratta direttamente dalle fonti citate in fondo:
PREMESSA - la credenza popolarmente diffusa nell'esistenza degli abusi satanici ritualizzati (SRA) affonda radici in tutta la storia umana, ma esplode nella sua forma attuale nel 1980 negli USA, allorchè subito dopo la pubblicazione del libro "Michelle Remembers" (dimostrato un falso) iniziano a manifestarsi denunce e testimonianze di simili fenomeni, prima mai riferiti. Nasce così il concetto dell'esistenza di estese reti segrete ed intergenerazionali di gruppi di persone dedite all'abuso sessuale, alla tortura ed all'uccisione ritualizzata di bambini. La psicosi si allarga rapidamente negli anni successivi negli USA e porterà ai notissimi casi di Bakersfield nel 1983 e della scuola McMartin a Manhattan Beach nel 1984;
1) nell'ottobre 1987, in Inghilterra a Nottingham 7 bambini provenienti tutti da una estesa famiglia (caratterizzata da gravi problematiche socio-psichiatriche) vengono presi in carico dai servizi sociali per una serie grave di abusi sessuali intrafamiliari (in questo caso adeguatamente provati e confermati dalle indagini mediche, che porteranno poi a condanna dei genitori e degli altri familiari responsabili). Sono i "Broxtowe cases";
2) I 7 bambini vengono assegnati a famiglie affidatarie. Su consiglio degli assistenti sociali, i genitori affidatari iniziano a tenere dei diari delle reminiscenze dei bambini;
3) nel febbraio 1988, RAY WYRE era stato chiamato dal servizio sociale di Nottingham a fornire la propria consulenza sul caso, in particolare ad effettuare una presentazione agli assistenti sociali del servizio ed ai genitori affidatari di quali fossero gli "indicatori" da ricercare con la tecnica del diario;
4) nel frattempo, il giornalista televisivo Tim Tate aveva prodotto un report per la televisione. Tate era un convinto sostenitore dell'esistenza degli SRA e dei network dei satanisti, ed aveva ottenuto da un collega statunitense una lista di "indicatori satanici", che aveva passato a RAY WYRE. Non ci sono dubbi sul fatto che questi fossero gli stessi indicatori che il presunto esperto WYRE presenta ad assistenti sociali e genitori affidatari;
5) poco dopo la trasmissione televisiva del report di Tate e l'intervento di WYRE sugli assistenti sociali e sui genitori affidatari, iniziano a comparire progressivamente nei diari dei bambini dei ricordi di episodi di satanismo, stregoneria, sacrifici umani ed animali, cannibalismo, sangue offerto da bere. Non mancano elementi di manifesta bizzarria, con trasformazione di bambini in rospi, madri che volano su scope, Superman etc. e non mancano neppure le descrizioni degli immancabili tunnel e case in cui avvenivano i rituali.
6) la Polizia locale sembra dare poco credito a questi elementi e a seguito di una breve indagine (Gollom Enquiry) si affermava di non ritenere che alcun rituale satanico fosse esistito nel caso in questione. In tale inchiesta si sottolineava come bambini e genitori si influenzassero a vicenda e come i genitori scambiassero le informazioni durante riunioni bisettimanali. Si crea però una spaccatura con gli operatori del servizio sociale, che presero invece per buona l'ipotesi della presenza di SRA e diedero pieno credito ai ricordi dei bambini, nonostante la loro palese assurdità. Lo stesso ritennero gli esperti WYRE e WEIR ed anche il giudice inquirente.
7) nel giugno 1988 si era ad una situazione di completa spaccatura tra Polizia (che rifiutava di investigare su qualsiasi nuovo fatto emergente dai diari) ed operatori del servizio sociale (che presentavano sempre nuove testimonianze di nuovi abusi che coinvolgevano anche altre persone e altri luoghi). Le amministrazioni locali si accordarono allora per affidare la soluzione della questione ad una nuova task force (Joint Enquiry Team, JET), composta da 2 membri di polizia e 2 operatori sociali, che non avevano avuto fino a quel momento nessun ruolo nel caso e partivano da una posizione neutrale;
8) al termine del 1989, venne consegnato il "Joint Enquiry Report", che escluse categoricamente che fosse mai avvenuta ritualità satanista nel caso Broxtowe. Il report indicava esplicitamente che solo dopo l'intervento di RAY WYRE compaiono nei resoconti dei bambini dei ricordi di altre persone coinvolte nei rituali e di abusi avvenuti in posti diversi dalla casa della famiglia dei bambini. Tra le indicazioni finali del report si leggeva anche che "L'uso delle correnti informazioni sui SRA nei servizi sociali dovrebbe essere fermato immediatamente, in assenza di qualsiasi evidenza empirica a suo sostegno. Le presentazioni che utilizzano questo materiale, che secondo noi non ha validità, dovrebbero anche cessare immediatamente, poichè esso è contagioso". Il report affermava anche che le tecniche di intervista insegnate da WYRE erano fallaci e che le risultanti testimonianze riflettevano in realtà le ossessioni degli assistenti sociali. Questo è ciò che la task force JET concluse a riguardo delle fonti e dei metodi "scientifici" che furono usati dal presunto esperto RAY WYRE.
