Adriano è un Celenterato
24-10-2010, 20:50animali, Gianfranco Fini, ho una teoria, tvPermalink(ATTENZIONE: questo è il pezzo più spocchioso che io abbia mai scritto. Forse è il pezzo più spocchioso che sia mai stato scritto da un essere senziente. Io ve l'ho detto.)
I celenterati sono un tipo di animali acquatici caratterizzati da una struttura molto semplice. In sostanza il loro corpo è un sacco (munito di tentacoli) che all'interno funziona da apparato gastrico. Per far entrare il nutrimento nel sacco, e per espellere ciò che non riescono ad assorbire, i celenterati dispongono di un unico orifizio (insomma, sì, bocca e culo per loro è la stessa cosa). I celenterati ancorati ai fondali si chiamano polipi; quelli che si muovono con le correnti sono chiamati meduse; quello che si muove sui giornali e nella tv italiana si chiama Adriano.
Ho una teoria #46: Adriano è un Celenterato. Si legge sull'unità.it, ovviamente, e si commenta qui.
I celenterati sono un tipo di animali acquatici caratterizzati da una struttura molto semplice. In sostanza il loro corpo è un sacco (munito di tentacoli) che all'interno funziona da apparato gastrico. Per far entrare il nutrimento nel sacco, e per espellere ciò che non riescono ad assorbire, i celenterati dispongono di un unico orifizio (insomma, sì, bocca e culo per loro è la stessa cosa). I celenterati ancorati ai fondali si chiamano polipi; quelli che si muovono con le correnti sono chiamati meduse; quello che si muove sui giornali e nella tv italiana si chiama Adriano.
Ho una teoria #46: Adriano è un Celenterato. Si legge sull'unità.it, ovviamente, e si commenta qui.
L'Homo Celentanus è una forma primitiva di homo televisivus che si diffuse in maniera indisturbata nell'etere tra il pleistocene e la prima metà degli anni Ottanta. Il segreto del suo successo era la sua semplicità: come gli altri esemplari della famiglia dei celenterati (polipi e meduse), i celentani sono in pratica composti da un sacco (in greco celenteron) circondato da tentacoli, che funge da apparato digerente. L'unica apertura nel sacco serve a introiettare il nutrimento e a espellere gli escrementi. Il celenteron ovviamente è uno stomaco primitivo, che può nutrirsi soltanto di informazioni molto semplici, o masticate in precedenza da qualche animale più grosso, come il minzolino o il mimun.
L'analisi delle deiezioni del celentanus è stata croce e delizia di generazioni di tele-zoologi. Se in passato l'animaletto ha goduto dei suoi momenti di sovraesposizione, in cui ci si precipitava ad analizzare qualsiasi schifezza gli uscisse dalla bocca, oggi viceversa si rischia di snobbarlo. Ed è un peccato, perché esso ha ancora qualche cosa da insegnarci. In questo senso il documento pubblicato lunedì scorso dal dottor De Bortoli merita un'analisi meno frettolosa di quelle lette in giro.
Abbiamo spiegato che il celentanus si nutre esclusivamente di informazioni semplici: servizi dei telegiornali e titoli dei quotidiani. Tutto ciò che v'è di più complesso (in pratica il 90% delle informazioni in cui nuotiamo), il celentanus nemmeno lo vede. Egli è immerso nella stessa complessità in cui siamo immersi noi, ma è sensibile soltanto a stimoli estremamente basici e violenti. Per questo noi organismi complessi possiamo ricorrere al celentanus per capire, in tanto caos, quali sono le informazioni che hanno realmente 'forato' l'attenzione anche degli animaletti primitivi. Particolarmente degne d'interesse sono le deiezioni che il celentanus ha dedicato a Gianfranco Fini.
Noi creature complesse a questo punto disponiamo di un'enorme mole di dati riguardo la svolta di Fini. Abbiamo quantità di pareri e contropareri; anche sul caso-Montecarlo, i giornali e internet ci forniscono l'imbarazzo della scelta. Per contro, di tutta questa faccenda, il celentanus ha trattenuto soltanto i cinque minuti di "dignitosissimo" videomessaggio di Fini agli italiani. Senza avere nessuna idea chiara dei motivi che hanno portato Fini alla rottura con Berlusconi; della complessa guerriglia in corso nel centrodestra; dell'intricata vicenda immobiliare, il celentanus ha capito soltanto che il protagonista del video "ha dato l'impressione di essere attualmente l'unico Leader in grado di dialogare e mettere insieme, sulla via della LIBERTÀ e della DEMOCRAZIA, quello che di BUONO c'è, qua e là nei vari movimenti e partiti". La reazione del celentanus ci dà la possibilità di capire come un breve e "dignitoso" videomessaggio sia stato molto più efficace di quaranta giorni di prime pagine strillate sul Giornale. Fini non avrà convinto tutti, ma i celenterati li ha convinti; e non sono pochi.
Altrettanto interessante è la reazione del celentanus al fenomeno "Masi". Nelle ultime settimane noi organismi complessi abbiamo accumulato nei confronti di Masi diverse lagnanze, per come sta gestendo i rapporti con professionisti come Santoro o Fazio, e personaggi popolari come Saviano. A questo punto perfino un organismo semplice come il celentanus capisce che c'è qualcosa che non va. Ma ad attirare la sua attenzione non è, per esempio, la questione dei compensi (troppo complessa), bensì un dettaglio che a molti di noi potrebbe persino essere passato inosservato: gli applausi. Il celentanus stronca violentemente Masi, chiamandolo"DITTATORE generale della Rai" non perché di fatto boicotti i programmi di qualità, ma perché"addirittura vuole selezionare il numero degli applausi imponendo un pericoloso COPRIFUOCO sulle espressioni che deve avere il pubblico in sala". A noi creature complesse di solito i battimani danno fastidio: sono come le sottolineature nei libri dei bambini, servono ad attirare un'attenzione che gli adulti dovrebbero essere in grado di mettere a fuoco da soli. Viceversa, il celentanus ne ha bisogno per capire quello che vede: probabilmente non è in grado di giudicare la validità di un'affermazione non applaudita. Per lui gli applausi sono una questione di vita o di morte, o meglio: di democrazia o dittatura.
Da qui il celentanus parte per cercare di spiegare cos'è per lui la democrazia (tentativo lodevole e perfino commovente, da parte di un sacco gastrico appena provvisto di qualche tentacolo). Democrazia sarebbe dunque una condizione, un regime o per meglio dire un programma, in cui tutti possono applaudire quanto gli pare. A questa riflessione si mescolano però anche frammenti di cronaca nera che hanno turbato la digestione del celentanus - così come tutti noi. Si noti questo esemplare di deiezione, in cui il tentativo di spiegare a sé stesso cos'è la democrazia si mescola in modo inestricabile a osservazioni sull'omicidio Scazzi, producendo un disperato ma affascinante nonsense: la povera ragazzina sarebbe stata uccisa dallo zio per... difetto di democrazia?
"Ma chi è il vero democratico? Non conosco esattamente la definizione di questa parola [il celentanus, in quanto diblastero, non è in grado di consultare un vocabolario, ndb] e non saprei dire il perché, ma tutto mi fa pensare che il vero democratico ha il senso della misura in ogni sua manifestazione. Nella trasparenza, nell'onestà, nella forza e nell'essere sinceri anche quando la verità ti può danneggiare. Alla fine risulta molto più dannoso occultare che confessare. Pensando all'orribile tragedia di cui tanto si parla in questi giorni, si dice che lo zio di Sarah l'abbia uccisa per nascondere gli abusi su si lei. Certo sarebbe stata grande la vergogna e l'umiliazione che avrebbe subito se avesse ammesso. Però Sarah sarebbe viva e lo zio non si sarebbe macchiato di un delitto così grave. E allora forse democrazia, per come la intendo io, significa anche non aver paura di ammettere."
Il celentanus è un organismo timido, che esce poco e comunica anche meno: sbaglia tuttavia chi lo ritiene inoffensivo. Il documento del dott. De Bortoli si conclude infatti con un violento attacco ad un'altra creatura dell'etere televisivo, l'Homo Sgarbi: una specie molto più aggressiva che si diffuse nel medesimo habitat in un'era di poco successiva, di fatto ponendo fine al dominio incontrastato del celentanus, che sopravvisse soltanto in alcune nicchie protette. Di fronte all'immagine reiterata dell'H. Sgarbi, l'animaletto smette ogni tentativo di simulare una posa riflessiva, e sbotta in una reazione velenosa e istintiva ("ma VAFFANCULO Sgarbi, adesso ci hai proprio rotto i COGLIONI!!!"), a cui seguono oscure minacce ("Poi non piangere se in televisione non ti invita più nessuno. Stai pur certo che dopo anche Paragone ti molla, non credere..." Non è dato sapere chi sia questo "Paragone", anche se secondo alcuni esperti si tratterebbe di una livida creatura delle oscurità televisive, in onda a ore tardissime, in presenza della quale anche il fitoplancton cambierebbe canale). Il dott. De Bortoli è stato molto criticato per aver pubblicato questo interessante documento senza censure. Io dico che ha fatto bene: le creature della natura vanno mostrate per quello che sono, senza pretese di addomesticarle. Fu lo stesso De Bortoli a mostrarci la via, diversi anni fa, pubblicando in presa diretta le parolacce e gli sbrodolamenti senili dell'Oriana Fallacis. Molti lo criticarono anche allora, ma l'interesse naturalistico del documento era indubbio... e poi, evidentemente, un pubblico per questa robaccia c'è. (http://leonardo.blogspot.com)
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Roveti in bianco e nero
21-10-2010, 17:27Bibbia, l'educazione religiosa, religioni, sogni, tvPermalinkL'educazione religiosa, 3
(Riassunto delle puntate precedenti: lasciate perdere le puntate precedenti. Inutili. La storia comincia adesso).
È tempo di fare entrare uno dei personaggi principali dell'Educazione Religiosa di Saul, vale a dire la cattiva maestra preferita di tutti noi, la televisione. Saul le vuole bene, e ammette di avere imparato tantissime cose da lei; ma vogliamo anche un po' parlare delle mazzate che ha preso? Saul si sente ancora i bozzi nel cervello. Poi nella vita si va avanti, si fa finta di niente, senz'altro era peggio crescere al tempo della scarlattina, della tbc. Però che il tv color non avesse effetti collaterali, eh, questo no. Non potete dirlo. I bozzi ce li avete anche voi.
I posteri faticheranno a capire questa cosa. Ammesso che gli interessi, ai posteri (nessuno ne sa mai niente, dei posteri). In fondo era un elettrodomestico come un altro, via, portava un po' di rumore e di colore, e non se ne possono sottovalutare le potenzialità propagandistiche, sì, ma... non ci siamo capiti. Qui stiamo parlando di qualcosa di molto più profondo e più violento. Lo sapete che i bambini della generazione di Saul facevano sogni in bianco e nero? Se è per questo anche i loro genitori, cresciuti a pane amore e cinematografo parrocchiale. Oggi ormai siamo talmente abituati all'idea del “bombardamento mediatico”, e a portarci il laptop in bagno, che la percentuale di tempo passato da Saul e i suoi genitori davanti a schermi in bianco e nero ci sembra ridicola. Un'oretta al giorno, chi meno chi più. Tutto il resto della loro vita la vivevano a colori. Però sognavano in bianco e nero. È una cosa che fa spavento, a voi non fa spavento? Vabbe', voi non vi stupite più di niente.
Il cinque del quarto mese dell'anno trentesimo, il profeta Ezechiele vede un uragano arrivare da nord. Dentro c'è un turbinìo di fuoco, e nel turbinìo quattro esseri di sembianza umana, ma provvisti di zoccoli e quattro ali ciascuno (e mani sotto le ali). Gli esseri hanno quattro facce ciascuno: una di uomo, una di leone, una di toro e una di aquila. Di fianco a loro, un complicato incastro di ruote di topazio. Sopra di loro, un firmamento, e oltre il firmamento s'intravede quell'immagine di Dio dalla quale il profeta saggiamente preferisce distogliere lo sguardo. Di solito a questo punto il divulgatore laico inserisce una battutina, del tipo: ma che si era mangiato la sera prima il profeta Ezechiele? Che tipo di funghi raccoglieva? Che tipo di fumi inalavano, gli ebrei della cattività, durante i loro sacrifici? Non lo sappiamo. Ammettiamo pure che il sogno sia frutto della fantasia di Ezechiele: mica male come fantasia, no? Lo credereste che il sacerdote di un popolo contadino sia in grado di mettere insieme dei sogni così? C'è l'insistenza sul mondo animale che è più che prevedibile in una cultura agricola; l'aspetto orgiastico (vagamente peccaminoso) dell'ibridazione bestiale. Più sorprendente è l'elemento geometrico (che di solito associamo al razionalismo ellenico), ma in fondo stiamo parlando di ruote, anche i contadini di Babilonia le montavano ai carri. Insomma, nel sogno Ezechiele non fa che rielaborare cose che ha già visto (tranne forse i leoni, animali leggendari). Però il risultato è talmente delirante che Ezechiele non può dubitare nemmeno per un istante di essere davanti a un messaggio di Dio. Il caso di Ez è quello classico di un uomo antico che ha di fronte le libere associazioni del suo inconscio e, non riconoscendole, le scambia per Dio. Questo cosa c'entra con la televisione? Niente.
