Lettera a un giovane ichino
21-12-2011, 23:36articolo 18, Cgil, la sinistra perde anche per questo motivo, lavoroPermalinkCaro giovane disoccupato, oppure lavoratore, e quindi sicuramente precario. Caro giovane di sinistra, o di destra, o di nessuno, o del migliore offerente.
Tu che su facebook scrivi almeno una volta al giorno che il sindacato non ti rappresenta; che il PD è un partito di pensionati per i pensionati; che l'articolo 18 è un arnese fuori dal tempo che ti opprime; tu che tra le caste che soggiogano questa povera Italia non ti stanchi mai di ricordare la più odiosa, quella dei dipendenti a tempo indeterminato illicenziabili; tu che non ti perdi un'intervista a Pietro Ichino e me ne aggiorni su twitter; caro giovane disoccupato o precario:
volevo dirti che in linea di massima hai ragione.
Il sindacato davvero non ti rappresenta – del resto dovrebbe? Non sei iscritto. Il sindacato non è un ente benefico che lotta per un mondo migliore: è un'associazione che tutela i diritti dei suoi tesserati. Il PD è davvero un partito di pensionati, anzi ha il suo daffare a tenersi buono lo zoccolo molle di anziani che rimane fondamentale in vista delle elezioni dell'anno prossimo. E quindi, insomma, ti resta Pietro Ichino. Ti ha spiegato che in Italia c'è un recinto di lavoratori tutelati (pochi) e una prateria di precari e disoccupati, e la sua proposta è più o meno: aboliamo il recinto. Dopo ci sarà più lavoro per tutti e anche più diritti, sì, per tutti. Sto semplificando, ma non è che Ichino e i suoi altoparlanti su giornali e tv la facciano molto più complicata, eh? Diciamo che la mettono giù in un modo più convincente.
Però, caro giovane, tu e Ichino potreste avere ragione anche su questo. Che ne so io, dopotutto. E quindi non ti chiedo di smettere di prendertela col PD, o con la CGIL, o con quel feticcio che è l'articolo 18. Puoi continuare se ti va a vedere in me un membro della casta, perché ho un contratto a tempo indeterminato, anche se alla fine del mese magari piglio meno di te. Vorrei soltanto essere sicuro che tu abbia capito cosa stai chiedendo.
Tu non stai chiedendo di abbattere il mio steccato. Quello ormai resta. La Fornero non si pone neanche il problema. Nemmeno Ichino osa. Il mio steccato non è in discussione. Tu stai semplicemente lottando perché nessuno sia più ammesso dall'altra parte. Chi è stato assunto prima della futura riforma Ichino resterà più o meno garantito. Gli altri, anche se sono arrivati a un tempo determinato dopo anni di contratti a progetto, resteranno per sempre al di qua. Licenziabili per un capriccio.
Posso essere più chiaro? Tu non stai lottando per togliere un diritto a me. Tu stai chiedendo che lo stesso diritto non possa più essere esteso al te stesso di domani. E si capisce, sei giovane e pieno di energia. Cambiare contratto una volta al mese non ti spaventa, perché dovresti ambire a una sistemazione a tempo continuato sotto l'ombrello dell'articolo 18? e a una panchina ai giardinetti, già che ci siamo? Largo ai giovani.
Lo stesso vale per le pensioni. Quando chiedi che siano tagliate, non stai parlando delle pensioni dei tuoi genitori. Stai parlando della tua. Quando auspichi l'abolizione della pensione di anzianità, non stai parlando della mia anzianità: stai parlando della tua. Quando chiedi che sia innalzata l'età pensionabile, è della tua vita che si parla. (Ma tanto tu non invecchierai come tutti gli altri, tu a 66 anni sarai ancora pieno di tanta voglia di fare). Lo so che sei in buona fede, quando pensi che il corpo flaccido e inerte del mondo del lavoro si meriti una sferzata: voglio solo essere sicuro che tu abbia capito che l'unica schiena a disposizione è la tua. Dopodiché, puoi continuare a ichineggiare e perfino sacconeggiare, se ti fa sentire bene. Magari hai ragione. Magari davvero l'unica strada è quella di alzare l'età pensionabile (la tua), e rendere più facile il licenziamento (tuo). Io resto scettico, ma è Ichino l'esperto.
E lui sta pur tranquillo che non lo licenzia nessuno.
Tu che su facebook scrivi almeno una volta al giorno che il sindacato non ti rappresenta; che il PD è un partito di pensionati per i pensionati; che l'articolo 18 è un arnese fuori dal tempo che ti opprime; tu che tra le caste che soggiogano questa povera Italia non ti stanchi mai di ricordare la più odiosa, quella dei dipendenti a tempo indeterminato illicenziabili; tu che non ti perdi un'intervista a Pietro Ichino e me ne aggiorni su twitter; caro giovane disoccupato o precario:
volevo dirti che in linea di massima hai ragione.
Il sindacato davvero non ti rappresenta – del resto dovrebbe? Non sei iscritto. Il sindacato non è un ente benefico che lotta per un mondo migliore: è un'associazione che tutela i diritti dei suoi tesserati. Il PD è davvero un partito di pensionati, anzi ha il suo daffare a tenersi buono lo zoccolo molle di anziani che rimane fondamentale in vista delle elezioni dell'anno prossimo. E quindi, insomma, ti resta Pietro Ichino. Ti ha spiegato che in Italia c'è un recinto di lavoratori tutelati (pochi) e una prateria di precari e disoccupati, e la sua proposta è più o meno: aboliamo il recinto. Dopo ci sarà più lavoro per tutti e anche più diritti, sì, per tutti. Sto semplificando, ma non è che Ichino e i suoi altoparlanti su giornali e tv la facciano molto più complicata, eh? Diciamo che la mettono giù in un modo più convincente.
Però, caro giovane, tu e Ichino potreste avere ragione anche su questo. Che ne so io, dopotutto. E quindi non ti chiedo di smettere di prendertela col PD, o con la CGIL, o con quel feticcio che è l'articolo 18. Puoi continuare se ti va a vedere in me un membro della casta, perché ho un contratto a tempo indeterminato, anche se alla fine del mese magari piglio meno di te. Vorrei soltanto essere sicuro che tu abbia capito cosa stai chiedendo.
Tu non stai chiedendo di abbattere il mio steccato. Quello ormai resta. La Fornero non si pone neanche il problema. Nemmeno Ichino osa. Il mio steccato non è in discussione. Tu stai semplicemente lottando perché nessuno sia più ammesso dall'altra parte. Chi è stato assunto prima della futura riforma Ichino resterà più o meno garantito. Gli altri, anche se sono arrivati a un tempo determinato dopo anni di contratti a progetto, resteranno per sempre al di qua. Licenziabili per un capriccio.
Posso essere più chiaro? Tu non stai lottando per togliere un diritto a me. Tu stai chiedendo che lo stesso diritto non possa più essere esteso al te stesso di domani. E si capisce, sei giovane e pieno di energia. Cambiare contratto una volta al mese non ti spaventa, perché dovresti ambire a una sistemazione a tempo continuato sotto l'ombrello dell'articolo 18? e a una panchina ai giardinetti, già che ci siamo? Largo ai giovani.
Lo stesso vale per le pensioni. Quando chiedi che siano tagliate, non stai parlando delle pensioni dei tuoi genitori. Stai parlando della tua. Quando auspichi l'abolizione della pensione di anzianità, non stai parlando della mia anzianità: stai parlando della tua. Quando chiedi che sia innalzata l'età pensionabile, è della tua vita che si parla. (Ma tanto tu non invecchierai come tutti gli altri, tu a 66 anni sarai ancora pieno di tanta voglia di fare). Lo so che sei in buona fede, quando pensi che il corpo flaccido e inerte del mondo del lavoro si meriti una sferzata: voglio solo essere sicuro che tu abbia capito che l'unica schiena a disposizione è la tua. Dopodiché, puoi continuare a ichineggiare e perfino sacconeggiare, se ti fa sentire bene. Magari hai ragione. Magari davvero l'unica strada è quella di alzare l'età pensionabile (la tua), e rendere più facile il licenziamento (tuo). Io resto scettico, ma è Ichino l'esperto.
E lui sta pur tranquillo che non lo licenzia nessuno.
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C'è sempre qualcuno che ti odia (sull'internet)
21-12-2011, 02:47antisemitismo, blog, fascismo, giornalisti, indignazione, razzismiPermalinkLa lista è la morte
C'è stato un po' di baccano, ieri, a causa di una lista comparsa su di un sito neonazista. Io sono arrivato a casa tardi e non sono riuscito a leggerla: il sito era inaccessibile a causa del traffico elevato (poi è tornato visibile, ma la lista era stata cancellata). Si trattava di un forum semisconosciuto, ma quando i quotidiani hanno scoperto il fattaccio (Repubblica è stato il primo, direi), da blog e social network tutti hanno cominciato a puntare link verso la lista, che da quel che ho capito censiva gli italiani da odiare perché amici degli immigrati.
Io naturalmente sto con gli immigrati, auspico l'estinzione dei fascisti eccetera. Però queste ondate di indignazione mi lasciano perplesso. Un gruppetto di fascisti butta giù un elenco di nominativi; nessuno per quanto ne so ha scritto “italiani da ammazzare”. È una lista di persone odiose, su internet se ne stilano parecchie. Peraltro non è mai successo fin qui che un personaggio à la Breivik o alla Casseri, nel momento in cui decide di passare alle vie di fatto, utilizzi una lista divulgata via internet: di solito c'è un notevole scarto tra chi scrive su un foglietto (o su un sito) i nomi delle persone che detesta e chi si procura le armi e scende in strada a farle fuori. Insomma le possibilità che quella lista potesse ispirare l'istinto criminale di un fanatico erano abbastanza esigue. Fino a ieri.
Poi ieri Repubblica, Twitter e via dicendo hanno iniziato a puntare sul forum semisconosciuto. Migliaia di persone hanno potuto leggere la lista o scaricarla prima che si oscurasse, e a questo punto la possibilità che qualche emulo di Casseri l'abbia letta e decida di utilizzarla è cresciuta sensibilmente. È il solito doppio taglio dell'informazione: vale la pena dare risalto nazionale a un gruppetto che stila liste di proscrizione? Io non lo avrei fatto; oltre al concreto rischio di attirare l'attenzione su gente pericolosa, mi ritroverei anche a spalare l'acqua col forcone: sicuramente da qualche parte qualcun altro sta compilando un'altra lista di persone da odiare, internet glielo consente e io non posso fare il cane da guardia di internet, mica mi pagano. C'è chi invece può.
Il giornalista che ha scoperto la lista di ieri non è nuovo a scoop del genere. Un'occhiata al suo sito (molto interessante) suggerisce l'impressione che le sue scoperte siano frutto di un'indagine sistematica: come quel prete che batte l'internet alla ricerca di siti pedofili, il giornalista in questione è costantemente alla caccia di segnali di razzismo, antisemitismo, intolleranza. Avrete notato che non lo chiamo per nome.
È uno scrupolo ridicolo, chiunque può benissimo recuperare le sue generalità. E anche lui presto o tardi troverà questo mio post, lo leggerà, e deciderà se infilarlo o no in un eventuale dossier sull'antisemitismo di sinistra. In effetti è lo stesso giornalista che la scorsa primavera commise una grossa carognata nei confronti di una mia doppia collega, blogger e insegnante, la quale professa opinioni fortemente critiche nei confronti dello Stato d'Israele. Il giornalista in questione l'accusò, sempre su Repubblica, di negazionismo: accusa falsa, peraltro. Non solo, ma nello stesso articolo suggerì, in modo piuttosto ambiguo (anche un po' maldestro, via), che questa blogger, essendo insegnante, avrebbe anche insegnato il negazionismo ai suoi studenti (e in effetti noi blogger-insegnanti siamo proprio così, la molla che ci spinge a riempire lenzuolate digitali sul sionismo o su San Giovanni Damasceno è che sono proprio gli stessi argomenti che spieghiamo a lezione ripetutamente, a tutte le classi, tutti gli anni, siamo così felici di continuare a parlare di sionismo e San Giovanni Damasceno che anche sul blog non vorremmo scrivere d'altro. Sono ironico). E arrivarono gli ispettori. Parli male d'Israele su un blog? Faccio in modo che ti arrivino gli ispettori a scuola. Ecco.
