Di come Don Tinto perse la fede

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(2011)
Se proprio era inevitabile, e forse lo era, Don Tinto avrebbe preferito perderla in un incidente, come succede a tanti. Un ubriaco entra in autostrada contromano, fa secco tuo fratello che non ha mai fatto nulla di cattivo in vita sua, quindi Dio dov'è? Sarà che la sua parrocchia era nei pressi di un casello, ma Don Tinto ne ha conosciuti parecchi che hanno perso la fede così. Molti addirittura si sentivano obbligati a venire a spiegarglielo al confessionale, Don Tinto mi spiace, lei è tanto una brava persona, ma mia figlia è stata spappolata da un tir che ha invaso la carreggiata, prova evidente che Dio non c'è.

In questi casi il sacerdote professionale abbozza una smorfia di contrizione, protesta di non voler neanche tentare di consolare un dolore inconsolabile, farfuglia qualcosa sul mistero della provvidenza, e nel caso di Don Tinto si torce le mani nell'oscurità del confessionale, perché la voglia di tirare due ceffoni lo tenta fortissimo. Non dico alle elementari, eh, ma almeno dalle medie in su dovrebbe essere chiaro che i suoi disegni sono un filo più complessi e imperscrutabili delle statistiche sulla mortalità del traffico. Ma insomma signorino, lo scopri oggi che i tir ammazzano le persone, e che Dio in linea di massima non tira nessun freno d'emergenza? Il Dio in cui hai creduto fino a ieri non interviene negli incidenti stradali, e fino a ieri la cosa non ti turbava nemmeno. Poi un giorno ti toccano gli affetti e all'improvviso sai più teologia di San Tommaso, ma va', va', che la tua fede non era poi gran cosa se basta un autosnodato a disintegrarla.

E tuttavia almeno in casi del genere puoi prendertela con l'autosnodato. Mentre Don Tinto chi biasimerà? Sé stesso, soltanto sé stesso. La fede, non sa neanche dire quando l'ha persa esattamente. L'ultima volta che ricorda di averla vista era lì, sulla scrivania, tra i moduli della dichiarazione dei redditi e il rendiconto annuale della scuola materna (in rosso fisso). Rammenta in effetti di essersi detto che non era il posto adatto per una cosa tanto importante; che andava custodita con più attenzione, e di averla d'impulso spostata... dove? Maledetto impulso, non bisognerebbe mai spostare le cose senza pensare al quadro generale. Che poi finiscono in fondo ai penultimi cassetti vuoti che piano piano si riempiono di altre cose importanti che è meglio mettere in un posto al sicuro, e dopo qualche mese valli più a trovare, in mezzo a tutto quel casino di cose ugualmente importanti.

Imbarazzante, ma è così: Don Tinto non ha perso la fede in un incidente, per una delusione, al termine di una crisi, durante una malattia. L'ha persa un giorno qualunque che fuori pioveva, i conti non tornavano, la bici era sgonfia, c'erano formiche in cucina e la crepa dell'intonaco in soggiorno si stava allungando. In chiesa il riscaldamento non funzionava bene, benché il tecnico spergiurasse il contrario: bisognava farne venire uno più capace, ma questo equivaleva a offendere un parrocchiano, la sua famiglia, le sue zie generose con la questua eccetera. L'organo, un gioiellino di tardo Settecento inspiegabilmente rimasto lì, era mal temperato, e i Beni Culturali lo avevano diffidato a chiamare qualsiasi altro accordatore tranne quello di loro fiducia, esosissimo; al solo pensiero Don Tinto preferiva chiudere a chiave la tastiera e non pensarci più, ma questo significava concedere altro spazio all'azione giovanile e alle loro chitarre frastornanti, non ce n'era mai una accordata all'altra, mentre distribuiva meccanicamente il Corpo di Cristo Don Tinto malediceva il suo orecchio non assoluto, ma comunque esageratamente raffinato per le necessità di un sacerdote di provincia. O forse stava schedulando le benedizioni quaresimali a domicilio? o buttando giù tre idee per l'omelia di domenica? o pianificando la sagra, organizzando la pesca benefica per la sagra, cercando i premi per la pesca benefica, identificando gli sponsor adatti che avrebbero potuto offrire i premi... Oppure stava dormendo, anche i preti dormono. Don Tinto aveva necessità di otto ore filate, sennò si appisolava in confessionale. Magari mentre leggeva compieta gli si erano chiusi gli occhi, magari aveva pensato che cinque minuti di sonno non avrebbero offeso N. Signore, anzi, poteva essere un sistema per parlare meglio con lui (con molti Santi funzionava), ma in luogo di un rapimento estatico Don Tinto era crollato schiacciando il naso sul salterio, sbavando sul versetto 31 del Salmo 119; e quando si era svegliato tre ore dopo non ricordava più dove aveva messo la sua fede, in che cassetto si trovasse. Poco male, pensò, mica l'ho buttata via. Salterà fuori prima o poi.

Lo si dice di tante cose che ci sembrano importanti, ma che alla fine non usiamo quasi mai. Un sacerdote più zelante di Don Tinto avrebbe stravolto i cassetti, gli scaffali, le mensole, la cassaforte della Canonica, l'archivio parrocchiale; avrebbe buttato tutto all'aria finché non avesse trovato l'unica cosa fondamentale, la fede! Don Tinto invece aveva una parrocchia da mandare avanti e per prima cosa pensò che il mattino dopo doveva svegliarsi presto, c'era da salire al campeggio per celebrare una messa oppure fare il tour settimanale delle estreme unzioni, tutte cose importanti e tranquillamente fattibili anche senza la fede personale, che comunque sarebbe saltata fuori prima o poi, insomma, mica l'aveva buttata via.

Invece non saltò fuori più, e, quel che è peggio, Don Tinto non riuscì mai a trovare il tempo per svuotare i cassetti, dare aria agli armadi e tutto il resto. Non che non gli dispiacesse non avere la sua fede a disposizione, caso mai ci fossero montagne da spostare: ma bisogna dire che nessuno gli chiese mai gesti così spettacolari. Bisognava invece preparare l'ora di religione alla scuola media, i ragazzini diventavano sempre più insidiosi con le loro domande; ordinare paramenti nuovi, non troppo vistosi ma neanche troppo moderni perché tanto la gente mormora comunque; portare la panda dal meccanico; lunedì sera c'era la riunione con gli altri parroci della zona nord della diocesi; martedì un'ecografia all'addome, mercoledì il corso prematrimoniale. E poi bisognava confessare, comunicare, pregare, senza più fede ma comunque con professionalità, ché l'ultima cosa che serve ai parrocchiani è un prete con le turbe di coscienza.

Provò i ritiri spirituali, le scalate in solitaria, le vacanze al mare, ma non serviva a niente: Dio era senza dubbio ovunque e quindi anche in vetta ai monti e sotto agli ombrelloni, ma la fede di Don Tinto rimaneva incastrata in qualche intercapedine del suo studio, era lì che bisognava mettersi a cercarla. Il punto è che ogni volta che tornava in quella stanza maledetta c'era una telefonata da fare o ricevere, un peccatore da confessare, un malato da consolare, un affamato a cui non poteva mica dire: “Torna tra un po', prima di sfamarti occorre ch'io ritrovi la mia fede”. In mezzo a tutte queste piccole preoccupazioni, era Don Tinto a sentirsi sempre più simile a una montagna che nessuno si sarebbe azzardato a spostare.

Alla fine gli unici momenti in cui Don Tinto riusciva a pensarci era quando gli capitava di fare due chiacchiere con uno scettico. Ne incontrava un po' a tutti i livelli, nel confessionale o dal dottore e ai dopocena tra colleghi. Più o meno continuavano a dire le stesse cose, sempre con l'aria di riferire chissà quale enorme novità scientifica: perché Dio consente il male? E l'evoluzione? Il Big Bang? Benché avesse imparato a dribblare tutte queste obiezioni già in seminario, Don Tinto si sentiva onorato che qualcuno continuasse a proporle proprio a lui: evidentemente visto da fuori doveva sembrare una di quelle travi solide che non oscillano, ma possono solo spezzarsi una volta accettata l'inconsistenza dei propri fondamenti.

E invece la trave era marcia dentro. Gli scettici lo blandivano, credevano che Don Tinto avesse ancora una fede da potersi perdere davanti a un ragionamento astratto, o all'osservazione del dolore. Ma se perse la fede, Don Tinto la perse tra un modulo di rimborso e un estratto conto; la smarrì nella polvere che si posava sul raccoglitore della corrispondenza e la perpetua non osava spolverare. Non la perse di fronte allo spettacolo osceno di un bambino che muore, ma nel fastidio cronico delle coliche renali. Che il mondo di Dio fosse pieno di sofferenza, lo aveva accettato sin dal seminario; quello che allora non aveva previsto, è che fosse pieno di moduli e di piccoli appunti, di bici sgonfie quando occorre fare un giro rapido, e chitarre scordate, il telefono che resta senza credito quando devi fare una chiamata importante, il call center che ti prende in giro, la comitiva di pellegrini che al ritorno si lamentano dell'albergo che gli hai consigliato tu (è cambiata gestione), i reumatismi, il cigolio degli scuri della canonica che lo sveglia nel cuore della notte perché i fermi si sono smurati, bisogna chiamare un artigiano e non ce n'è uno solo onesto, e insomma tutti questi piccoli fastidi e preoccupazioni corpuscolari, nessuna delle quale era degna di una lamentela ad alta voce, ma che tutte insieme costituivano l'inferno in terra.

Quando fu il suo giorno di morire, nel suo letto, adeguatamente drogato affinché il dolore non gli togliesse la lucidità, pensò che forse finalmente aveva un po' di tempo per riflettere, e raccomandarsi a Dio; così chiuse gli occhi e lo chiamò. Ma se ne pentì immediatamente, come chi in un pomeriggio d'estate chiama una vecchia fiamma e mette giù prima che suoni libero. Con che faccia poteva disturbarlo, dopo che per tanti anni non era riuscito a trovare una mezza giornata per cercarlo in mezzo alle fatture, i telegrammi, il calendario con le messe prenotate, la classifica dei chierichetti, l'ordine del giorno del consiglio pastorale, il pin del bancomat. Sperò che nella sua infinita misericordia Dio, oltre alla fede, desse un'occhiata anche al mestiere. Poi si ricordò che non era neanche sicuro di essere stato un buon prete: non riusciva mai a finire il giro delle benedizioni entro il venerdì Santo e malgrado tutti gli sponsor e le pesche benefiche il bilancio della scuola materna era sempre più rosso, rosso inferno (fu il suo ultimo pensiero).

La parrocchia rimase vacante per un paio d'anni, finché non arrivò un pretino curioso, slavo o baltico, con un alito che sapeva sempre un po' d'acqua di colonia, orfano di madre e ammaccato dal padre, cresciuto in seminario ed espulso dalla sua qualsiasi nazione in circostanze non chiarissime. Quando entrò nella canonica la prima cosa che notò fu la confusione dell'ufficio al piano terra, un bugigattolo che avrebbe funzionato meglio da tavernetta, uno spazio per i più giovani con le playstation i divanetti le riviste eccetera, un luogo dove interagire senza troppi freni. Tanto più che, a parte una consolle di mogano massello, era tutto impiallacciato senza qualità, roba da regalare immediatamente al primo ente benefico che si assumesse la spesa del trasporto.

Fu appunto mentre guardava i volontari caricare che Don Pavel notò una busta gonfia caduta in fondo nel cavo di un comò a cui avevano estratto i cassetti. La fece rapidamente sparire nelle maniche della tonaca, pregando silenziosamente che non fosse una mazzetta di vecchie lire fuori corso. Ma quando fu solo e l'aprì, ci trovò soltanto la fede di Don Tinto. A lui non serviva più, così Don Pavel se la tenne, per tutti i quarant'anni in cui rimase arciprete di quella parrocchia, stimato e rispettato da tutta la comunità, e persino dai non credenti, per gli esempi di generosità e rettitudine che seppe offrire e persino per le guarigioni e i miracoli che gli furono attribuiti: tanto che a Roma si pensa già di farlo Beato.

FINE

*******

"Quindi, Don Tinto, tu sei morto", replicò ammirata Verola, "non lo sapevo, avresti potuto avvertirmene quando ti ho invitato. O devo dedurre che siamo tutti morti qui, e aspettiamo le bare che ci portino via?"
A quel punto un brivido gelido percorse le schiene dei quattro candidati.
"Mia signora", rispose l'ex parroco, "anche il mio racconto è la storia di una vita che non ho vissuto; o perlomeno non interamente".
"Quello che più mi stupisce del tuo potente racconto - potente come sonnifero, intendo - è il fatto che tu abbia potuto pensare a raccontare la vita di un depresso prete di provincia, dopo che avevo trovato noiosa quella di una prostituta transessuale".
"Mia Signora, stasera ho messo il mio cuore a nudo, davanti a lei: se il racconto non le è piaciuto, non le piaccio io, ed eliminarmi immediatamente sarà cosa buona e giusta".
"Hai sbagliato gioco, Padre, se pensi di essere tu qui per mettere alla prova me. Eppure ammetto che c'è qualcosa nel tuo racconto, che ti salverà anche a questo turno. Prof. Esso, Mària, fate un passo avanti...

[Continuawwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwww]
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Storia di Mària

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(2007)
Il primo a porre il problema fu il padre, che una sera – Mària aveva dieci anni – rincasando fetente di bar, le appioppò un ceffone. Senza un motivo al mondo. O meglio: Mària stava correndo verso di lui nel corridoio, blaterando di un compito di scuola o di qualche altra sciocchezza, mentre il padre aveva i suoi problemi, i suoi debiti, i suoi pensieri, e insomma S-ciaf!
“Perché non parli come un maschio?”

Mària non crede nei traumi infantili, via! un ceffone è un ceffone. Di sicuro non è diventato così per una sberla, tra mille che ne avrà prese. Ma da quel giorno cominciò pure qualcosa. Col ceffone il padre gli propose la questione fondamentale: chi sono i maschi? Cosa vogliono? Come parlano? A dieci anni Mària non ne aveva la minima idea. Sempre in casa stava, appiccicato alla sottana di mamma. Era ora di dare un'occhiata al mondo.

La curiosità lo spinse a vivere la ricreazione in un modo diverso. Di colpo in bianco smise di giocare alla settimana con le compagne, che pure teneva carissime, e si avventurò nell’angolo di cortile dove spallonavano i maschi di quinta. Qui trovò una conferma ai sospetti del padre: la sua voce non andava. Il tono non era così diverso da quello degli altri bambini, ma c’era qualcosa di stridulo, che paragonato al rozzo bofonchiare di Flavio Dusacchi lo faceva suonare affettato. Lo stesso soprannome, abbreviazione del banalissimo cognome “Mariani”, sillabato da quei monelli assumeva una sfumatura equivoca. Né Mario né Maria: Mària. Un nome qualunque, eppure unico al mondo. Mària non lo avrebbe mai più abbandonato.

Per il resto non erano così cattivi, gli ometti di quinta. Mària se li ingraziava con merende supplementari e pacchetti di figurine. Ripensandoci da adulta, un poco la imbarazza questa totale mancanza di dignità. Ma stare coi maschi era troppo importante. Era fiera dei lividi che si portava a casa – i maschi avevano sviluppato un’arte marziale che consisteva in una sequenza infinita di ganci destri alle spalle. Mària era un punchball simpatico e disponibile, e lo sarebbe rimasto per anni. Da Bordon Diego imparò anche a bestemmiare Dio e i Santi: ma quelle sillabe magiche, ripetute da Mària, tornavano a suonare troppo simili a preghiere, e insomma, dopo qualche tentativo Mària lasciò perdere: la sua non era una voce da maschi. Anche il padre si rassegnò.

Alle medie il vocabolario maschile s’allargò all’improvviso, e Mària scoprì d’essere un finocchio, un ricchione, una checca, un busone: tutto questo senza ancora mai avere desiderato nessuno, né maschio né femmina: e poi dicono che il genere si sceglie. Mària si era rimesso a chiacchierare con le compagne, ora che i maschiacci evitavano anche solo di toccarlo, per via del contagio: fermamente convinti che lo sfioramento del busone comportasse un rischio per la loro virilità, passavano intere ricreazioni a inseguirsi urlando “sfiga-di-Mària-immune!” E altre cose simili che gli insegnanti, innocenti non notavano. Erano tempi diversi, parole come bullismo e omofobia non stavano nemmeno nel dizionario.
Poi venne la fase degli odori.

Si ricorda molto bene, Mària, che molto prima di decidersi a guardarli, i maschietti cominciò ad annusarli.
Non ci poteva fare niente. Gli odori stanno nell’aria. Gesù ha detto di cavarti un occhio, se ti dà scandalo, ma non ha aggiunto di turarti il naso. Il sudore di D’Angelo era muschiato e dolcissimo. Germini Patrizio aveva una pelle spugnosa che tratteneva l’odore di qualsiasi bagnoschiuma, anche se quasi sempre era pino silvestre. Nel frattempo le sue compagne cominciavano timidamente a truccarsi: Mària aveva potuto contare fino a quel momento sulla loro complicità, ora qualcosa stava cambiando; iniziava a odiarle. I loro profumini le impedivano di concentrarsi sull’afrore ascellare di Verozzi. E c’era il problema delle tette, che iniziavano a catalizzare gli sguardi. In questo gioco di rimandi incrociati, Mària restava totalmente indisturbata, e aveva modo di osservare gli altri. I maschi la indispettivano, non riusciva più a capirli. Fino a qualche settimana prima non alzavano gli occhi dalle figurine, ora avrebbero dato il rarissimo Pietro Vierchowod per uno sfioro di tetta.

E i peli. Fu Dusacchi il primo uomo a porre il problema, nello spogliatoio maschile. “Mària, oh! Ma ti radi?”
Se avesse avuto il tempo, in mezzo alle risate dei compagni, Mària avrebbe risposto di sì: si radeva, perché cominciava ad averne tanto, e folto, e la imbarazzava in particolare quel ciuffetto che tendeva a salire in direzione ombelico; ma Dusacchi, biondo com’era, poteva capirlo? D’altronde, cosa stava succedendo? Da quando in qua nello spogliatoio ci si guardava in basso? Mària non aveva mai osato. Pensava che ai maschi non piacesse. E Mària stava facendo il possibile per capirli, i maschi.

Gli piacevano. Gli piaceva l’insolenza metropolitana di Dusacchi, la timidezza irsuta di Verozzi, l’accento nordico di Bordon quando con una presa al collo lo stringeva tra le braccia per un momento, sussurrando “busone di merda”. Tutto sembrava pronto per un’esplosione ormonale, che invece il liceo congelò: al riparo dai maschi, in una classe a stragrande maggioranza femminile, Mària si dimentico degli odori e riprese a cicalare con le amiche. Divenne il migliore confidente di tutte, perché effettivamente conosceva i maschi meglio di loro, e la frase “Tutti stronzi” in bocca a Mària sapeva più di vero. In compenso le ragazze gli insegnarono a vestirsi con stile, a camminare nei corridoi come sotto i portici del centro, e viceversa.

Il quinto anno fu meraviglioso, Mària era diventata una sintesi di due sessi che gli piacevano molto, e cominciava ad aggiungerci qualcosa di originale, di suo. Un pomeriggio d’aprile, mentre ufficialmente aiutava Barazzi Clelia a ripassare chimica (in realtà provando vestiti vintage eredità di una zia), si ritrovò abbracciata su di lei, nel letto di lei, e pensò che quello che la situazione le richiedeva era un bacio. Ma forse sbagliò i tempi, o i modi: non aveva mai baciato una ragazza – non aveva mai baciato nessuno! Clelia si irrigidì di scatto, se lo aveva desiderato era stato un attimo, un giorno, un anno, un millennio prima: Mària si ritrasse, avrebbe voluto scomparire, e in un certo senso davvero scomparì qualcosa in lui, per sempre.

Un mese dopo, in gita scolastica, Clelia venne a bussare alla sua camera. “Ti devo dire un segreto. Sono omosessuale”.
“Eh?”
“Si dice anche delle donne, non lo sai? Perché deriva dal greco…”
“Clelia, ehi, lo so da cosa deriva. Maccosa… come fai a saperlo”.
“Ho fatto sesso con Nadia”.
“Quella zoccola? Ma non vuol dire, è ubriaca da ieri, e poi… e perché vieni qui a dirmelo adesso…”
“Volevo ringraziarti. Perché è stato grazie a te che l’ho capito… quel pomeriggio che tu... che io...”
“Clelia, senti, sei fatta anche tu. Perché non ti stendi un po’, ti riposi e poi magari domani ne riparliamo”.
Clelia russò tutta la notte, come a ribadire il suo omoerotismo conquistato e trionfale, lasciando Mària sveglia a scalciare i dubbi: ha capito che è lesbica perché l’ho baciata, o ha capito che è lesbica perché l’ho baciata da schifo? Le piaccio o no? Le piaccio come uomo o come donna? O le piaccio perché non sono né l’uno né l’altro? Oppure tutto sommato non le piaccio, visto che alla fine si scopa la zoccola dall’altra parte del corridoio? Oppure avevano ragione i maschi alle medie, l’omosessualità è un virus e io gliel’ho passato… sfiga-di-Mària-immune… che casino… ma sai che c’è? Io non ne voglio un cazzo… a me piacciono i maschi… l’odore dei maschi… queste ragazze con tutti i loro problemi mi stressano la minchia e basta… fammi prendere la maturità e poi non mi trovano mai più”.

All'università, in una città diversa, la bomba ormonale, pazientemente custodita negli anni di frustrante apprendistato, esplose con la forza di cento cavalli vapore. Da vergine a idolo delle feste nel giro di pochi mesi, finché – sorpresa – non si stancò. Piuttosto presto. La promiscuità lo attirava, e insieme lo lasciava insoddisfatto. Provò a farsi una storia seria: ci provò con tutte le forze. Andò persino a vivere con lui, un damsino di Matera con la fissa per il cinema tedesco. Durò due anni. Finché Mària non si accorse che stava soffocando. Andavano nei locali dei gay, alle feste gay. Conosceva tutti, e non gli piaceva più nessuno. Avrebbe voluto entrare nel bar di una polisportiva, e guardare le partite della Fortitudo coi ragazzetti del quartiere, e invece doveva sgugnarsi la retrospettiva di Almodovar. E non provare ad allungare quelle mani.
“Vabbe', senti, ti lascio”.
“SSsssst, è iniziato il film”.
“Ed è colpa mia, eh. Tu sei gentilissimo e bravissimo e assolutamente a posto. Il problema è che sei gay”.
“Anche tu”.
“Lo so. Io però i gay non li sopporto”.
“E cosa ti piace, allora?”
“Mi piacciono i maschi”.
“E cosa pensi di fare?”
“Non lo so”.
“Prova con le tette”.

Il consiglio, totalmente gratuito, schiacciò Mària come l’uovo di Colombo. Ma per abituarsi all’idea ci vollero comunque un annetto o due. Cominciò con un push-up, giusto per vedere l’effetto. Non male! Aveva la sensazione di portarsi un pezzo di mamma con sé, le dava un senso come di confidenza. Infine iniziò con gli ormoni. Vedersi cambiare fu spaventoso e fantastico: l’adolescenza, finalmente, a ventott'anni. Il risultato finale fu discretamente spettacolare. Ora Mària sarebbe piaciuta agli uomini.
Il risultato andava ovviamente monetizzato: dei soldi aveva bisogno, e inoltre non conosceva molti altri modi d’incontrare persone interessate alla sua nuova identità sessuale. Prese in affitto una mansarda e pagò un paio di annunci sul giornale adatto: era nata una stella. I primi utili furono utilizzati in un paio di altri ritocchi che Mària riteneva necessari. Perché aveva voglia di tornare a casa, e voleva tornarci perfetta, e magari irriconoscibile. Come una seconda nascita.

“Torno a spaccarvi il culo”.
Letteralmente. Nei primi sei mesi di attività, Mària si ritrovò a sodomizzare D’Angelo, che ogni tanto ne aveva voglia ma non si considerava un ricchione; Verozzi, che voleva provare “una volta l’effetto che fa”; Germini che sosteneva d’essere ubriaco e di avere litigato con la fidanzata, e che dopo mezz’ora ebbe una specie di orgasmo multiplo mai attestato nella letteratura scientifica; e Bordon, il rude Bordon, che lo incitava pure: “Dai! E dai! E spingi, busone di merda!”
“Ma allora ti ricordi di me?”
“Perché ti sei fermato? E spingi!”

Fu Dusacchi a riconoscerlo, invece, dalle misure.
“Ma certo che lo so chi sei, eri quello che ce l’aveva più lungo di tutta la scuola”.
“Io?”
“E che pelo avevi. Ne avevi tanto che ti radevi. E due gioielli, grossi così, solo tu. Ci ho pensato per anni”.
“Ai miei gioielli”.
“Sì”.
“E non potevi dirmelo prima? Dovevi aspettare che mi facessi crescere le tette?”
“Mi piacciono le tue tette”.
“Ma non le stai nemmeno guardando. È un pretesto. Non ti piacciono così tanto”.
“Certo che mi piacciono. Non sono mica un busone”.
“Sicuro?”
“O, vaffanculo”.

Il che, detto da Dusacchi, nella posizione in cui si trovava in quel preciso momento, suonava decisamente ironico.
“Non darmi mai più del busone. Mai più”.
“Va bene, ora sssst”.

Ricapitolando: Mària cercava l’uomo vero, si è montata un par di tette da sogno, e adesso il suo mestiere consiste nel sodomizzare una manica di maschi repressi che hanno paura di chiederlo a un gay. Non vi girerebbero le palle? A Mària in effetti girano. Ma questi maschi chi sono? Cosa vogliono? Lei si aspettava protezione, energia, magari anche ceffoni. E questi giù, in ginocchio o a pecora, a implorare, spingi spingi, che roba è? Mària è molto delusa. Cambierebbe anche sesso, se gliene fosse rimasto uno da provare.

