Abbasso La Russa brutto

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Il brutto o il cattivo

“Ma hai sentito di La Russa?”
“No, che ha detto?”
“Che le donne di sinistra sono brutte”.
“Proprio lui?”
“Ecco, appunto, direi che sarebbe ora di controbattere”.
“Ma infatti. La Russa, ma guardati”.
“La Russa, fai schifo all'estetica comune”.
“La Russa, sei un cesso... però, aspetta... mi viene un dubbio...”
“Uff, sempre con questi dubbi”.
“...non è che in questo modo ci abbassiamo al suo livello? Un livello, tra l'altro, in cui non potrà che stracciarci con la sua maggiore esperienza?”
“Mah”.
“Non sarebbe la prima volta che la butta in caciara e vince”.
“Vabbe', ma a dei personaggi del genere cosa vuoi controbattere... vuoi trattarli seriamente? In fondo è soltanto un pagliaccio”.
“Ci sarebbe la storia di quei sessantuno morti di sete, avrai sentito”
“Vagamente”.
“Ieri il Guardian ha accusato le forze Nato di aver lasciato morire sessanta persone di sete in mezzo al mediterraneo, una storia agghiacciante”.
“Ma cosa c'entra La Russa, scusa”.
“Come cosa c'entra, è il ministro della Difesa”.
“È facile dimenticarsene”.
“Insomma questi il 25 marzo si ritrovano in avaria e chiamano un prete eritreo che vive a Roma. Il prete contatta subito la Guardia Costiera, che correggimi se sbaglio fa parte della Marina Militare, che è competenza di La Russa”.
“E la Guardia Costiera ha fatto finta di niente?”
“Anzi: hanno detto al prete che se n'erano già accorti e avevano allertato le autorità competenti, probabilmente i maltesi. I maltesi però negano”.
“Ma erano acque maltesi?”
“Non è chiaro, comunque poco tempo dopo si fa vivo un elicottero militare che lancia acqua potabile e cibo. E nessuno ammette di averlo mandato: né Malta, né Italia, né Nato, nessuno”.
“E poi?”
“E poi basta. Non si fa più vivo nessuno. Per sedici giorni. L'Italia sa che sono lì. Malta sa che sono lì”.
“Il pagliaccio sa che sono lì”.
“Mentre si trucca per andare in onda. C'è una nave militare che passa poco lontano – forse è la Garibaldi, forse la Charles de Gaulle. Fanno finta di niente. Li lasciano morire di sete, uno alla volta”.
“Intanto il pagliaccio va ai comizi”
“Ci sono due bambini piccoli che sopravvivono per due giorni ai genitori. Gli altri migranti continuavano a nutrirli. Poi muoiono anche loro. Di settantadue sopravvivono in undici, bevendo urina e mangiando dentifricio. Alla fine sbarcano dalle parti di Misurata. Uno muore toccando terra. I libici li sbattono in prigione – un altro muore là, dopo sedici giorni di naufragio. Roba da Tribunale Internazionale, secondo il mio modesto parere”.
“Sì, però se vuoi sentire anche il mio, di modesti pareri... uno come La Russa non lo combatti mica così”.
“E perché? È un criminale o no? C'è l'omissione di soccorso. C'è tutta”.
“Erano acque internazionali, o maltesi”.
“Ma che Malta e malta, è un teatro di guerra, non si muove una foglia senza che non se ne accorgano a Roma a Parigi e a Washington, e c'era una nave a tiro di schioppo, adesso dimmi che un bombardamento può servire a sloggiare un dittatore, ma una strage così a cosa serve?”
“Da esempio per altri che vogliono partire”.
“Sì, ma è disumano”.
“A questo punto bisognerebbe ridefinire l'umanità, perché sai, se attacchi La Russa da quel lato, lasci intendere che qualcun altro al suo posto sarebbe meno criminale di lui”.
“Lo spero bene”.
“E la gente lo voterebbe? Uno meno criminale di lui? Uno che va a pescare settanta disperati nelle acque internazionali? Fidati, se lo chiami criminale gli rendi un servizio. C'è un sacco di gente pronta ad rieleggerlo, un criminale così”.
“E quindi?”
“E forse è meglio che di questa storia non parliamo. È deprimente. Tra trent'anni magari ci faremo una giornata della memoria, ma adesso... concentriamoci sui pagliacci”.
“Lasciamo stare i criminali”.
“Siamo tutti un po' criminali, qualche volta esecutori e il più delle volte mandanti. Ma brutti così no, non siamo così brutti. Ministri così brutti...”
“Non li vogliamo più”.
“Esatto. Abbasso il ministro brutto”.
“Scusami, ma che partito votiamo noi?”
“Non mi ricordo più. Ha importanza?”
“No, non tanta. Avremo senz'altro candidati più giovani e carini. Abbasso La Russa brutto”.
“Abbasso”.
“La Russa puzzi!”
“La Russa lavati!”
Ecc.
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The Man in the High Castle

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Se ne sta nel suo palazzo blindato, a emettere sentenze di morte.
Ogni tanto manda fuori un video per i suoi fedeli, 
li informa di qualche sua vittoria,
e tutto quello che dice 
è sempre vero.

Lo avete senz'altro riconosciuto.


La versione di Obama (H1t#74) è sull'Unita.it e si commenta laggiù.

Ma se qualche anno fa il presidente George W. Bush avesse annunciato al mondo che Osama Bin Laden era stato ritrovato e ucciso, ma che non poteva mostrarne il corpo perché era stato prontamente sepolto in mare; in compenso erano state scattate delle foto, che però non avrebbe diffuso perché erano troppo truculente; al massimo ci avrebbe fatto vedere qualche video preso dal suo computer; ma solo qualche spezzone senza audio, ecco... gli avremmo creduto? No, forse a Bush non avremmo creduto. E perché invece alla versione di Obama crediamo tanto volentieri? 

Questione di carisma.  Come siano andate realmente le cose ad Abbottabad probabilmente non lo sapremo mai, ma le reazioni mondiali dopo il blitz sono la definitiva dimostrazione dell'enorme credito che il presidente democratico, già Nobel per la Pace 'sulla fiducia', continua a mantenere presso l'opinione pubblica globale. In più, dall'11 settembre 2001 in poi la letteratura complottistica è cresciuta a ritmo esponenziale (anche grazie a internet, che offre spazio alle teorie di chiunque). L'inflazione di leggende urbane ha reso un pessimo servizio a chi vuole semplicemente concedersi il sanissimo vizio di dubitare delle versioni ufficiali. Ad esprimere pubblicamente i propri sospetti c'è il rischio di trovarsi subito iscritto nelle file di quelli che credono che tutto l'11/9 sia una montatura, per tacere degli sciachimisti e dei rettiliani. Alla fine si crede in Obama anche per non ritrovarsi a dover credere a Giulietto Chiesa o alle scie chimiche: non sarà proprio la verità al 100%, ma almeno ne è una ricostruzione seria, fatta con un po' di coscienza: e se tra qualche anno si scoprirà che ci ha ingannato, beh... ci ha ingannato in tanti, mal comune mezzo gaudio.
  
Prendiamo i video. Sabato sono stati diffusi alcuni spezzoni di questi videomessaggi che sarebbero stati trovati nel computer personale di Bin Laden. Almeno così dicono gli americani. Stampa e tv hanno ripreso le immagini, senza porsi nemmeno la domanda più banale: se Bin Laden aveva realizzato nuovi video, perché non li diffondeva? Cosa stava aspettando?

La storia dei videomessaggi di Bin Laden è molto curiosa. Quando il primo viene diffuso, il 15 settembre del 2001, le ceneri del World Trade Center sono ancora calde. Dalle rocce sullo sfondo gli esperti deducono che Osama si trova in Afganistan, e parla come un comandante in prima linea. Tra settembre e dicembre 2001 verranno divulgati altri tre messaggi, con cadenza più o meno mensile. Poi un lungo silenzio, interrotto nell'ottobre del 2004 da un videomessaggio recapitato ad Al Jazeera, in cui Bin Laden, rivolgendosi agli americani, ammette per la prima volta le sue responsabilità sull'11 settembre, proprio a un mese dalle elezioni che avrebbero riconfermato Bush alla Casa Bianca. A quei tempi qualcuno fu così malizioso da notare la coincidenza.
 