Per tagliar corto: il giornalista in questione ha già ampiamente dimostrato che se vuole sputtanare un insegnante lo fa. Però questo non è un buon motivo per non chiamarlo per nome e per cognome; magari era un buon motivo per non iniziare nemmeno a scrivere questo post, per fare finta di niente. Invece sto parlando di lui, ma il suo nome non lo metto perché si sa cosa succede ai nomi: li lasci lì e dopo un po' diventano una lista: e io una lista non la voglio fare, la lista è la morte, e anche se mi scappasse una lista, mai vorrei mettere al primo posto lui. Lui è un buon diavolo con una missione: battere la campagna, censire tutti gli insetti, tutti i parassiti che ce l'hanno con quelli come lui. O con qualche altra minoranza, tutto fa brodo. E sono convinto che nel suo far circolare insetti e parassiti è in buona fede: il suo scopo è mostrare quanta intolleranza (e quanto antisemitismo) ci siano in Italia, e a tale scopo qualsiasi infimo insetto, qualsiasi larva di bacherozzo abbia dichiarato di non sopportare il presidente della comunità ebraica di Roma fa buon brodo. Il problema è che in quel brodo i bacherozzi sguazzano, e sembrano addirittura ingrossare – ma questo effetto ottico collaterale il giornalista in questione lo ritiene sopportabile. Oppure si tratta del solito gioco win/win: i bacherozzi ottengono più visibilità, le minoranze minacciate più solidarietà. Sì. Non credo che convenga a tutte le minoranze.
C'è stato un po' di baccano, ieri, a causa di una lista comparsa su di un sito neonazista. Io sono arrivato a casa tardi e non sono riuscito a leggerla: il sito era inaccessibile a causa del traffico elevato (poi è tornato visibile, ma la lista era stata cancellata). Si trattava di un forum semisconosciuto, ma quando i quotidiani hanno scoperto il fattaccio (Repubblica è stato il primo, direi), da blog e social network tutti hanno cominciato a puntare link verso la lista, che da quel che ho capito censiva gli italiani da odiare perché amici degli immigrati.
Io naturalmente sto con gli immigrati, auspico l'estinzione dei fascisti eccetera. Però queste ondate di indignazione mi lasciano perplesso. Un gruppetto di fascisti butta giù un elenco di nominativi; nessuno per quanto ne so ha scritto “italiani da ammazzare”. È una lista di persone odiose, su internet se ne stilano parecchie. Peraltro non è mai successo fin qui che un personaggio à la Breivik o alla Casseri, nel momento in cui decide di passare alle vie di fatto, utilizzi una lista divulgata via internet: di solito c'è un notevole scarto tra chi scrive su un foglietto (o su un sito) i nomi delle persone che detesta e chi si procura le armi e scende in strada a farle fuori. Insomma le possibilità che quella lista potesse ispirare l'istinto criminale di un fanatico erano abbastanza esigue. Fino a ieri.
Poi ieri Repubblica, Twitter e via dicendo hanno iniziato a puntare sul forum semisconosciuto. Migliaia di persone hanno potuto leggere la lista o scaricarla prima che si oscurasse, e a questo punto la possibilità che qualche emulo di Casseri l'abbia letta e decida di utilizzarla è cresciuta sensibilmente. È il solito doppio taglio dell'informazione: vale la pena dare risalto nazionale a un gruppetto che stila liste di proscrizione? Io non lo avrei fatto; oltre al concreto rischio di attirare l'attenzione su gente pericolosa, mi ritroverei anche a spalare l'acqua col forcone: sicuramente da qualche parte qualcun altro sta compilando un'altra lista di persone da odiare, internet glielo consente e io non posso fare il cane da guardia di internet, mica mi pagano. C'è chi invece può.
Il giornalista che ha scoperto la lista di ieri non è nuovo a scoop del genere. Un'occhiata al suo sito (molto interessante) suggerisce l'impressione che le sue scoperte siano frutto di un'indagine sistematica: come quel prete che batte l'internet alla ricerca di siti pedofili, il giornalista in questione è costantemente alla caccia di segnali di razzismo, antisemitismo, intolleranza. Avrete notato che non lo chiamo per nome.
È uno scrupolo ridicolo, chiunque può benissimo recuperare le sue generalità. E anche lui presto o tardi troverà questo mio post, lo leggerà, e deciderà se infilarlo o no in un eventuale dossier sull'antisemitismo di sinistra. In effetti è lo stesso giornalista che la scorsa primavera commise una grossa carognata nei confronti di una mia doppia collega, blogger e insegnante, la quale professa opinioni fortemente critiche nei confronti dello Stato d'Israele. Il giornalista in questione l'accusò, sempre su Repubblica, di negazionismo: accusa falsa, peraltro. Non solo, ma nello stesso articolo suggerì, in modo piuttosto ambiguo (anche un po' maldestro, via), che questa blogger, essendo insegnante, avrebbe anche insegnato il negazionismo ai suoi studenti (e in effetti noi blogger-insegnanti siamo proprio così, la molla che ci spinge a riempire lenzuolate digitali sul sionismo o su San Giovanni Damasceno è che sono proprio gli stessi argomenti che spieghiamo a lezione ripetutamente, a tutte le classi, tutti gli anni, siamo così felici di continuare a parlare di sionismo e San Giovanni Damasceno che anche sul blog non vorremmo scrivere d'altro. Sono ironico). E arrivarono gli ispettori. Parli male d'Israele su un blog? Faccio in modo che ti arrivino gli ispettori a scuola. Ecco.
Per tagliar corto: il giornalista in questione ha già ampiamente dimostrato che se vuole sputtanare un insegnante lo fa. Però questo non è un buon motivo per non chiamarlo per nome e per cognome; magari era un buon motivo per non iniziare nemmeno a scrivere questo post, per fare finta di niente. Invece sto parlando di lui, ma il suo nome non lo metto perché si sa cosa succede ai nomi: li lasci lì e dopo un po' diventano una lista: e io una lista non la voglio fare, la lista è la morte, e anche se mi scappasse una lista, mai vorrei mettere al primo posto lui. Lui è un buon diavolo con una missione: battere la campagna, censire tutti gli insetti, tutti i parassiti che ce l'hanno con quelli come lui. O con qualche altra minoranza, tutto fa brodo. E sono convinto che nel suo far circolare insetti e parassiti è in buona fede: il suo scopo è mostrare quanta intolleranza (e quanto antisemitismo) ci siano in Italia, e a tale scopo qualsiasi infimo insetto, qualsiasi larva di bacherozzo abbia dichiarato di non sopportare il presidente della comunità ebraica di Roma fa buon brodo. Il problema è che in quel brodo i bacherozzi sguazzano, e sembrano addirittura ingrossare – ma questo effetto ottico collaterale il giornalista in questione lo ritiene sopportabile. Oppure si tratta del solito gioco win/win: i bacherozzi ottengono più visibilità, le minoranze minacciate più solidarietà. Sì. Non credo che convenga a tutte le minoranze.
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Non siete Angeli
19-12-2011, 19:39migranti, preti parlantiPermalinkLo spieghi a Mohammed.
Cardinale Bagnasco, lei senz'altro in quanto presidente della Conferenza Episcopale Italiana ha tutto il diritto di dire quel che vuole, e quel diritto nessuno glielo contesta; però ha anche il diritto di prendermi in giro? Secondo me no. E allora perché ha detto a Cazzullo che la Chiesa paga l'ICI, quando chiunque può dare un'occhiata e capire che non è vero? Non è vero; possiamo discutere all'infinito se sia giusto o no, ma non è vero: la Chiesa non paga l'ICI sui seminari; sulle scuole private; sulle sale parrocchiali; sulle residenze dei preti, che sono lavoratori italiani quanto me: ma io la pagherò, loro no. Sbagliate o giuste che siano, le cose stanno così, e lei non dovrebbe dire a Cazzullo che stanno diversamente. (E Cazzullo dovrebbe essere il primo a farglielo presente, ma lasciamo stare per adesso Cazzullo).
Cardinale Bagnasco, lei senz'altro in quanto presidente della Conferenza Episcopale Italiana ha tutto il diritto di dire quel che vuole, e quel diritto nessuno glielo contesta; però ha anche il diritto di prendermi in giro? Secondo me no. E allora perché ha detto a Cazzullo che la Chiesa paga l'ICI, quando chiunque può dare un'occhiata e capire che non è vero? Non è vero; possiamo discutere all'infinito se sia giusto o no, ma non è vero: la Chiesa non paga l'ICI sui seminari; sulle scuole private; sulle sale parrocchiali; sulle residenze dei preti, che sono lavoratori italiani quanto me: ma io la pagherò, loro no. Sbagliate o giuste che siano, le cose stanno così, e lei non dovrebbe dire a Cazzullo che stanno diversamente. (E Cazzullo dovrebbe essere il primo a farglielo presente, ma lasciamo stare per adesso Cazzullo).
Lei poi cardinale può parlare finché vuole di solidarietà: può ripetere all'infinito che i soldi che non paga allo Stato li dà ai poveri direttamente, e le mense della Caritas e tutto il resto. Può riempirsi la bocca un altro po' di quella splendida parola-libera-tutti, sussidarietà: dove lo Stato non arriva (perché non ha i soldi) ci arriva la scuola dei preti (coi soldi che prende allo Stato), l'oratorio dei preti, financo la piscina dei preti. Me lo può dire perché mi chiamo Leonardo, e quindi è previsto che me la beva.
Allora facciamo che stasera non mi chiamo più Leonardo. Stasera mi chiamo Mohammed. Ecco, lo spieghi a me che mi chiamo Mohammed, che se nel quartiere non c'è una scuola pubblica decente posso mandare mio figli alla scuola dei preti, coraggio, mi dica così. Tanto è noto che la percentuale dei bambini musulmani nelle scuole paritarie è uguale a quella nelle scuole pubbliche, no? Mi dica che al pomeriggio, quando io sono al lavoro e mia moglie pure, e mio figlio rischia di entrare nella compagnia del parchetto che negli ultimi anni ha formato i più professionali spacciatori del quartiere, ecco: mi dica che invece al pomeriggio posso portarlo in Parrocchia, all'oratorio, agli scout; che sono senz'altro aconfessionali o interconfessionali, vero? Mi dica che non c'è problema, che potrà andare in gita a Roma o a Loreto con tutti i suoi amici del corso chierichetti. Mi dica che anch'io, se voglio venire la sera al circolo Acli, sono ben accetto; che c'è una stanza per non bevitori, magari c'è anche un posto per pregare, visto che sì, in teoria anche una Moschea non pagherebbe l'ICI, ma in pratica non ce la fanno costruire, e quindi... insomma, cardinale, mi dica che nell'Italia multietnica di oggi la Chiesa ha deciso di diventare sussidiaria anche nei confronti delle necessità sociali espresse da comunità religiose non cattoliche, e quindi ad essa concorrenti. Me lo dica. A me che mi chiamo Mohammed. E cerchi di restare serio, mentre me lo dice.
Allora Cardinale, comincia a capire perché è ingiusto che le sue scuole, i suoi oratori, le sue polisportive, i suoi seminari non paghino l'ICI? Che non siamo più negli anni Settanta, non possiamo più demandare a un ente confessionale servizi a cui hanno diritto anche persone non battezzate? Lei sostiene che quello che la Chiesa non paga, lo reinveste in solidarietà. Non vede, o finge di non vedere, che nelle città più grandi e nei piccoli paesi questa solidarietà sta alzando uno steccato tra chi ha un certificato di battesimo e chi non ce l'ha. Lo so anch'io che alla mensa dei poveri non guardate chi è cristiano. Già all'asilo parrocchiale però le cose vanno un po' diversamente, vero? E d'altro canto voi le suorine le dovete far lavorare; però io se mi chiamo Mohammed non ho tutta questa voglia di lasciare mio figlio alle suorine, è colpa mia? Pago le tasse, compresa l'ICI: non ho diritto a una scuola pubblica senza suorine che, francamente con quella testa coperta, possono anche farmi un po' paura? Eh sì, cardinale Bagnasco. Metta che io me ne sia andato dal Marocco proprio perché questa cosa delle donne coperte non mi andava più giù.
Cardinale, per carità, lei fa il suo mestiere: è ovvio che tiri a pagare il meno possibile. Però certe storielle per favore, non me le racconti più. Ormai qui siamo alla seconda generazione di immigrati, e lei sa benissimo cosa vuol dire. La partita vera ce la giochiamo adesso. O riusciamo a integrare i figli degli immigrati, di qualsiasi origine o fede religiosa, oppure andremo avanti a compartimenti stagni: con interi quartieri senza polisportive, senza doposcuola pomeridiani, senza nulla che non sia la piccola camorra del parchetto. Abbiamo bisogno di centri sociali veri, come in Francia: abbiamo bisogno che “centro sociale” non sia più sinonimo di casa occupata da militanti extraparlamentari, ma sia il punto di riferimento della vita giovanile di un quartiere: un centro interconfessionale dove un ragazzino di qualsiasi fede può venire al pomeriggio a fare i compiti, o palestra, o a fare musica, o a leggersi un libro. Abbiamo bisogno di un servizio come questo e no, non possiamo più far finta che l'oratorio parrocchiale vada comunque bene. Non è più sussidiarietà questa, è una truffa. Non possiamo obbligare un contribuente musulmano a mandarci i suoi figli, e non possiamo obbligare un prete cattolico ad accettarli. A scuola non possiamo più avere classi con dieci alunni stranieri nello stesso quartiere dove c'è una scuola cattolica dove sono tutti italiani (e pagano). Si strappa il tessuto sociale, così. E non è una cosa che possano ricucire le dame dell'Unitalsi.