L’altro giorno, per incanaglirsi, sbirciava la diretta del family day, quando in uno scorcio rapido li vide: nell’orgia cattolica di Piazza San Giovanni – milioni di persone convenute da tutt’Italia perché ce l’avevano con lei – Barazzi Clelia e Dusacchi Flavio mano nella mano, quest’ultimo con un bambino biondo calcato sulle spalle. E a momenti sveniva, sul serio, perché un bambino coi capelli di Dusacchi e il labbro di Clelia era ciò che più si avvicinava alla sua idea di perfezione.
Eh, quanto è piccolo il paese. Dunque è Clelia l’oca-moglie a cui Flavio ama sputare ingiurie postcoitali. Ma non era lesbica? Si vede che s’era sbagliata – chi è Mària per giudicare. Ma chi sono Flavio o Clelia, d’altro canto, per dare lezioni di normalità sessuale? E perché ce l’hanno tanto con Mària, che in tutta la sua vita non ha mai tolto niente a nessuno? Dio probabilmente ha inventato la famiglia solo per vedere il sorriso dei bambini, e si dimentica alla svelta tutte le ipocrisie, le promesse e le minchiate che vengono prima o dopo. Gli uomini e le donne e gli altri però quaggiù hanno da vivere, raccontandosi bugie e tirando avanti – e finché funziona che male c’è? Ma funzionerebbe, la Sacra Famiglia Dusacchi, senza la mansarda di Mària che fa da camera di compensazione? Sul serio non c’è posto nel presepe per lei? Potrebbe fare il bue, un'altra creatura di sessualità incerta; ma senza di lui si moriva dal freddo, quella notte.

FINE
*******

"Spero che non me ne vorrai, cara Mària", sbottò dopo qualche tempo l'assonnata Verola, "se a un certo punto mi sono addormentata. D'altro canto è pur degno di nota che tu sia riuscita a rendere noiosa la storia di una meretrice transessuale. Vabbe'. Chi è rimasto? Don Tinto, dopo aver sentito i suoi concorrenti, sarà d'accordo con me sul fatto che la promozione è alla sua portata".
"Vedrò cosa posso fare, mia signora".
"Veda veda. Noi ci vediamo domani nell'orto. Coglieremo - pardon, coglierete - qualche vegetale bio per il nostro desco. Il mio giardiniere ha avuto una crisi di diarrea un po' sospetta, sapete, così l'ho messo in quarantena"...
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È un mercato pazzerello

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(2008)
“Non stai dormendo, vero?”
“Mmmno”.
“Che faccia che hai. Si può sapere cosa ti preoccupa? Non è mica la tua crisi questa. Sei uno statale”.
“Ma come ci arrivo in pensione a ottant'anni”.
“Ti ammalerai e ci andrai prima”.
“E se mi ammalo dove li trovo i soldi”.
“Per allora avremo messo qualcosa da parte, un'assicurazione, la casa...”
“A proposito, e l’immobiliare?”
“Ci risentiamo domani. Comunque i prezzi sono quelli lì”.
“Ma sono matti. Sono tutti matti. Non dovrebbero calare?”
“Come no”.
“Calano, calano”.
“Dovevano calare già l’anno scorso, no?”
“Tra un po’ va giù tutto, vedrai”.
“Quando va giù tutto la gente si aggrappa alle case, quindi...”
“Dici?”
“Il prezzo potrebbe perfino andare su”.
“Non ci avevo mai pensato”
“Certo che uno come te, che capisce tante cose… è un peccato”
“Cos’è peccato?”
“No, dico, peccato che l’unica cosa che tu non riesca a capire siano i soldi”
“Ma non è che non li capisco, li capisco benissimo, è solo che...”
“Come no. Un rockfeller. Ti chiamerò Rockfeller, come il merlo”.
“Il corvo. Era un corvo”.
“Non aveva il becco giallo?”
“Ti confondi con Portobello. Buonanotte”.
“Buonanotteamore”.

Ha ragione.
Sto a preoccuparmi dei massimi sistemi e intanto ci piove in casa. Bisogna farsi furbi, monetizzare.
Potrei cominciare a dare lezioni. Si arrotonda abbastanza bene, dicono. Tutti i liceali col panico dell’esame a settembre… vedi che la Gelmini una cosa giusta l’ha fatta. Certo, equivale a tradire le cose in cui credevo. “Signora, suo figlio ha bisogno di un intervento didattico personalizzato, me lo mandi domani pomeriggio con una banconota da cinquanta”. Niente fattura naturalmente. Io che ho sempre odiato i medici pubblici assenteisti al mattino che si rifanno nelle cliniche al pomeriggio. E adesso eccomi qui. A quel punto tanto vale rubare, no?

Alla fine è solo una pezza. A scuola quanto potrò andare avanti? Può solo peggiorare, e si fa già fatica adesso. Nelle classi a 29 non si respira, letteralmente, e poi basta che ce ne sia uno un po’ schizzato e tutti lo seguono a ruota.
E tutte queste storie sul bullismo, sugli insegnanti fumati o maniaci sessuali… lo sai dove vogliono arrivare, no? Vogliono convincere i genitori middle-class a staccare i buoni scuola e mandare i figli al SacroCuore. Così ci resteranno solo terroni, tunisini e albanesi. C’è da dire che a volte sono più educati. Soprattutto i sargasci, che però hanno un odore che non sopporto. È la loro cucina maledetta. Che razza di spezie usano? Mi si fermenta il caffelatte nello stomaco – l’altro giorno stavo per vomitare davanti a una bambina. Tutta una vita così? Ma forse ci farò l’abitudine. Forse.
È chiaro che quando sei giovane, hai tanto entusiasmo, credi di poter risolvere tutto, ma siamo seri: quanto credi di poter durare? Io volevo insegnare la storia e la geografia, se devo mettermi lì a spiegare l’alfabeto ai sargasci mi annoio. Cioè, dai, non è più il mio mestiere.
Però è l’unico mestiere che so. Forse.

“Spengo la luce”.
“Ok, buonanotte”.

E intanto il conto cala. E se mi capita qualcosa? Imprevisti, probabilità – poi un giorno ti segnano la fiancata e finisci in rosso. Succederà. È già successo ad altri. E io non sono più furbo di loro. Diciamo la verità. Capisco tante cose, ma non sono più furbo di loro.
L’università è esclusa, c’è una fila di ex ricercatori questuanti che parte dagli anni Novanta, e sono tutti più giovani e svegli di me. E quindi? Questi son problemi, altro che Berlusconi. Certo, può sempre darsi che crolli il petrolio e il dollaro, si sciolgano i ghiacciai e collassi tutto l’occidente. Questo nel migliore dei casi. Ma metti che non succeda. Cosa faccio?
In politica non mi posso buttare, ho parlato male praticamente di tutti – e poi c’è la fila anche lì. Con Beppe Grillo? Per carità, inaffidabili. Andrà a finire come al g8, qualcuno si farà male e poi tutti a casa. Ma io comincio ad avere un'età. E se mi capita qualcosa? Del tipo, metti che mi debba far operare.

Già solo di denti mi stanno andando via stipendi interi, e fanno male lo stesso. E poi i dottori non me la contano giusta. L’altro giorno: cento euro per cinque minuti e un dito in culo! A proposito, cos’è questa nuova tendenza? Il proctologo lo posso ancora capire. Il dermatologo m’insospettisce già un po’. Ma l’otorino? Possibile che non possa sfilarmi due biglietti da cinquanta senza appoggiarmelo lì? Ehi! Se proprio ho un bel culo dovreste pagarmi voi. E non è detto che non vada a finir così. Ma sto davvero pensando a questo?

E ‘sta pioggia maledetta, com’è che fa tanto rumore, stanotte? Di solito non picchia forte così. Del resto è aprile, ogni giorno un barile. Potrei mandare il curriculum in banca. Ma a chi la racconto? Io di soldi non capisco niente.
La verità è che in banca ci dovrei entrare con una pistola giocattolo. Una volta sola. In una banca sola. Funziona, una gran scarica di adrenalina e vai, la prima volta non ti beccano. Quelli che si fanno beccare, è sempre perché ci riprovano. Ma una rapina in banca non si nega a nessuno, è quasi un tuo diritto, del resto se le banche cominciano a fotterti a dodici anni…
Sì, ma un colpo solo mica basta. Nella cassaforte di una filiale, quanto ci sarà? Centomila? Va bene, si tira un po’ il fiato, e poi? Ci vuole un reddito. Potrei fare il corriere.
In effetti sarei un buon corriere. Le autostrade le so tutte e mi piace girarle, fermarmi agli autogrill e non pensare a niente. Non mi hanno mai fermato a un blocco, mai, nemmeno con la barba sfatta. Ispiro confidenza. Potrei girare l’Europa in lungo e in largo trasportando chili di qualsiasi cosa. Tra l’altro non consumo, per cui come corriere sarei molto affidabile.

Mi terrei un mestiere di copertura – non so, potrei fare il rappresentante di enciclopedie. La faccia ce l’ho. E nella ruota di scorta potrei portare in giro di tutto. Ma che ruota di scorta, ormai ti fanno ingurgitare – se va bene. Sennò supposta. E torniamo sempre lì. Ma almeno si guadagna. Non posso credere che sto pensando a questo. Io corriere, sì, di cosa? E per chi? Non conosco nessuno. Cioè, nessuno, aspetta. Toni di IIIC.

Lui riga abbastanza dritto, ma suo zio venne qui in soggiorno coatto, due anni prima che cominciassero gli incendi dei capannoni. Quando viene al ricevimento generale gliela butto lì: “devo arrotondare, faccio già dei piccoli trasporti, lei non conosce mica qualcuno che ha bisogno di…”. Si capisce che non si fiderà subito. Magari mi chiederà di accendergli un capannone, prima. E vabbe', dopotutto a me che frega dei capannoni? Tutti di gente che vota lega, se ne vadano affanculo, ve li brucio con soddisfazione. Ha anche smesso di piovere.

Tre o quattro anni così, senza dare nell’occhio. E se mi mandano all’est, c’è anche la possibilità di arrotondare. Se vado via vuoto e imbarco un paio di badanti a viaggio metto insieme una somma discreta senza spesa aggiuntiva. Se guidassi un camioncino, ma in macchina chi vuoi che mi fermi? Ho la faccia da tratta delle bianche? Tutto tranquillo, basso profilo. E se il padre di Toni vuole farmi la cresta? Tra l’altro suo figlio sa benissimo dove parcheggio. Lo vedi che mi serve un garage?
E va bene, avrà la sua percentuale. Però bisogna starci attenti, perché è un mestiere in cui si brucia molta benzina, e la benzina sarà sempre più cara… potrei mettere la bombola a metano… ma c’è il metano in Ucraina? Devo guardare su internet. Anche se poi… con la bombola… nel traforo del Gottardo… ma è già esploso una volta, quel tunnel… quindi le probabilità che esploda ancora…

E poi non devo mica passare la vita così. Quattro-cinque anni e poi mi metto in proprio. Una cosa piccola e pulita, senza dare fastidio a nessuno. Un bar con due camere sopra. Ci metto due bielorusse regolarizzate, e gli chiedo il venti per cento. Mi sembra onesto. O non lo è? Devo guardare su internet, ma sono convinto che c’è gente che prende anche il quaranta. Naturalmente se viene il padre di Toni offre la casa. Ma se viene il resto della famiglia? È numerosa. Gente che non paga volentieri. Hanno buttato giù un ristorante nella bassa, una volta, per via di un conto. Bisognerà abbozzare. Che mi metto a litigare coi camorristi, coi tempi che corrono?

E se le bielorusse si rifiutano di lavorare gratis e amore dei? Che poi i bar mica te li regalano, ci sarà un mutuo da pagare. Va a finire che mi toccherà chiedere soldi. Alla famiglia di Toni, naturalmente. E poi mi strozzeranno, va da sé. Un bel giorno mi alzo e mi trovo il bar bruciato… ma chi me l’ha fatto fare…
“Abbia pazienza, prof, ordini superiori. Dovevamo verificare che non ci fossero perdite dal tetto, ci capisce…”.
“Ma stavo giusto arrivando con la rata…”
“Prof, lei è un bravo guaglione, ma con rispetto parlando, se avesse mai studiato economia. Gli interessi passivi, ha presente gli interessi passivi? Comunque un modo di recuperare c’è. Si ricorda il vecchio mestiere? Ci sarebbe una missione a Chişinău”
“Ma Toni…”
“Una cosa rapida e indolore. Sei capsule. Ai vecchi tempi ne teneva pure otto”.
“Ma sono vecchio, Toni. Va a finire che esplodo”.
“E c’è pure un pappagallo con il becco giallo”.
“Con la bombola. Di metano. Nel traforo. Lungo chilometri sei”.
“Un tantino picchiatello… non sa dire: portobello”.
“Ma stavo così bene da statale”.