Dopo un ulteriore anno di silenzio, Bin Laden si rifà sentire più volte nel 2006, ma senza più metterci la faccia. Circostanza che fece insospettire parecchi: se Bin Laden era vivo e abbastanza operativo per incidere messaggi, perché non si faceva più riprendere in volto? Forse non voleva mostrare un fisico indebolito dalla guerriglia e dalla fuga. Oppure era morto, e i messaggi audio erano opera di imitatori, se non vecchi nastri rimessi in circolazione: nel 2006 ormai lo sospettavano in molti, anche tra i sostenitori di Bush.

A questo punto, però, Bin Laden sorprende ancora il mondo, facendosi rivedere nel 2007 con un videomessaggio molto controverso. Non è soltanto per il colore della barba, più nera che sette anni prima, come a voler fugare qualsiasi sospetto sul proprio decadimento fisico. Il fatto è che Osama appare vestito esattamente come nel messaggio del 2004 (anche l'inquadratura sembra identica). È vero che dice cose nuove (per la prima volta parla di riscaldamento globale, nomina Gordon Brown e Nicolas Sarkozy), ma... non muove le labbra. In effetti, il videomessaggio si blocca dopo due minuti; la voce continua a parlare, ma l'immagine rimane statica e torna ad animarsi solo al dodicesimo minuto (per bloccarsi di nuovo dopo un altro minuto e mezzo). I riferimenti all'attualità e ai nuovi governanti di Francia e Regno Unito sono tutti compresi in quei dieci minuti in cui l'audio funziona e il video no. Difficile non pensare a una manipolazione. Eppure, già allora, i giornalisti cominciavano ad apparire meno interessati alle speculazioni sull'autenticità dei video. Il personaggio ormai ispirava una certa stanchezza, e forse il vero motivo per cui abbiamo tutti accolto con tanta prontezza l'annuncio della sua morte è proprio questo: di lui e dei suoi messaggi non ne potevamo più.

Abbiamo una gran voglia di cambiare pagina, sia in Medio Oriente sia altrove, e questo Barack Obama lo ha capito. Forse tra qualche tempo divulgherà la versione integrale dei nuovi videomessaggi, e capiremo come mai lo sceicco del terrore preferiva tenerli per sé invece che divulgarli. Forse era un perfezionista. Oppure c'è un'altra ragione, anche più banale.

Ma potrebbe anche darsi che non ci sia. Certe volte dovremmo semplicemente ammetterlo: non sapremo mai come sono andate veramente le cose. Nessuno ci fornirà mai abbastanza elementi per ricostruire i fatti. Però questo non significa che dobbiamo per forza accettare la versione di Obama, che incidentalmente è anche la versione del più forte. Possiamo, semplicemente, andare avanti coi nostri dubbi, senza pretendere di saperla lunga. Sappiamo solo di non sapere, che non è molto; però è già tantissimo.
http://leonardo.blogspot.com
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Dall'Uomo Fico ci guardi Iddio

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Come alcuni affezionati lettori già sanno, la redazione di Leonardo è in comunicazione con un universo parallelo al nostro, praticamente identico, con alcune trascurabili differenze: ad esempio, in quell'universo i mammut non si sono ancora estinti. Un'altra differenza curiosa è che Bin Laden è stato ucciso diversi anni fa, durante la Presidenza Bush, anche se le circostanze dell'episodio sono in verità molto controverse. Riportiamo qui alcuni stralci della conferenza stampa:

Da' retta a un cretino
“...Noi sapevamo, e una fonte autorevole ce lo aveva confermato, che Osama non si sarebbe mai allontanato dal suo mammut di famiglia, che lo seguiva in tutti i suoi spostamenti. Sapevamo anchesì che il bestione era molto anziano, e che aveva bisogno di un trattamento di dialisi. Localizzare un pachiderma dializzato non è stato poi così difficile, in Pakistan non sono molte le istituzioni ospedaliere, pardon, veterinarie in grado di offrire un servizio di questo tipo, e così... per farla breve, questo è il modo in cui lo abbiamo localizzato. E io avrei finito. Se ora voi della stampa volete farmi qualche risposta...”
“Intende 'domanda', Presidente?”
“Sì, quelle cose lì”.
“Presidente, mi pare che la versione che avete dato oggi presenti diverse contraddizioni rispetto a quella di ieri...”
“Beh, me ne rendo conto e mi dispiace... magari quella di domani andrà meglio”. (risate)
“Per esempio, la questione dell'elicottero”.
“Già, già l'elicottero. Brutta storia”.
“A dire il vero non si è capito se sia caduto o no, per quale motivo, e se ci siano state vittime. Ci sono state?”
“Ottima domanda”.
“Già”.
“Non credo di poterle rispondere adesso”.
“Lo immaginavo”.
“Altre risposte? No, scusate, domande. Scusate, sapete che soffro di asfissia”.
“Afasia, Presidente. A proposito: ieri avevate detto che Bin Laden era morto durante un conflitto a fuoco; che aveva anche tentato di usare alcuni suoi famigliari come scudi umani. È vero?”
“Sì. Cioè, è vero che ieri ho detto così”.
“Oggi però una figlia di Bin Laden ha affermato che Osama era disarmato quando fu ucciso. Ci potrebbe dire quale delle due versioni si avvicina di più alla verità?”
“Potrei dirvelo, sì”.
“Ma non lo farà?”
“Magari più tardi. Altre domande?”
“Presidente, ieri si era parlato di alcune foto”.
“Già, beh, le foto”.
“Lei comprende che l'attenzione di tutto il mondo è rivolta a queste foto... come ha dimostrato, nelle ultime ore, la circolazione di tutta una serie di fotomontaggi”.
“Roba da sciacalli, se volete la mia opinione”.
“Ecco, più che la sua opinione, Presidente, vorremmo sapere quando arrivano le foto vere”.
“Già. Beh, ecco, ne abbiamo discusso molto con lo staff, e alla fine abbiamo deciso che è meglio di no”.
“Cioè, non mostrerete le foto?”
“No, nella maniera più assoluta”.
“E come mai?”
“Beh, sono immagini molto forti, che rischiano di... di esporci a serie ritorsioni da parte dei terroristi”.
“Presidente, mi scusi, ma le ritorsioni ci saranno comunque. Se volevate evitare ritorsioni, tanto valeva non dargli la caccia, o non annunciare al mondo la sua morte. È chiaro che a questo punto i suoi seguaci cercheranno di vendicarsi. La divulgazione delle foto cosa cambia, esattamente?”
“Beh, potrebbero cercare di vendicarsi... di più”.
“Perché hanno visto la testa del loro profeta crivellata di colpi?”
“Ecco sì, una cosa del genere. Non vogliamo creare un mito”.
“Presidente, scusi, ma Bin Laden era già un mito. E sa cos'aveva in comune coi personaggi mitologici?"
“Immagino che me lo stia per dire".
“Era elusivo, ubiquo e immortale. Ma se da qualche parte c'è una foto che lo ritrae morto e sconfitto... al di là di ogni considerazione di carattere morale... dovrebbe trattarsi di una foto che mette in discussione il mito, piuttosto che il contrario. Visto e considerato che gran parte del carisma di Bin Laden era dovuto alla sua ubiquità, all'abilità con cui fino a questo momento era riuscito a nascondersi all'esercito più potente del mondo... un'immagine di questo tipo dovrebbe demolirlo, questo tipo di carisma. Non trova?”
“Mi scusi, credo di essermi distratto”.
“Auff. Le sto dicendo che la foto di un mito morto non rafforza il mito: lo uccide. È d'accordo?”
“Non saprei, diciamo di sì”.
“E allora perché non ci mostra le foto?”
“Ho deciso che è meglio di no”.
“Vede, Presidente, l'impressione è che lei questo mito, più che ucciderlo, lo voglia proprio rafforzare”.
“Boh, non saprei. Altre risp... domande?”
“Presidente, riguardo al funerale in mare...”
“No, ancora con quella storia”.
“Ma presidente, deve concedere che è una storia veramente strana, cioè... qui abbiamo il parere di un centinaio di imam che sostengono tutti che seppellire un musulmano in mare non sia esattamente halal”.
“Noi non la pensiamo così, ma dovete avere pazienza, stiamo cercando”.
“Cercando cosa, presidente? Un imam che dia ragione a voi?”
“Qualcosa del genere. Altre domande?”
“Presidente, ma ci vuol dire una buona volta perché vi siete sbarazzati del corpo così rapidamente?”
“L'ho già detto ieri: nessuna nazione islamica voleva accogliere il corpo, e quindi...”
“Presidente, ma quindi davvero voi avete chiesto a tutte le nazioni islamiche del mondo? Per dire, avete chiesto al Brunei? O alla Tanzania?”
“Non posso rispondere. In ogni caso non potevamo assolutamente consentire che la sua tomba diventasse un santuario, anche a Tarzania”.
“Tanzania”.
“Quel che è”.
“Tarzan non c'entra niente”.
“Lo sapevo. È che sono afisico”.
“Afasico”.
“Quel che è, e voi ve ne approfittate. Mi fate passare per un cretino. Beh, sentite questa: sono il cretino che ha fatto fuori Osama Bin Laden”.
“Sì, però, Presidente, lei le prove ce le deve ancora mostrare...”
“Auff, ma ve l'ho spiegato! E poi insomma, quando Roosevelt ha preso Hitler nessuno gli ha chiesto le foto, no? Si sono fidati. Fidatevi anche voi”.
“Non è stato Roosevelt”
“Volevo dire Truman”.
“È stato Stalin”.
“Ecco, appunto”.
“E poi, Presidente, ancora questa storia del santuario...”
“Cosa c'ha che non va, la storia del santuario, a me sembra buona”.
“Francamente, se il problema è tutto lì, piazzate una ventina di videocamere tutto intorno al mausoleo, e se qualche alqaedista vuole davvero venire ad adorare il suo profeta, tanto peggio per lui e tanto meglio per la CIA, no?”
“Abbiamo pensato che è meglio di no”.
“E poi, insomma, il culto delle personalità esiste. Esiste anche senza il corpo e senza l'immagine del volto, basta dare un po' un'occhiata ai vangeli... insomma, non potete continuare a fare i socio-psicologi della domenica, se avete deciso di ammazzarlo è chiaro che avete operato anche sul piano simbolico, e in cambio di una vittoria che su questo piano può fruttarvi molto dovete accettare anche le conseguenze negative. Non trova?”
“Eh?”
“Presidente, ascolti, io non sono un complottista. Non credo alle panzane sulle Twin Tower minate, alle scie chimiche e a tutte le altre menate. Non credo a tutto quello che mi si racconta”.
“Bravo”.
“Ma proprio per questo motivo, non posso nemmeno credere a tutto quello che mi dice lei. Cioè, lei ci sta dicendo che i suoi uomini hanno localizzato e fatto fuori Bin Laden, il che è plausibile e potrebbe benissimo essere vero, ma non ci fornisce una sola evidenza, una sola prova. Per quale motivo dovremmo credere che le cose siano andate esattamente come dice lei?”
“Risponderò alla sua domanda con un'altra domanda: per quale motivo non mi crede?”
“Gliel'ho detto: perché non ci ha fornito nessuna p...”
“Stronzate. Lei non mi crede perché sono un texano figlio di papà con la faccia da scemo, e un lieve ritardo cognitivo che mi porta a dire un sacco di strafalcioni. Non è così?”
“No, non è così. Io...”
“Lei è un razzista, in realtà. Mi guarda in faccia, pensa a mio padre, pensa al mio passato di imboscato nella guardia costiera, e si dice: un tizio così, vuoi che abbia preso Bin Laden? Naaaa. Ora, può anche darsi che mia versione di oggi non sia proprio il massimo, eh?”
“Ecco, in effetti...”
“C'è ancora qualcosa da ritoccare qui e là. Ma sa cosa le dico? Non ha la minima importanza. Se anche io arrivassi qui con le foto di Bin Laden, e i raggi x di Bin Laden, e la provetta col dna di Bin Laden, e la testa di Bin Laden su un piatto d'argento, lei non mi crederebbe comunque. Ma se al mio posto ci fosse un ragazzo fico, con un bel sorriso, uno di quelli che studiano sodo e vanno avanti a furia di borse di studio, magari con un cognome che non suona proprio proprio inglese, beh, sa cosa le dico? Lei si berrebbe tutte le stronzate che ho detto oggi, più quelle che ho detto ieri, più quelle che dirò domani, e se le berrebbe d'un fiato, e non le passerebbe nemmeno per la testa di chiedermi del funerale in mare o dell'elicottero – come se io le potessi dire la verità su un elicottero, andiamo”.
“Presidente, si è fatto tardi...”
“E allora sa che le dico? Ringrazi Dio, e ringrazi il popolo americano che mi ha eletto, più o meno a maggioranza, ringrazi il popolo che ha scelto un presidente non fico. Perché almeno finché ci sono io, coi miei strafalcioni, qualche domanda ve la fate. Non che io vi possa rispondere. Ma almeno vi fate ancora le domande. Mi capisce?”
“No, credo di no”.
“Ma il giorno che vi eleggerete un presidente fico, uomo o donna, bianco o nero, non importa, sarà il giorno in cui smetterete anche di farvi le domande, e vi terrete come verità la prima stronzata che vi raccontano. Si ricordi di queste mie parole”.
“Presidente, il mammut scalpita, è ora di andare”.
“Sì. Buonasera a tutti. Dio benedica questo Paese”.