Ma sono abbastanza sicuro che se Ezechiele fosse nato ai tempi di Saul, oltre a disporre di molti più elementi da combinare (pantere, dinosauri, corsari, cow-boys, astronavi, marziani), li avrebbe sognati in bianco e nero. Ecco, ma puoi veramente credere in un Dio che ti parla in bianco e nero? No, secondo me no. Era come se il nostro inconscio, parlo dell'inconscio della generazione di Saul, tarandosi sul B/N avesse trovato una specie di valvola di sfogo. Anche davanti a un sogno angosciante, o delirante, od orgiastico, il B/N ti rassicurava, ti diceva tutto ok: queste cose non possono succedere nella realtà, quindi non sei nella realtà. Sei dunque davanti a un Dio? Noooo, ci mancherebbe. Sei soltanto davanti alla televisione. Saul non sognava cose brutte o paurose. Sognava di essere davanti alla tv e guardare cose brutte o paurose. Non è proprio la stessa cosa, anche se nei sogni non si può cambiare canale (del resto neanche in quelle vecchie tv si poteva).
Finché la tv rimase in bianco e nero, il piccolo Saul non poteva avere visioni. Al massimo poteva sognare film stranissimi, ma i film dei grandi sono sempre un po' stranissimi. Ci siamo persi, in quegli anni, qualche dozzina di profeti visionari. (Sarebbe curioso saperne di più. Sarebbe curioso sapere se Hitler o Wojtyla sognassero a colori o in BN. Gli esseri umani per milioni di anni hanno sognato a colori, poi per qualche decennio sono passati in bianco e nero, e prima che la cosa diventasse oggetto di una seria ricerca neuropsichiatrica, la parentesi è finita). Voi che avete paura dello switch da analogico al digitale, ahah, Saul vi ride in faccia. Lui ha vissuto ben altro switch, il suo inconscio è passato dal BN ai colori proprio negli anni più delicati dell'infanzia. Abbiamo detto che il B/N lo proteggeva. Ma un bel giorno il B/N non ci fu più... (continua, più lento della vita).
Tutte le puntate fin qui.
(Riassunto delle puntate precedenti: lasciate perdere le puntate precedenti. Inutili. La storia comincia adesso).
È tempo di fare entrare uno dei personaggi principali dell'Educazione Religiosa di Saul, vale a dire la cattiva maestra preferita di tutti noi, la televisione. Saul le vuole bene, e ammette di avere imparato tantissime cose da lei; ma vogliamo anche un po' parlare delle mazzate che ha preso? Saul si sente ancora i bozzi nel cervello. Poi nella vita si va avanti, si fa finta di niente, senz'altro era peggio crescere al tempo della scarlattina, della tbc. Però che il tv color non avesse effetti collaterali, eh, questo no. Non potete dirlo. I bozzi ce li avete anche voi.
I posteri faticheranno a capire questa cosa. Ammesso che gli interessi, ai posteri (nessuno ne sa mai niente, dei posteri). In fondo era un elettrodomestico come un altro, via, portava un po' di rumore e di colore, e non se ne possono sottovalutare le potenzialità propagandistiche, sì, ma... non ci siamo capiti. Qui stiamo parlando di qualcosa di molto più profondo e più violento. Lo sapete che i bambini della generazione di Saul facevano sogni in bianco e nero? Se è per questo anche i loro genitori, cresciuti a pane amore e cinematografo parrocchiale. Oggi ormai siamo talmente abituati all'idea del “bombardamento mediatico”, e a portarci il laptop in bagno, che la percentuale di tempo passato da Saul e i suoi genitori davanti a schermi in bianco e nero ci sembra ridicola. Un'oretta al giorno, chi meno chi più. Tutto il resto della loro vita la vivevano a colori. Però sognavano in bianco e nero. È una cosa che fa spavento, a voi non fa spavento? Vabbe', voi non vi stupite più di niente.
Il cinque del quarto mese dell'anno trentesimo, il profeta Ezechiele vede un uragano arrivare da nord. Dentro c'è un turbinìo di fuoco, e nel turbinìo quattro esseri di sembianza umana, ma provvisti di zoccoli e quattro ali ciascuno (e mani sotto le ali). Gli esseri hanno quattro facce ciascuno: una di uomo, una di leone, una di toro e una di aquila. Di fianco a loro, un complicato incastro di ruote di topazio. Sopra di loro, un firmamento, e oltre il firmamento s'intravede quell'immagine di Dio dalla quale il profeta saggiamente preferisce distogliere lo sguardo. Di solito a questo punto il divulgatore laico inserisce una battutina, del tipo: ma che si era mangiato la sera prima il profeta Ezechiele? Che tipo di funghi raccoglieva? Che tipo di fumi inalavano, gli ebrei della cattività, durante i loro sacrifici? Non lo sappiamo. Ammettiamo pure che il sogno sia frutto della fantasia di Ezechiele: mica male come fantasia, no? Lo credereste che il sacerdote di un popolo contadino sia in grado di mettere insieme dei sogni così? C'è l'insistenza sul mondo animale che è più che prevedibile in una cultura agricola; l'aspetto orgiastico (vagamente peccaminoso) dell'ibridazione bestiale. Più sorprendente è l'elemento geometrico (che di solito associamo al razionalismo ellenico), ma in fondo stiamo parlando di ruote, anche i contadini di Babilonia le montavano ai carri. Insomma, nel sogno Ezechiele non fa che rielaborare cose che ha già visto (tranne forse i leoni, animali leggendari). Però il risultato è talmente delirante che Ezechiele non può dubitare nemmeno per un istante di essere davanti a un messaggio di Dio. Il caso di Ez è quello classico di un uomo antico che ha di fronte le libere associazioni del suo inconscio e, non riconoscendole, le scambia per Dio. Questo cosa c'entra con la televisione? Niente.
Ma sono abbastanza sicuro che se Ezechiele fosse nato ai tempi di Saul, oltre a disporre di molti più elementi da combinare (pantere, dinosauri, corsari, cow-boys, astronavi, marziani), li avrebbe sognati in bianco e nero. Ecco, ma puoi veramente credere in un Dio che ti parla in bianco e nero? No, secondo me no. Era come se il nostro inconscio, parlo dell'inconscio della generazione di Saul, tarandosi sul B/N avesse trovato una specie di valvola di sfogo. Anche davanti a un sogno angosciante, o delirante, od orgiastico, il B/N ti rassicurava, ti diceva tutto ok: queste cose non possono succedere nella realtà, quindi non sei nella realtà. Sei dunque davanti a un Dio? Noooo, ci mancherebbe. Sei soltanto davanti alla televisione. Saul non sognava cose brutte o paurose. Sognava di essere davanti alla tv e guardare cose brutte o paurose. Non è proprio la stessa cosa, anche se nei sogni non si può cambiare canale (del resto neanche in quelle vecchie tv si poteva).
Finché la tv rimase in bianco e nero, il piccolo Saul non poteva avere visioni. Al massimo poteva sognare film stranissimi, ma i film dei grandi sono sempre un po' stranissimi. Ci siamo persi, in quegli anni, qualche dozzina di profeti visionari. (Sarebbe curioso saperne di più. Sarebbe curioso sapere se Hitler o Wojtyla sognassero a colori o in BN. Gli esseri umani per milioni di anni hanno sognato a colori, poi per qualche decennio sono passati in bianco e nero, e prima che la cosa diventasse oggetto di una seria ricerca neuropsichiatrica, la parentesi è finita). Voi che avete paura dello switch da analogico al digitale, ahah, Saul vi ride in faccia. Lui ha vissuto ben altro switch, il suo inconscio è passato dal BN ai colori proprio negli anni più delicati dell'infanzia. Abbiamo detto che il B/N lo proteggeva. Ma un bel giorno il B/N non ci fu più... (continua, più lento della vita).
Tutte le puntate fin qui.
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Silvio is my Co-poster
18-10-2010, 12:30Berlusconi, ho una teoriaPermalinkFinché non arriva quella domenica uggiosa, hai presente? In cui non mi viene in mente assolutamente niente da scrivere. Fortuna che ho un ghost writer di lusso.
Ho una teoria #45: come salvare l'Italia me l'ha scritta Lui. Chi meglio di Lui, del resto. Andate a commentarlo qui, magari vi risponde.
Ho una teoria #45: come salvare l'Italia me l'ha scritta Lui. Chi meglio di Lui, del resto. Andate a commentarlo qui, magari vi risponde.
Buongiorno. Oggi non è Leonardo che scrive. Oggi ci sono io, Silvio Berlusconi, anche se non ci crederete mai.
Fa lo stesso. Come qualcuno di voi già sa, possiedo tutte le password di Leonardo – in realtà possiedo tutte le password di tutti i blog italiani (anche se gli altri non li leggo mai), così come possiedo tutta l’Italia, direttamente o no – prima ve ne farete una ragione meglio è. Ogni tanto dunque entro nel suo blog e scrivo un pezzo io, è un po’ come telefonare in un programma in diretta, salvo che non potete interrompermi con la vostra maleducazione. (Scherzo. No, sul serio. A me l’Unità non dispiace. Sapete cosa non posso sopportare? Il Giornale. Non si legge più, parla solo di metrature a Montecarlo, eccitante come l’ufficio del catasto. E poi quel Feltri è insopportabile, mi costa una cifra e mi rende pochissimo. Del resto le sta provando tutte per farsi silurare, pensa solo alla sua liquidazione).
Volevo un po’ spiegarvi cosa sta succedendo in questi giorni, visto che sui giornali (miei) e in tv (mia) si parla solo di quella povera ragazzina. Dunque, giovedì Tremonti ha portato la finanziaria in Consiglio dei Ministri. In pratica – come ha fatto notare il vostro direttore - non c’è un soldo. Non c’è un soldo per la cultura e per il turismo, e meno male: voi li dareste, i vostri soldi, a dei ministri così? Ne ho una che confonde la Apple con un motore di ricerca - adesso, onestamente: voi a una tipa del genere mettereste in mano un vero budget? Non c’è un soldo per pagare gli alloggi dei terremotati abruzzesi. Non c’è un soldo per la scuola, non uno per la ricerca, non uno per l’università: non c’è proprio il becco di un quattrino. Del resto, che volete farci: c’è la crisi e ho tagliato le tasse ai ricchi… Non solo, ma il movimento che fonderò nei prossimi mesi sarà proprio imperniato sul concetto "tagliamo altre tasse ad altri ricchi" – è una cosa che il mio staff sta copiando dall’America, lì c’è una tardona, tale Sarah Palin che a me francamente non dice niente (un ventina d’anni fa, magari), però pare stia facendo uno sfracello con questa idea innovativa di tasse=brutto.
Ora, naturalmente i sindacati non sono contenti. Ci mancherebbe altro. Ma quello non m’impensierisce: tanto sui giornali (miei) e in tv (mia) fanno più rumore due uova sulla sede della Cisl che una manifestazione confederale, quindi lascia pure che manifestino, che sfilino, che si sfoghino. Quello che mi dà fastidio è che non siano contenti neanche gli industriali. Ecco, da loro mi aspetterei più simpatia, più comprensione. Dal mio primo governo a oggi, tutto quello che potevo fare per loro l’ho fatto. Aiuti, sgravi, incentivi, voglio dire, ho perfino depenalizzato il falso in bilancio, cosa si può chiedere di più?
No, niente da fare, loro chiedono di più. Non sono soltanto incontentabili. Sono anche ottusi. Hanno questo pallino dell’"Innovazione". Secondo loro io, pardon, il governo, dovrei incentivare "la Ricerca". Secondo loro addirittura l’Italia starebbe perdendo il tram della competitività mondiale, perché io non spendo neanche un soldo in "Ricerca", in "Innovazione", e anzi, ce la sto mettendo tutta per distruggere il sistema scolastico e universitario italiano.