Cardinale, molli l'osso. Dia a Cesare quello che a Cesare spetta: tocca a lui finanziare terme e ginnasi in perdita, non a voi. Si ricordi che ogni bugia smaccata che racconta ai suoi cazzulli, sono altri mille o diecimila buoni cristiani che si segnano di devolvere l'otto per mille ai Valdesi. Faccia i suoi conti, e non ci dica più bugie.
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I nuovi Cesari
17-12-2011, 00:24RomaPermalink
Vae Victis, dotto'.
Un po' come quando la plebe romana in sostanza gestiva l'Impero, facendo e disfacendo gli imperatori a seconda di quanto pane e quanti circenses gli promettevano; un po' come quando il fine ultimo dell'amministrazione del glorioso Impero romano era la pancia del plebeo: forse l'arcano è tutto qui. L'Italia di oggi è fatta in un certo modo, con una capitale (dis)organizzata in un certo modo, e un traffico (de)strutturato in un certo modo, perché il fine ultimo dell'Italia è il tassista. È lui che deve camparci: quindi ci devono essere tot licenze (poche), tot semafori (tanti), tot linee della metro (poche), tot ciclabili (anche zero), tot ingorghi (il più possibile)... l'osservatore ingenuo ci vedrebbe il caos: al contrario è tutto un ingranaggio complesso e mirabile per servire il fine ultimo dell'universo, il tassista scoglionato che ascolta alla radio i retroscena sull'ultimo allenamento della Lazio. E in tutto questo io per esempio chi sono? Sovrastruttura. Servo fin tanto che insegno italiano ai figli dei clienti dei tassisti, servo quel poco che necessita a facilitare il dialogo tra il tassista e il futuro cliente, ma il mio fine ultimo è lui. Oltre al farmacista, ovviamente. Ma il farmacista lo conosco già, e lo temo.
Il tassista invece mi rimane un idolo misterioso, io vivo in provincia e in media prendo un taxi ogni due anni e mezzo, non avete idea di quanto sia surreale per me rendersi conto che in Italia comandano loro: scendere a Termini ogni tanto, vederli in fila, socchiudere gli occhi e cercare di immaginarseli come tante Marie Antoniette in altrettanti cocchi dorati – niente da fare, quelli smadonnano e clacsonano, sono i nuovi Cesari e manco si divertono. Intanto i giornalisti restano a piedi.
Ho scoperto sul Corriere (me ingenuo provinciale) che uno degli strumenti adoperati dai tassisti per mantenersi saldamente al potere è la deliberata disseminazione di notizie false, con quella capillarità che solo migliaia di automobilisti ciarlieri possono offrire. Rutelli voleva liberalizzare? Il tassista chiacchierando col cliente cominciava ad accennare agli interessi di Rutelli nella società dei parcometri; la bufala girava e Rutelli perdeva punti nei sondaggi. E noi stiamo a perder tempo su Internet, l'autostrada informatica, le informazioni alla velocità della luce e tutte le altre menate. Là fuori c'è il mondo vero, dove per trasferirsi dal punto A al punto B si viaggia ancora alla velocità modesta del taxi, e le informazioni te le fornisce intanto l'autista. Il tuo diaframma con la realtà. “Di Veltroni si disse che per illuminare la galleria sotto il Quirinale avesse tolto elettricità agli ospedali”. Il medium non è solo il messaggio, è anche il mezzo di trasporto – trasporto si fa per dire, a piedi arrivi prima, ma l'importante è il viaggio, non l'arrivo. L'importante è che l'economia giri, quel tanto da far girare il tassista. Il primo motore, non proprio immobile ma quasi. E i giornalisti vanno a casa.
Eppure erano titolari dello stesso potere, il quarto o il quinto, non ricordo. Potevano lanciare le informazioni, vere false e presunte, potevano spostare anche loro qualche voto, no? Si vede che non ne spostavano abbastanza: in generale, quando ci fu da scegliere, la lobby dei tassisti si salvò e la corporazione della carta stampata imbarcò acqua. Si vede che davamo più retta all'autista che ci dava del dotto' che all'editorialista che ci prendeva per cretini. Si vede che in generale leggiamo poco, abbiamo sempre letto troppo poco, il destino di una nazione è nelle sue abitudini e noi a leggere fino in fondo quelle righe scritte in piccolo non ci siamo mai abituati. Sul sedile dietro, poi, alla prima curva mi si rivolta dentro il cappuccino: ripiego il foglio e il tizio intanto: "Dotto', la sa l'ultima su Monti?"
(A Cesare, che una volta mi diede un passaggio).
Un po' come quando la plebe romana in sostanza gestiva l'Impero, facendo e disfacendo gli imperatori a seconda di quanto pane e quanti circenses gli promettevano; un po' come quando il fine ultimo dell'amministrazione del glorioso Impero romano era la pancia del plebeo: forse l'arcano è tutto qui. L'Italia di oggi è fatta in un certo modo, con una capitale (dis)organizzata in un certo modo, e un traffico (de)strutturato in un certo modo, perché il fine ultimo dell'Italia è il tassista. È lui che deve camparci: quindi ci devono essere tot licenze (poche), tot semafori (tanti), tot linee della metro (poche), tot ciclabili (anche zero), tot ingorghi (il più possibile)... l'osservatore ingenuo ci vedrebbe il caos: al contrario è tutto un ingranaggio complesso e mirabile per servire il fine ultimo dell'universo, il tassista scoglionato che ascolta alla radio i retroscena sull'ultimo allenamento della Lazio. E in tutto questo io per esempio chi sono? Sovrastruttura. Servo fin tanto che insegno italiano ai figli dei clienti dei tassisti, servo quel poco che necessita a facilitare il dialogo tra il tassista e il futuro cliente, ma il mio fine ultimo è lui. Oltre al farmacista, ovviamente. Ma il farmacista lo conosco già, e lo temo.
Il tassista invece mi rimane un idolo misterioso, io vivo in provincia e in media prendo un taxi ogni due anni e mezzo, non avete idea di quanto sia surreale per me rendersi conto che in Italia comandano loro: scendere a Termini ogni tanto, vederli in fila, socchiudere gli occhi e cercare di immaginarseli come tante Marie Antoniette in altrettanti cocchi dorati – niente da fare, quelli smadonnano e clacsonano, sono i nuovi Cesari e manco si divertono. Intanto i giornalisti restano a piedi.
Ho scoperto sul Corriere (me ingenuo provinciale) che uno degli strumenti adoperati dai tassisti per mantenersi saldamente al potere è la deliberata disseminazione di notizie false, con quella capillarità che solo migliaia di automobilisti ciarlieri possono offrire. Rutelli voleva liberalizzare? Il tassista chiacchierando col cliente cominciava ad accennare agli interessi di Rutelli nella società dei parcometri; la bufala girava e Rutelli perdeva punti nei sondaggi. E noi stiamo a perder tempo su Internet, l'autostrada informatica, le informazioni alla velocità della luce e tutte le altre menate. Là fuori c'è il mondo vero, dove per trasferirsi dal punto A al punto B si viaggia ancora alla velocità modesta del taxi, e le informazioni te le fornisce intanto l'autista. Il tuo diaframma con la realtà. “Di Veltroni si disse che per illuminare la galleria sotto il Quirinale avesse tolto elettricità agli ospedali”. Il medium non è solo il messaggio, è anche il mezzo di trasporto – trasporto si fa per dire, a piedi arrivi prima, ma l'importante è il viaggio, non l'arrivo. L'importante è che l'economia giri, quel tanto da far girare il tassista. Il primo motore, non proprio immobile ma quasi. E i giornalisti vanno a casa.
Eppure erano titolari dello stesso potere, il quarto o il quinto, non ricordo. Potevano lanciare le informazioni, vere false e presunte, potevano spostare anche loro qualche voto, no? Si vede che non ne spostavano abbastanza: in generale, quando ci fu da scegliere, la lobby dei tassisti si salvò e la corporazione della carta stampata imbarcò acqua. Si vede che davamo più retta all'autista che ci dava del dotto' che all'editorialista che ci prendeva per cretini. Si vede che in generale leggiamo poco, abbiamo sempre letto troppo poco, il destino di una nazione è nelle sue abitudini e noi a leggere fino in fondo quelle righe scritte in piccolo non ci siamo mai abituati. Sul sedile dietro, poi, alla prima curva mi si rivolta dentro il cappuccino: ripiego il foglio e il tizio intanto: "Dotto', la sa l'ultima su Monti?"
(A Cesare, che una volta mi diede un passaggio).
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Vi rifaccio Benito?
16-12-2011, 15:58Berlusconi, fascismo, ho una teoria, invecchiarePermalinkBerlusconi ha detto di nuovo che sta leggendo i diari di Mussolini. Al di là di ogni dibattito sull'autenticità, quei diari han da essere una vera palla: è da un anno e mezzo che dice che li sta leggendo, ci hanno messo meno tempo a scriverli.
E insomma, lui racconta sempre le stesse storielle, io riciclo i vecchi pezzi. Dovrei aggiungere qualcosa? Anzi, ho tolto parecchio. Il Mussolini triste sul comodino di Silvio B. è sull'Unità.it.
E insomma, lui racconta sempre le stesse storielle, io riciclo i vecchi pezzi. Dovrei aggiungere qualcosa? Anzi, ho tolto parecchio. Il Mussolini triste sul comodino di Silvio B. è sull'Unità.it.
«Sto leggendo i diari di Mussolini e le lettere della Petacci, e devo dire che mi ritrovo in molte situazioni. Anche con le lettere della Petacci», dice l’ex premier, che ricorda come Mussolini si lamentasse del fatto di non potere neppure raccomandare una persona. «Che democrazia è questa?», si chiedeva Mussolini. E infatti, fanno notare a Berlusconi, non era una democrazia quella di Mussolini. «Beh, era una democrazia minore», aggiunge Berlusconi.
Più che indignare fa tristezza, Berlusconi che si paragona a Mussolini; se non altro perché si ripete, e forse nemmeno se ne accorge. I (finti) diari del duce, per esempio, li stava già leggendo nel maggio del 2010, quando erano ancora inediti nelle mani di Dell’Utri. Insomma la lettura non è che stia proprio procedendo spedita. L’altra ipotesi è che i diari siano diventati il suo livre de chevet: li tiene sul comodino e ogni sera ne rilegge un po’. Devono avere ormai soppiantato la sua antica passione, l’erasmiano Elogio della Follia.
Il fatto che all’ironia e al vitalismo di Erasmo sia subentrata la stanchezza di uno Pseudo-Benito, che contempla lo sfascio della sua nazione e non riesce nemmeno a raccomandare un’amica, ci dice molte cose: e nessuna di queste cose riguarda Mussolini, che quei diari non li ha mai scritti. Il duce è ormai un mito più patetico che tragico: il grande uomo (tanto buono) che si prende sulle spalle la responsabilità di una nazione, ma nonostante i titanici sforzi non riesce a spostarla di un passo. Né lo Pseudo-Benito né il vero Silvio sono verosimili, quando confessano la loro impotenza: entrambi potevano fare e disfare ministeri, godevano di consenso popolare, controllavano i mezzi d’informazione. Eppure non ce l’hanno fatta: l’Italia è un corpo inerte che non si lascia possedere. Perlomeno, il finto Benito e il vero Silvio la pensano così. Il primo illumina il secondo di una luce crepuscolare: il Berlusconi che legge lo Pseudo-Benito è un potente affaticato, esaurito, che cerca nei fallimenti degli uomini illustri una consolazione ai propri, e si domanda cosa resterà di lui. http://leonardo.blogspot.com
La tartaruga non ha visto niente
15-12-2011, 00:20delitti e cronaca, fascismo, ho una teoriaPermalinkQuasi scordavo di segnalare la teoria di ieri, scritta a caldo, su questo fenomeno strano per cui se un attivista di destra, che scrive cose di destra su siti di destra, frequenta centri sociali di destra, improvvisamente apre il fuoco su dei senegalesi, ecco, in quell'esatto momento smette di essere di destra, le cose che ha scritto le ha scritte a titolo personale e sul sito di Casapound le cancellano immediatamente.
Ritirata strategica, camerati. Sei fascista solo se ti beccano (H1t#103) è sull'Unita.it, si commenta là.
Ritirata strategica, camerati. Sei fascista solo se ti beccano (H1t#103) è sull'Unita.it, si commenta là.
Quando tre anni fa Nicola Tommasoli fu ammazzato, in una via di Verona, da quattro ragazzi che indossavano bomber neri, che andavano ai cortei di Forza Nuova, che alla domenica erano spesso in curva, accadde un fenomeno piuttosto curioso. Si scoprì che non erano di destra. Il sindaco Tosi affermò che la politica non c’entrava niente, il presidente della Camera Fini ammise che forse la politica poteva entrarci un po’, ma che a Torino quello stesso giorno a un corteo di sinistra avevano bruciato una bandierina d’Israele e questo era ugualmente grave, uno a uno palla al centro. Il coordinatore di Forza Nuova negò. Il Fronte Veneto Skinheads si dissociò, insomma quei quattro ragazzi che si vestivano come ragazzi di destra, che frequentavano ritrovi di destra, che menavano i capelloni come da decenni usano fare i ragazzi veronesi di destra… improvvisamente nessuno li conosceva più. Smisero di essere di destra nell’attimo esatto in cui furono beccati.