Le altre storie dal Mondo dei Mammut: Il Silvio Parallelo, Veltroni tra i mammut.
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Catholics do it better

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C'è che i laici sono dei pivelli, più vado avanti più me ne rendo conto.

Per esempio, a Milano è successo che l'Associazione Luca Coscioni - che lotta per introdurre in Italia l'eutanasia e sta chiedendo il 5 per mille - ha stampato e affisso il seguente manifesto:

Perché sono dei pivelli. E adesso la Moratti li vuole far rimuovere (via Gilioli). Quando sarebbe bastato semplicemente stamparlo così.

Ecco qui, prova a rimuoverlo adesso.
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Vediamoci ad Abbottabad

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(Quelli che seguono non sono che stralci dal corposo pdf Bin Laden: tutte le dietrologie che non hai ancora osato immaginare, disponibile su tutti i migliori internets).

#67 Alla fine eri solo un cugino di terzo grado che voleva dare una mano, riabilitare la famiglia, insomma, a un certo punto un tuo amico Emiro ti presenta a quelli della Cia che ti fanno un'audizione, trovano la cosa fattibile, ti fanno una plastica, ti montano una barba e ti fanno leggere il gobbo, e tu davvero quel giorno ce l'hai messa tutta, volevi fare del tuo meglio, ma gli idioti yankees avevano clamorosamente cannato la colorazione della barba, per cui la nuova serie di videomessaggi di Bin Laden viene interrotta dopo il pilota, e tu che fine fai? Ti trovano un residence superaccessoriato in una tenuta fuori Islamabad, ti dicono di star buono lì e aspettare ordini, e tu aspetti. Vorresti solo renderti utile.
Pensi: prima o poi busseranno. Prima o poi verranno a prendermi.


#75
“Trump? Ma sul serio Trump?”
“Presidente, i sondaggi segreti sono molto, molto attendibili”.
“Cioè ma insomma, dai, adesso mi tocca sul serio fare la campagna contro un parrucchino miliardario con la moglie di silicone? Roba che neanche in Italia?”
“E c'è di peggio”.
“Che c'è di peggio, pioverà? Per tutta la campagna?”
“Potrebbe anche perdere”.
“Perdere? Contro quello lì?”
“Lo sa com'è il sistema elettorale. Bisogna rassicurare l'Ohio, galvanizzare il Wisconsin e distrarre il Wyoming”.
“Distrarre il Wyoming... e come diavolo facciamo a... ma senti... ce l'abbiamo ancora quel campione di dna della famiglia Bin Laden?”

#156
“Va bene, adesso fine pausa caffè. A qualcuno è venuta un'idea sulla gestione delle spoglie?”
“Non ce la faremo mai”.
“Niente panico. Niente panico. Dunque, riassumiamo il problema: dobbiamo mostrare il corpo a tutto il mondo, dimostrando che è Osama al di là di ogni ragionevole dubbio. Dobbiamo però anche evitare qualsiasi possibile riesumazione del cadavere, per i motivi che ci siamo già detti. Idee? Coraggio”
“Ma sul serio non possiamo cremarlo?”
“Perdio no, per l'ennesima volta no, la cremazione non è consentita dall'Islam”.
“Allora, io un'idea ce l'avrei, ma è una cazzata...”
“Spara”.
“Potrebbe essersi convertito in punto di m...”
“Genio. No, sul serio. Conflitto a fuoco, i nostri gli sparano, lui cade, e prima di morire dissanguato si converte al cristianesimo”.
"Beh, sì, potrebbe avere una visione in punto di morte... Gesù che lo perdona e..."
“E chiede di essere cremato”.
“Te l'ho detto che era una cazzata”.
“Va bene, ho capito, si resta al piano A. Lo gettiamo in mare”.
“No, il piano A no. Ma chi se la berrà, scusa”.
“Qualcosa inventeremo. Che nessun Paese islamico vuole tenersi il corpo”.
“Che sarebbe un ottimo motivo per tenercelo noi, no?
“Insomma, finché non ci viene un'idea migliore..."