Ecco, lasciatemi sfogare. Questi non hanno capito niente. Ma proprio niente: dell’Italia e del mondo. Sono padroncini viziati col cervello pieno di fuffa. Hanno queste fantasie, questi sogni ad occhi aperti in cui l’Italia per miracolo dovrebbe diventare una piccola nazione innovativa, un popolo di ingegneri e ricercatori, una specie di Israele ma grande cento volte tanto, una Silicon Valley che parte a Bolzano e finisce a Siracusa, ma dico io, ma che film vi fate? Ma lo leggete qualche libro ogni tanto? Non so, a caso, "Gomorra"? (Tra l’altro, l’ho pubblicato io). Lo sapete qual è il vero futuro dell’Italia?
No, non lo sapete. Va bene, ve lo spiego (tutto a me, mi tocca fare). Il futuro dell’Italia è nelle vele di Secondigliano, il primo mercato europeo della cocaina. Il futuro della nostra impresa è negli scantinati di Caserta, dove c’è una manodopera senza tutele e diritti che finalmente può essere competitiva coi cinesi. Qualcosa di cui andare orgogliosi. Il futuro dell’Italia è nel terzo mondo! Solo nel terzo mondo possiamo esprimerci al meglio per quello che siamo: una nazione mediterranea, solare, di gente che sgobba per un tozzo di pane ma col sorriso sempre sulle labbra (finché non vi cascano i denti – dovremo tagliare seriamente la sanità prima o poi).
Non solo è la strategia più redditizia, ma è anche l’unica concretamente realizzabile nel medio termine. Siamo in sessanta milioni, e siamo in crisi strutturale. Non possiamo ragionevolmente puntare su ricerca e innovazione – anzi, chi studia troppo è meglio che se ne vada via, e lasci il posto a qualche immigrato pronto a raccogliere dei bei pomodori tossici per un salario di fame. Tutto questo è limpido, chiaro, a chiunque sia in grado di leggere i giornali (quelli che non parlano della Scazzi o dei garage di Montecarlo). Insomma, credo che gli industriali dovrebbero capirlo.
E invece no. Osano dire che io non ho un progetto, che io ho una visione. Io ho sempre avuto un progetto concreto e chiarissimo, sin dalle mie prime mosse nel mercato televisivo: il regresso. In Italia negli anni Ottanta c’era una classe media che stava prendendo forma, che cominciava a maturare un senso critico nei confronti dei suoi governanti: poi sono arrivato io coi miei circenses, e ho fatto tutto quello che potevo per riconvertirla in plebe. Dove c’erano i film ho messo le telenovele, dove c’era Quark ho fatto mettere Voyager e Mystero con tutte le loro scemenze irrazionali. Ho fatto di tutto per far crescere i figli dei vostri operai come scimmioni ignoranti, ora il minimo che mi aspetterei è un grazie. Scusate lo sfogo. Con affetto, SB. (Mi trovate a volte anche su http://leonardo.blogspot.com)
In viaggio coi cretini
16-10-2010, 08:41ragazzini, scuolaPermalinkLa vita, se ci tieni a saperlo, è un lungo viaggio in compagnia dei cretini. Non fa fine notarlo, ma sì, ne capiteranno molti anche nel tuo scompartimento. Non dico che non avrai anche compagni di viaggio intelligenti; potrebbero persino essere la maggioranza, ma li si nota comunque meno: sono più discreti. I cretini invece arrivano rombando, li precede il polverone dei casini che scateneranno, e in fondo un po' li si apprezza: se non ci fossero loro, il cretino della comitiva potresti persino essere tu. E non è detto, sai.
La parte più lunga del viaggio – non già la più eccitante – si chiama “maturità”. È il tunnel che imbocchi quando ti rendi conto che i cretini sono inevitabili e, in qualche misura, invincibili. Non c'è errore più grande che prenderli di petto, ed è un errore che hai commesso così volentieri in gioventù. Non vedevi l'ora di scontrarti con un cretino per dirgli: Cretino! Che gran soddisfazione. Ma durava pochi istanti, e lasciava un gusto amaro. Ci vuole tutta la maturità per capire che un cretino, se gli dai del cretino, non migliora. Si offende, si arruffa, fa la ruota, mostra le unghie, i bargigli, comincia ad abbaiare, chiama i parenti, gli amici altolocati, i contatti in magistratura, e resta un cretino. Ti va già bene se non ti trascina con sé (è contagiosa, la faccenda). È una patologia seria, forse genetica, di certo incurabile nei soggetti adulti, e tu pensavi di guarirla con cosa? Con la verità? Non funziona. Non è un rimedio, la verità, a volte diventa un semplice dettaglio, la verità, una curiosità. Non si agita uno specchietto davanti a un toro nell'arena: all'inizio era un'idea divertente, ma alla fine capisci che non è sano. Passerai il resto del viaggio ad aggirarli, i cretini, a provare a raggirarli, metterli nella condizione di fare cose intelligenti senza accorgersene, mordendoti la lingua ogni volta che il grido “cretino” ti cresce in gola.
La gente che mi chiede se è dura fare l'insegnante, uh, se sapessero. Mi credono così buono, il missionario, la maestrina. Se sapessero che passo le ore a urlare in faccia a piccole creature, come un indemoniato, un ossesso, uno scimmione. Non sono un buon insegnante, non sono proprio buono in generale. Il motivo per cui faccio questo mestiere è ben altro. E' forse l'unico mestiere in cui puoi trattare i cretini come tali. Se vedo un bambino che fa una cosa cretina (e ne vedo in continuazione), glielo posso dire in faccia. Il mio ruolo me lo consente, anzi me lo richiede, e io ne approfitto. Continuamente, vigliaccamente. E' persino possibile che in qualche modo io contribuisca al progresso della società, perché a differenza dell'adulto cretino, il cervello del preadolescente è ancora in fase di crescita e chissà, qualche urlaccio assestato da parte mia potrebbe in modo abbastanza fortuito contribuire. Ma non è per questo che ci vado. Capitare in una classe, intercettare un frugoletto che saluta a tre dita come Ivan Bogdonov, prendersi venti minuti per spiegargli che quel signore è tre volte cretino: cretino per i tatuaggi, cretino per il passamontagna, cretino perché si cala il passamontagna per non farsi identificare ma il 13 ottobre va in giro con le mezze maniche e i tatuaggi più vistosi dei Balcani e se li fa inquadrare per un'ora in eurovisione, e sai perché? Perché egli è il Principe, Re, Imperatore dei Cretini: uno e trino: questo è il senso più recondito del saluto nazionalista serbo: inoltre in Bosnia i cetnici mozzavano le altre due dita ai prigionieri, quindi invece di fare il furbacchione in quest'aula prova a ordinare tre cappuccini a Sarajevo, se ne hai il coraggio, ecco: poi tiri fuori dalla borsa la fotocopia dell'articolo della gazzetta e glielo spieghi, per i restanti 40 minuti: questo scimmione, questo principe e imperatore e re dei pirla, è una marionetta dei narcotrafficanti, un idiota che fa il gradasso e poi si nasconde nel bagagliaio come quegli esserini, sai, i vermi. Vuoi davvero farne il tuo mito? Guardalo: ti metto davanti lo specchio del cretino che potresti essere a trent'anni: che ne dici? Perché non cominci a tatuarti demenze ideologiche e poi passi tutti il resto della tua vita a farti compatire? E ti vedi vecchietto ai parchi il 15 di agosto con la sciarpa tirata sul collo perché non vedano la svastica o il teschio o qualsiasi altra idiozia? Guarda, se proprio vuoi essere un cretino, fuori è pieno di burattinai che non vedono l'ora di attaccarti ai fili.
Ecco, questo è il mio mestiere di adulto imperfetto: prendere di petto i cretini in potenza. Sarà la mia rovina. Ma è inutile dirmelo: ormai sono fatto così, non miglioro. (Mi arruffo, gonfio il petto, mostro i bargigli, gli artigli, le zanne, mi percuoto il torso con noci di cocco, guaisco, strillo, fischio, mi faccio palla come un pesce palla, e non miglioro).
La parte più lunga del viaggio – non già la più eccitante – si chiama “maturità”. È il tunnel che imbocchi quando ti rendi conto che i cretini sono inevitabili e, in qualche misura, invincibili. Non c'è errore più grande che prenderli di petto, ed è un errore che hai commesso così volentieri in gioventù. Non vedevi l'ora di scontrarti con un cretino per dirgli: Cretino! Che gran soddisfazione. Ma durava pochi istanti, e lasciava un gusto amaro. Ci vuole tutta la maturità per capire che un cretino, se gli dai del cretino, non migliora. Si offende, si arruffa, fa la ruota, mostra le unghie, i bargigli, comincia ad abbaiare, chiama i parenti, gli amici altolocati, i contatti in magistratura, e resta un cretino. Ti va già bene se non ti trascina con sé (è contagiosa, la faccenda). È una patologia seria, forse genetica, di certo incurabile nei soggetti adulti, e tu pensavi di guarirla con cosa? Con la verità? Non funziona. Non è un rimedio, la verità, a volte diventa un semplice dettaglio, la verità, una curiosità. Non si agita uno specchietto davanti a un toro nell'arena: all'inizio era un'idea divertente, ma alla fine capisci che non è sano. Passerai il resto del viaggio ad aggirarli, i cretini, a provare a raggirarli, metterli nella condizione di fare cose intelligenti senza accorgersene, mordendoti la lingua ogni volta che il grido “cretino” ti cresce in gola.
La gente che mi chiede se è dura fare l'insegnante, uh, se sapessero. Mi credono così buono, il missionario, la maestrina. Se sapessero che passo le ore a urlare in faccia a piccole creature, come un indemoniato, un ossesso, uno scimmione. Non sono un buon insegnante, non sono proprio buono in generale. Il motivo per cui faccio questo mestiere è ben altro. E' forse l'unico mestiere in cui puoi trattare i cretini come tali. Se vedo un bambino che fa una cosa cretina (e ne vedo in continuazione), glielo posso dire in faccia. Il mio ruolo me lo consente, anzi me lo richiede, e io ne approfitto. Continuamente, vigliaccamente. E' persino possibile che in qualche modo io contribuisca al progresso della società, perché a differenza dell'adulto cretino, il cervello del preadolescente è ancora in fase di crescita e chissà, qualche urlaccio assestato da parte mia potrebbe in modo abbastanza fortuito contribuire. Ma non è per questo che ci vado. Capitare in una classe, intercettare un frugoletto che saluta a tre dita come Ivan Bogdonov, prendersi venti minuti per spiegargli che quel signore è tre volte cretino: cretino per i tatuaggi, cretino per il passamontagna, cretino perché si cala il passamontagna per non farsi identificare ma il 13 ottobre va in giro con le mezze maniche e i tatuaggi più vistosi dei Balcani e se li fa inquadrare per un'ora in eurovisione, e sai perché? Perché egli è il Principe, Re, Imperatore dei Cretini: uno e trino: questo è il senso più recondito del saluto nazionalista serbo: inoltre in Bosnia i cetnici mozzavano le altre due dita ai prigionieri, quindi invece di fare il furbacchione in quest'aula prova a ordinare tre cappuccini a Sarajevo, se ne hai il coraggio, ecco: poi tiri fuori dalla borsa la fotocopia dell'articolo della gazzetta e glielo spieghi, per i restanti 40 minuti: questo scimmione, questo principe e imperatore e re dei pirla, è una marionetta dei narcotrafficanti, un idiota che fa il gradasso e poi si nasconde nel bagagliaio come quegli esserini, sai, i vermi. Vuoi davvero farne il tuo mito? Guardalo: ti metto davanti lo specchio del cretino che potresti essere a trent'anni: che ne dici? Perché non cominci a tatuarti demenze ideologiche e poi passi tutti il resto della tua vita a farti compatire? E ti vedi vecchietto ai parchi il 15 di agosto con la sciarpa tirata sul collo perché non vedano la svastica o il teschio o qualsiasi altra idiozia? Guarda, se proprio vuoi essere un cretino, fuori è pieno di burattinai che non vedono l'ora di attaccarti ai fili.
Ecco, questo è il mio mestiere di adulto imperfetto: prendere di petto i cretini in potenza. Sarà la mia rovina. Ma è inutile dirmelo: ormai sono fatto così, non miglioro. (Mi arruffo, gonfio il petto, mostro i bargigli, gli artigli, le zanne, mi percuoto il torso con noci di cocco, guaisco, strillo, fischio, mi faccio palla come un pesce palla, e non miglioro).
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La novantanovesima pecorella
13-10-2010, 18:56cristianesimo, Dio, l'educazione religiosa, religioniPermalinkL'educazione religiosa, 2
Continua da qui. Per farla breve: Saul è un tizio che ha succhiato la religione dal seno materno.