Ieri, nel momento esatto in cui Gianluca Casseri – che frequentava gruppi di destra, che scriveva cose di destra – l’ha fatta finita, a Casa Pound improvvisamente si sono dimenticati di lui. Non lo avevano mai conosciuto. Nel giro di pochi minuti sul sito della Casa non c’erano più i suoi lunghi articoli, deliri molto dettagliati, che ricordano per certi versi il testamento di Breivik. C’è da dire che Breivik nella scelta del luogo e del momento ha rivelato una lucidità ben più spaventosa di Casseri, che si è limitato a sparare nel mucchio. Però non era un matto: sapeva scrivere ed era molto apprezzato a Casa Pound. Dove c’è gente svelta, se non ad agire perlomeno a cancellare.
E insomma circolare, non c’è niente da vedere: si tratta solo di aspettare la prossima bandierina bruciacchiata, la prossima vetrina scheggiata, la prossima orda di editoriali accigliati sull’emergenza terrorismo, sulle nuove BR che senz’altro stanno nascendo nei pericolosi centri sociali di estrema sinistra. http://leonardo.blogspot.com
Povera piccola infanticida
14-12-2011, 02:07aborto, essere donna oggi, migranti, preti parlantiPermalinkAborto aborto, sentimento e ipocrisia...
In questi giorni sono successe tante cose incredibili, tra cui una che può essere passata inosservata: il direttore della rivista della diocesi di Trento, Marco Zeni, ha dichiarato di comprendere la decisione di una sedicenne che (su pressante invito dei genitori) ha interrotto una gravidanza. E non parlava a titolo personale: parlava per conto della Chiesa, con la C. “La Chiesa non può certo dichiararsi a favore dell'aborto, ma capiamo le difficoltà della famiglia”. A meno che Zeni sappia cose che noi ignoriamo, le difficoltà della famiglia consistono in un fidanzato albanese geloso e manesco.
Io la posizione dei cattolici sull'aborto la capisco. Non la condivido, ma la posso capire, se non altro perché è piuttosto chiara. Per i cattolici la vita comincia dal concepimento: questo non so se si possa considerare un dogma, ma possiamo tranquillamente definirlo un postulato, nel senso che la morale cattolica di oggi si fonda su questo assunto, non dimostrabile e non discutibile: dal concepimento in poi la madre non è sola, c'è un altro individuo con lei che ha gli stessi diritti che ha lei.
Quindi se lei decide di interrompere la gravidanza commette un infanticidio, punto. Il fidanzato manesco e geloso lo puoi lasciare, ma da che pulpito lo giudichi, se nel frattempo mediti di far fuori un bambino? È una posizione che ha almeno il pregio della chiarezza. Puoi contestarla, ma probabilmente stai semplicemente affermando che non condividi un postulato (la vita inizia dal concepimento) partendo da un altro postulato (la vita inizia qualche tempo dopo il concepimento, forse tre mesi, forse boh). Per inciso, io sono convinto che tutti i sistemi morali partano da assunti arbitrari, ma sono sicuro che non v'interessi una mia lunga dissertazione sull'argomento. Stasera a dire il vero non appassiona nemmeno me. Stasera sono solo curioso di capire come sia possibile che il portavoce di un prestigioso vescovado abbia dichiarato di poter capire le ragioni di un'interruzione volontaria di gravidanza. Capire un infanticidio? Al massimo si può perdonare, per esempio a Giuliano Ferrara gliene sono stati perdonati almeno tre; ma bisogna che prima il soggetto si penta.
Ho due ipotesi. La prima è che sotto sotto Zeni, e tutto il mondo intorno a Zeni, non ci creda per davvero, in questa storia della vita a partire dal concepimento. Non è vero che sia un postulato incrollabile; è solo la conseguenza un po' maldestra di un'ideologia che parte da altre premesse. Dalla determinazione della Chiesa a mettersi al centro della cura del corpo, soprattutto: per cui la cosa davvero importante non è che i poveri embrioni abbiano salva la vita, ma che la Chiesa sia consultata sull'argomento, che la Chiesa abbia voce in capitolo. Il vero scandalo della 194 non sta nel fatto che una ragazza possa abortire – come se non fosse mai successo – ma che possa farlo senza chiedere il permesso a un prete, che se magari è in buona, se conosce la situazione... ti può anche capire, via, lo sa anche lui come va il mondo, no? Insomma, tutta questa recentissima dottrina della sacralità della vita dell'embrione potrebbe essere semplicemente una reazione nervosa degli ecclesiastici al fatto di essersi trovati messi in un angolo dalla medicina e dalla cultura laica. Sta bene, però scegliete: o vi tenete la vostra rigida, arbitraria ma chiarissima legge morale, oppure mettete la maschera del padre comprensivo. Ma tutti e due no: non potete gridare 'infanticida!' e poi soggiungere 'povera ragazza'. O è povera o è infanticida, tertium non datur.
La seconda ipotesi mi è venuta molto più grezza: a sentire Zeni sembra che per la Chiesa di Trento nulla sia peggio dell'aborto, tranne una cosa, una sola cosa di fronte alla quale l'interruzione di gravidanza è un male minore: e che questa cosa sia dar figli a un albanese. Decidete voi.
In questi giorni sono successe tante cose incredibili, tra cui una che può essere passata inosservata: il direttore della rivista della diocesi di Trento, Marco Zeni, ha dichiarato di comprendere la decisione di una sedicenne che (su pressante invito dei genitori) ha interrotto una gravidanza. E non parlava a titolo personale: parlava per conto della Chiesa, con la C. “La Chiesa non può certo dichiararsi a favore dell'aborto, ma capiamo le difficoltà della famiglia”. A meno che Zeni sappia cose che noi ignoriamo, le difficoltà della famiglia consistono in un fidanzato albanese geloso e manesco.
Io la posizione dei cattolici sull'aborto la capisco. Non la condivido, ma la posso capire, se non altro perché è piuttosto chiara. Per i cattolici la vita comincia dal concepimento: questo non so se si possa considerare un dogma, ma possiamo tranquillamente definirlo un postulato, nel senso che la morale cattolica di oggi si fonda su questo assunto, non dimostrabile e non discutibile: dal concepimento in poi la madre non è sola, c'è un altro individuo con lei che ha gli stessi diritti che ha lei.
Quindi se lei decide di interrompere la gravidanza commette un infanticidio, punto. Il fidanzato manesco e geloso lo puoi lasciare, ma da che pulpito lo giudichi, se nel frattempo mediti di far fuori un bambino? È una posizione che ha almeno il pregio della chiarezza. Puoi contestarla, ma probabilmente stai semplicemente affermando che non condividi un postulato (la vita inizia dal concepimento) partendo da un altro postulato (la vita inizia qualche tempo dopo il concepimento, forse tre mesi, forse boh). Per inciso, io sono convinto che tutti i sistemi morali partano da assunti arbitrari, ma sono sicuro che non v'interessi una mia lunga dissertazione sull'argomento. Stasera a dire il vero non appassiona nemmeno me. Stasera sono solo curioso di capire come sia possibile che il portavoce di un prestigioso vescovado abbia dichiarato di poter capire le ragioni di un'interruzione volontaria di gravidanza. Capire un infanticidio? Al massimo si può perdonare, per esempio a Giuliano Ferrara gliene sono stati perdonati almeno tre; ma bisogna che prima il soggetto si penta.
Ho due ipotesi. La prima è che sotto sotto Zeni, e tutto il mondo intorno a Zeni, non ci creda per davvero, in questa storia della vita a partire dal concepimento. Non è vero che sia un postulato incrollabile; è solo la conseguenza un po' maldestra di un'ideologia che parte da altre premesse. Dalla determinazione della Chiesa a mettersi al centro della cura del corpo, soprattutto: per cui la cosa davvero importante non è che i poveri embrioni abbiano salva la vita, ma che la Chiesa sia consultata sull'argomento, che la Chiesa abbia voce in capitolo. Il vero scandalo della 194 non sta nel fatto che una ragazza possa abortire – come se non fosse mai successo – ma che possa farlo senza chiedere il permesso a un prete, che se magari è in buona, se conosce la situazione... ti può anche capire, via, lo sa anche lui come va il mondo, no? Insomma, tutta questa recentissima dottrina della sacralità della vita dell'embrione potrebbe essere semplicemente una reazione nervosa degli ecclesiastici al fatto di essersi trovati messi in un angolo dalla medicina e dalla cultura laica. Sta bene, però scegliete: o vi tenete la vostra rigida, arbitraria ma chiarissima legge morale, oppure mettete la maschera del padre comprensivo. Ma tutti e due no: non potete gridare 'infanticida!' e poi soggiungere 'povera ragazza'. O è povera o è infanticida, tertium non datur.
La seconda ipotesi mi è venuta molto più grezza: a sentire Zeni sembra che per la Chiesa di Trento nulla sia peggio dell'aborto, tranne una cosa, una sola cosa di fronte alla quale l'interruzione di gravidanza è un male minore: e che questa cosa sia dar figli a un albanese. Decidete voi.
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Solo per i tuoi occhi
13-12-2011, 02:32feste, musica, non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo, santiPermalinkCaruso. Elvis Presley. Julian Lennon. John Lennon. La Svezia luterana. La Sicilia tangentara già ai tempi di Diocleziano. Dante Alighieri e le sue emicranie. Gregorio XIII e i suoi calendari. Ragazze con le candele in testa. Occhi sui vassoi. Ragazze nel cielo coi diamanti. Truffe finanziarie. Vergini nei lupanari. Bambini che non credono in Babbo Natale, perché si fa prima a scrivere le letterine a...
...che passa dodici giorni prima. Sul Post c'è tutto quello che serve sapere su Santa Lucia, la Santa più luminosa che ci sia. Mancava solo De Gregori, allora l'ho messo qui. Fa' che ci sia dolce anche la pioggia nelle scarpe.
13 dicembre - Santa Lucia, vergine e martire (283-304).
Sono un po' emozionato: è la prima volta che mi capita di scrivere di una Santa nel momento in cui è trending topic su Twitter. D'altro canto voi non avete idea del baccano che è già iniziato a Correggio, o Montichiari, o Bussolengo; i negozi sono pieni persino in quest'anno difficile, e a scuola i bimbi friggono da stamattina. È la notte più lunga dell'anno.
Sì, lo so, la notte più lunga dell'anno è il 22. A Roma, almeno. A Milano. Già verso Lodi le cose cambiano. Ovviamente non è una questione di fuso orario. Non si sa neanche bene il perché, fatto sta che i bambini di Lodi (e Reggio nell'Emilia, e Bergamo, e Udine) stanotte aspettano i regali, quelli che a Milano o Roma sono attesi solo per il venticinque. Da noi vengono prima, e non li porta Babbo Natale, quel San Nicola secolarizzato (ma ha ancora il mantello rosso dei vescovi) che in realtà gratta gratta è il Dio Odino sotto mentite spoglie. No. A Brescia, a Piacenza, a Cremona, in una regione intermedia tra Emilia Veneto Lombardia e Trentino, la letterina si scrive a Santa Lucia, che te li porta il 13, la notte più lunga che ci sia.
La ragione per cui a Carpi, per dire, la notte più lunga è questa, mentre sull'altra sponda del Secchia il sole sorge regolare, non è chiara. Comunque sappiamo precisamente quando si aprì questa frattura nello spaziotempo: nel 1582 Papa Gregorio XIII decise di rimettere mano al calendario di Giulio Cesare, che tutto sommato per millecinquecento anni si era difeso egregiamente, guadagnando però ogni anno undici minuti e 14 secondi rispetto alla rivoluzione della terra intorno al sole. Del resto, nemmeno lo stesso Cesare avrebbe potuto supporre che il suo calendario sarebbe rimasto in vigore per milleseicento anni. Ai tempi del Gregorio in questione ormai le stagioni stavano sballando: Pasqua da festa dei germogli rischiava di diventare sagra della mietitura, e in giro qualcuno cominciava a sussurrare che non esistessero più le mezze stagioni. Anche l'equinozio d'inverno, la notte più lunga dell'anno, si era stabilmente assestata intorno al 13 dicembre, Santa Lucia.