#543
“Cari fratelli nella fede, parliamoci chiaro, qui il morale è bassissimo. I droni degli Yankees ce le stanno suonando di brutto sul confine afgano. Ma non è nemmeno quello il problema. Lo sapete qual è il problema? È che non facciamo più presa sui ragazzini”.
“Com'è vero”.
“Una volta qui fuori era pieno di ragazzini pachistani, iraniani, sauditi, perfino qualche europeo e americano attraversava il mare per venire ad affiliarsi alla nostra prestigiosa organizzazione. E adesso più niente, finita”.
“È che adesso vanno di moda le rivoluzioni, quella roba lì”.
“I ragazzini stanno tutto il tempo a twittare su quel che succede in Egitto o in Tunisia o in Siria, alla jihad non ci pensa più nessuno, è diventata una roba da vecchi”.
“Fratelli, io credo che sia venuto il momento di recuperare quella ribalta mondiale che ci spetta di diritto. Siamo o non siamo la più prestigiosa sigla del terrorismo islamico? Siamo Al Qaeda, cazzo! E tutti si devono ricordare di noi”.
“Bravo! Ben detto! Ma...”
“Come facciamo? Fratelli, credo che sia il momento di giocarci il martire”.
“Proprio lui?”
“Sì, anzi, ce lo siamo tenuti in frigo anche troppo. Dove sta, adesso?”
“L'ultima volta che l'ho sentito diceva che si stava ristrutturando un posto tranquillo dalle parti di Islamabad...”

#746
“Presidente, lei mi chiede se potrebbero colpire in campagna elettorale. Io le dico che non è più una questione di “se”. È una questione di dove, di quando, a questo punto forse anche di perché, ma non è più una questione di “se”. Colpiranno. La sua politica di apertura all'Islam moderato, l'intervento in Libia... sono cose che li hanno innervositi. Tutte le fonti ci confermano che la struttura si è rinnovata negli ultimi anni, e che ci sono decine di cellule in sonno nel nostro stesso territorio”.
“Quindi colpiranno”.
“E non potremo farci molto”.
“E per tutti sarà colpa mia”.
“Dipende. Si tratta di impostare il frame giusto”.
“Scusa, eh, ma se dopo tre anni di presidenza mi combinano un altro 11 settembre, che razza di frame vuoi costruirci intorno? Mi daranno la colpa”.
“Si potrebbe fare così. Anticiparli”.
“In che senso?”
“Mostrare le palle per primi. Dar loro una botta fortissima. Non so, per dire, ammazzare Bin Laden”.
“Di nuovo?”
“Massì, la gente mica si ricorda. Noi tra qualche giorno annunciamo che abbiamo preso Bin Laden, che è morto, per dire, in un conflitto a fuoco. E finanziamo un'enorme claque che esulti nelle piazze, in quel momento saranno tutti per lei”.
“Sì, ma dopo...”
“E proprio in quel momento, lei dirà: attenzione! Adesso Al Qaeda sarà più cattiva di prima, proprio perché l'abbiamo colpita a morte. E a quel punto, se va giù un altro grattacielo, beh, sono gli effetti collaterali di un'altra guerra al terrore”.
“Quindi ci tocca comprare un altro Bin Laden? Mmm. Ci devo pensare”.

#1015
“Allora, direi che entrambi abbiamo qualcosa da guadagnarci. Noi abbiamo bisogno di recuperare un po' di visibilità, tornare sulla ribalta, eccetera. Il vostro presidente ha bisogno di mostrare le palle. Come si dice da voi, quando entrambi i contendenti ci guadagnano...”
“Win/win situation”.
“Esatto”.

#1242
“Cos'è questa storia che dobbiamo invadere il Pakistan?”
“Ragione di Stato”.
“Sì, ma cosa esattamente stavolta: oleodotti, gas, uranio, cosa?”
“L'acqua del Kashmir è molto buona”.
“Seh, anche i maglioni”.
“E le testate nucleari in mano a un governo islamico non sono una cosa altrettanto buona. Così magari l'Iran ha un esempio da cui imparare”.
“Ma allora tanto vale attaccare l'Iran, scusa”.
“L'Iran è un osso duro. Il Pakistan è in ginocchio, le alluvioni lo hanno devastato, la gente fugge. È il momento giusto”.
“Sì, ma questa come gliela spieghiamo all'opinione pubblica, scusate, il Pakistan è stato un nostro alleato per tutti questi anni... non siamo mica gli italiani, che loro possono giocare con Gheddafi, eh... ci vuole un casus belli spettacolare”.
“Infatti”.
“Ce l'abbiamo?”
“Tienti forte. Lo sai chi ci abita in un villino a Islamabad?”

#5685
E quando lo Veglio vuole fare uccidere alcuna persona, fa tòrre quello che sia lo piú vigoroso, e fagli uccidire cui egli vuole. E coloro lo fanno volontieri, per ritornare al paradiso; se scampano, ritornano a loro signore; se è preso, vuole morire, credendo ritornare al paradiso.
E quando lo Veglio vuole fare uccidere neuno uomo, egli lo prende e dice: "Va' fa' cotale cosa; e questo ti fo perché ti voglio fare tornare al paradiso". E li assesini vanno e fannolo molto volontieri. E in questa maniera non campa niuno uomo dinanzi al Veglio de la Montagna a cu'elli lo vuole fare; e sí vi dico che piú re li fanno trebuto per quella paura.
Egli è vero che 'n anni 1277 Alau, signore delli Tartari del Levante, che sa tutte queste malvagità, egli pensò fra se medesimo di volerlo distruggere, e mandò de' suoi baroni a questo giardino. E' stettero tre anni attorno a lo castello prima che l'avessero, né mai non l'avrebboro avuto se no per fame. Alotta per fame fu preso, e fue morto lo Veglio e sua gente tutta. E d'alora in qua non vi fue piú Veglio niuno: in lui s'è finita tutta la segnoria.
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Mentre il Santo Padre "dorme"

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Ma ci pensate se un Papa (non necessariamente questo) si mettesse a letto e non si riuscisse a svegliare più? Cosa succederebbe? Dai, pensiamoci.


Il paradosso del Papa in coma (H1t#73) è on line sull'Unità.it e si commenta laggiù (sì, in realtà doveva chiamarsi Paradosso del Papa in Stato Vegetativo Persistente) (non suonava così bene).

Stavolta, più che una teoria, ho un paradosso. Cosa succederebbe se un Papa, non un Papa che conosciamo, un Papa qualsiasi da qui all'eternità, in seguito a un incidente o a una malattia, cadesse in uno stato vegetativo persistente?

Il calvario di Giovanni Paolo II, da ieri ufficialmente Beato, ci lascia immaginare che tutto accadrebbe sotto i riflettori dei media. Non si tratta di un semplice dettaglio: a questo Papa ipotetico sarebbe sottratta del tutto la possibilità di trovare una dolce morte lontano dai riflettori, come capita probabilmente tutti i giorni a tanti sofferenti, anche cristiani, con il tacito assenso di un prete che impartisce l'estrema unzione, e al momento giusto si volta e guarda altrove. No, a questo Papa toccherebbe il destino di Eluana Englaro, elevato alla massima potenza: la sua agonia diverrebbe sin dall'inizio cosa pubblica, argomento di conversazione e di speculazione filosofica e teologica; nel frattempo, l'unica autorità religiosa che potrebbe imporre il suo punto di vista sulla faccenda resterebbe di fatto vacante. Per mesi, forse anni, persino decenni: nessuno certo si attenterebbe in questo caso a staccare un sondino naso-gastrico (chi oserebbe far morire il Papa di fame?)

Mentre il Santo Padre, direbbero i vaticanisti, “dorme”, e la Curia si interroga sul da farsi, la scienza medica non si fermerebbe. È lecito immaginare che nel prossimo futuro il progresso medico allungherà la vita un po' di tutti, ma soprattutto dei pazienti più facoltosi. A un pontefice, ancorché in coma, non si potrebbero negare le cure più avanzate e costose (molti fedeli sarebbero disposti a svenarsi per la sua salute). Ma ipotizziamo che, malgrado tutte le cure, lo stato vegetativo persista negli anni. Cosa accadrebbe?