L'aver, per così dire, succhiato la religione dal seno materno, ha messo Saul in una condizione particolare. Diciamo che credere in Dio non gli costa nessuna fatica: nessun “investimento emotivo” (direbbero gli psicoterapeuti). Come se fosse stato impostato “cattolico” di default (direbbero gli ingegneri). Una specie di aristocratico della sua religione: l'ha ereditata alla nascita e sarebbe pronto a lasciarla invariata agli eredi. Non ha bisogno di chiedere segni al suo Dio, che è roba da generazioni malvagie (Lc 11,29): nessuna necessità di roveti ardenti o madonne piangenti, anzi; a tutte queste ha sempre visto con una certa diffidenza. Sin da bambino. Di tutte le fole che gli raccontò la catechista, un'anziana signora con un certo talento narrativo, quella che ricorda più volentieri è l'avventura di un esorcista locale, che indagava su un'apparizione mariana. Insomma, c'era questa persona che si dichiarava visitata dalla Madonna, che le spirava tante parole buone e dolci, ma l'esorcista non ne era convinto, e continuava a interrogarla, finché... finché il demonio (perché era il demonio alla fine!), spazientito da tutti questi colloqui, non diede di matto e cominciò a ispirare sapidi bestemmioni; e mentre l'invasata veniva condotta via in una probabile camicia di forza , l'esorcista, placido perrymason, si gustava il tuo trionfo: “L'avevo sempre saputo”. Il demonio vestito da vergine, come il lupo della favola, che s'infarina le zampe per farsi aprire la porta dalle pecorelle...
Sono un gregge i cattolici, è vero: ma contrariamente all'immagine che gira negli ultimi tempi, non è che aprano la porta alla prima madonna che si presenta. Sanno essere diffidenti, persino scettici, a modo loro. Non come certi che magari si professano agnostici e poi fanno le corna o leggono l'oroscopo: le pecorelle della chiesa cattolica credono in tante cose, ma si definiscono anche per le cose in cui non credono. Soprattutto fino a qualche anno fa, quando Wojtyla non era ancora l'anziano rimuginatore dei segreti di Fatima. Per dire, la Madonna di Medjugorje non è tuttora omologata. Lo stesso Padre Pio ha dovuto sanguinare parecchio per farsi accettare nel club. E anche la Sindone è un'optional: ci credi se ti va, ma nessuno ti obbliga.
Apparente controsenso di una religione fondata da visionari invasati dallo Spirito Santo, ma poi appaltata nei secoli a generazioni di anziani scettici e prudenti. Saul capisce che dietro c'è, appunto, il senso di appartenenza a un'aristocrazia della fede. C'è chi per credere ha bisogno di vedere segni nel cielo, sangue nei costati, Madonne che piangono, e, chissà perché, devono piangere sangue. Tutto questo è ammesso; in determinate epoche (non le migliori) è persino incoraggiato, ma in definitiva resta un atteggiamento infantile, roba da pastorelli, da... parvenus. Saul non ne ha bisogno, e in un'altra epoca probabilmente avrebbe fatto carriera come inquisitore di provincia, torturando più o meno psicologicamente gli invasati finché non sputano bestemmie. Tuttora, se c'è qualcosa che malsopporta è proprio lo zelo dell'ultimo arrivato, il belato entusiasta della centesima pecorella, Giuliano Ferrara che gli spiega i dogmi di fede, Paolo Brosio che gli mostra la Madonna, dico, Paolo Brosio. Certe volte Saul vorrebbe veramente disporre delle risorse di un inquisitore seicentesco, e andarli a trovare. Perché questa gente è snervante, incontra sempre Dio proprio nel preciso istante in cui la vita li ha messi spalle al muro, e zac! Colpo di fulmine. Saul con Dio ci ha passato la vita intera, e sa che è tutto molto meno romantico di quanto si dica in giro: portarsi Dio a scuola, a far la spesa, in vacanza, un fardello mica da ridere. E questi dilettanti cosa vogliono? Chi li ha invitati? Ecco, questo è quello che definirei approccio aristocratico alla fede. C'è un piccolo problema.
La sua religione è la meno aristocratica in assoluto.
Sei cristiano da una vita? Dio se ne frega. Ti giudica alla stessa stregua di quello che si è appena convertito. Controlla pure sul Vangelo, vedrai che le cose stanno così. La Chiesa sarà anche gestita da anziani scettici. Ma i sacri testi mostrano chiaramente una predilezione populista per i matti, i visionari, insomma, i parvenus. I convertiti dell'ultima ora, che sono i più fanatici e pericolosi di tutti. Gesù preferisce sempre gli ultimi arrivati ai banchetti (Matteo 22,1-14); se gestisce una vigna, paga l'operaio stra-ritardatario con lo stesso salario di quello che è arrivato puntuale (Matteo 20-1,16). Le 99 pecorelle tranquille lo annoiano, lui passa la notte a cercare quella smarrita (Matteo 18,12-14). E poi il figliol prodigo. Le prostitute, i pubblicani, insomma, cani e porci. Nel Vangelo gli unici a fare una brutta figura sono proprio le caste sacerdotali, gli anziani sicuri e tranquilli della loro fede ereditaria, scribi farisei e sadducei. Gesù non li sopporta. San Giovanni non li trova né caldi né freddi, quindi li vomita (Apocalisse 3,15-17). Il Cristianesimo ha qualcosa di schizoide: se ti senti un buon cristiano, probabilmente non sei davvero un buon cristiano. Ma quando lo capisci (di non essere un buon cristiano), forse sei sulla buona strada... purché non te ne accorga, altrimenti siamo daccapo...
Nascere nella fede non ha fatto di Saul un santo. Piuttosto una comparsa nella Leggenda Santa di qualcun altro: Saul è la 99ma pecorella, il fratello senza gloria che rimane col padre a lavorare, il primo che sarà l'ultimo. È cresciuto in una parrocchia. È stata la sua seconda casa per molti anni. Ha visto la vigna del prete segata e asfaltata, la canonica rifatta, la chiesa restaurata, mentre lui si alzava di qualche centimetro (non di molti), e intorno a lui roteava un vortice di gente che andava e tornava. Lui restava lì, suonava la chitarra. Molti se ne partivano, delusi o semplicemente annoiati. Alcuni ritornavano, o arrivavano da fuori, convertiti di fresco. Molto spesso sulla loro strada c'era qualche sfiga, un incidente, un congiunto morto, e nonostante questo avevano tutti l'umore più alto di Saul. Perché portavano in dono alla comunità una Fede nuova di zecca, una fede pazzesca, da spostare le montagne (alcune montagne furono in effetti spostate), una fede che Saul ammirava, ma sinceramente non invidiò mai. Si ricordava della favola della sua vecchia catechista, ed era programmato alla nascita per diffidare dell'entusiasmo dei neofiti, e dell'entusiasmo in generale. Alcuni erano talmente pervasi che si fermavano in zona solo un po', diretti a qualche eremo o verso una carriera sacerdotale. Saul li faceva passare, dalla sua postazione laterale al presbiterio: lui suonava la chitarra, e lentamente vedeva questi roveti ardenti bruciare e consumarsi. Più rapida e forte era la fiamma, meno ci metteva a bruciare il combustibile. Saul amava paragonarsi a un ceppo tignoso e anche un po' umido, più fumo che fiamma, ma ben disposto a durare tutta la notte. In realtà non è andata esattamente così.
Questo in effetti è solo un lato della storia. C'è un altro motivo per cui Saul diffida dei roveti ardenti. È che da piccolo ha avuto anche lui il suo. Le apparizioni, sì, l'estasi e il tormento, tutta questa specie di cose. Ci è passato. (Continua, fino all'esaurimento dei lettori).
Continua da qui. Per farla breve: Saul è un tizio che ha succhiato la religione dal seno materno.
L'aver, per così dire, succhiato la religione dal seno materno, ha messo Saul in una condizione particolare. Diciamo che credere in Dio non gli costa nessuna fatica: nessun “investimento emotivo” (direbbero gli psicoterapeuti). Come se fosse stato impostato “cattolico” di default (direbbero gli ingegneri). Una specie di aristocratico della sua religione: l'ha ereditata alla nascita e sarebbe pronto a lasciarla invariata agli eredi. Non ha bisogno di chiedere segni al suo Dio, che è roba da generazioni malvagie (Lc 11,29): nessuna necessità di roveti ardenti o madonne piangenti, anzi; a tutte queste ha sempre visto con una certa diffidenza. Sin da bambino. Di tutte le fole che gli raccontò la catechista, un'anziana signora con un certo talento narrativo, quella che ricorda più volentieri è l'avventura di un esorcista locale, che indagava su un'apparizione mariana. Insomma, c'era questa persona che si dichiarava visitata dalla Madonna, che le spirava tante parole buone e dolci, ma l'esorcista non ne era convinto, e continuava a interrogarla, finché... finché il demonio (perché era il demonio alla fine!), spazientito da tutti questi colloqui, non diede di matto e cominciò a ispirare sapidi bestemmioni; e mentre l'invasata veniva condotta via in una probabile camicia di forza , l'esorcista, placido perrymason, si gustava il tuo trionfo: “L'avevo sempre saputo”. Il demonio vestito da vergine, come il lupo della favola, che s'infarina le zampe per farsi aprire la porta dalle pecorelle...
Sono un gregge i cattolici, è vero: ma contrariamente all'immagine che gira negli ultimi tempi, non è che aprano la porta alla prima madonna che si presenta. Sanno essere diffidenti, persino scettici, a modo loro. Non come certi che magari si professano agnostici e poi fanno le corna o leggono l'oroscopo: le pecorelle della chiesa cattolica credono in tante cose, ma si definiscono anche per le cose in cui non credono. Soprattutto fino a qualche anno fa, quando Wojtyla non era ancora l'anziano rimuginatore dei segreti di Fatima. Per dire, la Madonna di Medjugorje non è tuttora omologata. Lo stesso Padre Pio ha dovuto sanguinare parecchio per farsi accettare nel club. E anche la Sindone è un'optional: ci credi se ti va, ma nessuno ti obbliga.
Apparente controsenso di una religione fondata da visionari invasati dallo Spirito Santo, ma poi appaltata nei secoli a generazioni di anziani scettici e prudenti. Saul capisce che dietro c'è, appunto, il senso di appartenenza a un'aristocrazia della fede. C'è chi per credere ha bisogno di vedere segni nel cielo, sangue nei costati, Madonne che piangono, e, chissà perché, devono piangere sangue. Tutto questo è ammesso; in determinate epoche (non le migliori) è persino incoraggiato, ma in definitiva resta un atteggiamento infantile, roba da pastorelli, da... parvenus. Saul non ne ha bisogno, e in un'altra epoca probabilmente avrebbe fatto carriera come inquisitore di provincia, torturando più o meno psicologicamente gli invasati finché non sputano bestemmie. Tuttora, se c'è qualcosa che malsopporta è proprio lo zelo dell'ultimo arrivato, il belato entusiasta della centesima pecorella, Giuliano Ferrara che gli spiega i dogmi di fede, Paolo Brosio che gli mostra la Madonna, dico, Paolo Brosio. Certe volte Saul vorrebbe veramente disporre delle risorse di un inquisitore seicentesco, e andarli a trovare. Perché questa gente è snervante, incontra sempre Dio proprio nel preciso istante in cui la vita li ha messi spalle al muro, e zac! Colpo di fulmine. Saul con Dio ci ha passato la vita intera, e sa che è tutto molto meno romantico di quanto si dica in giro: portarsi Dio a scuola, a far la spesa, in vacanza, un fardello mica da ridere. E questi dilettanti cosa vogliono? Chi li ha invitati? Ecco, questo è quello che definirei approccio aristocratico alla fede. C'è un piccolo problema.
La sua religione è la meno aristocratica in assoluto.
Sei cristiano da una vita? Dio se ne frega. Ti giudica alla stessa stregua di quello che si è appena convertito. Controlla pure sul Vangelo, vedrai che le cose stanno così. La Chiesa sarà anche gestita da anziani scettici. Ma i sacri testi mostrano chiaramente una predilezione populista per i matti, i visionari, insomma, i parvenus. I convertiti dell'ultima ora, che sono i più fanatici e pericolosi di tutti. Gesù preferisce sempre gli ultimi arrivati ai banchetti (Matteo 22,1-14); se gestisce una vigna, paga l'operaio stra-ritardatario con lo stesso salario di quello che è arrivato puntuale (Matteo 20-1,16). Le 99 pecorelle tranquille lo annoiano, lui passa la notte a cercare quella smarrita (Matteo 18,12-14). E poi il figliol prodigo. Le prostitute, i pubblicani, insomma, cani e porci. Nel Vangelo gli unici a fare una brutta figura sono proprio le caste sacerdotali, gli anziani sicuri e tranquilli della loro fede ereditaria, scribi farisei e sadducei. Gesù non li sopporta. San Giovanni non li trova né caldi né freddi, quindi li vomita (Apocalisse 3,15-17). Il Cristianesimo ha qualcosa di schizoide: se ti senti un buon cristiano, probabilmente non sei davvero un buon cristiano. Ma quando lo capisci (di non essere un buon cristiano), forse sei sulla buona strada... purché non te ne accorga, altrimenti siamo daccapo...
