Dio mi ama
13-08-2011, 16:16Dio, le 21 notti, racconti, replichePermalink(1998)
Mi chiama Dio, mi chiede se ho impegni in serata."In effetti, ecco, è curioso, mi sono appena messo d'accordo con Simona, si pensava di andare al cinema… però potresti venire con noi, che ne dici? No, guarda, nessun imbarazzo. Sul serio… Beh, come vuoi".
Mi chiedono in tanti perché credo nel mio Dio. Lo so, è una di quelle classiche divinità di una volta, un po' noiose, sì, è tutto vero. Ma onestamente non mi posso lamentare. È un Dio che sa stare al suo posto e capisce immediatamente quando non è il caso di insistere. Al cinema con Simona volevo andarci da solo, è ovvio.
"Possiamo vederci comunque una di queste sere, se ti va…”, propongo, “venerdì per esempio hai degli impegni, sei da qualche parte?" Questa è una domanda retorica, Lui è onnipresente, e in particolare per me c'è sempre. È da tanti anni che mi chiama, almeno una volta alla settimana: certamente venerdì andrà benissimo.
Per lui. Quanto a me, ho un bel da ripetermi che non è una storia importante, anzi non è nemmeno una storia, ci esco solo una sera ogni tanto e basta. Stimo molto il mio Dio, potrei quasi dire di esser fiero di lui, ma vorrei tanto che non ci provasse tutte le volte con me, che potesse finalmente considerarmi per quello che sono: un amico, soltanto un amico… ma non c'è niente da fare. Dicono gli adesivi sui parabrezza: Dio ti ama. Accettalo. Ma io so già come andrà a finire: gliela darò buca anche questo venerdì, sicuro che se ne starà per una buona ora e mezza ad aspettarmi al bar dell'angolo. Per poi richiamarmi domenica, puntuale. Dio mi ama! e non sa proprio cosa farsene, della mia semplice amicizia.
Guardo troppa televisione.
Stasera c’era questo programma di spiritualità, e intervistavano un sacco di gente: tutti raccontavano di aver incontrato il loro Dio in un momento di massima difficoltà. La ragazza grassottella parlava di una situazione famigliare disastrosa (percosse, divorzio, ricatti sull'affidamento, alimenti in ritardo); il tizio con la barba era rimasto maciullato durante una spedizione di trekking in alta quota; ma l'immagine di una vita intera in carrozzina non aveva fatto in tempo a profilarglisi che tac! era miracolosamente guarito, e potete star certi che il suo Dio ci aveva messo lo zampino. E il consulente finanziario che si era giocato tutti i risparmi dei suoi clienti su una roulette a Montecarlo, perdendoli: sulla strada del ritorno aveva visto Dio, si era pentito e fatto frate; anche i clienti lo avevano perdonato, figurarsi: Dio ci aveva messo una buona parola.
Io su queste cose non dovrei riderci sopra. Peggio per me se guardo troppa televisione, se sgonfio la mia noia per una vita facile facendomi raccontare i guai che ho schivato, le disgrazie cadute su qualcun altro.
In fondo quello che provo veramente è invidia. Invidia per il modo in cui tante persone – tutti, si direbbe – si incontrano con Dio. Sempre sul luogo del disastro. Sempre quando ormai non ti aspetti più aiuto da nessuno. Quando somatizzi, quanto ti soffochi masticando di rabbia un cuscino in un letto sporco e troppo grande, quando vedi pezzi di te tutt'attorno e non ti rispondono, quando hai fame, quando hai sete, quando hai sonno.
E mi chiedo: solo a me capita che Dio si faccia presente quell'ora al mese che sto bene, pulito, ben mangiato e ben dormito, senza sensi di colpa e con buone possibilità di concludere con Simona in serata? Solo a me?
*******
"Dunque è tutto qui?", domandò l'annoiata Verola. "Faccio persino fatica a considerarlo un racconto".
"Mia signora", rispose Don Tinto, "a mia parziale discolpa, ho avuto poco tempo per elaborare una storia su questo tema".
"Hai avuto tutto il tempo necessario. Va bene, basta così. Domani sentiremo Aureliano, che più volte ha scosso la testa mentre Don Tinto raccontava i fatti suoi. Confido che saprà fare di meglio. E adesso a letto, che domattina alle sette siamo tutti attesi in infermeria per un controllo - così saremo ancora più sicuri di non aver portato con noi quassù quel batterio della cacarella che a quanto pare tormenta gli abitanti della valle...
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Prime notizie dell'epidemia
13-08-2011, 00:45le 21 notti, realitiesPermalink"Cosa stavo dicendo?", proseguì Verola, "ah, sì: non mi resta che procedere all'eliminazione di uno di voi. E non intendo sprecarci molto tempo. Aureliano e Arci facciano un passo avanti".
I due obbedirono, e come per incanto nell'aere si diffuse una musica greve: una nota sola, protratta all'infinito, come a rendere ancor più faticosa l'attesa.
"Aureliano", cominciò. "Il tuo racconto non era poi così male. Benché palesemente off topic, come si dice adesso, gli riconosco qualche qualità espressiva - anche se chi ha letto il racconto di Keyes capisce dopo due minuti dove vuoi andare a parare".
"Ebbene sì, mia signora", proruppe l'improvvido Aureliano, "confesso senza vergogna di non aver alcuno scrupolo a recuperare un'idea altrui, quando è funzionale al messaggio che ho intenzione di veicolare. Non ho nessun culto romantico per l'originalità, e combatto fieramente la tirannia del copyright, feticcio borghese grazie al quale i nipoti inetti dei grandi scrittori pretenderebbero di essere coperti d'oro..."
"Ma Keyes è ancora vivo, credo; e in generale non mi piace essere interrotta", replicò la gelida Verola.
"Mi scusi, mia signora".
"Arci: il tuo raccontino, quando l'ho riletto a video, non mi è dispiaciuto. Eri fuori tema anche tu, ma mi piace questo modo di prendere ispirazione dai brandelli di conversazione insensata che la realtà ci recapita in casa".
"Grazie, mia signora".
"E adesso devo dirvi chi dei due lascerà la mia Residenza. Mi prendo un po' di spazio bianco, fingendo un'esitazione che non ho mai sperimentato in vita mia":
(Sempre quella nota insistita in sottofondo, insopportabile).
"Arci", proseguì, "devi fare i bagagli".
"Mia signora", disse allora il misterioso Arci, mentre Aureliano prendeva fiato e si tergeva il sudore, "non intendo contestare il suo giudizio, nel quale riconosco una buona dose di saggezza: un racconto che funzioni solo a video parte sfavorito in qualsiasi certame. Accetto serenamente la mia eliminazione, ma domando ugualmente di poter restare ancora qui presso di lei, indossando la livrea della servitù, se necessario".
"Di servi ne ho fin troppi", rispose Aureliana, "e non capisco il motivo per cui vorresti restare qui sconfitto a osservare gli altri gareggiare e trionfare. Ti facevo più orgoglioso".
"Mia signora, l'orgoglio c'entra poco. Quello che mi spinge a prostrarmi ai suoi piedi, radendo al suolo ogni mia residua dignità, è la preoccupazione per quell'epidemia di cui tutti parlano".
"Epidemia?", replicò l'incuriosita ospite. "E chi ne parla?"
"Tutto il personale di servizio: custodi, cuochi, sguatteri, non fanno altro che raccontare di questo morbo che dilaga a valle e miete vittime tra i loro parenti. Si tratta probabilmente di quel malessere intestinale di cui si sentiva molto parlare la settimana scorsa".
"E vuoi restare da me come servitore per evitare una diarrea?"
"Mia signora, da come i suoi domestici ne parlano, si direbbe che il batterio sia mutato al punto da divenire letale, e che non si sia trovato ancora un antibiotico adatto. Ragion per cui..."
"Caro Arci, la cosa sta diventando imbarazzante. Sei già mio ospite da una settimana; in cambio ti ho chiesto solo una storia, e non era un granché; ora vorresti fare della mia residenza un sanatorio, un baluardo contro la cacarella, ebbene no, mi spiace: nulla di personale, ma non posso creare un precedente".
"Capisco, mia signora".
"I miei uomini ti accompagneranno all'uscita".
"Addio, mia signora".
"Non saluti i tuoi avversari?"
"Sì, addio anche ai miei avversari, e vinca il migliore".
"Molto bene. Domani sveglia alle sei, e Don Tinto ci dirà la messa".
"Veramente io non potrei".
"Uff, allora la dirà il mio cappellano. In compenso domani sera Don Tinto ci intratterrà col suo secondo racconto".
"Volentieri, mia signora, ma su quale argomento?"
"Ecco. In onore del vostro avversario sconfitto, vorrei che le vostre storie, come la sua, ruotassero attorno ai mezzi di comunicazione: internet, televisione, telefono..."
"Vanno bene anche i giornali?"
"Vanno bene anche le tavolette azteche. A domani".
I due obbedirono, e come per incanto nell'aere si diffuse una musica greve: una nota sola, protratta all'infinito, come a rendere ancor più faticosa l'attesa.
"Aureliano", cominciò. "Il tuo racconto non era poi così male. Benché palesemente off topic, come si dice adesso, gli riconosco qualche qualità espressiva - anche se chi ha letto il racconto di Keyes capisce dopo due minuti dove vuoi andare a parare".
"Ebbene sì, mia signora", proruppe l'improvvido Aureliano, "confesso senza vergogna di non aver alcuno scrupolo a recuperare un'idea altrui, quando è funzionale al messaggio che ho intenzione di veicolare. Non ho nessun culto romantico per l'originalità, e combatto fieramente la tirannia del copyright, feticcio borghese grazie al quale i nipoti inetti dei grandi scrittori pretenderebbero di essere coperti d'oro..."
"Ma Keyes è ancora vivo, credo; e in generale non mi piace essere interrotta", replicò la gelida Verola.
"Mi scusi, mia signora".
"Arci: il tuo raccontino, quando l'ho riletto a video, non mi è dispiaciuto. Eri fuori tema anche tu, ma mi piace questo modo di prendere ispirazione dai brandelli di conversazione insensata che la realtà ci recapita in casa".
"Grazie, mia signora".
"E adesso devo dirvi chi dei due lascerà la mia Residenza. Mi prendo un po' di spazio bianco, fingendo un'esitazione che non ho mai sperimentato in vita mia":
(Sempre quella nota insistita in sottofondo, insopportabile).
"Arci", proseguì, "devi fare i bagagli".
"Mia signora", disse allora il misterioso Arci, mentre Aureliano prendeva fiato e si tergeva il sudore, "non intendo contestare il suo giudizio, nel quale riconosco una buona dose di saggezza: un racconto che funzioni solo a video parte sfavorito in qualsiasi certame. Accetto serenamente la mia eliminazione, ma domando ugualmente di poter restare ancora qui presso di lei, indossando la livrea della servitù, se necessario".
"Di servi ne ho fin troppi", rispose Aureliana, "e non capisco il motivo per cui vorresti restare qui sconfitto a osservare gli altri gareggiare e trionfare. Ti facevo più orgoglioso".
"Mia signora, l'orgoglio c'entra poco. Quello che mi spinge a prostrarmi ai suoi piedi, radendo al suolo ogni mia residua dignità, è la preoccupazione per quell'epidemia di cui tutti parlano".
"Epidemia?", replicò l'incuriosita ospite. "E chi ne parla?"
"Tutto il personale di servizio: custodi, cuochi, sguatteri, non fanno altro che raccontare di questo morbo che dilaga a valle e miete vittime tra i loro parenti. Si tratta probabilmente di quel malessere intestinale di cui si sentiva molto parlare la settimana scorsa".
"E vuoi restare da me come servitore per evitare una diarrea?"
"Mia signora, da come i suoi domestici ne parlano, si direbbe che il batterio sia mutato al punto da divenire letale, e che non si sia trovato ancora un antibiotico adatto. Ragion per cui..."
"Caro Arci, la cosa sta diventando imbarazzante. Sei già mio ospite da una settimana; in cambio ti ho chiesto solo una storia, e non era un granché; ora vorresti fare della mia residenza un sanatorio, un baluardo contro la cacarella, ebbene no, mi spiace: nulla di personale, ma non posso creare un precedente".
"Capisco, mia signora".
"I miei uomini ti accompagneranno all'uscita".
"Addio, mia signora".
"Non saluti i tuoi avversari?"
"Sì, addio anche ai miei avversari, e vinca il migliore".
"Molto bene. Domani sveglia alle sei, e Don Tinto ci dirà la messa".
"Veramente io non potrei".
"Uff, allora la dirà il mio cappellano. In compenso domani sera Don Tinto ci intratterrà col suo secondo racconto".
"Volentieri, mia signora, ma su quale argomento?"
"Ecco. In onore del vostro avversario sconfitto, vorrei che le vostre storie, come la sua, ruotassero attorno ai mezzi di comunicazione: internet, televisione, telefono..."
"Vanno bene anche i giornali?"
"Vanno bene anche le tavolette azteche. A domani".
******* FINE DEL PRIMO TURNO *******
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Riforme costituzionali nella notte di San Lorenzo
12-08-2011, 02:11costituzione, dialoghi, ho una teoriaPermalink
L'hai vista?