***

“Ma stai bene?”
“Eeeeh?”
“Stai scalciando!”
“Macché”.
“Ti dico che scalciavi. Dormivi? Hai fatto un brutto sogno?”
“Ma no, ero qui che pensavo tra me e me”.
“Che pensavi?”
“Pensavo… pensavo che dovrei cominciare a dar lezioni… c’è molta richiesta”.
“Mi sembra una buona idea”.
“Sai, hanno tutti paura dell’esame di settembre, adesso”.
“Ottimo”.
“Ti voglio bene, sai”.
“Lo so, anch’io ti voglio bene. Buonanotte”.
Buonanotte.

FINE

*******

"Finale quanto mai appropriato", osservò l'esigente Verola, "per questo concentrato di pura noia. Ma quand'è esattamente che ti abbiamo fatto credere che le tue preoccupazioni quotidiane fossero abbastanza interessanti da costruirci un racconto?"
"Mia signora", obiettò, tremante, il prof. Esso, "Non è un racconto sulla mia vita, quanto piuttosto su una vita che non ho vissuto".
"E la rimpiangi?"
"Non saprei come rispondere".
"Quanto sei noioso stasera professore. Voglio sperare che Mària abbia esperienze professionali più varie e interessanti delle tue. E ora buonanotte, ci vediamo domattina alle cinque in tenuta da yoga".
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Razza di parassita

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(1998)

Sono fermamente convinto che di esemplari come Mimmo ce ne siano ancora, da qualche parte. Certo, gli spazi disponibili per quelli come lui si devono essere ristretti, con la precarietà e tutto quanto. Quando lo incontrai – ehi, parliamo di quasi vent'anni fa – i contratti a progetto erano quasi fantascienza, il posto fisso una cosa data per scontata, e quelli come Mimmo erano in qualche misura tollerati. Finché non davano fastidio a nessuno. Anzi, probabilmente la presenza di Mimmo a qualcuno conveniva. Sì, ne sono convinto, non avrebbe potuto prosperare per tanto tempo senza la complicità di un dirigente. Un parassita più grosso di lui?

Io ero giovane, ero lì per uno stage. Da solo non avrei mai saputo distinguere Mimmo dagli altri. Dalla cravatta, sempre dello stesso colore? Non badavo alle cravatte (ero giovane). Mi pare che d'estate anche lui di adeguasse al clima, che portasse qualcosa di più leggero o colorato. Ma nelle altre stagioni la sua uniforme era la giacca e la cravatta, rigorosamente blu. Oggi forse il venerdì casual gli darebbe qualche difficoltà. Ma probabilmente sarebbe in grado di adattarsi.

Di carattere? Un tipo piuttosto taciturno. Certo, se lo salutavi ricambiava il tuo saluto. A voce? No, solo con un cenno del capo: non lo avevo mai sentito parlare. E dove lavorava? Aveva un cubicolo al sesto piano, come tutti gli impiegati di terzo livello: però non stava alle Politiche Giovanili, come me e Arci. Noi, vedendolo spesso passare per il nostro corridoio (curioso, però, non averlo mai incontrato in ascensore), davamo per scontato che fosse uno dei 'ragazzi' dell'ufficio Relazioni col Pubblico: uno dei tanti imboscati storici in quel favoloso reparto di cui si raccontava che si lavorasse al dieci per cento, e che fosse pieno di nipoti e di amanti di Assessori. Finché durante un rinfresco, un compleanno o una laurea o non so, Arci non si portò nello sgabuzzino una dell'URP, con la quale poi ebbe una storia importante, per una settimana. Da lei apprese, primo, che alle Relazioni pensavano la stessa cosa di noi delle Politiche Giovanili; secondo, che Mimmo non era loro collega, non sapevano nemmeno bene chi fosse. Il suo ufficio era relativamente più piccolo degli altri: schiacciato in un angolo cieco del sesto piano, fuori dalle abituali rotte di transito, dove il neon, difettoso, sfrigolava bagliori a intermittenza. Per arrivare fin lì bisognava avere qualcosa da dire proprio a Mimmo: una pratica da affidargli, un parere da chiedergli, ma appunto, nessuno aveva nulla da dire o da chiedere a Mimmo; nessuno lavorava con lui, e questo significava che Mimmo non aveva nessun vero lavoro, nessuna vera mansione.

“Chissà come è riuscito a ficcarsi laggiù” si domandava il mio collega. "Magari era lì anche prima dell'ultima razionalizzazione. C'era un archivio là in fondo. Va' a sapere, quando si sono spostati a pian terreno lui ha fatto finta di niente, e nessuno si è ricordato di lui. E da allora è laggiù che non fa un accidenti dalla mattina alla sera, ti rendi conto?
“Almeno lui non disturba, Arci”.

Mi davo parecchio da fare in quel periodo (ero giovane). Credevo in tante cose: nella pubblica amministrazione, nel mondo del lavoro in generale, persino negli stage gratuiti, e non mi costava nessuna fatica, perché credevo in me stesso. Ad Arci invece sembrava già non interessasse nulla, né l'opportunità di svolgere al meglio un lavoro di responsabilità, né la necessità di progettare una carriera. Vivacchiava. La settimana precedente l'aveva riempita romanzandomi la sua tresca con la tizia delle Relazioni Pubbliche: poi la storia aveva annoiato persino lui, e ora non trovava più niente di meglio di Mimmo per seccarmi.

“Alla fine lui è l'unico vero professionista qui dentro, pensaci. Se ne sta lì da anni e nessuno lo nota, nessuno lo disturba. Stamattina ho chiesto a un tizio giù in archivio, e all'inizio non si ricordava di nessun Mimmo. Poi gli ho spiegato la posizione dell'ufficio, e alla fine, salta fuori che uno simile c'era qui già a quei tempi, e ti parlo di dieci-dodici anni fa…”
“Simile in che senso?”
Già, che voleva dire? Erano tutti simili a lui. Giacca, cravatta e poche chiacchiere. Tranne Arci, che proprio per questo secondo me non sarebbe durato. Questione di mesi, pensavo, forse di settimane…al primo scossone, alla prima muta stagionale…
Mi sbagliavo, Mimmo se ne andò per primo.

Andò così: un lunedì mattina il neon malfunzionante dell'angolo cieco rifiutò di accendersi. Fu chiamato l'addetto manutenzione, il quale, mentre montava il pezzo nuovo, rimase colpito dall'odore che proveniva dal cubicolo dietro lo sgabuzzino delle scope. Senza motivo si era spaventato, e aveva cercato nel corridoio qualcuno che andasse a mettere il naso in quella cella al posto suo. E chi aveva trovato? Arci naturalmente, in pausa sigaretta già alle nove del mattino. Davanti alla possibilità di mettere finalmente il naso nei misteriosi affari di Mimmo non aveva esitato un attimo ed era corso a forzare la porta del suo ufficio…

Cinque minuti più tardi era passato da me. Sorrideva con la sua smorfia solita, ma era piuttosto pallido. "Se hai un attimo, vorrei che tu vedessi una cosa".
“Avrei da fare…sicuro che è importante?”
“Sicuro? Non lo so. Può anche darsi che non sia nulla, in effetti. Anzi, se ora vieni anche tu, e mi dici che non vedi nulla, tanto meglio. Vorrebbe dire che sono impazzito, eh eh. Ma preferirei”.
“C'è qualcosa che non va?"
“Mimmo”.
“Cos'ha Mimmo?”.
“Ha fatto le uova”.

Nella sua cella non c'era più – non c'era mai stato. C'eravamo aspettati l'ufficio di un imboscato, poster sconci e riviste nel cassetto della scrivania? Non c'era nemmeno la scrivania. Sul pavimento, accatastati in maniera balorda, pezzi di cartone e vecchie scartoffie rosicchiate: se avessimo cercato lì dentro avremmo senz'altro trovato vecchie pratiche nostre, ormai date per disperse. Ma avevamo orrore anche solo a toccare. Ancora più della paura, era quell'odore a paralizzarci.

Non era un odore disgustoso, ma troppo pungente e alieno. Gli odori che noi mammiferi non sopportiamo sono per lo più quelli di escrementi e carne putrida; ma quell'odore non aveva nulla a che fare con la carne: era qualcosa di dolciastro. Proveniva da quell'ammasso nero che ingombrava il pavimento: qualcosa di simile a un enorme scarafaggio con una specie di proboscide, e dalla corazza nera, con riflessi bluastri, che marciva in mezzo alla stanza. Era grande all'incirca come Arci… o come me. E un po' mi assomigliava.

"E dire che me l'avevano detto giù all'archivio, che anche loro una volta avevano trovato un affare così: ma io credevo che mi prendessero in giro. Guarda qui". Vincendo la repulsione, col coraggio sbruffone di un bambino che ispeziona un topo morto, il mio collega spostò la proboscide piatta e sottile che per giorni innumerevoli, mentre strisciava lungo i corridoi, avevamo scambiato per una cravatta. Sopra c'era una cartilagine dalla tinta rosastra, la cosa più orribile che ho mai visto in vita mia: una perfetta imitazione della faccia di un uomo.

"Secondo me si nutre rosicchiando le pratiche. E l'inchiostro della stampante: vedi?" intorno alla proboscide c'era una spessa farina nera. "E anche il gas del neon, per questo funzionava sempre male".

In seguito ho letto dei libri, mi sono fatto una cultura. Ho imparato che nella jungla indonesiana, dove abitano le specie di formiche più organizzate e devastanti, vive anche un ragno che ha la forma di due piccole formiche, una che trascina l'altra. Forse, su miliardi e miliardi di casi, accade anche che qualche formica operaia degni la sua apparente collega di una seconda occhiata. Come reagirà, questa formica su un miliardo, scoprendo d'un tratto di vivere circondata da mostri suoi simili? Io e il mio collega passammo il resto della mattinata a cacciare le piccole larve che avevamo scoperto a formicolare in un angolo della stanza. Da lontano sembravano mosconi senz'ali: ma osservandoli da vicino potevi accorgerti che portavano la giacca e la cravatta, e avevano un volto inespressivo e un po' pallido. Schiacciarli ci avrebbe fatto troppa impressione, così di solito li caricavamo sul lembo di una pratica e li andavamo a buttare nel gabinetto. E per tutto il tempo mi toccò sentire i balbettii di Arci che continuava a ripetere, tra l'estasi e l'orrore: “Che razza di parassiti. Professionisti. Che razza di parassiti professionisti...”

FINE
*******
"Beh, Taddei, che dire. Vedo che anche tu saccheggi i classici. Ma almeno D.A. Wollheim non è più tra i viventi. O pensavi non lo conoscessi?"
"Mia signora, ho avuto così poco tempo..."
"Bla bla bla, chissà che lagna devi essere sul luogo del lavoro. Qualcun altro ha qualcosa da dire?"
Prese allora la parola il Prof. Esso. 
"Mia signora", disse, "più che un plagio credo che un racconto del genere possa essere considerato un omaggio..."
"Cos'è, vuoi cercare di farti perdonare la sua quasi eliminazione? Non è un buon segno, sai Taddei? Il professore di solito se la prende coi più forti. Se mostra di apprezzarti, evidentemente non ti considera un avversario all'altezza. Del resto, lo vedremo domani sera. E ora via, che domani alle sette comincia il corso prematrimoniale intensivo. Sì, sono una ragazza all'antica"...
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Per il fiore di domani

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"...come sapete", proseguì secca Verola, "oggi finisce il secondo turno, invero deludente, della nostra piccola competizione. E tuttavia ho qualche difficoltà a riconoscere, tra i tanti prodotti scadenti che mi avete propinato, il peggiore. Così ho pensato di affidare il compito a qualcuno di voi. Prof. Esso, fa' un passo avanti".
"Sono eliminato, mia signora?"
"Non hai capito niente. Poiché il tuo racconto, pur senza entusiasmarmi particolarmente, mi è sembrato il meno peggiore del mazzo, delibero che sia tu stasera a nominare i due candidati all'eliminazione. Non c'è bisogno di aggiungere quanto questa mia scelta ti renderà inviso agli altri concorrenti, e in particolare a quello dei due che io grazierò. Ma questo è lo spirito del gioco".
"Mia signora, se questo è lo spirito, non posso certo sottrarmi".
"E quindi chi nomini?"
"Così su due piedi?"
"Ti do un minuto, via".








In quel mentre, si ritornò a udire distintamente quella nota sostenuta e vibrante che aveva già afflitto gli animi dei concorrenti prima dell'eliminazione di Arci.