Nascere nella fede non ha fatto di Saul un santo. Piuttosto una comparsa nella Leggenda Santa di qualcun altro: Saul è la 99ma pecorella, il fratello senza gloria che rimane col padre a lavorare, il primo che sarà l'ultimo. È cresciuto in una parrocchia. È stata la sua seconda casa per molti anni. Ha visto la vigna del prete segata e asfaltata, la canonica rifatta, la chiesa restaurata, mentre lui si alzava di qualche centimetro (non di molti), e intorno a lui roteava un vortice di gente che andava e tornava. Lui restava lì, suonava la chitarra. Molti se ne partivano, delusi o semplicemente annoiati. Alcuni ritornavano, o arrivavano da fuori, convertiti di fresco. Molto spesso sulla loro strada c'era qualche sfiga, un incidente, un congiunto morto, e nonostante questo avevano tutti l'umore più alto di Saul. Perché portavano in dono alla comunità una Fede nuova di zecca, una fede pazzesca, da spostare le montagne (alcune montagne furono in effetti spostate), una fede che Saul ammirava, ma sinceramente non invidiò mai. Si ricordava della favola della sua vecchia catechista, ed era programmato alla nascita per diffidare dell'entusiasmo dei neofiti, e dell'entusiasmo in generale. Alcuni erano talmente pervasi che si fermavano in zona solo un po', diretti a qualche eremo o verso una carriera sacerdotale. Saul li faceva passare, dalla sua postazione laterale al presbiterio: lui suonava la chitarra, e lentamente vedeva questi roveti ardenti bruciare e consumarsi. Più rapida e forte era la fiamma, meno ci metteva a bruciare il combustibile. Saul amava paragonarsi a un ceppo tignoso e anche un po' umido, più fumo che fiamma, ma ben disposto a durare tutta la notte. In realtà non è andata esattamente così.
Questo in effetti è solo un lato della storia. C'è un altro motivo per cui Saul diffida dei roveti ardenti. È che da piccolo ha avuto anche lui il suo. Le apparizioni, sì, l'estasi e il tormento, tutta questa specie di cose. Ci è passato. (Continua, fino all'esaurimento dei lettori).
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Vittorio A.B. Normal
11-10-2010, 15:52giornalisti, ho una teoria, poveri piccoli imprenditoriPermalinkIn un Paese normale, secondo voi Vittorio Feltri esisterebbe? E farebbe il mestiere che fa? Secondo me sì. E venderebbe anche un sacco di copie.
Scriverebbe di immobili a Montecarlo, dischi volanti, infermiere calienti, misteriose manomorte e nessuno gli manderebbe i carabinieri in redazione. Molti non saprebbero nemmeno chi è. (Ho una teoria #44 si legge sull'Unità.it, e si commenta qui).
C’è un modo di dire di cui abbiamo iniziato ad abusare negli anni Novanta, anche prima che D’Alema ci titolasse un libro: “in un paese normale”. Di che paese si tratti esattamente, nessuno si preoccupa di specificarlo: è anch’esso in realtà un luogo di fantasia, un’utopia senza pretese che mette insieme i tratti meno eccezionali di tutti i paesi che conosciamo. In questa immaginaria patria del buon senso, mi piace immaginare i giornalisti liberi di raccogliere informazioni su qualsiasi personaggio o azienda; liberi di compilare dossier, senza temere perquisizioni o incriminazioni. In questo Paese Normale, nessuno potrebbe impedire a un Vittorio Feltri Normale di spostare “i segugi da Montecarlo a Mantova”, o dovunque egli ritenga più necessario. Anche questa è libertà di stampa.
Nello stesso Paese Normale, probabilmente, nessuno troverebbe minacciosa una frase del genere – tanto meno il portavoce del presidente normale della Normale Confindustria. Per il semplice fatto che in quel Paese, il quotidiano del Vittorio Feltri Normale non si venderebbe accanto ai giornali seri, ma nello stesso scomparto di Cronaca Vera o del National Enquirer, con le foto degli ultimi avvistamenti di UFO. Attenzione, non sto dicendo che nessuno lo comprerebbe. Che io sappia, Cronaca Vera gode di buona salute, e il National Enquirer è una delle pubblicazioni più famose del mondo. Ma i suoi dischi volanti non vengono ripresi dagli organi di stampa seri. Non occupano le edizioni serali dei telegiornali.
Nel nostro Paese, che tanto normale non è, il quotidiano diretto da Feltri e Sallusti è viceversa uno degli organi di stampa più seguiti e autorevoli: con un pubblico affezionato a interclassista, che va dagli operai ai capitani d’azienda. Ciò che Feltri e Sallusti pubblicano viene ripreso dai quotidiani più letti, e dai principali notiziari televisivi. E non ha la minima importanza che si tratti di notizie false (come nel caso di Boffo) o, qualora vere, irrilevanti. L’anormalità del nostro Paese si misura anche in questo: che in un autunno tanto critico per l’economia e per i lavoratori, un piccolo appartamento a Montecarlo diventi l’assoluto protagonista del dibattito politico; e semplicemente perché Feltri e Sallusti lo hanno sbattuto in prima pagina, metodicamente, per più di un mese. Questo non significa che non siano liberissimi di farlo – lo sarebbero anche nel famoso Paese Normale. E forse qualcuno li leggerebbe ancora anche laggiù, con soddisfazione e divertimento. Ma nessuno li considererebbe più una minaccia.
Invece, nel nostro Paese Anormale, il nostro Feltri Anormale (prontamente ripreso dai tg allineati) fa paura. Così paura da suscitare una reazione immediata del presidente della Confindustria. Dietro al “dossier Marcegaglia”, che forse non è mai esistito, c’è la tragedia di una classe imprenditoriale che ha deciso di credere alle favole di Feltri – che sono poi le favole di Berlusconi, con quel pizzico di pepe in più che solo Feltri sa trovare (rovistando, come si è visto, ovunque ritenga necessario). È la tragedia della signora Marcegaglia, che dovrebbe rappresentare una potentissima associazione di categoria, composta da industriali informati e preoccupati seriamente per l’involuzione del Paese; e invece presiede un’assemblea di padroncini che leggono sempre meno Sole e sempre più Feltri, poco appassionati alle sorti dei finanziamenti per la banda larga, ma informatissimi sul prezzo di un metro quadro a Montecarlo. Prontissimi (spero di sbagliarmi) ad applaudire il premier alla prossima convention, quando sfodererà un’altra delle sue irresistibili barzellette.
Per ogni Marchionne che borbotta, per ogni Montezemolo che sotto elezioni propone di astenersi, ce ne sono cinque, dieci, che continuano a bersi i dossier del Giornale. Non è che credano a qualsiasi sciocchezza – probabilmente non avrebbero scommesso nemmeno sull’omosessualità di Boffo. Ma Feltri, il corsaro che non ubbidisce nemmeno alla famiglia Berlusconi (per quanto resti sul loro libro paga), rimane il loro eroe. Il fango che schizza da ogni parte ha un solo senso: nessuno può credersi pulito, nessuno può dare lezioni. La casa di Montecarlo può essere minuscola, rispetto alle ville berlusconiane; i trascorsi giudiziari della famiglia Marcegaglia possono rivelarsi poca cosa: non importa. Se siamo tutti colpevoli, tutti dossierabili, non vale la pena di condannare nessuno. In questo Paese anormale l’imprenditore non legge Feltri per informarsi, ma per assolversi. (È una mia teoria).
Meglio anonimi
08-10-2010, 22:57giornalisti, internet, tg, tvPermalinkC'è un giornalista, in Italia, di cui vorrei parlare; ma senza farne il nome. Che è già sazia di casini la mia vita.
Questo giornalista si vanta di essere uno dei pionieri di Internet in Italia; di aver messo su alcuni dei primi quotidiani on line italiani; e non ho alcuna ragione per dubitarne. Poi lui ha fatto altro; ha anche diretto il tg1, per qualche tempo: adesso dirige un quotidiano molto importante, espressione della confindustria. E internet gli fa schifo.
No, non tutta internet – ma diciamo il 70%. Quella dei piccoli siti anonimi, per intenderci: blog, forum ed eccetera. Compreso questo, che ormai è anonimo (e 'piccolo') fino a un certo punto. Per questo importante giornalista, pioniere di internet, l'anonimato sta distruggendo internet, il pettegolezzo e la calunnia stanno soffocando la libera informazione, eccetera. Bisogna al più presto regolamentare, registrare tutto con nomi e cognomi, altrimenti i blog finiranno come le radio libere degli anni Settanta che (per chi non c'era negli anni Settanta) sono finite male. Sintetizzo un discorso che ha fatto molte volte e di recente, per esempio, qui.
Dicevamo che adesso questo giornalista dirige il quotidiano della confindustria. A questo proposito è appena uscito uno stralcio malizioso di intercettazione in cui un collaboratore di Emma Marcegaglia spiega a Porro (vicedirettore del Giornale di Feltri) che la nomina di questo giornalista è stata fatta “con il benestare di Berlusconi e Letta”. Ma perché Porro si lamenta con lo staff della Marcegaglia di costui? Per il giornalista in questione ciò significa soltanto una cosa: che Egli è un Giornalista Non Allineato. È un'ipotesi. A me ne era venuta subito in mente un'altra, e cioè che Berlusconi avesse diritto di veto su chi dirige il quotidiano confindustriale; però io sono un piccolo blog anonimo che cova un sordo rancore per l'informazione di qualità, quindi prendetemi con le molle.
D'altro canto, se a Berlusconi fosse davvero piaciuto il giornalista in questione, perché l'avrebbe tolto dalla direzione del tg1? Per mettere al suo posto il povero Minzolini, di cui tutti parlano male? Ecco, infatti. Tutti parlano sempre male di Minzolini. Sembra che faccia un tg1 pessimo. Io non lo guardo spesso, ma ogni tanto mi è capitato e, devo dire, non è poi così malaccio. Nel suo genere, anzi, lo trovo molto professionale – una spanna sopra ad artisti come Giordano o Liguori e, perdonatemi la bestemmia – forse anche qualche centimetro sopra al mito indiscusso del settore, Emilio Fede. Davvero, un buon prodotto. Fosse per me aggiungerei qualche marcetta militare e accelererei alcune riprese, ma è il mio lato old-fashioned, lasciatemi perdere. Ci sono invece delle finezze che si lasciano apprezzare incondizionatamente. Per esempio, quando riportano una telefonata di Berlusconi: di solito in queste situazioni si mette in video una fotografia. Il problema è che le telefonate di Berlusconi a Minzolini durano parecchio, e una sola immagine stancherebbe; per ovviare a ciò Minzolini dispone di una lunga serie di ritratti del premier, e li monta in rotazione mentre Berlusconi parla. Ora, è quasi miracoloso il modo in cui la foto di Berlusconi sembra sempre combaciare con quello che sta dicendo in quel momento: se è arrabbiato, ecco una bella foto di Berl. accigliato; se c'è una battuta, eccolo che sorride a 32 carati. Ci vuole del talento per fare informazione così, e Minzolini quel talento ce l'ha. Altri, secondo me, non ce l'avevano. Il giornalista di cui stavamo parlando, per esempio, no, non era bravo in questo tipo di cose.
Lui che tipo di tg faceva? Lo avete mai visto? Io lo vedevo spesso. Non era un bel tg. Senza essere 'brutto' come quello di Minzolini. Anzi, ripeto, è discutibile che Minzolini faccia un tg brutto. Siete liberi di trovarlo fazioso, propagandistico, talvolta grottesco, però tutta questa faziosa e grottesca propaganda è assolutamente consapevole. Si vede che Minzolini il tg lo vuole fare in un certo modo, e lo fa: e gli riesce bene. Il tg che c'era prima, invece, era meno fazioso: ma era pretenzioso. Cercava di non essere propagandistico: ma falliva miseramente, senza maturarne nemmeno la consapevolezza.
Non credo che le responsabilità fossero tutte del giornalista in questione: ma in certi dettagli la sua mano era inconfondibile. Per esempio: lui era un pioniere di internet, no? Ed ecco allora il tg1 che scopre internet. Nel modo peggiore. Il suo tg1 è stato il primo a saccheggiare i social network. Uccidono Chiara Poggi. Due sue cugine attaccano al cancello un maldestro fotomontaggio in cui posano con lei. Su internet comincia la gara a sfotterle, infierendo sulla loro immagine sforbiciata. È una vergogna, uno schifo, un classico esempio delle perverse dinamiche dell'internet anonima e... il tg1 la manda in onda. Ovviamente con un commentino sdegnato del Direttore. Però, nel frattempo un po' di gogna è arrivata anche sul tg1.