Aggiungiamo un po' di fantascienza, solo per amor di paradosso. Secondo alcuni futurologi l'immortalità non è poi così lontana. Certo, il giorno in cui si riuscisse a trovare il modo di bloccare l'invecchiamento delle cellule, o rigenerarle, ecc.... questa cosiddetta “immortalità” rimarrebbe probabilmente un procedimento molto costoso. Ma sarebbe ancora, in qualche forma, una cura. Potrebbe un Papa scelto da Dio sottrarsi a una cura? Un Papa in coma non potrebbe, neanche se lo volesse, dal momento che sarebbe appunto in coma. Nessun altro, nemmeno il più insigne porporato, potrebbe decidere al posto suo, chiedendo in pratica la morte del Papa. Insomma, un ipotetico pontefice in coma potrebbe diventare il primo uomo virtualmente immortale. Senza volerlo, ma senza che nessuno possa evitarlo. Oppure.

Oppure, in qualsiasi momento, un membro della Curia potrebbe farsi venire in mente una di quelle frasi a effetto che sapeva trovare il Beato Giovanni Paolo II – più precisamente l'ultima: “Lasciatemi tornare nella casa del padre”. In quelle parole molti biechi laicisti (me compreso) vollero vedere un cedimento dottrinale: il Papa moribondo, ma ancora in pieno possesso delle sue facoltà intellettive, non usava la poca voce che gli restava per chiedere aiuto a Dio, ma si rivolgeva con quel “voi” agli umani che ancora si ostinavano ad accudirlo e curarlo, perché lo lasciassero andare. Dunque l'uomo può scegliere? La vita è un dono che si può, entro certi limiti, rifiutare?

È un cedimento che si perdona volentieri a un uomo in fin di vita, e che contiene in nuce il paradosso di quella ideologia della Vita che Wojtyla ha innestato nel vecchio tronco della Chiesa cattolica. Pur affidandosi a Dio, è a un uomo che Wojtyla ha dovuto sussurrare “lasciatemi”. La sua Chiesa ha riconosciuto volentieri i progressi della scienza medica, che già oggi rendono possibile prolungare l'agonia di persone in condizioni cliniche disperate. Eppure, man mano che la scienza allunga un po' di più la vita, la morte diventa qualcosa di sempre più simile a una scelta (ciò che entro certi limiti è sempre stata, come ci ricorda la Chiesa stessa, che ha popolato il calendario di martiri). Al netto di incidenti e catastrofi, in futuro toccherà sempre più spesso a noi decidere se vogliamo morire o no. Può darsi che in vece nostra decida lo Stato, o più probabilmente l'economia, come in parte succede già: morirà chi non può permettersi le cure. Ma un Papa potrà mai dire di no alle cure? Le ultime parole di Giovanni Paolo II – da ieri ufficialmente Beato – sembrano una risposta eloquente.http://leonardo.blogspot.com
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Chamberlain a chi?

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Guerra è Pace

È rimasto da anni appicicato in un angolino della mia memoria virtuale un foglietto, un post-it sgualcito, “ricordati di parlare di Disegni e Caviglia, di quanto gli hai voluto bene, di quanto sono stati importanti per la tua, boh, chiamiamola arte”. È vero, maledizione, non ne ho mai avuto una sola parola di lode per Disegni, e stanotte ne parlerò persino male. Eppure gli devo tanto: spesso se chiudo gli occhi e penso alle cose che scrivo, mi sembra di vedere i pupazzetti di Disegni, ed è un grosso complimento che faccio a me stesso.

Una volta chiesero a Charles M. Schulz se da bambino aveva mai usato il suo talento per disegnare caricature, e mi pare che lui rispose in un modo scandalizzato, che non ne sarebbe stato capace, che la sola idea di usare il disegno per prendere in giro un compagno o una maestra lo riempiva di sdegno; e parliamo della persona che ha fatto sorridere milioni di persone coi suoi disegnini. Ma non ha mai fatto una caricatura. Chiamiamola integrità artistica, o purezza di cuore, è quella cosa che lo ha fatto amare a milioni di persone in tutto il mondo: Schulz disegnava bambini buffi ma non li prendeva in giro, li amava, li rispettava, li trovava profondi e importanti. Ecco, Disegni qualche caricatura l'ha fatta, ma in generale mi piace pensare a lui come a un piccolo maestro del verbo di Schulz, uno che non ti mostra un pupazzetto col naso grosso per farti ridere del naso grosso; ti mostra un pupazzetto fatto più o meno come te e ti dice Guarda, questo è Craxi, o Andreotti, o Berlusconi: ma potresti anche essere tu. Lo avevi notato? Che c'è un po' di te in Berlusconi e viceversa? Un minimo comune d'umanità? Ecco, questo è l'unico tipo di satira che mi interessa fare. Ma è ancora satira?

La domanda diventa improvvisamente attuale nella settimana in cui Stefano Disegni s'impadronisce della direzione del supplemento satirico del Fatto, in circostanze burrascose che non ci tengo ad approfondire, dando fuori nel frattempo una paio di tavole che definire 'controverse' è un eufemismo. La seconda è un vero manifesto: Disegni vuole dar fastidio ai lettori conformisti, che abbondano dappertutto, e quindi anche al Fatto. Bisogna quanto meno concedergli che ci sta riuscendo. Ma è ancora satira? Eh, bisognerebbe prima intendersi su cosa la satira sia. Prego, accomodatevi, se ne parla da sempre, in fatto di metareferenzialità gli autori di satira danno ancora tantissimi punti ai blogger: ognuno sembra avere la sua idea ben precisa di cosa la satira sia e non sia, di cosa debba e non debba fare, e dove passino i nettissimi confini tra satira e sfottò becero, tra satira e raccontino didascalico, tra satira e propaganda. Un'idea ce l'ho anch'io, ovviamente, ed è molto meditata, ma vi risparmierò la meditazione e salterò alle brutali conclusioni: per me non c'è nessuna differenza sostanziale tra la satira, sfottò, propaganda, raccontino a tema. Sono nomi diversi con cui chiamiamo lo stesso animale: zanne, coda, orecchie, zampe. Un autore di satira è sostanzialmente un propagandista. Anche quando come Disegni non indulge nella caricatura, è pur sempre un artista che semplifica la complessità del reale per difendere il suo sistema di credenze, quello che una volta si chiamava ideologia. Questa idea dell'autore satirico che ride di tutto e di tutti, ecco, per me è un mito: non è che se ogni dieci battutacce su Berlusconi ne infili tre su Bersani diventi imparziale, non è così che funziona.

Il fatto è che io sono di quelli che non credono all'autonomia dell'Arte con la A maiuscola, figurati se credo all'autonomia dell'arte di scrivere disegnini buffi sugli inserti dei giornali. Quindi non ci trovo nulla di strano nel fatto che Disegni stia diventando didascalico: è sempre piuttosto didascalico, e mi è sempre piaciuto così (anch'io scrivo storielle didascaliche, e ho imparato da lui). Se non mi piace più è semplicemente perché abbiamo maturato idee diverse, divergenze ideologiche. Se ne potrebbe discutere – ma quando si fa satira non si discute: si difendono le proprie credenze, si semplificano le idee degli avversari, si fabbricano pupazzi di paglia. Non c'è niente di male, eh, finché restano pupazzetti negli inserti satirici: il problema è che dilagano.

Vedi la prima tavola, quella su Asor Rosa. Per difendere la sua tesi (l'anziano professore appartiene a un ceto intellettuale che ha perso il contatto con la realtà) Disegni non disdegna il repertorio frusto del gauchiste-caviar: il casale in Toscana, il paté, eccetera. Asor Rosa viene cannoneggiato dalla posizione arretrata del cosiddetto 'buon senso', per cui non puoi chiedere ai carabinieri di chiudere il parlamento. E probabilmente no, non puoi, specie se sei un professore che scrive sul Manifesto; quantomeno è difficile che i carabinieri ti diano retta. Questo sarebbe il buon senso. Ok. Il vantaggio dell'autore satirico è che il più delle volte deve semplicemente distruggere le affermazioni altrui. Ma sul finale Disegni si lascia scappare un'affermazione vagamente propositiva: e se provassimo a vincere le elezioni? Ecco: pensare di “vincere le elezioni” è ancora buon senso? Sì, perché le avremmo vinte con Prodi... ma appunto: le abbiamo già vinte (o perlomeno pareggiate): è cambiato qualcosa? Potrà mai cambiare davvero qualcosa, finché a Berlusconi e ai suoi non si sottraggono le leve della produzione del consenso, finché gli si lascia tutta intera Mediaset e qualche bel pezzo di Rai? Il guaio del buon senso: ognuno ha il suo. Il mio mi suggerisce che un'azienda di produzione del consenso, monopolista di fatto, non si arrenderà senza combattere: che sfidarla in questa situazione equivale ad andare a combattere le corazzate con la cavalleria leggera: una cosa molto nobile e rapida (ma non indolore). E a quel punto mi ritrovo molto più vicino ad Asor Rosa che a Disegni, pensa te gli scherzi che ti combina il buon senso.