Considerate che sofferenza doveva essere mettere a letto i bambini in un'epoca senza orologi meccanici, in cui ci si leva e ci si corica col sole: in estate c'era tutto il tempo per uscire di casa e stancarsi, ma in inverno? Come convinci il bambino a stare buono per quattordici ore (in Scandinavia anche diciotto)? Gli si dice: buono, che sennò San Nicola / Santa Lucia / Gesù Bambino / i Re Magi /la Befana non ti portano niente. E quella notte almeno il monello sta quieto, se non dorme farà finta, perché Santa Lucia se la guardi scappa via. Non è un caso che sia Lucia che Nicola siano santi amatissimi in Svezia, un Paese luterano che in teoria con la venerazione dei Santi dovrebbe avere chiuso nel Cinquecento, ma i bambini non viene mica in casa ad addormentarteli Martin Lutero. In teoria la festa svedese ha antenati antichissimi: l'originale “Lussi” svedese sarebbe un demone che cavalca in cielo nella notte più lunga (una brutta copia di Odino, evidentemente); forse era la Lucy che Julian Lennon disegnava nel cielo coi diamanti? I suoi compagni di caccia si chiamano Lussiferda, che in alto germanico immagino voglia dire qualcosa come “seguaci di Lussi”, ma suona anche così simile al latino “Lucifer”(“portatore di luce”) da far pensare che la tradizione si sia presto sporcata con elementi d'importazione. La contaminazione non si è fermata lì: le ragazze biancovestite che sfilano con una pericolosa ghirlanda di sette candele cantano un popolarissimo inno svedese che in realtà è Santa Lucia, la barcarola ottocentesca di Cottrau, che Caruso ha reso famosa in tutto il mondo (qui c'è la versione di Elvis, in un italiano dignitoso). Loro ci hanno dato gli Abba, noi Cottrau, giudicate voi chi sia in credito con chi. Addirittura da Stoccolma ogni anno parte una Santa Lucia che va a presenziare alla processione di Siracusa: perché la Lucia cristiana è nata e morta laggiù, dove ovviamente è festeggiatissima con fastosi cortei, anche se la tradizione dei regali nella notte più lunga sotto il 45° parallelo è molto meno sentita. Cosa sappiamo di lei? Niente, come al solito.
Per esempio, non è vero che le abbiano strappato gli occhi. O perlomeno non risulta dalle fonti più antiche, quegli Acta sanctorum che come abbiamo visto, quando c'è da scuoiare o squartare o abbrustolire una vergine non si tirano mai indietro: Lucia per esempio viene sgozzata (ma non muore finché non le portano la Comunione). Però anche negli atti più antichi di occhi strappati non si parla. Il tradizionale vassoio coi globi oculari in bella vista, una delle cose più splatter che possiate vedere in una chiesa cattolica, arriva nell'iconografia più tardi, con un sapore già barocco: indica che Lucia è la patrona degli occhi, e come tale carissima a tutti gli scrittori del medioevo che appena perdevano due gradi erano praticamente fottuti. (Non a caso Dante le concede un cameo in tutte e tre le cantiche: è lei che dà la scossa a Beatrice, ehi, guarda che il tuo ex, lì, il poeta, si sta perdendo in una selva oscura, insomma, fa' qualcosa). L'unica congettura è che Lucia si sia conquistata il patronato, e la posizione fondamentale nel calendario pre-gregoriano, per via del nome, che appunto la collega alla luce. Quanto alla sua leggenda personale, non parla né di luci né di lunghe notti: però è interessantissima, e se avete pazienza ve la racconto. Tanto la notte è lunga, no?
Lucia è una ragazzina con un sogno: diventare Santa come la Santa più famosa dei suoi tempi, che è Agata di Catania, martirizzata nel secolo precedente. Per convincere la madre Euticia a portarla sulla tomba del suo idolo, le racconta che Agata sarà senz'altro in grado di guarirla da quelle perdite che in un millennio senza assorbenti dovevano risultare ben più che fastidiose. Quando finalmente la madre la esaudisce, Lucia inginocchiandosi davanti alla tomba cade in deliquio e vede Agata tra le schiere degli angeli coi diamanti (“in medio angelorum gemnis ornata”) che bonaria la rimprovera: sorella, perché chiedi a me di fare quello che puoi fare tu sola? Insomma, sii te stessa, credi nei tuoi sogni ed essi si avvereranno eccetera. Quando si sveglia, Euticia è guarita e la decisione è presa: Lucia sarà Santa. C'è un problema. Lucia è un buon partito, con un fidanzato che non vede l'ora di mettere le mani sul cospicuo patrimonio amministrato dalla madre. Euticia però viene convinta dalla figlia a dare tutto in beneficenza. Qui la leggenda mostra la sua superiorità su altre dello stesso genere: si parla di soldi, raramente nelle fiabe questo avviene. Quando al fidanzato giunge notizia della munificenza di Lucia, va a chiedere spiegazioni a Euticia, che sibillina gli spiega: la tua futura sposa ha trovato un investimento che frutta di più di qualsiasi altro (“quod utiliorem possessionem sponsa sua invenisset”). Il tizio, essendo ovviamente pagano, non capisce: non conosce la parabola del tesoro nascosto nel campo. Si convince che Lucia ed Euticia stiano scalando chissà quale società per azioni, e addirittura le aiuta: quando si rende conto che quelle pazze stanno semplicemente foraggiando i poveri, le porta in tribunale con l'accusa di cristianesimo. (Siamo sotto Diocleziano, l'imperatore ammazzacristiani per eccellenza).
Di fronte al mostruoso inquisitore Pascasio, Lucia – neanche a dirlo – fa un figurone. Finché Pascasio non ha un'idea: qualunque cosa sia questo misterioso Spirito Santo che ti suggerisce tutte le risposte brillanti, adesso vedrai come faccio a cacciartelo via. Ti farò condurre al lupanare, dove ti violenteranno, e il tuo Spirito a quel punto ti lascerà (“Ego faciam te duci ad lupanar, ut ibi violationem accipias et spiritum sanctum perdas”). Ma Lucia non fa una piega, anzi. Qui la leggenda svela il suo nucleo più interessante: il concetto di intenzione. Nel mondo antico la purezza era una questione fisica, che in certi casi poteva essere recuperata mediante abluzioni rituali. L'impurità derivante da un rapporto sessuale era un fatto oggettivo, che tu acconsentissi al rapporto o no. Col cattolicesimo cambia tutto, almeno in teoria: in pratica ancora oggi violentare una fanciulla equivale a disonorarla, non solo a Siracusa. La leggenda è rivoluzionaria anche rispetto agli usi e ai costumi di oggi (altro che "non possiamo non dirci cristiani", dobbiamo ancora del tutto liberarci del paganesimo): se Lucia ha deciso di essere Santa e vergine, nessun cliente di lupanare potrà farle cambiare idea: "Non inquinatur corpus nisi de consensu mentis". È un dettaglio cruciale: la vera verginità non sta nell'imene, ma nella volontà.
Dopo aver teorizzato una cosa che ancora per secoli farà discutere i teologi (si può essere Santi anche se ti violentano?), dopo aver affermato con serenità che Lucia avrebbe potuto essere vergine anche nel mezzo di un bordello... la leggenda fa un passo indietro, e impedisce a Lucia di entrarvi effettivamente, nel bordello: la fantasia non osa ancora spingersi dove è arrivata la teoria. Così lo Spirito Santo aumenta all'istante il peso specifico di Lucia, che, rigida come il marmo risulta intrasportabile: Pascasio la fa attaccare a mille paia di buoi ("cum viris mille paria boum"), ma niente da fare. Decidono quindi di rovesciarle addosso la pece e darle fuoco, ma nemmeno questo funziona: alla fine riescono ad aprirle la giugulare, ma Lucia prima di morire ha ancora la soddisfazione di vedere le fiamme gialle che irrompono nel tribunale e portano via Pascasio, accusato naturalmente di malversazione – specialità della Sicilia più o meno da Verre a Totò Cuffaro. Nel frattempo Lucia annuncia la morte dell'imperatore d'occidente Massimiano e l'esilio del suo collega Diocleziano – e qui Jacopo de Varazze prende una cantonata: con tutti i cristiani che ha fatto ammazzare Diocleziano a conti fatti è l'unico imperatore del terzo secolo che dopo vent'anni di onorato servizio se ne andrà in pensione a coltivar cavoli a Spalato. E la storia insomma è questa qua.
Ora se permettete me ne vado a letto, ho sentito un lontano scalpicciare di zoccoli e non ho intenzione di farmi trovare sveglio, siccome ho scritto alla Santa a proposito di una certa autoradio con la presa USB. Alla prossima notte, le mie da domani sembreranno già più brevi.
(A Lucia, che mille paia di buoi non hanno smosso; che la pece ardente non ha scottato; che mi è stata accanto nelle notti più lunghe).
...che passa dodici giorni prima. Sul Post c'è tutto quello che serve sapere su Santa Lucia, la Santa più luminosa che ci sia. Mancava solo De Gregori, allora l'ho messo qui. Fa' che ci sia dolce anche la pioggia nelle scarpe.
13 dicembre - Santa Lucia, vergine e martire (283-304).
Sono un po' emozionato: è la prima volta che mi capita di scrivere di una Santa nel momento in cui è trending topic su Twitter. D'altro canto voi non avete idea del baccano che è già iniziato a Correggio, o Montichiari, o Bussolengo; i negozi sono pieni persino in quest'anno difficile, e a scuola i bimbi friggono da stamattina. È la notte più lunga dell'anno.
Chi porta i regali in Alta Italia? Le aree di competenza di San "Babbo" Nicola (in rosso) e di Santa Lucia (in giallo) (Da prendere con le molle, anzi se avete notizie diverse segnalatemele)." |
Sì, lo so, la notte più lunga dell'anno è il 22. A Roma, almeno. A Milano. Già verso Lodi le cose cambiano. Ovviamente non è una questione di fuso orario. Non si sa neanche bene il perché, fatto sta che i bambini di Lodi (e Reggio nell'Emilia, e Bergamo, e Udine) stanotte aspettano i regali, quelli che a Milano o Roma sono attesi solo per il venticinque. Da noi vengono prima, e non li porta Babbo Natale, quel San Nicola secolarizzato (ma ha ancora il mantello rosso dei vescovi) che in realtà gratta gratta è il Dio Odino sotto mentite spoglie. No. A Brescia, a Piacenza, a Cremona, in una regione intermedia tra Emilia Veneto Lombardia e Trentino, la letterina si scrive a Santa Lucia, che te li porta il 13, la notte più lunga che ci sia.
La ragione per cui a Carpi, per dire, la notte più lunga è questa, mentre sull'altra sponda del Secchia il sole sorge regolare, non è chiara. Comunque sappiamo precisamente quando si aprì questa frattura nello spaziotempo: nel 1582 Papa Gregorio XIII decise di rimettere mano al calendario di Giulio Cesare, che tutto sommato per millecinquecento anni si era difeso egregiamente, guadagnando però ogni anno undici minuti e 14 secondi rispetto alla rivoluzione della terra intorno al sole. Del resto, nemmeno lo stesso Cesare avrebbe potuto supporre che il suo calendario sarebbe rimasto in vigore per milleseicento anni. Ai tempi del Gregorio in questione ormai le stagioni stavano sballando: Pasqua da festa dei germogli rischiava di diventare sagra della mietitura, e in giro qualcuno cominciava a sussurrare che non esistessero più le mezze stagioni. Anche l'equinozio d'inverno, la notte più lunga dell'anno, si era stabilmente assestata intorno al 13 dicembre, Santa Lucia.
Potrei inserire centinaia di immagini di giovani svedesi con candelieri in testa, ma non riesco a liberarmi da questa. |
Quegli occhi li ho già visti |
Lucia è una ragazzina con un sogno: diventare Santa come la Santa più famosa dei suoi tempi, che è Agata di Catania, martirizzata nel secolo precedente. Per convincere la madre Euticia a portarla sulla tomba del suo idolo, le racconta che Agata sarà senz'altro in grado di guarirla da quelle perdite che in un millennio senza assorbenti dovevano risultare ben più che fastidiose. Quando finalmente la madre la esaudisce, Lucia inginocchiandosi davanti alla tomba cade in deliquio e vede Agata tra le schiere degli angeli coi diamanti (“in medio angelorum gemnis ornata”) che bonaria la rimprovera: sorella, perché chiedi a me di fare quello che puoi fare tu sola? Insomma, sii te stessa, credi nei tuoi sogni ed essi si avvereranno eccetera. Quando si sveglia, Euticia è guarita e la decisione è presa: Lucia sarà Santa. C'è un problema. Lucia è un buon partito, con un fidanzato che non vede l'ora di mettere le mani sul cospicuo patrimonio amministrato dalla madre. Euticia però viene convinta dalla figlia a dare tutto in beneficenza. Qui la leggenda mostra la sua superiorità su altre dello stesso genere: si parla di soldi, raramente nelle fiabe questo avviene. Quando al fidanzato giunge notizia della munificenza di Lucia, va a chiedere spiegazioni a Euticia, che sibillina gli spiega: la tua futura sposa ha trovato un investimento che frutta di più di qualsiasi altro (“quod utiliorem possessionem sponsa sua invenisset”). Il tizio, essendo ovviamente pagano, non capisce: non conosce la parabola del tesoro nascosto nel campo. Si convince che Lucia ed Euticia stiano scalando chissà quale società per azioni, e addirittura le aiuta: quando si rende conto che quelle pazze stanno semplicemente foraggiando i poveri, le porta in tribunale con l'accusa di cristianesimo. (Siamo sotto Diocleziano, l'imperatore ammazzacristiani per eccellenza).