E DOPO BROXTOWE?
9) I timori del JET si dimostrarono fondati, i loro appelli inascoltati ed il contagio si diffuse, dando luogo a diversi successivi casi di SRA in Gran Bretagna. In particolare, si segnala che breve tempo dopo che RAY WYRE tenne un corso di training di tre giorni per operatori di polizia e dei servizi sociali della città di Pembroke, West Wales, in questa comunità scoppiò il più esteso caso di abuso rituale Multi-victim Multi-offender (MVMO) della storia britannica. Grazie, WYRE.
10) Lo scandalo non sembra aver colpito la carriera dei presunti esperti in esso coinvolti e sia Tate sia WYRE sono comparsi in diversi altri programmi televisivi in cui hanno propagandato idee sulla presenza di cospirazioni sataniste (Tate in seguito ebbe anche guai giustiziari e fu costretto a pagare grossi riscarcimenti per alcune sue dichiarazioni in merito). WYRE prosegue la sua carriera di consulente.
11) Sabato 19 ottobre 2002 l'Associazione Prometeo invita RAY WYRE a Bergamo per una conferenza sulla pedofilia. Mi risulta che sia questa la prima volta che WYRE giunge in Italia (col suo bagaglio di conoscenza sugli "indicatori satanici"), ma su questo punto non è possibile trovare informazioni certe sul web. Non è neanche possibile risalire con esattezza a quando siano avvenuti i primi contatti tra WYRE e Massimiliano Frassi, presidente di Prometeo.
Dal 2002 è comunque ininterrotta la collaborazione scientifica tra Prometeo e WYRE, definito un "maestro" da Frassi, che mi risulta esserne l'unico sponsor in Italia e che ne ha anche curato per primo la traduzione dei libri in italiano.
12) Nei primi mesi del 2003, il processo per i presunti abusi presso le scuole materne di Brescia subisce una improvvisa svolta, con l'estensione alla scuola Sorelli, la moltiplicazione delle accuse raccolte dalle madri attraverso interrogatori improvvisati e utilizzo di diari (!!). Questa fase vede la presenza attiva di una psicologa afferente all'Associazione Prometeo, che opera dalla parte delle famiglie accusanti. In questa fase nasce anche esplicitamente una "pista satanista" per la spiegazione dei presunti abusi di Brescia.
CONCLUSIONI
Tutti gli elementi tipici emersi nei recenti casi di RSA italiani (Brescia, Rignano Flaminio, Vallo della Lucania etc) erano presenti già nel caso Broxtowe (si consiglia la lettura integrale delle fonti sotto citate, poichè le corrispondenze sono davvero impressionanti).
Questi elementi invarianti sono stati importati in Europa da RAY WYRE attraverso la lista statunitense di "indicatori satanici" fornitagli dal giornalista Tate. RAY WYRE e Tate sono considerati responsabili di aver importato e diffuso in Gran Bretagna l'isteria collettiva sulla presenza di abusi rituali satanici.
Fin qui i fatti già documentati sul web e ampiamente indicativi della reputazione del sig. RAY WYRE. A questi fatti, possiamo aggiungere una nuova ipotesi suggerita dai fatti: Massimiliano Frassi e l'Associazione Prometeo potrebbero risultare essere responsabili di aver introdotto in Italia il contagio dell'isteria collettiva sugli abusi satanici rituali, attraverso il tramite della consulenza di RAY WYRE.
RACCOMANDAZIONI
Si conclude ricordando che in molti dei paesi in cui il fenomeno dell'isteria degli abusi rituali satanisti è dilagata a partire dai primi anni '80 (ad es. Stati Uniti ed Inghilterra), attualmente il fenomeno si è del tutto estinto. Purtroppo nel decennio di durata di questo fenomeno (tempo medio approssimativo, prima che la società civile metta in atto opportune risposte all'isteria) tali paesi hanno dovuto marcare un enorme ed assolutamente inutile costo in termini di sofferenza umana (degli onesti ingiustamente accusati, dei bambini irrevocabilmente plagiati, delle famiglie sconvolte, delle comunità spaccate), in termini di vite umane (innocenti suicidati, morti di crepacuore o erroneamente giustiziati) ed anche in termini economici, con costi a carico del sistema giudiziario e sanitario pubblico valutabili nell'ordine dei milioni di euro.