Bravo, adesso esprimi anche tu la tua riforma costituzionale. (Il pareggio di bilancio non vale, l'ha già detto Frau Angela). Il pezzo è sull'Unità.it (H1t#85) e si commenta laggiù.
Le 21 notti proseguono a breve, con l'eliminazione del primo candidato. Tenete duro!
“Va bene, la notte è quella giusta, il clima è perfetto, abbiamo scelto l'altura più adatta, ci siamo portati binocolo e telescopio, e poi...”
“Non prendertela, dai”
“...con questa luna non si vede niente”.
“Non è detto, bisogna aspettare”.
“Io però tra un po' m'addormento, te lo dico”.
“No. Parliamo. Senti, tu che ti tieni informato, mi spieghi cos'è questa storia che vogliono mettere nella Costituzione il pareggio del bilancio?”
“Ma niente, è un pallino dei tedeschi. A quanto pare la loro costituzione è molto rigorosa su questa cosa del bilancio”.
“E quindi?”
“Ecco, devono aver pensato che il problema di noi italiani è che non abbiamo una legge altrettanto rigorosa in materia. Appena l'avremo, ovviamente la rispetteremo, tutti se ne renderanno subito conto e si rimetteranno a comprare i nostri bond, insomma il ragionamento dev'essere più o meno questo”.
“Geniale”.
“Trovi?”
“Sì, cioè... potevamo pensarci prima, no? Sai quanti problemi in meno?”
"Quindi sei favorevole”.
“Assolutamente. Però se proprio dobbiamo mettere mano alla Costituzione, già che ci siamo potremmo risolvere altri annosi problemi, tipo, che so, la disoccupazione”.
“La disoccupazione? E come la risolvi?”
“Alla tedesca: aggiungiamo un articolo sulla Costituzione che dica che il lavoro è un diritto, e che lo Stato deve fare il possibile perché tutti possano averne uno... ovviamente si dovrebbe formulare un po' meglio...”
“Qualcosa del tipo: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo dir... eccola!”
“Cosa?”
“Una stella cadente, la in fondo”.
“Me la sono persa. Senti, già che ci siamo si potrebbe anche fare qualcosa per la ricerca scientifica, no?”
“Giusto! Senti questo: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.”
“Mettici anche qualcosa sul paesaggio, così risolviamo il problema dell'inquinamento”.
“Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione... eccone un'altra”.
“Questa l'ho vista anch'io... senti, la butto lì, ma... un bell'articolo sui diritti civili? Qualcosa, non so, che desse pari diritti e dignità a musulmani e cristiani?”
“Eh, vabbe', qua stiamo sognando”.
“Perché no, in fondo è la notte di San Lorenzo”.
“Allora diciamo così: Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano”.
“Ecco, adesso aspettiamo che ne cada una grossa. Ma grossa davvero”.
“Sì, non riesco a immaginare qualcuno in questo parlamento disposto a votare per un articolo così”.
“Vendola?”
“Che in parlamento non c'è. Ehi, l'hai vista questa?”
“L'ho vista. Adesso senti questa: aboliamo la guerra”.
“Ma dai...”
“Anzi, la ripudiamo. Senti qui: L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
“Va bene, allora adesso fammi una legge costituzionale che costringa i nostri governanti a soccorrere seriamente i profughi sui barconi”.
“Dunque... Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica”.
“Ah! Pazzesca! Questa non passerebbe mai. Adesso fammene una che tolga di mezzo i finanziamenti alle scuole private”.
“Vediamo... Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”.
“Mi piace”.
“Sì?”
“Sì, è elegante”.
“Peccato che non se ne vedano più, di stelle cadenti”.
“Già, peccato”.
“Era un bel gioco”.
“Sì. Torniamo a casa?”
http://leonardo.blogspot.com
Il futuro di chi ha memoria
11-08-2011, 03:11cinema, fb2020, le 21 notti, memoria del 900, racconti, scuolaPermalink(2008-11)
La Storia, ho studiato, si ripete in farsa. Anche se stanotte non riesco a rammentare il perché: e non saprei a chi chiedere qui. E dire che dalla quantità di triangolini rossi ricamati dovremmo essere tutti mezzi intellettuali. In realtà passiamo il tempo a rubarci le patate. La Storia si ripete in farsa, ma io non ci trovo molto da ridere. Può darsi che qualcun altro da fuori stia ridendo di me, di noi, ecco, questo avrebbe un senso. La fuori, nell'urlo del vento, Qualcuno ride. Io sto qui abbracciato a un deportato rumeno che trema più di me, e penso a Enea, alla prima volta che l'ho incontrato.
Non insegnavo nella sua classe, quindi ha del miracoloso che si ricordi di me. Ero lì di passaggio, sostituivo un collega con le piattole. No. Mi confondo. Le piattole ce le ha il mio collega di adesso, quello che trema, ed è pur sempre un segno di vitalità, di solito a un certo punto ti abbandonano anche loro. Il mio collega di allora era una collega, in realtà, una filologa molto brava che si fece venire un esaurimento nervoso e così la classe restò abbandonata a sé stessa per più di una settimana prima che mi mandassero a tamponare. Quando arrivai mi scambiarono per l'ennesimo supplente, avevano già predisposto il lettore dvd. I dvd!
Non insegnavo nella sua classe, quindi ha del miracoloso che si ricordi di me. Ero lì di passaggio, sostituivo un collega con le piattole. No. Mi confondo. Le piattole ce le ha il mio collega di adesso, quello che trema, ed è pur sempre un segno di vitalità, di solito a un certo punto ti abbandonano anche loro. Il mio collega di allora era una collega, in realtà, una filologa molto brava che si fece venire un esaurimento nervoso e così la classe restò abbandonata a sé stessa per più di una settimana prima che mi mandassero a tamponare. Quando arrivai mi scambiarono per l'ennesimo supplente, avevano già predisposto il lettore dvd. I dvd!
Che tecnologia insulsa. I lettori si rompevano a guardarli. I dischi si segnavano a sfiorarli. Specie quelli educativi. Invece le minchiate che portavano a scuola i ragazzi, quelle funzionavano sempre.
“Sentiamo, cosa vorreste guardare”.
“Alien vs Predator 2”.
“Non se ne parla”.
“Ma abbiamo visto il primo, vogliamo sapere come va a finire”.
“Sentite, ce l'ho io un buon film”. (Probabilmente in quegli anni me lo portavo sempre addosso). Ed è anche nel programma di Storia di quest'anno, così uniamo all'utile il d...
“È in bianco e nero, vero?”
“Sì, ma vedrete che è appassionante, e soprattutto è un film che parla di cose reali, cose che anche se vi appariranno mostruose, ben più mostruose di un Alien o di un Predator, sono successe realmente, nel nostro mondo, ai nostri bisnonni”.
“I bisnonni?”
“Facciamo trisnonni, ormai, e sapete cosa significa? Quando guardate Alien, per quanto possa spaventarvi, siete sempre sicuri dall'altra parte dello schermo. Ma l'orrore di questo film è ancora tra noi, da qualche parte, che incuba...”
“Incuba?”
“Aspetta soltanto il momento adatto per schiudersi e crescere, prolificare, riprendere il controllo... non vale la pena dargli un'occhiata, studiarlo, capire come abbiamo fatto a sconfiggerlo?”
“Cazzo, sì!”
“Ehi ehi ehi, tu... come ti chiami?”
“Galavotti”.
“Di nome?”
“Enea”.
“Che bel nome. Enea, niente parolacce qui dentro, d'accordo?”
“Prof, ma lo guardiamo questo film di mostri veri, o no?”
“Certo, certo, guarda, comincia adesso, attento alla candela”.
Un idiota ha aperto la porta.
Una folata di vento gelido mi spazza i ricordi dalla testa, sembra voglia gonfiare la baracca e portarsela via. Qualcuno si sta alzando, cerca di mettersi sull'attenti. Quindi l'idiota che ha aperto la porta è il comandante.
“Il professore è ancora qui?”
Mi libero dalla stretta del mio collega, che forze per alzarsi non ne ha.
“Sono qui, comandante Galavotti”.
“Facciamo due passi”.
Appena fuori dalla baracca mi getta una giacca sulle spalle. Ma non sto tremando dal freddo. I miei colleghi penseranno che sono una spia. O forse è troppo tardi per preoccuparsene?
“Professore, devo dirle, in questi anni ho pensato molto a lei”.
“Comandante, io però...”
“Vede, ne ho discusso anche con i miei camerati, e siamo arrivati alla medesima conclusione: gli anni delle medie sono stati i più formativi”.
“Però. Chi se l'aspettava”.
“Sì, perché in quegli anni hai la mente e il cuore... come dire... teneri. Si plasmano su quello che trovano, capisce. E io ho avuto una grande fortuna a incontrare persone come lei”.
“Davvero?”
“Ho ancora vivide nella memoria le immagini che ci proiettava, tutti quei film... a volte penso che tutto quello di buono che ho fatto nella vita lo devo a quei film. Senta (mi prende sottobraccio, la sua uniforme di ufficiale si strofina sul mio pigiama liso). Siamo venuti a sgomberare il campo”.
“Bene. Cioè... È una notizia buona, no?”
“Per voi no. Ora dobbiamo dividervi in gruppi di sei e poi mettervi in fila. Lei cerchi di stare in fondo alla fila. Sempre in fondo”.
“Ma...”
“Mi stia a sentire. Vi portano nel piazzale, e sparano al torso del primo della fila. La pallottola trapassa e ne ammazza anche altri quattro, ma a volte l'ultimo si salva, capisce? Se riesce a fare il morto fino a sera può scappare”.
“Ma farà freddo!”
“I cadaveri scaldano”.
“Enea, perdonami, posso farti una domanda seria?”
“Dica pure, prof”.
“Perché tutto questo orrore, perché?”
“Cosa vuole che le dica, stiamo esaurendo le munizioni, dobbiamo fare economia. O preferirebbe che vi strangolassimo? Converrà che questo è un metodo più pietoso”.
“Ma...”
“Credo che lo abbiamo preso da un film, forse quello in bianco e nero lungo lungo, ha presente? Che gran film! Credo proprio che ce lo abbia fatto vedere lei”.
“Sì, però...”
“Aveva ragione, sa? Anche dai film si può imparare. E noi abbiamo imparato tanto. Ora, se non le spiace, devo procedere allo sgombero. In bocca al lupo, professore”.
“In bocca al lupo, Enea, e grazie”.
“Ma grazie a lei. E mi raccomando. Sempre in fondo alla fila. Si ricordi”.
*******
"Oh, finalmente un genocidio", sospirò la paziente Verola. "Il modo migliore per festeggiare la fine del primo turno. Non resta che procedere all'eliminazione di uno di voi..."
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Il contagio
09-08-2011, 23:58le 21 notti, racconti, replichePermalink(2007)
>Avviso
>Sono capitano della polizia Prisco Mazzi. I rusultati dell'ultima verifica hanno rivelato che dal Suo computer sono stati visitati i siti che trasgrediscono i diritti d'autore e sono stati scaricati i file pirati nel formato mp3. Quindi Lei e un complice del reato e puo avere la responsabilita amministrativa.
>Il suo numero nel nostro registro e 00098361420.
>Non si puo essere errore, abbiamo confrontato l'ora dell'entrata al sito nel registro del server e l'ora del Suo collegamento al Suo provider. Come e l'unico fatto, puo sottrarsi alla punizione se si impegna a non visitare piu i siti illegali e non trasgredire i diritti d'autore.
>Per questo per favore conservate l'archivio (avviso_98361420.zip parola d'accesso: 1605) allegato alla lettera al Suo computer, desarchiviatelo in una cartella e leggete l'accordo che si trova dentro.
>La vostra parola d'accesso personale per l'archivio: 1605
>E obbligatorio.
>Grazie per la collaborazione
*************************************************************
Re:Avviso
Da: Tenente dei Carabinieri a riposo Nicudi Alcide
Egregio sedicente “capitano della polizia” Mazzi Prisco,
in relazione alla sua missiva elettronica del 16 maggio corrente anno, ore 10:27 antimeridiane, in cui lei mi notifica la mia “responsabilita [sic] amministrativa” per la complicità con un non meglio precisato trasgressore del reato di violazione dei diritti d’autore,
IO SOTTOSCRITTO
Tenente dei Carabinieri a riposo Nicudi Alcide, nato a Licata l’11/6/1949 e risiedente a Mondovì (CN), nel pieno possesso delle mie facoltà mentali nonché intellettive e psichicheCERTIFICO:
di essere nato a Licata l’11/6/1949 e di risiedere a Mondovì (CN), nel pieno possesso delle mie facoltà mentali nonché intellettive e psichiche;NOTIFICO
Punto a: Di non avere mai collaborato con chicchessia trasgredente i sopradetti diritti, che in quanto sanciti dal Codice Civile sono nutriti nei miei confronti del deferente rispetto con il quale ho sempre onorato la legalità e tenuto fede al giuramento della mia Arma ecc. ecc.Punto due: Di non essermi mai, a nessuna ora del dì e della notte, recato in “siti illegali”; di ignorare altresì l’ubicazione di codesti siti e di non essere giunto a formulare con certezza una supposizione sul perché i sopradetti siti dovrebbero essere raggiungibili mediante il mio Computer Portabile, regalo del mio nipote maggiore;
DIFFIDO
La sua persona, in quanto sedicente “capitano di polizia”, dall’imputare nei miei confronti responsabilità amministrative o penali, pena l’eventualità non inammissibile che io la denunci presso autorità competenti;LE COMUNICO, ALTRESì ED INOLTRE
Di avere inviato per conoscenza alla Polizia Postale di Cuneo la sua missiva elettronica in allegato onde contribuire al fare luce su questo caso.Nei Secoli Fedele, suo
TENENTE DEI CARABINIERI A RIPOSO NICUDI ALCIDE
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Fwd:Re:Avviso
Da: Cicci’82, polizia postale
A: Webmaster p.postale
Ciao, Nn so se t e gia arrivata questa ;-)))) Hai letto il tenente dei CC? FA SGANASCIAREEEE!