Però fin qui forse non valeva nemmeno la pena di parlarne, infatti stavo quasi per cancellare il file. Poi ho letto un'altra tavola di Disegni. E mi sono ritrovato di nuovo nel 2002, quando sui blog bastava manifestare qualche sano dubbio sulle guerre di Bush per ritrovarsi accusato di voler rinfocolare lo Spirito di Monaco, regalando a Hitler la Boemia e anche un bel pezzo di Moravia e di Slovacchia. Eh? No, sul serio, giuro, per qualche mese ogni conversazione sulla in Afganistan, sull'11/9, su Al Qaeda, su Saddam Hussein doveva per forza passare per la Conferenza del 1938 (appena prima di finire, ovviamente, in vacca). Soltanto che nel 2002/3 quelli che ti circondavano e ti davano del Neville Chamberlain (Eh?) erano dei perfetti sconosciuti, oscuri correttori di bozze di house organ di centrodestra, tutti diventati improvvisamente titolari di blog con le bandiere a stelle e strisce e le vignette sugliimbelli pacifinti. Nel 2011 lo stesso paragone te lo fa Stefano Disegni, sull'inserto del Fatto Quotidiano.

Sulla Libia non ero contrario in linea di principio a un intervento, purché avesse modalità e finalità chiare, che fin qui non si son viste. Ma ne faccio una questione formale, a questo punto: non puoi tirare fuori i nazisti, tutte le volte che non sei d'accordo con un pacifista. Non puoi ogni volta mettergli davanti al naso Hitler, come se il nemico di turno fosse sempre e solo Hitler. Cioè, per carità, puoi, in fin dei conti è propaganda. Ma c'è propaganda e propaganda: quella che tira fuori Hitler ogni due per tre è pessima, per la legge di Godwin è il segno che gli argomenti a tua disposizione sono esauriti, e per l'assioma del pastorello-che-chiamava-al-lupo affermo che dovesse un giorno ritornare Adolf Hitler in carne e ossa, dovesse reincarnarsi in un clone o tornare dal Brasile o da Marte su un disco volante, deciso a rifondare quanto prima il Quarto Reich e a completare i massacri lasciati a metà, ebbene probabilmente non ci faremo più caso, tanto siamo abituati a sentire Bin Laden paragonato a Hitler, Saddam Hussein il nuovo Hitler, anche Arafat quando lo tenevano sequestrato nel suo palazzo a Ramallah e giocavano a sforacchiarglielo con le granate, anche lui in quel periodo era il nuovo Hitler; adesso invece è Ahmadinejad il nuovo Hitler, salvo quando si parla di Libia e allora il nuovo Hitler è Gheddafi, e chi non lo bombarda è Neville Chamberlain. Sempre. E comunque. Questo è il Fatto del 2011, ma era anche il Foglio del 2003: hai dei dubbi su qualsiasi guerra? Sei un complice dei nazisti. E anche questo modo di usare i bimbi ebrei, sei pacifista? Da qualche parte qualcuno grazie a te sta ammazzando un bambino ebreo, ecco, io la chiamerei speculazione sulla Shoah, se non fosse che anche il solo pensarlo probabilmente mi fa incorrere nell'odioso psicoreato di antisemitismo, e insomma, io ci tengo al mio lavoro, per cui clicco via e ripenso ai miei diciottanni, allo scrondo su Tuttirutti, a quella volta che a Lupo Solitario due ragazzi strani raccontavano la storia di Canna Bianca, che era un cane tipo Zanna Bianca ma che invece di salvare i bambini in pericolo si faceva le canne, una cosa cretina veramente e io mi misi a ridere, e non la smettevo, in effetti non ho più smesso da allora, c'è una parte di me che ci pensa e ride ancora, chissà cosa ne pensa della conferenza di Monaco, aspetta che chiedo. Ehi, Canna Bianca, sono venuti a prendermi i cattivi nazisti, corri nella bufera a chiedere aiuto, vai a grattare con le zampette sul portone di casa Churchill finché non ti aprono... ehi... Canna Bianca...
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Contro la Pasqua

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Sapete quel che si diceva mesi fa sulla necessità di porsi dei traguardi raggiungibili, misurabili, ecco, allora io da un po' di tempo in qua mi sono posto questo raggiungibilissimo obiettivo: Abolire le vacanze di Pasqua.


E ci riuscirò. O cadrò provandoci. Sull'Unita.it. Si commenta laggiù.Fino a febbraio tutto sommato l'anno scolastico fila abbastanza liscio. Certo, riprendersi dalla lunga pausa natalizia non è semplice, ma nessuno rinuncerebbe a quelle due settimane tra Natale e Befana. I guai veri cominciano a marzo.

È sempre andata così. C'è persino chi dà la colpa all'ora legale – e in effetti, quando ti trovi davanti venticinque studenti assonnati, il dubbio ti viene. Poi ci sono i malesseri di stagione, le prime allergie. Tutte cose di routine, che si ripetono ogni anno. Dovremmo saperle prevedere, eppure no. Ogni primavera, tra marzo e aprile, è come se i programmi scolastici deragliassero dai binari, in un modo sempre imprevedibile. Certi anni ci si ferma, non si riesce più a proseguire. Certi altri si va avanti anche più del dovuto. Il guaio è che sembra non ci sia un modo per saperlo prima: ogni anno è una storia a sé. Ma perché? Ho una teoria.

Secondo me è tutta colpa della Pasqua. Una festa meravigliosa, ricca di simboli religiosi e tradizionali, eccetera. Però è una festa mobile, che oscilla nel calendario in un modo che resta misterioso a chi non s'intenda di mesi lunari. Apparentemente basta dare un'occhiata al calendario all'inizio dell'anno, e il problema è risolto. E, come per il Natale, chi rinuncerebbe a quei cinque, sei giorni di pausa? Ma il fatto che ogni anno cadano in una settimana diversa rende oggettivamente difficile programmare il lavoro nelle classi. Manca del tutto quell'automatismo per cui a dicembre siamo abituati – insegnanti e studenti – a tirare al massimo fino al ventitré dicembre, e a riprenderci dopo il sei gennaio: un ritmo che si apprende alle elementari e ci si porta con sé fino al liceo e oltre. In primavera un ciclo del genere non esiste: ogni anno i nostri bioritmi si devono adattare a un ciclo diverso. Aggiungi l'ora legale, i raffreddori, le allergie, le gite, i ponti tra aprile e maggio, e la frittata è fatta. Non ci sarebbe un modo per migliorare le cose?

Io una proposta ce l'avrei, e mi è già capitato di proporla: si potrebbero sostituire le vacanze di Pasqua con una settimana di vacanze di Primavera, come quelle che si festeggianoin tante altre nazioni europee. Se poi decidessimo di celebrarla tra le feste nazionali del 25 aprile e il primo maggio, avremmo anche risolto il problema dei ponti primaverili, che certi anni portano via anche una settimana, mentre in altri anni (come questo, ahinoi) sono del tutto assenti - un altro fattore che rende ogni anno scolastico diverso dall'altro. Probabilmente sarebbe una buona cosa anche per il comparto turistico: con una settimana a disposizione, qualche famiglia in più riuscirebbe a concedersi una piccola vacanza. Il due maggio poi torneremmo tutti quanti a scuola, e avremmo quaranta giorni per la volata finale.

Prima obiezione: in questo modo molti celebreranno il 25 aprile e il primo maggio bloccati in autostrada. Questo in realtà accade già, ogni volta che i calendari scolastici o lavorativi ci propongono un ponte. Se però il ponte diventa una settimana fissa, la mentalità potrebbe cambiare: le famiglie avrebbero un po' di tempo in più per organizzare partenze e rientri in modo intelligente, invece di affrettarsi al casello per la classica gita mordi-e-fuggi.