Negli stessi paesi, gli esperti attivi nella diffusione dell'isteria (psicologi, criminologi, operatori di agenzie antipedofilia etc), che hanno prodotto consulenze pubbliche o private a sostegno dell'ipotesi dell'abuso ritualistico pur in mancanza di vere prove, hanno ottenuto invece grande visibilità e realizzato notevoli guadagni economici sotto forma di contributi pubblici e di parcelle professionali.
In molte situazioni estere, il dilagare del fenomeno è stato arrestato non solo mediante l'approvazione di nuove leggi ad hoc, ma anche mediante la messa in stato di accusa e la condanna (penale o professionale) di quegli psicologi, operatori sociali, magistrati che avevano contribuito al dilagare del fenomeno con la propria inadeguatezza tecnica e deontologica.
Si ritiene opportuno e urgente un intervento del Governo Italiano e dell'Autorità Giudiziaria.
Fonti
-----
SITI GENERICI SUL SRA:
http://www.ags.uci.edu/~dehill/witchhunt/
http://www.religioustolerance.org/sra.htm
SUL CASO BROXTOWE-NOTTINGHAM:
http://www.users.globalnet.co.uk/~dlheb/introduc.htm (il report del JET)
Dominique Nephtys
http://www.clogo.org/Archives/ASGL-L/03/0349_1997-06-23.html (articolo del 'Private Eye' magazine(articolo del 'Private Eye' magazine)
SUL CASO PEMBROKE:
http://www.religioustolerance.org/ra_pembr.htm
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La Salute Pubblica
05-07-2010, 13:06Berlusconi, cattiva politica, ho una teoria, rivoluzioniPermalink
Io se fossi in Berlusconi non avrei certo paura delle Larghe Intese, anzi.
Non sarebbe certo un governo di Responsabilità Nazionale, a farmi perdere il sonno.
Un inciucio? Macché.
Un papocchio? Pffft.
Io, se fossi in Berlusconi, avrei paura solo di una cosa:
di un Governo di Salute Pubblica. Ecco, di quello sì. (Ho una teoria #30 è on line sull'Unità.it, e si commenta qui in tempo reale. Ci ho messo quattro ore a scriverlo! E dopo quattro ore era già superato! La vita del blogger è fantastica!)
Ma sì. Io, se fossi in Berlusconi, a questo punto andrei in ferie, e che si facciano pure le loro Larghe Intese.
In sostanza giovedì (se io fossi Berlusconi) rischierei di perdere la maggioranza alla Camera. Tutto a causa di un tale Brancher che ho provato a salvare da un processo con un trucco non proprio elegantissimo: l'ho nominato ministro di un qualche cosa che non ricordo nemmeno io. I finiani si sono arrabbiati, ma in realtà stavano soltanto aspettando un pretesto. E in fondo lo stavo aspettando anch'io.
Dunque l'IdV chiederà la sfiducia a Brancher. I democratici voteranno a favore, e probabilmente anche i casiniani e tutti i finiani che non sarò riuscito a comprare nel frattempo – però francamente se io fossi in Berlusconi non perderei né tempo né denaro per acquistare gente che mi può benissimo tradire di nuovo dopodomani. Io se fossi in Berlusconi giovedì andrei sotto, e poi mi dimetterei. Tanto è da mesi che sto pensando di andare alle elezioni anticipate. Se non è marzo è ottobre, che differenza mi fa? Qualche mese di vacanza in più, che in fondo mi meriterei – voglio dire, sono un settantenne che è appena tornato da un lungo viaggio intorno al mondo, sono stanco, non ho il diritto di essere stanco?
Perché io, se fossi Berlusconi, avrei un solo pensiero che non mi fa dormir la notte, e non è certo il destino processuale di quel tal Brancher, o persino del carissimo Dell'Utri. Io, in quanto Berlusconi, vorrei evitare di mettere la firma sulla prossima finanziaria, che sarà molto dura, soprattutto per le regioni del Sud. Che mi ama. Ecco, io posso sopravvivere agli scandali – è una vita che non faccio altro – ma il pensiero di deludere l'amore dei miei elettori è una cosa che davvero non mi farebbe dormire. Se solo potessi davvero far uscire l'Italia dalla crisi con una bacchetta magica – ma non ce l'ho. Tutto quel che ho è un bel sorrisone per dirvi coraggio, è andata, ce l'abbiamo fatta, siamo fuori. Poi però i conti li tiene Tremonti, e in più c'è Bossi che ormai non può più far finta di niente, è da dieci anni che promette il federalismo fiscale e prima o poi il contentino glielo dobbiamo dare. Insomma, se io fossi Berlusconi mi troverei un po' alle strette: da una parte la crisi, dall'altra Bossi, da un'altra ancora gli elettori del Sud, e io in mezzo con nient'altro che il mio solito sorrisone, le mie barzellette del secolo scorso...