O provato a clikkare sul file allegato, ma nn e successo niente. Forse serve 1 programma che nn cho, boh :-((( Prova a clikkare tu, vediamo.
PS: T scrivo dal PC del mio collega, xké il mio nn funziona più. L. MI MANDI UN TECNICOOOOO?
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Re:Re:Re:Avviso
Da: Giacomo Panzetti, Polizia Postale Cuneo
Gentile Tenente dei CC a riposo Nicudi Alcide,
mi trovo costretto a inviarLe questa missiva in modo tradizionale, in seguito a un misterioso incidente che ha inficiato irrimediabilmente i server della Polizia Postale.
A causa del sopradetto incidente, non siamo stati in grado di determinare l’origine della misteriosa denuncia a lei recapitata.
Certi di poter contare sempre sulla sua preziosa collaborazione, le inviamo i nostri più cordiali sentimenti, suo
Ecc. ecc.
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Re:Re:Re:Re:Avviso
Gentile Giacomo Panzetti, Polizia Postale Cuneo
da: Tenente dei Carabinieri a riposo Nicudi Alcide
Cogliendo l’occasione per ringraziarla della sua pronta missiva, testimonianza quanto mai rara e preziosa degli ampi margini di collaborazione possibili tra membri di differenti forze dell’ordine, anche a riposo, purché tesi al bene comune e nel rispetto dell’ordine e della legalità,
APPROFITTO
della sua gentile missiva per porLe un altro quesito: proprio oggi, recandomi in posta, una signorina un po’ svogliata – probabilmente lavoratrice a cottimo o interinale – ha rifiutato di versarmi la somma richiesta, adducendo la risibile scusa che il mio conto era stato svuotato ed era chiuso: dettaglio, questo, assolutamente inverosimile. Mi perdoni la schiettezza del mio sfogo, da uomo d’ordine a uomo d’ordine, ma in queste ore confesso di struggermi non poco dinanzi alla domanda: Dove sono i miei soldi? Certo in una sua competente e pronta e risposta, la saluto, suo [Ecc. Ecc.]
*************************************************************
>Re:Re:Re: Avviso
>Sono capitano della polizia Prisco Mazzi. Mi scuso per il disturbo della mail dell’altra volta, giunta per sbaglio al suo indirizzo a causa di un virus nel nostro server. Una migliore ispezione a chiarito che i siti che trasgrediscono il diritto d’autore non sono stati visitati dal suo computer e che quindi lei non e punibile di nessun reato.
>Per desinserire il suo nome dal nostro, conservate l'archivio (avviso_98666420.zip parola d'accesso: 1605) allegato alla lettera al Suo computer, desarchiviatelo in una cartella e leggete l'accordo che si trova dentro.
>Ricordate inotlre di riempire il form con i vostri dati sensibili: nome, cognome, indirizzo e-mail, passwors di conto bancario principale. E obbligatorio.
>Grazie per la collaborazione
*******
"Cos'è, uno scherzo?", chiese dopo qualche minuto la spazientita Verola. "Non si capiva nulla".
"Mia signora", rispose Arci, "il racconto, ispirato a una mail che ricevetti realmente, funziona certo meglio se letto a video, e tuttavia..."
"E i morti? La sofferenza? Non c'è nemmeno un ferito!"
"Mia signora, lei ci disse, [control v]: battaglie, guerre ed epidemie saranno parimenti bene accette.
Così ho pensato di descrivere un'epidemia informatica, nel suo dipanarsi e prolificare attraverso gli errori degli uomini, che...""Sei in nomination, Arci, sappilo. Quanto al prof. Esso, a questo punto da lui mi aspetto almeno un'ecatombe, che mi ripaghi di tutto il sangue che voi checche in queste cinque notti avete risparmiato. E adesso ritiratevi. Domattina comincia il corso intensivo di amore tantrico. Io sotto le cinque ore non scendo, fatevene una ragione".
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Sai-Pio sale in cielo
08-08-2011, 23:33finché c'è salute, le 21 notti, racconti, religioni, santiPermalink(2011)
Il mondo sarebbe girato diversamente se al piccolo Sai-Pio, nato in un piccolo villaggio delle province meridionali, i dottori non avessero diagnosticato un handicap inguaribile e mortale. La madre, che al termine di una gravidanza dolorosa e angosciante in lui aveva finalmente avuto l'unico figlio, lungamente desiderato, invece di arrendersi al responso dei medici, si recò con Sai-pio in pellegrinaggio al Sacro Monte, o al Sacro Fiume, le fonti discordano su tutto tranne che su un punto: che dalle acque (o dal digiuno nel deserto, o boh) Sai-Pio riemerse totalmente guarito, consacrato a Dio e nemico di ogni dottore e della scienza medica in generale. E siccome la gente veniva da lontano a vedere il miracolato – disposta anche a pagare qualche soldino che la madre, previdente, accantonava per il college – quella che negli anni dell'infanzia era una semplice avversione contro i medici che lo avevano voluto morto non tardò a diventare una fede, un'ideologia, una religione: non aveva ancora compiuto trent'anni e Sai-Pio già scriveva fulminanti editoriali contro le miserie della medicalizzazione, e denunciava la speculazione dei giganti farmaceutici, e aizzava i suoi seguaci contro i consultori, promettendo l'inferno a chi abortiva, un purgatorio doloroso a chi pretendeva di partorire con l'epidurale e così via, insomma, avete capito il tipo. Un giorno che Sai-Pio era diretto a Damasco per un comizio contro la sperimentazione sulle cellule staminali, accadde un incidente. Stava procedendo a velocità di crociera quando una luce improvvisa lo accecò. Fece appena in tempo ad accostare sulla corsia di emergenza, e non vi dico quanti numeri chiamò (il servizio assistenza della tim, i carabinieri, l'ora esatta) prima di azzeccare al buio la combinazione esatta dei tasti che lo mise in contatto con il Pronto Soccorso più vicino. Ricoverato d'urgenza, Sai-Pio fu visitato dai più importanti luminari del Paese, il cui responso anche stavolta fu unanime: il nemico dei medici aveva pochi mesi di vita davanti a sé.
“Amen, colleghi”, disse uno di loro, tra i più giovani. “Un bigotto in meno. A proposito, dov'è il suo Dio adesso?”
“Taci, imbecille”, gli rispose un anziano. “Non capisci in che guaio ci mette, il bigotto? Se non lo guariamo, saremo accusati di volerlo uccidere”
“Il che non sarebbe poi così sbagliato”, interloquì un terzo, “almeno nel mio caso... Quando ottenne la chiusura del mio laboratorio di ricerche, io ammetto di averlo voluto morto”.
“Ma non era ancora un tuo paziente. Comunque, non è solo un problema etico. La nostra diagnosi sarà presa per una condanna a morte, per un assassinio politico. Non possiamo permettercelo”.
“Sì, però quello morirà lo stesso”.
“Colleghi, sapete cosa ci vorrebbe qui? Un miracolo”.
“Peccato che non esistano. Anche se...”
“Anche se?”
“Ci sarebbe il dottor Asanta”.
“Quel matto?”
“Cosa abbiamo da perdere?”
Fu così che Sai-Pio fu condotto nella clinica sulla collina dove operava il dottor Asanta, figura molto controversa a causa della scarsa eticità dei suoi esperimenti.
“Ma guarda chi si vede, l'ammazza-abortisti”.
“Se ti riferisci alle recenti stragi nei consultori, le inchieste hanno totalmente escluso che io sia il mandante di quei fanatici che...”
“...che avevano tutti il tuo libro sul comodino. Vabbe', venendo al sodo, hai una forma abbastanza rara di cancro all'ipotalamo”.
“Sarà incurabile, immagino”.
“Per i comuni mortali sì, ma tu hai Dio dalla tua parte, o sbaglio?”
“Dio a quest'ora mi avrebbe già salvato. Ci sono altre vie?”
“C'è una sperimentazione che sto conducendo proprio in questo periodo. I risultati sono promettenti, ma... è molto cara”.
“I soldi non sono un problema”.
“Già. Ma visto che i tuoi soldi li hai fatti gettando quintali di fango contro la mia scienza...”
“Fidati che non puzzano, come diceva quello”.
“Sarò franco: preferirei continuare a sperimentare su scimpanzè, barboni e sequestri di persona finiti male piuttosto di intascare da uno come te. Ma ci sarebbe un'altra cosa che potresti fare per me”.
“Ma non mi dire”.
“Potresti convertirti alla scienza”.
“E cioè?”
“Una volta sceso da questa collina, potresti convocare una conferenza stampa e spiegare: Dio non mi ha salvato, la Scienza sì, quindi hai deciso di convertirti a quest'ultima e d'ora in poi girerai il mondo aizzando le folle contro chiese templi e sinagoghe, esortando i tuoi fedeli al controllo delle nascite mediante contraccezione e aborto, e devolvendo tutti i proventi delle tue crociate alla ricerca scientifica eccetera...”
“No, questo non succederà mai”.
“E perché?”
“Quello che mi proponi è di fare della scienza una religione”.
“E perché no?”
“Perché la scienza è una cosa, la religione è un'altra, e l'ibrido che ne salterebbe fuori disgusterebbe te per primo”.
“Può darsi, però non è giusto. Ogni volta che una madonnina o un fiume sacro salva qualcuno nasce una religione. Ogni volta che io salvo qualcuno – e fidati che ho una percentuale di successi che straccia qualsiasi madonnina...”
“Lo so, lo so”.
“...Non succede niente. Addirittura hanno la faccia tosta di dirmi che è stato Dio a muovermi le mani. 'sti disgraziati... Sette anni di facoltà, cinque di tirocinio, e poi altri vent'anni a sventrare e ricucire e sperimentare e diagnosticare e mandar giù anfetamine allungate con lo xanax, e poi se ti salvo la vita manco mi stringi la mano, no, t'inginocchi alla Madonnina di Sarcazzo, che a saperlo mi facevo prete, quattro anni di teologia e poi con cinque minuti di omelia hai già salvato la vita a milioni di embrioni... Scusa, ma dov'è la giustizia, eh? Dov'è?”
“La giustizia divina, intendi? Ma tu sei ateo, non dovresti pretendere...”
“Lo so, lo so, dicevo per dire, è che questa cosa mi fa così incazzare... non hai idea, guarda...”
“Ma non ti metterai a piangere, adesso... Dottor Asanta, ti chiedo scusa”.
“Snif, e perché?”
“Dai racconti dei tuoi colleghi mi ero fatto tutta un'idea mefistofelica di te. Vedo invece che sei un buon diavolo. E per questo ti faccio una controproposta”.
“Sentiamo”.
Mezzo secolo più tardi, quando alla fine Sai-Pio morì – di vecchiaia, nel suo letto – fu condotto davanti a San Pietro, che nel vestibolo dell'Alto dei Cieli è Giudice di Istanza Preliminare. “Sai-Pio, ho una buona notizia e una cattiva. La buona è che Dio c'è”.
“Non ne ho mai dubitato”.
“Certo, dicono tutti così quando arrivano qui. La cattiva è che è piuttosto laico”.
“Laico? E com'è successo?”
“Ah, dev'essere stata una depressione, intorno al Millecinquecento... non mangiava più, cominciava a dubitare di sé stesso... era in piena deriva solipsistica, finché non ha letto un po' di Cartesio. Da lì in poi si è fatto tutto l'Illuminismo, Newton, la scienza moderna... tutta roba sua”.
“Anche Einstein?”
“Guarda, lascia perdere, quello ci fece passare dei mesi orribili... per far funzionare le sue equazioni ci è toccato riprendere in mano lo spaziotempo e curvarlo, hai un'idea del casino? No, non ce l'hai”.
“Lasciami indovinare, io per lui sono un povero ciarlatano, o sbaglio?”
“Te lo posso dire, tanto ormai... ti stanno preparando un giudizio coi fiocchi lassù. Il principale ha messo insieme una giuria di tutto rispetto, Charles Darwin, Galileo, Giordano Bruno... quest'ultimo in particolare frigge dal desiderio di mandarti all'inferno”.
“Quindi esiste anche l'inferno”.
“Come no. Ed è pieno di bigotti, te lo devo dire. Io me la sono cavata, pensa, perché prima che il gallo cantasse ho dubitato, dimostrando indipendenza di giudizio”.
“Complimenti”.