Di fronte al mostruoso inquisitore Pascasio, Lucia – neanche a dirlo – fa un figurone. Finché Pascasio non ha un'idea: qualunque cosa sia questo misterioso Spirito Santo che ti suggerisce tutte le risposte brillanti, adesso vedrai come faccio a cacciartelo via. Ti farò condurre al lupanare, dove ti violenteranno, e il tuo Spirito a quel punto ti lascerà (“Ego faciam te duci ad lupanar, ut ibi violationem accipias et spiritum sanctum perdas”). Ma Lucia non fa una piega, anzi. Qui la leggenda svela il suo nucleo più interessante: il concetto di intenzione. Nel mondo antico la purezza era una questione fisica, che in certi casi poteva essere recuperata mediante abluzioni rituali. L'impurità derivante da un rapporto sessuale era un fatto oggettivo, che tu acconsentissi al rapporto o no. Col cattolicesimo cambia tutto, almeno in teoria: in pratica ancora oggi violentare una fanciulla equivale a disonorarla, non solo a Siracusa. La leggenda è rivoluzionaria anche rispetto agli usi e ai costumi di oggi (altro che "non possiamo non dirci cristiani", dobbiamo ancora del tutto liberarci del paganesimo): se Lucia ha deciso di essere Santa e vergine, nessun cliente di lupanare potrà farle cambiare idea: "Non inquinatur corpus nisi de consensu mentis". È un dettaglio cruciale: la vera verginità non sta nell'imene, ma nella volontà.
Dopo aver teorizzato una cosa che ancora per secoli farà discutere i teologi (si può essere Santi anche se ti violentano?), dopo aver affermato con serenità che Lucia avrebbe potuto essere vergine anche nel mezzo di un bordello... la leggenda fa un passo indietro, e impedisce a Lucia di entrarvi effettivamente, nel bordello: la fantasia non osa ancora spingersi dove è arrivata la teoria. Così lo Spirito Santo aumenta all'istante il peso specifico di Lucia, che, rigida come il marmo risulta intrasportabile: Pascasio la fa attaccare a mille paia di buoi ("cum viris mille paria boum"), ma niente da fare. Decidono quindi di rovesciarle addosso la pece e darle fuoco, ma nemmeno questo funziona: alla fine riescono ad aprirle la giugulare, ma Lucia prima di morire ha ancora la soddisfazione di vedere le fiamme gialle che irrompono nel tribunale e portano via Pascasio, accusato naturalmente di malversazione – specialità della Sicilia più o meno da Verre a Totò Cuffaro. Nel frattempo Lucia annuncia la morte dell'imperatore d'occidente Massimiano e l'esilio del suo collega Diocleziano – e qui Jacopo de Varazze prende una cantonata: con tutti i cristiani che ha fatto ammazzare Diocleziano a conti fatti è l'unico imperatore del terzo secolo che dopo vent'anni di onorato servizio se ne andrà in pensione a coltivar cavoli a Spalato. E la storia insomma è questa qua.
Ora se permettete me ne vado a letto, ho sentito un lontano scalpicciare di zoccoli e non ho intenzione di farmi trovare sveglio, siccome ho scritto alla Santa a proposito di una certa autoradio con la presa USB. Alla prossima notte, le mie da domani sembreranno già più brevi.
(A Lucia, che mille paia di buoi non hanno smosso; che la pece ardente non ha scottato; che mi è stata accanto nelle notti più lunghe).
Santa Maria Aviatrice
10-12-2011, 15:12santiPermalinkNon è un'imprecazione, è la Madonna di Loreto, effettivamente patrona dell'aviazione (e dei traslochi), che irriderete per la sua abitudine a portarsi con sé la casa in giro per il mediterraneo, almeno fino a quando non vi annunceranno la prossima turbolenza. Magari a quel punto, mentre allacciate le cinture e davanti vi si spalanca il respiratore, vi scapperà una preghierina.
...sì, lo so ho forato l'Immacolata, ma in questi giorni ci sono comunque delle altre Madonne che vanno fortissimo, vedrete. E se Loreto fosse un parco a tema è sul Post, ovviamente.
10 dicembre - Madonna di Loreto
Vi è mai capitato di entrare in una chiesa e trovarvi raffigurata una casa volante, sollevata dagli angeli, a volte con la Madonna appollaiata sul tetto? Probabilmente no, è un'iconografia non molto diffusa, ed è facile capire il perché: è un po' buffa, la casa volante. Se siete cristiani praticanti, non dilettanti della domenica, lo sapete già: si tratta della Casa Santa di Loreto, la residenza di Giuseppe e Maria, l'umile dimora dove Gesù ha trascorso i primi anni della sua vita dopo la fuga in Egitto. Come?, diranno i dilettanti, Gesù non è vissuto a Nazareth? Giusto. E Loreto non è in provincia di Ancona? Giusto. E quindi? E quindi pare che a un certo punto, più o meno quando i Turchi ricacciano i crociati in mare, la Madonna, temendo per la sua proprietà, abbia demandato ad alcuni angeli il trasferimento dell'(im)mobile in una località più sicura, per via aerea: che è poi il motivo per cui la Madonna di Loreto è stata nominata patrona dell'aviazione (e dei traslochi). Loreto non sarebbe nemmeno stata la prima scelta; per qualche anno pare che la casa abbia sostato nei pressi di Fiume, oggi Croazia. Anche nelle Marche potrebbe aver cambiato posizione un paio di volte prima di trovare il sito ideale, dove resisterebbe più o meno dal tardo Duecento, protetta da una basilica fortificata che è uno dei capolavori del primo rinascimento italiano. E queste cose i cristiani praticanti (non i dilettanti della domenica) le sanno. Ma la domanda è: ci credono sul serio? Il solito problema. La Trinità e la Transustanziazione possono essere misteri complessi, ma non mettono in discussione la dignità di chi decide di credervi. Per contro, una casetta palestinese che svolazza di qua e di là per il mediterraneo sostenuta dagli angeli ti pone un problema di ordine diverso: siamo adulti, abbiamo smesso di credere a Babbo Natale con le Renne, sul serio ci si aspetta che crediamo nella Madonna volante con la casa e tutto quanto?
La prendo alla lontana. Nel 2004 uscì in tutto il mondo The Passion of The Christ, film tutto sommato ributtante, che ancora oggi viene riprogrammato più o meno ogni Pasqua in fascia protetta, per la gioia dei ragazzini che di un Cristo supereroe splatter avevano senz'altro bisogno. Tra le varie scelte discutibilissime di Gibson (il latino ridicolo, le torture esagerate, l'idea a conti fatti eretica di un Cristo che sopravvive a frustate e percosse che avrebbero fatto fuori un elefante) ce n'è una non del tutto insensata: il film è stato girato presso Matera, in un ambiente naturale non molto dissimile da quello dei dintorni di Gerusalemme. È noto che il successo del film, nei mesi successivi, creò un vero indotto per il turismo di Matera: i set naturali di The Passion divennero luoghi di pellegrinaggio postmoderno. Magari tra qualche secolo qualche osservatore troverà la cosa divertente: possibile che i pellegrini del XXI secolo non si rendessero conto della differenza tra un set e un luogo autentico? A questi storici da strapazzo del futuro sfuggirà il punto; il cristiano che decideva di andare a Matera piuttosto che a Gerusalemme sapeva benissimo che i due luoghi non coincidevano: se preferiva il Golgota finto al vero era per altri motivi, per esempio la guerra: erano gli anni della guerra in Iraq e della Seconda Intifada, che diedero un colpo quasi fatale al turismo religioso in Terrasanta. In quel momento Matera diventa un'alternativa comoda e filologicamente corretta, certificata dal film di Mel Gibson che non a caso veniva spacciato come la versione cinematografica più aderente allo spirito dei Vangeli (una scemenza, basta aver letto un po' di Vangelo per rendersene conto, ma lasciamo stare). (Continua...)
Probabilmente quello che successe sette-ottocento anni fa a Loreto non è molto diverso da quanto avvenuto sette anni fa a Matera: in un momento in cui i luoghi più santi del cristianesimo diventano inaccessibili a causa di una guerra, i pellegrini trovano un ripiego più che soddisfacente in un luogo che già era sulla direttrice del traffico per la Terrasanta, dove probabilmente si trovavano già reliquie di origine medio orientale (la Madonna Nera, andata a fuoco nel 1921, doveva risalire al Trecento, ma magari era a sua volta copia di un originale più antico). Probabilmente molti dei viaggiatori erano convinti di essere davvero arrivati in Galilea: siamo nel medioevo, il planisfero più diffuso è un cerchio con una T dentro, dopo un mese di marcia ti può sembrare di aver fatto il giro del mondo: in ogni città si parla un volgare diverso e alla fine ti devi fidare, se ti dicono che quella è la casa Santa tu ci credi. Tra l'altro i turchi ogni tanto nelle Marche ci arrivavano davvero, la basilica di Loreto non è fortificata per finta. Magari anche in questo caso a rendere la cosa più verosimile potrebbe essere intervenuto un regista visionario come Mel Gibson, anche se ai tempi i film si chiamavano sacre rappresentazioni. E siccome la casa di Loreto appare a fine Duecento, e siamo in Italia centrale, la congettura più immediata è che la casa-grotta sia nata come set di un presepe vivente, genere inventato da San Francesco d'Assisi pochi anni prima e non molto lontano, predecessore del cinema neorealista italiano.
Come set, la Casa è perfetta: si capisce che il regista ci teneva al dettaglio, e non intendeva prendere in giro il suo pubblico con messe in scena scadenti. Addirittura ci sono studiosi che garantiscono che le pietre (arenarie) sono quelle più tipiche della zona intorno a Nazareth, e che il tipo di malta utilizzato non si ritrova altrove in Italia ma è tipico della Galilea. I graffiti sono simili a quelli dei siti paleocristiani in Terrasanta: del resto la leggenda diceva che la Casa fosse stata adibita a luogo di culto già laggiù. Il fatto che non sia arrivata subito, ma con due o tre scali, potrebbe nascondere una storia meno esotica: magari i muri vengono davvero da un altro sito, non necessariamente dalla Palestina, non sarebbe la prima volta che a una reliquia viene gonfiato il pedigree. Insomma, Loreto potrebbe essere nato come un parco a tema, in un periodo in cui la concezione di spazio e di tempo era molto diversa dalla nostra, e il pellegrino che tornava da un lungo viaggio dicendo di aver visto “la casa di Maria e di Gesù” magari non intendeva in senso letterale, ma l'uditorio era portato a fraintendere. Man mano che passava il tempo, e il Santuario produceva miracoli (perché il vero successo di un culto è quello: puoi anche custodire tutti i chiodi della Santissima Croce, ma se non realizzano miracoli e non concedono grazie, la gente non viene) il confine tra fiction e realtà deve essere sfumato; del resto anche Jim Cavieziel, l'attore di The Passion, ha iniziato a sentire Gesù Cristo dentro di sé (comprensibile, con tutte le botte che ha preso). Nel frattempo il mondo si ingrandiva, diventava misurabile, le cartine cominciavano a dettagliare le distanza in miglia nautiche e la forma delle terre conosciute, e insomma a un certo punto tra Rinascimento e Controriforma la presenza di un doppione di Nazareth nelle Marche dev'essere diventata un problema.
Un problema per gli eruditi, perché i pellegrini standard a Loreto ci sarebbero andati comunque: era il santuario mariano n. 1 nel mondo per affluenza e quantità di miracoli omologati, e lo sarebbe rimasto fino alle apparizioni di Lourdes a metà Ottocento. La leggenda del volo magari esisteva già, ma a quel punto è stata rilanciata; siamo ancora comunque in una fase pre-scientifica in cui dire “volo” equivale a dire “miracolo”. Nel frattempo però se ne sviluppa un'altra: gli “angeli” in questione potrebbero essere Angeli con la A maiuscola: una dinastia bizantina già di lignaggio imperiale, gli Ἄγγελος, che nel tardo Duecento si era ridotta a governare un despotato tra Albania e Tessaglia: la casa potrebbero averla trasferita loro via mare per salvarla dalle incursioni turche. È una storia più plausibile, anche se nemmeno questa è sicura: forse è solo un primo tentativo di razionalizzare la leggenda angelica, ma non ha avuto molta fortuna.
La storia della casa volante è andata avanti, fino al punto in cui, nell'Ottocento, deve aver cominciato ad sembrare ridicola. Il cielo non è più un non-luogo dove possono avvenire teletrasporti straordinari: il volo ha perso ogni aura mistica, è diventato un passatempo di illuministi in mongolfiera e poi di allegre comitive in vacanza: ci siamo stati tutti in cielo, ormai, e l'idea di incrociare nei cieli una casa sollevata dagli angeli non è più sostenibile.