A questo punto io (se fossi in Berlusconi) sarei il primo a desiderarle, le Grandi Intese. In pratica è come se il buon Bersani, è come se il caro Enrico Letta mi chiedessero: caro Silvio, ti vediamo un po' affaticato, non è che possiamo toglierti le castagne dal fuoco? Ma prego, accomodatevi. Fatela pure voi la finanziaria: se riuscite a spremere qualche soldo in più di Tremonti sarà un bene per tutti. Persino Bossi sarà contento: andrà a Pontida e dirà che il federalismo fiscale era pronto! Era pronto! Ma poi è andato tutto a rotoli per colpa di quel traditore di Fini... ecco, è fantastico, poi per un paio d'anni non se ne parla più, e poi chissà, magari la crisi finisce. Sarebbe anche ora.
In effetti io, se fossi in Berlusconi, avrei per voi una gran riconoscenza.Tutte le volte che ho perso temporaneamente il polso dell'Italia, voi me l'avete restituita in ottima forma. Addirittura con Prodi siete riusciti a farla entrare nell'Euro, i miei non ce l'avrebbero fatta mai, voi sì. Perché siete fatti così: siete stupidi. Voi pensate prima al bene della nazione, e poi, eventualmente, al vostro. Io faccio l'esatto contrario, e infatti vinco le elezioni. Non tutte: ne vinco una su due, l'altra la pareggio: così ogni cinque anni vi faccio governare un po', mi prendo una vacanza e intanto voi mi mandate su un Prodi o un Padoa Schioppa che mi mettono a posto il bilancio, mi fanno le pulizie in casa, a un prezzo onesto. Il bello è che nel frattempo io sto in villa, mangio, canto, scopo, e faccio abbaiare i miei cani in tv:Cattivo Prodi! Cattivo Padoa Schioppa! Oppressione burocratica! Oppressione fiscale! E dopo un paio d'anni vinco le elezioni anche meglio di prima. È un giochino che va avanti da 15 anni e voi ci cascate ancora. Perché?
Ma l'ho già scritto sopra il perché. Siete stupidi. Mettete sempre il bene dell'Italia davanti al vostro. Se giovedì perdessi la maggioranza e venerdì mi dimettessi, voi sabato stareste già lì a pensare seriamente a questo famoso Governo di Larghe Intese, cioè concretamente a quante poltrone dare a Casini o a Rutelli o a Fini. Son convinto che se Capezzone o Mastella fossero ancora sul mercato, voi imbarchereste pure loro. Gente assolutamente inaffidabile, gente che ha tradito qualsiasi padrone ed è pronto a tradirvi di nuovo dopodomani, e il bello è che lo sapete, ma li imbarchereste lo stesso, e perché? Perché dovete salvare l'Italia a tutti i costi, anche stavolta. Ma da cosa? da chi?
Ecco, il punto è sempre questo. Com'è che ogni tot anni vi ritrovate coinvolti in questa missione mortale, Salvare l'Italia? Ai tempi di Amato, nel '92, bisognava risanare i conti pubblici, o era la fine. Lui e Ciampi ci hanno fatto piangere lacrime e sangue, e poi le elezioni le ho vinte io. Per Prodi bisognava entrare nell'Euro, o era la fine. Ce l'ha fatta. E nell'Euro ci sono entrato io. Insomma, ci vuole così tanto a capire? Vabbe', peggio per voi. Fate pure il vostro governo di responsabilità nazionale. Passate sei mesi a scannarvi, Di Pietro contro Casini contro Vendola contro Fini... Siete così furbi che non mi toglierete nemmeno Minzolini dal tg1. Ve lo farò abbaiare contro per sei mesi: oppressione burocratica! Oppressione fiscale!Ma forse non capirete neanche allora.