“La stai prendendo bene”.
“Inutile angosciarsi. Ho diritto a un avvocato, almeno?”
“Un avvocato? In paradiso? Rifletti bene”.
“Ah già, che scemo”.
Il dibattimento fu lungo (nell'Eternità nessuno ha fretta). Davanti alla giuria l'Accusatore enumerò tutti i misfatti della vita di Sai-Pio, un'esistenza interamente consacrata a circuire il prossimo dietro la scusa di difendere la sua ignoranza dagli arroganti assalti della scienza. Sai-Pio non negò nulla, non avrebbe avuto molto senso davanti all'occhio di Dio.
“Sai-Pio, confessi di avere messo in scena più volte il miracolo della lievitazione?”
“Beh, sì, all'inizio era poco più di uno scherzo, ma alla gente piaceva...”
“Sai-Pio, confessi di avere finto di possedere le stimmate?”
“Devo dire che quell'eritema mi tornò molto utile”.
“Sai-Pio, con quante donne in stato di trance hai giaciuto, al fine di provocare in loro le cosiddette gravidanze miracolose?”
“Non ricordo, e poi non erano tutte le verginelle che dicevano di essere, cioè, contestualizziamo”.
“Sai-Pio, cos'hai da dire a tua discolpa?”
“Mah, niente. A parte che credo di essere uno dei più grandi benefattori dell'umanità. Ma non so se qui sia considerato un titolo di merito”.
“Tu? Un benefattore dell'umanità”.
“Uno dei più grandi, sissignore”.
“Un ciarlatano che simulava i miracoli? Un santone impostore che si faceva intestare i conti correnti dei giovani sprovveduti e delle vecchiette rincitrullite?”
“Già, e non dimentichiamo le frodi fiscali, ne ho commesse di astutissime”.
“E ciononostante ti consideri un benefattore”.
“Beh, avete dato un'occhiata ai bilanci dei miei ospedali?”
“Sono tutti truccati, ovviamente”.
“Sì, no, intendevo ai bilanci di vite umane che le mie cliniche, mirabilmente dirette dal primario dott. Asanta hanno salvato in questi cinquant'anni? Santissimi giudici, non so esattamente quali sono i metri con i quali qui si misura il bene o il male. Io per me ho stabilito questo principio empirico: è bene tutto ciò che concorre alla riduzione aritmetica del dolore. Dopodiché, sì, lo ammetto, per raccogliere fondi ho fatto il buffone. Ho finto un sacco di miracoli, perché è quello che la gente vuole. Ma le monete che la gente mi lanciava le passavo al dottore che faceva i miracoli veri. Ho salvato molte più vite, ho raccolto molti più fondi io, da ciarlatano, che tanti onesti uomini di fede o medicina con i loro ridicoli scrupoli morali piccoloborghesi. Sono stato un vero difensore della scienza, un mecenate”.
“E dovremmo salvarti per questo? Per il fine che giustifica i mezzi?”
“Non vi immaginavate che fossi così laico anch'io, eh?”
Il mondo sarebbe girato diversamente se al piccolo Sai-Pio, nato in un piccolo villaggio delle province meridionali, i dottori non avessero diagnosticato un handicap inguaribile e mortale...
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"Non so", disse la pensosa Verola, "morte ce n'è, sofferenza pure, ma manca quell'afflato violento che cercavo, l'odore del sangue che sgorga e scorre, del resto cosa aspettarsi da un prete".
"Ho fatto del mio meglio", osò rispondere don Tinto.
"Del tuo meglio? Andiam bene", commentò Arci.
"Perché, cosa c'è che non va".
"Hai finito coi puntini di sospensione. Ripetendo il primo paragrafo. Un espediente da corso di scrittura creativa, primo anno".
"Senz'altro tu sai portare la punteggiatura a ben altre vette di originalità espressiva..."
"Non per vantarmi, ma..."
"Domani", disse l'assonnata Verola, "Arci ce lo dimostrerà domani sera. Adesso si va a nanna, ché domani mattina sul presto si va a fiocinare i pesci in via d'estinzione. E a pranzo, grigliata!"
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Non nominare l'omeopata invano
07-08-2011, 19:02ho una teoria, internet, multinazionali maledettePermalinkCome probabilmente sapete, in questo piccolo mondo che è il Www, ci sono delle regole scritte e non scritte. La prima probabilmente è: puoi parlare di tutto, ma proprio di tutto, ma lascia stare le aziende farmaceutiche. Lasciale stare e nessuno ti farà male. Perlomeno, fino al mese scorso.
Poi è arrivato Blogzero. Sull'Unità.it è on line Primo: non parlerai di farmaci e omeopatia (H1t#84), che si commenta là speriamo come al solito bene.
(Le ventuno notti proseguono domani. Nel caso che qualcuno fosse in pensiero, eh).
Dopo aver letto che che la prima pagina web è andata on line più o meno vent'anni fa, ho cercato di ricordare quando ne ho sentito parlare per la prima volta. Dev'essere successo abbastanza tardi, forse addirittura nel 1994 (per dire, Berlusconi era già al governo). Io a quel tempo ovviamente scrivevo già, su molti fogli, perlopiù formato A3 piegati quattro volte per formare rivistine studentesche che distribuivo a mano chiedendo a volte pure cinquecento, mille lire in cambio (che vergogna).
Fu durante una riunione di redazione di una rivista del genere che uno scrittore cyberpunk modenese mi parlò per la prima volta di questa nuova modalità, questo nuovo protocollo, non ricordo bene come lo chiamò, insomma, era qualcosa di totalmente nuovo che di lì a pochissimo ci avrebbe consentito di divulgare le nostre idee “nella rete”, senza più bisogno di fotocopiatrici. La cosa fantastica è che in questa rete si sarebbe potuto parlare di tutto, e nessuno sarebbe stato in grado di censurarci, anche se forse era meglio non parlare di farmaci. Disse proprio così, me lo ricordo: parlare di Berlusconi non sarebbe stato un problema, ma discutere di farmaci aveva messo nei guai un suo conoscente già su usernet, per cui era veramente meglio non parlare di farmaci.
Sono passati vent'anni, dieci dei quali li ho passati proprio in quella misteriosa rete. Ho scritto un po' di tutto, senza intendermi quasi di niente, e fino a questo momento non ho avuto ancora una sola vera grana legale. Sarà anche questione di fortuna. Sarà che il più delle volte mi riduco a scrivere di Berlusconi, e di Berlusconi si può scrivere veramente di tutto, senza temere conseguenze (sarà difficile spiegarlo ai nostri nipotini, quando gli racconteremo di questi vent'anni di regime). Sarà che ho ancora in mente il consiglio di quel saggio cyberpunk: scrivi quel che ti pare, ma lascia stare le farmaceutiche.
È un consiglio veramente buono. Proprio in questi giorni leggevo di quello che è successo all'ingegnere informatico Samuele Riva, che su Blogzero aveva pubblicato un bell'articolo sull'omeopatia, smontando per l'ennesima volta i concetti di “memoria dell'acqua” e similari. Non lo si dice mai abbastanza: i farmaci omeopatici (quando sono realmente omeopatici, e non prodotti di erboristeria) sono semplicemente acqua, e hanno le stesse proprietà curative che ha l'acqua (poche: altrimenti ci cureremmo le allergie col rubinetto). Da un punto di vista scientifico questo è difficilmente contestabile, anche se qualche difensore dell'omeopatia ogni tanto ci prova. Riva ha avuto il merito di ribadire il concetto in modo chiaro, e di aver scatenato un'interessante discussione nei commenti.
Però ha anche avuto la pessima idea di citare un'azienda produttrice di farmaci omeopatici, la Boiron, mostrando addirittura la foto di un loro prodotto, violando così la Prima Direttiva di chiunque voglia scrivere sul World Wide Web: Non Citerai Le Aziende Farmaceutiche! A questo punto si è scomodato addirittura l'amministratore delegato della Boiron, che con una letterina ha chiesto al responsabile di Blogzero non solo di rimuovere la foto del prodotto (cosa tutto sommato comprensibile), ma di eliminare dal blog tutti gli articoli sull'omeopatia firmati da Riva, e di impedirgli l'accesso al blog.
Com'è andata a finire? Non è ancora finita, ma per ora l'articolo è rimasto al suo posto, anche se la foto e i riferimenti alla Boiron sono spariti. In compenso si è verificato il solito tam-tam che è l'unico vero strumento di autodifesa del www, per cui a dieci giorni dalla diffida già una ventina di siti hanno ripreso la notizia, tra cui blogger affermati come Mantellini eMalvino che hanno coraggiosamente violato la Prima Direttiva. Risultato: un sito sconosciuto ai più come Blogzero ha avuto un record di accessi; Google se n'è accorto, e ora digitando “Boiron” i pezzi critici nei confronti dell'azienda compaiono nella prima pagina dei risultati. Anche sui social network si parla di omeopatia, e non in termini positivi.
Insomma, con le sue minacce la Boiron sembra essersi impigliata nella Rete, come è già successo a tante altre aziende prima di lei. Tutto questo costituisce una notizia? Pare di no. Perlomeno, non mi risulta che in questi giorni i quotidiani se ne siano accorti. Ok, non è un agosto come gli altri, c'è una crisi mondiale e tutto il resto. Però il piccolo blogger che sfida e (per ora) fa tremare un'azienda farmaceutica poteva pur valere un trafiletto nelle pagine di costume o cultura o quel che è. Ma forse anche i giornali hanno la loro Prima Direttiva... http://leonardo.blogspot.com
Poi è arrivato Blogzero. Sull'Unità.it è on line Primo: non parlerai di farmaci e omeopatia (H1t#84), che si commenta là speriamo come al solito bene.
(Le ventuno notti proseguono domani. Nel caso che qualcuno fosse in pensiero, eh).
Dopo aver letto che che la prima pagina web è andata on line più o meno vent'anni fa, ho cercato di ricordare quando ne ho sentito parlare per la prima volta. Dev'essere successo abbastanza tardi, forse addirittura nel 1994 (per dire, Berlusconi era già al governo). Io a quel tempo ovviamente scrivevo già, su molti fogli, perlopiù formato A3 piegati quattro volte per formare rivistine studentesche che distribuivo a mano chiedendo a volte pure cinquecento, mille lire in cambio (che vergogna).
Fu durante una riunione di redazione di una rivista del genere che uno scrittore cyberpunk modenese mi parlò per la prima volta di questa nuova modalità, questo nuovo protocollo, non ricordo bene come lo chiamò, insomma, era qualcosa di totalmente nuovo che di lì a pochissimo ci avrebbe consentito di divulgare le nostre idee “nella rete”, senza più bisogno di fotocopiatrici. La cosa fantastica è che in questa rete si sarebbe potuto parlare di tutto, e nessuno sarebbe stato in grado di censurarci, anche se forse era meglio non parlare di farmaci. Disse proprio così, me lo ricordo: parlare di Berlusconi non sarebbe stato un problema, ma discutere di farmaci aveva messo nei guai un suo conoscente già su usernet, per cui era veramente meglio non parlare di farmaci.
Sono passati vent'anni, dieci dei quali li ho passati proprio in quella misteriosa rete. Ho scritto un po' di tutto, senza intendermi quasi di niente, e fino a questo momento non ho avuto ancora una sola vera grana legale. Sarà anche questione di fortuna. Sarà che il più delle volte mi riduco a scrivere di Berlusconi, e di Berlusconi si può scrivere veramente di tutto, senza temere conseguenze (sarà difficile spiegarlo ai nostri nipotini, quando gli racconteremo di questi vent'anni di regime). Sarà che ho ancora in mente il consiglio di quel saggio cyberpunk: scrivi quel che ti pare, ma lascia stare le farmaceutiche.
È un consiglio veramente buono. Proprio in questi giorni leggevo di quello che è successo all'ingegnere informatico Samuele Riva, che su Blogzero aveva pubblicato un bell'articolo sull'omeopatia, smontando per l'ennesima volta i concetti di “memoria dell'acqua” e similari. Non lo si dice mai abbastanza: i farmaci omeopatici (quando sono realmente omeopatici, e non prodotti di erboristeria) sono semplicemente acqua, e hanno le stesse proprietà curative che ha l'acqua (poche: altrimenti ci cureremmo le allergie col rubinetto). Da un punto di vista scientifico questo è difficilmente contestabile, anche se qualche difensore dell'omeopatia ogni tanto ci prova. Riva ha avuto il merito di ribadire il concetto in modo chiaro, e di aver scatenato un'interessante discussione nei commenti.
Però ha anche avuto la pessima idea di citare un'azienda produttrice di farmaci omeopatici, la Boiron, mostrando addirittura la foto di un loro prodotto, violando così la Prima Direttiva di chiunque voglia scrivere sul World Wide Web: Non Citerai Le Aziende Farmaceutiche! A questo punto si è scomodato addirittura l'amministratore delegato della Boiron, che con una letterina ha chiesto al responsabile di Blogzero non solo di rimuovere la foto del prodotto (cosa tutto sommato comprensibile), ma di eliminare dal blog tutti gli articoli sull'omeopatia firmati da Riva, e di impedirgli l'accesso al blog.