È all'inizio del secolo scorso che la Chiesa fa una scelta decisiva: avrebbe potuto riprendere in mano il mito della Casa Volante e scrostarlo di tutto quello che risultava inaccettabile alla mentalità contemporanea. Il Santuario non sarebbe andato in crisi, la gente mica ci va per guardare la finestrella attraverso la quale Gabriele apparve a Maria. La gente ci va perché sta male, e quando si sta male uno le prova tutte: però Gerusalemme continua a essere in un posto complicato, Lourdes è un ipermercato e Santiago un posto da fricchettoni. A quel punto forse bastava un Papa che dicesse: guardate, la devozione medievale era molto concreta; essere cristiani significava credere in un Dio che sceglie una povera ragazzina, e la gente questo lo capiva, la gente voleva vedere la povera casa di questa ragazzina, voleva toccare le pareti, il vano della finestra, e siccome non c'era a un certo punto se lo sono trovato. Hanno fatto tutto loro, noi siamo soltanto intervenuti a recintare e organizzare per evitare che andasse tutto in mano ai fanatici, poi abbiamo contribuito magari a diffondere la storia della casa volante, ma la santità di Loreto non è in questi dettagli; la santità di Loreto è nei milioni di sofferenti che hanno voluto credere, hanno voluto vedere, toccare. Ecco, un Papa che avesse fatto un discorso così, semplice e diretto, secondo me avrebbe tratto d'impaccio tutti quanti.
Invece no, addirittura Papa Benedetto (non questo, il XV) nel 1920 è saltato fuori con la bella pensata della Madonna aviatrice. Così adesso dobbiamo tenerci la Madonna volante con la casa e tutto quanto. Poi è inutile che ve la prendiate con Odifreddi e compagnia, inutile lamentarsi se pretendono di farvi pagare l'ICI. Non si fidano. Magari erano gente vostra, magari da bambini li avete portati in gita a vedere la casa volante e a catechismo avete spiegato loro la storia del trasloco degli angeli. E adesso che sono cresciuti non si fidano, ma sinceramente: hanno torto?
...sì, lo so ho forato l'Immacolata, ma in questi giorni ci sono comunque delle altre Madonne che vanno fortissimo, vedrete. E se Loreto fosse un parco a tema è sul Post, ovviamente.
10 dicembre - Madonna di Loreto
Vi è mai capitato di entrare in una chiesa e trovarvi raffigurata una casa volante, sollevata dagli angeli, a volte con la Madonna appollaiata sul tetto? Probabilmente no, è un'iconografia non molto diffusa, ed è facile capire il perché: è un po' buffa, la casa volante. Se siete cristiani praticanti, non dilettanti della domenica, lo sapete già: si tratta della Casa Santa di Loreto, la residenza di Giuseppe e Maria, l'umile dimora dove Gesù ha trascorso i primi anni della sua vita dopo la fuga in Egitto. Come?, diranno i dilettanti, Gesù non è vissuto a Nazareth? Giusto. E Loreto non è in provincia di Ancona? Giusto. E quindi? E quindi pare che a un certo punto, più o meno quando i Turchi ricacciano i crociati in mare, la Madonna, temendo per la sua proprietà, abbia demandato ad alcuni angeli il trasferimento dell'(im)mobile in una località più sicura, per via aerea: che è poi il motivo per cui la Madonna di Loreto è stata nominata patrona dell'aviazione (e dei traslochi). Loreto non sarebbe nemmeno stata la prima scelta; per qualche anno pare che la casa abbia sostato nei pressi di Fiume, oggi Croazia. Anche nelle Marche potrebbe aver cambiato posizione un paio di volte prima di trovare il sito ideale, dove resisterebbe più o meno dal tardo Duecento, protetta da una basilica fortificata che è uno dei capolavori del primo rinascimento italiano. E queste cose i cristiani praticanti (non i dilettanti della domenica) le sanno. Ma la domanda è: ci credono sul serio? Il solito problema. La Trinità e la Transustanziazione possono essere misteri complessi, ma non mettono in discussione la dignità di chi decide di credervi. Per contro, una casetta palestinese che svolazza di qua e di là per il mediterraneo sostenuta dagli angeli ti pone un problema di ordine diverso: siamo adulti, abbiamo smesso di credere a Babbo Natale con le Renne, sul serio ci si aspetta che crediamo nella Madonna volante con la casa e tutto quanto?
La prendo alla lontana. Nel 2004 uscì in tutto il mondo The Passion of The Christ, film tutto sommato ributtante, che ancora oggi viene riprogrammato più o meno ogni Pasqua in fascia protetta, per la gioia dei ragazzini che di un Cristo supereroe splatter avevano senz'altro bisogno. Tra le varie scelte discutibilissime di Gibson (il latino ridicolo, le torture esagerate, l'idea a conti fatti eretica di un Cristo che sopravvive a frustate e percosse che avrebbero fatto fuori un elefante) ce n'è una non del tutto insensata: il film è stato girato presso Matera, in un ambiente naturale non molto dissimile da quello dei dintorni di Gerusalemme. È noto che il successo del film, nei mesi successivi, creò un vero indotto per il turismo di Matera: i set naturali di The Passion divennero luoghi di pellegrinaggio postmoderno. Magari tra qualche secolo qualche osservatore troverà la cosa divertente: possibile che i pellegrini del XXI secolo non si rendessero conto della differenza tra un set e un luogo autentico? A questi storici da strapazzo del futuro sfuggirà il punto; il cristiano che decideva di andare a Matera piuttosto che a Gerusalemme sapeva benissimo che i due luoghi non coincidevano: se preferiva il Golgota finto al vero era per altri motivi, per esempio la guerra: erano gli anni della guerra in Iraq e della Seconda Intifada, che diedero un colpo quasi fatale al turismo religioso in Terrasanta. In quel momento Matera diventa un'alternativa comoda e filologicamente corretta, certificata dal film di Mel Gibson che non a caso veniva spacciato come la versione cinematografica più aderente allo spirito dei Vangeli (una scemenza, basta aver letto un po' di Vangelo per rendersene conto, ma lasciamo stare). (Continua...)
Probabilmente quello che successe sette-ottocento anni fa a Loreto non è molto diverso da quanto avvenuto sette anni fa a Matera: in un momento in cui i luoghi più santi del cristianesimo diventano inaccessibili a causa di una guerra, i pellegrini trovano un ripiego più che soddisfacente in un luogo che già era sulla direttrice del traffico per la Terrasanta, dove probabilmente si trovavano già reliquie di origine medio orientale (la Madonna Nera, andata a fuoco nel 1921, doveva risalire al Trecento, ma magari era a sua volta copia di un originale più antico). Probabilmente molti dei viaggiatori erano convinti di essere davvero arrivati in Galilea: siamo nel medioevo, il planisfero più diffuso è un cerchio con una T dentro, dopo un mese di marcia ti può sembrare di aver fatto il giro del mondo: in ogni città si parla un volgare diverso e alla fine ti devi fidare, se ti dicono che quella è la casa Santa tu ci credi. Tra l'altro i turchi ogni tanto nelle Marche ci arrivavano davvero, la basilica di Loreto non è fortificata per finta. Magari anche in questo caso a rendere la cosa più verosimile potrebbe essere intervenuto un regista visionario come Mel Gibson, anche se ai tempi i film si chiamavano sacre rappresentazioni. E siccome la casa di Loreto appare a fine Duecento, e siamo in Italia centrale, la congettura più immediata è che la casa-grotta sia nata come set di un presepe vivente, genere inventato da San Francesco d'Assisi pochi anni prima e non molto lontano, predecessore del cinema neorealista italiano.
Come set, la Casa è perfetta: si capisce che il regista ci teneva al dettaglio, e non intendeva prendere in giro il suo pubblico con messe in scena scadenti. Addirittura ci sono studiosi che garantiscono che le pietre (arenarie) sono quelle più tipiche della zona intorno a Nazareth, e che il tipo di malta utilizzato non si ritrova altrove in Italia ma è tipico della Galilea. I graffiti sono simili a quelli dei siti paleocristiani in Terrasanta: del resto la leggenda diceva che la Casa fosse stata adibita a luogo di culto già laggiù. Il fatto che non sia arrivata subito, ma con due o tre scali, potrebbe nascondere una storia meno esotica: magari i muri vengono davvero da un altro sito, non necessariamente dalla Palestina, non sarebbe la prima volta che a una reliquia viene gonfiato il pedigree. Insomma, Loreto potrebbe essere nato come un parco a tema, in un periodo in cui la concezione di spazio e di tempo era molto diversa dalla nostra, e il pellegrino che tornava da un lungo viaggio dicendo di aver visto “la casa di Maria e di Gesù” magari non intendeva in senso letterale, ma l'uditorio era portato a fraintendere. Man mano che passava il tempo, e il Santuario produceva miracoli (perché il vero successo di un culto è quello: puoi anche custodire tutti i chiodi della Santissima Croce, ma se non realizzano miracoli e non concedono grazie, la gente non viene) il confine tra fiction e realtà deve essere sfumato; del resto anche Jim Cavieziel, l'attore di The Passion, ha iniziato a sentire Gesù Cristo dentro di sé (comprensibile, con tutte le botte che ha preso). Nel frattempo il mondo si ingrandiva, diventava misurabile, le cartine cominciavano a dettagliare le distanza in miglia nautiche e la forma delle terre conosciute, e insomma a un certo punto tra Rinascimento e Controriforma la presenza di un doppione di Nazareth nelle Marche dev'essere diventata un problema.
Un problema per gli eruditi, perché i pellegrini standard a Loreto ci sarebbero andati comunque: era il santuario mariano n. 1 nel mondo per affluenza e quantità di miracoli omologati, e lo sarebbe rimasto fino alle apparizioni di Lourdes a metà Ottocento. La leggenda del volo magari esisteva già, ma a quel punto è stata rilanciata; siamo ancora comunque in una fase pre-scientifica in cui dire “volo” equivale a dire “miracolo”. Nel frattempo però se ne sviluppa un'altra: gli “angeli” in questione potrebbero essere Angeli con la A maiuscola: una dinastia bizantina già di lignaggio imperiale, gli Ἄγγελος, che nel tardo Duecento si era ridotta a governare un despotato tra Albania e Tessaglia: la casa potrebbero averla trasferita loro via mare per salvarla dalle incursioni turche. È una storia più plausibile, anche se nemmeno questa è sicura: forse è solo un primo tentativo di razionalizzare la leggenda angelica, ma non ha avuto molta fortuna.
La storia della casa volante è andata avanti, fino al punto in cui, nell'Ottocento, deve aver cominciato ad sembrare ridicola. Il cielo non è più un non-luogo dove possono avvenire teletrasporti straordinari: il volo ha perso ogni aura mistica, è diventato un passatempo di illuministi in mongolfiera e poi di allegre comitive in vacanza: ci siamo stati tutti in cielo, ormai, e l'idea di incrociare nei cieli una casa sollevata dagli angeli non è più sostenibile.
È all'inizio del secolo scorso che la Chiesa fa una scelta decisiva: avrebbe potuto riprendere in mano il mito della Casa Volante e scrostarlo di tutto quello che risultava inaccettabile alla mentalità contemporanea. Il Santuario non sarebbe andato in crisi, la gente mica ci va per guardare la finestrella attraverso la quale Gabriele apparve a Maria. La gente ci va perché sta male, e quando si sta male uno le prova tutte: però Gerusalemme continua a essere in un posto complicato, Lourdes è un ipermercato e Santiago un posto da fricchettoni. A quel punto forse bastava un Papa che dicesse: guardate, la devozione medievale era molto concreta; essere cristiani significava credere in un Dio che sceglie una povera ragazzina, e la gente questo lo capiva, la gente voleva vedere la povera casa di questa ragazzina, voleva toccare le pareti, il vano della finestra, e siccome non c'era a un certo punto se lo sono trovato. Hanno fatto tutto loro, noi siamo soltanto intervenuti a recintare e organizzare per evitare che andasse tutto in mano ai fanatici, poi abbiamo contribuito magari a diffondere la storia della casa volante, ma la santità di Loreto non è in questi dettagli; la santità di Loreto è nei milioni di sofferenti che hanno voluto credere, hanno voluto vedere, toccare. Ecco, un Papa che avesse fatto un discorso così, semplice e diretto, secondo me avrebbe tratto d'impaccio tutti quanti.
Invece no, addirittura Papa Benedetto (non questo, il XV) nel 1920 è saltato fuori con la bella pensata della Madonna aviatrice. Così adesso dobbiamo tenerci la Madonna volante con la casa e tutto quanto. Poi è inutile che ve la prendiate con Odifreddi e compagnia, inutile lamentarsi se pretendono di farvi pagare l'ICI. Non si fidano. Magari erano gente vostra, magari da bambini li avete portati in gita a vedere la casa volante e a catechismo avete spiegato loro la storia del trasloco degli angeli. E adesso che sono cresciuti non si fidano, ma sinceramente: hanno torto?