C'è stato solo un momento in cui ho avuto davvero paura. Questo famoso governo delle larghe intese, o di responsabilità nazionale, o inciucio o papocchio o come volete chiamarlo, a un certo punto qualcuno a corto di parole lo ha battezzato “governo di salute pubblica”. Ecco, lì ho avuto un brivido. Perché essendo Berlusconi ho fatto studi seri, io, coi salesiani; e quando penso a un comitato di salute pubblica non mi vengono in mente Rutelli o Fini. Piuttosto Robespierre e Saint-Just. Insomma, quella è gente che ha fatto rotolar la testa a migliaia di persone, sempre mettendo davanti l'interesse della nazione (infatti son durati poco anche loro), però insomma, con certe parole bisognerebbe andarci piano.
Ora, finché mi parlate di Larghe Intese io sarei d'accordo. Si tratta di subaffittare momentaneamente Palazzo Chigi, varare una dozzina di leggi impopolari e rifarmi vincere le elezioni al più presto. Ma se mi parlate di Salute Pubblica, ahimè, forse avete capito che c'è un virus da debellare con misure straordinarie. Insomma, avete deciso di sequestrarmi i beni, non fosse altro perché ormai c'è una sentenza che stabilisce che i miei uomini hanno fatto affari con la mafia per decenni: di sequestrarmi Mediaset, commissariarla e arrestarmi per alto tradimento. Ogni tanto me le immagino scene così, sapete? Da quando Marcello mi ha prestato quei diari maledetti, non posso fare a meno di pensarci.
Poi però riapro gli occhi. Sono ancora qui. In tv c'è il carissimo Enrico Letta che propone a Napolitano di mandarmi un po' in vacanza. Non è un caro ragazzo? Mi vede così affaticato e non vede l'ora di salvare un po' l'Italia per conto mio. Adorabile. Siete tutti adorabili. Io davvero non saprei come fare senza di voi.
Se fossi Berlusconi. http://leonardo.blogspot.com
Cattiva Giovanna
02-07-2010, 12:05essere donna oggi, pubblicità, sesso, spotPermalinkGabbia per uccelli
Divento più tollerante ogni giorno che passa. Sarà l'età? Per esempio non ho mai nutrito dubbi sul basso livello dello spot Fernovus Saratoga. Finché non ho scoperto che era stato censurato, anzi, “non censurato, è più esatto dire represso”, dall'Istituto di Autocontrollo Pubblicitario. “Perché erano arrivate molte proteste dal pubblico”. E ancora una volta la mia mente vacilla nel tentativo di immaginare questo pubblico che dopo lo spot Fernovus Saratoga, invece di farsi una risata, scrive lettere all'Istituto di Autocontrollo per annunziare che si sente offeso. O fax. È quel tipo di gente che manda i fax, ci scommetto.
Siccome poi sono sempre i migliori che se ne vanno (è un po' una regola di questo blog, ve ne sarete resi conto) anche lo spot Saratoga, ora che è stato represso, mi sembra molto migliore di come lo dipingevano. Me lo riguardo e lo trovo perfetto, non c'è un'inquadratura che non sia funzionale al risultato finale – sì, c'è un blooper, ma è funzionale persino quello. L'avevo sempre liquidato come un omaggio veramente ritardatario al cinema italiano scollacciato anni '70, ma riguardandolo devo correggermi: è un omaggio al porno, forse anni '80, forse no, non me ne intendo. Quel che ha fatto il regista è stato allestire un set da porno, girare il primo minuto di una scena porno, e poi tagliare. In sé l'idea mi sembra originale e persino... coraggiosa: omaggiare il porno in tv senza esibire il corpo delle donne.
Perché, e questa è la cosa importante (tutto il resto potete saltarlo), lo spot Fernovus Saratoga non esibisce il corpo delle donne. Non lo fa. Forse lo farebbe in Afganistan, in Iran, dipenderà dai contesti. Ma in Italia secondo me no. In Italia la situazione odierna è più o meno rappresentata dagli spot della Tim con la Rodriguez in costume o in bikini, il cui raffinato messaggio più o meno corrisponde a: “Ehi, avete visto che stragnocca è la Rodriguez? Questa sequenza in cui corre in costume al ralenti ve la offre la Tim”. In Italia abbiamo tanga in prima serata, e ci vuole persino impegno per accorgersi del décolleté e della coscia di Giovanna. Ecco, questo spot chiede al suo pubblico un certo tipo di impegno. Il punto di partenza è il porno, ma quello d'arrivo è l'erotismo. Un piccolo passo per l'uomo, un enorme passo per la Saratoga.