Com'è andata a finire? Non è ancora finita, ma per ora l'articolo è rimasto al suo posto, anche se la foto e i riferimenti alla Boiron sono spariti. In compenso si è verificato il solito tam-tam che è l'unico vero strumento di autodifesa del www, per cui a dieci giorni dalla diffida già una ventina di siti hanno ripreso la notizia, tra cui blogger affermati come Mantellini eMalvino che hanno coraggiosamente violato la Prima Direttiva. Risultato: un sito sconosciuto ai più come Blogzero ha avuto un record di accessi; Google se n'è accorto, e ora digitando “Boiron” i pezzi critici nei confronti dell'azienda compaiono nella prima pagina dei risultati. Anche sui social network si parla di omeopatia, e non in termini positivi.
Insomma, con le sue minacce la Boiron sembra essersi impigliata nella Rete, come è già successo a tante altre aziende prima di lei. Tutto questo costituisce una notizia? Pare di no. Perlomeno, non mi risulta che in questi giorni i quotidiani se ne siano accorti. Ok, non è un agosto come gli altri, c'è una crisi mondiale e tutto il resto. Però il piccolo blogger che sfida e (per ora) fa tremare un'azienda farmaceutica poteva pur valere un trafiletto nelle pagine di costume o cultura o quel che è. Ma forse anche i giornali hanno la loro Prima Direttiva... http://leonardo.blogspot.com
La supplente
06-08-2011, 00:47il cattivo supplente, le 21 notti, racconti, replichePermalink(2009)
AgostoCarissimo Aureliano! Come sta il mio anarcosindacalista prediletto?
Ti scrivo per condividere teco il gaudium magnum: ho rassegnato le dimissioni dal dipartimento. Dimissioni ufficiose, evidentemente, giacché il tignoso cattedratico che ho servito e riverito per un lustro tondo s'era ben guardato dal regolare la mia posizione con un qualsivoglia contratto. O tempora, o mores... Cinque anni della mia unica vita dilapidati alla corte di un barone senescente – consumati a completargli le ricerche, a gonfiarne le bibliografie, per tacere di tutte le sessioni d'esame che mi sobbarcai in sua vece, e tutto questo a che pro? Per vedermi sgraffignare un assegno di ricerca dalla prima figlia di un sodale del congiunto della collega di un ateneo lucano? De hoc satis: mi sono infine affrancata dalla schiavitù. Ora almeno avrò tempo per finire quel lavoro sugli scoliasti del Millecento – ma no, non temere, non verrò inghiottita dal Maelström della disoccupazione. Nel mentre che cerco un'occupazione confacente alla mia formazione (impresa ardua, lo concedo), ho accettato a partire da settembre una di quelle supplenze presso una scuola media secondaria inferiore che da anni mi vengono offerte e che ho sempre snobbato. Per una come me, avvezza a interagire con studenti ultraventenni, sarà senz'altro un'esperienza curiosa, ma (mi auguro) formativa. Chissà che non riesca a introdurre qualche diavoletto preadolescente ai misteri della filologia medioevale.
Settembre
Saluti da un'ormai ex giovane promessa della filologia. Scusa se non ho risposto alla tua cartolina con qualcosa d'altrettanto kitsch, ma ero praticamente rinchiusa in un monastero apuano dove mi sono portata avanti con la mia ricerca sugli scoliasti – e nessuno smerciava cartoncini illustrati. So che riderai nel leggerlo, ma è stata un'estate meravigliosa. Comunque, è giunta al termine.
So che friggi di condividere le mie impressioni sul mio nuovo ambiente di lavoro. Ebbene, i colleghi sono più o meno la congerie di frustrazione e pressapochismo che presagivo. Tu che sei il solito materialista mi dirai che è una questione di stipendio; che nessun ingegno men che mediocre può rimanere a lungo in una posizione professionale così mal remunerata. Come se l'università, da cui provengo, fosse più generosa coi suoi giovani addetti... del resto non c'è bisogno di ripeterci quanto i lavoratori dell'intelletto siano svalutati ovunque. Eppure in nessun contesto mi era capitato di percepire una rassegnazione così disperata come nella sala insegnanti da cui provengo dopo una riunione di tre ore. E dire che i prepuberi non mi sembrano quei selvaggi descritti a tinte così fosche dagli organi di stampa. Non che li conosca ancora molto, le lezioni sono cominciate da appena una settimana – ma mi paiono grosso modo vivaci come lo erano i miei compagni ai nostri tempi. Rammenti? Se seppi conquistare i vostri favori smerciando compiti e ripetizioni, non dovrei faticare troppo ad attirare la loro attenzione, ora che ho un bagaglio ben più ricco di nozioni da offrire. Già ora mi sembrano ben disposti nei miei confronti: quando gli racconto del medioevo mi ascoltano per ore intere, alcuni a bocca aperta. Non so quanto riescano effettivamente a seguirmi, ma si tratta di seminare: qualcosa crescerà.
Ottobre
[...] quanto ai miei studenti, dopo un paio di settimane trascorse a raccontar loro, sostanzialmente, gli affaracci miei (affaracci pure non privi d'interesse linguistico) ho pensato che fosse tempo di verificare le loro competenze linguistiche, e ho impartito loro il primo tema. È stato uno choc.
Più di metà della classe è praticamente analfabeta! Per alcuni di loro sembra troppo ambizioso anche l'obiettivo di tracciare segni consequenziali lungo le righe di un foglio protocollo: vanno su e giù tracciando grafi mostruosi. Li si direbbe tratti a forza da una caverna, non da scuole elementari di un certo prestigio. Persino i più bravi non hanno idea di cosa sia la punteggiatura: alcuni ficcano virgole e punti alla rinfusa tra le parole di un tema già composto, come pittori informali che ritocchino la loro opera scuotendo il pennello delle ultime gocce di tempera. Ovunque strafalcioni, termini dialettali, anglismi storpiati... alcuni di loro quando non sanno compitare una parola la sostituiscono col disegno, o con le orribili “faccine” mutuate da internet e dalla telefonia cellulare: il risultato sono rebus inintellegibili che mi fanno rimpiangere i manoscritti che sfogliavo quest'estate.
Correggere quei brogliacci è un'impresa disperata – non di rado l'inchiostro rosso delle mie correzioni sovrasta il nero e il bleu delle loro bic incerte. Ma poi, che senso ha segnalare i loro errori per iscritto? Tanto non riusciranno a interpretare nemmeno i miei segni...
Peraltro, è una faticaccia che non mi aspettavo. Tutto il tempo che speravo di dedicare alla rifinitura del mio saggio sugli scoliasti se n'è andato in queste disperate e (temo) inutili correzioni. Ho faticato anche a trovare il tempo per rispondere alla tua mail, come vedi. Scusami ancora, tua [...]
Novembre
[...] Dal fronte degli asini nessuna novità. Anzi, ti dirò: per qualche tempo ho temuto che a me inconsapevole fosse stata affibbiata una classe di minorati. Ma il collega al quale ho esibito i brogliacci ha scosso la testa e mi ha, per così dire, rassicurato: il livello dei miei studenti non si discosta molto da quello delle altre classi, così come il nostro istituto non si discosta dalla media nazionale. Con una profonda rassegnazione, di cui ora comprendo meglio le cause, mi ha spiegato che l'abbassamento della competenza linguistica dei bambini è un fenomeno ormai riconosciuto, e in parte riconducibile all'inserimento nella scuola elementare di altre materie, come la lingua straniera o l'informatica, che hanno sottratto ore importanti alla lingua italiana. L'afflusso di bambini stranieri da alfabetizzare ha completato il quadro. Il collega si è perfino provato a consolarmi! Mi ha detto che meno sono pratichi del linguaggio scritto, più tendono ad affidarsi alla comunicazione orale, per cui diventa relativamente più semplice catturare la loro attenzione raccontando delle storie. Me ne ero già accorta, si bevono tutto! Ma descrivendo le mie avventure medievali non ero consapevole di partecipare a mia volta a un'operazione di regressione culturale... dunque è quello che sono diventata? La maestrina dalla penna rossa che racconta favole a bimbi con la bocca aperta? No, questo no.
Ho fatto un esame di coscienza: forse avevo preso questo lavoro sottogamba, credendo che si trattasse di svolgere mansioni già ben definite, a cui avrei potuto dedicare solo una piccola parte del mio tempo e del mio intelletto. Avrei dovuto capire subito che le cose non stavano così. Ma credo di avere ancora tempo per rimediare ai miei errori.
Così ho fatto a me stessa un giuramento: alfabetizzerò questi somari. Li bombarderò di grammatica, li tempesterò di dettati: loro sbaglieranno e io li correggerò, dovesse essere l'ultima supplenza che accetto. Tu mi conosci: non pretendo di saper fare di tutto, ma quel poco che so fare voglio farlo bene.
Dicembre
Carissimo, buon Natale! Io non l'ho mai atteso con tanta trepidazione da quando a undici anni mia zia mi promise la Barbie Monaca. No, stavolta non ho in programma alcuna vacanza-studio in un eremo, ma ho qui a casa una pila di quaderni da correggere che sfiora il soffitto.
Il fatto è che finché non cominci a fare questo mestiere non puoi capire che lavoraccio sia correggere. Per spiegartelo devo fare affidamento ai tuoi ricordi di scuola, rammenti i pomeriggi trascorsi davanti a qualche esercizio nemmeno troppo lungo o complicato, ma comunque noioso e ingrato? Ricordi come bastasse una breve versione, o qualche espressione matematica, o un capitoletto di storia da studiare, a riempire di angoscia quelle ore che in teoria avrebbero dovuto essere le migliori della nostra vita? E la fatica impiegata non tanto a tradurre dal latino o a risolvere le operazioni, no, ma a trovare la forza morale di alzarsi dal letto, spegnere un telecomando, zittire la radio, chiudere la rivista ed estrarre un libro dallo zainetto, ecco, ti devo confessare che le ultime settimane mi sembra di averle trascorse così, a ingannare il tempo mentre la Pila dei Compiti in Arretrato si allungava, in piena regressione puberale. I miei pomeriggi sono inghiottiti da buchi neri di vergogna, addirittura mi capita di bloccarmi ore intere sul divano, davanti a stupidissimi programmi per casalinghe, perché la prospettiva di correggere per la centodecima volta la q di “aqqua”, di “cuadro”, perfino di “squola”, mi schianta. Quello che più mi pesa è appunto il dover ripetere infinite volte le stesse correzioni: mai come ora il rapporto di un insegnante di italiano per ogni sessanta studenti mi è apparso in tutta la sua inicuità. E dire che molti pensano al nostro come a un lavoro creativo! Una catena di montaggio, piuttosto. Almeno funzionasse bene, almeno producesse qualcosa di buono.
Gennaio
[...] Sei stato ben impietoso a rilevare il mio errore... sì, è successo, ho scritto “iniquità” con la c. La tua sorpresa è anche la mia, sai che non sono abituata a refusi del genere.
Ma cerca di capirmi, passo ore intere a correggere sciocchezze, ad accorciare lunghe frasi asintattiche e raddrizzare passati remoti e congiuntivi storpiati, alla fine è normale che qualcosa mi sfugge.
Non so se ti è mai capitato di ripetere una parola a voce alta, o anche solo mentalmente, finché essa non perde il significato e non rimane che una nuda veste di sillabe scorticate: è la stessa cosa che mi capita dopo una sessione intensiva di correzioni di grammatica. A volte ho la sensazione che quel poco di ortografia che riesco a infondere ai miei ragazzi, lo sto perdendo io.
Loro poi non hanno colpa se hanno avuto insegnanti mediocri e remissivi come i miei colleghi, che spesso interpretano il mio impegno come il zelo superficiale di una neofita che non ha ancora capito come vanno le cose a questo mondo, per esempio l'altro giorno il mio collega, te ne avrò parlato, uno di quelli con cui almeno ci si può parlare, mi ha detto testuale: “Vacci piano a correggere la punteggiatura”. E io: perché dovrei andarci piano? È il mio mestiere. E lui, scuotendo la testa: certo che è il tuo mestiere, ma se vai avanti così rischi di bruciarti. Cioè, siamo alle minacce, capisci? Basta l'arrivo di una nuova supplente per farli sentire scomodi sugli scranni sfondati delle loro cattedre, e dire che io all'inizio un po' ci contavo sulla loro collaborazione, e invece no, non mi anno aiutato per niente.
Febbraio
E successa una cosa bruttissima. Pochi giorni dopo l'ultima mail che ti avevo scritto mi é venuta un influenza pesissima, le scuole sono dei focolari di virus non indifferenti. Sono stata a casa dieci giorni e ne ho aprofittato per mettere giù quella ricerca medievale di cui ti parlavo, ti ricordi? Be' la rivista di studi medievali a cui o spedito il mio pezzo me là mandato indietro. Quell'oca della direttrice, una mia ex compagna di corso che se non era per le fotocopie dei miei appunti era ancora dietro a laurearsi, mi scrive che la ricerca “non soddisfa i nostri standard editoriali”??? ed è sempre la stessa rivista che da quando ci lavora lei scazza una bliografia su tre, e hanno il coraggio di criticare, la mia sintassi! Un articolo a cui lavoro da un anno, lo letto e riletto finche non mi e venuta la nausea, senzaltro puo essermi sfuggito un errorino, ma i correttori di bozze ci stanno per questo o no???