Seconda obiezione: proporre di abolire la Pasqua è cosa da empi senzadio. In effetti non mi spingo a tanto: del resto la Pasqua cade di domenica e non pone nessun problema a chi redige i calendari scolastici. Non pone molti problemi neanche il Lunedì dell'Angelo, volgarmente detto Pasquetta, e quindi proporrei di mantenerlo in segno di rispetto alla tradizione, alla cultura, alle radici cristiane eccetera. Ma ho qualche difficoltà a credere che gli studenti cristiani (ammesso che siano ancora la maggioranza, in Italia) abbiano bisogno di una settimana di astinenza dallo studio e dal lavoro per riflettere sulla Risurrezione: i loro genitori tutto quel tempo a disposizione non ce l'hanno, di solito lavorano fino al Venerdì Santo e sono già in ufficio o in officina al martedì.

E tuttavia non vorrei farne una battaglia di laicità, col rischio di perderla (come nel caso dell'ora di religione o del crocefisso). Ammettiamo pure che la Chiesa abbia qualche diritto sul calendario scolastico statale. Però anche la Chiesa si rinnova, in certi periodi è stata addirittura un fattore di rinnovamento. Il calendario solare è uno di questi casi: è stato un Papa a riformarlo, sono stati i vescovi a sostituire le meridiane con gli orologi meccanici nei campanili. Se oggi viviamo tutti con un calendario solare al polso o in tasca, se l'unica festa lunare rimasta diventa per noi un fattore ansiogeno, la Chiesa ha la sua parte di responsabilità. http://leonardo.blogspot.com


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Morte e Liberazione

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Scava Ferruccio

Con questa vanga, che mi lasciò il povero padre, insieme a un’affittanza e due sorelle da maritare, ora tu scavi, Ferruccio.

Non sai come si fa, ma non mi dire. L’avrai ben visto un giorno un contadino. Si calca il tallone sul pedale e si taglia la terra, zac, un colpo netto, come la gola dei republicanos. Ma te neanche lo sai cos’è un republicanos, Ferruccio, vero? e allora scava.

Ché non sai niente della vita che hai fatto vivere agli altri, non sai niente della morte. Quando m’hai mandato volontario in Spagna, e avevo appena smesso i calzoncini; ad ammazzare contadini come mio padre m’hai mandato: e allora scava, adesso, Ferruccio.

Non ti far fretta, io non ne ho.

Ma t’han da venire le sfioppole alle mani. T’han da venire i calli. T’han da venire le mani da contadino, Ferruccio, che non ti son venute in quarant’anni; le mani di mio padre e di mio nonno, scava, scava. Ma le mani che mi son venute in Affrica, a scavar fosse di negri che non m’avevan fatto niente, le mani d’assassino, le vedi? Per queste non c’è sapone, non c’è sego né lisciva. Queste mani che mi pulsano di notte, quando tutto tace e loro suonano il tamburo, un problema di circolazione dice il dottore, sì, te lo dico io qual è il problema. Son le gole dei republicanos che ho vangato con la baionetta, nella Mancia, e intanto pensavo: sarò dannato, ma almeno le mie sorelle sono a posto. Pensavo, c’è Ferruccio che ci pensa. Bravo Ferruccio. Scava. Scava.

Io che avevo appena smesso i calzoncini perché mi era morto il padre, e quel che mi lasciava era una vanga e due sorelle senza dote. E mi dicesti di andar via tranquillo, ché ci avrebbe pensato il fascio alle sorelle, ma che partire volontario bisognava. Ché le mie sorelle sarebbero rimaste putte sennò, per via che nessuno si voleva portare in casa le figlie di un socialista, e io non capivo, cos’era questo socialismo, una malattia? Se mio padre se l’era presa da giovane, non me l’aveva mai detto, non parlava di politica con me, non parlava di niente. Ho imparato a parlare da per me, Ferruccio, e adesso tu mi ascolti. Mentre scavi.

Quando mi dicesti che ci avrebbe pensato il fascio, che ci avresti pensato tu alla Pace e all’Evelina, Ferruccio. E la Pace ch’era del Diciotto me l’hai lasciata morire di tbc, è così che ci hai pensato. E l’Evelina intanto mi scriveva del moroso, ma che in dote la vanga di papà non gli bastava, e senti, Ferruccio, ma secondo te io non me lo son mai chiesto chi gliele scriveva quelle belle letterine all’Evelina, che non sapeva nemmeno tenere il pennino tra le dita, il parroco gliele scriveva? E al parroco chi gliele dettava? Io che dalla Spagna non ero ancora venuto a casa, e lei che mi scriveva di ripartire in Affrica volontario – l’Evelina! Che quando ero partito si faceva ancora le trecce, e ora mi scriveva del moroso che non l’avrebbe sposata, del disonore, della pancia che le cresceva, Ferruccio! Chi gliele dettava quelle belle letterine! E tu credi che non ho avuto il tempo per pensarci, mentre montavo la guardia sotto l’Ambaradam?

E quando son tornato e ho trovato Evelina zitella, che te l’eri presa in casa come serva; e la trattavi da puttana; e il bambino lo avevi dato ai preti; è stato allora che ho chiesto io di andare in Albania, perché altrimenti v’ammazzavo tutti e due con queste mani: e piuttosto sono andato ad ammazzar dei greci che non m’avevan fatto niente, neanche socialisti erano. Adesso però scavi, Ferruccio.

T’ha da venire il mal di schiena di mio padre; quello lo ha ucciso, altro che il socialismo. T’ha da gelarti il sudore in fronte mentre scavi - e mi dispiace, te lo devo dire, non aver più la forza che ho lasciato in Grecia, perché ti strozzerei, Ferruccio, ti tirerei il collo come al tacchino che sei, che è la fine che ti meriti, ti staccherei la testa a morsi dalla rabbia che m’hai fatto venire, e non sai quanti fantaccini si son presi i ceffoni che volevo dare a te; ma adesso intanto scava, che t’ho da seppellire.

Scava più a fondo, Ferruccio, che devi entrarci te e la tua casa del fascio tutta intera, col capoccione in bronzo. Sai che per quanto scavi non la farai mai grossa come quella che mi sono fatto io, dalla Mancia all’Epiro passando per il Tembien, una fossa grande mezzo mondo ho scavato, per gente che non m’aveva fatto niente, e guarda quel che m’hai fatto tu. T’ammazzassi dieci volte, non sarebbero abbastanza.

Hai scavato?

E allora adesso ascolta. Tu sei morto. Se hai documenti con te, buttali dentro. Poi prendi quella terra, e riempi la buca. Tienti per morto, Ferruccio, e seppellisciti da solo, ché di fosse io ne ho riempite già abbastanza. Hai da colmarla bene, che nessuno ha da sapere dove sei finito. Nessun bambino ha da inciamparci mentre gioca a nascondersi.

Poi prendi la sacca, arrangiati con le carte che ci son dentro. Va’ in montagna dai ribelli, di’ che sei un soldato del re, già di stanza nei Balcani. Di’ che il tuo plotone s’è sbandato a Bologna, che i repubblichini ti volevan metter la camicia nera, che ti sei rifiutato. Fagli veder le mani. Racconta che i miliziani ti volevano ammazzare, e sei scappato. Di’ quel che ti pare, hai sempre saputo raccontarle. Così quando se Dio vuole arrivan gli americani, te sei a posto. E se t’ammazzan prima, ti faranno pure il monumento, Ferruccio, il monumento al martire, ci pensi.

Ma se non t’ammazzano, come non t’ho ammazzato io, tu quando discendi con gli americani hai da tirar tuo figlio fuori dal convento; e mia sorella fuori dal bordello, che è la tua famiglia, Ferruccio, non la mia. Ché un bambino non saprei tirarlo su, son cresciuto ammazzando e solo ad ammazzare son buono ormai.

E se Evelina te lo chiede, sono morto in Albania.