Storicamente questa azienda ha sempre avuto un'idea molto chiara di come attirare l'attenzione del suo target: tette. Anche qualche culo, ma in buona sostanza tette. Probabilmente la raffinata associazione mentale col silicone era un invito che nessun pubblicitario poteva rifiutare. Vorrei anche approfittare per dire che questa strategia di buttare lì due tette nello spot che interrompe un Gran Premio era rozza, offensiva nei confronti delle donne, ecc. ecc., ma nella sua totale rozzezza in un certo senso più onesta delle trasgressive campagne di Oliviero Toscani, uno che se gli danno da vendere il cibo per cani e gatti, prende un quintale di modella nuda e ci sbatte sopra le maschere da cani e gatti. Se l'anno prossimo gli daranno lo spray antizanzare, lui se ne uscirà con la maschera delle zanzare, e sarà un'altra geniale e oltraggiosa trovata. Per di più, a parità di sfruttamento del corpo femminile, le donne nude di Toscani sono ben più tristi di quelle Saratoga.
***Qui c'era una foto della campagna di Alma Nature, ma un giorno Google mi ha chiesto di rimuoverla perché non tollera immagini di nudo integrale nei siti che usano google ads.***
Il punto è che mentre Toscani usa il corpo perché non ha mai saputo usare altro, col solito alibi di scandalizzare ecc. ecc., la Saratoga ha in mente un target preciso: gli artigiani. E con gli artigiani le tette funzionano. Potrà dispiacere alle donne, e magari anche a qualche artigiano, però evidentemente le cose stanno così. Però se qualche donna (o qualche artigiano) avesse scritto una letterina per protestare contro uno spot Saratoga a base di tette e culo, io non avrei trovato nulla da eccepire. È giusto pretendere più rispetto, è sensato alzare la soglia dell'intolleranza nei confronti dello sfruttamento del corpo. Il punto è protestare proprio quella volta che la Saratoga aveva provato a fare uno spot senza capezzoli: la prima volta che invece di sbattere un paio di chiappe in faccia ai muratori stava cercando di far funzionare un dispositivo erotico. Che può sembrare ridicolo, ma è sempre meglio di un culo in un box doccia. E invece no, non va bene. Ma a quel punto cosa può andar bene? Sarebbe interessante leggere quelle letterine, capire le motivazioni. È offensivo mostrare una domestica un po' lasciva, o una moglie compiacente? A me sembrano fantasmi maschili, esibiti come tali (la scena è assolutamente irrealistica, girata in un mondo a parte sospeso sul mare). Lo so che c'è del sessismo nel messaggio “è una vernice così facile che può usarla anche una donna senza sporcarsi”, però mi sembra un sessismo innocuo: credo che anche il giorno in cui le donne avranno raggiunto l'assoluta parità continueremo a raccontarci barzellette su donne che non sanno parcheggiare e uomini che non riescono ad accendere la lavatrice. Peraltro l'uomo dello spot (una faccia da culo perfetta, complimenti al casting) ha un ruolo piuttosto passivo: sono le due donne ad avere in mano, oltre al pennello, il controllo della situazione. Il fatto che stiano rimettendo a nuovo una voliera, ovvero una gabbia per uccelli, lo trovo sottilmente inquietante, una metafora da stampa erotica cinese.
C'è poi da tener conto dell'autoironia. Ciao, siamo la Saratoga, quelli che insistono a portare il sesso in ferramenta, ben oltre la soglia del ridicolo. L'autoironia investe anche i clienti, le loro libido cresciute a vhs porno. Ed è oggettivamente divertente: il tormentone Brava Giovanna strappa sempre una risata. Uno spot che invece di mostrarti il culo o 'scandalizzarti', prova ad eccitarti e poi ti fa ridere di te stesso e dei tuoi sogni erotici non è poi così male. L'ironia è una prova di consapevolezza, e quel che definitivamente mi piace dello spot Fernovus è il proprio il suo essere un congegno non raffinato, ma funzionale. Si capisce che dietro c'è un cervello, laddove dietro a molti spot ormai si riesce a immaginare soltanto una stanza piena di scimmie vestite da ex studenti di scienze della comunicazione, che battono i piedi a caso sui loro Mac. Un giorno scriveranno lo spot perfetto: nel frattempo se ne escono con ciofeche inguardabili come la campagna dell'anno scorso di Nastro Azzurro. Dove non c'è un grammo di ironia, né di consapevolezza, né di nulla: si riesce soltanto a immaginare questa scimmie che zompano disperate nella stanza mentre un altoparlante grida parole incomprensibili: “Made in Italy!”, “Design!”, “Azzurro, nel senso di Blu!”, “Opera lirica, nel senso di donne che fanno versi incomprensibili!”, Modelle!”, “Eleganza!” Il risultato finale è la cosa più volgare che mi è mai capitato di vedere su una tv in chiaro. Persino alle tre di notte su Telesanterno potevi trovare delle tipe allusive che mangiavano molto lentamente una banana, ma un facial no, un facial non l'avevo mai visto, e ai creativi della Nastro Azzurro è scappato così, per caso, senza nessun intento parodico o scandalizzatorio: il volto di una modella come carta assorbente, perché no. Sarei curioso di sapere se qualcuno ha protestato all'Istituto di Autocontrollo – direi di no, visto che lo spot è ancora in giro. Mi sembra logico: per capire quanto sia volgare e offensivo questo spot bisogna avere un minimo di cultura pornografica. Ovvero: noi uomini sappiamo offendervi in maniere che voi donne non riuscite nemmeno a immaginare. Quando ve ne renderete conto, forse l'idea di rimettere a nuovo la vecchia gabbia non vi sembrerà così sbagliata.