Delitto di Perugia. A un certo punto i sospetti cominciano a convergere su Amanda Knox e Raffaele Sollecito. Il tg1 mostra una foto di quest'ultimo, interamente coperto di bende e con una mannaia in mano. La prova che si tratta di uno psicopatico? O che ad Halloween gli piace fotografarsi travestito da matto e condividere le foto su internet? Quando le indagini convergeranno su un altro indagato, il tg1 riuscirà a pubblicare un video dove pure lui fa il deficiente su youtube. In quegli anni il tg1 ci ha insegnato cos'è il cyberbullismo: bambini, non fate i deficienti su internet, anche se i vostri amichetti non fossero così maliziosi da usarli per prendervi in giro, c'è sempre il rischio che li usi il tg1. Come indizi di colpevolezza. Metti che accoltellano tuo cugino e tu un mese prima hai condiviso una foto con un coltellino svizzero in mano, eh? Ma lo sai che brutta gente gira in rete? Alcuni addirittura dirigono i tiggì.
Questi furono casi eclatanti. Ma il saccheggio di internet era metodico e quotidiano. Si parlava in quei giorni di User Generated Content (“= portatevi i contenuti da casa”). Il tg1 lo abbracciò con tutto l'entusiasmo dei pionieri: mandateci i vostri video amatoriali! Lo dicevano tutte le sere, verso le venti e venticinque. A cosa miravano, esattamente? A riprese che documentassero abusi ambientali? A documentari fai-da-te sul microcrimine? A materiale di prima mano sul luogo di un disastro naturale? Eh, magari. No, il più spesso mandavano in onda video buffi di gatti e cani. Era come se il tg1 volesse entrare in concorrenza diretta con youtube. L'apoteosi di questa formula si ebbe in uno storico 14 febbraio che il tg1 volle celebrare con l'onore delle più importanti solennità: così, al servizio redazionale su San Valentino, si accostò un altro minuto User Generated; in pratica su Rai1 in prima serata stavano mandando in onda i videomessaggi dei fidanzatini: e voi vi lamentate di Minzolini.
No, secondo me quando Berlusconi si è posto il problema di farsi il tg1 su misura, tutte 'ste scemenze di youtube e dell'User Generated Bullshit sono passate in secondo piano. Così è stato chiamato un professionista, e il Giornalista Pioniere se n'è andato in confindustria – a proposito, come sta andando? Ci sono pareri contrastanti (bene, male). Io gli faccio i miei migliori auguri, da lontano, e continuo a non capire perché se la prende tanto con l'internet anonima. Voglio dire, è vero che è una fogna. Io l'ho sempre detto, sempre: anche quando difendevo, pensate, indymedia: internet è costituzionalmente una fogna. Nella quale si possono pescare cose interessanti, come a volte fanno anche i direttori dei tg. E non c'è schizzo di fango che possa offenderli davvero. Sul serio: hanno avvocati, hanno un ottimo ranking, hanno tutto quello che serve loro per difendere il proprio buon nome.
A rischiare, nella fogna, sono i pesci piccoli. Per loro l'anonimato è una prima forma di difesa: rozza ma efficace. Io sono stato anonimo per quasi dieci anni: ho sparlato di molti, ma non credo di avere mai infamato nessuno (o meglio: quando mi sono accorto di aver infamato qualcuno, ho cancellato e chiesto scusa). A un certo punto ho dovuto tirar fuori il cognome. Sei mesi dopo da qualche parte c'erano già minacce e accuse di pedofilia. E a me l'avvocato costa. Stavo meglio da anonimo.
Anche adesso, avevo voglia di scrivere un articolo molto critico nei confronti di un celebre direttore di giornale. Ma c'è il piccolo problema che tengo famiglia, e che il celebre direttore è molto potente, che un giorno, non si sa mai, potrei bussare a una porta e trovare dall'altra parte lui, e lui quanto ci metterebbe per googlarmi? Internet lo conosce bene, pare addirittura che sia un pioniere. Insomma, chi me lo fa fare? Meglio non scrivere niente.
(Anche voi, siate gentili, non commentate - o almeno non fate il suo nome).
Questo giornalista si vanta di essere uno dei pionieri di Internet in Italia; di aver messo su alcuni dei primi quotidiani on line italiani; e non ho alcuna ragione per dubitarne. Poi lui ha fatto altro; ha anche diretto il tg1, per qualche tempo: adesso dirige un quotidiano molto importante, espressione della confindustria. E internet gli fa schifo.
No, non tutta internet – ma diciamo il 70%. Quella dei piccoli siti anonimi, per intenderci: blog, forum ed eccetera. Compreso questo, che ormai è anonimo (e 'piccolo') fino a un certo punto. Per questo importante giornalista, pioniere di internet, l'anonimato sta distruggendo internet, il pettegolezzo e la calunnia stanno soffocando la libera informazione, eccetera. Bisogna al più presto regolamentare, registrare tutto con nomi e cognomi, altrimenti i blog finiranno come le radio libere degli anni Settanta che (per chi non c'era negli anni Settanta) sono finite male. Sintetizzo un discorso che ha fatto molte volte e di recente, per esempio, qui.
Dicevamo che adesso questo giornalista dirige il quotidiano della confindustria. A questo proposito è appena uscito uno stralcio malizioso di intercettazione in cui un collaboratore di Emma Marcegaglia spiega a Porro (vicedirettore del Giornale di Feltri) che la nomina di questo giornalista è stata fatta “con il benestare di Berlusconi e Letta”. Ma perché Porro si lamenta con lo staff della Marcegaglia di costui? Per il giornalista in questione ciò significa soltanto una cosa: che Egli è un Giornalista Non Allineato. È un'ipotesi. A me ne era venuta subito in mente un'altra, e cioè che Berlusconi avesse diritto di veto su chi dirige il quotidiano confindustriale; però io sono un piccolo blog anonimo che cova un sordo rancore per l'informazione di qualità, quindi prendetemi con le molle.
D'altro canto, se a Berlusconi fosse davvero piaciuto il giornalista in questione, perché l'avrebbe tolto dalla direzione del tg1? Per mettere al suo posto il povero Minzolini, di cui tutti parlano male? Ecco, infatti. Tutti parlano sempre male di Minzolini. Sembra che faccia un tg1 pessimo. Io non lo guardo spesso, ma ogni tanto mi è capitato e, devo dire, non è poi così malaccio. Nel suo genere, anzi, lo trovo molto professionale – una spanna sopra ad artisti come Giordano o Liguori e, perdonatemi la bestemmia – forse anche qualche centimetro sopra al mito indiscusso del settore, Emilio Fede. Davvero, un buon prodotto. Fosse per me aggiungerei qualche marcetta militare e accelererei alcune riprese, ma è il mio lato old-fashioned, lasciatemi perdere. Ci sono invece delle finezze che si lasciano apprezzare incondizionatamente. Per esempio, quando riportano una telefonata di Berlusconi: di solito in queste situazioni si mette in video una fotografia. Il problema è che le telefonate di Berlusconi a Minzolini durano parecchio, e una sola immagine stancherebbe; per ovviare a ciò Minzolini dispone di una lunga serie di ritratti del premier, e li monta in rotazione mentre Berlusconi parla. Ora, è quasi miracoloso il modo in cui la foto di Berlusconi sembra sempre combaciare con quello che sta dicendo in quel momento: se è arrabbiato, ecco una bella foto di Berl. accigliato; se c'è una battuta, eccolo che sorride a 32 carati. Ci vuole del talento per fare informazione così, e Minzolini quel talento ce l'ha. Altri, secondo me, non ce l'avevano. Il giornalista di cui stavamo parlando, per esempio, no, non era bravo in questo tipo di cose.
Lui che tipo di tg faceva? Lo avete mai visto? Io lo vedevo spesso. Non era un bel tg. Senza essere 'brutto' come quello di Minzolini. Anzi, ripeto, è discutibile che Minzolini faccia un tg brutto. Siete liberi di trovarlo fazioso, propagandistico, talvolta grottesco, però tutta questa faziosa e grottesca propaganda è assolutamente consapevole. Si vede che Minzolini il tg lo vuole fare in un certo modo, e lo fa: e gli riesce bene. Il tg che c'era prima, invece, era meno fazioso: ma era pretenzioso. Cercava di non essere propagandistico: ma falliva miseramente, senza maturarne nemmeno la consapevolezza.
Non credo che le responsabilità fossero tutte del giornalista in questione: ma in certi dettagli la sua mano era inconfondibile. Per esempio: lui era un pioniere di internet, no? Ed ecco allora il tg1 che scopre internet. Nel modo peggiore. Il suo tg1 è stato il primo a saccheggiare i social network. Uccidono Chiara Poggi. Due sue cugine attaccano al cancello un maldestro fotomontaggio in cui posano con lei. Su internet comincia la gara a sfotterle, infierendo sulla loro immagine sforbiciata. È una vergogna, uno schifo, un classico esempio delle perverse dinamiche dell'internet anonima e... il tg1 la manda in onda. Ovviamente con un commentino sdegnato del Direttore. Però, nel frattempo un po' di gogna è arrivata anche sul tg1.
Delitto di Perugia. A un certo punto i sospetti cominciano a convergere su Amanda Knox e Raffaele Sollecito. Il tg1 mostra una foto di quest'ultimo, interamente coperto di bende e con una mannaia in mano. La prova che si tratta di uno psicopatico? O che ad Halloween gli piace fotografarsi travestito da matto e condividere le foto su internet? Quando le indagini convergeranno su un altro indagato, il tg1 riuscirà a pubblicare un video dove pure lui fa il deficiente su youtube. In quegli anni il tg1 ci ha insegnato cos'è il cyberbullismo: bambini, non fate i deficienti su internet, anche se i vostri amichetti non fossero così maliziosi da usarli per prendervi in giro, c'è sempre il rischio che li usi il tg1. Come indizi di colpevolezza. Metti che accoltellano tuo cugino e tu un mese prima hai condiviso una foto con un coltellino svizzero in mano, eh? Ma lo sai che brutta gente gira in rete? Alcuni addirittura dirigono i tiggì.
Questi furono casi eclatanti. Ma il saccheggio di internet era metodico e quotidiano. Si parlava in quei giorni di User Generated Content (“= portatevi i contenuti da casa”). Il tg1 lo abbracciò con tutto l'entusiasmo dei pionieri: mandateci i vostri video amatoriali! Lo dicevano tutte le sere, verso le venti e venticinque. A cosa miravano, esattamente? A riprese che documentassero abusi ambientali? A documentari fai-da-te sul microcrimine? A materiale di prima mano sul luogo di un disastro naturale? Eh, magari. No, il più spesso mandavano in onda video buffi di gatti e cani. Era come se il tg1 volesse entrare in concorrenza diretta con youtube. L'apoteosi di questa formula si ebbe in uno storico 14 febbraio che il tg1 volle celebrare con l'onore delle più importanti solennità: così, al servizio redazionale su San Valentino, si accostò un altro minuto User Generated; in pratica su Rai1 in prima serata stavano mandando in onda i videomessaggi dei fidanzatini: e voi vi lamentate di Minzolini.
No, secondo me quando Berlusconi si è posto il problema di farsi il tg1 su misura, tutte 'ste scemenze di youtube e dell'User Generated Bullshit sono passate in secondo piano. Così è stato chiamato un professionista, e il Giornalista Pioniere se n'è andato in confindustria – a proposito, come sta andando? Ci sono pareri contrastanti (bene, male). Io gli faccio i miei migliori auguri, da lontano, e continuo a non capire perché se la prende tanto con l'internet anonima. Voglio dire, è vero che è una fogna. Io l'ho sempre detto, sempre: anche quando difendevo, pensate, indymedia: internet è costituzionalmente una fogna. Nella quale si possono pescare cose interessanti, come a volte fanno anche i direttori dei tg. E non c'è schizzo di fango che possa offenderli davvero. Sul serio: hanno avvocati, hanno un ottimo ranking, hanno tutto quello che serve loro per difendere il proprio buon nome.
A rischiare, nella fogna, sono i pesci piccoli. Per loro l'anonimato è una prima forma di difesa: rozza ma efficace. Io sono stato anonimo per quasi dieci anni: ho sparlato di molti, ma non credo di avere mai infamato nessuno (o meglio: quando mi sono accorto di aver infamato qualcuno, ho cancellato e chiesto scusa). A un certo punto ho dovuto tirar fuori il cognome. Sei mesi dopo da qualche parte c'erano già minacce e accuse di pedofilia. E a me l'avvocato costa. Stavo meglio da anonimo.