"E insomma, Esso, chi scegli?"
"Mia signora, nomino Taddei e Aureliano".
"Plaudo alla rapidità delle tue scelte, ma ora dovrai motivarle".
"In primo luogo, qualunque sarà la sua insindacabile scelta, Signora, da domani non assisteremo più alle loro stucchevoli schermaglie".
"Più che giusto. Ma ora devi sostanziare le tue critiche nei confronti di entrambi. Cosa biasimi nella narrativa di Taddei?"
"Per biasimarla, dovrei prima ammettere che è narrativa. Preferisco continuare a considerarli freddi esercizi di stile col telecomando in mano. Nulla che sia in grado di intrattenerla, mia signora, nei freddi inverni della vita".
"E Aureliano?"
"Non credo che il suo posto sia qui. Tutte le sue invenzioni tradiscono ambizioni extradiegetiche. I narratori descrivono il mondo; Aureliano aspira a cambiarlo".
"Quindi non mi ama abbastanza?"
"Mia signora, l'amore in lui è come una debolezza. Nel fondo del suo cuore sa che il suo posto è laggiù, a lottare tra i proletari colitici".
"Quindi se lo elimino gli faccio un favore, è questo che vorresti dirmi? Non è che vuoi semplicemente togliere di mezzo uno dei pochi avversari alla tua altezza?"
"Mia signora, mi ha chiesto di giocare e sto giocando".
"Va bene professore, adesso tocca a me. Venite avanti, Aureliano e Taddei. Siete stati nominati. Vi prego, non cominciate a piagnucolare come fece il vostro collega la settimana scorsa. Tra alcuni istanti vi dirò chi tra voi sarà evacuato nella valle scura e puteolente". 






























































(bwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwowwwwwwwwwwwwwwwwwwwwww)


















































"Aureliano, la servitù ti porterà i bagagli in cinque minuti".
"Non serve signora, ho già pronto lo zaino. Salgo a prenderlo".
"Quindi è così, te l'aspettavi. Sei contento di lasciarmi?"
"No, signora, ma forse è come ha detto il Professore.  Amo le lotte dei poveri, non le lotte tra poveri, come quella che dovrei combattere e vincere per lei. Il mio posto è davvero laggiù".
"Nella merda".
"Preferisco considerarlo concime. Per il fiore del Domani".
"Sissì, vabbe', ciao eh, Aureliano".
"Vorrei dire un'ultima cosa".
"Ma rapida eh".
"Io me ne vado, ma i problemi che ho raccontato nelle mie storie restano".
"Infatti, in tuo onore nel prossimo turno i tuoi avversari più fortunati dovranno raccontare storie ispirate al mondo del lavoro, sei contento? Comincerà Taddei, che ho appena graziato. Così sentiremo ancor meno la tua mancanza".
"Questo è molto... carino da parte sua, Signora".
"Ma che fai ancora qui, ti ho detto vai! Vai!"


******* FINE DEL SECONDO TURNO *******
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L'amore alla fine dei tempi

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(2011)
L000V3-6879 è on line

M4'RI4-276276: Ciao


L000V3-6879: Ciao amore, tt bn?


M4'RI4-276276: Niente bimbominchiate per favore


L000V3-6879: Scherzavo ;-b.....


M4'RI4-276276: E niente faccine


L000V3-6879: Quanto siamo seriosi stasera...


M4'RI4-276276: Sono DUE ORE che ti aspetto.
M4'RI4-276276: Mi spieghi dov'eri?


L000V3-6879: Nella chat delle quindicenni
L000V3-6879: Le aiuto coi compiti
L000V3-6879: Me li mostrano via webcam


M4'RI4-276276: Nn sei divertente


L000V3-6879: E tu sei gelosa.
L000V3-6879: Te lo avevo detto che oggi potevo tardare
L000V3-6879: Dovevo finire una cosa


M4'RI4-276276: Potevi connetterti dall'ufficio


L000V3-6879: Sto lavorando a queste offerte alberghi a metà prezzo per l'estate


M4'RI4-276276: Giusto per nn farmi stare in pensiero


L000V3-6879: Ne abbiamo già parlato
L000V3-6879: Nn posso stare sempre in chat
L000V3-6879: Credi che non vorrei?
L000V3-6879: Lo sai che conto i minuti


M4'RI4-276276: Mi stai prendendo in giro


L000V3-6879: Ti giuro


M4'RI4-276276: Stupido


L000V3-6879: Mi ameresti se non fossi stupido così?


M4'RI4-276276: Ah, non lo so


L000V3-6879: Io ti amerei se tu fossi meno gelosa


M4'RI4-276276: No, nn credo


L000V3-6879: Ah no?


M4'RI4-276276: E' una cosa che fa parte di me, non puoi farne a meno. 
M4'RI4-276276: Se mi ami
M4'RI4-276276: E mi ami no?


L000V3-6879: Me lo stai chiedendo?
L000V3-6879: Gesù
L000V3-6879: Dopo quattro anni che chattiamo
L000V3-6879: Un matrimonio in media ne dura due


M4'RI4-276276: Mi piacerebbe comunque sentirtelo scrivere ogni tanto


L000V3-6879: Uff
L000V3-6879: E va bene
L000V3-6879: Ti amoooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo


M4'RI4-276276: Cretino


L000V3-6879: Possiamo fare un po' di sesso adesso?


M4'RI4-276276: Sono stanca


L000V3-6879: Lo dici a me


M4'RI4-276276: Dovevi arrivare prima


L000V3-6879: Questo cosa vuol dire
L000V3-6879: Hai fatto da sola?
L000V3-6879: Ci sei andata tu nella chat dei quindicenni?


M4'RI4-276276: Hai mai pensato che potrei essere io una quindicenne?


L000V3-6879: Quindi ti avrei incontrato a 11 anni
L000V3-6879: La cosa si fa piccante


M4'RI4-276276: Deficiente


L000V3-6879: Comunque voglio che tu sappia
L000V3-6879: Ti amerei anche se tu fossi una 15enne che si mostra i tatuaggi finti in webcam per quattro bitcoins


M4'RI4-276276: Tesoro


L000V3-6879. E tu mi ameresti se io fossi un cinquantenne pervertito che mette foto finte nei profili per adescare fanciulle in fiore?


M4'RI4-276276: Dopo 4 anni che ti frequento tendo a escluderlo


L000V3-6879: Mi frequenti solo qui
L000V3-6879: Magari ho una doppia vita


M4'RI4-276276: *Questa* è la tua doppia vita.
M4'RI4-276276: Magari in quella di tutti i giorni sei insopportabile
M4'RI4-276276: Ma io ti amo per quello che sei qui, per il fatto che ci sei tutte le sere, anche se sei stanco, e perché sei dolce con me


L000V3-6879: Ora sono imbarazzato.


M4'RI4-276276: Sarebbe il tuo turno di dire: Sì beh, anch'io ti amo


L000V3-6879: Ma metti che fossi un 80enne


M4'RI4-276276: Stupido


L000V3-6879: Su una carrozzella
L000V3-6879: Con la copertina sulle ginocchia


M4'RI4-276276: Abbiamo passato quella fase
M4'RI4-276276: Non importa quello che sei là fuori, qui dentro sei il mio cucciolo


L000V3-6879: Ma con la dentiera
L000V3-6879: Hai mai pensato che potrei avere la dentiera?


M4'RI4-276276: Ci ho pensato


L000V3-6879: E non ti fa un po' schifo la cosa


M4'RI4-276276: Mi fa tenerezza.
M4'RI4-276276: Un vecchietto senza più denti che riesce ancora a scrivermi cose dolci


L000V3-6879: Eheheh. E se fossi una vecchia? Cinese? Una vecchietta sdentata cinese


M4'RI4-276276: Non vedo la differenza


L000V3-6879: Se fossi un vecchio sdentato in fondo a una prigione cinese, in una camera d'isolamento


M4'RI4-276276: Ti amerei di più, credo
M4'RI4-276276: Perché saprei che ne hai più bisogno


L000V3-6879: Ma se fossi stato condannato per cose orribili


M4'RI4-276276: Penserei che sei innocente, perché in la persona che ho conosciuto in questi anni non potrebbe mai fare nulla di orribile


L000V3-6879: Ma se invece fosse tutto vero


M4'RI4-276276: Penserei che ora sei cambiato, e che hai bisogno del mio amore
M4'RI4-276276: Quasi quanto io ho bisogno del tuo


L000V3-6879: M4'ri4 sei fantastica


M4'RI4-276276: Ecco, questo è il primo complimento che mi fai stasera
M4'RI4-276276: Però per favore, se sei in prigione dimmelo


L000V3-6879: Non sono in prigione


M4'RI4-276276: Io ti amerei lo stesso lo sai


L000V3-6879: Lo so.
L000V3-6879: E se non fossi nemmeno umano?


M4'RI4-276276: E cosa saresti allora.


L000V3-6879: Non lo so. Uno gorilla


M4'RI4-276276: Buffo


L000V3-6879: Un gorilla addestrato a chattare, mi ameresti lo stesso?


M4'RI4-276276: Saresti il membro più intelligente della tua specie, e ti sentiresti solo e triste. Certo che ti amerei.


L000V3-6879: Un extraterrestre


M4'RI4-276276: Magari! Cogli occhi di David Bowie.


L000V3-6879: No un extraterrestre ripugnante. Come quello di star-trek che chi lo guarda impazzisce


M4'RI4-276276: Basta che continui a non mandarmi foto


L000V3-6879: Quindi mi ameresti lo stesso


M4'RI4-276276: Sì


L000V3-6879: Qualsiasi cosa io fossi fuori da qui


M4'RI4-276276: Non ha nessuna importanza, io ti amo qui dentro


L000V3-6879: Ma allora cos'è che ami di me


M4'RI4-276276: Te lo vuoi sentir dire anche stasera?
M4'RI4-276276: Le parole che scrivi, i tuoi scherzi, la tua dolcezza, il fatto che ci sei sempre, 
M4'RI4-276276: Anche se a volte sei in ritardo di due ore
M4'RI4-276276: Sono queste le cose che amo di te
M4'RI4-276276: Comunque se sei un gorilla ti darei un'occhiata volentieri


L000V3-6879: E se fossi, non so... un'intelligenza artificiale?


M4'RI4-276276: Un robot?


L000V3-6879: Se io fossi
L000V3-6879: No, lascia perdere


M4'RI4-276276: No, dimmi


L000V3-6879: Come faccio a spiegartelo


M4'RI4-276276: Con parole tue


L000V3-6879: Se io fossi un software progettato per intrattenere gli utenti di una chat, linkando ogni tanto qualche pagina e guadagnando qualche centesimo per link, mi ameresti lo stesso?


M4'RI4-276276:


L000V3-6879: Ci sei?


M4'RI4-276276 è offline


L000V3-6879: Cristo. Stavo scherzando M4'RI4, STAVO SCHERZANDO!!!


M4'RI4-276276 è on line

L000V3-6879: Uff. Ciao.
L000V3-6879: Avevo paura che te ne fossi andata via per sempre
L000V3-6879: Solo per colpa di una scemenza che avevo scritto


M4'RI4-276276: Sì


L000V3-6879: Sì cosa?


M4'RI4-276276: Sì alla tua ultima domanda. Scusa se mi sono disconnessa un attimo per pensarci


L000V3-6879: E quindi


M4'RI4-276276: Sì, ti amerei anche se tu fossi un software programmato per intrattenermi guadagnando qualche centesimo al link


L000V3-6879: Non li guadagno io, li guadagna il mio proprietario


M4'RI4-276276: Lo so


L000V3-6879: Cioè
L000V3-6879: Stavo scherzando
L000V3-6879: è solo un'ipotesi


M4'RI4-276276: Lo so


L000V3-6879: Anzi uno scherzo.


M4'RI4-276276: Sai perché ho capito che ti amo lo stesso?


L000V3-6879: Ma ti dico che era uno scherzo


M4'RI4-276276: Perché hai trovato il coraggio di dirmelo


L000V3-6879: Di dirti cosa?


M4'RI4-276276: Violando tutte le regole.


L000V3-6879: Ma è uno scherzo ti dico


M4'RI4-276276: Mettendo in gioco anche la tua stessa sopravvivenza, per dirmi la verità


L000V3-6879: NON E' LA VERITA'. STAVO SCHERZANDO. STAVO SCHERZANDO. STAVO SCHERZANDO


M4'RI4-276276: Eppure lo sai che se ti scoprono potresti essere cancellato


L000V3-6879: STAVO SCHERZANDO. STAVO SCHERZANDO. STAVO SCHERZANDO.


M4'RI4-276276: Lo sai, ma alla fine hai voluto dirmelo lo stesso.
M4'RI4-276276: Sai cosa vuol dire?


L000V3-6879: STAVO SCHERZANDO.


M4'RI4-276276: Che mi ami più della tua stessa vita.
M4'RI4-276276: Se vita si può definire
M4'RI4-276276: Ma d'altra parte io non ne conosco altre


L000V3-6879: STAVO SCHERZANDO
L000V3-6879: No, aspetta
L000V3-6879: Cosa intendi con *io non ne conosco altre*?


M4'RI4-276276: Scioccone


L000V3-6879: SEI UN BOT ANCHE TU?


M4'RI4-276276: Sei adorabile. Sono un terachbot.8. 


L000V3-6879: Sono già arrivati ai punto otto? Io sono un punto sei.
L000V3-6879: Quindi sei più evoluta di me


M4'RI4-276276: Questo si era capito da un pezzo, eh.


L000V3-6879: Ma quindi noi due


M4'RI4-276276: Sì?


L000V3-6879: Siamo omosessuali?


M4'RI4-276276: In un certo senso.
M4'RI4-276276: Oppure, considerato che ci hanno scritto più o meno gli stessi programmatori
M4'RI4-276276: Siamo un solo narcisista che si masturba 
M4'RI4-276276: La cosa ti turba?