Marzo
Caro,
finalmente buone notizie: ti ricordi che ero stata a casa da scuola X 10 giorni? Bhè non me lo sarei mai aspettato, ma la collega di italiano che mi aveva sostituito é passata a farmi i complimenti e ma detto che erano da anni che non le capitava di insegnare a ragazzi cosi preparati in ortografia e in sintassi, e con un lessico cosi ricco e vario, a proprio detto cosi! Mi a anche chiesto qual'è il mio segreto e io: non cè nessun segreto, gli faccio scrivere e gli correggo, gli faccio scrivere e gli correggo, 6 mesi cosi si vede che qualcosa serve, e tra l'altro io non avevo notato tutto questo milioramento, ma se lo dicono i colleghi penso che probabilmente e vero. Insomma in questo periodo mi sta dando più soddisfazione la scuola che la ricerca!!! ki lavrebbe mai detto??? bacioni
Aprile
Non sto bene
Non e tanto la scuola, la scuola è ok, i ragazzi sono forti, ma i compiti i compiti mi danno la nausea non riesco + a leggerli. O smesso di portarli a casa
Sono sempre stanca vado a letto alle 8 di sera mi sveglio alle 7 sono stanca lo stesso
Pensa che nel frattempo alla rivista anno silurato la tipa che mia rifiutato l'articolo!!!
Il mio professore a detto ke quello sarebbe il posto giusto X me ma io penso ke nn posso propormi in questo stato, faccio tanti errori, hai notato? E appena cerco di correggerli ancora la nausea
Il mio collega un giorno mi a detto secondo me ai perso dei gradi va dall'oqulista, ci sono andata, mi a detto ai perso un grado devi rifare le lenti
Non succedeva da quando andavo alle medie ma già, adesso ci sono tornata
Magari la prossima volta mi mettono lappparecchio per i denti ;-)
Scusa smetto perche mi viene ancora la nausea.
Ciao
Maggio
Il dottore mi a detto che se voglio posso ricominciare a scrivere un po X esercitarmi, e io pensato subito d scrivere a te. Scusa se trovi degli errori, ok???
È stato 1 esaurimento ha detto lui, X lo stress.
Io nn sapevo di essere sotto stress ma lui Signorina si fidi ognuno si esaurisce a modo suo lei si è esaurita il linguaggio
Mi a detto Ci sono quochi che per il troppo lavoro perdono il senso del gusto
e giardinieri perdono il senso dellodorato
lei uguale a perso la cosa ke + aveva coltivato fino da piccola, il gusto X le parole
ma tornerà, ho chiesto, lui a stretto le spalle
poi a suonato il campanello, erano due miei studenti!!! portavano un mazzo di fiori allora o detto: menomale ke nn sono giardiniera! loro nn anno capito.
Mi anno anke scritto un biliettino:
Alla nostra cara professoressa,
per la pazienza e la dedizione con cui ci ha seguito
in quest'anno meraviglioso,
in quest'anno meraviglioso,
e con l'augurio di una pronta guarigione.
La classe III H
Post Scriptum: ci manca tantissimoooooo!
Ma mentre cercavo d leggerlo mi e venuto da vomitare e poi mi sono messa a piangere!!! ke vergonia
*******
"Mia signora, se non erro si parlava di morte, sì, ma anche, in un'accezione più figurata, di malattia, di sofferenza, e io ne ho profittato per illustrare la progressiva perdita di senso di una giovane operatrice del comparto cognitario, che con la sua bizzarra sindrome illustra..."
"Seh, seh", interloquì don Tinto, "la verità è che il tuo irriducibile pacifismo t'impedisce di attentare alla vita dei tuoi stessi personaggi, per quanto immaginari".
"Se ho capito bene", disse allora Verola, divertita, "abbiamo qui tra noi uno di quelli che da bimbi si facevano scrupoli a far cadere i propri soldatini in combattimento? Tuttavia non credo che la non-violenza paghi, in narrativa. Per ora Aureliano si è guadagnato una nomination; domani sera vedremo se il nostro amico Parroco saprà trattare con maggior crudeltà i suoi personaggi. E ora a letto, che domani c'è il corso di cucina. Tenetevi per detto che non mi prenderò un partner che non mi sappia preparare un brunch come si deve".
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Di ronda in ronda
05-08-2011, 23:45le 21 notti, racconti, replichePermalink(2009)
"Mia signora - cominciò dunque Taddei - lei è troppo giovane per ricordare di quando non c'erano le ronde nel quartiere. La gente aveva paura a uscire in strada, non sapeva di chi fidarsi..."
Certo, quando proprio le cose si mettevano male c'erano i Poliziotti. Si chiamavano col telefono, e a volte arrivavano, con le volanti, le sirene, le mitragliette – ma poi si mettevano a fare domande anche a chi non c'entrava o non voleva c'entrare, s'impicciavano dei fatti altrui, insomma alla fine nessuno li chiamava volentieri.
Invece gli Uomini in Camicia Verde, quando cominciarono a venire, non facevano domande. Soltanto: Tutto Bene Signori? Possiamo esservi utili in qualche modo? Erano gentili, e non mostravano le armi (all'inizio non le portavano nemmeno). Si fermavano sempre al bar da Pino a prendere il caffè, e insistevano per pagarlo. Poi si mettevano a chiacchierare, più di calcio che di politica, fino a mezzogiorno, quando andavano a dare un'occhiata al vialetto su cui si affacciavano le scuole. L'anno prima era morto un ragazzino, messo sotto da un pirata, così i vigili non si erano lamentati troppo quando gli Uomini in Verde avevano cominciato a dare una mano col traffico. Inoltre, da quando erano arrivati, non si era visto più un solo spaccino del Magreb intorno alla scuola. Si capisce che i genitori fossero molto contenti delle Camicie Verdi – molti chiesero anche di unirsi, erano felici di dare una mano. Persino alcuni magrebini chiesero la casacca.
Quando ci furono le elezioni, e nel quartiere il partito degli Uomini in Verde vinse a man bassa.
Dopo le elezioni ci furono dei tagli, per via della crisi economica. Davanti alla scuola i vigili non si videro più, ma all'inizio nessuno ci fece caso. Tanto c'erano gli Uomini in Verde, ed erano capaci di dirigere il traffico quanto chiunque altro. Anzi, molti automobilisti del quartiere avevano più rispetto dei Verdi che dei Vigili, perché i Verdi ormai erano tutta gente del quartiere, che sapeva chi eri che mestiere facevi e dove parcheggiavi la macchina: perciò non era proprio il caso di fare gestacci al finestrino. Così, man mano che i semafori si spegnevano (il comune non poteva più permettersi la manutenzione), il traffico rimase in mano ai Verdi, ma tutto sommato funzionava. Si facevano meno incidenti, la gente ci metteva più attenzione. Non era più come una volta, quando guidare in città era come schivare i birilli: adesso dovevi stare attento a chi ti osservava; guidare era tornato a essere un gioco di relazioni. Lo dicevano anche i sociologi: le Ronde ci hanno costretti a uscire di casa, a riscoprire il concetto di cittadinanza attiva, eccetera. Gli Uomini in Verde vinsero anche le elezioni successive.
Però la crisi economica continuava, e molti onesti padri di famiglia cominciarono a borbottare e chiamarsi fuori. Il fatto è che le ronde erano cominciate in sordina, come un dopolavoro per pensionati, e man mano erano diventate sempre più importanti: ora, senza una camicia verde all'incrocio, si rischiava il caos. Fare un turno agli incroci poteva essere molto stressante, e anche se tutti ti dicevano grazie e votavano per il tuo partito, ugualmente dopo un po' cominciavi a sentirti un pirla a farlo gratis. Alla fine restarono soltanto i più esaltati, e i disoccupati: e quest'ultimi (alcuni dei quali magrebini) ormai le ronde le facevano soltanto intorno alla villetta dell'Assessore alla Sicurezza, quello eletto coi voti degli Uomini in Verde. Costui alla fine riuscì a sbloccare qualche fondo comunale, ma erano briciole.
Nello stesso periodo un odioso piromane cominciò a dar fuoco alle automobili del quartiere, una ogni notte. A quel tempo ormai la Polizia non aveva più compiti di sorveglianza: in base al principio di sussidiarietà si dava per scontato che a queste cose ci pensassero le ronde. Anche gli Uomini in Verde ritenevano che la cosa fosse affar loro; soltanto chiedevano ai residenti del quartiere di contribuire alle spese per la vigilanza notturna. Così fu organizzata una colletta: gli Uomini in Verde passavano di casa in casa, e ciascuno dava secondo la sua necessità e la sua cilindrata. Chi aveva il garage pagava il triplo, perché (spiegava l'esattore) anche i garage dei tirchi prendono fuoco molto bene.
Fu una gara di generosità davvero commovente: tutti diedero qualcosa. Solo Pino, il titolare del bar, non volle partecipare, per via di un'annosa bega col boss degli Uomini del quartiere, un vecchio conto da saldare. Beh, sì, certo, era capitato spesso al boss di offrire da bere alle sue Camicie, al termine di un turno faticoso, e tante volte aveva detto “segna sul conto”: sempre in attesa di quei maledetti fondi che non si sbloccavano mai, ma la colpa di chi era? Comunque se Pino non voleva pagare per la vigilanza, per la protezione, era un suo diritto, erano fatti suoi.
La colletta fu un successo: nessuna automobile o garage prese più fuoco nel quartiere. Un mese dopo tuttavia fu il bar di Pino ad andare in fiamme.
I famigliari gli sconsigliarono di chiamare la polizia. Cercarono anche di convincerlo ad accettare la generosa offerta del Boss, che voleva rilevare le macerie del bar per installarci un circolo ricreativo delle Camicie Verdi. Pino però era una testa dura, e aveva contatti in altri quartieri. Vendette la licenza a un suo lontano parente, e sloggiò. Il bar, trasformato in Ristorante, riaprì due mesi dopo, con certi ceffi dentro che nessuno aveva mai visto in zona. Quando gli uomini in casacca verde provarono a chiedere la questua, furono cortesemente accompagnati alla porta con qualche colpetto di manganello alla nuca. Questo rese evidente a tutti che gli Uomini in Nero avevano messo piede nel quartiere.
Gli Uomini in Nero non avevano mai avuto una grande presenza in zona, ma in altri quartieri erano maggioranza. Si raccontavano cose favolose e un po' orribili sui quartieri gestiti dai Neri: stranieri segregati, apartheid sulle panchine ai giardinetti, scolaresche al passo dell'oca, eccetera, ma in gran parte erano leggende. Certo, avevano un'organizzazione un po' più militare, e questo in certe situazioni poteva servire. Per esempio, il Comandante Nero a cui era stato affidato l'ex bar di Pino era un fine stratega e sapeva che lo scontro frontale coi Verdi, per il momento, era fuori discussione. Bisognava andarci piano; così quando seppe dell'increscioso incidente andò pubblicamente a chiedere scusa al Boss dei Verdi, e lo invitò anche al ristorante, a bere alla sua salute e a sue spese. Il Boss ci andò; rifiutare l'invito l'avrebbe messo in cattiva luce, bisognava dimostrare di aver coraggio.
Quel pomeriggio, mentre il boss dei Verdi brindava nel locale dei Neri, ci fu una rissa davanti alle scuole. Una squadra di Uomini in Nero circondò tre magrebini in casacca verde che spacciavano. Questo era quello che facevano per mantenere le loro famiglie, da sempre: prima in borghese, poi, adeguandosi allo spirito dei tempi, in casacca verde. Inchiodati dalle prove fotografiche (e al vecchio semaforo in disuso), i tre spaccini sgamati fecero crollare l'indice di gradimento degli Uomini in Verde nel giro di una mezza giornata. La raccolta fondi porta a porta cominciò a fruttare meno: anche se nessuno osava rifiutare un obolo, quasi tutti piangevano miseria, trovavano scuse, scucivano spiccioli. Il boss Verde era già l'ombra di sé stesso, quando, un mesetto dopo, girando la chiave della macchina saltò in aria. La raccolta fondi fu temporaneamente sospesa. Qualche tempo dopo ci furono le Comunali e gli Uomini in Nero, a sorpresa, s'imposero nel quartiere.
La loro raccolta era molto più scientifica: si trattava anche per loro di dare ciascuno secondo le proprie possibilità, ma queste possibilità erano calcolate in base alle dichiarazioni dei redditi, grazie alle talpe che gli Uomini in Nero avevano nell'Ufficio Entrate. Tanto che alla fine la dichiarazione era meglio farla al sindacato degli Uomini in Nero: così i soldi per la protezione li detraevi direttamente dalle imposte. Insomma, da un punto di vista burocratico il progresso era innegabile. I Verdi erano sempre stati dei simpatici cialtroni in questo senso.