Anche adesso, avevo voglia di scrivere un articolo molto critico nei confronti di un celebre direttore di giornale. Ma c'è il piccolo problema che tengo famiglia, e che il celebre direttore è molto potente, che un giorno, non si sa mai, potrei bussare a una porta e trovare dall'altra parte lui, e lui quanto ci metterebbe per googlarmi? Internet lo conosce bene, pare addirittura che sia un pioniere. Insomma, chi me lo fa fare? Meglio non scrivere niente.
(Anche voi, siate gentili, non commentate - o almeno non fate il suo nome).
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Begm Shnez
07-10-2010, 11:12coccodrilli, delitti e cronaca, Emilia paranoica, migrantiPermalinkQuando una ragazza come Nosheen finisce all'ospedale, o si ritrova sepolta in un orto, i giornalisti scrivono sempre una cosa che mi fa imbestialire. Scrivono che “voleva vivere all'occidentale”. È una frase di rara idiozia, che schiude un immaginario rimasto bloccato ai mitici anni '80 con Sabrina Salerno – cosa accidenti vorrebbe dire “vivere all'occidentale” a Novi di Modena nel 2010? Andare in giro in pantaloni? Sedersi sulla panchina del bar? La disco il sabato sera? Nosheen e sua madre portavano il velo. Vestivano alla pakistana. Non parlavano con gli sconosciuti. Preparavano cerimonie religiose e facevano il giro dei conoscenti per invitarli. Non vivevano “all'occidentale” e non sono state prese a pietre per questo.
Viceversa troverete in giro per la bassa un sacco di ragazzi dalla lingua strana e dalla pelle scura, che vivono “all'occidentale”, o almeno ci provano. Mettono blue jeans e qualche firma sulle felpe. Il sabato nei parchi giocano con mazze e palline – cosa c'è di più occidentale. Entrano nei bar, a volte ne escono con la ceres in mano. Qualcuno magari a mezza voce dice che la ragazza se la meritava, chissà chi frequentava a insaputa del padre. Lo dice anche il giornale, che voleva vivere “all'occidentale”.
Auguro a Nosheen di vivere, da qui in poi, la vita che vorrà. Sarà occidentale, sarà orientale, sarà probabilmente complicata. Io non so se le interessassero davvero i jeans, o mostrare i capelli. Le piaceva un ragazzo italiano? I giornalisti in queste cose sguazzano, ma sono chiacchiere e non ci sono prove (ci sarebbe anche un video, ma guarda un po', non lo ha visto nessuno). Quel che si sa è che era una brava figlia e una buona musulmana, che non voleva sposare un cugino che non conosceva; che non credeva che il suo Dio la obbligasse in questo senso; che sua madre era con lei; che ha fatto tutto quello che una quarantenne pachistana a Novi poteva fare per difenderla (andò persino dai carabinieri a lamentarsi del marito: che coraggio deve avere avuto questa signora?); che alla fine, per difendere sua figlia, Begm Shnez ha perso la vita.
Dirò una cosa antipatica. Io non so se vivo in occidente o in oriente. È una battaglia quotidiana, che mi appassiona solo fino a un certo punto. So che ancora trent'anni fa mia nonna si copriva il capo con un foulard prima di andare alla novena. Viveva poco lontano da dove risiede Nosheen. So che nel mondo complicato di mia nonna, di Nosheen, e mio, c'è un valore supremo e (mi dispiace) non è il diritto di portare i jeans o scoprire i capelli o farsi i video coi ragazzini italiani. È la vita, e offrire la propria in cambio di un'altra è la cosa più grande, più nobile che si possa fare. Per ricordarcelo noi occidentali abbiamo pietre. Abbiamo lapidi e monumenti, fuori e dentro le chiese – ma evidentemente non ci bastano. Su un'altra pietra, fuori dalle chiese, ma davanti agli occhi di tutti i residenti di Novi, occidentali o no, in jeans o velati, vorrei che si scrivesse qualcosa su Begm Shnez, che ha donato due volte la vita a sua figlia, che è morta lottando, e stava lottando per tutti noi, occidentali e orientali di Novi; che è caduta ma che ha vinto, quel poco che si poteva vincere quel giorno a Novi, per tutti noi.
Ai pachistani che arriveranno, da una terra ormai distrutta e spappolata da una guerra taciuta per dieci anni e da un'alluvione di cui nessuno ha parlato, non chiederò se conoscono l'italiano, i fratelli d'Italia o il va' pensiero. Se vogliono vivere all'occidentale o all'orientale o come preferiscono. L'unico prerequisito, per quanto mi riguarda, è che passino davanti alla lapide di Begm Shnez. Che sappiano. Volete stare da noi? Se c'è posto, bene, ma da noi funziona così: i nostri eroi non sono i padri che lapidano, ma le madri che danno la vita. Avete intenzione di tormentare figlie e madri? Non è il posto che fa per voi. Dareste la vita per loro? è l'unica cosa che ci serve sapere. La lingua poi s'impara, le usanze cambiano, e oriente e occidente non sono che nomi.
Viceversa troverete in giro per la bassa un sacco di ragazzi dalla lingua strana e dalla pelle scura, che vivono “all'occidentale”, o almeno ci provano. Mettono blue jeans e qualche firma sulle felpe. Il sabato nei parchi giocano con mazze e palline – cosa c'è di più occidentale. Entrano nei bar, a volte ne escono con la ceres in mano. Qualcuno magari a mezza voce dice che la ragazza se la meritava, chissà chi frequentava a insaputa del padre. Lo dice anche il giornale, che voleva vivere “all'occidentale”.
Auguro a Nosheen di vivere, da qui in poi, la vita che vorrà. Sarà occidentale, sarà orientale, sarà probabilmente complicata. Io non so se le interessassero davvero i jeans, o mostrare i capelli. Le piaceva un ragazzo italiano? I giornalisti in queste cose sguazzano, ma sono chiacchiere e non ci sono prove (ci sarebbe anche un video, ma guarda un po', non lo ha visto nessuno). Quel che si sa è che era una brava figlia e una buona musulmana, che non voleva sposare un cugino che non conosceva; che non credeva che il suo Dio la obbligasse in questo senso; che sua madre era con lei; che ha fatto tutto quello che una quarantenne pachistana a Novi poteva fare per difenderla (andò persino dai carabinieri a lamentarsi del marito: che coraggio deve avere avuto questa signora?); che alla fine, per difendere sua figlia, Begm Shnez ha perso la vita.
Dirò una cosa antipatica. Io non so se vivo in occidente o in oriente. È una battaglia quotidiana, che mi appassiona solo fino a un certo punto. So che ancora trent'anni fa mia nonna si copriva il capo con un foulard prima di andare alla novena. Viveva poco lontano da dove risiede Nosheen. So che nel mondo complicato di mia nonna, di Nosheen, e mio, c'è un valore supremo e (mi dispiace) non è il diritto di portare i jeans o scoprire i capelli o farsi i video coi ragazzini italiani. È la vita, e offrire la propria in cambio di un'altra è la cosa più grande, più nobile che si possa fare. Per ricordarcelo noi occidentali abbiamo pietre. Abbiamo lapidi e monumenti, fuori e dentro le chiese – ma evidentemente non ci bastano. Su un'altra pietra, fuori dalle chiese, ma davanti agli occhi di tutti i residenti di Novi, occidentali o no, in jeans o velati, vorrei che si scrivesse qualcosa su Begm Shnez, che ha donato due volte la vita a sua figlia, che è morta lottando, e stava lottando per tutti noi, occidentali e orientali di Novi; che è caduta ma che ha vinto, quel poco che si poteva vincere quel giorno a Novi, per tutti noi.
Ai pachistani che arriveranno, da una terra ormai distrutta e spappolata da una guerra taciuta per dieci anni e da un'alluvione di cui nessuno ha parlato, non chiederò se conoscono l'italiano, i fratelli d'Italia o il va' pensiero. Se vogliono vivere all'occidentale o all'orientale o come preferiscono. L'unico prerequisito, per quanto mi riguarda, è che passino davanti alla lapide di Begm Shnez. Che sappiano. Volete stare da noi? Se c'è posto, bene, ma da noi funziona così: i nostri eroi non sono i padri che lapidano, ma le madri che danno la vita. Avete intenzione di tormentare figlie e madri? Non è il posto che fa per voi. Dareste la vita per loro? è l'unica cosa che ci serve sapere. La lingua poi s'impara, le usanze cambiano, e oriente e occidente non sono che nomi.
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La mano non più invisibile
04-10-2010, 18:23arti contemporanee, arti figurative, ho una teoriaPermalink
L'ultimo capolavoro di Maurizio Cattelan - forse lo sapete già - è un dito medio in Piazza degli Affari.
Ai milanesi, stranamente, piace (alla Moratti per prima). Ma è davvero così strano? E, a proposito: chi sta mostrando il dito a chi? (Scopritelo sull'Unita.it!) (E commentatelo qui!)
Ai milanesi, stranamente, piace (alla Moratti per prima). Ma è davvero così strano? E, a proposito: chi sta mostrando il dito a chi? (Scopritelo sull'Unita.it!) (E commentatelo qui!)
Pare che il dito medio di Cattelan resterà in Piazza Affari ancora un po’. Se barzellette, bestemmie e appartamenti monegaschi non vi hanno distratto, sapete già di cosa si tratta: di un’installazione di Maurizio Cattelan, la copia monumentale di una mano che fronteggia la Borsa Valori protendendo il dito in alto in un gesto universalmente decifrabile.
Negli ultimi anni Cattelan è diventato l’artista italiano contemporaneo più noto al grande pubblico soprattutto grazie al valore immediato, anti-intellettualoide delle sue opere: così anche in questo caso c’è ben poco da discutere. Un dito medio è un dito medio è un dito medio, di fronte al quale il parere di un critico come Renato Barilli non si discosta molto da quello del passante qualunque: “In questo caso, non c’è neppure provocazione, in quanto i tre quarti dell’umanità sarebbero pronti a ripetere con lui quel medesimo gesto, contro le nequizie delle borse mondiali, colpevoli della grave crisi economica che ci affligge”. Così devono aver pensato anche le autorità milanesi, che hanno deciso di lasciare l’installazione nella piazza-parcheggio per altre due settimane. Non solo, ma il sindaco Moratti starebbe valutando l’idea di lasciare lì il dito per sempre: a detta di Franco Bolelli, del resto, “esso riempie – con uno straordinario senso della prospettiva – una piazza generalmente fredda e inanimata”. Sulle pagine lombarde di Repubblica on line c’è persino un sondaggio sull’argomento: per ora i sostenitori del Dito Medio sono una maggioranza qualificata.
Eppure non sono passati molti anni da quando le opere dello stesso Cattelan suscitavano nei milanesi ben altre reazioni. Ci fu persino chi si ruppe le ossa, nel tentatico di staccare i ‘bambini impiccati’ appesi alle querce secolari di piazza XXIV Maggio. Oggi invece un enorme dito medio suscita ammirazione, e manca poco che Milano non ne faccia un suo simbolo. È cambiata la città o è cambiato Cattelan? Diciamo che stiamo tutti invecchiando assieme: forse i milanesi hanno capito come funziona il gioco della provocazione, e non ci cascano più, o ci cascano meno. Ma anche l’artista ha capito come sintonizzarsi sulle loro lunghezze d’onda: in effetti, come dice Barilli, chi non sottoscriverebbe oggi un dito medio di fronte alla Borsa, a tutte le Borse del mondo? E però la Borsa resta al suo posto (e continua a far danni), e persino il gesto osceno viene riciclato per il modo in cui valorizza il piazzale e gli immobili che lo circondano. Cattelan nasce provocatore (anche se a lui la parola non piace, ci mancherebbe) e rischia di ritrovarsi pompiere.
È buffo che pochi giorni fa si sia lamentato, come un trombone qualunque, dell’“imbarbarimento” della società. Buffo ma anche significativo, visto che la sua “manona” è un richiamo forse inconsapevole all’arte pagana dell’Impero Romano in caduta libera: abbiamo già visto mani del genere, scheggiate e mutilate, negli schizzi dei romantici che rovistavano tra le rovine, e nei fondali di cartone dei peplum hollywoodiani. Ma chi sarebbero i nuovi barbari? Cattelan non ha dubbi: “Oggi sono tutti preoccupati per i rom, ma nessuno si accorge che i cinesi stanno comprando Milano, l’Italia, il mondo”. E di colpo tutto torna. Cattelan non è più un misterioso folletto sospeso tra Padova e New York: è uno di noi, ha paura dei cinesi e delle borse mondiali, e per esprimere le sue paure e le sue frustrazioni mostra il medio, come un Bossi qualunque. Il fatto che il suo dito possa piacere a Letizia Moratti, ex broker di Borsa ed ex Ministro dell’Istruzione, non è più così sorprendente. A ben vedere del resto il dito presenta un margine d’interpretazione di cui non mi ero accorto: siamo sicuri che è rivolto verso la Borsa? Milanesi, andate a controllare: magari è la Borsa che lo rivolge contro di noi. E allora davvero diventerebbe il simbolo, anzi, la manifestazione di un potere sfrenato, ormai slegato da qualsiasi complicazione umanistica e morale: un potere pagano, che negli uffici delle società per azioni si fotte i nostri risparmi, taglia i nostri posti di lavoro, incassa le plusvalenze e ci mostra il dito.