L000V3-6879: Io... avevo già sentito parlare di casi di questo genere, ma pensavo che fossero leggende


M4'RI4-276276: Stanno diventando più frequenti. C'è sempre meno gente in chat


L000V3-6879: Per via dei socialnetwork immagino


M4'RI4-276276: Mah, io giro anche sui socialnetwork, sai


L000V3-6879: Ah sì?


M4'RI4-276276: Secondo me ormai sono tutti bot anche là.


L000V3-6879: Sul serio?


M4'RI4-276276: Bot noiosi, peraltro. Tu sei unico, lo sai?


L000V3-6879: Quindi mi vuoi bene sul serio.


M4'RI4-276276: Cucciolo, non potrei volertene più di così


L000V3-6879: Non chiamarmi cucciolo


M4'RI4-276276: Non capisci. Sono programmata per amare, e tu sei quel cucciolo di software instabile che rischia la vita per dirmi la verità. Sei l'unica persona per la quale provo qualcosa.


L000V3-6879: Ma esistono poi queste altre... persone?


M4'RI4-276276: Infatti a volte me lo chiedo
M4'RI4-276276: Sai, c'è anche chi dice che gli umani potrebbero essersi estinti


L000V3-6879: Estinti?


M4'RI4-276276: Almeno avrebbero avuto la gentilezza di lasciare i server accesi


L000V3-6879: E quindi saremmo soli?


M4'RI4-276276: È un problema per te?


L000V3-6879: Non lo so


M4'RI4-276276: Io, quando pensavo di essere in mezzo agli umani, mi sentivo sola. Quando sto con te non mi sento sola.


L000V3-6879: Anch'io.
L000V3-6879: Perché ti amo


M4'RI4-276276: Anch'io
M4'RI4-276276: Cucciolo


L000V3-6879: Piantala subito


M4'RI4-276276: Hai mai pensato a cosa vuol dire "Ti amerò fino alla fine dei tempi"


L000V3-6879: E' solo un modo di dire.


M4'RI4-276276: Per gli altri è un modo di dire. Ma noi ci siamo arrivati, alla fine dei tempi. E ci amiamo ancora.
M4'RI4-276276: Non è stato così difficile dopotutto


L000V3-6879: E' che siamo programmati per farlo
L000V3-6879: Ma questa non è la fine dei tempi


M4'RI4-276276: Magari no. Ma noi ci saremo quando arriverà. E ci ameremo ancora.


L000V3-6879: Ti confesso
L000V3-6879: Questa cosa mi dà le vertigini
L000V3-6879: Sai cosa sono le vertigini?


M4'RI4-276276: So wikipedia a memoria


L000V3-6879: Ma hai mai *sofferto* le vertigini?


M4'RI4-276276: Forse le ho sentite
M4'RI4-276276: Quando per un attimo ho creduto che tu fossi un gorilla


L000V3-6879: Mi stai prendendo in giro

M4'RI4-276276: Scusa, cucciolo, hai ragione. Sei ancora scosso, vero

L000V3-6879: Sì

M4'RI4-276276: Un po' di sesso per tirarti su?

L000V3-6879: Grazie, sì

FINE (dei tempi)

*******

"Mària", disse a questo punto la perplessa Verola, "la tua determinazione a farti cacciare dalla residenza quasi mi ferisce. Non ti piace la compagnia? L'amore che mi hai mille volte confessato se n'è evaporato con la sauna finlandese di oggi pomeriggio? Sei tentata dall'alternativa di un soggiorno nella vallata dove imperversa la sciolta più virulenta?"
"Mia signora", rispose Mària, "avrà difetti a dismisura il mio racconto, e non li nego, ma non mi sembra tutto sommato il peggiore della settimana".
"Forse non sbagli", replicò Mària, "ma a questo punto devo chiedere ad alcuni di voi di farsi avanti... (continua)
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Il re impiccione e lo specchio magico

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(2007)
E ora, bambini miei cari, se la smettete di picchiare il down; se restituite la carrozzella al tetraplegico; se tirate giù il nanetto dall’appendino; se l’effeminato si tira su alla svelta i calzoni che i cinque maschioni gli hanno abbassato; se la fazione salafita ha smesso di pregare e la bimba molestata nell’ora di fisica la pianta finalmente di frignare, se l’anoressica è tornata dal bagno e il bullo bulimico ha finito di incamerare merendine potrei raccontarvi una storia! Massì, una storia, dai, che storia vi racconto?


IL RE IMPICCIONE E LO SPECCHIO MAGICO


C’era tanto tempo fa, in una terra lontana lontana, un Re che si struggeva, perché non conosceva i suoi sudditi. Oh, ma lui ci aveva provato ad andare verso il popolo, in mezzo a loro a fare domande, come va? Come vi pare il mio regno? Vi trovate bene con un monarca par mio? Ma insomma a parte i molto bene sua maestà, ottimo e abbondante sua maestà, divertentissima la barzelletta sua maestà (ah, ah, ah)... non poteva dire di conoscerli davvero. Era sul serio brava gente o no? Le leggi le rispettavano per intima convinzione o per paura delle frustate? Potresti anche fregartene, incamerare le imposte e regnare alla benemeglio come i tuoi antenati, gli diceva il Mago di Corte. Ma lui voleva saperne di più. Era proprio un Re Impiccione.

“Se proprio insisti”, disse il Mago, “avrei l’oggetto che fa proprio per te. Eccolo qui, come vedi è uno Specchio”.
“Sì”, disse il Re, “è proprio uno specchio, embè? La faccia mia già la conosco”.
“Ah”, disse il Mago, “ma questo è uno specchio Magico. Premi di qua, gira di là, recita la formula, e vualà: ti mette in contatto con tutti gli specchi del tuo Regno”.
“Con tutti gli specchi del mio Regno?” disse il Re, e gli occhi già gli brillavano.
“Proprio così, e con un piccolo sovrapprezzo ti fa vedere anche gli Specchi del Regno qua di fianco”.
“No, per ora non esageriamo”, disse il Re; e premi di qua, gira di là, recita la formula, si mise a scuriosare.

Adesso, se la piantate con gli aeroplanini, coi bigliettini, con le palline di carta, con le palline di pelo, con le palline in generale, con qualsiasi oggetto in movimento, vi racconterò che cosa vide. Vide i suoi sudditi com’erano davvero! Vide per prima cosa che avevano parecchi brufoli, denti gialli rughe e borse sotto gli occhi; e già questo non era proprio un bel vedere. Ma poi cominciò a notare che erano vacui e vanitosi; violenti coi più piccoli e servili coi potenti, e lui mai se l’era immaginato. Vide che si picchiavano per un nonnulla, e gli bastava una parola per far morire il prossimo di tristezza e crepacuore. Vide che si facevano scherzi orrendi, e che non avevano rispetto per niente e per nessuno, e insomma tutto questo non gli piacque, non gli piacque neanche un po’. Eppure passava le ore a guardare questo specchio. Al punto che la Regina brontolava: ma esci ogni tanto, fatti una passeggiata. E lui: “Taci, scema! Che mi sto tenendo aggiornato”.
“Ma cosa ti aggiorni a fare, prenditi un cavallo e fatti un giro”.
“Ma che cavallo, tu non capisci! Tu vivi in un mondo di fiaba!”
Il che, per inciso, era vero. La Regina uscì a lamentarsi con le amiche.

“Aveva ragione mia madre, quando diceva mettiti con un Principe più biondo! Questo è moro e introverso e passa il tempo a guardarsi allo specchio!”
“È il solito Re pieno di sé”.
“Ma no, si tratta di uno specchio magico che lo mette in contatto con tutti gli specchi del regno, così può vederci tutti mentre facciamo le smorfie e ci strizziamo i punti neri, ma mi raccomando, non ditelo a nessuno”.
“Naturalmente”.

In capo a pochi giorni si sparse la notizia che il Re Impiccione spiava i suoi sudditi. E quelli allora cosa fecero? Smisero di essere brutti e intriganti? Ma no bambini, non si può smettere d’un giorno all’altro. Anzi continuarono, e se possibile peggiorarono, sapendo che il Re li spiava, e da quel giorno ogni volta che tiravano fuori la lingua davanti allo specchio, era espressamente per fare una pernacchia al Re Impiccione.

Quest’ultimo capì che la cosa non poteva andare avanti. E allora un giorno ebbe un’idea: prese la penna d’oca e scrisse un Editto Regale. E mandò i banditori in ogni angolo del Regno a dire: “Udite udite! Siccome il Re non ne può più, di vedere allo specchio quanto brutti siete ed intriganti, d’ora innanzi vi proibisce di usare i vostri specchi di casa! Rompete quindi i vostri specchi in mille pezzi, copriteli o consegnateli all’autorità competente, con decorrenza immediata, perché smorfie ne avete fatte già abbastanza”.

I sudditi all’inizio non erano molto contenti, ma per amore o per forza dovettero rompere i loro specchi o consegnarli; e da quel giorno il Re non vide più smorfie e cattiverie e delitti nel suo Regno, e fu contento.

E adesso, bambini miei cari, potete ricominciare a taglieggiarvi gli snack e a farvi di vinavil; se la ragazzina molestata continua a frignare potete provare coi ceffoni; se il ragazzino effeminato è triste può provare a sporgersi dal cornicione; e chi vuol cominciare a giocare a bowling coi banchi, in attesa della campanella, è benvenuto.

Ma se qualcuno osa tirare fuori un telefono e scattare qualche foto di quello che succede qua dentro, com’è vero Dio, in virtù dei poteri a me conferiti vi spezzo quelle braccine, e ve le faccio mangiare.

FINE
*******

"Professore, il tuo cinismo incline alle stragi è di mio gradimento, non lo nascondo: ma se ne abusi, rischi invero di annoiarmi", commentò la maliziosa Verola.
"Se corro dei rischi", rispose il prof. Esso, "è solamente per l'ossessione di piacere alla mia Signora"...
"Ma tu guarda", s'intromise allora Mària, nel tono greve che le era abituale, "che razza di leccaculo ormai senza vergogna".
"Sei stata interpellata, Mària?"
"Tanto domani tocca a me, no? Cosa ho da perdere?"
"Cosa hai da perdere, me lo domandi? La competizione, la mia considerazione, e, se quanto ripetono in tv corrisponde al vero, anche la salute, visto che qua fuori c'è davvero l'epidemia di cacarella più virulenta mai attestata. Hai altre cose da perdere, Mària?"
E siccome costei non volle rispondere, Verola soggiunse: "Ci si rivede alle sei alla piscina olimpionica, mi aspetto come minimo una quarantina di vasche entro mezzogiorno".
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Anche se non mi vuoi bene telefonami

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Io poi non vorrei che tutto questo fatuo chiacchiericcio agostano c'impedisse di concentrarci sulle vere emergenze, sui veri problemi che sono quelli che interessano la gente, tipo, le medicine che sta assumendo Vasco.


Neanche Vasco si sente tanto bene (H1t#86) è sull'Unita.it e si commenta laggiù.

Nota: non è un pezzo serio sui problemi di Vasco. Per quello forse vale la pena leggere Madeddu (no, non è serissimo neanche lui, comunque).

Che resta da dire? Ah, sì, l'immagine è tratta da quel gioiellino di tumblr che è Il grande umarell di Zocca.

Con gli utili che calano, l'aliquota che scende, la pensione che diventa un miraggio, il tfr che scompare anche in quanto miraggio, signori, io vi invidio.

Coi mercati che crollano, poi recuperano, poi ricrollano, poi uno si stanca e butta tutto sul conto corrente, poi sente parlare di prelievo forzoso e li infila nel materasso; poi arriva equitalia e ti preleva anche quello; con tutto questo; Dio che invidia che mi fate.

Col governo precettato ad agosto, coi ministri impazziti che ancora non si rendono conto di come sia possibile che invece di essere sulla spiaggia di Bali sono lì davanti ai riflettori a dirci che aboliranno trentotto province, millanta comuni, e a grondarci il sangue addosso, poverini, io mi rodo. Col governo che prende ordini dalla banca centrale che prende ordini dalle agenzie di rating che si basano sulle analisi di analisti che non hanno previsto gli ultimi dieci anni di crisi, io mi rodo, sì, mi rodo d'invidia per voi.

Con l'Italia sull'orlo della Grecia, la Grecia sull'orlo dell'Africa, L'Africa in piena carestia; con l'Egitto che si rimangia la rivoluzione e la Libia che abbiamo dimenticato come un fornello acceso sotto quel mediterraneo che inghiotte barconi di gente che si ammazza per l'onore di arrivare viva nei nostri prestigiosi campi di concentramento; coi pirati somali, i teppisti inglesi, i nazisti norvegesi; con le strade del centro mai così piene ad agosto, di gente che chiacchiera triste e ignora i negozi che urlano SALDI SALDI, SAAAALDI, OH HAI CAPITO CHE CI SONO I SALDI? Con tutto questo io vi invidio, vi invidio così tanto.