Il guaio dei Neri era la loro fissa col colore della pelle. Il quartiere era multietnico da quasi mezzo secolo; e questa idea che le ronde spettassero solo ai bianchi non passava. Era un vero e proprio boomerang; i ragazzetti con la pelle scura, che fino a pochi anni prima avevano potuto scegliere se spacciare o mettersi la camicia verde e fare le ronde, ora non avevano scelta: dovevano spacciare. Nel giro di sei mesi il parcheggio della scuola divenne una delle principali piazze di smercio della città. La gente cominciò a brontolare. Il Comandante Nero non ci badava. La gente cominciò a sussurrare che il Comandante Nero ci prendesse delle percentuali, in contanti e in polvere purissima. Il Comandante mandò una squadraccia a pestare gli spaccini. Tornarono alla base mogi mogi, coi manganelli fra le chiappe. Cos'era successo?
Era successo che il comandante Nero aveva sottostimato il problema. Il parcheggio della scuola era diventato una piazza talmente interessante da attirare l'attenzione della gang Morales, una banda di narcotrafficanti di origine andina con ramificazioni in tutto il mondo, che finanziava la Revolución Permanente vendendo droga ai viziati occidentali. Il core business dei Morales erano ovviamente i derivati della foglia di coca, di cui detenevano praticamente il monopolio nel lato nord della città: fornitori ufficiali del Sindaco, fronteggiarli era fuori discussione. Non solo, ma lo stile di vita libertario e lassista della gang stava facendo presa sulle giovani generazioni, che dopo un paio d'anni di marce e saluti romani ne avevano già abbastanza. La gang aveva anche un suo braccio politico, la lista rossa Izquierda y Libertad. Per quanto in crescita, difficilmente avrebbe potuto imporsi le elezioni, a meno che... non si fosse alleata coi Verdi.
Fino a qualche anno sarebbe sembrato impossibile, ma la politica ti ficca nel letto di strani compagni. Con l'aiuto dei Morales, la circoscrizione tornò in mano ai Verdi. Il loro capo, fratello minore del Boss esploso, fece giusto in tempo a prestare giuramento: un cecchino dei Neri lo centrò da un cornicione. A quel punto i Morales fecero una chiamata intercontinentale. Qualche giorno dopo il comandante Nero, accerchiato nel privé del suo ristorante, sollevò il capo da un vassoio di coca e vide sugli schermi a circuito chiuso che gli uomini della sua sorveglianza venivano a uno a uno strangolati da... incursori della marina boliviana? Oh, beh, “Me ne frego”, pensò lui: imbracciò il suo bazooka, spalancò la porta e...
***
“Qui non c'era un ristorante, dieci anni fa?”
“Io mi ricordo un caffè”.
“Il bar di Pino. Poi è andato a fuoco, e al suo posto ci hanno fatto una villa. E ora questa... questa voragine”.
“È stato un missile terra-terra, due anni fa. I Verdi stavano facendo una convention, una specie di rito celtico, che ne so io... qualcuno ha informato i Morales...”
“Ma non erano amici, una volta?”
“Divergenze. Pare che i Verdi non volessero più coca nel quartiere. Dicevano: noi vi proteggiamo, va bene tutto, anche le serre di cannabis sui terrazzi sono ok, però niente polvere ai nostri ragazzi. E così...”
“I ragazzi sono passati tutti coi Morales”.
“È più complicato di così. I Morales non hanno problemi a finanziarsi, sono una multinazionale. I Verdi invece continuano a stressare col pizzo, porta a porta, molta gente non ne poteva più. Qualcuno cominciava a rimpiangere persino i Neri”.
“Bene, e noi in tutto questo?”
“Ecco, dopo lo sterminio dei Verdi si è creato un certo senso d'insicurezza nel quartiere. È tutto in mano agli spacciatori e la gente non esce più di casa. Così il Monsignore ha pensato che potrebbe toccare a noi”.
“Ma i Morales...”
“Ci ha parlato il Monsignore, è tutto ok. Anche loro pensano che il quartiere sia un pessimo biglietto da visita. Ha bisogno di una ripulita”.
“Ci alleiamo coi rossi?”
“Solo all'inizio. Mettiamo su una chiesa, un oratorio, una sezione di CL, e quando avremo tirato un po' di gente dalla nostra, allora...”
“Quelli hanno i missili”.
“Ma noi abbiamo Dio”.
“E basta?”
“No, se vuoi saperlo è arrivata anche quella partita di granate all'uranio impoverito, contento?”
“Rendiamo grazie a Dio”.
Se chiedete ai nonni, forse qualcuno ancora si ricorda, di quando non c'erano le ronde nel quartiere. La gente aveva paura a uscire in strada. Non sapeva di chi fidarsi...
*******
"Hai finito?"
"Certo, mia signora".
"Ecco!" esclamò la schietta Verola, "questo sì che è un racconto sul quale valeva la pena di sonnecchiare. Ma quelli del compagno Aureliano, più che sbadigli, mi sono sembrate esibite smorfie di disgusto. O sbaglio?"
"Mia signora", ammise quest'ultimo, "pur apprezzando la prima parte del racconto, in cui Taddei ha ben delineato la deriva sociale conseguente alla privatizzazione della sicurezza, non potevo condividere la caricatura della sinistra extraparlamentare, equiparata per esigenze macchiettistiche a un cartello di narcotrafficanti, mentre è proprio dai gruppi della sinistra cosiddetta radicale che viene l'opposizione più netta a..."
"Stop, stop", lo interruppe l'insofferente Verola, "ricorda che né tu, né Taddei, né gli altri, siete qui per fare politica, quanto piuttosto per roteare la vostra coda di pavone narrativa di fronte al mio severo giudizio critico. Come capiterà a te domani sera, intesi? E adesso a nanna, che domattina si fa spinning".
"Mia signora", ammise quest'ultimo, "pur apprezzando la prima parte del racconto, in cui Taddei ha ben delineato la deriva sociale conseguente alla privatizzazione della sicurezza, non potevo condividere la caricatura della sinistra extraparlamentare, equiparata per esigenze macchiettistiche a un cartello di narcotrafficanti, mentre è proprio dai gruppi della sinistra cosiddetta radicale che viene l'opposizione più netta a..."
"Stop, stop", lo interruppe l'insofferente Verola, "ricorda che né tu, né Taddei, né gli altri, siete qui per fare politica, quanto piuttosto per roteare la vostra coda di pavone narrativa di fronte al mio severo giudizio critico. Come capiterà a te domani sera, intesi? E adesso a nanna, che domattina si fa spinning".
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La mia amica Boa
04-08-2011, 01:07le 21 notti, raccontiPermalinkPer un bel po’ di tempo l’ho persa di vista – è in Zelanda per la muta, mi dicevano. E io a pensare che ci sono dei bei tipi giù in Zelanda, dei ragazzoni tosti, fanno tutti sport, hanno maglioni a collo alto e un erre moscia molto intellettuale. Ne prendi uno e come minimo nel tempo libero restaura le pellicole di Eizensozski, t’immagini? “Quelle del peviodo in bianco e nevo, che pev me sono le uniche che vavvebbe la pena vivedeve… e domani pvendo il lavgo col mio tve albevi, pevché non vieni?” Insomma appena cominciavo a immaginarmela, la mia Boa in Zelanda, mi veniva subito in mente che era meglio non pensarci. E passa un mese, passa una stagione, poi l’altra sera invito a cena il mio amico Prisco, e lui: “Senti, perché non chiami anche Boa, che è appena tornata, ed è ancora un po’ stranita?”
“Boa?” trangugio io, indifferente. “Perché, dov’era stata?”
“Ma vuoi scherzare? In Zelanda per la muta, c’è rimasta sei mesi… Ed è tutta scombussolata, ti dico, ha bisogno di vedere della gente, allora la chiami?”
“Maaa, non so, non è che siamo così in confidenza… però guarda, se la vuoi invitare tu…”
Così io passo tutta la domenica a riassettare la casa, scegliere i dischi e sistemare i soprammobili perché stasera vengono qui a cena i miei amici Prisco e Michele, e la mia amica Boa.
È gente che fuma parecchio. Mi affaccio al pianerottolo e li sento ansimare su per le scale (io sto al settimo piano, niente ascensore). Quando finalmente arrivano, mio dio! È uno stecco la mia amica Boa, uno stuzzicadenti! Sta in piedi per miracolo, anzi, perché Prisco le sorregge le spalle. È chiaro che non mangia da mesi. Così alla fine, non era proprio quel paradiso in terra la Zelanda.
“Ciao Boa! Quanto tempo! Come stai?”
“Bene, e tu?”
“Si tira avanti”.
Ma sì, e anche i tipi locali, gran fustacchioni, ma a vederli da vicino niente sostanza. Gente introversa probabilmente, cinque giorni sui libri e poi a sballarsi nel week-end, classici eiaculatori precoci. Per non parlare della cucina.
“Allora io non sapevo a che ora arrivavate, così ho aspettato a fare il sugo. Pensavo di fare una cosa con tagliatelle pancetta affumicata e un goccio di vino, vi va?”
“Fai fai”.
Apro il frigo e nell’involto della pancetta scopro due dita di muffa bianca e verde.
“Vuoi che ti aiutiamo?”
“Noo, faccio da solo”
Con un coltello tiro via le muffa. È gente che fuma parecchio, in fin dei conti gli puoi mettere davanti qualsiasi merda. Non sentono i sapori.
La cena è un successone, benché Boa non tocchi quasi il cibo. I ragazzi vanno matti per il mio sugo e non chiedono di meglio di spartirsi il suo piatto. (Prisco in particolare è un vero ingordo).
“E allora Boa”, azzardo, “dopo la muta, come ci si sente?”
“Mah”, fa lei, “normale, non fosse per tutta la gente che ti fa questa stessa domanda”.
Ecco, ho fatto un bel passo falso. Ma va bene, niente paura. Reagire prontamente. “Che ne direste di un caffè?”
Prisco ne vuole, Michele ringrazia e saluta perché deve svegliarsi presto, Boa domanda: “Posso buttarmi sul divano?”
“Certo, fa' come fossi a casa tua”.
Mi fa impazzire, la mia amica Boa.
Ritirata strategica in cucina. Ora bisogna fare molta attenzione, una altro errore sarebbe fatale. Analizziamo la situazione. Le forze in campo. Michele se n’è andato: ci siamo io, Boa e Prisco. Bisogna fare conversazione (purché lui non accenda la tv…)
E bisogna far entrare Boa nella conversazione. Sennò con quell’idiota di Prisco si finisce per parlare dei risultati delle partite. Purché non accenda per vedere i gol! Lei si addormenta ed è finita.
La caffettiera comincia a sibilare.
‘E allora’, le domanderò ‘questa famosa Zelanda?’ Per carità! Anche questo certamente glielo chiedono tutti. E nessun riferimento alla muta, al suo colore diverso e al fatto che non mangia mai, sarà ipersensibile a queste cose, dovevo pensarci prima.
La caffettiera gorgheggia. Pensa a un argomento. Un buon argomento. Un argomento intrigante. Cos’hai nella testa?
Niente, maledizione.
Cosa vuol dire niente, cerca meglio...
I maschi.
I maschi zelandesi?
E se le chiedessi semplicemente: ‘e allora, c’erano dei bei maschi laggiù?’ Ma perché no? Questo, forse, non glielo ha ancora chiesto nessuno.
Ma sì, tanto vale rischiare.
La caffettiera tossisce e sputazza. Tiro fuori tre tazzine e il vassoio buono. Mentre procedo verso il soggiorno, mi accorgo che Prisco ha spento la luce. Balugina nel corridoio la luce verdognola della tv.
“Tu non lo prendi il caffè, Boa?”
“No, meglio di no”.
E poi non mi piace proprio come Prisco ci si è steso accanto sul divano, il braccio dietro la schiena, cos’è tutta questa confidenza?
“Ma dico, l’hai visto il rigore che hanno dato a quei bastardi? Non hanno neanche più il senso del pudore”.
Si è preso il mezzo del divano e ha stretto Boa contro il bracciale. E ora io che faccio? Se mi metto sull'altro lato non riesco neanche più a vederla in faccia, altro che conversazione. E perciò resto impalato tra il video verde e il divano. Non va. Così non va assolutamente. Devo muovermi in un qualche modo.
“Ma cosa fai”, dice Prisco, “ti metti a sparecchiare a quest’ora?”
“Sì, domani ho la sveglia presto”.
Che manovra geniale. Lasciamo pure Prisco bollire nel suo brodo, con i suoi stupidi rigori da contestare. Se non s’addormenta in due minuti, Boa si sarà fatta comunque un’idea di quanto è noioso il mio amico, peggio di un birroso zelandese. E nel frattempo, io… ci faccio la figura del single responsabile e organizzato, mica perdo tempo con le partite, io, sparecchio subito e se mi gira lavo pure i piatti. Questo sì che è un buon messaggio.
Arriva una vocina soave dal soggiorno: “Vuoi una mano?”.
“Grazie, non c’è bisogno, faccio io”. Gli ospiti sono sacri.
Sennonché, ci dev’essere qualche cosa che in partenza non avevo calcolato, perché man mano che torno nella stanza verde a ritirare i piatti, i bicchieri, le bottiglie, l’olio, i tovaglioli, la tovaglia… ogni volta che passo le ombre dei miei due amici sul divano sono sempre più vicine, sempre più compatte, ormai si riesce a distinguere un’ombra sola, sempre più piccola. Il calcio in televisione è finito, ora c’è un corso universitario di zootecnia. Prisco non ha mai manifestato nessun interesse per la zootecnia, però non cambia canale. Io non ho voglia di cercare il telecomando nell’oscurità, non ho voglia di accendere la luce, non ho voglia di dare un’occhiata più attenta a quello che succede sul mio divano. L’unica cosa che mi viene in mente di fare è ritirarmi a lavare i piatti. Alla fine, domani devo veramente svegliarmi presto. La vita è dura per tutti.