Un potere osceno, che si nasconde dietro alla sua stessa oscenità: dietro a quel dito c’è l’ingiustizia del mondo, ma tu intanto guardi il dito e ti tocca anche applaudire alla provocazione ben congegnata. Un potere che con la sua volgarità ti mette nell’angolo: se lo critichi ti fa passare per un moralista, un benpensante, un uomo di altri tempi. Mentre questi sono i tempi dei diti medi, delle barzellette sugli ebrei con qualche bestemmiuccia ma per ridere, e se non ridi è colpa tua, che non sei più in sintonia con la gente. Su quel tono basso e greve che ormai ha imparato a intonare perfino Cattelan. http://leonardo.blogspot.com
Stelle come polvere
30-09-2010, 12:26Dio, l'educazione religiosa, religioniPermalink(In questi giorni Blogger sta facendo casini. In particolare, si è messo a cancellare o nascondere commenti con delle logiche tutte sue. Se vi capita di non trovare più un vostro commento, prima di gridare alla congiura dei poteri forti forse è meglio che mi scriviate, l'indirizzo è qui di fianco).
L'educazione religiosa, 1
Ognuno ha gli hobby che si merita, e se guarda indietro agli ultimi anni, Saul si rende conto che ha passato una parte cospicua del suo tempo libero ad accapigliarsi con sconosciuti su argomenti religiosi. Tutto questo – badate bene – senza provare un briciolo di ansia religiosa dentro di sé. Cioè, al di là di tutti i discorsoni sul crocefisso, o l'ora di religione, o la santità dell'embrione, ma Saul in Dio ci crede o no? Non sa, non risponde, la domanda lo annoia. È una domanda da personaggio di Dostoevskij, Saul vive nel 2010 e ha meglio da fare: del resto, davvero, il mondo si surriscalda e sovrappopola che Dio esista o no. Ma questo non è in fondo eludere il problema? Persino Stephen Hawking ha un'opinione in merito, perché non dovrebbe averla un tipo come Saul? Tanto più che il suo passatempo è scrivere opinioni, e qualcuno gliele legge, addirittura gliele premiano.
C'è una foto in giro da quest'estate, un collages di puntini che potresti scambiare per un quadro informale o la neve della tv con l'antenna staccata – salvo che ognuno di quei puntini è una galassia. Ogni galassia è un miliardo di possibili mondi, eccetera. A questo punto il problema non è neanche più se esistano forme di vita extraterrestri – è lecito supporre che esistano forme di cose che non immaginiamo e non definiremmo nemmeno vita (altrove si chiederanno se esistano forme di t$%£) Saul vive in un periodo storico in cui ogni tanto ti mettono davanti delle foto così, e poi come fai a continuare a credere al tuo Dio? Ma la domanda è viziata: qualcun altro con la stessa foto in mano potrebbe chiederti: come fai di fronte a tanta complessità, tanta immensità, a non credere proprio al tuo Dio? Saul ha perso molto tempo a cercare di spiegare che il sentimento religioso è qualcosa che non ha nulla a che fare con la scienza. Ma allora con che cosa? Forse la paura. Saul non sa se Dio ci sia o no, ma sa che l'idea di un Dio non gli fa nessuna paura. Non se lo immagina come un Occhio Spietato che lo osserva da lontano: altri sì, e ne sono terrorizzati e infuriati, sia che ci credano, sia che non ci credano: e in questo secondo caso, il loro non-crederci, la loro non-fede, è abbastanza scomoda e spigolosa da somigliare alla fede in un dio qualunque. Si tratta insomma di una variante esistenziale: alcuni (credenti e non credenti) hanno un'angoscia, altri (non credenti e credenti) non ce l'hanno. Saul è tra questi ultimi, ma ricorda distintamente degli anni vissuti tra i primi: questo è il suo unico vantaggio.
Negli anni ha formulato varie ipotesi, (che è un po' quello che fa nella vita: l'ape il miele, l'anguilla il muco, Saul le ipotesi). Alla fine si è affezionato alla più banale, e cioè: potrebbe essere una questione di genitori. Saul ha avuto genitori buoni e modesti, molto difficili da descrivere e raccontare, perché in tv e sui libri ci mostrano sempre solo genitori violenti e pazzi: la famiglia va in scena solo quando è in decomposizione, altrimenti non è un soggetto interessante. È così da cento anni, ed è destinato a continuare per parecchio: ci sono secoli di sacre famiglie da dissacrare. Nel frattempo però quelli che sono cresciuti nelle famiglie *normali* si sentono un po' disadattati: è il paradosso della, boh, postmodernità. Per tutti gli anni della sua infanzia Saul non ha veramente avuto motivo di dubitare dell'esistenza di Dio, ed esattamente di quel Dio che stava appeso alla parete, semplicemente perché chi gliene parlava era una persona buona e modesta, che non raccontava bugie, che metteva per primo in pratica, senza fatica apparente, ogni comandamento di cui chiedeva il rispetto. Gli ordini che gli venivano impartiti gli apparivano, sin dal sorgere della coscienza, assolutamente necessari: non attraversare la strada. È un tabù, certo, ma è anche la Strada Nazionale 12 dell'Abetone e del Brennero, ci passano i camion ai cento all'ora, non si fa molta fatica a credere in un Dio-Padre che ti dà un comandamento del genere. Non quel genere di Dio-Padre che ti vieta il prosciutto o i gamberi, per intenderci. Ancora oggi Saul ha per il Dio che forse esiste la stessa naturale deferenza che prova senza difficoltà per qualsiasi autorità: il Preside, il Vigile, il Capo dello Stato. Con un po' di sforzo, naturalmente, Saul può nutrire sentimenti avversi: detestare qualche poliziotto violento, dileggiare i ministri. Ma gli costa un po' fatica, e le sue velleità rivoluzionarie non arrivano mai alle estreme conseguenze di invocare l'abolizione dei ministeri, o delle polizie. Saul detesta i ministri che non sanno fare i ministri e i poliziotti che picchiano le persone invece di difenderle: non l'autorità, ma chi la incarna in modo indegno. Un borghese, gratta gratta? Saul si risponde di no, non è esattamente questione di borghesia: ci sono borghesi ansiosi, cresciuti in famiglie difficili, che per l'autorità non hanno alcun rispetto. No, davvero, è una questione di famiglia. Saul ha avuto genitori buoni, modesti e cattolici. Li avesse avuti buoni modesti e non credenti, sarebbe oggi più o meno la stessa persona, e scriverebbe le stesse cose.
Allo stesso tempo, Saul sa di avere trascorso anni difficili, in cui forse ha bordeggiato varie psico-patologie senza che nessuno se ne accorgesse. Per fortuna nemmeno lui (continua, forse diventa più interessante).
L'educazione religiosa, 1
Ognuno ha gli hobby che si merita, e se guarda indietro agli ultimi anni, Saul si rende conto che ha passato una parte cospicua del suo tempo libero ad accapigliarsi con sconosciuti su argomenti religiosi. Tutto questo – badate bene – senza provare un briciolo di ansia religiosa dentro di sé. Cioè, al di là di tutti i discorsoni sul crocefisso, o l'ora di religione, o la santità dell'embrione, ma Saul in Dio ci crede o no? Non sa, non risponde, la domanda lo annoia. È una domanda da personaggio di Dostoevskij, Saul vive nel 2010 e ha meglio da fare: del resto, davvero, il mondo si surriscalda e sovrappopola che Dio esista o no. Ma questo non è in fondo eludere il problema? Persino Stephen Hawking ha un'opinione in merito, perché non dovrebbe averla un tipo come Saul? Tanto più che il suo passatempo è scrivere opinioni, e qualcuno gliele legge, addirittura gliele premiano.
C'è una foto in giro da quest'estate, un collages di puntini che potresti scambiare per un quadro informale o la neve della tv con l'antenna staccata – salvo che ognuno di quei puntini è una galassia. Ogni galassia è un miliardo di possibili mondi, eccetera. A questo punto il problema non è neanche più se esistano forme di vita extraterrestri – è lecito supporre che esistano forme di cose che non immaginiamo e non definiremmo nemmeno vita (altrove si chiederanno se esistano forme di t$%£) Saul vive in un periodo storico in cui ogni tanto ti mettono davanti delle foto così, e poi come fai a continuare a credere al tuo Dio? Ma la domanda è viziata: qualcun altro con la stessa foto in mano potrebbe chiederti: come fai di fronte a tanta complessità, tanta immensità, a non credere proprio al tuo Dio? Saul ha perso molto tempo a cercare di spiegare che il sentimento religioso è qualcosa che non ha nulla a che fare con la scienza. Ma allora con che cosa? Forse la paura. Saul non sa se Dio ci sia o no, ma sa che l'idea di un Dio non gli fa nessuna paura. Non se lo immagina come un Occhio Spietato che lo osserva da lontano: altri sì, e ne sono terrorizzati e infuriati, sia che ci credano, sia che non ci credano: e in questo secondo caso, il loro non-crederci, la loro non-fede, è abbastanza scomoda e spigolosa da somigliare alla fede in un dio qualunque. Si tratta insomma di una variante esistenziale: alcuni (credenti e non credenti) hanno un'angoscia, altri (non credenti e credenti) non ce l'hanno. Saul è tra questi ultimi, ma ricorda distintamente degli anni vissuti tra i primi: questo è il suo unico vantaggio.
Negli anni ha formulato varie ipotesi, (che è un po' quello che fa nella vita: l'ape il miele, l'anguilla il muco, Saul le ipotesi). Alla fine si è affezionato alla più banale, e cioè: potrebbe essere una questione di genitori. Saul ha avuto genitori buoni e modesti, molto difficili da descrivere e raccontare, perché in tv e sui libri ci mostrano sempre solo genitori violenti e pazzi: la famiglia va in scena solo quando è in decomposizione, altrimenti non è un soggetto interessante. È così da cento anni, ed è destinato a continuare per parecchio: ci sono secoli di sacre famiglie da dissacrare. Nel frattempo però quelli che sono cresciuti nelle famiglie *normali* si sentono un po' disadattati: è il paradosso della, boh, postmodernità. Per tutti gli anni della sua infanzia Saul non ha veramente avuto motivo di dubitare dell'esistenza di Dio, ed esattamente di quel Dio che stava appeso alla parete, semplicemente perché chi gliene parlava era una persona buona e modesta, che non raccontava bugie, che metteva per primo in pratica, senza fatica apparente, ogni comandamento di cui chiedeva il rispetto. Gli ordini che gli venivano impartiti gli apparivano, sin dal sorgere della coscienza, assolutamente necessari: non attraversare la strada. È un tabù, certo, ma è anche la Strada Nazionale 12 dell'Abetone e del Brennero, ci passano i camion ai cento all'ora, non si fa molta fatica a credere in un Dio-Padre che ti dà un comandamento del genere. Non quel genere di Dio-Padre che ti vieta il prosciutto o i gamberi, per intenderci. Ancora oggi Saul ha per il Dio che forse esiste la stessa naturale deferenza che prova senza difficoltà per qualsiasi autorità: il Preside, il Vigile, il Capo dello Stato. Con un po' di sforzo, naturalmente, Saul può nutrire sentimenti avversi: detestare qualche poliziotto violento, dileggiare i ministri. Ma gli costa un po' fatica, e le sue velleità rivoluzionarie non arrivano mai alle estreme conseguenze di invocare l'abolizione dei ministeri, o delle polizie. Saul detesta i ministri che non sanno fare i ministri e i poliziotti che picchiano le persone invece di difenderle: non l'autorità, ma chi la incarna in modo indegno. Un borghese, gratta gratta? Saul si risponde di no, non è esattamente questione di borghesia: ci sono borghesi ansiosi, cresciuti in famiglie difficili, che per l'autorità non hanno alcun rispetto. No, davvero, è una questione di famiglia. Saul ha avuto genitori buoni, modesti e cattolici. Li avesse avuti buoni modesti e non credenti, sarebbe oggi più o meno la stessa persona, e scriverebbe le stesse cose.
Allo stesso tempo, Saul sa di avere trascorso anni difficili, in cui forse ha bordeggiato varie psico-patologie senza che nessuno se ne accorgesse. Per fortuna nemmeno lui (continua, forse diventa più interessante).
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