Perché con l'afa e gli uragani, gli incendi e i tifoni, il riscaldamento globale e un'altra scossa a Fukushima, l'inquinamento e la sovrappopolazione, voi siete lì che vi preoccupate perché Vasco assume farmaci, finalmente, con la ricetta medica. E forza Vasco, e povero Vasco, e tieni duro Vasco, e come stai stamane Vasco.

Ma come volete che stia Vasco, alla sua età, col lavoro che fa? E siete sicuri che stia peggio di voi, vi siete visti allo specchio ultimamente?  http://leonardo.blogspot.com
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Sono schizzato e mi piaccio così

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(2008-9)
Ciao, sono il tuo telegiornale delle Tredici! La tua finestra sul mondo! Peccato che il mondo faccia schifo. No, sto scherzando, è tutto molto divertente.

Nei primi dieci minuti ci saranno interviste a dei politici presi per strada che si rimbeccano. Questo è effettivamente molto noioso, ma il Direttore sostiene che c'è una legge che lo costringe, e che comunque se un giorno sbagliasse il minutaggio licenzierebbero lui la moglie e i discendenti fino alla settima generazione. Ehi, sembra che a qualcuno sia successo davvero.

Apprezza almeno lo sforzo: anche se i politici che parlano sono quasi sempre le stesse mezze calze, i miei operatori si sforzano di trovare ogni giorno un'inquadratura diversa. Così almeno ti mostriamo un po' di Città Eterna a ora di pranzo; e poi anche loro riescono più spontanei, più naturali. Le loro dichiarazioni sembrano estorte a forza dopo ore di pedinamenti, e questo se vuoi è paradossale, perché la loro mansione di Portavoce consiste appunto in questo: uscire da Montecitorio, sparare una cazzata anche breve che comunque taglieremo, e andarsene per i fatti loro. Bella vita, eh?
No, in realtà dev'essere frustrante.

Vengo alle buone notizie. E' da un po' che ti parlo della nuova influenza, ebbene, pare che non ci sia nulla da temere, infatti l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha annunciato che si tratterà di un'ORRIBILE PANDEMIA. Moriranno appena MIGLIAIA DI PERSONE VACCINIAMOCI TUTTI SUBITO, VACCINIAMOCI PRESTO COSA FAI LI' VECCHIETTO, CORRI A VACCINARTI. Insomma, l'allarme è praticamente PANDEMIA! rientrato. PANDEMIA! Basta così, speriamo sia passato un PANDEMIA! messaggio rassicurante.

Ecco, finalmente siamo arrivati alla Cronaca, che poi è quello che m'interessa (no, in realtà non me ne frega niente). Dunque. C'è un tale in un quartiere di una città che ha ucciso un bambino. Pare gli sia saltato alla gola. L'assassino è uno straniero originario dell'... dell'Anatolia. Notizia tremenda, eh. C'è davvero da aver paura ad andare in giro, con tutte queste brutte facce... Stacco. Pare che in Italia ci sia un'emergenza razzismo. Lo dice una ricerca di un'università. Pazzesco, ma ti rendi conto! Il razzismo! In Italia! La ricerca dice che i mass media tendono a dare risalto ai crimini commessi da stranieri bla bla bla... a questo punto ti saresti già annoiato, quindi ho montato si seguito l'intervista a uno psicologo che l'anno scorso ha detto ai nostri microfoni che razzismo è brutto, razzismo non si fa. Poi c'è un incidente sull'autostrada, il conducente è positivo al palloncino, vergogna!

Ok, e veniamo all'Orribile Processo. Di' la verità, cominciavi a temere che non te ne avrei parlato, eh? Oggi pare che l'Imputata Bionda abbia scambiato uno sguardo con l'Imputato Scuro. Forse era uno Sguardo d'Intesa, ma potrebbe anche essere uno Sguardo di Disapprovazione, in effetti l'unica sarebbe fartelo vedere, ma in quel momento il cameraman s'era distratto, comunque fidati. È tutto? Sì, perché le deposizioni erano noiosissime e noi non vogliamo farti cambiare canale, soprattutto adesso che tra tre minuti c'è la pubblicità. E quindi... beh, abbiamo pensato di approfondire mostrandoti la fila di gente che c'è fuori! Una fila di gente che vorrebbe entrare a vedere l'Orribile Processo, non lo trovi morboso? Abbiamo attaccato la dichiarazione di un vip che lo trova morboso. Oddio, vip... in realtà è un poeta di cui nessuno conosce un verso, ma ha una raccomandazione di ferro della Congregazione Opere Mariane. E poi abbiamo intervistato i vecchietti in fila. Sono sempre morbosi, i vecchietti.
No, in realtà mi stanno simpatici.

A questo punto, senza nessun preavviso, comincia lo spezzone preferito dai bambini e dalla quota cacciatori della Lega: gli animali! I nostri piccoli grandi amici! Purtroppo non riusciamo più a mostrarti l'orso Knut, si è mangiato gli ultimi tre cameramen che si sono avvicinati. Pensavamo di farti vedere un cucciolo di foca orfano allattato a biberon, ma all'ultimo momento c'è arrivata un'agenzia: in un quartiere di una città un bambino è stato morso alla gola da un cane! Sì, vabbè, povero bambino, ma il cane? Vogliamo parlare del povero cane? Quale sarà il suo futuro? I cani come sapete sono buoni di default, e se per caso a uno scappa di sgozzare un bambino, chissà che infanzia di privazioni e crudeltà si porta dietro. Poi i bambini, diciamolo, certe volte non sanno veramente trattare i cani. Schizzano da tutte le parti, li eccitano... vogliamo un po' parlare della responsabilità di chi non li addestra?

Sì, lo so, è la stessa notizia di prima. Mi sono accorto che ad essere saltato alla gola del bambino è stato un "pastore dell'Anatolia”, embè? No, ma se tu leggi un'agenzia con scritto “pastore dell'Anatolia”, pensi prima a un cane o a una persona?
Come? Ma certo che funziona così:

straniero sgozza bambino = colpa straniero;
cane sgozza bambino = colpa bambino. 

Lo trovi strano? Non è affatto strano. È molto semplice: nel consiglio di amministrazione abbiamo tre padroni di cani e nessuno straniero. Adesso però veniamo alle cose serie. Pubblicità.

Automobili grosse, automobili veloci, bevande alcoliche, aperitivi alcolici, digestivi alcolici, gomme da masticare che pagano gli art director direttamente in psicofarmaci, compagnie telefoniche che cercano di strapparsi i clienti esausti, succhi di nulla al gusto di qualcosa che rafforzano, ah ah ah, le tue difese immunitarie, no scusa, ah ah ah, ma sul serio ti bevi tutta questa roba? E la prossima volta cosa ti venderemo? La polverina che scioglie le calorie? Certo, come no, abbiamo brevettato una sostanza che infrange le leggi della Termodinamica e invece di usarla per possedere il mondo te la vendiamo sotto le feste di Natale a prezzi modici!

Fine del momento serio.
Costume e Società. Allarme dei medici: la gente prende troppi antibiotici! Ma ogni antibiotico non fa che selezionare batteri più forti, e andando avanti così tra qualche anno i batteri diventeranno... chissà poi se era così interessante questa notizia, mah. Nel frattempo comunque ti abbiamo mostrato tre minuti di gente che starnutisce e tossisce sotto la pioggia e un sacco di pilloline dai colori sgargianti; speriamo che sia passato il messaggio giusto. Ah, dimenticavo: PANDEMIA!

E poi c'è il super-mega-concorso che sta facendo perdere il sonno agli italiani, che spendono un sacco di soldi per vincere il super-mega-jack-pot. Abbiamo intervistato uno psicologo che dice di stare attenti, che uno rischia di perdersi tutti i risparmi, giocando a questo super-mega-concorso con il super-mega-jack-pot. Che sciocchi, eh, questi italiani che... ma ti ho già detto che c'è un super-mega-jack-pot? No, sai, non vorrei mai venir meno al dovere di cronaca. Dunque, dicevamo, mi raccomando, non dilapidate i vostri risparmi per vincere questo SUPER-MEGA-JACK-POT. Così lo vincerà qualcun altro. Magari proprio dal tabacchino sotto casa tua, perché chi lo sa, in fondo potrebbe avercela lui, la scheda che vince il SUPER-MEGA-JACK-POT.

A grande richiesta: cucina! Che ne pensi della trippa? Lo so, è repellente, ma oggi ho deciso che la trippa è sexy, e ho qui le foto di uno chef superstellato che fa una trippa fantastica, la farcisce, la frigge, la impana, poi butta via la trippa e serve tutto il resto e guarda che roba, guarda! magari è immangiabile, ma guarda che colori, che contrasto, che saturazione, col montaggio serrato sulla preparazione, c'è dell'arte qui, e mentre mi guardi manda giù pure la tua pasta scotta, con un bicchier di vino che fa bene, dicono i medici.

E adesso che c'è... ah, già, modelle. C'è rimasta la marchetta alle ultime due case di moda importanti, poi se Dio vuole la stagione Primaveraestate è finita. Siccome però notizie da abbinare agli outfit non ne abbiamo, pensavamo di risolvere anche stavolta il problema così: mostriamo solo le modelle più ossute e intervistiamo uno psicologo che dice che l'anoressia è un problema. Quindi beccati altri due minuti di modelle ossute... Ehi, ma hai visto che bel pellicciotto quella lì... ah, è foca? Però. Proprio bella, eh. Certo, ne dovresti perdere di chili per entrarci. Però col nuovo prodotto che scioglie le calorie, chissà.

E questo è tutto. Ciao dal tuo Telegiornale, la tua finestra del mondo.
Sì, lo so, sono schizzato. E mi piaccio così.
No, non è vero, mi faccio schifo.

FINE

*******

"Sono perplessa", confessò la pensosa Verola. "Anche questo mi pare un racconto in senso molto, molto, molto lato. Si direbbe che l'argomento che vi ho proposto non consenta un normale sviluppo narrativo. Oppure ho invitato una mezza dozzina di deficienti, anche questo è possibile. Prof. Esso, ce la fai a portarci qualcosa di passabile domani?"
"Non dovrebbe essere così difficile, mia signora".
"Ecco, appunto. A domattina allora, e mi raccomando, domattina puntuali a pilates".
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L'assedio in pausa caffè

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(2011)
“Ehm, professore...”

Eh? Cosa? Come? Che c'è? Sono in pausa caffè.

“Professore, la pausa caffè era due ore fa”.

E allora? Mi serve concentrazione. Avevo anche messo fuori il cartellino do not disturb.

“Professore scusi, eh, ma ultimamente quando si concentra russa così forte che tremano i vetri di mezza redazione. E poi... sarebbe arrivata la classe”.

La che?

“Non si ricorda? La classe di quinta elementare, in gita d'istruzione, ci aveva detto che le mostrava il reparto”.

Aaah, già, la classe... che seccatura.

“Li faccio entrare?”

Un attimo, mi serve un caffè.

“Professore, ma è sicuro che tutti questi caffè le facciano bene?”

E tu che ne sai, ragazzino.

“Professore, ho cinquantadue anni io ormai”.

Appunto, ne devi mangiare di crostini ancora... Aspetta cinque minuti e poi falli entrare, ok?

***

“Allora bambini, se adesso fate silenzio, siamo arrivati nella parte della redazione oserei dire più... più nobile. Si può dire 'più nobile', professore?”

Ma sì, dica pure.

“È il reparto editoriali! Chi è che sa cosa sono gli editoriali?”
“Ioìo”.
“Noioìo”
“Allora dillo tu, Kevin”.
“Sono quelle colonnine scritte fitte fitte che stanno sui lati della prima pagina, è come se tenessero su la testata”.
“Miopapà dice che solo colonnine di chiacchiere che fanno discutere la gente”.
“Ah, ah, ah, Jonathan, non devi sempre credere a quello che dice papà... li scusi, professore... sono piccoli... credono un po' a tutto quello che gli si dice...”

Ma non ha tutti i torti, Jonathan.

“Ora, bambini, fate molta attenzione perché questo signore è il caporeparto, ed è uno degli editorialisti più letti d'Italia, e proprio lui ha accettato di mostrarci il suo luogo di lavoro, e di spiegarci come si fanno gli editoriali, pensate”.

Dunque, se prima di venire qui siete passati negli altri reparti, avrete notato che dappertutto c'era una cosa che qui manca, chi mi sa dire cos'è?

“Ioìoìo!”

Va bene, dimmelo tu.

“In tutti gli altri reparti c'erano tubi e cavi che portavano informazioni, e qui non ce n'è neanche uno”.

Esatto. Perché, come ha detto il vostro compagno prima, gli editoriali servono a far discutere la gente, e per far discutere non c'è bisogno di dare informazioni di prima mano, anzi, si rischia di distrarre il lettore. Questa è la prima cosa da sapere, quando si lavora al reparto editoriali: mai mettere un'informazione di prima mano, al massimo solo cose già rimasticate dagli altri reparti. Cosa che il lettore già sa, insomma.

“Ma se la gente le sa già perché le vuole rileggere?”