Un Natale anarchico e informale
09-12-2011, 21:22anniversari, feste, non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo, repliche, terrorismoPermalink
Io sulla Federazione Anarchica Informale ho, più che una teoria, una sensazione; non sono in grado stasera di dimostrarlo, ma mi pare proprio che colpiscano sempre a fine anno. Questa cosa li rende un po' più simili a dei maniaci seriali che a dei rivoluzionari. Come rivoluzionari anzi faccio sempre più fatica a immaginarmeli, di solito un rivoluzionario o ha molta pazienza o molta fretta; uno che smolla due pacchetti bomba sotto le feste ogni anno, e qualche volta salta pure l'anno, che razza d'insurrezione ha in mente?
Quel che è peggio è che ormai gli anarchici informali si sono impregnati di quello spirito natalizio ancora lieve dei primi di dicembre, privo delle angosce che ci attanagliano dal venti dicembre in poi: senti che hanno messo una bomba e ti viene in mente che è ora di addobbare l'albero e telefonare agli amici lontani. Forse c'è una spiegazione tecnica, forse sotto le feste è più facile contrabbandare esplosivi in mezzo ai botti di fine anno, non lo so. In realtà non ne sa niente nessuno.
Due anni fa (avevo appena cominciato a scrivere sull'Unità), trovai su un forum anarchico un testo che è la cosa più vicina a un manifesto della Federazione Anarchica Informale. Anche in quel caso si respira a pieni polmoni l'atmosfera della notte di San Silvestro, con quell'acre sentore di petardo. Ci scrissi un pezzo che coi suoi difetti mi sembra ancora interessante, anche se ormai di difficile reperibilità. Lo ricopio qui, credo di fare cosa non troppo inutile.
“Abbiamo scelto di colpire dove meno ve lo aspettate”, scrivono le “Sorelle in armi” nel comunicato in cui rivendicano la bomba alla Bocconi. E invece non c’è mai stata una bomba tanto prevedibile, nel luogo e nel momento in cui più avremmo potuto aspettarcela.
Una bomba anarchica a Milano, nell’anniversario della morte di Pinelli. Una bomba anarco-insurrezionalista, mentre al vertice di Copenaghen i black bloc attiravano (o distoglievano, a seconda del punto di vista) l’attenzione del pubblico mondiale. Una bomba in un ateneo privato, mentre gli studenti italiani manifestavano per la scuola pubblica. Una bomba gravida d’odio proprio mentre Berlusconi, percosso al volto ma non domo, si dichiarava sicuro della “Vittoria finale dell’Amore”. Tanto maldestre in fatto di detonatori, queste Sorelle, quanto raffinate nella scelta dei luoghi e dei momenti più suggestivi. Raffinatezza che molti hanno voluto trovare sospetta – non saremmo più in Italia se pochi minuti dopo il ritrovamento della bomba non fosse già fiorita una specifica dietrologia. Ma bisogna anche capirci: abbiamo stragi che aspettano un colpevole da trent’anni, poliziotti che piazzano molotov… con simili precedenti è effettivamente dura per un’organizzazione terroristica alle prime armi farsi prendere sul serio.
Il comunicato non aiuta, perché le citazioni che fino a qualche anno fa avrebbero dimostrato inoppugnabilmente il radicamento delle Sorelle nell’anarcoinsurrezionalismo ‘latino’ (la citazione dell’anarchico spagnolo Pombo da Silva, il richiamo all’anarchico cileno Mauricio Morales), nell’era di google diventano facilmente falsificabili: chiunque può farsi una cultura su da Silva o Morales in dieci minuti, e magari condirla con un verso di De Andrè che fa sempre anarchia. Questo in effetti è il punto meno credibile del comunicato: un anarchico che cita De Andrè è un po’ banale, ma un anarchico che cita De Andrè fraintendendolo così (il Bombarolo che vuole terrorizzare per non “ammalarsi di terrore” è un borghesotto figlio di papà) o è un ragazzino o un impostore. Brutta storia in entrambi i casi.
L’attenzione dei giornalisti si è concentrata sulla sillaba finale. Bastano infatti tre lettere, la sigla Fai, per trasformare la bomba di un gruppo sconosciuto nell’ultima azione del più temibile gruppo terroristico italiano. La Fai, spiegano, sta per Federazione Anarchica Informale: e se ti dicono così, significa che la Fai ha già vinto. Non la guerra, ma almeno una battaglia di immagine contro la vera FAI, la Federazione Anarchica Italiana nata nel 1945, editrice della malatestiana Umanità Nova e depositaria della storia più nobile dell’Anarchia italiana. La storica FAI non ha mai perso un’occasione per dissociarsi dal gruppo di bombaroli che ne usurpa la sigla: anche in questo momento sul suo sito compare un comunicato che “denuncia la natura oggettivamente provocatoria e antianarchica delle esplosioni di Milano e Gradisca d'Isonzo”. Fatica sprecata: ormai per il grande pubblico la Fai sono gli anarchici che mettono le bombe. “La principale minaccia terroristica di matrice anarco-insurrezionalista a livello nazionale», secondo l’AISI (Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna). Se non proprio l’unica.
Una “galassia”, scrive Paolo Colonnello sulla Stampa, addirittura un “universo che nel 2003 provò a colpire Prodi”. Visti gli effettivi attentati portati a termine sarebbe il caso di parlare, più che di galassia, di una costellazione. Una manciata di gruppetti, disseminati in tutt’Italia, senza nessuna velleità di costituire un movimento armato unitario (anzi, la frammentarietà è quasi rivendicata), che tra il 2003 e il 2006 hanno piazzato e spedito ordigni che anche quando sono scoppiati non sempre sono riusciti a guadagnarsi le prime pagine. Unico risultato concreto: oggi la sigla Fai è cosa loro. Fino al 2006 le periodiche consegne esplosive della Fai informale ribadivano l’esistenza di una corrente sotterranea violenta annidata tra le pieghe del “Movimento dei Movimenti”. Per i Movimenti invece la Fai informale non è mai esistita: si trattava di infiltrati, servi del potere. I loro comunicati, come s’è visto, non appaiono molto convincenti.
Forse la sola testimonianza a favore della ‘genuinità’ della Fai è l’unico bizzarro comunicato divulgato su internet, dal sito Anarchaos.it (ma “a semplice scopo informativo”). Risale al Natale del 2006 e porta il nome di “Documento-Incontro della Federazione Anarchica Informale a 4 anni dalla nascita”. Dopo una cronistoria accurata delle azioni compiute dai gruppi prima e dopo la nascita della Fai informale, il Documento riporta i verbali di una riunione natalizia in… “casa di Paperino”. Sì, perché per ragioni di segretezza i nomi degli esponenti dei vari gruppi (“COOPERATIVA ARTIGIANA FUOCO E AFFINI, BRIGATA 20 LUGLIO, CELLULE CONTRO IL CAPITALE, IL CARCERE, I SUOI CARCERIERI E LE SUE CELLE, SOLIDARIETA’ INTERNAZIONALE”) sono sostituiti da quelli della banda Disney.
Quel che è peggio è che ormai gli anarchici informali si sono impregnati di quello spirito natalizio ancora lieve dei primi di dicembre, privo delle angosce che ci attanagliano dal venti dicembre in poi: senti che hanno messo una bomba e ti viene in mente che è ora di addobbare l'albero e telefonare agli amici lontani. Forse c'è una spiegazione tecnica, forse sotto le feste è più facile contrabbandare esplosivi in mezzo ai botti di fine anno, non lo so. In realtà non ne sa niente nessuno.
Due anni fa (avevo appena cominciato a scrivere sull'Unità), trovai su un forum anarchico un testo che è la cosa più vicina a un manifesto della Federazione Anarchica Informale. Anche in quel caso si respira a pieni polmoni l'atmosfera della notte di San Silvestro, con quell'acre sentore di petardo. Ci scrissi un pezzo che coi suoi difetti mi sembra ancora interessante, anche se ormai di difficile reperibilità. Lo ricopio qui, credo di fare cosa non troppo inutile.
“Abbiamo scelto di colpire dove meno ve lo aspettate”, scrivono le “Sorelle in armi” nel comunicato in cui rivendicano la bomba alla Bocconi. E invece non c’è mai stata una bomba tanto prevedibile, nel luogo e nel momento in cui più avremmo potuto aspettarcela.
Una bomba anarchica a Milano, nell’anniversario della morte di Pinelli. Una bomba anarco-insurrezionalista, mentre al vertice di Copenaghen i black bloc attiravano (o distoglievano, a seconda del punto di vista) l’attenzione del pubblico mondiale. Una bomba in un ateneo privato, mentre gli studenti italiani manifestavano per la scuola pubblica. Una bomba gravida d’odio proprio mentre Berlusconi, percosso al volto ma non domo, si dichiarava sicuro della “Vittoria finale dell’Amore”. Tanto maldestre in fatto di detonatori, queste Sorelle, quanto raffinate nella scelta dei luoghi e dei momenti più suggestivi. Raffinatezza che molti hanno voluto trovare sospetta – non saremmo più in Italia se pochi minuti dopo il ritrovamento della bomba non fosse già fiorita una specifica dietrologia. Ma bisogna anche capirci: abbiamo stragi che aspettano un colpevole da trent’anni, poliziotti che piazzano molotov… con simili precedenti è effettivamente dura per un’organizzazione terroristica alle prime armi farsi prendere sul serio.
Il comunicato non aiuta, perché le citazioni che fino a qualche anno fa avrebbero dimostrato inoppugnabilmente il radicamento delle Sorelle nell’anarcoinsurrezionalismo ‘latino’ (la citazione dell’anarchico spagnolo Pombo da Silva, il richiamo all’anarchico cileno Mauricio Morales), nell’era di google diventano facilmente falsificabili: chiunque può farsi una cultura su da Silva o Morales in dieci minuti, e magari condirla con un verso di De Andrè che fa sempre anarchia. Questo in effetti è il punto meno credibile del comunicato: un anarchico che cita De Andrè è un po’ banale, ma un anarchico che cita De Andrè fraintendendolo così (il Bombarolo che vuole terrorizzare per non “ammalarsi di terrore” è un borghesotto figlio di papà) o è un ragazzino o un impostore. Brutta storia in entrambi i casi.
L’attenzione dei giornalisti si è concentrata sulla sillaba finale. Bastano infatti tre lettere, la sigla Fai, per trasformare la bomba di un gruppo sconosciuto nell’ultima azione del più temibile gruppo terroristico italiano. La Fai, spiegano, sta per Federazione Anarchica Informale: e se ti dicono così, significa che la Fai ha già vinto. Non la guerra, ma almeno una battaglia di immagine contro la vera FAI, la Federazione Anarchica Italiana nata nel 1945, editrice della malatestiana Umanità Nova e depositaria della storia più nobile dell’Anarchia italiana. La storica FAI non ha mai perso un’occasione per dissociarsi dal gruppo di bombaroli che ne usurpa la sigla: anche in questo momento sul suo sito compare un comunicato che “denuncia la natura oggettivamente provocatoria e antianarchica delle esplosioni di Milano e Gradisca d'Isonzo”. Fatica sprecata: ormai per il grande pubblico la Fai sono gli anarchici che mettono le bombe. “La principale minaccia terroristica di matrice anarco-insurrezionalista a livello nazionale», secondo l’AISI (Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna). Se non proprio l’unica.
Una “galassia”, scrive Paolo Colonnello sulla Stampa, addirittura un “universo che nel 2003 provò a colpire Prodi”. Visti gli effettivi attentati portati a termine sarebbe il caso di parlare, più che di galassia, di una costellazione. Una manciata di gruppetti, disseminati in tutt’Italia, senza nessuna velleità di costituire un movimento armato unitario (anzi, la frammentarietà è quasi rivendicata), che tra il 2003 e il 2006 hanno piazzato e spedito ordigni che anche quando sono scoppiati non sempre sono riusciti a guadagnarsi le prime pagine. Unico risultato concreto: oggi la sigla Fai è cosa loro. Fino al 2006 le periodiche consegne esplosive della Fai informale ribadivano l’esistenza di una corrente sotterranea violenta annidata tra le pieghe del “Movimento dei Movimenti”. Per i Movimenti invece la Fai informale non è mai esistita: si trattava di infiltrati, servi del potere. I loro comunicati, come s’è visto, non appaiono molto convincenti.
Forse la sola testimonianza a favore della ‘genuinità’ della Fai è l’unico bizzarro comunicato divulgato su internet, dal sito Anarchaos.it (ma “a semplice scopo informativo”). Risale al Natale del 2006 e porta il nome di “Documento-Incontro della Federazione Anarchica Informale a 4 anni dalla nascita”. Dopo una cronistoria accurata delle azioni compiute dai gruppi prima e dopo la nascita della Fai informale, il Documento riporta i verbali di una riunione natalizia in… “casa di Paperino”. Sì, perché per ragioni di segretezza i nomi degli esponenti dei vari gruppi (“COOPERATIVA ARTIGIANA FUOCO E AFFINI, BRIGATA 20 LUGLIO, CELLULE CONTRO IL CAPITALE, IL CARCERE, I SUOI CARCERIERI E LE SUE CELLE, SOLIDARIETA’ INTERNAZIONALE”) sono sostituiti da quelli della banda Disney.
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