Quanti Brava Giovanna riesci a guardare senza impazzire? (io sono arrivato a 1:42)
Divento più tollerante ogni giorno che passa. Sarà l'età? Per esempio non ho mai nutrito dubbi sul basso livello dello spot Fernovus Saratoga. Finché non ho scoperto che era stato censurato, anzi, “non censurato, è più esatto dire represso”, dall'Istituto di Autocontrollo Pubblicitario. “Perché erano arrivate molte proteste dal pubblico”. E ancora una volta la mia mente vacilla nel tentativo di immaginare questo pubblico che dopo lo spot Fernovus Saratoga, invece di farsi una risata, scrive lettere all'Istituto di Autocontrollo per annunziare che si sente offeso. O fax. È quel tipo di gente che manda i fax, ci scommetto.
Siccome poi sono sempre i migliori che se ne vanno (è un po' una regola di questo blog, ve ne sarete resi conto) anche lo spot Saratoga, ora che è stato represso, mi sembra molto migliore di come lo dipingevano. Me lo riguardo e lo trovo perfetto, non c'è un'inquadratura che non sia funzionale al risultato finale – sì, c'è un blooper, ma è funzionale persino quello. L'avevo sempre liquidato come un omaggio veramente ritardatario al cinema italiano scollacciato anni '70, ma riguardandolo devo correggermi: è un omaggio al porno, forse anni '80, forse no, non me ne intendo. Quel che ha fatto il regista è stato allestire un set da porno, girare il primo minuto di una scena porno, e poi tagliare. In sé l'idea mi sembra originale e persino... coraggiosa: omaggiare il porno in tv senza esibire il corpo delle donne.
Perché, e questa è la cosa importante (tutto il resto potete saltarlo), lo spot Fernovus Saratoga non esibisce il corpo delle donne. Non lo fa. Forse lo farebbe in Afganistan, in Iran, dipenderà dai contesti. Ma in Italia secondo me no. In Italia la situazione odierna è più o meno rappresentata dagli spot della Tim con la Rodriguez in costume o in bikini, il cui raffinato messaggio più o meno corrisponde a: “Ehi, avete visto che stragnocca è la Rodriguez? Questa sequenza in cui corre in costume al ralenti ve la offre la Tim”. In Italia abbiamo tanga in prima serata, e ci vuole persino impegno per accorgersi del décolleté e della coscia di Giovanna. Ecco, questo spot chiede al suo pubblico un certo tipo di impegno. Il punto di partenza è il porno, ma quello d'arrivo è l'erotismo. Un piccolo passo per l'uomo, un enorme passo per la Saratoga.
Storicamente questa azienda ha sempre avuto un'idea molto chiara di come attirare l'attenzione del suo target: tette. Anche qualche culo, ma in buona sostanza tette. Probabilmente la raffinata associazione mentale col silicone era un invito che nessun pubblicitario poteva rifiutare. Vorrei anche approfittare per dire che questa strategia di buttare lì due tette nello spot che interrompe un Gran Premio era rozza, offensiva nei confronti delle donne, ecc. ecc., ma nella sua totale rozzezza in un certo senso più onesta delle trasgressive campagne di Oliviero Toscani, uno che se gli danno da vendere il cibo per cani e gatti, prende un quintale di modella nuda e ci sbatte sopra le maschere da cani e gatti. Se l'anno prossimo gli daranno lo spray antizanzare, lui se ne uscirà con la maschera delle zanzare, e sarà un'altra geniale e oltraggiosa trovata. Per di più, a parità di sfruttamento del corpo femminile, le donne nude di Toscani sono ben più tristi di quelle Saratoga.