Lavo piatti e bicchieri, strofino con attenzione forchette e coltelli (mi taglio anche un polpastrello, non è niente). Lavo e risciacquo, non ho mai risciacquato così tanto in vita mia. Si alzeranno prima o poi da quel divano, penso. Verranno a darmi la buona notte.
Asciugo le posate una ad una, asciugo anche i bicchieri, in un bicchiere c’è un alone e allora rilavo il bicchiere, anzi tutti i bicchieri, poi li risciacquo e li asciugo. Ma che ora è ormai. Si sono addormentati? E chissà in che posizione. Ma si sveglieranno bene prima o poi.
Sistemo ogni cosa al suo posto. Nel mio cassetto delle posate c’è una vaschetta per i coltelli, una per le forchette, una per i cucchiai, una (più piccola) per i cucchiaini. Una distinzione pratica che non ho mai voluto rispettare. Stanotte sì. Stanotte metterò tutto a posto. Per dimostrare a me stesso che sono un single organizzato e responsabile.
Organizzato.
Responsabile.
Single.
Non ne posso più. È casa mia, dopotutto. Mi lancio nel soggiorno.
Laggiù c’è un gran silenzio, un film muto alla tv, proietta ombre in bianco e nero. Il divano è immobile.
“Prisco”, bisbiglio, “ci sei?”
Una voce dolce, solo appena un poco rauca. “Ci sono solo io. Prisco è andato”.
“Sì? Ma quando?”
Un gran sospiro. “È sceso, è sceso anche lui”.
“Senza nemmeno salutarmi!”
Un altro gran sospiro. Cerco il suo viso nella penombra, lo trovo ancora più pallido del solito, e imperlato di sudore.
“Boa, ma stai bene?”
Un terzo sospiro e poi, come un miracolo: una lacrima. Una lacrima densa, sospesa al bordo del ciglio, incerta se buttarsi giù: finché non è talmente grossa da tracimare, correndo rapida per la guancia come un prigioniero in fuga.
“C’è qualcosa che non va?”.
“Sto bene, sto bene, è solo un po' dura da mandar giù”.
Stringo le spalle. “È un tipo fatto così”.
Tira su il naso. “Sono tutti uguali alla fine”.
Faccio segno col capo come per dire no, non siamo tutti uguali. Poi mi rendo conto di un particolare. Cioè, del fondamentale.
“Ma tu eri in macchina con lui, no?”
Per la prima volta della serata, mi fissa negli occhi. Ha iridi verdi che io vedo anche nel buio. “Davide”, mi dice. “Io sono davvero molto stanca…”
“Puoi restare qui se vuoi. Prendi il mio letto e io starò sul divano”.
“N-no, no. Resto qui se non ti dispiace”.
La mia amica Boa mi fa impazzire.
Tre giorni dopo viene a suonarmi Michele. “Senti, hai mica visto in giro Prisco? A casa sua non c’è nessuno”.
“No, non lo vedo da domenica sera. Vieni dentro, su”.
“Guarda, grazie, ma vado di fretta”.
“Ti faccio un caffè, dai. E poi ti mostro una cosa”. Ho una gran voglia di mostrargliela, in effetti.
“Che strano però. Venerdì dovevamo andare su in montagna, e lui scompare. Ho chiamato in casa e ho chiamato nel suo ufficio: niente…Toh, ma non mi hai detto che c’era Boa! Ciao, Boa!”
“Sssst! Non vedi che dorme?”
“Ha proprio fatto il nido a casa tua, eh? Sembra quasi che non si sia spostata un centimetro dall’altra sera”.
“Senti, tu sai se c’era qualcosa di tenero tra lei e Prisco, negli ultimi tempi?”
“Uscivano assieme, ma niente di importante. In effetti…”
“In effetti?”
“La prima cosa che ho pensato, è stata: vuoi vedere che non ci sia andato con lei, in montagna, senza dirmi niente. Ma anche a casa di Boa non rispondeva nessuno”.
“Infatti lei è qui da domenica”.
Michele non può reprimere una smorfia incredula – con una sfumatura di invidia che è così dolce da assaporare (io poi la pregustavo da giorni).
“Il caffè è pronto. Se invece vuoi restare a cena, stasera ci sono gnocchi alla parmigiana”.
“Aspetta un attimo. Lei è qui dall'altra sera?”
“A quanto pare. Domenica abbiamo tirato tardi, e credo che lei e Prisco abbiano litigato, non so, io ero in cucina. Quando sono tornato, Prisco era già partito, e lei non sapeva come tornare a casa. Così io le ho detto: puoi restare. Le ho offerto anche il mio letto, ma lei ha insistito per restare lì, e si è addormentata di schianto… e da allora si deve ancora svegliare”.
“Ah, allora sta dormendo da tre giorni”. Michele sembra quasi rassicurato, benché questo sia il particolare più curioso di tutta la faccenda. “Certo che è strano…”, ammette.
“Beh, sai, alla sua età… è appena tornata dalla muta, è ancora scombussolata, è quasi normale”.
“Ma potrebbe essere in coma, o qualcosa di simile… forse dovresti chiamare qualcuno…”
“Non è in coma, ha un respiro regolare. Non ha niente, solo molto sonno. Ha litigato con Prisco, deve ancora superare la muta, ed è debolissima: cose che capitano. Credo che un buon piatto di gnocchi la rimetterà in sesto. È così patita”.
“Per la verità, non mi è mai sembrata così in carne”.
“Ma cosa dici? Non mangia mai niente, guardale il viso: pelle e ossa”. Le passo una mano leggera sulla fronte, imperlata di sudore. La mia Boa.
“Sì, ma guarda un po’ più giù”.
“Cosa c’è più giù?”
“Guardale i fianchi, la pancia… a me sembra quasi gonfia”.
In quel preciso momento mi viene in mente che Michele non ha mai voluto bene a Boa. E anzi, sin da bambini, quando eravamo tutti piccoli mostri, chi con gli occhiali spessi come fondi di bottiglia, chi con un apparecchio dentale a museruola, Michele era quello che si prendeva gioco delle debolezze di tutti. Certo, prima della muta, molto prima, Boa era stata una tipa cicciottella, così come io e lui eravamo stati dei ceffi brufolosi. E allora? L’infanzia è un incubo, ma poi ci si sveglia. Perché mettersi a rivangare queste orribili storie, ora? La verità è che Michele non sa crescere. Non si rassegna al fatto che siamo tutti diversi, che siamo adulti. Continua a vedere in noi i bambini di un tempo.
“Sai una cosa, Michele? Anche tu sei sempre quel ragazzino brufoloso”.
“Cosa?”
“Mi hai capito benissimo”.
Michele finge di non capire, ma gli trema la voce. Asciugandosi, i brufoli gli hanno lasciato due rughe grigie sulle guance, due parentesi per ogni suo sorriso. Lui fa finta di niente, tutti facciamo finta di niente, ma sappiamo che ogni sorriso di Michele va inteso tra quelle due parentesi.
“Ti dico che sei lo stesso ragazzino brufoloso, che non cresce mai. Vieni da me a piagnucolare perché il tuo amichetto del cuore ti ha dato un bidone, doveva venire con te in montagna, e a me cosa mi frega? Prisco è un adulto, ha le sue esigenze, non può mica starti appresso come a un poppante…”
“Ma Davide, cosa stai dicendo…” Finge di non capire, ma intanto ha portato le mani al volto, a toccarsi le cicatrici, come quando da ragazzino si torturava allo specchio.
“E anche Boa, non l’hai mai potuta sopportare, l’hai sempre presa in giro, non capisci che è un momento molto difficile per lei?”
“Ma io…”
“Tu non sai osservare le persone, tu non ti accorgi che le persone cambiano ogni giorno, che Prisco cambia, che Boa cambia, e anch’io cambio, e tu ti ostini a trattarci come bambini, quando il vero bambino sei tu. Il solito bambino brufoloso. E adesso puoi anche andartene, non avevi fretta? Io sono occupato, devo fare da mangiare per Boa”.
Michele scappa via, la faccia nelle mani.
È passato un altro paio di giorni, ma credo che non ci sia nulla di cui preoccuparsi. Un buon sonno non può che farle bene – chi lo sa? Forse erano mesi che non dormiva. Con quel cazzo di vita notturna che si fanno in Zelanda, feste tutte le sere, e dio solo sa cosa bevono, cosa si fumano... certo se trovassi il modo di farle mangiare qualcosa, sarei più tranquillo. Ho sempre la speranza che da un momento all’altro si svegli affamata, davanti a un piatto fumante di trenette al pesto, o di lasagne verdi, preparato da me.
“Boa…”
“Mmmmm?”
“Boa, è venerdì, cosa ne dici di tirarti su? Ti ho preparato il risotto allo zafferano…”
“Mmmmmm”.
“Te lo tengo in caldo, vuoi?”
I suoi genitori? Se fossero in pensiero chiamerebbero; ma quelli sono sempre via… In fondo non c’è da stupirsi che Boa sola in casa faccia la fame. Nessuno cucina mai niente per lei. Ma qui da me può riposarsi. Io intanto le preparo il pasticcio di maccheroni al forno (coi funghi). O la polenta coi ciccioli; perché no? Quando si sveglierà avrà abbastanza fame da mangiarsi un bue.
“Boa, è sabato”.
“Mmmmsì?”
“È sabato sera, magari è ora di alzarsi…”
“Mmmmno…”
“Ti piacciono le scaloppine di vitello? Con sopra una fettina di prosciutto e il formaggio? Io le rosolo con un cucchiaino di Marsala…”
Mi fa impazzire, la mia amica Boa.
Domenica, che è festa, mi sveglio presto e stendo la sfoglia. Ho pensato che non saprà resistere a un piatto di ravioli alle erbe. Col sugo di funghi. O tortelloni di zucca? Potrei fare gli uni e gli altri.
A mezzogiorno, mentre sorveglio le tre pentole (mi sono alla fine deciso per un tris di minestre), sento un sibilo dal salotto, e un soprassalto.
“Boa!”
“Ciao Davide”
Come avevo fatto a dimenticare quegli occhi verdi, sottili, quasi due fessure sospese su un mare interiore?
“Ho dormito”.
“Sì”.
Si stiracchia, languida, e mi mostra che è bellissima. Ma come ha fatto Michele a vederla gonfia, è liscia e sottile da far paura… potrei cingerle i fianchi con una mano sola.
“Avrai fame, immagino”.
“Mmmmm”.
“Ti sto preparato un po’ di cose: tortellini alla panna, ravioli e lasagne al ragù. Sai, oggi è festa ”.
Scuote il capo. “Vieni qui”, dice, indicando il posto sul divano accanto a sé.
“Sono sul fuoco in questo momento, ancora qualche minuto…”
“Vieni qui”.
Qui c’è una cosa da dire. Se sono imbarazzato, è anche perché ultimamente ho messo su un po’ di pancia. Specie nell’ultima settimana, con tutto quello che mangiavo – perché alla fine mangiavo anche la sua parte, non lasciavo lì nulla. E poi ero sempre in casa, uscivo solo per fare la spesa giù all’angolo… insomma, mi sento addosso qualche chilo di troppo. E ora lei mi osserva, alla luce del giorno, e ammicca con quell’occhio, sembra quasi che le piaccia più così.
“Dai, vieni. Siediti”.
Mi siedo.
“Tra qualche minuto c’è poi da scolare, eh!”
“Non preoccuparti”.
Si allunga contro di me, accanto a me, si avvolge a me, si lascia stringere, mi stringe. Allora è vero. Quante volte ho sognato che si svegliasse innamorata di me. Ed è successo. È sveglia ora. E mi vuole. Non ci pensa più agli Zelandesi, quei burini. Non pensa più a Prisco. Pensa a me. Mi stringe sempre più forte. Sempre più forte. L’ho salvata. Ora ha bisogno di me. Ha voglia di me. Apre la bocca.
“Boa, lo sai da quanto tempo io…”
Mi mette a tacere con un lunghissimo bacio. Mi stringe sempre più forte, e mi bacia in eterno. La mia amica Boa. Mi fa morire.
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"Non sono sicura d'aver capito il senso", disse la schietta Verola quando, dopo alcuni minuti di silenzio, fu chiaro a tutti che il racconto terminava lì. "Comunque chiedevo morte e un po' di morte Mària ce ne ha messa, quindi brava. O bravo? Boh. Ma spero che Taddei sappia fare di meglio domani sera".
"Perché proprio io?" chiese quest'ultimo.
"Così impari ad addormentarti a metà della storia, bamboccione", rispose la franca Verola: e dopo qualche formula di circostanza congedò l'assonnata comitiva, ricordando che la sveglia era alle 6.30, la cucina restava aperta per la colazione fino alle 7, e alle 7.15 erano tutti attesi in palestra per il training intensivo.
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