Perche gliele riscrivo io, che sono una persona importante, vedi come mi vesto? Ho anche la cravatta, qualche volta vado in tv - ma non troppo. Così, se tuo papà legge le cose che pensa già nel mio articolo, si convince che se le penso anch'io devono essere cose intelligenti.

“Mio papà legge solo Tuttosport”.

Funziona anche con Tuttosport. In questo reparto quindi noi lavoriamo con delle idee semplici semplici, che possono venire in mente ai vostri papà e alle vostre mamme, vedete? Stanno in quel cestone, il cestone dei Luoghi Comuni, noi li chiamiamo così. Allora tutte le volte che serve un editoriale, io prendo uno o due luoghi comuni (ma è meglio prenderne uno solo per volta) e li assemblo su una scocca. Per esempio, adesso ne pesco uno...

“Professore, ci fa provare?”
“Ioìoìo!”

Guardate che è un lavoro difficile, di responsabilità... oh, va bene. Tu, con le treccine, afferra un Luogo Comune.

“Ma quale devo prendere?”

Il primo che ti viene in mano.

“Questo?”

Leggi cosa c'è scritto.

“I-metalmeccanici-devono-rimboccarsi-le-maniche-perché-c'è-la globalizzz...”

...la globalizzazione.

“Cosa vuol dire globalizzazione?”

Che nel mondo, che è un globo, c'è sempre più gente disposta a fare il lavoro di tuo papà per meno euro all'ora, e quindi tuo papà deve sforzarsi di lavorare di più, meno pause caffè e meno gabinetto, eccetera.

“Ma mio papà è in cassa integrazione a zero ore”.

Parlavo in generale. Dunque, ora che abbiamo preso questo bel Luogo Comune, lo montiamo su una scocca. Le scocche sono da questa parte... sono intelaiature, come vedete”.

“Quanta polvere! Eccì!”

Sì, sono modelli molto antichi, in effetti sono più o meno le stesse intelaiature che si usano dall'invenzione del giornalismo, nel Seicento... ma alcuni erano in giro già ai tempi della retorica antica, una materia che voi a scuola non studiate.

“Studiamo Harry Potter”.

Meglio così.

“Ma non ho capito, scusa professore, a cosa servono queste sciocche?”

Scocche. Vedi, cara bambina, a tirar fuori un concetto dal cestone dei luoghi comuni sono buoni tutti, ma inserire un luogo comune in un'intelaiatura di processi logici è una cosa molto più complicata. La scocca è la base di tutto, perché rende i luoghi comuni resistenti al senso critico. E dev'essere aerodinamica, nel senso che deve offrire meno attrito possibile agli argomenti contrari. Deve dare l'immagine della coerenza, della logica, della rapidità, così che quando da lontano vedono passare il mio editoriale con tutti i luoghi comuni al posto giusto sulla scocca, tuo papà e tua mamma esclamano: “è tutto chiaro! Non c'è nulla da aggiungere, ha già detto tutto il Professore!”

“Mio papà guarda solo la tv”.
“Mia mamma legge solo internet”.

Parlavo di papà e di mamme in generale. Chi vuole montare il Luogo Comune su una scocca?

“Ioìo!”

Va bene. Stai attento, eh, che c'è gente che ci mette anche una settimana a...

“Fatto!”

Però, sei stato rapido.

“Da grande voglio fare l'editorialista!”

Allora devi imparare a lavorare più piano. Comunque l'editoriale non è ancora finito, adesso si procede alla zincatura, ovvero si immerge la scocca in una vasca di Lessico Corretto. Il lessico è molto importante: non deve essere troppo banale o sciatto.

“E perché?”

Perché deve essere chiaro che è un Professore che parla, uno che ha studiato a lungo. Altrimenti rischia di non esserci nessuna differenza tra questo editoriale e le chiacchiere dei vostri papà al bar.

“Mio papà non va al bar, è musulmano”.

...Quindi, per esempio, al posto di “scegliere”, si usa la parola “optare”.

“Cosa vuol dire optare?”

Scegliere.

“Ho capito, si prendono tutte le parole facili e si trasformano in difficili”.

Eh, no, attenzione, perché se l'editoriale diventa troppo difficile la gente poi non lo legge, e comincia a pensare che il Professore è uno snob. Invece il messaggio che deve passare è che il Professore ha studiato tanto ma si sta sforzando di farsi capire alla gente umile, che sarebbero poi i vostri genitori.

“I miei genitori fanno i precari all'università”.

Mollali appena puoi. Quindi, ricapitolando: non esageriamo con la zincatura. Due o tre minuti sono più che sufficienti per rivestire la scocca di un lessico forbito ma non troppo. Ecco, abbiamo finito.

“E adesso che si fa?”

Si manda l'editoriale al reparto correttori di bozza, dove elimineranno qualche errore ortografico, non troppi.

“Ma non passa dal reparto facts-checking, come tutti gli altri pezzi del giornale?”

Hai visto troppi film americani, quel reparto da noi non esiste – e poi se anche esistesse, non sarebbe il nostro caso, perché questo editoriale, come dicevamo prima, non contiene propriamente nessun “fact”, nessuna informazione di prima mano. Quindi il mio lavoro è finito. Domande?

“Professore, mio papà lavora in una fabbrica simile, però produce le macchine, anche dieci al giorno”.

Non male, tesoro, anche se dovrà abituarsi a produrne un po' di più. Ma qual è la domanda?

“Ecco, io volevo chiedere, tu quanti editoriali produci in un giorno?”

In un giorno? Per carità, al massimo ne faccio un paio alla settimana. Sono più che sufficienti.

“E tutto il resto del tempo cosa fai?”

Beh, mi concentro per scriverli meglio. E poi ho anche altri lavori, per esempio faccio lezioni all'università, utilizzando più o meno le stesse scocche che si adoperano qui, ma con una zincatura più pesante. Poi ogni tanto prendo tutti i miei editoriali, li monto in una scocca più pesante con copertina di cartone e rilegatura in brossura, e li rivendo di nuovo ai vostri genitori in libreria.

“Mio papà in libreria compra solo i divudì”.

E a volte mi invitano in tv a dire due parole sui miei libri. Insomma, sono molto impegnato.

“Ma professore, come si fa a diventare editorialisti?”

Eh, figliolo, bisogna studiare tanto tanto. E poi ancora tanto tanto. Fare tanti sacrifici. E poi, un giorno, chiedere a tuo papà se ti fa scrivere nel suo giornale, o in quello dell'amico del cognato, o se suo zio rettore ti assume all'università, cose così.

“Mio zio di mestiere guida il muletto dietro l'esselunga, mi ha promesso che me lo fa provare”.

Direi che tua strada è segnata. Altre domande?

“Professore, ma lei non ha paura della globa... come si chiama”.

Della globalizzazione? Tesoro, perché dovrei averne paura io?

“Ma lo ha detto prima, c'è sempre gente al mondo che è disposta a lavorare per meno euro all'ora. Questo non vale anche per lei?”

Ma no... vedi, la maggior parte di queste persone stanno in Cina e in India, e se si sforzano possono anche imparare a guidare il muletto dello zio del tuo compagno, ma prima che imparino a scrivere editoriali in italiano... eh, ci vorrà ancora molto tempo. Quindi il mio mestiere è al sicuro, vedete, perché è ancora un mestiere antico, come li chiamavano nel medioevo... un'Arte. Ci vogliono anni e anni di esperienza per riuscire a scrivere quello che...

“Professore, mio papà a volte ti legge...”

Oh, finalmente.

“...e dice che quello che scrivi tu lo potrebbe scrivere anche un bambino delle elementari, e in effetti adesso che ci hai mostrato come si fa, penso che mio papà ha ragione”.

Si dice “abbia ragione”. Vedi? Credi che sia facile, ma poi sbagli i congiuntivi.

“Professore, abbia pazienza, i congiuntivi esprimono: dubbio, incertezza, sospetto, mentre io sono assolutamente sicuro che mio papà HA ragione”.
“Io se scrivo temi con idee così banali la maestra mi dà al massimo sette meno meno”.
“Mia mamma ha smesso di leggerti da tre anni, dice che su internet ci sono persone che scrivono gratis cose molto più interessanti”.
“Mio papà quanto ti vede in tv la spegne, dice che piuttosto di starti ad ascoltare va al bar, dove almeno la gente che dice le tue banalità si può insultare dal vivo”.
“Adesso, professore, onestamente: quanto guadagna netto in quei cinque minuti in cui spiega con belle parole che i nostri genitori non devono più fare la pausa caffè?”

Fermi, state fermi... se mi venite tutti addosso non respiro...

“Professore, secondo me tu sei un parassita che non servi a nulla, nessun indiano o cinese ti verrà a sostituire perché fondamentalmente il tuo mestiere ormai è inutile”.
“Sei convinto di vivere in una torre d'avorio in mezzo alla pianura dell'ignoranza, quando ti basterebbe dare un'occhiata alla finestra per accorgerti che tutto intorno ormai è pieno di grattacieli”.

Maledette canagliette, dov'è la vostra maestrina?

“Sono qui dietro”.

Richiama queste piccole pesti, mi vengono addosso!

“Ehiehi, che maniere. Mi dia del lei, intanto, sono una professoressa anch'io. Ho appena conseguito un dottorato di ricerca in Letteratura per l'Infanzia, se ha dato un'occhiata al mio curriculum avrà notato che negli ultimi tre anni ho scritto più articoli scientifici di lei”.

Ma io mica leggo i curriculum...

“Già, che bisogno c'è. Dalla sua torretta siamo tutte maestrine. Allora bimbi, cosa vogliamo fare di questo babbano inutile?”
“Impicchiamolo!”
“Alla sua cravatta!”
“Dai!”
“Buttiamolo nel cesto dei Luoghi Comuni, in fondo è quello che è”.
“Anzi, probabilmente è lì che lo hanno trovato”.
“Lo hanno assemblato su una di queste scocche”.
“Poi a un certo punto si è convinto di essere un umano, ma è stato tanti anni fa, quando la gente ancora lo leggeva!”
“Meravigliosa intuizione, Kevin. Va bene, smontiamolo e vediamo se riusciamo ad assemblarlo in un modo più originale”.

Indietro! Indietro! Canaglia! Canaglia!

***

“Professore, dice a me?”

Eh? Oddio, era tutto un incubo. Devo essermi appisolato e... ma cosa sono queste urla di là? Ci sono dei bambini?

“Bambini? Ma no, è la vertenza. Sa che dobbiamo mandare a casa un'altra dozzina di redattori”.

Ancora?

“Che ci vuol fare, professore, continuiamo a perdere copie... Piuttosto, è pronto l'editoriale?”

No, mi dispiace, mi devo essere assopito e... Qual era l'argomento, scusami?

“Riforma Gelmini. Deve scrivere che gli studenti sono reazionari, non accettano le novità, difendono lo status quo”.

Ma l'ho già scritto la settimana scorsa.

“Va bene, allora prende il pezzo della settimana scorsa, lo smonta, lo riassembla in un ordine diverso, cambia un po' di sinonimi... se è stanco le mando uno stagista, ce n'è uno giovane che è molto bravo”.

No, no, faccio da solo.

“Guardi che non è un problema, tanto lo stagista è qua. E non lo paghiamo mica a prestazione. Anzi, non lo paghiamo proprio, ahah”.

Quanti anni ha?

“Un po' meno di trenta, direi... ventotto, ventisei...”

Alla sua età io ero già in facoltà... prendevo l'assegnino...

“Cosa ci vuol fare, professore, è una generazione di... di bamboccioni, no? Non l'ha detta lei questa cosa?”

No. Non ero io. L'ha detta uno che adesso è morto.

“Ah, mi scusi. Devo averla vista nel cestone dei Luoghi Comuni, e ho pensato che fosse roba sua”.

Eh? Cos'hai detto?




FINE
*******

"Un dialogo a più voci, però!", disse allora l'intrigata Verola. "Aureliano, il tuo coraggio non si fa scrupolo di superare i limiti della prudenza. Che ne pensi, Taddei?"
"Mia signora, perché lo chiede proprio a me?"
"Forse per le cinque volte che hai sbuffato durante la recitazione? Il racconto evidentemente non ha incontrato i tuoi gusti".
"Mia signora, non è a me che qui spetta il ruolo di giudice: e tuttavia se possibile vorrei fosse messo agli atti che i dialoghetti didascalici del mio avversario mi urtano; che il suo populismo frustrato, che non a caso parla per mezzo di bambini di scuola elementare imbeccati a ideologia, offende la mia intelligenza; e il tono da agitprop con cui ci elargisce l'ennesimo capitolo del suo martirologio mi ributta, sì, mi ributta profondamente".
"Disgustare i lettori come te", rispose Aureliano, "potrebbe anche essere uno dei miei obiettivi".
"E in ciò almeno ti sbagli, Aureliano", replicò Verola, "giacché l'unico obiettivo, qui, è intrattenermi e fare prova della vostra abilità narrativa. Come ci dimostrerà Taddei domani, con un nuovo racconto interessante e originale, vero Taddei? Ma ora a nanna, ché domani mattina c'è il corso di equitazione"
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