***Qui c'era una foto della campagna di Alma Nature, ma un giorno Google mi ha chiesto di rimuoverla perché non tollera immagini di nudo integrale nei siti che usano google ads.***
Il punto è che mentre Toscani usa il corpo perché non ha mai saputo usare altro, col solito alibi di scandalizzare ecc. ecc., la Saratoga ha in mente un target preciso: gli artigiani. E con gli artigiani le tette funzionano. Potrà dispiacere alle donne, e magari anche a qualche artigiano, però evidentemente le cose stanno così. Però se qualche donna (o qualche artigiano) avesse scritto una letterina per protestare contro uno spot Saratoga a base di tette e culo, io non avrei trovato nulla da eccepire. È giusto pretendere più rispetto, è sensato alzare la soglia dell'intolleranza nei confronti dello sfruttamento del corpo. Il punto è protestare proprio quella volta che la Saratoga aveva provato a fare uno spot senza capezzoli: la prima volta che invece di sbattere un paio di chiappe in faccia ai muratori stava cercando di far funzionare un dispositivo erotico. Che può sembrare ridicolo, ma è sempre meglio di un culo in un box doccia. E invece no, non va bene. Ma a quel punto cosa può andar bene? Sarebbe interessante leggere quelle letterine, capire le motivazioni. È offensivo mostrare una domestica un po' lasciva, o una moglie compiacente? A me sembrano fantasmi maschili, esibiti come tali (la scena è assolutamente irrealistica, girata in un mondo a parte sospeso sul mare). Lo so che c'è del sessismo nel messaggio “è una vernice così facile che può usarla anche una donna senza sporcarsi”, però mi sembra un sessismo innocuo: credo che anche il giorno in cui le donne avranno raggiunto l'assoluta parità continueremo a raccontarci barzellette su donne che non sanno parcheggiare e uomini che non riescono ad accendere la lavatrice. Peraltro l'uomo dello spot (una faccia da culo perfetta, complimenti al casting) ha un ruolo piuttosto passivo: sono le due donne ad avere in mano, oltre al pennello, il controllo della situazione. Il fatto che stiano rimettendo a nuovo una voliera, ovvero una gabbia per uccelli, lo trovo sottilmente inquietante, una metafora da stampa erotica cinese.
C'è poi da tener conto dell'autoironia. Ciao, siamo la Saratoga, quelli che insistono a portare il sesso in ferramenta, ben oltre la soglia del ridicolo. L'autoironia investe anche i clienti, le loro libido cresciute a vhs porno. Ed è oggettivamente divertente: il tormentone Brava Giovanna strappa sempre una risata. Uno spot che invece di mostrarti il culo o 'scandalizzarti', prova ad eccitarti e poi ti fa ridere di te stesso e dei tuoi sogni erotici non è poi così male. L'ironia è una prova di consapevolezza, e quel che definitivamente mi piace dello spot Fernovus è il proprio il suo essere un congegno non raffinato, ma funzionale. Si capisce che dietro c'è un cervello, laddove dietro a molti spot ormai si riesce a immaginare soltanto una stanza piena di scimmie vestite da ex studenti di scienze della comunicazione, che battono i piedi a caso sui loro Mac. Un giorno scriveranno lo spot perfetto: nel frattempo se ne escono con ciofeche inguardabili come la campagna dell'anno scorso di Nastro Azzurro. Dove non c'è un grammo di ironia, né di consapevolezza, né di nulla: si riesce soltanto a immaginare questa scimmie che zompano disperate nella stanza mentre un altoparlante grida parole incomprensibili: “Made in Italy!”, “Design!”, “Azzurro, nel senso di Blu!”, “Opera lirica, nel senso di donne che fanno versi incomprensibili!”, Modelle!”, “Eleganza!” Il risultato finale è la cosa più volgare che mi è mai capitato di vedere su una tv in chiaro. Persino alle tre di notte su Telesanterno potevi trovare delle tipe allusive che mangiavano molto lentamente una banana, ma un facial no, un facial non l'avevo mai visto, e ai creativi della Nastro Azzurro è scappato così, per caso, senza nessun intento parodico o scandalizzatorio: il volto di una modella come carta assorbente, perché no. Sarei curioso di sapere se qualcuno ha protestato all'Istituto di Autocontrollo – direi di no, visto che lo spot è ancora in giro. Mi sembra logico: per capire quanto sia volgare e offensivo questo spot bisogna avere un minimo di cultura pornografica. Ovvero: noi uomini sappiamo offendervi in maniere che voi donne non riuscite nemmeno a immaginare. Quando ve ne renderete conto, forse l'idea di rimettere a nuovo la vecchia gabbia non vi sembrerà così sbagliata.
Quanti Brava Giovanna riesci a guardare senza impazzire? (io sono arrivato a 1:42)
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