(Schegge di Liberazione è una fantastica iniziativa messa in piedi da Barabba che da due anni riesce a produrre un bel libro collettivo sulla festa che ci sta più a cuore, il 25. Questo pezzo è preso dall'ebook dell'anno scorso: quello di quest'anno probabilmente è più bello, ed esiste anche nella versione cartacea. Dovevamo presentarlo a Carpi oggi, ma c'è stata una disgrazia orribile. Buona Liberazione comunque).
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Alla fine scegliemmo il nero

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Libertà è schiavitù

“Buonasera a tutti, dunque, se vi è capitato nelle ultime ore di sentire che la vostra marca hi-tech preferita spia i movimenti dei suoi clienti, ebbene, spero che non siate corsi a gettar via il vostro laptop o a bruciare il vostro telefono, perché le cose non stanno proprio così, vero Paul?”
“No, non stanno proprio così”.
“Paul è un addetto stampa della vostra marca hi-tech preferita, ed è venuto a spiegarci di cosa si tratta”.
“Beh, è presto detto. Ogni volta che un nostro dispositivo accede a una rete di telefonia mobile, esso salva le sue coordinate geografiche su un file”.
“Questo file rimane nel dispositivo”.
“Beh, se sincronizzi il dispositivo a un computer... passa al computer”.
“Ma non è che ogni tanto questo file venga inviato in automatico ai vostri server...”
“Ma no, assolutamente, eheheh”.
“Prego”.
“Scusi, oddio che imbarazzo, è che... ihihih”.
“Le scappa da ridere?”
“Sì, e non capisco perché”.
“Può darsi che si tratti del caffè che le hanno offerto i ragazzi”.
“Un caffè? Ihih. Ma non capisco”.
“Ecco, è possibile che esso contenesse una trascurabile dose di pentothal”.
“Ohoh”.
“La cosa la preoccupa?”
“Beh, sì, molto”.
“Ora, la prego, ci dica la verità: la famosa marca hitech che tutti ammiriamo e veneriamo... ci spia?”
“Beh, è chiaro che lo fa, voglio dire, chi non ci proverebbe. Avete tutti in tasca un affare che si triangola con una rete di antenne disseminate sul territorio, in pratica vi mettete in tasca una cimice, potevate arrivarci da soli”.
“Quindi lei ritiene che anche i vostri concorrenti abbiano attivato dei sistemi analoghi per tracciare i loro clienti?”
“Sì, con la solita differenza”.
“E cioè?”
“Che il nostro sistema... funziona”.
“Ma perché lo fate? Qual è il fine ultimo di tutta la faccenda?”
“Il fine ultimo... beh, mi sembra ovvio”.
“Ce lo dica, allora”.
“La conquista del mondo, ahahah”.
“La vostra società vuole conquistare il mondo?”
“No, non... io non credo che la conquista del mondo sia un obiettivo previsto dal nostro amministratore delegato o dall'assemblea degli azionisti. Tanto più che il mondo è un luogo per lo più sporco e privo di eleganza, popolato da individui squallidi che usano dispositivi abominevoli”.
“Ma allora, ci scusi, perché...”
“E tuttavia è innegabile che la nostra tecnologia renda la conquista del mondo un po' più semplice, così nel momento in cui un individuo, o un governo, o un ente intergovernativo, fossero interessati al prodotto, ecco, noi lo stiamo mettendo sul mercato”.
“Capisco. E... c'è qualcuno interessato?”
“Io non sono stato messo al corrente delle trattative, comunque...”
“Ci conferma quanto meno che qualche trattativa c'è”.
“Beh, una trattativa c'è sempre”.
“Qualcuno che vuole conquistare il mondo”.
“Magari solo un pezzo, sì”.
“Bene, Paul, lei è consapevole che questa intervista le costerà il posto”.
“Maledizione, sì”.
“Però in cuor suo dovrebbe ringraziarci, l'abbiamo resa famosa e ora grazie a lei un diabolico piano di conquista del pianeta è stato sventato”.
“Sventato? E perché?”
“Ma perché dopo aver sentito questa intervista, milioni di utenti in tutto il mondo spegneranno i loro cellulari e i loro tablet e...”
“No, non credo che lo faranno”.
“Scusi, crede che a loro piaccia essere spiati?”
“Ma certo. Lo sa cosa fanno on line, per lo più? Aggiornano il loro profilo facebook, ecco quel che fanno. Il più delle volte sono su un social network a spiegare dove sono e cosa stanno facendo. Sono tutti alla disperata ricerca di qualcuno che si interessi di loro, di qualcuno che li tracci”.
“Senta, su facebook decido io cosa rivelare e cosa no”.
“Ahahah. Mi scusi. È il pentothal”.
“...sì, va bene, forse facebook è l'esempio sbagliato, forse non è il più trasparente dei social network, però... voi avete tracciato milioni di vostri clienti in tutto il mondo! Senza avvertirli! Non la passerete liscia”.
“Beh, può anche darsi che qualcuno getti via il suo dispositivo. Non è un grosso problema, sa perché?”
“Sentiamo”.
“Ecco, io in realtà ero venuto a dirle questo. In anteprima. Sta per uscire il nuovo modello! Con dieci giga in più e tre etti in meno!”
“E non traccia più i movimenti?”
“Certo che li traccia! Con molta più precisione, infatti ora usiamo il gps!”
“E allora nessuno lo vorrà”.
“Ho qui il prototipo nella valigetta”.
“Ah sì? Possiamo dare un'occhiata?”
“Beh, non so, a questo punto forse non vale la pena”.
“Ma così, per dovere di cronaca... o mio Dio”.
“Bello, eh?”
“Quanto è sottile. Quanto è sottile”.
“Le batterie durano una mezz'ora in più. Ora non mi dica che non lo desidera”.
“Con tutta l'anima... eh, no, aspetti, non ha senso. È un aggeggio diabolico, praticamente può dirvi in qualsiasi momento dove mi trovo sulla terra”.
“E non ha ancora visto il modello nero”.
“Ah, lo fate anche nero?”
“Sì, è più virile”.
“Ma insomma! Non ha senso! Ne ho comprato uno sei mesi fa!”
“Uno vecchio, intende”.
“Già”.
“Perché adesso è vecchio, capisce? Basta dare un'occhiata a questo per rendersene conto. Quello era tutto spigoli”.
“Sei mesi fa andavano gli spigoli”.
“Questo invece, guardi com'è liscio”.
“Uff, è proprio liscio liscio... però mi spia...”
“E che sarà mai...”
“Insomma, per chi m'ha preso? Crede che io sia un bambino? Crede che siamo tutti bambini, che sia sufficiente qualche variazione nel design per farci rinunciare alla nostra privacy? Non comprerò mai più un vostro prodotto”.
“Dimenticavo, ha il tracciamento oculare”.
“E cosa sarebbe il tracciamento...”
“Non c'è più bisogno di toccarlo. Può spostare il cursore col movimento delle sue pupille”.
“Non ci credo”.
“Guardi qui un attimo...”
“Ouch”.
“Ecco fatto. Adesso apra il browser”.
“Come diavolo faccio ad aprire il browser se ce l'ha in mano lei... O mio Dio”.
“Vede? Semplice e intuitivo”.
“Sto... sto navigando con la forza del pensiero!”
“Non proprio. Non ancora, perlomeno. Comunque con le ciglia può azionare un sistema di riconoscimento che identifica i dieci siti più visitati con dieci movimenti delle palpebre. È molto più difficile spiegarlo che usarlo, come sempre. In pratica lei fa l'occhiolino e apre la sua posta. Guarda in basso e scrolla la pagina. Eccetera”.
“Incredibile. Ahi!”
“Ha sentito una fitta alle tempie?”
“Sì”.
“Non si preoccupi, ci si fa l'abitudine, è il log cerebrale”.
“Eh?”
“In pratica il dispositivo sta scansionando le sue sinapsi, è una cosa che fa quando si connette, e poi di tanto in tanto”.
“Ma è legale?”
“Beh, sarà scritto un po' in piccolo nella pagina del contratto”.
“Anche questo è funzionale alla conquista del mondo, immagino”.
“In senso lato. Probabilmente dopo aver mappato un bel po' di reti neuronali avremo a disposizione un'enorme mole di informazioni sul cervello umano che potremo usare per realizzare dispositivi sempre più potenti”.
Ahi”.
“Sente? Lo ha rifatto. Inoltre riusciamo già da ora a condizionare i nostri utenti, mediante una serie di impulsi che vanno dal doloroso al piacevole”.
“Ahi”.
“Non pensi troppo veloce, è peggio”.
“Ma c'è un modo di spegnere... ahi!”
“Sì, c'è un modo, ma il solo pensarci diventa doloroso. Pensi a delle cose belle”.
“Ah”.
“Va già meglio, vede? Ha già deciso come lo vuole? Bianco o nero?”
“Io... non saprei. Bianco è più pulito”.
“Giusto”.
“Una volta facevate cose più bianche”.
“Il nero però è più virile”.
“Decisamente”.

(L'immagine è rubata da qui)
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